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Università Telematica Pegaso Il riparto della potestà legislativa tra stato e regioni
e il federalismo fiscale
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Indice
1 IL RIPARTO DELLA POTESTÀ LEGISLATIVA TRA STATO E REGIONI ---------------------------------- 3
2.1. LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE --------------------------------------------------------- 4 1.2. LE ATTUALI COORDINATE DELL’AUTONOMIA TRIBUTARIA ----------------------------------------------------------- 6
2 IL FEDERALISMO FISCALE --------------------------------------------------------------------------------------------- 12
2.1. LA LEGGE DELEGA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12 2.2. IL RITARDO NELLA ATTUAZIONE DELLA LEGGE DELEGA -------------------------------------------------------------- 18
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24
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1 Il riparto della potestà legislativa tra stato e regioni
La costituzione italiana del 1948 guardava con cautela (eccessiva) l’autonomia normativa
delle Regioni e degli enti locali per il timore (all’epoca dopo la II° guerra mondiale, non infondato)
di aiutare le aspirazioni secessioniste esistenti in diverse parti del Paese. Basti pensare alla
creazione delle Regioni a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige,
Friuli Venezia Giulia) ed al ritardo di 22 anni con cui furono istituite le Regioni a Statuto Ordinario
(nel 1970).
Si può capire, quindi, perché gli originari artt. 117 e 119 della cost. prevedessero una visione
centralista anche nei rapporti tra finanza statale e regionale.
A livello costituzionale (nonostante alcune leggi ordinarie fino al 2000, che hanno prestato
attenzione alle autonomie tributarie) si è dovuta attendere la legge (costituzionale) 18 ottobre 2001
n. 3 che ha ampiamente modificato il Titolo V Cost., con particolare riferimento al riparto della
competenza legislativa (art. 117) tra Stato e Regioni ed ha gettato altresì le basi, attraverso le
modifiche apportate all’art. 119, le basi per affermazione dell’autonomia finanziaria degli Enti
locali.1
1 Le osservazioni che seguono devono intendersi riferite unicamente alle regioni a Statuto ordinario. Con riferimento alle Regioni a Statuto speciale deve invece evidenziarsi come l’art. 116 della Costituzione, già prima della riforma del Titolo V ad opera della legge costituzionale n. 3/2001, riconoscesse a tali Enti un’autonomia finanziaria più ampia di quella attribuita alle Regioni a Statuto ordinario. Esse risultavano infatti, già nel precedente assetto dei rapporti con lo Stato, titolari di una potestà legislativa di tipo complementare, espressione di una competenza integrativa ovvero condizionata risolutivamente dal sopravvenire di leggi statali incompatibili (in
questi termini L. PALADIN, Diritto regionale, Padova, 1985, 238. Il nuovo testo dell‟art. 116 della Costituzione ha ampliato la già rilevante autonomia della Regioni a Statuto speciale prevedendo che queste dispongano di “forme e condizioni speciali di autonomia, secondo i rispettivi statuti adottati con legge costituzionale”.
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2.1. LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
Infatti, il titolo V, parte seconda, della Costituzione, così come riformato dalla citata legge
cost. n. 3/2001, attribuisce oggi esplicitamente potestà normativa tributaria, in maggiore o minore
misura, a tutti gli enti che costituiscono la Repubblica.
Secondo quanto prevede il nuovo art. 114 Cost., gli enti che costituiscono la Repubblica
sono le Provincie, le Città metropolitane, i Comuni, le Regioni e lo Stato (inteso come Stato-
persona) laddove le novità sono rappresentate dalla espressa menzione dello Stato tra i soggetti
costituenti la Repubblica e dal riconoscimento della rilevanza costituzionale dell’ente Città
metropolitana.
Le nuove norme che interessano specificamente il tema della potestà normativa tributaria
sono gli artt. 117 e 119 (più il 116 per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale).
L’art. 117 prevede al comma 1 che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali”2. Lo stesso articolo prevede inoltre che: (i) lo Stato abbia legislazione
esclusiva in tema di “sistema tributario e contabile dello stato” (comma 2, lett. e); (ii) sia materia di
legislazione concorrente quella relativa all’“armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario” (comma 3); (iii) “nelle materie di legislazione
concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (comma 3); (iv) “spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”
(comma 4).
In sintesi, sulla base di tali previsioni, si può dire che Stato e Regioni sono posti dalla
Costituzione su di un piano di equiordinazione sotto il profilo della potestà legislativa. Tale potestà
tuttavia viene ripartita per materia: in particolare, per quanto interessa in questa sede, solo lo Stato
può legiferare in materia di sistema tributario statale, mentre la materia del “coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario” è riservata alla legislazione statale, per i principi
fondamentali, ed alle Regioni quanto al resto.
2 Sui limiti della potestà legislativa regionale in materia tributaria derivanti dall’ordinamento
comunitario, v. A. CARINCI, Autonomia tributaria delle Regioni e vincoli del Trattato dell’Unione
europea, in Rass. trib., 2004, 1201 ss.
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Almeno due le rilevanti zone d’ombra.
La prima è rappresentata dall’ampiezza della potestà normativa di coordinamento, riservata
sostanzialmente alle Regioni, salvo che per i principi fondamentali. Il comma 3 dell’art. 117 fa
infatti riferimento al sistema tributario tout court sicché non è chiaro se il coordinamento in
questione (riservato alla Regione salvi i principi fondamentali) riguardi il sistema tributario generale
(cioè statale, regionale e locale) ovvero solo quello regionale e locale3.
La seconda è la sorte dei tributi regionali e locali, i quali non essendo menzionati dall’art.
117, dovrebbero costituire materia di legislazione esclusiva delle Regioni (salvo la potestà
normativa tributaria e secondaria degli enti locali minori prevista dall’art. 119 Cost.).
Passando all’art. 119, qui si prevede, al comma 1, che: (i) tutti gli enti costituenti la
Repubblica hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119, comma 1, Cost.); (ii) i
medesimi enti hanno risorse autonome e “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in
armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario”. Formula quest’ultima che si è visto essere utilizzata dal comma 3 dell’art. 117
in tema di legislazione concorrente (attribuita alle Regioni, salvo che per i principi fondamentali).
Al nuovo assetto della sovranità impositiva fa da pendant anche una diversa ripartizione
delle funzioni amministrative giacché l’art. 118 prevede oggi, in conformità ai principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che le funzioni amministrative siano esercitate dai
Comuni “salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città
metropolitane, Regioni e Stato”. La stessa disposizione prevede inoltre che i Comuni abbiano
funzioni amministrative proprie oltreché quelle “conferite con legge statale o regionale, secondo le
rispettive competenze”.
Le funzioni di enti locali e Regioni, nelle intenzioni del legislatore della riforma del 2001,
dovrebbero essere finanziate tramite le risorse proprie, rappresentate non soltanto dalle entrate
tributarie proprie, ma anche dalla compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al singolo
territorio e dalla quota parte di un fondo perequativo di cui è prevista l’istituzione a garanzia del
finanziamento dei territori “con minore capacità fiscale per abitante” (art. 119, commi 2, 3 e 4).
L’esercizio di funzioni ulteriori rispetto a quelle, per così dire “normali” o ordinarie viene
invece finanziato con interventi ad hoc dello Stato. Più in particolare, secondo il penultimo comma
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dell’art. 119, “lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di
determinati Comuni, Provincie, Città metropolitane e Regioni” onde “promuovere lo sviluppo
economico, la coesione e la solidarietà sociale”, “rimuovere gli squilibri economici e sociali”,
“favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”, e appunto, “provvedere a scopi diversi dal
normale esercizio delle loro funzioni”.
La cresciuta importanza del ruolo degli enti locali è evidente. Come detto le Città
metropolitane, prima della riforma, neppure erano menzionate in Costituzione mentre i Comuni e le
Provincie esercitavano in passato solo funzioni determinate da leggi dello Stato e risultavano
“anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale” (così gli abrogati artt. 128 e 129 Cost.).
Per quanto riguarda infine le Regioni a statuto speciale, mentre il nuovo art. 116 Cost.
prevede che tali enti dispongono “di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i
rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”, l’art. 10 della legge costituzionale di
riforma prevede che, fin quando gli statuti non siano stati adeguati al nuovo assetto istituzionale, le
nuove norme si applicheranno anche alle Regioni in questione ed alle Provincie autonome di Trento
e Bolzano “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampia rispetto a quelle già
attribuite”. In attuazione di tale ultima disposizione, l’art. 11 della legge n. 131/2003, contenente
“Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3”, prevede inoltre che “per le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di
Trento e Bolzano resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di
attuazione, nonché dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.
1.2. Le Attuali Coordinate dell’Autonomia Tributaria
Quali sono dunque, stando all’attuale assetto costituzionale, le coordinate della cd.
autonomia tributaria di Regioni ed enti locali minori? In altri termini in che misura alle Regioni ed
3 In quest’ultimo senso, tra gli altri, v. A. FANTOZZI, riserva di legge e nuovo riparto della potestà
normativa in materia tributaria, in Riv. dir. trib. 2005, p. 23 ss.
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agli enti locali minori è oggi attribuita autonomia tributaria ed in che senso si può parlare di
sovranità impositiva (o di potestà normativa tributaria)?4
Ebbene un punto fermo, al riguardo, sembra essere il fatto che allo Stato sia riservata la
potestà normativa in tema di tributi erariali. Ciò risulta inequivocabilmente dalla previsione, di cui
al comma 2 , lett. e, dell’art. 117, della legislazione esclusiva dello Stato in materia di sistema
tributario, appunto, dello Stato.
Si può inoltre ragionevolmente ricavare dal nuovo quadro normativo, che invero sul punto
non è chiarissimo, una riserva della Regione per i tributi propri e per quelli degli enti locali minori
(salva la potestà normativa secondaria di questi ultimi).
Il coordinamento tra i sistemi tributari facenti capo allo Stato ed agli altri enti territoriali,
come detto, dovrebbe essere riservato, per i principi fondamentali, allo Stato, e, per il resto, alla
Regione.
Ciò detto preliminarmente, resta da capire in che cosa consista la potestà normativa
tributaria di Regioni e minori enti locali.
In proposito occorre avere riguardo ai commi 1 e 2 dell’art. 119 laddove si prevede che: (i)
gli enti locali e le Regioni “hanno autonomia finanziaria di entrate e di spesa”; (ii) i predetti enti
“hanno risorse autonome; (iii) gli stessi enti “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri”
seppure “in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario”.
Dalle indicate disposizioni dell’art. 119 Cost. appare chiaramente che il nuovo titolo V della
Costituzione considera caratteristica significante dell’autonomia tributaria degli enti locali e delle
Regioni il potere di stabilire ed applicare tributi propri. Il che sposta il problema su che cosa
significhi per l’ente territoriale stabilire ed applicare tributi propri.
L’applicazione del tributo è concetto che può ritenersi equivalente a quello di gestione del
tributo stesso. Si vuole dire in buona sostanza che all’ente territoriale spetta (anche) quella che
viene qualificata dalla dottrina di settore come potestà amministrativa di imposizione, comprensiva
di una serie di poteri-doveri caratterizzanti le diverse articolazioni della funzione impositiva,
passando dalla fase di accertamento a quella della riscossione per finire a quella sanzionatoria.
4 Vedi, in tema, A. AMATUCCI, Autonomia finanziaria e tributaria, in Enc. Giur. Treccani, 2002-
2003, 154; A. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, I Giappichelli, 2003, 72 ss; e 200
ss.; E. DE MITA, Rebus autonomia per le Regioni, in Il Sole 24 Ore dell’11 gennaio 2004, 21; Id.,
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Più complesso è il significato del verbo stabilire.
Che cosa vuol dire stabilire tributi propri?
In teoria significa non solo avere il potere di istituire o meno un tributo, ma anche regolarlo
nei suoi molteplici aspetti sostanziali e finanche individuarne gli elementi essenziali quali i soggetti
passivi e la fattispecie imponibile5.
Ritengo, peraltro, che l’espressione in questione debba essere intesa compatibilmente ed in
relazione all’ambito di potestà normativa tributaria propria di ciascun ente territoriale (e che è
diversa per le Regioni e per gli enti locali).
In particolare la teorica ampia lettura del verbo “stabilire” di cui sopra deve fare i conti da
un lato con la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. e, dall’altro, con le limitazioni alla potestà
normativa tributaria delle Regioni quali emergono, senz’altro, dall’esigenza di coordinamento dei
diversi sistemi tributari (artt. 117, comma 3 e 119, comma 2).
Quanto alla riserva di legge, occorre in particolare rilevare che il potere di stabilire tributi
propri è riferito, dal comma 2 dell’art. 119, indifferentemente alle Regioni ed ai minori enti
territoriali laddove questi ultimi sono notoriamente privi di potestà normativa primaria. In che
senso, a proposito degli enti territoriali minori, si può dunque parlare di un potere di stabilire
tributi?
Non a torto il problema in questione viene ritenuto uno degli snodi centrali del dibattito
giuridico sul federalismo fiscale quale sviluppatosi a seguito della legge cost. n. 3/20016.
La mia opinione è che il problema vada risolto nel senso che la potestà normativa tributaria
degli enti locali debba esplicarsi nel rispetto della riserva di cui sopra quantomeno nel suo
Al federalismo serve una legge, ivi, 22 febbraio 2004, 19; F. GALLO e tutti gli Autori citati in
fondo nella Bibliografia essenziale. 5 Sul punto va invero segnalato l’orientamento della Corte costituzionale, la quale esclude che l’Irap
e la tassa automobilistica regionale possano considerarsi tributi propri della Regione “nel senso in
cui oggi tale espressione è adoperata dall’art. 119, comma 2, Cost., dovendosi intendere il
riferimento della norma costituzionale a soli tributi istituiti dalle Regioni con propria legge, nel
rispetto dei principi di coordinamento con il sistema tributario statale” (così sent. 19 luglio 2004, n.
241, posto che il ritenere tributo proprio solo quello disciplinato da atti normativi dell’ente al quale
è riferito determina, di fatto, lo stesso venir meno della categoria (si pensi del resto ai tributi propri
dei minori enti locali, non dotati di potestà legislativa, i quali, per effetto della riserva di legge, non
possono non essere disciplinati, almeno in parte, da una legge regionale). 6 Secondo A. FANTOZZI, Diritto tributario, 2003, 135-136, l’art. 119 Cost., in parte qua,
“potrebbe provocare del disorientamento suscitando l’interrogativo sul quale tra le fonti del diritto
degli enti locali possa disciplinare la materia finanziaria e come si esplichi la loro potestà
decisionale in materia tributaria in assenza della potestà legislativa”.
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significato minimo che, com’è noto, abbraccia soggetti passivi, fattispecie imponibile e misura
massima. Di talché poter stabilire tributi propri, per i minori enti territoriali, dovrebbe significare
esercitare la potestà normativa tributaria in relazione a tutto ciò che non riguarda i predetti elementi
essenziali della disciplina del tributo7.
Per quanto riguarda invece le limitazioni alla potestà tributaria delle Regioni (che ora hanno
potestà legislativa), quali emergono dall’ineludibile esigenza di coordinamento dei diversi sistemi
tributari (statale, regionale e dei minori enti territoriali), viene in considerazione non solo il
ricordato comma 2 dell’art. 119 laddove si prevede che l’esplicazione della potestà tributaria di
Regioni ed enti locali debba avvenire “in armonia con la Costituzione e secondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, ma anche e soprattutto direi l’art.
117.
Qui, come si è visto, da un lato si attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in
tema di “sistema tributario e contabile dello Stato” e dall’altro si menziona espressamente, tra le
materie di legislazione concorrente – per le quali le Regioni svolgono un ruolo primario fatta salva
la soggezione ai principi fondamentali riservati alla legislazione statale – quella
dell’“armonizzazione dei bilanci pubblici” e del “coordinamento della finanza pubblica e sistema
tributario”.
È pertanto evidente come gli artt. 117 e 119 Cost., pur avendo realizzato, a livello generale,
una svolta importante, in ambito costituzionale non abbiano, almeno di per sé, prodotto effetti
altrettanto rilevanti (almeno sinora), soprattutto nell’ottica che qui interessa, vale a dire, quella di
una svolta in senso “federalista” dell’ordinamento tributario e ciò trova conferma nella Legge
Delega n. 42 del 2009. Esso rappresenta, tuttavia, il prius logico di altre innovazioni introdotte dalla
legge costituzionale n. 3/2001, che, nella prospettiva appena indicata, hanno avuto un impatto ben
7 Diversamente F. GALLO, Prime osservazioni sul nuovo art. 119 Cost., in Rass. trib., 2002, 591.
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più consistente. Esiste, del resto, un legame inscindibile tra federalismo politico8 e federalismo
fiscale.9
Deve evidenziarsi come, nel sistema delineato dal nuovo art. 119 Cost., al finanziamento
degli Enti locali attraverso un sistema di c.d. finanza diretta, si affianchi un sistema “tradizionale”di
finanza derivata.10 È infatti espressamente previsto che gli Enti locali dispongono di
compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. In tal modo il criterio di
determinazione dell’entità della compartecipazione degli Enti locali al gettito dei tributi erariali
viene individuato una sorta di “legame territoriale”del gettito stesso col territorio. L’ovvia
conseguenza dell’adozione di tale criterio è un’obiettiva riduzione della funzione di redistribuzione
ed una più accentuata ritenzione a livello locale11. Proprio al fine di contemperare la rigorosità di
tale criterio, il legislatore ha altresì previsto l’istituzione, per i territori con minore capacità fiscale
per abitante, di un fondo perequativo senza vincoli di destinazione, relativo, vale a dire, relativo a
contributi generici non vincolati ad una destinazione specifica di spesa o di attività regionale, di
guisa che ciascun Ente possa utilizzare le risorse trasferite per realizzare le priorità poste da ciascun
livello di governo, come strumento aggiuntivo alla realizzazione della propria autonomia fiscale12.
Non è tuttavia individuata una quantità certa di risorse da destinare annualmente al fondo, né sono
individuati i tributi destinati ad alimentare il fondo. L’entità del fondo è pertanto rimessa alle scelte
del legislatore ordinario, il quale, ai sensi dell’art. 117, lett. e), Cost., ha competenza esclusiva in
materia di perequazione e può scegliere liberamente le entrate tributarie attraverso cui alimentare il
fondo13.
8 Per l’analisi in chiave storico-politica del sistema di finanziamento degli enti locali minori. Vedi
per tutti, i contributi di F. Gallo, L’autonomia tributaria degli enti locali, Bologna 1979, 16 ss., e di
L. Del Federico, Il finanziamento delle autonomie locali: linee di tendenza etc., in AA.VV.
L’autonomia finanziaria degli enti locali territoriali, Eti, a cura di Leccisotti-Marino-Perrone, 1994,
99 ss.; Id., Orientamento di politica legislativa regionale in materia di tributi locali, in Fin. Loc.,
2003, 509; 9 L. PERRONE, La sovranità impositiva tra autonomia e federalismo, in Riv. dir. trib. 2004, I, 1173
ss., I tributi regionali propri derivati, in Rass. trib., 2010, 1597 ss. nel volume L’attuazione del
federalismo fiscale; A. GIOVANARDI, voce Federalismo fiscale, Enc. Giur. Treccani, 2009, ID. Il
libro dell’anno 2012 Treccani, p. 3251, e in ID AA.VV., L’attuazione del federalismo fiscale, Rass.
trib., volume 6, 2010, p.1617 ss; 10 In tal senso R. PEREZ, L’autonomia finanziaria degli Enti territoriali, in Rass. trib., 2007, 88. 11 In questo senso F. GIARDA, Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Le regioni, 2001, 11. 12 Vedi il volume L’attuazione del federalismo fiscale, A.A., Rass. trib., 6, 2010, p. 1517-1726. 13 Vedi il volume L’attuazione del federalismo fiscale,cit.
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L’insieme delle risorse derivanti dalle fonti sopra individuate consente ai Comuni, alle
Province, alle Città metropolitane e alle Regioni deve valere, secondo il dettato costituzionale,14 a
finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Viene così istituito un rapporto di
corrispondenza necessaria tra le funzioni attribuite e le risorse degli Enti locali, da valutarsi secondo
il criterio della ragionevolezza15.
Tuttavia, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale,
per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della
persona ovvero per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato
destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province,
Città metropolitane e Regioni16. Deve chiarirsi che la differenza tra fondo perequativo e risorse
aggiuntive risiede nel fatto che queste ultime sono dirette ad integrare le risorse proprie degli Enti
locali al fine di ottenere specifici risultati in relazione alla capacità dell’Ente di fornire servizi ai
cittadini ovvero al soddisfacimento di interessi aventi rilievo nazionale, oltre che locale. Tale
strumento perequativo è stato ritenuto foriero del progressivo passaggio da un sistema di finanza
“neutrale”ad un sistema di finanza “funzionale”, intesa, vale a dire, come strumento attraverso cui
garantire i diritti della persona17.
14 Art. 119, comma 4, Cost. 15 Per un approfondimento, sul punto, cfr. PALADIN, Ragionevolezza (principio di), in Enciclopedia del diritto, I agg., Milano, 1997, 905. 16Cfr. art. 119, comma 5, Cost.
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2 Il federalismo fiscale
2.1. La legge delega
Pur avendo la riforma costituzionale ampiamente modificato l’assetto delle competenze
legislative e regolamentari allo scopo di consentire l’affermazione di una effettiva autonomia
finanziaria degli Enti locali, attraverso la previsione di meccanismi di perequazione e di
autofinanziamento sanciti a livello costituzionale in applicazione del principio di sussidiarietà, essa
non era suscettibile di realizzare, di per sé, l’obiettivo federalista sotteso al progetto di riforma. La
concreta attuazione del federalismo fiscale risultava, infatti, inevitabilmente subordinata ad una più
precisa definizione del quadro di competenze emergenti dalle disposizioni costituzionali come
modificate dalla legge costituzionale n. 3/2001. In altri termini, le importanti nuove previsioni degli
artt. 117 e del nuovo art. 119 della Costituzione necessitavano, tuttavia, dell’adozione di
provvedimenti legislativi che ne garantissero l’effettività18. Obiettivo quest’ultimo che si è cercato
di perseguire con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri della legge delega 3 agosto
2007 per l’attuazione del nuovo art. 119 Cost., la quale tuttavia, non venne convertita.
Si è allora nuovamente tentato di definire più nitidamente la sfera delle competenze fiscali
spettanti agli Enti locali con la legge delega 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo
fiscale19, con la quale «il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di
17
In questo senso, si veda FANTOZZI, Il diritto tributario, cit., 140. 18
Sul punto cfr. AMATUCCI, I principi e le competenze degli Enti locali in materia tributaria, cit.
L’Autore evidenzia come “in mancanza di precise indicazioni attraverso norme di attuazione ed
attraverso una interpretazione non unitaria delle diverse disposizioni” l’art. 119 Cost. rischiasse “di
rappresentare una scatola vuota da riempire”. 19 La legge in questione - come espressamente precisato dall’art. 1 comma 1 - costituisce “attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e garantendo i principi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti. A tali fini, la presente legge reca disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l'istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l'utilizzazione delle risorse aggiuntive e l'effettuazione degli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l’attuazione
dell’art. 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei principi
fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della
perequazione, l’autonomia finanziaria di comuni, provincie, città metropolitane e regioni,….»20.
La legge delega, peraltro, è stata soltanto parzialmente attuata con i relativi decreti delegati
ed è scaduta nel 2011. Si può affermare, quindi, che oggi “il federalismo fiscale regionale” è fermo,
salvi i decreti legislativi più avanti indicati che riguardano però gli enti locali.
Gli obiettivi perseguiti dalla legge n. 42 del 2009 citata sono: la responsabilizzazione degli
amministratori locali attraverso una più stretta correlazione tra prelievo fiscale e beneficio, il
superamento graduale della spesa storica quale criterio perequativo nel rispetto dei principi di
sussidiarietà a favore del criterio del costo e del fabbisogno standard (art. 2, comma 2, lett. f)
nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni. Fondamentale è
altresì la costituzione di una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica
sancita (art. 5) che, oltre a vigilare sull’applicazione dei summenzionati meccanismi premiali e
sanzionatori, è preposta alla individuazione dei criteri di ripartizione dei fondi perequativi, nonché
al controllo sull’effettiva utilizzazione degli stessi e sulla realizzazione del percorso di convergenza
al costo e ai fabbisogni standard ed assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo
coordinamento finanziario.
Il Capo II della legge delega disciplina i rapporti finanziari Stato – Regioni. Ai sensi della
legge delega la finanza delle Regioni è basata: sui tributi, sulle compartecipazioni al gettito dei
tributi erariali21, sui trasferimenti perequativi senza vincolo di destinazione22. Per quanto riguarda
i tributi regionali, devono distinguersi:
economico del Paese. Disciplina altresì i principi generali per l'attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni e detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale”. 20 Vedi il volume L’attuazione del federalismo fiscale, Rass. trib., 2010, 6° fascicolo, cit. 21 In via prioritaria, sulla compartecipazione al gettito dell‟IVA. 22 I quali, a seconda del tipo di servizio regionale che sono destinati a finanziare si distinguono in fondamentali, non fondamentali e speciali.
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- tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle
Regioni; la relativa disciplina può essere modificata dalle Regioni, che hanno il potere di modificare
le aliquote, disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nei limiti e secondo i criteri fissati dalla
normativa statale e comunitaria;
- le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali, con possibilità di variazione delle
aliquote e di introduzione di esenzioni, nei limiti fissati dalla legislazione statale;
- i tributi propri originari, che dovranno avere ad oggetto presupposti diversi da quelli già
assoggettati a tassazione da parte della legge statale;
Il Capo III della legge delega detta invece i criteri fondamentali in materia di finanza degli
enti locali, individuando in capo ai singoli enti fonti di finanziamento del tutto analoghe a quelle
delle Regioni (tributi, trasferimenti perequativi). In particolare, è previsto che le regioni possano
istituire, con riferimento al proprio territorio di competenza, nuovi tributi locali. Entro i limiti fissati
dalle leggi istitutive gli enti locali potranno modificare le aliquote dei tributi loro attribuire e
prevedere agevolazioni.
In attuazione della delega contenuta nella legge delega n. 42/200923, che è scaduta nel 2001
ed è stata solo in parte attuata (quindi necessaria una proroga di essa oppure un’ulteriore intervento
del legislatore), l’attribuzione di scarsa autonomia tributaria e finanziaria alle Regioni ed agli enti
locali.
L’ art. 7, lett. b, infatti, precisa al n. 1che sono “tributi propri derivati” quelli istituiti e
regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni” ed al n. 3 che sono “tributi propri”
(tout court o) in senso stretto quelli istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione a presupposti
non già assoggettati ad imposizione erariale”.
Diverse le considerazioni da fare sul punto:
In primo luogo si deve notare che si configurano, da una parte, i tributi propri derivati (in
tutto e per tutto, si direbbe, “istituiti e regolati” da legge dello Stato) e, da un’altra, i tributi propri
(in senso stretto) istituiti soltanto dalla la legge della regione mentre nulla è detto sulla loro
regolamentazione.
23 Ai sensi dell’art. 2, comma1, l. n. 42/2009 “il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema
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In secondo luogo, poi, si deve chiarire quale sia il significato da attribuire alla esclusiva od
alla riserva di presupposto riguardante i tributi propri in senso stretto (per i quali le leggi Regionali,
come detto, non possono toccare presupposti già oggetto di imposizione erariale).
In particolare si dovrà definire che cosa intende dire la Legge Delega quando esclude che la
Legge regionale possa intervenire su presupposti “già assoggettati ad imposizione erariale”.
La Legge regionale non può toccare i presupposti già coperti – occupati da tributi regionali
derivati (cioè istituiti da L. Stato con gettito alle regioni) ovvero quelli di tributi erariali (in tout
court), cioè istituiti da Legge dello Stato e con gettito allo Stato (art. 2 lett. q. art. 7 n. 3)? ovvero la
riserva di presupposto riguarda entrambi? (cioè, i presupposti comunque, previsti da legge dello
Stato indipendentemente dal gettito, come sembrerebbe visto che i tributi erariali in senso stretto
sono riservati alla Legge dello Stato ex art. 117 Cost.)?
Come si può rilevare, (a parte i problemi interpretativi) rispetto all’autonomia normativa che
si poteva ipotizzare in base agli artt. 117 e 119, la Legge delega come dicevo, appare riduttiva (ma
ha il pregio di attenuare molto il notevole grado di incertezza, evidenziato dalla dottrina che
sussisteva in materia).
La Legge delega, in buona sostanza, sembra delineare un ordinamento in cui l’ipotizzata
equi ordinazione normativa (Stato – Regione) è piuttosto imperfetta (e limitata) a scapito delle
Regioni, in quanto queste non solo (in base all’art. 117 Cost.) non possono legiferare in materia di
sistema tributario dello Stato (cioè di tributi erariali) né di coordinamento (o di principi
fondamentali sul coord.) ma in base all’art. 7 Legge Delega neppure nell’ambito del sistema
tributario delle Regioni “in relazione ai presupposti già assoggettati ad imposizione erariale” (c’è da
ritenere già occupati da tributi propri derivati” visto che la riserva della legge statale per i tributi –
sistema – dello Stato nasce dall’art. 117).
C’è un certo distacco rispetto a quanto immaginato da buona parte della dottrina che
vagheggiava una sorta di riserva legislativa per le Regioni relativamente a presupposti in esse
localizzati o se si preferisce, di un corrispondente divieto di occupazione da parte della legislazione
statale sui presupposti medesimi.
Si deve rilevare, peraltro, che (a parte i tributi regionali in senso stretto) un certo spazio per
l’autonomia normativa regionale è previsto dall’art. 7, 1° comma, lett. c) per i tributi propri derivati
tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni”.
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per i quali, anche se istituiti e regolati da legge dello stato, le regioni possono con proprie leggi,
modificare le aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, peraltro nei limini e secondo
criteri fissati dalla legislazione statale e nel rispetto della normativa comunitaria.
Questo profilo dell’autonomia normativa relativa ai tributi derivati lasciato alle Regioni non
deve esser sottovalutato: infatti, in particolare il potere (legislativo) specialmente quello riguardante
le aliquote dei tributi è molto sentito e visibile e risponde in pieno al principio della
responsabilizzazione degli enti impositori nei riguardi dei soggetti passivi amministrati.
Inoltre, esaminando il tema dal punto di vista della autonomia non normativa ma finanziaria,
cioè dal punto di vista della disponibilità e destinazione delle risorse ex art. 119 Cost., si deve
ricordare che il gettito dei tributi regionali derivati, (oltreché, ovviamente, dei tributi propri in senso
stretto) sono attribuiti alle Regioni e senza vincolo di destinazione l’art. 7, lett. e): e ciò anche in
base ai principi di territorialità (correlazione, continenza e responsabilità), fissati all’art. 2, 2° c. lett.
e), lett. p)
Sul punto si può aggiungere che l’art. 7 alla lett. d) rinvia a futuri decreti legislativi la
individuazione delle modalità di attribuzione alle regioni “del gettito dei tributi regionali (derivati)
istituiti con legge dello Stato” (oltre che delle compartecipazioni ai tributi erariali) da definire in
conformità al principio di territorialità di cui all’art. 119 della Costituzione.
Lo stesso art. 7 indica alcuni dei criteri di cui tener conto per la fissazione di tali modalità e
tra questi:
· luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi; · localizzazione dei
cespiti, per i tributi basati sul patrimonio; · luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla
produzione; · residenza del percettore, per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche;
Dal quadro che emerge dalla legge delega sembrerebbe che “i principi fondamentali del
coordinamento delle finanza pubblica e del sistema tributario” (la cui disciplina, essa legge delega,
ha attribuito a se stessa ed ai futuri decreti legislativi) tendono per quanto riguarda le Regioni alla
omogeneizzazione dei tributi regionali derivati, come detto, non solo “istituiti” ma anche “regolati”
da leggi dello Stato (da qui ulteriori dubbi: tutte le R. gli stessi tributi derivati? Obbligo o facoltà di
attivazione” di essi da parte delle Regioni?).
È vero che le Regioni possono esercitare la propria autonomia e temperare tale
coordinamento - omogeneizzazione, in quanto “dispongono” dei tributi propri in senso stretto (da
esse stesse “istituiti”), ma non è men vero che tali tributi sono subordinati alla riserva, a favore della
legge dello Stato, prevista per i presupposti già assoggettati ad imposizione erariale.
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È vero anche che, come detto, un certo margine di vera autonomia normativa è attribuito alle
Regioni mediante il potere, con proprie leggi di modificare le aliquote, disporre esenzioni,
detrazioni, deduzioni, ma pure in quest’ambito non è men vero che ciò è possibile nei limiti e
secondo i criteri della legge statale (oltreché ovviamente nel rispetto della normativa U.E.).
Le entrate tributarie delle Province e dei Comuni prefigurate dalla Legge Delega
In maniera sostanzialmente simmetrica rispetto a quanto previsto per le Regioni, le entrate
tributarie degli enti locali minori ipotizzate dalla Legge Delega sono rappresentate da
- tributi propri;
- forme di compartecipazione al gettito di tributi erariali e, eventualmente – ove la normativa
regionale disponga in tal senso – al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;
- eventuali tributi di scopo (ossia tributi istituiti per il reperimento di risorse finanziarie da
destinare ad una specifica finalità).
Al fine di garantire adeguate risorse finanziarie agli enti locali, la Legge Delega aggiunge
poi a tale complesso di entrate di natura specificamente tributaria una piena autonomia nella
fissazione delle tariffe per le prestazioni ed i servizi offerti alla cittadinanza (le quali tecnicamente
non rappresentano una forma d’imposizione fiscale.
I tributi propri e le regioni a statuto speciale
L’assetto che sembra definirsi all’indomani della legge delega presenta, quindi, una matrice
ancora centralista sebbene resa tendenzialmente compatibile con un ruolo principale della singola
Regione alla quale è concesso di poter coordinare la fiscalità regionale all’interno del suo territorio
seppur con principi di coordinamento coerenti con quelli operanti, ad un livello superiore, tra Stato
e Regioni24.
La specialità può aggiungere, però, qualche cosa alla luce delle indicazioni fornite dalla
Corte Costituzionale nella sentenza n. 102 e dell’art. 27 della legge delega; se, da un lato, la prima
avrebbe ammesso anche l’assunzione di presupposti identici a quelli dei tributi erariali dovendo la
Regione rispettare i principi del sistema tributario statale cui non apparterrebbe il divieto di
24
Vedi GIOVANARDI Il riparto delle competenze tributarie tra giurisdizione costituzionale e
legge delega in materia di federalismo fiscale in Riv.dir.trib.,2010, I, 32 e ss.; dal lato del
costituzionalista per tutti RIVOSECCHI Il federalismo fiscale tra giurisprudenza costituzionale e
legge n.42/2009, ovvero: del mancato coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario ibidem, 49 e ss.
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duplicazione del presupposto25, dall’altro, si deve rilevare come l’art. 27 rinvii a norme di
attuazione dei rispettivi statuti un ruolo plurimo tra cui, come si legge nel terzo comma, quello
importante di definire “i principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario con
riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti” alle Regioni e province speciali
nonché di individuare “forme di fiscalità di sviluppo”.
Il quadro che emerge è, forse, più chiaro di quello definibile per le Regioni ordinarie in
quanto alla funzione di coordinamento si affianca il potere di istituire tributi regionali non solo
derivati ma anche propri in spazi più ampi così come disegnati dalla Corte Costituzionale,
soprattutto per quanto riguarda all’assunzione di presupposti di imposta già noti.
2.2. Il ritardo nella attuazione della legge delega
Come già accennato più indietro si deve rilevare peraltro che la legge delega è scaduta nel
2011, che è stata attuata solo in parte con dei decreti delegati (riguardanti per lo più gli enti locali) e
che il federalismo fiscale regionale è sostanzialmente fermo (salvo il potere di aumentare le
addizionali IRPEF – anche comunali – e l’IRAP).
In attuazione della delega contenuta nella legge delega n. 42/200926, sono stati adottati i
seguenti decreti legislativi che riguardano peraltro prevalentemente i tributi degli enti locali.
Il d.lgs. n. 23/2011, adottato dal Governo nell'esercizio della Legge delega n. 42/2009 ed
entrato in vigore il 7 aprile 2011, individua le linee – guida della nuova fiscalità locale, onde
realizzare, attraverso l'individuazione di autonome fonti di entrata dei Comuni, il superamento del
25
Sul rischio che ciò possa causare un difetto di coerenza vedi FALSITTA Le imposte della
regione Sardegna sulle imbarcazioni ed altri beni di “lusso” nelle “secche” dei parametri
costituzionali e comunitari in Corr. Giur., 2008, 895 cui adde, tra gli atri, FICARI Sentenza
n.102/2008 della Corte Costituzionale e disegno di legge delega n.1117: prospettive divergenti, cit.,
120. 26 Ai sensi dell’art. 2, comma1, l. n. 42/2009 “il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l'autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni”.
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sistema di finanziamento delle spese afferenti alle diverse realtà municipali, finora essenzialmente
basato su trasferimenti statali ed ancorato al concetto della spesa storica incrementale.
Possono individuarsi 2 fasi: una di transizione e consolidamento (dal 2011 al 2014), l’altra
di piena realizzazione del disegno federalista (a partire dal 2014).
I fase: dal 2011 al 2014
L’art. 2, comma 2, d.lgs. 23/2011, in attuazione della summenzionata legge delega,
attribuisce ai Comuni, in relazione agli immobili ubicati sul loro territorio, il gettito o le quote di
gettito relativo ai seguenti tributi:
Imposta di bollo e di registro;
Imposte ipotecarie e catastali;
IRPEF in relazione ai redditi fondiari e ai redditi agrari;
Tributi speciali e catastali;
Tasse ipotecarie;
Cedolare secca sugli affitti.
Ai sensi del successivo comma 3 dell’art. 2 cit., prevede l’istituzione, per la durata di 3 anni
e, comunque, in attesa dell’istituzione del Fondo perequativo di cui all’art. 13 del L. n. 42/2009, del
Fondo sperimentale al fine di garantire la realizzazione in forma progressiva e territorialmente
equilibrata della devoluzione dei tributi di cui al 2° comma. È inoltre attribuita ai Comuni la
compartecipazione al gettito dell’IVA, in una percentuale da determinarsi con DPCM, di concerto
col Ministro dell’Economia e Finanze, d’intesa con la conferenza unificata, con attribuzione ai
singoli Comuni i relazione al territorio su cui si è determinato il consumo (art. 2, comma 4, d.lgs.
23/2011).
L’art. 2 comma 10 del d.lgs. n. 23/2011 detta disposizioni volte a rafforzare la capacità di
gestione delle entrate comunali, nonché ad incentivare la partecipazione dei Comuni all’attività di
accertamento tributario. A partire da 2011 il canone di locazione relativo agli immobili ad uso
abitativo e alle relative pertinenze può essere assoggettato, su decisione del locatore, ad una imposta
operata nella forma della cedolare secca (21%), sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone
fisiche e delle relative addizionali, nonché l’imposta di bollo e di registro sulla risoluzione e sulle
proroghe del contratto (art. 3, d.lgs. 23/2011). Tale previsione non si applica alle locazioni di unità
immobiliari ad uso abitativo effettuate nell’esercizio dell’attività di impresa o di arti e professioni.
Si tiene comunque conto del reddito soggetto alla cedolare secca ai fini del riconoscimento ovvero
della determinazione di deduzioni, detrazioni, benefici, anche di natura non tributaria.
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I Comuni capoluogo di Provincia, le unioni di Comuni e i Comuni iscritti negli elenchi
regionali delle località turistiche possono istituire un’imposta di soggiorno (art. 4).
D’altro canto, l’art. 5 dispone la graduale cessazione, anche parziale, della sospensione del
potere dei Comuni di istituire l’addizionale comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche.
II fase: federalismo fiscale e municipale
A partire dal 2014 saranno introdotte nell’ordinamento fiscale le seguenti forme di
imposizione municipale:
Imposta municipale propria (art. 8e ss.)
Destinata a sostituire, per la componente immobiliare, l’IRPEF e le relative addizionali
dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, nonché l’ICI;
La base imponibile sarà costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 5
del d.lgs. n. 504/1992 (comma 4). Soggetti passivi del tributo sono il proprietario dell’immobile
ovvero il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi o superficie ovvero il
concessionario (art. 9). Gli immobili esenti sono individuati dall’art. 9, comma 8.
Imposta municipale secondaria (Artt. 11 e ss.)
È istituita in sostituzione di TOSAP, COSAP, imposta comunale su affissioni e pubblicità,
canone per l’autorizzazione all’istallazione di impianti pubblicitari.
Presupposto del tributo è l’occupazione di beni appartenenti al demanio o al patrimonio
indisponibile dei Comuni ovvero degli spazio soprastanti o sottostanti il suolo pubblico, anche a fini
pubblicitari (comma 2, lett. a). Soggetto passivo è il soggetto che effettua l’occupazione (comma 2
lett b) .
L’art. 13 del d.lgs. cit., dispone l’istituzione nel bilancio dello Stato di un fondo perequativo
a titolo di concorso per il finanziamento delle spese dei Comuni e delle Province relative alle
funzioni (sia fondamentali che non fondamentali) svolte dalle stesse, previa determinazione dei
fabbisogni standard.
È comunque confermata, anche per i nuovi tributi, la potestà regolamentare in materia di
entrate pubbliche degli enti di cui agli artt. 52 e 59 d.lgs. 446/1997 (art. 14).
Il d.lgs.n. 68/2011 reca disposizioni in materia di autonomia di entrata delle Regioni a
statuto ordinario, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
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Il Capo I disciplina il nuovo assetto della fiscalità delle Regioni. In particolare sono dettate
disposizioni volte, da un lato, ad assicurare l’autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario,
dall’altro a realizzare la soppressione dei trasferimenti statali (art.1, comma 1 e art. 7). Sono
individuate le compartecipazioni delle Regioni a statuto ordinario al gettito di tributi erariali e i
tributi delle Regioni a statuto ordinario, nonché i meccanismi perequativi che costituiscono le fonti
di finanziamento del complesso delle spese delle stesse regioni (comma 2). Il gettito delle fonti di
finanziamento è senza vincolo di destinazione (comma 3).
Gli altri Capi di cui si compone il decreto disciplinano: i tributi provinciali (Capo II), il
fondo perequativo per gli enti locali (Capo III) e i costi standard per le spese sanitarie delle Regioni
(Capo IV); il Capo V, infine, istituisce e disciplina la conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica fra Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato.
Le entrate principali delle Regioni, secondo lo schema tracciato dal decreto, sono destinate
ad essere:
1) l’addizionale IRPEF (art 6)
La disciplina dell’addizionale, compresa la misura dell’aliquota, sarà contenuta in un futuro
D.P.C.M. (art. 2, comma 1). L’aliquota così determinata potrà poi essere aumentata dalle regioni
(art. 6, co. 1): fino a un massimo di 0,5% nel 2013; di 1,1% nel 2014; di 2,1% nel 2015. Se però la
maggiorazione supererà lo 0,5%, per la parte eccedente essa non sarà applicata sui redditi del primo
scaglione IRPEF e, inoltre, sarà vietata la riduzione dell’IRAP (art. 6, co. 3). Oltre che nella
determinazione dell’aliquota aggiuntiva rispetto a quella base, l’autonomia regionale si potrà
esprimere in altre scelte di disciplina dell’addizionale IRPEF (art. 6, co. 4 ss.). Come in passato, le
regioni potranno modulare l’addizionale in modo progressivo. Potranno inoltre disporre detrazioni
in favore delle famiglie (e misure di sostegno economico diretto ai cittadini il cui reddito non
consente di fruire di detrazioni), nonché detrazioni sostitutive di eventuali voucher per l’accesso ai
servizi pubblici. Tuttavia queste detrazioni: a) saranno interamente a carico del bilancio regionale e
non saranno compensate da trasferimenti statali; b) non potranno essere disposte dalle regioni che,
avendo concordato con lo Stato un piano per il rientro del deficit sanitario, non abbiano rispettato il
piano stesso e abbiano per questo subito l’aumento coattivo dell’addizionale stessa e dell’IRAP;
2) compartecipazione all’IVA (art. 4)
Tale compartecipazione dovrà basarsi sul principio di territorialità, ossia sul luogo in cui
avviene il consumo. Per gli anni 2011 - 2012 l’aliquota partecipata sarà calcolata con riferimento
alla normativa vigente, ma a far data dal 2013 la percentuale sarà determinata con apposito Decreto
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del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il suddetto Decreto prevede l’elaborazione di un
resoconto in merito agli effetti derivanti dall’applicazione del principio di territorialità;
3) l’IRAP (art. 5)
Imposta che ogni Regione potrà azzerare, ridurre o limitare con deduzioni dall’imponibile.
Le riduzioni del gettito del tributo, tuttavia, non saranno compensate dallo Stato: spetterà quindi a
ciascuna Regione valutare se e quanto, con le sue risorse, possa essere sollevata l’imposizione sulle
attività produttive. Tuttavia, come si è detto, l’IRAP non potrà essere ridotta, se la regione avrà
aumentato di più di 0,5% l’addizionale IRPEF.
4) i tributi regionali di cui all’art. 8 (che diventano tributi propri)
Le Regioni potranno disciplinare con proprie leggi ovvero sopprimere i seguenti tributi: la
tassa per l’abilitazione all’esercizio professionale, le tasse sulle concessioni statali di beni del
demanio marittimo e per l’uso di e l’occupazione di beni del patrimonio indisponibile, la tassa per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali, sulle concessioni regionali e l’imposta sulle
emissioni sonore degli aeromobili
A partire dal 2013, potranno essere istituiti con legge regionale tributi nuovi (regionali o
locali) in riferimento a presupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato: Inoltre sarà
possibile, sempre con legge regionale, determinare, in riferimento ai tributi locali istituiti con legge
regionale, variazioni delle aliquote o agevolazioni che Comuni e Province potranno applicare
nell’esercizio della loro autonomia (art. 38).
È inoltre prevista la compartecipazione delle Regioni al gettito derivante dal contrasto
dell’evasione fiscale (art. 9) e potranno stabilire convenzioni con l’Agenzia delle Entrate per
realizzare tale cooperazione e, in generale, per la gestione dei tributi regionali e delle
compartecipazioni al gettito dei tributi erariali (art. 10).
L’insieme di questi cespiti sostituisce i trasferimenti ordinari dallo Stato (art. 7): più
precisamente, i trasferimenti generali e permanenti a spese di parti correnti e anche a spese in conto
capitale, se non finanziate con il ricorso all’indebitamento.
Con le principali entrate a loro disposizione le Regioni dovranno assicurare l’erogazione
delle prestazioni comprese nei livelli essenziali di sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico
locale quanto agli investimenti (art. 14).
Il fondo di perequazione di cui all’art. 15, comma 5, del decreto concorrerà con le principali
entrate regionali a garantire che ciascuna Regione disponga di risorse pari ai fabbisogni standard. Il
fondo sarà alimentato dalla compartecipazione all’IVA. Il fondo provvederà anche alla
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e il federalismo fiscale
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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perequazione in relazione alle spese per funzioni diverse da quelle di garanzia dei livelli essenziali;
tuttavia, per queste funzioni, la perequazione sarà solo parziale. Essa avverrà tenendo conto delle
differenze tra il gettito dell’addizionale IRPEF nelle singole regioni e la media nazionale (art. 15,
comma 7): le Regioni con un gettito superiore alla media contribuiranno al fondo; quelle con un
gettito inferiore alla media, saranno finanziate dal fondo; la perequazione delle differenze di gettito
non sarà completa, ma dovrà essere almeno del 75%; non dovrà essere alterata la graduatoria delle
regioni in termini di capacità fiscale per abitante, ma si dovrà tenere conto dei maggiori costi medi
in cui incorrono le regioni di minore dimensione demografica.
Il decreto prevede anche una riforma dei rapporti finanziari tra Regioni e Comuni (art. 12).
Da un sistema di trasferimenti dalle prime ai secondi, si passerà, a partire dal 2013, ad un nuovo
sistema, che potrà essere articolato sulla base di due modelli alternativi:
1) compartecipazione dei Comuni ai tributi regionali (principalmente all’addizionale
IRPEF);
2) devoluzione di alcuni tributi regionali ai Comuni.
La scelta tra i due modelli dovrà essere operata da ciascuna Regione d’intesa con i Comuni
del proprio territorio, previo accordo da concludere in seno al Consiglio delle autonomie locali di
cui all’art. 123 Cost. Ciascuna Regione dovrà anche istituire un fondo sperimentale di riequilibrio,
cui sarà destinato almeno il 30% delle risorse da ripartire tra i comuni.
Il sistema delineato dagli artt. 16 e ss. è basato su una compartecipazione all’IRPEF e su vari
tributi connessi al trasporto su gomma, tra cui la tassa automobilistica, una compartecipazione alla
quale dovrebbe sostituire i contributi regionali alle Province; la tassa automobilistica dovrebbe
anche finanziare il fondo regionale di perequazione tra le province; un altro fondo perequativo è
istituito a livello statale e sarà alimentato dalla compartecipazione all’IRPEF.
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