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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
Paolo Campanelli
Introduzione allo studio delle fasi evolutive di una
Ecclesia di Cristiani Primitivi nell’Ager Vesuvianus
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RELAZIONE
Le possibilità di ampliare le conoscenze delle fasi evolutive del
Cristianesimo Primitivo in Occidente, sinora sono risultate piuttosto li-
mitate a causa della incerta documentazione disponibile su questo spe-
cifico argomento. I riferimenti storici che provengono dal Nuovo Te-
stamento e da notizie fornite da scrittori coevi risultano, in genere, poco
attendibili a causa della prudenza e della grande riservatezza con cui
Primi Cristiani si riunivano per condividere l’amore fraterno e per svol-
gere riti di una religione che la legislazione romana giudicava Supersti-
tio Illicita.
Il riconoscimento del Codex Vindobonensis 324 come “Manifesto
del Missionarismo Apostolico”, redatto dalla Curia Vaticana in forma
criptata all’inizio del III secolo, ci consente, però,di colmare parte degli
spazi vuoti presenti nel mosaico che illustra i primi passi del nuovo sen-
timento religioso in Occidente. Sono preziosi i tasselli relativi alla
grande missione di evangelizzazione compiuta da Paolo di Tarso, opera
pressoché sconosciuta.
L’Apostolo delle Genti compare in maniera anomala nello scena-
rio religioso creato dalla predicazione di Gesù nella Palestina. Come
noto, dopo l’ascensione al cielo di Gesù i suoi discepoli iniziarono, in
ogni Provincia dell’Impero, a diffondere gli insegnamenti appresi vi-
vendo continuamente a contatto con il Messia.
”Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli “(Mt 28,19)” e di me
sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai con-
fini della Terra” (At 1,8)
Paolo non faceva parte di questi testimoni diretti della “Missione”
di Cristo; a lui, tuttavia, gli esegeti biblici attribuiscono, concordemen-
te, l’istituzionalizzazione del “Credo Cristiano” e la parte più significa-
tiva dell’Evangelizzazione dell’ecumene. A tale proposito c’è da dire,
però, che gli Acta Apostolorum e gli scarsi documenti pervenutici ci
consentono di delineare solo in parte la sua figura di missionario; inu-
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tile cercarvi, infatti, dati certi per storicizzare l’intero arco di tempo
compreso fra l’ arrivo di Paolo a Roma e il suo martirio.
Al contrario, il processo di correlazione della silloge urbanistica
del Cristianesimo Primitivo, contenuta nel documento viennese, con le
notizie letterarie disponibili, ci consente di seguirne le tracce, a partire
dal periodo in cui era Cesarea Marittima, sotto custodia militare, fino
all’ultima fase di attività evangelica nelle Galliae.
La decrittazione del Codex V.324, di fatto, ci offre subito una
preziosa informazione circa i suoi movimenti in Occidente: la rimo-
zione della corografia della Hispania da parte dell’esperto cartografo
della mappa viennese, fa escludere, infatti, che l’ Apostolo avesse e-
vangelizzato questa provincia dell’Impero.
In sintesi, dopo aver deciso di farsi precedere in questa regione da
due suoi discepoli Paolo, in seguito, non ebbe più la possibilità di recar-
visi personalmente, come annunciato nella Epistula ad Romanos.
Ciò fa supporre che, scrivendo nel 97 ai fedeli di Corinto che
“Paolo aveva predicato fino al limite dell’Occidente”, Papa Clemente
fosse convinto dell’avvenuto compimento da parte l’Apostolo della
missione che il Signore, eleggendolo suo Vas Electionis, gli aveva affi-
dato: evangelizzare l’ecumene portando la Parola di Cristo fino in Bri-
tannia. E’ qui che Roma aveva posto il limes occidentale dell’Impero.
La Tabula Peutingeriana, pur illustrando lo sterminato territorio
compreso fra la costa atlantica dell’Europa e il confine con la Sera
Maior (Cina), in pratica contiene soltanto frange periferiche della Hi-
spania e della Britannia. Poiché l’elaborazione di questo documento fu
curata da Pontefici che, all’inizio del III secolo, ritennero opportuno tra-
sferire il corpo di preziose testimonianze relative al missionarismo apo-
stolico, in un’unica mappa che documentasse l’avvenuta evangelizza-
zione dell’ecumene e la sua evoluzione, è facile immaginare la loro
soddisfazione nel vedere esaudita anche l’assurda richiesta di potervi
osservare l’India rappresentata in continuità con le terre dell’Impero
Romano.
Questa regione era del tutto sconosciuta (soltanto nel XV secolo
fu abbozzata dai cartografi), ma la sua corografia, anche se sommaria,
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era indispensabile per inserire nel quadro dell’evangelizzazione aposto-
lica il sito presso il quale incerte notizie ponevano l’ istituzione, non
meglio specificata, creata dall’apostolo Tommaso. Si trattava di Muzi-
ris, famoso emporio dell’antichità che Tolomeo pone in corrispondenza
del pseudostomus del fiume Kaveri, distante più di tremila miglia dalla
Palestina. Non siamo lontani dall’attuale Madras, città in cui sopravvi-
ve una Chiesa Cristiana dalle origini non così misteriose come si è rite-
nuto sinora.
Dunque per illustrare, sia pure in forma molto vaga, la remota re-
gione in cui aveva predicato Tommaso e il sorprendente percorso per
arrivarci, lo stesso indicato negli Acta Tomae considerati apocrifi, il no-
stro cartografo fu costretto a compilare il XII segmento aggiornando la
cartografia ellenistica, (verosimilmente consultata nella Biblioteca di
Alessandria) dei territori posti ben oltre il limes tracciato da Roma.
La ricerca consentì al documento di assumere la configurazione
voluta dalla committenza; in esso, tuttavia, invano si sarebbero cercate
le corographie di Hispania e di Britannia, due provinciae dell’Impero
accuratamente rilevate nelle quali, peraltro, all’inizio del III secolo, il
Cristianesimo registrava una sensibile diffusione.
Nonostante l’eccezionale abilità dimostrata dal nostro geografo
nel rendere leggibile una mappa in cui anche le più elementari cono-
scenze geografiche dell’antichità risultavano distorte dall’astruso for-
mato, la mancata rappresentazione delle due regioni non è stata ritenuta
dagli studiosi una scelta critica da parte del cartografo. L’omissione ha
trovato giustificazioni di ogni genere, ma non quella, per noi evidente,
che sintetizziamo in questi termini: un Pontefice sconosciuto aveva sta-
bilito, con molto rammarico, che si dovessero stralciare quelle due
Provinciae perché non raggiunte dalla predicazione di un Apostolo.
La constatazione che, soltanto nell’VI secolo, la Curia Ecclesia-
stica, attraverso l’istituzione della prestigiosa cattedra di Cantuaria
(Canterbury) riuscisse a recuperare il debole respiro cristiano dell’Isola
di Albione, conferma ciò che la decodificazione della Tabula Peutinge-
riana indica chiaramente: Paolo andò via da Roma con l’intento di re-
carsi in Britannia ma, per motivi sconosciuti, si fermò nella Gallia Bel-
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gica a convertire le popolazioni di ceppo celtico insediate nella regione
che diventerà culla del Movimento Cistercense. Insomma, per quanto è
stato possibile accertare, non sembra si fosse spinto oltre Durocortu-
rum (Reims).
Comunque sia, proprio in questa città sita sul percorso che Paolo,
superate le Alpi in Summo Pennino, avrebbe dovuto compiere per rag-
giungere i porti sul Canale della Manica, la mappa viennese pone la isti-
tuzione apostolica più “occidentale”, quella destinata a diventare faro
del Cristianesimo in Francia.
Nel IX secolo un Pontefice fece stilare la cosiddetta via Francige-
na, un itinerario che, in verità, aggiornava il percorso, a suo tempo pre-
disposto dalla Curia Vaticana, che Paolo avrebbe dovuto seguire per
raggiungere l’Isola. Immaginiamo quali fossero i motivi che indussero
la Chiesa a redigere un documento del genere: nella rielaborazione
dell’abate Sigerico il tracciato è articolato come un cordone ombelicale
che, annodando siti connotati dalla predicazione paolina, sanciva
l’indissolubilità del legame spirituale e dottrinale che esisteva fra la
cattedra di Roma e quella di Cantuaria, sebbene quest’ultima non fosse
di matrice apostolica.
Non è difficile cogliere in tutto ciò la grande preoccupazione della
Curia Vaticana per le conseguenze che, all’alba della Renovatio Impe-
rii, la mancata evangelizzazione apostolica di quella Terra avrebbe avu-
to sull’affermazione dell’Unità della Chiesa di Roma.
La Epistula ad Romanos e le Domus Ecclesiae disegnate nella
Regio I, Latium et Campania, del Codex V.324, confermano l’ipotesi
secondo la quale, prima dell’arrivo di Paolo in “Occidente”, il Cristia-
nesimo Primitivo avesse i suoi punti di forza nelle comunità che si riu-
nivano nelle ville suburbane dell’aristocrazia romana, in particolare in
quelle di Agrippina, moglie dell’imperatore Claudio e madre di Nerone.
L’analisi urbanistica dell’articolazione di quest’ultime nel territorio, ci
consente di correlare, a questa esponente della Gens Claudia, una serie
di testimonianze, sinora d’incerta interpretazione, provenienti da fonti
di varia natura. I nuovi dati confermano l’adesione di Agrippina al Mo-
vimento Cristiano; nello stesso tempo ci offrono la chiave di lettura di
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una figura femminile che, in antitesi all’immagine decisamente negati-
va fornita dagli storici coevi, emerge per la significativa attività a favore
della nuova religione e per varie iniziative, attuate con coraggio e gran-
de abilità diplomatica, che avevano lo scopo di trasferire Paolo di Tarso
dalla Judea a Roma., nel più breve tempo possibile.
La sua vera professione di fede non ci sorprende. E’ noto che
nell’ambito della Corte Imperiale, da lei dominata, i seguaci della nuova
religione non mancassero e che, fra le ancelle destinate alle cure di suo
figlio ci fossero tre Cristiane fra cui Atte, ricordata dal teologo Criso-
stomo come la prima donna romana ad abbracciare la nuova fede.
Sulla base dei nuovi dati, l’azione dell’Augusta a favore della
nuova religione appare talmente aperta e spregiudicata(tre sue residenze
accoglievano comunità cristiane), da rendere plausibile l’ipotesi che la
sua morte violenta fosse l’esito di una congiura ordita da personaggi
contrari a qualsiasi sovvertimento dell’ordinamento religioso pagano.
In ogni caso, fra i mandanti dell’assassinio , certamente, non c’era
suo figlio Nerone.
Attraverso il passo della Bibbia che descrive i terribili momenti
durante i quali le duecentosettantasei persone, imbarcatesi a Cesarea
Marittima sulla nave diretta a Puteoli, temettero il naufragio nella Sirte,
gli Acta ci fanno sapere che la tragedia fu evitata da un Angelo che, ri-
volgendosi a Paolo disse: “Non temere,Paolo tu devi comparire davanti a
Cesare, ed ecco, Dio ti ha voluto conservarti tutti i tuoi compagni di navigazio-
ne, ….ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato detto” ( Acta 27-24 )
Paolo si era imbarcato con Luca Evangelista, suo discepolo, con
il macedone Thiticus e con un certo Aristarcus, ma la profezia
dell’Angelo, se correlata agli eventi successivi fa ritenere che gran parte
dei numerosi passeggeri saliti su quella inconsueta nave (forse una fru-
mentaria a vela opportunamente modificata), fossero cristiani che ave-
vano scelto di seguire l’Apostolo delle Genti in Occidente per poi unirsi
ai “fratelli” dei cenobi che Agrippina aveva istituito in Campania e a
Roma.(tav n° 1) In tali comunità essi avrebbero potuto avviare
un’esistenza consona alle proprie aspettative spirituali senza problemi
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di sussistenza e, soprattutto, senza timore di essere indagati dalla magi-
stratura. Di fatto, questa dama dell’aristocrazia romana, già autorevole
per censo, dopo essere stata investita del titolo di Augusta, quasi una di-
vinità, aveva visto accrescere i suoi poteri fino al punto di poter control-
lare agevolmente gli umori di una Corte piuttosto irrequieta. Il suo in-
tento appare perfettamente in linea con la predizione dell’Angelo: acco-
gliere l’Apostolo delle Genti sul molo di Puteoli e accompagnarlo per-
sonalmente a Roma affinché potesse incontrarsi con suo figlio Nerone.
Evidentemente Agrippina era convinta che Paolo, con il suo carisma,
non avrebbe avuto difficoltà ad ottenerne la conversione, primo passo
per giungere, quantomeno, alla emissione del Decreto di Tolleranza per
la Religione Cristiana. E’ lecito supporre che tale documento fosse già
allo studio di Seneca, filosofo stoico di grande statura intellettuale e
morale scelto, non a caso, dall’Augusta come istitutore di suo figlio.
Comunque sia, non ci viene in mente nessun’altra persona al mondo che
avrebbe potuto “portare Paolo di fronte a Cesare”, evento che, invece,
l’”Angelo del naufragio” considerava certo. L’interpretazione del passo
della Bibbia ora appare più realistica: il giudizio, sicuramente favorevo-
le, del fedele Prefetto del Pretorio Afranio Burro, competente nel pro-
blema di Diritto posto da Paolo, non sarebbe servito allo scopo che A-
grippina si prefiggeva di raggiungere nel più breve tempo possibile.
In verità, come vedremo, la profezia si rivelò precisa solo in parte:
Nerone ebbe modo di leggere e di apprezzare scritti di Paolo, ma non si
incontrò mai con lui; le vicende,infatti, a causa di un infausto evento
imboccarono subito una strada diversa da quella tracciata dall’ Augusta.
Sbarcati a Puteoli, dopo la travagliata navigazione narrata negli
Acta, Paolo e i suoi seguaci furono informati dai “fratelli” delle comuni-
tà flegree e volturnensi, subito accorsi sul molo, che l’Augusta era mor-
ta poco tempo prima.
Il cordoglio si trasformò in costernazione.
Non trascorse molto tempo prima che tutti si rendessero conto
che non c’era più nessuno in grado di garantire la loro sicurezza e che,
se arrestati, sarebbero incorsi nell’ inquisizione prevista dalla legisla-
zione romana per i seguaci di superstitiones illicitae. Infatti, la legge
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stabiliva che le persone portate in giudizio per questo reato, fossero
condannate a morte se si ostinavano a rinnegare la propria fede. Pos-
siamo immaginare lo stato d’animo di Paolo alla ricerca di una soluzio-
ne che evitasse una strage: come lui, nessuno dei “fratelli” al seguito,
avrebbe abiurato e, tantomeno, avrebbe fatto alle divinità pagane i sacri-
fici che i magistrati imponevano ai lapsi.
Insomma, la situazione creatasi sul molo di Puteoli era drammati-
ca e la scelta di proseguire per Roma risultava molto rischiosa e, forse,
anche inutile.
Le notizie che ci consentono di seguire l’epico esodo dalla Pale-
stina di questa insospettabile cellula protocristiana, ovviamente non
provengono da documenti letterari, ma dall’analisi delle anomali fasi
evolutive di un organismo architettonico che, nel programma di Agrip-
pina, certamente non rientrava neanche come sosta intermedia: la villa
di Poppea Sabina posta lungo la strada litoranea, tria milia prima di
Pompei, la stessa recentemente inclusa nel patrimonio dell’ UNESCO
come Villa A di Oplontis.(tav n°1)
Tavola n. 1
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Per ricostruire gli eventi che indussero la Curia Vaticana a inseri-
re tale residenza nell’elenco delle trenta Domus Ecclesiae di matrice
apostolica, è necessario seguire i movimenti di Beryllos, personaggio
molto più addentro a questa vicenda di quanto lascino immaginare le
incerte notizie sul suo conto. Secondo Giuseppe Flavio (A.G.-XX, 181)
si trattava di un Funzionario di Stato designato da Nerone al controllo
erariale della Provincia Judea; tutto lascia credere, invece, che fosse
uno degli uomini di fiducia di Agrippina cui era stato affidato il compi-
to di portare a buon fine l’operazione di trasferimento di Paolo di Tarso
in Occidente. Leggendo gli Acta è lecito supporre che un incarico ana-
logo fosse svolto da Julius, centurione della Coorte Augusta che trattava
Paolo con benevolenza. Costui, sebbene fosse un ufficiale inferiore, a
quanto pare poteva prendere decisioni anche in merito alla rotta, incon-
gruenza che si spiega soltanto se, sull’equipaggio di quella nave, aleg-
giasse un ordine tassativo proveniente da Roma e ribadito ”molto più in
alto”: la nave doveva terminare il viaggio a Puteoli con tutti i passeg-
geri sani e salvi.
Analizzando quanto accadeva nel porto di Cesarea Marittima nei
primi mesi del 60, siamo indotti a supporre che anche Julius, come Ber-
yillos, avesse l’incarico di sovrintendere alla salvezza delle duecentoset-
tantasei persone stipate su quella nave destinata a cambiare le sorti del
Mondo. Quest’ultimo, una volta messo piede sul molo della città cam-
pana, distante soltanto pochi passi dai cenobi dell’Augusta nell’area fle-
grea, si rese subito conto della grave situazione verificatasi per la morte
della nobildonna, ma non si perse d’animo.
Siamo nell’estate dello stesso anno.
L’analisi degli avvenimenti successivi fa supporre che egli avesse
risolto l’angoscioso problema di Paolo sfruttando un’ informazione ri-
servata riguardante Poppea Sabina: la venusta dama dell’aristocrazia
romana, dopo aver acquistato una villa nell’ager vesuvianus per stare
più vicina ai parenti che vivevano a Pompei e per curare direttamente i
suoi interessi economici in Campania, aveva iniziato a frequentare per-
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sonaggi dai quali avrebbe fatto meglio a prendere le distanze. Sotto il
suo patrocinio, infatti, nella fastosa residenza si raccoglievano gli adepti
di una setta neopitagorica, verosimilmente la stessa espulsa da Roma
per aver assunto posizioni politiche non gradite a Corte.
Di fatto, dopo l’emissione del senatoconsulto con cui, nel 16 d.C.,
Tiberio costrinse magi et mathematici, ad allontanarsi dalla Capitale, un
circolo analogo, trasferitosi a Pompei, si stabilì in ambienti dell’insula
n° 1 (come dimostra un mosaico tuttora sul posto). Perdurando l’ostilità
anche al tempo di Nerone, è probabile che costoro, assicuratisi il livello
di riservatezza richiesto dalle circostanze e da ponderata prudenza, gra-
zie alla condiscendenza del primo proprietario della villa “oplontina”,
forse proprio il Procurator L. Tertius del vicino Horreum e, comunque,
una persona assai colta e raffinata, avessero preso a riunirsi nella “stan-
za con sedili”, un ambiente di servizio della villa adattato a sala riunioni
mediante la costruzione di sedili in muratura addossati ai muri.
L’analisi del manufatto, fortunatamente giunto sino a noi nella singolare
configurazione originale, fa ritenere che essi vi fossero rimasti a disser-
tare di filosofia e a coprire muri e pavimenti con metafore e simboli oc-
culti cari al loro sodalizio, anche quando la villa, acquistata da Poppea,
subì una serie di interventi edilizi che ne alterarono profondamente la
tipologia edilizia.
La splendida residenza suburbana (nell’estate del 60 non ancora
sottoposta alla profonda metamorfosi tipologica visibile oggi), lambita
dal mare e immersa nel verde delle pendici vesuviane, era in grado di
accogliere per qualche giorno, con la necessaria discrezione, anche i
misteriosi personaggi orientali che, improvvisamente, avevano bussato
alla porta chiedendo ospitalità.
Dunque, questa donna colta e sensibile alle istanze sociali non esi-
tò ad accogliere nella sua casa i seguaci di una setta “eversiva”, incu-
rante del fatto che già vi si aggiravano parecchi personaggi malvisti a
Corte.
La mossa di Beryllos per molti versi si rivelò risolutiva. Egli, nel
mettere momentaneamente al sicuro i suoi amici, favorì un evento di
straordinaria importanza per la conoscenza dei primi passi del Cristia-
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nesimo Occidentale: l’incontro di Paolo di Tarso con gli adepti, circa
cinquanta, del circolo neopitagorico di cui Poppea stessa faceva parte.
Da tempo, l’eco dell’eccezionale dottrina e delle doti oratorie
dall’Apostolo era giunto negli ambienti culturali occidentali; i filosofi
“oplontini”, pertanto, furono ben lieti di ascoltare, dalla sua viva voce, i
tratti più significativi della nuova tesi teologica ma, soprattutto, i parti-
colari della designazione a Vas Electionis, eseguita da Dio mediante
“folgorazione”, rito iniziatico sconosciuto e molto diverso da quello
contemplato dal filosofo di Samo per accedere alle Verità Supreme.
La riunione, più affollata e avvincente del solito per la presenza di
eminenti esponenti della cultura cristiana orientale, si svolse in un cli-
ma d’intensa partecipazione. La serrata omelia pronunciata da Paolo,
sicuramente la più impegnativa della sua missione apostolica, non ci è
pervenuta; sappiamo, però, che la sua tesi fu accolta con entusiasmo dai
neopitagorici, anzi molti di essi, come già accaduto in altre occasioni, si
convertirono e, dato che la villa disponeva di acqua corrente, furono
battezzati sul posto.
Fra costoro c’era Poppea Sabina.
Presumiamo che le parole di Paolo avessero destato nella giovane
la medesima grazia che, due anni prima aveva toccato la principessa i-
dumenea Drusilla, moglie di Felix governatore della Giudea. Questa
donna, una delle più belle e affascinanti dell’Impero, era rimasta scon-
volta dai discorsi in tema di Giustizia, Continenza e Giudizio Futuro,
pronunciati da Paolo in occasione dell’incontro con notabili della Judea
svoltosi, nel 58, a Cesarea Marittima.
In questa città l’Apostolo attendeva di essere condotto a Roma per
“essere giudicato da Cesare;” ora sappiamo che, per imbarcarsi, dovette
attendere che si superassero le enormi difficoltà logistiche presenti
nell’allestimento di una lunga traversata per mare che doveva condurre
quasi sull’uscio delle domus flegree di Agrippina, non solo Paolo e tre
suoi allievi, ma anche il consistente gruppo di cristiani orientali che a-
vevano scelto di seguirlo
L’immagine della villa vesuviana di Poppea trasformatasi, da un
giorno all’altro, in uno stupefacente crogiolo destinato a fondere conce-
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zioni religiose diverse, ma non antitetiche, potrebbe apparire fantasiosa
se non ci fosse pervenuta la rappresentazione iconografica destinata ad
eternare il clamoroso episodio. L’opera fu elaborata nella tradizionale
forma ermetica cara ai filosofi che avevano partecipato all’assise, ma
l’uso di stilemi figurativi propri della cultura pitagorica, non ci impedi-
sce di rintracciare, in quest’ opera del II Stile Pompeiano, la sorpren-
dente chiave di lettura cristiana.
In precedenza, questo circolo culturale aveva celebrato il mito del
Maestro greco, ornando un’intera parete della stanza n° 14 della villa
con l’affresco che illustrava il rito che, nel famoso tempio di Delfi nella
Focide, consentiva agli iniziati di conoscere le profezie pronunciate da
Apollo per bocca di Pitia. A tale composizione fu apportata una piccola
modifica consistente nel “saldare” un vaso al cratere di bronzo su cui si
sedeva la sacerdotessa. Pur non risultando invasivo, l’intervento cancel-
lò, di fatto, il messaggio insito nella sequenza iniziatica pagana consen-
tendo, dopo duemila anni, di prendere atto della avvenuta conversione
alla fede cristiana di Poppea e dei colti personaggi del suo circolo.(tav
n° 2 )
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Tavola n.° 2
In sintesi, sovrapponendo il Vaso al sedile della mitica Sibilla del-
fica (in documenti iconografici del IV secolo a.C., Pitia è seduta sul ca-
ratteristico catino sorretto dal tripode dai piedi leonini) gli oplontini ri-
conoscevano nell’oggetto il sacro contenitore da cui, secondo
l’interpretazione corrente degli esegeti biblici, Paolo trasse la sapienza
necessaria per evangelizzare l’ecumene.
Con tale modifica, uno dei primi messaggi della dottrina cristiana
fu espresso nella forma occulta cara ai seguaci di Pitagora: da quel mo-
mento in poi la Verità sarebbe scaturita dalla bocca di Paolo, non da
quella di Pitia, logoteta di Apollo, divinità titolare del più prestigioso
santuario dell’antichità.
L’ipotesi che il vaso dipinto sulla sedia-altare del tripode delfico
traducesse, iconograficamente, la frase con cui, sulla strada di Dama-
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sco, il Signore riconobbe in Paolo il suo Vas Electionis, trova conferma
nel testo del Proemium scritto da Tommaso d’Aquino a commento
dell’Epistola B. Pauli ad Romanos. Secondo il grande teologo duecen-
tesco, Dio nel comparare gli uomini a Vasi di diversa qualità e fattura,
attribuì a Paolo di Tarso l’icona di un vaso assai pregiato: quasi Vas
auri solidum ornatum omni lapide pretioso, proprio come quello dipin-
to nell’affresco. Difficile stabilire in che modo la rappresentazione, in
chiave ermetica, di uno dei momenti più significativi della vicenda pao-
lina fosse giunta sino al Medioevo. L’affresco rimase visibile soltanto
per pochissimo tempo prima di scomparire sotto le ceneri del Vesuvio
per duemila anni. Probabilmente a Roma qualcuno aveva tratto dalla
complessa figurazione una sintesi iconografica canonica, la stessa che
riconosciamo come matrice di una particolare produzione artistica del
Tardoromano e di Età longobarda.
Inutile aggiungere che i membri dell’ex circolo neopitagorico, ri-
conoscendo degna di fede la celebre manifestazione soprannaturale con
cui Dio, convertito Paolo alla Verità Suprema, lo aveva designato suo
logoteta, non avevano avuto niente da eccepire in merito allo spinoso
argomento della Risurrezione di Cristo.
L’affresco, di fatto, è la rappresentazione filologicamente corretta
dell’atto con cui Dio, in pratica, mise Paolo nelle condizioni di poter
superare gli ostacoli presenti nell’opera di evangelizzazione
dell’“Occidente”,in particolare dello sterminato territorio abitato da et-
nie di ceppo celtico a lui culturalmente estranee.
Molti secoli dopo, come noto, questo stesso evento, enormemente
più pregnante ed incisivo della semplice affiliazione dell’ebreo di Tarso
alla nuova religione, fu rappresentato come “Visione di S. Paolo”, ov-
vero “Conversione di Paolo”, titoli che esemplificano una manifesta-
zione di Dio il cui vero significato costituisce un insondabile mistero.
Del resto neanche geni della statura di Signorelli, Caravaggio, Murillo
etc., sarebbero stati in grado di rappresentare, in qualche modo, la frase
Vas Electionis est mihi iste (At 9,15)con cui il Signore, rivolgendosi ai
presenti, indicò Paolo caduto a terra, quasi accecato da un intenso ba-
gliore.
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Comunque sia, soltanto ventiquattro anni dopo la famosa “folgo-
razione”, un circolo di neopitagorici giudicò l’episodio talmente impor-
tante da meritare una rappresentazione in chiave ermetica affinché
l’eccezionale iniziazione alla Verità Suprema, riservata a Paolo di Tar-
so, potesse superare la dimensione temporale.
Secondo la tradizione, l’Apostolo si soffermò in Campania sol-
tanto una settimana; troppo poco, a nostro avviso, per consacrare i mi-
nistri di culto, primi inter pares, delle due domus ecclesiae flegree di
Agrippina e della comunità oplontina.
Qui certamente si soffermò per diversi giorni.
Riteniamo, infatti, che non gli fosse sfuggita una circostanza che
poteva accelerare i tempi della sua missione: i pitagorici convertiti, una
volta superato il disagio culturale insito nell’adesione ad una religione
monoteista,forse avrebbero potuto aiutarlo a compilare il testo della Di-
dachè, indifferibile manuale catechistico e morale del Cristianesimo,
senza trascurare l’invito di Paolo ad avviare, nei locali della villa, una
Scuola di Filosofia (da lui stesso diretta), destinata ad anticipare il Di-
daskaleion che Origine, nel II secolo, avrebbe creato ad Alexandria.
Questa città forse corrisponde ad Alexandria Catisson (Alessandretta),
presso Antiochia e non alla assai più nota città presso il delta del Nilo. Il
sito egiziano, nel Codex V.324, è corredato da uno strano arcipelago di
templi pagani sul modello dell’Iseum e del Serapeum, che non sembra
concepito per mistificare la presenza di istituzioni cristiane.
Non sappiamo se la “Scuola Oplontina” avesse avuto la possibili-
tà di consolidarsi nello spazio temporale di soli cinque anni. Nel ma-
gazzino dell’Ufficio Scavi della Soprintendenza di Oplontis, per contro,
sono in evidenza sculture in marmo di squisita fattura,verosimilmente
opera di un esclusivo atelier greco istituito sul posto, che testimoniano,
inequivocabilmente, il tentativo, non riuscito, di stabilire i canoni della
“Creazione Cristiana” del Mondo da contrapporre a quella ebraica con-
tenuta nell’Antico Testamento. E’ stato possibile accertare, infatti, che
la Curia Ecclesiastica, ritenendo inaccettabile la contaminazione subita
dal modello biblico ad opera di figurazioni pagane provenienti da cultu-
re assiro-babilonesi, avesse dato incarico agli oplontini di realizzare i
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componenti di un nuovo modello di Creazione, compatibile con la pu-
rezza del Credo cristiano, la stessa del telo, tenuto per i quattro capi,
della “Visione di Pietro”. (cfr. Campanelli: Visita ai Quattro Viventi – Vesuvioweb 2010)
Ma torniamo a Pozzuoli
Nei piani di Agrippina Paolo doveva raggiungere Roma seguendo
il tratto di strada che, da Baia, passando per Atella, conduceva al ponte
Casilinum sul Volturno. Da questo punto in poi avrebbe potuto prose-
guire direttamente per la Capitale, percorrendo la via Appia.
La tempestiva variazione di programma, però, lo aveva condotto
dalla parte opposta, nel Pompeiano, importante comprensorio urbanisti-
co nel quale si stavano realizzando opere pubbliche, assai avanzate e ra-
re, progettate da Augusto.
La sosta nella villa di Poppea gli offrì l’opportunità di recarsi
presso la vicina domus ecclesia segnalata dal Codex V. 324 nei pressi
del riferimento topografico ad Teglanum sulla via Popilia, cinque mi-
glia a sud di Nola.
Come conseguenza della visita, la comunità nolana ebbe il privi-
legio di vedere consacrare vescovo, con l’imposizione delle mani di Pa-
olo, il sacerdote Felix, circostanza che, certamente, giustifica la loro
grande venerazione per questo Santo. Non è da escludere che proprio
Felix, preso atto delle gravi destrutturazioni causate dall’eruzione del
Vesuvio, già nel 79 avesse deciso di assicurare la continuità alla sua
nobilissima cattedra, trasferendola nel Fundus Cimitilis (messo a dispo-
sizione da un “fratello”del posto), dove rimase in deroga agli indirizzi
di politica diocesana contenuti nel Giudicato emesso, nel 347, in occa-
sione del Concilio di Sardica.
Proseguendo lungo la via Popilia, Paolo, in breve tempo, raggiun-
se Capua. Qui, nei pressi dell’antica strutturazione cultuale pagana di
Jovis Tifatinus, non lontano da Casilinum, era sorta l’altra comunità cri-
stiana di Syllas. La genesi di queste due istituzioni e di quella indicata
presso il riferimento ad Nonum sulla via Appia è da ricercare, verosi-
milmente, nell’attività evangelizzatrice svolta da Pietro, nell’Ager
Campanus, circa diciassette anni prima. E’ possibile che proprio la sua
opera di conversione delle popolazioni locali mediante semplice artico-
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lazione verbale della fede, avesse favorito il sorgere di cellule cristiane,
non organizzate, la cui localizzazione, però, era ben nota a Paolo.
Comunque sia, le istituzioni citate furono gli impianti matrice dei
gruppi vescovili tardoromani di Cimitile, di S. Angelo in Formis e di
Sinuessa.
A proposito di questo argomento, sembra opportuno ricordare
che nella lettera che Paolo, forse stando a Corinto, scrisse ai Romani nel
58, compaiono i nomi di ventisei “fratelli” elogiati per la loro esem-
plare professione di fede. A tale elenco l’Apostolo aggiunge i nomi di
cinque personaggi nelle cui domus, evidentemente, si svolgevano ce-
rimonie collettive durante le quali si officiavano i primi riti di liturgia
cristiana. Presumiamo che fra tali strutture, verosimilmente frutto dell’
attività evangelica svolta da Pietro a Roma, ci fosse quella che, in data
imprecisata, accolse Salome, figura biblica estremamente suggestiva e
per noi di sicuro interesse, che compare sulla scena della Crocifissione
di Cristo intenta, con altre donne, ad alleviare il dolore della Madonna.
Nella descrizione del drammatico evento, viene indicata in tre
modi diversi: Per Matteo (24,55-56) è la“madre dei figli di Zebedeo,
per Marco (15,40), invece, è semplicemente “Salome”. Secondo Gio-
vanni Evangelista (19,15), infine, quel giorno sotto la Croce c’erano:
“sua Madre, la Sorella di sua Madre, Maria di Cleofe e Maria di Ma-
gdala”. Dunque Maria, madre di Gesù, e Salome erano sicuramente
cugine.
Questo episodio di grande intensità emotiva, di fatto, ha connotato
la vita di questa Cristiana. In seguito, la sua lunga esistenza inizia a
scorrere avvolta in un velo di mistero che ci impedisce di accertare i
motivi per cui risulta venerata in molti paesi, non solo italiani.
Secondo alcuni studiosi, da Efeso dove si era recata con suo figlio
Giovanni, Salome era giunta a Stabiae utilizzando una nave della X
Legio Fretensis, da tempo stanziata in Judea.
La tradizione vuole che dalle file di questo corpo militare prove-
nisse il reparto cui era stato affidato il compito di presidiare Gerusa-
lemme durante il martirio di Cristo. La crudezza dell’’episodio, a quan-
to pare, aveva sconvolto quei rudi guerrieri fino al punto da indurre
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
alcuni di essi ad avvicinarsi alla nuova religione e a prendere parte atti-
va alla diffusione del nuovo sentimento religioso.
L’ipotesi secondo la quale si debba attribuire alla attività di sol-
dati della X Legio Fretensis il merito del trasferimento in Occidente del
primo nucleo di cristiani orientali, insieme ad importanti testimonianze
della crocifissione di Cristo, sembra trovare conferma nella segnalazio-
ne, da parte della mappa viennese, di una domus ecclesia in un sito po-
sto nei dintorni di Scylla, XVII miglia a nord di Rhegium.
La presenza di questa comunità può spiegare il proliferare di an-
tiche tradizioni cristiane nel mitico scenario del Fretum Siculum.
Siamo, infatti, nei pressi,di una delle piazzeforti marittime in cui erano
acquartierati i famosi soldati- marinai della X Legio, ovvero il corpo di
marines ante litteram, che Roma aveva dislocato nel centro del Medi-
terraneo affinché potessero intervenire rapidamente in qualsiasi settore
dell’Impero.
Sembra opportuno ricordare che, nell’anno 180, dodici membri di
questa comunità del Bruttium (non della Numidia ) furono giustiziati
per aver rifiutato di abiurare la loro fede. Durante il processo confessa-
rono di conservare “ libri e scritti di Paolo di Tarso”, evidentemente gli
stessi donati dall’Apostolo nell’estate del 60 quando, lasciata finalmen-
te Malta, ebbe l’opportunità di sostare nell’area del Fretum Siculum
prima di proseguire per Puteoli.
Ildefonso di Toledo ci fa sapere che le reliquie di Salome, già nel
VII secolo erano venerate a Veroli, città di origine di Gratilla, nobil-
donna cristiana della Gens Pomponia, che, secondo alcuni studiosi, do-
po averla accolta nella sua domus di Roma, intorno al 70 ebbe cura di
trasferirne le reliquie nella stessa città laziale in cui ora sono custodite.
In occasione di una recente ricognizione dei suoi resti, nell’ urna
è stata trovata una carthula con la scritta MARIA JACOBI EST ed altre
scritte che li riconoscono come quelli della Madre di Giovanni e di
Giacomo, gli Apostoli che Gesù, chissà perché, chiamava “Figli del
Tuono”( Boanerges).
Fra le spoglie è stata rinvenuta una moneta, coniata a Gerusa-
lemme, con impressa una croce patente di tipo “templare” che ci ricor-
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
da le inquietanti elaborazioni impresse su due improbabili lucerne sen-
za infundibulo, verosimilmente eulogie di una setta cristiana, rinvenute
negli scavi della villa di C. Euthycus a Boscoreale.
Sembra opportuno rilevare che siamo a pochi passi dalla domus di
Poppea Sabina in cui , per cinque anni, visse Drusilla, conterranea di
Salomè.
Purtroppo le incerte notizie circa i movimenti di questa eccezio-
nale protagonista della nostra storia, non ci consentono di stabilire se,
sbarcata a Stabiae, prima di proseguire per Roma, Salome si fosse sof-
fermata per qualche tempo nell’Ager Vesuvianus, terra in qualche mo-
do connotata dalla sua presenza.
La partenza di Paolo da Oplontis fu salutata da tutti con grande
commozione, in particolar modo da Beryllos, l’uomo che aveva risolto
brillantemente i problemi di sicurezza creati dalla morte di Agrippina. Il
suo compito era finito. Egli, così come altri personaggi della Judea, im-
barcatisi a Cesarea Marittima, decise di rimanere sul posto per parteci-
pare alle sezioni liturgiche sperimentali presiedute da uno sconosciuto
sacerdote consacrato da Paolo. Le sue benemerenze erano note
all’Apostolo, al momento della partenza, tuttavia, ritenne opportuno ri-
cordargliele incidendo su un muro la parola caratteristica del Memento
dei cristiani orientali: mnesthèi: RICORDATI. Nel porre la firma, Ber-
yllos volle dare maggiore enfasi alla sua invocazione: tagliò il rho con
una barretta orizzontale, trasformando la lettera greca nel monogramma
di Cristo.(tav n° 3 )
Tra coloro che lo avevano seguito in questa scelta, riteniamo che
ci fosse proprio Drusilla, uno dei personaggi più affascinanti del palco-
scenico neroniano affollato da figure eccezionali.
Lo storico Giuseppe Flavio, scrivendo che questa seconda moglie
di Felix morì, insieme al figlio Antonius Agrippa, durante l’eruzione del
Vesuvio del 79, (A. G., 20 :144) avvalora il sospetto che le alae della villa
fossero state ristrutturate per accogliere la famosa principessa, il figlio
e, forse, altri cristiani orientali di alto lignaggio. Il riconoscimento di
un’ anomala metamorfosi subita dagli ambienti serviti dal portico meri-
dionale e alcune decorazioni parietali che riprendono, in chiave ermeti-
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
ca, profezie bibliche sembrano confermare tale ipotesi. La riservatezza
della “suite”, assicurata da ingressi propri, da un’accurata interdizione
della visione del portico dalla strada litoranea mediante riduzione degli
intercolumni con setti murari e schermatura complementare con gratic-
ci, fa ritenere che Drusilla, rimasta sconvolta a Cesarea Marittima dalla
“rivelazione della Sapienza di Dio avvolta nel mistero”, così Paolo de-
finiva la Fede, avesse comportamenti di vita vicini all’ascetismo.
Tavola n.° 3
Poppea aveva esaudito ogni sua richiesta: il lignaggio dell’ ospi-
te e le sue disponibilità finanziarie erano di gran lunga superiori alle
sue; le esigenze, invece, apparivano piuttosto modeste essendo legate,
prevalentemente, alla possibilità di partecipare alle sezioni sperimentali
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
di liturgia cristiana, potendosi dedicare, nel contempo, alla educazione
di suo figlio Antonius Agrippa, bambino di sangue reale di cui era fiera.
In teoria, la valanga piroclastica scesa dal Vesuvio, durante la ter-
rificante eruzione del 79, avrebbe dovuto fare strage di coloro che fre-
quentavano questa ecclesia; difficilmente, infatti, ad onta dei funesti
segnali emessi dal vulcano, nell’agosto di quell’anno, qualcuno dei
molti ospiti della villa avrebbe abbandonato un sito connotato da così
grande sacralità. I primi cristiani erano pronti ad accogliere serenamente
la Morte in ogni momento, certi di poter iniziare una nuova vita
nell’Eden, il meraviglioso Giardino Celeste verso cui era costantemente
rivolto il loro pensiero.
Sotto la coltre di lapilli, invece, non è stata trovata nessuna vitti-
ma.
In verità, i “fratelli” di Oplontis si dimostrarono coerenti con
l’ ethos della loro professione di fede; leggendo le relazioni di scavo del-
la Sovrintendenza è lecito dedurre, infatti, che proprio a questa cellula
cristiana appartenessero i cinquantaquattro scheletri trovati in uno stan-
zone del vicino Fondaco. Il rilevamento di tali resti, in maggioranza
donne di censo assai elevato con i loro bambini, lascia immaginare le
drammatiche sequenze che precedettero il momento in cui, superando
l’orrore di quegli istanti, tutti tentarono di stringersi l’uno all’altro per
affrontare la morte in un unico abbraccio.
I motivi che indussero esponenti dell’aristocrazia pompeiana a
riunirsi proprio lì sono da correlare alla scomparsa dell’Imperatrice:
questa ennesima circostanza infausta aveva costretto tutti ad abbando-
nare Oplontis e a trasferirsi in quell’inospitale magazzino trasformato in
ecclesia. Si trattava della cella buia e disadorna di una struttura com-
merciale più vicina al cono eruttivo di quanto non lo fosse Pompei; pro-
prio tale localizzazione, tuttavia, la rendeva idonea ad accogliere, con
la necessaria riservatezza, le riunioni fraterne. (cfr. Campanelli - Visita alla villa B-
Vesuvioweb 2010).
Questa scelta non ci sorprende: già da tempo le numerose cellule
proto cristiane di Hostia si riunivano nei magazzini dell’enorme im-
pianto annonario del Porto di Roma alla foce del Tevere.
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
La conoscenza delle vicissitudini di questa insospettabile cellula
protocristiana, fino allo straziante epilogo accennato, ci consente di ve-
rificare l’attendibilità delle notizie fornite dagli storici contemporanei in
merito ad alcuni personaggi coinvolti nelle vicende del Cristianesimo
Primitivo in Campania, in particolare quelle riguardanti la controversa
figura di Poppea Sabina.
Il Codex V. 324 ci offre un dato, sinora sconosciuto: la Curia Ec-
clesiastica aveva registrato Oplontis fra le trenta domus ecclesiae che
potremmo definire “elitarie” per aver avuto, come primo vescovo, un
“fratello” consacrato da un Apostolo.
L’analisi architettonica della struttura conferma l’esattezza
dell’informazione criptata, proprio tale certezza, tuttavia, fa nascere il
timore che una lettura acritica delle notizie riportate da storici coevi
(Tacito, Svetonio, Cassio Dione, etc.), ignari delle reali vicende del Cri-
stianesimo Primitivo, possa indurci ad una ricostruzione degli avveni-
menti troppo distante dalla verità e, comunque, inadeguata a descrivere
Poppea Sabina, personaggio dotato di un profilo storico straordinaria-
mente centrale.
Al momento della conversione la donna aveva trenta anni ed era
sposata con M. Salvius Otho, futuro imperatore. Costui, però, dopo la
nomina a governatore della Lusitania, per due anni dovette assentarsi
dall’Italia.
Alla luce di quanto emerso sembra possibile delineare alcuni tratti
significativi della sua personalità, attraverso una attenta correlazione dei
dati acquisiti alle fonti letterarie coeve, tutte concordi nel giudicarla
ambiziosa e disposta a tutto pur di accattivarsi le simpatie dei potenti.
E’ opinione diffusa che, lo stesso giorno in cui suo marito la presentò a
Corte, l’Imperatore, affascinato dall’ austera bellezza della giovane, a-
vesse iniziato a corteggiarla. In seguito, secondo quanto riferiscono le
cronache del tempo,egli si lasciò andare ad una scandalosa azione se-
duttiva che si concluse con il clamoroso ripudio di sua moglie Ottavia
seguito, subito dopo, dalle nozze con Poppea.
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
Al termine della cerimonia, all’Imperatrice fu attribuita la dignità
di Augusta, titolo che, elevandola al rango di divinità, certamente le
creò un certo imbarazzo.
Nel coro di voci che la descrissero come una donna di facili co-
stumi, non troviamo quella di Giuseppe Flavio, famoso storico ebreo
che, almeno in due occasioni, ebbe modo di apprezzarne nobiltà
d’animo e spiccato senso della giustizia.
Una prima volta (A.G. XX -195, 252), a suo dire, Poppea si mosse con
decisione a favore di un’ azione avviata dagli Ebrei contro Agrippa II,
governatore della Giudea. In questa circostanza la donna viene dichiara-
ta theosebès, “timorata di Dio”. Dalla Autobiographia, invece, appren-
diamo che lo storico, recatosi in Italia (forse nel 64) per perorare la cau-
sa di un gruppo di Rabbini, in carcere a Gerusalemme per presunti abusi
edilizi, fece amicizia sul molo di Pozzuoli con Alityro, funzionario di
Stato ebreo che si premurò di presentarlo all’Augusta affinché potesse
chiederle, personalmente, la necessaria intercessione per la liberazione
dei suoi amici. Inutile aggiungere che il relativo provvedimento fu rila-
sciato in breve tempo.
Questo, in sintesi, il quadro conoscitivo, assai discordante, prove-
niente dai documenti letterari.
Difficile stabilire quale fosse la verità; risulta piuttosto improbabi-
le, però, che questa donna, peraltro molto impegnata socialmente e cul-
turalmente, si fosse sposata per pura ambizione, indifferente alla severa
condanna morale sancita dall’etica cristiana per i peccati di vanità e di
cupidigia.
Probabilmente da parte di Poppea non ci fu opera di seduzione; è
certo però che, sebbene sposata, la nobildonna non si sottrasse alle at-
tenzioni di Nerone.
A questo punto sorge il sospetto che i motivi che la spinsero a
frequentare gli ambienti di Corte fossero di ben altra natura.
L’analisi filologica degli avvenimenti fa ritenere che l’Augusta,
dopo aver valutato con Paolo le residue possibilità di attuare il dettato
insito nella profezia dell’”Angelo del naufragio”, avesse preso coscien-
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
za dell’eccezionale compito che il destino le assegnava: toccava a lei
“portare Paolo di Tarso davanti a Nerone”.
Supponiamo che, nel contempo, la nobildonna si fosse resa conto
che ciò sarebbe stato possibile soltanto sposando l’Imperatore. In tal ca-
so lei stessa avrebbe potuto curare ogni dettaglio affinché l’incontro di
Nerone con l’Apostolo avvenisse in un clima di cordialità, certa che Pa-
olo, con le sue eccezionali capacità oratorie, non avrebbe avuto difficol-
tà ad ottenere, almeno, la sua formale conversione alla nuova religione.
La fatidica riunione, come a suo tempo previsto da Agrippina, sarebbe
stata presieduta da Seneca con il testo dell’agognato decreto di libertà
religiosa pronto per la firma.
Come noto, tale decreto fu emesso dall’Imperatore Costantino nel
313, più di due secoli dopo, quando tutte le persone coinvolte nella pro-
fezia dell’Angelo erano scomparse senza ottenere risultati che gratifi-
cassero l’impegno profuso per la ratifica del decreto.
A questo punto c’è da chiedersi come mai Poppea, nonostante
l’eccezionale posizione di potere assunta con il matrimonio, non fosse
riuscita a ottenere ciò per cui, certamente, aveva dovuto sacrificare
qualcosa della sua esistenza: un provvedimento tutto sommato scontato
se pensiamo che, oltre ad essere negli auspici di una Corte praticamente
cristianizzata, costituiva l’interesse preminente di una Sovrana verso
cui, a dire degli storici del tempo suo marito, l’uomo più potente della
Terra, nutriva un sincero affetto.
Una risposta plausibile ci viene, ancora una volta, dal Codex V.
324. La decodificazione della mappa ci consente di correlare a questa
fase di sviluppo del Cristianesimo Primitivo, la notizia che vede
l’Imperatore organizzare le fastose nozze con Poppea nello stesso pe-
riodo in cui era impegnato a mettere a punto alcuni aggiornamenti
all’Ordinamento Catastale dell’Impero. Si trattava di un’avanzata piani-
ficazione urbanistica e amministrativa di “tutte le terre soggette a Ro-
ma”, eseguita su pannelli modulari di bronzo sui quali era possibile di-
stinguere i rilievi montuosi a sbalzo e le emergenze naturalistiche colo-
rate. Questo documento rimase esposto al pubblico negli Uffici Erariali
del Tabularium Caesaris (tuttora visibili addossati alla parete est del
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Campidoglio) fino al 455, anno in cui, per quanto è stato possibile ac-
certare, fu deliberatamente distrutto dai Vandali.
La mappa viennese, contenendo i riferimenti topografici di
un’opera eseguita sulla base di una tecnica redazionale ispirata ad un
modello rigorosamente geometrico, ne consente la restituzione grafica
con livelli di approssimazione assai elevati. Attraverso tale operazione è
possibile stabilire che la struttura economica dell’Impero era fondata su
una precisa articolazione di Provinciae, territori primari di colonia in-
seriti in una composizione di terre dotate di assetti giuridici particolari
(Provinciae Valeriae, Mediae Provinciae, etc.), delimitate da fines che,
essendo tracciati sulla base di raffinati principi omografici, consentiva-
no la piena comprensione del modello spaziale dell’Impero.
Frammenti di tale Ordinamento compaiono nella Notitia Dignita-
tum del V secolo d.C., ma anche nel più tardo Domesday Book, due do-
cumenti che, ad onta dei riscontri documentaristici disponibili, conti-
nuano ad alimentare congetture in relazione alla loro genesi redaziona-
le. Le pagine di tali Registri, solo apparentemente confuse, mostrano
l’enorme complessità del grandioso progetto di Augusto che consentì a
Roma di porre sotto controllo amministrativo e militare anche il più re-
moto angolo dell’Impero.
La restituzione grafica dell’Aes evidenzia l’importanza di questa
istituzione, praticamente sconosciuta, destinata a guidare la politica del
territorio da parte dei Poteri Centrali, almeno fino all’età sveva.
Ma torniamo ai problemi del Cristianesimo Primitivo.
Considerando i principi assolutistici cui si ispirava il documento,
è presumibile che in Senato si fossero accese discussioni in merito alla
questione religiosa. Si trattava di stabilire se nelle Provinciae, istituzio-
ni primarie di colonia, si dovesse osservare un’unica religione, quella
dei Padri, o se fosse opportuno lasciarvi libertà di culto anche per non
aggravare, ulteriormente, le tensioni create dalla rigorosa gestione cen-
trale di un territorio sterminato. Si trattava certamente di una questione
secondaria se confrontata con l’enorme mole di problemi tecnici e am-
ministrativi da risolvere. Al contrario, l’analisi degli avvenimenti fa ri-
tenere che un gruppo di personaggi della casta sacerdotale e senatoriale
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avesse palesato la ferma convinzione che l’Ordinamento Religioso del-
le Provinciae dovesse basarsi sul culto delle divinità tradizionali, le
stesse che avevano protetto il trionfale cammino di Roma su tutti i fronti
di guerra. A costoro non era sfuggito che la professione di fede di Pop-
pea Augusta fosse la stessa di Agrippina, coincidenza assai inquietante
che faceva presumere il ripetersi di forti pressioni sull’Imperatore, de-
stinate a far trionfare l’Ordinamento da essi decisamente avversato.
La tensione creata da questo sordo antagonismo sfociò, a nostro
avviso, in un drammatico episodio: la strage di Cristiani avvenuta a
Roma nel 64, un episodio la cui genesi, alla luce dei nuovi dati conosci-
tivi, appare un po’ meno misteriosa di quanto non lo fosse attraverso lo
studio delle testimonianze disponibili.
Dalle cronache di Tacito e di Svetonio, apprendiamo che gli even-
ti si protrassero per breve tempo, ma raggiunsero punte di crudeltà dif-
ficilmente immaginabili. Attraverso i loro scritti si intuisce che i Roma-
ni, pur consapevoli dell’assurdità di quanto stava accadendo, assistette-
ro alle stragi senza far nulla per fermarle.
Mommsen cercò, invano, anche presso i successori di Nerone, il
testo del decreto che aveva consentito il massacro di quei cristiani. Do-
veva trattarsi di un provvedimento anomalo in quanto non era possibile
condannare a morte un solo romano senza regolare processo. Le testi-
monianze, invece, parlavano di feroci esecuzioni sommarie per strada,
davanti al popolo, fatto inaudito per la patria del Diritto.
L’ipotesi che non fosse stato mai emesso un decreto attuativo che
consentisse di giustiziare senza processo dei cittadini, anche se accusati
di un delitto odioso come l’ incendio di una Città che si venerava in un
apposito tempio, sembra trovare conferma presso gli scrittori contempo-
ranei. Una più attenta lettura della cronaca che ne fece Tacito fa ritene-
re, infatti, che il propagarsi dei focolai avvenisse secondo un piano, as-
sai perverso, appositamente studiato per indurre nel popolo incontrolla-
bili reazioni emotive in grado di giustificare uccisioni di massa.
A questo punto sorge il sospetto che i sostenitori dello status quo
avessero organizzato una terrificante strage di gente innocente affinché,
a Corte, tutti potessero avere una pallida idea di ciò che sarebbe acca-
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duto se la questione religiosa fosse stata liquidata con la risoluzione da
essi avversata.
Non sappiamo se questo fosse il solo messaggio trasversale insito
nelle stragi, non c’è dubbio, però, che questo specifico problema, eluso
al tempo di Nerone, si trascinò insoluto fino al 313. Fatta eccezione per
la breve persecuzione sviluppatasi a seguito del decreto emesso
dall’imperatore Decio nel 251, nessuno tentò di porre all’ordine del
giorno la questione della Religione di Stato, neanche in occasione del
definitivo assetto istituzionale dell’Impero, eseguito da Diocleziano in-
torno al 290.
Eppure i seguaci della superstitio illicita cristiana, da tempo, non
costituivano più una minoranza insignificante e, a Roma, erano salite
sul trono almeno due imperatrici che la professavano apertamente: Cor-
nelia Salonina, moglie di Gallieno e Prisca moglie di Diocleziano. La
situazione sviluppatasi alla corte di quest’ultimo, per molti versi simile
a quella di Nerone, fa supporre che, il dibattito riguardante la Religione
di Stato, sicuramente avviato in occasione dell’ avveniristica pianifica-
zione dell’Impero da lui elaborata (popolazioni germaniche, sino allora
relegate oltre il limes orientale dell’Impero, furono autorizzate ad inse-
diarsi nelle terre franche delle Mediae Provinciae sulla base di assegna-
zioni fondiarie di tipo enfiteutico), avesse avuto la stessa inquietante ri-
sposta registrata più di due secoli prima; cioè una serie di violenze con-
tro i Cristiani destinate ad interdire eventuali modifiche della legisla-
zione vigente in materia di culto.
Comunque sia, in merito a questa annosa questione ora è possibile
trarre importanti informazioni dalla corrispondenza intercorsa fra Sene-
ca e Paolo, un prezioso Corpus di quattordici lettere che, in antitesi al
parere di autenticità espresso da S. Agostino, sono state ritenute apocri-
fe dalla maggioranza degli studiosi. Il motivo di tale giudizio è stato in-
dividuato in alcuni passi assai discutibili sotto il profilo filologico, ma
sopratutto nel contenuto della lettera (Epist. V) con cui Seneca avverte
Paolo della indignatio di Poppea nei suoi confronti causata, a suo giu-
dizio: …… quod a ritu et secta veteri recesseris et alorsium converte-
ris.
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Paolo Campanelli - Per www.vesuvioweb.com 2011
Per dare una spiegazione plausibile all’evidente rapporto di ami-
cizia fra i tre personaggi, amicizia riscontrabile in altre lettere e, persi-
no, in una homelia di Crisostomo, è stato necessario interpretare la fra-
se in modo certamente errato: l’Augusta, nota per le simpatie verso gli
ambienti giudaici, non apprezzava l’ attività evangelica che l’ebreo di
Tarso, rinnegando le sue radici, svolgeva a Roma.
I dati acquisiti, invece, fanno ritenere che il termine indignatio
fosse quello più calzante per descrivere lo scatto d’ira avuto
dall’Imperatrice nell’apprendere che, proprio quando suo marito sem-
brava disponibile a firmare il decreto di libertà religiosa, l’Apostolo a-
vesse deciso di abbandonare l’ambizioso “progetto Oplontis”, riman-
dando il biblico incontro con Nerone al ritorno dall’evangelizzazione
delle Gallie.
Si est regina non indignabitur, si mulier est offendetur, fu il cau-
stico commento di Paolo alla lettera con cui Seneca, seriamente preoc-
cupato per l’incidente , gli raccomandava di non urtare troppo la sensi-
bilità dell’ Augusta.
Se si analizzano i passi del carteggio correlabili alla drammatica
svolta degli avvenimenti registrabili a Roma, in quel periodo, l’ipotesi
che l’Apostolo fosse in procinto di partire risulta, senz’altro, quella più
vicina alla realtà.
La lettera (Epist. XI) inviata a Paolo da Seneca, ci fa conoscere un
dettaglio delle stragi sinora sconosciuto: insieme ai cristiani anche gli
ebrei venivano messi a morte con l’accusa di aver organizzato
l’incendio della città. Stranamente il filosofo non conosce, o non vuole
fare il nome del mandante; si limita ad affermare che si trattava di un
losco personaggio, “un bandito (grassator) che gode nel veder scorrere il
sangue”. La sua annotazione: ” se fosse permesso parlare senza ri-
schi….. allora tutti vedrebbero tutto”, non ci aiuta a comprendere il deva-
stante incubo in cui erano sprofondati i padroni del Mondo.
Comunque sia, da questa e da altre lettere si intuisce che fra i
due eccezionali personaggi si fosse consolidato un rapporto di sincera
amicizia e di grande stima; non si deve trascurare, tuttavia, l’attività ri-
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servata svolta da Poppea per mantenere saldo un sodalizio che avrebbe
dato a Paolo la possibilità di assolvere, finalmente, il dettato profetico
che lo teneva inchiodato a Roma da più di tre anni.
La morte di Agrippina, inevitabilmente, aveva reso molto compli-
cata la promulgazione di un decreto di tolleranza religiosa; si può sup-
porre, tuttavia, che Poppea, come Paolo confortata dalla profezia
dell’”Angelo del naufragio,” non trascurasse occasione per dare al pro-
blema la soluzione auspicata. Anzi, analizzando l’epistolario sorge il
sospetto che, ad onta dell’ instabilità politica, l’Augusta avesse suggeri-
to al filosofo di fare un timido passo per stabilire se ci fossero le condi-
zioni per portare l’Apostolo “davanti a Nerone”, senza compromettere
irrimediabilmente il loro piano.
L’espediente era banale : fare in modo che suo marito leggesse al-
cune sequenze argomentative che l’Apostolo aveva fatto pervenire a
Seneca e stabilire se nel suo giudizio in merito agli scritti, si potesse
ravvisare un incoraggiamento a proseguire l’azione fino alla firma del
decreto.
Lo studio della corrispondenza fa ritenere che Seneca avesse de-
ciso di mettere in evidenza sulla scrivania dell’Imperatore i medesimi
scritti che Paolo gli aveva inviato per ottenere il parere circa la corretta
traduzione, in latino, dei testi da lui scritti in greco. L’Apostolo, in-
somma, non aveva intenzione di spingerlo alla conversione; mai si sa-
rebbe aspettato, però, che il suo amico tanto saggio li facesse leggere a
Nerone.
In verità, Seneca nel concordare con l’Augusta tempi e modalità
di una mossa così cervellotica, aveva tenuto l’Apostolo all’oscuro di
tutto. Soltanto in seguito gli fece sapere (Epist.VII) che l’Imperatore, dopo
aver esaminato attentamente i documenti, si era commosso ( …sensibis
tuis motus) e aveva pronunciato un lusinghiero apprezzamento in meri-
to alle qualità intellettuali di chi aveva elaborato quelle dottrine religio-
se.
Paolo, invece, non gradì l’inquietante iniziativa portata avanti a
sua insaputa. Leggendo l’Epist. IX, infatti, si intuisce che l’episodio gli
avesse creato molto fastidio e ulteriori timori: oltre la porta del suo rifu-
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gio romano l’illegalità trionfava a dispetto delle leggi e gli avvenimenti
che mettevano a rischio la sua vita non erano affatto cessati.
Siamo alla fine di marzo del 64 e la Curia Ecclesiastica Romana,
da due anni sotto l’ala protettrice di Poppea Augusta e, quasi per un de-
cennio sotto quella di Agrippina, capì che Paolo era il principale desti-
natario del messaggio di morte, insito nelle stragi. Forse proprio il pon-
tefice Lino, preoccupato per l’evoluzione negativa della malattia
dell’Imperatrice, si convinse che il Vas Electionis del Signore non pote-
va rimandare, di un solo giorno, la partenza per i territori occidentali, al
“limite dell’Impero”, ancora senza Dio.
La mappa viennese illustra la enorme portata storica di
quest’ultima missione di Paolo. Ora sappiamo che, se egli non avesse
preso la decisione di andar via da Roma, rimandando a tempi migliori il
fatidico incontro con Nerone, una parte dell’ecumene, proprio quella
destinata ad avere il ruolo più incisivo nelle successive fasi storiche, a-
vrebbe corso il rischio di non conoscere il Vangelo.
Esattamente mille anni dopo la scomparsa del “Didaskaleion” o-
plontino sotto la coltre di lapilli eruttata dal Vesuvio nel 79,
nell’affidare al Movimento Cistercense il compito di ripristinare la “pu-
rità” della dottrina evangelica, la Chiesa si premurò di suggerire agli
Abati francesi impegnati in tale opera, di accompagnare la loro azione
con un’ accurata opera di recupero di tutto ciò che, in qualche modo,
rappresentasse testimonianza del Cristianesimo Primitivo. Particolare
attenzione fu volta all’opera di evangelizzazione svolta da Paolo nel
territorio che corrispondeva, essenzialmente, alla Gallia Belgica I, lo
stesso in cui sorsero, poi, le loro Case Madri.
L’argomento, piuttosto complesso, esula dalla presente trattazio-
ne; possiamo aggiungere , tuttavia, che uno dei tre documenti da cui
doveva prendere avvio l’ azione di rinnovamento, era costituito da un
vetusto rotolo di pergamena sino a quel momento custodito, religiosa-
mente, nella Basilica Vaticana: la Tabula Peutingeriana, appunto.
Gli altri due erano la copia della Regola di S. Benedetto, autenti-
cata da Paolo Diacono e la cosiddetta “Pianta di S Gallo,”evidente evo-
luzione del Didaskaleion oplontino.
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Dal Monastero di Inde in cui la Curia Romana, li aveva inviati
(nell’817?) per essere copiati dai famosi miniaturisti della scuola di
Reichenau, questi due documenti finirono nella Biblioteca di S.Gallo
dove furono registrati come Codex Sangallensis 914 e Codex Sangal-
lensis 1092.
Dunque, è plausibile che l’umanista C. Celtes avendo trovato, per
caso, la corographia nella stessa Biblioteca elvetica in cui erano cu-
stoditi gli altri due documenti, avesse fatto l’ improvvida scelta di sepa-
rarla dagli altri e di portarla a Vienna, creando non pochi problemi di
esegesi della mappa.
Dopo molti passaggi di mano, il prezioso documento ora si trova
nella Nationalbibliothek dove fa bella mostra di sé come Codex Vin-
dobonensis 324, elaborazione grafica di datazione assai incerta ricono-
sciuta, senza alternative, come un Itinerarium Pictum di grande fascino
ma, tutto sommato, muto.
E’ probabile, invece, che si tratti della stessa mappa (in copia?)
che la Curia Ecclesiastica aveva inviato ad Inde insieme agli altri due
documenti; in essa, infatti, non compaiono le corographie di Hispania
e di Britannia.
La sua presenza negli ambienti culturali più avanzati dell’ Alto-
medioevo, fa ritenere che la Curia Romana avesse intenzione di ottene-
re la restituzione delle avanzate conoscenze geografiche dell’ecumene,
riconoscibili, anche dopo un sommario esame, nel supporto tecnico di
base per, poi, procedere alla redazione di una cartografia generale ag-
giornata. Fra gli impegni più onerosi, di sicuro, c’era il posizionamento
del finis assegnato nel 313 all’Impero d’Oriente ma, soprattutto, la
completa rappresentazione di Spagna e di Inghilterra; di queste due ex
provinciae romane , infatti, i monaci disponevano soltanto di riferimen-
ti topografici isolati. L’importanza del programma appare ancora più
evidente se si tiene conto di una circostanza non secondaria:
nell’originale erano rappresentate le provinciae orientali dell’Impero
con la localizzazione delle “Fortezze della Fede” e degli altri compo-
nenti della potente strutturazione cristiana eseguita, fra enormi difficoltà
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dagli Apostoli in Asia e in Africa, ma cancellata dall’Islam nel giro di
pochi decenni.
La restituzione grafica di tali regioni avrebbe creato una cartogra-
fia che, sebbene obsoleta e non facilmente aggiornabile, avrebbe potuto
fornire un complesso d’ informazioni dotate di una valenza operativa
incommensurabile, specialmente in caso di allestimento delle immanca-
bili spedizioni militari destinate alla riconquista della Città Santa, la Je-
rusalem miserabilis quae est in Syria.
In verità l’antica mappa conteneva un enorme quantità di gnori-
smi e di precisi riferimenti topografici e catastali appartenenti ad un
modello geometrico, con i quali , in teoria, sarebbe stato possibile resti-
tuire, con apprezzabile precisione, morfologia e impianto urbanistico
dell’Impero Romano, ma la perdita delle Tabulae Aeris di riferimento
aveva reso impossibile il riconoscimento della avanzatissima combina-
zione di tecniche di rilevamento che li aveva prodotti.
I monaci di Inde, pur essendo certi che la geografia dell’ecumene
fosse stata deformata secondo precisi criteri, non poterono far altro che
tentare di collocare le sequenze topografiche, lette lungo le strade, ne-
gli ambiti territoriali da essi circoscritti secondo criteri empirici.
La loro opera fu acriticamente utilizzata per compilare i cosiddet-
ti Itineraria Romana, documenti assai confusi e inutili, la cui analisi
mostra chiaramente che essi fossero all’oscuro anche della vera natura
della mappa inviata da Roma.
Comunque sia, questo documento ebbe maggior fortuna degli altri
due: l’Esemplare Normale, ossia la copia autentica del documento cas-
sinese, e l’elaborazione grafica da cui deriva l’attuale “Pianta di S Gal-
lo”, non sono stati mai trovati.
La sfida lanciata da Roma nell’ IX secolo non ci sorprende .
Percorrendo a ritroso il cammino della Chiesa, appare evidente
che, anche nei momenti più bui ricordati negli Annales del Baronio, la
Curia Vaticana non avesse perso la speranza di veder splendere
nell’ecumene strutture religiose dotate della stessa intensa spiritualità
delle istituzioni apostoliche.
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Il rimpianto maggiore era rappresentato dalla sorte dell’ Ecclesia
un tempo distante tria milia da Pompei, un faro troppo presto spento
dalla fatalità.
BIBLIOGRAFIA
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-P. Campanelli ESEGESI DEL CODEX VINDOBONENSIS 324 in Rivista della Agenzia del Territorio del Ministero delle Finanze N°1/2000-2/2002-1/2003 2/2004 3/2006
-NUOVO TESTAMENTO Acta -ENCICLOPEDIA CATTOLICA -EPISTOLARIO FRA SENECA E PAOLO
-SOPRINTENDENZA DI POMPEI - Relazioni di scavo- Villa A di Oplontis e Villa B
-Tacito -ANNALI - Svetonio -VITE DEI CESARI - Dione Cassio .- STORIA ROMANA -Giuseppe Flavio - ANTICHITÀ GIUDAICHE –AUTOBIOGRAPHIA - P.B. Gams - SERIES EPISCOPORUM ECCLESIAE CATHOLICAE L. Bosio LA TABULA PEUTINGERIANA Citta di Castello 1983
Pubblicazioni in Rete: Portale Vesuvioweb
-APPUNTI DI URBANISTICA POMPEIANA ( vesuvioweb ottobre 2009) -VISITA ALLA VILLA B DI TORRE ANNUNZIATA (vesuvioweb maggio 2010) -VISITA ALLA VILLA A DI TORRE ANNUNZIATA (vesuvioweb settembre2010 N.B.: Argomenti tratti dal libro : il Paradiso perduto della Domus Ecclesia di Oplontis di prossima pubblicazione con i tipi della C. E. T. Pironti di Napoli .
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