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Camera Penale di Pescara aderente all’Unione Camere Penali Italiane
Gruppo di Studio e Ricerca Scuola di Formazione e Qualificazione dell’Avvocato Penalista
XIV CORSO DI FORMAZIONE DEL PENALISTA
MAGGIO 2017- MAGGIO 2019
Lezione: 19.6.2017 Materia: Diritto Penale
Relatore: Aldo MANFREDI
ARGOMENTO: LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE – IL REATO CIRCOSTANZIATO – IL
CONCORSO DI PERSONE NEL REATO E REATI ASSOCIATIVI.
SCHEDA DIDATTICA n. 5
LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE
Le cause di giustificazione (o scriminanti) sono particolari situazioni in presenza delle quali l’autore di
un fatto, qualificabile come reato in quanto sussumibile sotto una fattispecie astratta del diritto penale
sostanziale, diviene «non punibile».
La Dottrina è da tempo divisa sia sulla loro collocazione sistematica all’interno della teoria generale del
reato, sia sul loro fondamento.
Secondo la concezione così detta “bipartita”, esse rappresentano elementi negativi del fatto tipico (non
perfezionatosi a causa della giuridicità della condotta/omissione); per la concezione “tripartita”, invece, pur
essendovi sia il fatto tipico che la colpevolezza, manca l’antigiuridicità della condotta/omissione, ritenuta terzo
elemento necessario del reato.
Il loro fondamento dogmatico, invece, è da alcuni ravvisato nel principio di unitarietà dell’ordinamento
giuridico (MANTOVANI, Diritto penale); da altri nell’esigenza di bilanciare interessi in conflitto, dando
prevalenza ad uno di essi a seconda di regole generali - contenute appunto negli artt. 50 - 54 c.p. - da applicare
al caso concreto (PADOVANI, Diritto penale); da altri ancora nella considerazione per cui alcuni
comportamenti, essendo privi di offensività, non debbano (rectius possano) essere ritenuti illeciti
(ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale).
In ogni caso, è evidente che ogni causa di giustificazione ha una sua propria ragion d’essere e risponde
ad una specifica esigenza.
Passando alla disciplina positiva del fatto “giustificato”, esso è lecito sia sotto il profilo penale che
extrapenale (e cioè per l’intero ordinamento giuridico, stante l’unitarietà dello stesso), ad eccezione dei fatti
giustificati dallo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., per i quali residua la responsabilità civile ex art. 2045
c.c.-
Le cause di giustificazione, inoltre, sono governate dal principio della rilevanza obiettiva (art. 59 co. 1
c.p.) e dall’efficacia scusante della loro putatività incolpevole (art. 59 co. 4 c.p.).
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V’è poi l’art. 55 c.p., rubricato “eccesso colposo”, ritenuto una norma di chiusura in tema di cause di
giustificazione. A ben vedere, esso esula dall’ambito di operatività delle cause di giustificazione in quanto dà
luogo alla configurazione di un fatto illecito (ossia, obiettivamente antigiuridico), che dovrebbe comportare
l’applicazione della sanzione penale. Tuttavia, la disciplina positiva è nel senso che la pena è effettivamente
posta a carico del reo solo nel caso in cui il travalicamento dei confini della scriminante sia, in qualche modo,
riconducibile alla condotta colposa dell’agente stesso, e sempre che il fatto sia previsto dalla legge come delitto
colposo.
La Giurisprudenza più recente riconosce, inoltre, quale causa di giustificazione non espressamente
codificata (e non più quale forma del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p.), la “scriminante atipica”
dell’accettazione del rischio consentito da parte della persona offesa, applicata perlopiù in tema di attività
sportive.
In tema di legittima difesa, si segnala la proposta di legge C. 3785, approvata alla Camera dei Deputati
ed in attesa di discussione al Senato, che prevede la modifica dell’art. 52 c.p. mediante l’introduzione di un
nuovo secondo comma, il cui testo dovrebbe essere: «Fermo quanto previsto dal primo comma, si considera
legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione
commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza
alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno» (per un primissimo commento alla proposta di
legge v. Tommaso Trinchera, Approvata dalla camera una proposta di riforma in materia di legittima difesa,
in Dir. pen. contemporaneo ed. online, 5 maggio 2017).
GIURISPRUDENZA
In tema di consenso dell’avente diritto:
1) Cassazione penale, sez. III, 18.5.2016, n. 37166
La scriminante putativa del consenso dell’avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in
base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l’approvazione della persona che può
validamente disporre del diritto. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta l’esclusione
dell’esimente con riferimento alla condotta di abuso sessuale commessa da uno psicologo nei confronti di
alcune pazienti, in condizioni di inferiorità psichica, cui veniva indotta la convinzione che le pratiche sessuali
fossero necessarie alla guarigione).
2) Cassazione penale, sez. I, 12.11.2015, n. 12928
In tema di omicidio del consenziente, il consenso è elemento costitutivo del reato, sicché ove il reo
incorra in errore circa la sussistenza del consenso trova applicazione la previsione dell’art. 47 c.p., in base al
quale l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato di verso, nel
caso di specie individuabile nel delitto di omicidio volontario. (In motivazione, la Corte di Cassazione ha
precisato che il consenso previsto quale scriminante dell’art. 50 c.p. non corrisponde al consenso richiesto
dall’art. 579 c.p. atteso che, in questa seconda ipotesi, il consenso incide sulla tipicità del fatto e non quale mera
causa di giustificazione).
3) Cassazione penale, sez. V, 13.11.2014, n. 19215
In tema di consenso dell’avente diritto, non è sufficiente ad escludere l’antigiuridicità del fatto il
consenso ad attività lesive dell'integrità personale - sempre che queste non si risolvano in una menomazione
permanente che, incidendo negativamente sul valore sociale della persona umana, elide la rilevanza del
consenso prestato - espresso nel momento iniziale della condotta, essendo, invece, necessario che il consenso
stesso sia presente per l’intero sviluppo di questa. (Fattispecie concernente pratiche erotiche
sadomasochistiche).
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4) Cassazione penale, sez. V, 19.2.2014, n. 32024
Il presupposto per l’operatività della scriminante del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p. è
rappresentato dalla libera determinazione della volontà del soggetto passivo del reato, scevra da
condizionamenti esterni. Tale scriminante non è applicabile, neanche nella forma putativa, quando debba
escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l’approvazione della
persona che può validamente disporre del diritto.
5) Cassazione penale, sez. IV, 27.11.2013, n. 2347
L’attività medico-chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso” del paziente, che non si
identifica con quello di cui all’art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento: infatti, il
medico, di regola e al di fuori di taluni casi eccezionali (allorché il paziente non sia in grado per le sue
condizioni di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni
dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.), non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del
paziente. In questa prospettiva, il “consenso”, per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere
“informato”, cioè espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti
negativi della terapia o dell’intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l’indicazione della gravità
degli effetti del trattamento. Il consenso informato, infatti, ha come contenuto concreto la facoltà non solo di
scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di
decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Tale
conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’art. 32 Cost. (per il quale i
trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge), sta a significare che il
criterio di disciplina della relazione medico-malato è quello della libera disponibilità del bene salute da parte
del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può
comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario.
In tema di esercizio del diritto di cronaca:
6) Cassazione penale, sez. V, 14.9.2016, n. 42987
In tema di diffamazione a mezzo stampa, non opera l’esimente del diritto di cronaca quando l’articolo
di giornale, nell’affrontare un argomento di pubblico interesse (nella specie: le conseguenze sociali delle
separazioni), contenga dati eccedenti lo scopo informativo, in quanto riferiti alla vita privata della parte offesa,
e tali da lederne la reputazione, in assenza di notorietà della stessa.
7) Cassazione penale, sez. I, 7.4.2016, n. 27984
Le scriminanti dell’esercizio del diritto di critica e del diritto di cronaca rilevano solo in relazione ai
reati commessi con la pubblicazione della notizia, e non anche rispetto ad eventuali reati compiuti al fine di
procacciarsi la notizia medesima. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato
del reato di cui all’art 650 c.p., il quale, nella sua qualità di giornalista, aveva violato il divieto prefettizio di
stazionare e circolare in una determinata zona nella quale lo stesso si era introdotto al fine di acquisire notizie
utili per la realizzazione di una trasmissione radiofonica, in differita, sulle manifestazioni del movimento “NO
T.A.V.”).
In tema di esercizio del diritto di critica:
8) Cassazione penale, sez. V, 15.12.2016, n. 4695
In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di critica nella forma
satirica qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi; tale esimente
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può, infatti, ritenersi sussistente quando l’autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera
non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un
personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non quando si diano
informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali da non
escludere la rilevanza penale.
9) Cassazione penale, sez. V, 18.11.2016, n. 4853
In tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo
esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la
condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti,
ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione e legati ad un “botta e risposta” giornalistico che
tollera limiti più ampi alla tutela della reputazione.
10) Cassazione penale, sez. V, 20.4.2015, n. 20998
L’esercizio del diritto di critica politica può rendere non punibili espressioni anche aspre e giudizi di
per sé ingiuriosi, tesi a stigmatizzare comportamenti realmente tenuti dal soggetto criticato, rimanendo però
pacifico come non possa scriminare la falsa attribuzione di una condotta scorretta, utilizzata come fondamento
per l’esposizione a critica del soggetto stesso. (La Corte di Cassazione ha escluso, nella specie, l’ipotesi di
diffamazione in capo all'imputato che nel corso di una riunione indetta dall'Unione Nazionale Commercianti
Ortofrutta avente ad oggetto l'attività dell’Unione Regionale delle Bonifiche Emilia Romagna aveva definito i
Consorzi di bonifica dei “carrozzoni” evocandone la sostanziale inutilità, rientrando tale condotta nell'esercizio
legittimo dei diritto di critica e non costituendo una gratuita e ingiustificabile aggressione verbale).
In tema di esercizio di un diritto:
11) Cassazione penale, sez. III, 29.1.2015, n. 14960
In tema di cause di giustificazione, lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la
famiglia (nella specie: maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, violazione degli obblighi di assistenza
familiare) non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a
facoltà asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba
ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano, in cui l’agente ha scelto di
vivere, attesa l’esigenza di valorizzare - in linea con l’art. 3 Cost. - la centralità della persona umana, quale
principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi
l’instaurazione di una società civile multietnica.
In tema di esercizio di un dovere:
12) Cassazione penale, sez. III, 13.10.2016, n. 50760
La causa di giustificazione prevista dall’art. 51 c.p. è applicabile esclusivamente ai rapporti di
subordinazione previsti dal diritto pubblico e non anche a quelli di diritto privato, sicché il dipendente privato
che riceva dal proprio datore di lavoro una qualunque disposizione operativa, è tenuto a verificarne la
rispondenza alla legge secondo gli ordinari canoni di diligenza e, qualora ne riscontri l’illegittimità, deve
rifiutarne l’esecuzione, senza che, altrimenti, possa ravvisarsi l’impossibilità di sottrarsi all’ordine che esclude
la punibilità della condotta.
13) Cassazione penale, sez. IV, 21.9.2016, n. 47056
In tema di “agente provocatore”, la scriminante dell’adempimento del dovere trova applicazione
esclusivamente nel caso in cui la sua condotta non si inserisca con rilevanza causale nell’ iter criminis, ma
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intervenga in modo indiretto e marginale concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di
controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui. (Fattispecie in tema di stupefacenti in cui l’agente,
operando sotto copertura ma al di fuori dell'ipotesi disciplinata dall'art. 97 D.P.R. n. 309/1990, aveva indotto un
informatore a procurarsi e a cedere un rilevante quantitativo di sostanza stupefacente).
14) Cassazione penale, sez. IV, 13.6.2013, n. 38130
In presenza di un ordine dell’autorità da riguardarsi come sostanzialmente illegittimo, ancorché
ragionevolmente non ritenuto per tale dal soggetto che lo ha emanato per mancata percezione del fatto che
costituiva la causa dell’illegittimità, non può ritenersi operante la scriminante di cui all’art. 51 c.p. in favore del
soggetto che, pur essendo invece consapevole della esistenza di quel fatto, abbia ciononostante posto in essere,
in adempimento dell’ordine, una condotta costituente reato. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la
Corte di Cassazione ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la penale responsabilità del conducente
di un autoveicolo per il reato di guida in stato di ebbrezza, in un caso in cui la condotta di guida era stata posta
in essere in adesione ad un ordine dato al medesimo conducente da un agente della polizia stradale, il quale non
aveva avuto modo di rendersi conto del suddetto stato).
In tema di legittima difesa:
15) Cassazione penale, sez. IV, 3.5.2016, n. 33591
L’accertamento della legittima difesa, anche putativa, deve essere effettuato valutando, con giudizio ex
ante, le circostanze di fatto, in relazione al momento della reazione e al contesto delle specifiche e peculiari
circostanze concrete, al fine di apprezzare solo in quel momento - e non ex post - l’esistenza dei canoni della
proporzione e della necessità di difesa, costitutivi dell’esimente della legittima difesa. (Fattispecie in tema di
omicidio preterintenzionale, in cui la Corte di Cassazione ha censurato la decisione che aveva escluso
l’esimente nei confronti dell’imputato che aveva cagionato la morte della persona offesa colpendola con un
pugno al volto e facendola cadere in terra, omettendo di considerare adeguatamente, e con giudizio ex ante, lo
stato di estrema concitazione e di oggettiva paura nel quale egli versava a seguito delle plurime e precedenti
aggressioni subite da parte della vittima che, seppure in evidente stato di ubriachezza, era risultata in grado di
correre, senza mostrare difficoltà nell’incedere o perdita di equilibrio).
16) Cassazione penale, sez. I, 7.1.2016, n. 17121
La legittima difesa putativa può configurarsi se e in quanto l’erronea opinione della necessità di
difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da
giustificare, nell’animo dell'agente, la ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo,
persuasione che peraltro deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze oggettive in cui
l’azione della difesa venga a estrinsecarsi.
17) Cassazione penale, sez. I, 22.10.2015, n. 47177
La legittima difesa pretende requisiti che devono essere oggetto di rigorosa dimostrazione e che sono
costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima. Mentre l’aggressione ingiusta deve concretarsi
in un pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto, la
reazione legittima deve inerire alla necessità di difendersi, all’inevitabilità del pericolo ed alla proporzione tra
difesa ed offesa.
18) Cassazione penale, sez. V, 19.2.2015, n. 32381
È inapplicabile al reato di rissa la causa di giustificazione della legittima difesa, considerato che i
corrissanti sono ordinariamente animati dall’intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di
pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi
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necessitata; essa può, tuttavia, essere eccezionalmente riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti
voluti dalla legge, vi sia stata un’azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un’offesa che, per
essere diversa a più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta.
19) Cassazione penale, sez. V, 20.1.2015, n. 9693
Non può configurarsi la legittima difesa allorquando la stessa finisca per configurarsi - nella
prospettazione difensiva - quale mera ipotesi, non suffragata da alcuna evenienza processuale e peraltro
svalutata sia dalla mancata specificazione delle circostanze in cui si sarebbe spiegata la reazione difensiva che
dalla mancata indicazione dei pericolo che, al momento della stessa, incombeva sul soggetto agente.
In tema di uso legittimo delle armi:
20) Cassazione penale, sez. IV, 14.7.2015, n. 36883
La circostanza negativa di non poter escludere che i fuggitivi fossero armati non legittima l’uso delle
armi in quanto, diversamente opinando, si dovrebbe giungere alla conclusione, del tutto inaccettabile, che in
ogni circostanza, non potendosi mai escludere che delle persone sospettate siano armate, l’uso delle armi sia
legittimo.
21) Cassazione penale, sez. V, 16.6.2014, n. 41038
Perché possa ritenersi integrata la scriminante prevista dall’art. 53 c.p., il ricorso all’uso delle armi deve
costituire l’ extrema ratio nella scelta dei mezzi necessari per l’adempimento del dovere, essendo esso
ammissibile solo quando non sono praticabili altre modalità d’intervento né sono superati i limiti di gradualità
dettati dalle esigenze del caso concreto ed è inoltre rispettato il principio di proporzione, inteso come requisito
implicito della scriminante in questione tra il bene leso e quello che l’adempimento del dovere di ufficio tende a
soddisfare in relazione alla specifica situazione. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione - ritenendo non
adeguatamente verificato il rispetto del principio di proporzione, avendo omesso la Corte territoriale di
accertare se gli agenti operanti potessero utilmente ricorrere ad altre forme di intervento - ha annullato con
rinvio la sentenza che aveva ravvisato la sussistenza della scriminante dell’uso legittimo delle armi per due
poliziotti i quali, nel corso di un inseguimento di tre individui su un motociclo in atteggiamento sospetto e privi
del casco protettivo, approfittando di un momento di quiete del traffico, avevano esploso verso l’alto un colpo
di fucile a pompa caricato a pallini antisommossa il cui proiettile, per cause accidentali, aveva attinto gli
inseguiti).
In tema di stato di necessità:
22) Cassazione penale, sez. VI, 15.9.2016, n. 41697
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’indisponibilità da parte dell’obbligato dei
mezzi economici necessari ad adempiere si configura come scriminante soltanto se perdura per tutto il periodo
di tempo in cui sono maturate le inadempienze e non è dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’obbligato
(Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha escluso che lo stato di detenzione dell’obbligato integrasse una
causa di forza maggiore idonea a scriminarne l’inadempimento, rilevando che tale condizione era a questi
imputabile e che, comunque, lo stato detentivo si era protratto per pochi mesi in relazione alla durata di oltre
cinque anni dell’inadempimento).
23) Cassazione penale, sez. III, 11.5.2016, n. 35590
L’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non
scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente
provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso
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comportamenti non criminalmente rilevanti. (Fattispecie di detenzione e vendita di prodotti audiovisivi privi del
contrassegno S.I.A.E. da parte di cittadino extracomunitario, nella quale la Corte di Cassazione ha negato la
configurabilità dell’esimente, osservando che alle esigenze delle persone indigenti è possibile provvedere per
mezzo degli istituti di assistenza sociale).
24) Cassazione penale, sez. V, 13.7.2015, n. 3967
La situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per
difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che
versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale. (Fattispecie in tema di
furto con strappo di cui all’art. 624 bis c.p.).
25) Cassazione penale, sez. III, 16.7.2015, n. 40270
È configurabile la causa di giustificazione dello stato di necessità (art. 54 c.p.) nei confronti di soggetto
straniero, ridotto in condizione di schiavitù e obbligato a prostituirsi, il quale sia costretto a commettere il reato
di atti osceni in luogo pubblico per il timore che, in caso di disobbedienza, possa essere esposta a pericolo la
vita o l’incolumità fisica dei suoi familiari. (In motivazione, la Corte di Cassazione ha osservato che la
condizione di “asservimento”, collegata a ripetute condotte di costrizione mediante violenza e minaccia ed al
permanere dello sfruttamento nei suoi confronti, impedisce al soggetto di sottrarsi all'esercizio della
prostituzione con le modalità, anche pubblicamente oscene, imposte dagli sfruttatori o dal cliente occasionale,
precludendogli altresì di rivolgersi alle Forze dell'Ordine o anche solo di collaborare).
26) Cassazione penale, sez. II, 26.3.2015, n. 28067
L’illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un
pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare - nelle ipotesi di difficoltà
economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo - una surrettizia soluzione delle esigenze
abitative dell’occupante e della sua famiglia.
27) Cassazione penale, sez. IV, 9.1.2015, n. 15167
In tema di stato di necessità determinato dall’altrui minaccia, deve escludersi la configurabilità della
scriminante quando il soggetto minacciato abbia la possibilità di sottrarsi alla costrizione ricorrendo alla
pubblica autorità; il che è possibile anche quando la minaccia provenga da un soggetto investito di pubbliche
funzioni, attesa l’esistenza di una pluralità di istituzioni aventi compiti di tutela del cittadino, con conseguente
possibilità, per quest’ultimo, di rivolgersi utilmente ad una di esse (Nella specie, in applicazione di tale
principio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che bene fosse stata esclusa la sussistenza della scriminante in
questione in un caso in cui l’imputato aveva effettuato l’acquisto di un quantitativo di sostanza stupefacente
perché asseritamente costrettovi da un funzionario di polizia il quale, volendo effettuare - come poi avvenuto -
un intervento che portasse alla identificazione e all’arresto del venditore, aveva minacciato lo stesso imputato di
fargli chiudere il pubblico esercizio di cui egli era titolare, qualora avesse rifiutato la sua collaborazione per la
realizzazione di detta operazione).
In tema di eccesso colposo:
28) Cassazione penale, sez. V, 31.1.2017, n. 11084
L’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa
immanenti e per tale motivo, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa
legittima, è necessaria operare una valutazione preliminare dell’inadeguatezza della reazione difensiva per
l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con
valutazione ex ante, e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di
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valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso
colposo delineato dall’art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il
superamento doloso degli schemi della scriminante.
29) Cassazione penale, sez. I, 5.11.2014, n. 51070
Per quanto attiene al rapporto tra omicidio volontario, legittima difesa ed eccesso colposo, la reazione
legittima dev’essere necessaria per salvaguardare il bene in pericolo, ponendosi in tal caso l’aggressione come
unico modo per salvare il diritto minacciato, nel rispetto della proporzionalità dell’offesa nei confronti del bene
minacciato. Il requisito della proporzione dev’essere sempre escluso, quindi, nel caso di conflitto fra beni
eterogenei, allorché la consistenza dell’interesso leso (vita o incolumità fisica) sia più rilevante sul piano dei
valori costituzionali, rispetto a quello minore difeso. (Nel caso di specie è stata riconosciuto l’eccesso colposo
di legittima difesa in capo all’imputato che, a seguito di una colluttazione, aveva disarmato la vittima in stato di
ebbrezza, ferendola mortalmente con diversi colpi all’addome).
30) Cassazione penale, sez. I, 14.2.2014, n. 15742
La norma di cui all'art. 55 c.p. non può trovare applicazione in assenza di scriminante; in effetti, non
può essere configurato l'eccesso colposo previsto in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della
singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti. Per aversi “eccesso” devono, pertanto, esistere
tutti i presupposti della scriminante.
31) Cassazione penale, sez. IV, 14.3.2013, n. 19375
In tema di legittima difesa, la presunzione di proporzionalità a favore della reazione di difesa in luoghi
di domicilio o ad esso equiparabili, prevista dal comma secondo dell'art. 52 c.p., come modificato dalla l. n. 59
del 2006, non opera con riguardo a condotte compiute nell’abitacolo di una autovettura, trattandosi di spazio
privo dei requisiti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile periodo di tempo e nel quale
non si compiono atti caratteristici della vita domestica. (Fattispecie nella quale l’imputato, che dall’autovettura
aveva colpito mortalmente alcuni aggressori con un’arma da fuoco, è stato ritenuto responsabile del reato di
omicidio colposo plurimo per aver ecceduto i limiti della legittima difesa).
In tema di accettazione del rischio consentito:
32) Cassazione penale, sez. IV, 26.11.2015, n. 9559
In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l’uso della forza
fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l’area del rischio consentito è delimitata dal rispetto delle regole
tecniche del gioco, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all’elemento
psicologico dell’agente il cui comportamento può essere - pur nel travalicamento di quelle regole - la colposa,
involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa
intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco. (Fattispecie nella quale la Corte di
Cassazione, escludendo la configurabilità di un’aggressione fisica per ragioni avulse dalla dinamica sportiva, ha
ritenuto applicabile la scriminante del rischio consentito nella condotta del giocatore che, in un incontro di
calcio di particolare rilevanza agonistica, durante un’azione volta a interrompere il contropiede della squadra
avversaria, aveva colpito uno degli avversari con un calcio, causandogli una frattura, pur intendendo intervenire
sulla palla).
33) Cassazione penale, sez. V, 24.6.2015, n. 39805
In tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito,
qualora, nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con un pugno al di fuori di
un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica
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sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del
pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli
avversari, marcamenti, tagli in area ecc.) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in
campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell'incontro.
IL REATO CIRCOSTANZIATO
Un determinato fatto storico, che integra una fattispecie criminosa tipica in ogni suo elemento, può
essere caratterizzato anche da ulteriori situazioni o fattori che lo specificano e che ne graduano il disvalore.
Le circostanze si definiscono quindi come elementi accidentali ed accessori del reato con una valenza
esterna ad una condotta già esaurita: la loro presenza trasforma il reato semplice in reato circostanziato,
aggravato o attenuato.
Circa gli effetti, esse vanno ad incidere sulla gravità del reato, ovvero rilevano come indici della
capacità a delinquere del soggetto, comportando una modificazione quantitativa o qualitativa della pena, e
determinando - talvolta - ulteriori effetti (in tema di prescrizione del reato, di procedibilità, di competenza e di
misure cautelari).
A seguito della riforma del 1990, le circostanze aggravanti possono imputarsi al reo solo se da lui
«conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa» (art. 59 co. 2 c.p.),
mentre è rimasta inalterata l’applicazione obiettiva delle circostanze attenutati (cioè indipendente dalla
conoscenza che di esse aveva il reo).
Accanto alle circostante (aggravanti ed attenuanti) comuni, vi sono le circostanze attenuanti generiche
ex art. 62 bis c.p., la cui disciplina è stata da ultimo modificata dal D.L. n. 92/2008 (che vi ha aggiunto il terzo
comma, il quale impone ora un onere motivazionale rafforzato al Giudice che intenda riconoscere tali
circostanze).
Rilevante è poi la disciplina dell’imputabilità delle circostanze ai concorrenti ex art. 118 c.p., poste le
incertezze della Giurisprudenza in ordine all’individuazione delle circostanze soggettive non estensibili ai
concorrenti.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente pronunciate in tema di circostanze c.d.
indipendenti che comportino un aumento di pena non superiore ad un terzo, escludendo che esse incidano sui
termini di prescrizione del reato in quanto non possono qualificarsi quali circostanze ad effetto speciale.
Si segnala, poi, l’ennesimo intervento sull’art. 69 co. 4 c.p.della Corte Costituzionale, la quale con la
sent. n. 74/2016 ha dichiarato incostituzionale il predetto articolo, nella parte in cui prevede il divieto di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73 co. 7 del D.P.R. n. 309/90 sulla recidiva reiterata, per
violazione del principio di uguaglianza.
GIURISPRUDENZA
In tema di imputazione delle circostanze:
1) Cassazione penale, sez. II, 7.12.2016, n. 197
Ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale,
non è sufficiente l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo
necessaria l’obiettiva rispondenza del movente della condotta a valori etici o sociali condivisi e riconosciuti
come preminenti dalla coscienza collettiva; ne consegue che l’attenuante non può trovare applicazione se il
fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell’erronea opinione del soggetto attivo del reato,
anche in ragione della disciplina prevista dall'art. 59 c.p., in base alla quale le circostanze devono essere
applicate per le loro connotazioni oggettive. (Fattispecie nella quale la Corte di Cassazione ha confermato la
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sentenza di appello che non aveva riconosciuto l’attenuante nella condotta di danneggiamento compiuta
dall’imputato, durante una conferenza in un’aula universitaria, per contestare le missioni di pace dei militari
italiani all’estero).
2) Cassazione penale, sez. VI, 13.10.2016, n. 52321
La valutazione delle circostanze aggravanti a carico del soggetto agente in base all’art. 59 co. 2 c.p.
riguarda non solo quelle antecedenti o contemporanee alla condotta dell’agente, ma anche quelle successive. Di
talché, in relazione a queste ultime, la conoscenza o l’ignoranza per colpa significano “previsione” o
“prevedibilità” della circostanza, atteso che si può parlare di “conoscenza” o di “ignoranza per colpa” in merito
a dati già esistenti e non a quelli che vengono ad essere integrati in un momento successivo alla condotta
In tema di circostanze aggravanti comuni:
3) Cassazione penale, sez. VI, 22.3.2017, ord. n. 17937
In tema di circostanze del reato, l’aggravante della minorata difesa è configurabile quando l’agente
abbia approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare
la pubblica o privata difesa, ovvero di condizioni oggettive conosciute dall'agente e delle quali lo stesso abbia
consapevolmente approfittato. (Ordinanza in tema di truffe on line, ritenute aggravate ex art. 61 n. 5 c.p. in
quanto «la distanza rispetto al luogo in cui si trova l’acquirente del prodotto on line, che di norma ne ha pagato
anticipatamente il prezzo, secondo la prassi di tale tipo di transazioni e come avvenuto nel caso in esame, è
l’elemento che pone l’autore della truffa in una posizione di forza e di maggior favore rispetto alla vittima,
consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun controllo preventivo
da parte dell’acquirente e di sottrarsi comodamente alle conseguenze dell'azione commesse pubblicizzando i
prodotti su siti internet»).
4) Cassazione penale, sez. I, 2.3.2017, n. 12328
La circostanza aggravante cui all’art. 61 co. 1 n. 11 quinquies c.p., introdotta dalla legge n. 119/2013, è
configurabile tutte le volte che i minore degli anni diciotto percepisca la commissione del reato e anche quanto
la sua presenza non sia visibile dall’autore il quale, tuttavia, ne abbia la consapevolezza o avrebbe dovuto
averla usando l’ordinaria diligenza.
5) Cassazione penale, sez. II, 25.11.2016, n. 9730
Sussiste l’aggravante dell’abuso di relazioni di prestazione d’opera, di cui all'art. 61 n. 11 c.p., nel caso
di reato commesso quando l’agente non sia più alle dipendenze della persona offesa ove si accerti che l’autore
del reato abbia comunque tratto profitto dalle condizioni favorevoli create dal preesistente rapporto di lavoro.
6) Cassazione penale, sez. I, 7.10.2015, n. 48859
Ai fini del riconoscimento dell’esimente della provocazione nei delitti contro l’onore, non è necessario
che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa
abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio.
In tema di circostanze attenuanti comuni:
7) Cassazione penale, sez. I, 7.10.2016, n. 1089
In tema di omicidio, l’attenuante della provocazione è inapplicabile pur in presenza di fatti
apparentemente ingiusti della vittima allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e così inadeguata
rispetto all’episodio ultimo dal quale trae spunto, da fare escludere la sussistenza di un ragionevole nesso
causale tra offesa, sia pure potenziata per accumulo, e reazione.
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In tema di circostanze attenuanti generiche:
8) Cassazione penale, sez. II, 13.12.2016, n. 54573
Ritenuta la continuazione tra più reati, il giudice può riconoscere le attenuanti generiche solo per alcuni
di essi, con la conseguenza che le attenuanti generiche riconosciute solo per il reato più grave non si estendono
a quelli satellite.
9) Cassazione penale, sez. II, 20.1.2016, n. 3896
In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la ratio della disposizione di cui all’art.
62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva,
essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla
concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai
precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un
giudizio di disvalore sulla sua personalità.
In tema di applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena:
10) Cassazione penale, sez. Unite, 31.3.2016, n. 36272
Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della
sospensione del procedimento con messa alla prova, il richiamo contenuto all’art. 168 bis c.p. alla pena edittale
detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base,
non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle ad effetto speciale e quelle
per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.
In tema di giudizio di comparazione:
11) Corte Costituzionale, ud. 24.2.2016 - dep. 7.4.2016, n. 74, Pres. Frigo, Rel. Lattanzi
È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 69, quarto comma, cod. pen.,
come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo
unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma,
cod. pen. La circostanza prevista dall’art. 73, comma 7, del D.P.R. n. 309 del 1990, espressione di una scelta di
politica criminale di tipo premiale, incentiva mediante una sensibile diminuzione di pena il ravvedimento post-
delittuoso del reo, rispondendo sia all’esigenza di tutela del bene giuridico sia a quella di prevenzione e
repressione dei reati in materia di stupefacenti. Tuttavia, la ratio della suddetta circostanza attenuante risulta
frustrata in modo manifestamente irragionevole dal momento che essa non può operare nel caso di recidiva
reiterata. Attribuendosi, infatti, rilevanza insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo rispetto alla
condotta di collaborazione successiva alla commissione del reato, viene meno quell’incentivo sul quale lo
stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa.
12) Cassazione penale, sez. III, 22.10.2015, n. 44633
Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione
discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione; tale deve ritenersi quella che per
giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a considerarla la più idonea a realizzare l’adeguatezza
della pena irrogata in concreto.
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In tema di circostanze e prescrizione:
13) Cassazione penale, sez. Unite, 27.4.2017, ric. Quarticelli
Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che
comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo (nella specie quella di cui all’art. 609-ter, primo
comma, cod. pen.), non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale. (Informazione
provvisoria).
In tema di furto:
14) Cassazione penale, sez. Unite, 27.4.2017, ric. Quarticelli
In tema di furto, non è configurabile la circostanza aggravante della destrezza quando l’agente si limiti
ad “approfittare” di una situazione oggettiva di temporanea distrazione della persona offesa. (Informazione
provvisoria).
15) Cassazione penale, sez. V, 29.9.2015, n. 1779
Ai fini della configurabilità dell’aggravante della destrezza, la modalità della condotta deve pur sempre
concretizzarsi in un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto-reato, ossia a quanto comunemente
necessario per porre in essere la condotta furtiva, sì da non essere integrata, come nel caso in esame, dal mero
prelievo, senza un approfittamento della disattenzione altrui che nella vendita self service non è configurabile,
della merce esposta negli appositi scaffali e dal suo repentino occultamento. (Nel caso di specie è stata esclusa
l’aggravante de qua nella condotta dell’imputato che aveva tentato il furto di alcuni libri prelevati dagli scaffali
di una libreria e messi in una borsa).
IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO E REATI ASSOCIATIVI
Negli ordinamenti “a legalità formale”, è teoricamente punibile soltanto chi realizza la fattispecie tipica
in tutti i suoi elementi costitutivi: in base alla norma di parte speciale sono soggetti a rimprovero penale solo
quel o quei concorrenti che pongano in essere, ciascuno (e per intero), la condotta tipica.
Tuttavia l’esigenza di non lasciare impunite tutte quelle forme di condotta condizionanti o agevolatrici
della condotta tipica e caratterizzanti le ipotesi di “esecuzione frazionata del reato” ha reso necessario
l’introduzione nell’ordinamento delle regole dettate dagli artt. 110 e seguenti c.p.-
In tale prospettiva, l’art. 110 c.p. svolge una funzione incriminatrice ed insieme di disciplina: attraverso
tale norma, infatti, si rendono “tipiche” e - quindi - punibili, condotte non interamente riconducibili alla
fattispecie di parte speciale.
Al riguardo, si parla perciò di fattispecie del “concorso di persone nel reato”, nascente dalla
combinazione della norma sul concorso (gli artt. 110 e ss. appunto) con la fattispecie incriminatrice
(“monosoggettiva”) di parte speciale.
Viceversa, i reati plurisoggettivi in senso proprio (altrimenti detti “a concorso necessario”) si
caratterizzano per il fatto che è la stessa norma di parte speciale che richiede, ai fini della integrazione del reato,
la presenza di più soggetti attivi (v. ad es. i c.d. reati associativi).
Problema interpretativo centrale, nell’ambito del tema del concorso di persone nel reato, concerne
proprio la rilevanza penale dei c.d. “contributi atipici”.
Aspetto in relazione al quale – stante la mancata compiuta tipizzazione legislativa degli elementi
costitutivi della “partecipazione concorsuale” – le diverse opzioni ricostruttive devono necessariamente
conciliarsi con i principi generali del diritto penale: in particolare, con il principio di tassatività (quale
corollario del principio di legalità), poiché sarebbe incoerente esigere che la fattispecie monosoggettiva sia
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individuabile – in termini di tipizzazione – con un ragionevole grado di certezza, e lasciare indefinita quella
plurisoggettiva; con il principio di materialità, in quanto ciascun concorrente deve porre in essere un
comportamento materiale esteriore; ed infine con il principio di responsabilità personale, in quanto il
comportamento medesimo deve concretizzarsi in un contributo rilevante, sul piano materiale o morale, alla
realizzazione del reato.
GIURISPRUDENZA
Sul concorso materiale e morale:
1) Cassazione penale, sez. IV, 5.4.2017, n. 21911
Al fine di dimostrare il contributo concorsuale, è anche sufficiente cogliere gli aspetti sintomatici atti a
giustificare la condotta del presunto concorrente come consapevole partecipazione criminosa - morale o
materiale - alla condotta criminosa. (Fattispecie in tema di associazione finalizzata al traffico internazionale di
stupefacenti).
2) Cassazione penale, sez.VI, 7.12.2016, n. 2668
Il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze
stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del
colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve - salvo che non sia diversamente
previsto - in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale.
3) Cassazione penale, sez. II, 20.10.2016, n. 48029
Ai fini dell’accertamento del concorso di persone nel reato, il giudice di merito non è tenuto a precisare
il ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell’ambito dell’impresa criminosa, essendo sufficiente
l’indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero convincimento
dell’esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall’agente alla realizzazione
del reato.
4) Cassazione penale, sez. VI, 21.7.2015, n. 36941
Il principio della pari responsabilità dei concorrenti accolto dall’art. 110 c.p., (“quando più persone
concorrono nel medesimo reato, ciascuna soggiace alla pena per questo stabilita”) non significa che l’interprete
sia esentato dall’individuare l’autore o i coautori del reato, ovvero di colui o di coloro che materialmente ne
compiono l’azione tipica. L’istituto disciplinato dall’art. 110 c.p., postula, infatti, la necessaria esistenza di uno
o più autori rispetto alla fattispecie monosoggettiva e l’impossibilità di individuarli, attribuendo però la
responsabilità a soggetti terzi a titolo di concorso, finisce per tradursi in una sorta di responsabilità oggettiva, di
sistema o di contesto come nella presente fattispecie, contrastante come anzidetto con il principio di personalità
della responsabilità. Ove, infatti, risulti impossibile attribuire all’imputato specifiche condotte materiali,
l’attribuzione a suo carico di una responsabilità a titolo di concorso morale passa attraverso la nota figura
dogmatica della partecipazione psichica, che può avere luogo secondo diverse modalità tanto nella fase ideativa
quanto in quelle preparatorie o esecutive del reato, sotto forma di istigazione o di rafforzamento della
determinazione criminosa dell’agente, ma sempre in rapporto ad uno o più autori materiali del reato.
5) Cassazione penale, sez. I, 21.1.2015, n. 7845
In tema di concorso di persone nel reato, nel caso in cui all’imputato sia stata contestata sia la
partecipazione materiale al fatto delittuoso che quella morale, la condanna solo per quest’ultima non comporta
una pronunzia assolutoria parziale rispetto al contributo materiale al reato, poiché la statuizione sul ruolo
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assunto dal giudicabile non costituisce punto di decisione, in relazione al quale può formarsi una preclusione
processuale o può operare il divieto di reformatio in peius.
6) Cassazione penale, sez. III, 16.5.2013, n. 39784
Ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume
rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche
quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione,
sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è
sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un
contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o
l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a
facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato.
Sul concorso materiale mediante omissione:
7) Cassazione penale, sez. V, 14.1.2016, n. 18985
I componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta commesso dall’amministratore
della società anche per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2403 c.c. e ss.,
che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli
amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della
gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali.
8) Cassazione penale, sez. I, 23.9.2013, n. 43273
È configurabile il concorso per omissione, ex art. 40, co. 2, c.p., rispetto anche ai reati di mera condotta,
a forma libera o vincolata.
Sul solo concorso morale:
9) Cassazione penale, sez. VI, 5.7.2013, n. 39030
Riguardo alla forma della istigazione, occorre che il soggetto a cui tale condotta è addebitata faccia
sorgere in altri il proposito criminoso ovvero soltanto lo rafforzi, di modo che se manca la prova sul punto la
partecipazione morale al delitto non può essere data per presunta solo perché vi è un generico interessamento a
che si realizzi l’evento vietato, dovendosi sempre dare conto degli elementi fattuali dai quali ricavare
l’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa, preparatoria od esecutiva del reato, precisando sotto
quale forma essa si sia concretamente manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in
essere dagli altri concorrenti. (Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di
condanna nei confronti di un politico che, nell’ambito della nomina di un dirigente di una struttura sanitaria,
aveva manifestato in maniera certa il proprio interessamento a che il soggetto, poi ingiustamente nominato dal
direttore generale, fosse preferito agli altri legittimi concorrenti).
Su concorso e connivenza:
10) Cassazione penale, sez. VI, 6.12.2016, n. 1986
Per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in
essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato,
mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il
partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della
produzione del reato. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità del concorso nel
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delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 sulla base della mera presenza dell’imputato all’interno di
un’autovettura, appartenente ad altri ed in cui viaggiava quale passeggero, nella quale era stata rinvenuta
sostanza stupefacente occultata all’interno del cruscotto).
11) Cassazione penale, sez. III, 22.9.2015, n. 41055
In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, integra la connivenza non punibile una condotta
meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla
realizzazione dell’illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in
cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all’altrui condotta criminosa, anche in forme che
agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha
escluso che fosse sufficiente per configurare il concorso nella detenzione di sostanza stupefacente
l’accertamento di un rapporto di coabitazione nell’appartamento in cui la droga era custodita, non ravvisando a
carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p.).
12) Cassazione penale, sez. VI, 6.11.2013, n. 46488
La partecipazione nel reato può manifestarsi in forme di “presenza”, sempre che le stesse agevolino la
condotta illecita, anche solo assicurando all’altro concorrente stimolo all’azione o a un maggior senso di
sicurezza nella propria condotta, e palesino una chiara adesione dell’agente alla condotta delittuosa. Occorre
insomma un contributo causale, seppure in termini minimi di “facilitazione” della condotta delittuosa, mentre la
semplice conoscenza o anche l'adesione morale, l'assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non
realizzano la fattispecie concorsuale .
Sull’elemento soggettivo:
13) Cassazione penale, sez. V, 26.6.2015, n. 44402
La responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica
sull’evento finale perseguito da altro dei concorrenti, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato
con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso.
(Fattispecie in cui l’imputato era accusato in relazione ai delitti di cui agli artt. 110, 81, 610, c.p. per essere
stato presente mentre la di lui convivente aveva minacciato la persona offesa).
14) Cassazione penale, sez. V, 18.3.2015, n. 36000
Vi è concorso di persone nel reato anche laddove il contributo causale offerto dal concorrente non sia
preceduto da un accordo con altri e anche se non vi è reciproca consapevolezza della sua prestazione. È
sufficiente, infatti, la consapevolezza unilaterale del contributo alla condotta di un altro soggetto, ancorché
questi sia ignaro dell’aiuto prestatogli. Non ricorre la violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza se ad una contestazione monosoggettiva segua una condanna per lo stesso fatto a titolo di concorso
con altri.
Sul concorso colposo nel reato doloso:
15) Cassazione penale, sez. IV, 27.4.2015, n. 22042
Il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta
colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell’evento secondo lo schema del concorso di cause
indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purché, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia
previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in
particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell’atto doloso del terzo
e la prevedibilità per l’agente dell’atto del terzo. (In applicazione del principio, la Corte di Cassazione ha
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ritenuto configurabile il concorso colposo del medico nel delitto doloso di omicidio commesso dal paziente,
suicidatosi nelle immediatezze del fatto, avendo egli, attestato, contrariamente al vero, che l’imputato non era
affetto da turbe psicofisiche, così da consentirgli di ottenere il porto d’armi).
Sulla circostanza attenuante ex art. 114 c.p.:
16) Cassazione penale, sez. VI, 11.4.2017, n. 22560
Per integrare la circostanza attenuante della minima partecipazione ex art. 114 c.p. non basta una
minore efficacia causale della condotta di un correo rispetto a quella degli altri, ma occorre che il
suo contributo sia stato del tutto marginale nella realizzazione del reato, tale che la sua mancanza non avrebbe
comportato apprezzabili conseguenze sullo sviluppo della serie causale produttiva dell’evento. In questa
prospettiva non basta comparare le condotte dei vari concorrenti, ma occorre anche accertarne - valutando tutte
le componenti (soggettive, oggettive e ambientali) concrete del fatto - il grado di efficienza causale rispetto alla
produzione dell’evento.
17) Cassazione penale, sez. III, 14.9.2016, n. 47968
La circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, di cui all’art. 114, co. 1,
c.p., presupponendo un apporto differenziato nella preparazione o nell’esecuzione materiale del reato stesso,
non è applicabile ai reati omissivi in quanto il non facere è concetto ontologicamente antitetico alla sussistenza
dei requisiti richiesti per il suo riconoscimento.
Sul mero accordo a commettere un reato, non punibile ex art. 115 c.p.:
18) Cassazione penale, sez. IV, 15.10.2013, n. 46752
Non può considerarsi punibile il c.d. “tentativo di concorso”, cioè l’attività, svolta al fine di realizzare
un concorso nel reato, non seguita dalla commissione del reato medesimo, consumato o tentato. (La Corte di
Cassazione conferma tale assunto, desumibile dal disposto di cui all’art. 115 c.p., per cui il mero accordo e la
semplice istigazione – benché possano essere “indici” di pericolosità sociale dei soggetti – rappresentino nel
nostro ordinamento un quid minoris del tentativo punibile. Nel caso di specie, in particolare, la Corte ha
ritenuto di alcuna rilevanza penale – neppure sotto la forma del tentativo – la condotta di due soggetti i quali
avevano concordato un trasporto di droga dall’estero, intento criminoso successivamente non realizzato. Tale
condotta, tuttavia, caratterizzata da evidenti tratti di pericolosità sociale, è apparsa alla Corte di Cassazione tale
da giustificare, ai sensi dell’art. 115 c.p., l’applicazione a carico degli imputati della misura di sicurezza della
libertà vigilata).
19) Cassazione penale, sez. I, 5.7.2013, n. 35778
Si configura nei confronti del mandante di un omicidio l’ipotesi prevista dall'art. 115 c.p. nel caso in
cui l’esecutore materiale desista dall’azione senza porre in essere alcuna attività penalmente rilevante.
Sul concorso di persone nel reato associativo:
a) sull’ammissibilità del c.d. concorso esterno:
20) Cassazione penale, sez. I, 13.5.2016, ord. n. 670
Nel reato di cui all’art. 416 c.p. non è configurabile responsabilità a titolo di concorso esterno giacché o
il presunto concorrente (esterno), nel porre in essere la condotta oggettivamente vantaggiosa per l’associazione,
è animato dal dolo specifico proprio di chi voglia consapevolmente contribuire a realizzare i fini per i quali il
sodalizio stesso è stato costituito ed opera, ed allora egli non potrà in alcun modo distinguersi dal partecipante a
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pieno titolo; ovvero, mancando nell’agente il dolo specifico detto, la condotta dal medesimo posta in essere,
favoreggiatrice ovvero agevolatrice, dovrà necessariamente essere riguardata come strutturalmente e
concettualmente distinta e separata dal reato associativo (semplice). (Con tale ordinanza la Prima Sezione della
Corte di Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato, al fine di
veder chiarito se fosse o meno applicabile l’istituto del concorso esterno alla fattispecie di cui all’art. 416 c.p.-
Le interessanti riflessioni contenute nell’ordinanza sono però state rigettate in toto dal Primo Presidente della
Corte di Cassazione, il quale con l’Ordinanza di restituzione degli atti del 13.10.2016 ha chiarito l’assoluta
ammissibilità nell’ordinamento italiano dell’applicazione degli artt. 110 e seguenti c.p. al delitto di cui all’art.
416 c.p.- Per un recente contributo sul tema, v. Alessandro Centonze, Il concorso eventuale nei reati associativi
tra vecchi dubbi e nuove conferme giurisprudenziali, in Dir. pen. contemporaneo ed. online, 12 dicembre
2016).
b) sul concorso esterno in associazione di tipo mafioso:
21) Corte europea diritti dell’uomo, sez. IV, 14.4.2015, n. 66655/13, Contrada c. Italia
Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un’evoluzione della
giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e quindi la legge non era
sufficientemente chiara e prevedibile per il ricorrente nel momento in cui avrebbe commesso i fatti
contestatigli, con conseguente impossibilità di conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la
responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti.
L’applicazione del delitto di concorso esterno in associazione di stampo mafioso per fatti anteriori alle
sentenze che hanno contribuito all'origine della fattispecie incriminatrice lede il principio di legalità. (Ma v.
contra Cassazione penale, sez. V, 14.9.2016, n. 42996; Cassazione penale, sez. II, 13.4.2016, n. 18132;
Cassazione penale, sez. V, 14.3.2016, n. 28676. Sul punto v., ex plurimis, Paola Maggio, Nella “revisione
infinita” del processo Contrada i nodi irrisolti dell’esecuzione delle sentenze C.E.D.U. e del concorso esterno
nel reato associativo, in Cass. Pen., 2016, IX, p. 3432 ss.; nonché, anche in tema di rapporto tra ordinamento
interno e Corte E.D.U., v. la Requisitoria della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, § 5 [pubblicata
su giurisprudenzapenale.it] depositata sempre in riferimento all’affaire Contrada in occasione dell’udienza del
20.1.2017 - a seguito della quale è stata pronunciata la sentenza Cass. pen., sez. V, 20.1.2017, n. 9439 -).
22) Cassazione penale, sez. II, 13.4.2016, n. 18132
In tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del dolo diretto
occorre che l’agente, pur in assenza dell’ affectio societatis e, cioè, della volontà di far parte dell’associazione,
sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa nonché dell’efficacia causale della propria attività di sostegno
per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, essendo a tal fine sufficiente che egli abbia
previsto ed accettato tale effetto come risultato non solo possibile, bensì certo, o comunque altamente
probabile, della propria condotta.
23) Cassazione penale, sez. V, 13.10.2015, n. 2653
La fattispecie di “concorso esterno” in associazione di tipo mafioso non costituisce un istituto di
creazione giurisprudenziale, bensì è conseguenza della generale funzione incriminatrice dell’art. 110 c.p., che
trova applicazione al predetto reato associativo qualora un soggetto, pur non sensibilmente inserito nella
struttura organizzativa del sodalizio (ed essendo quindi privo dell’affectio societatis), fornisce alla stessa un
contributo volontario, consapevole, concreto e specifico che si configuri come condizione necessaria per la
conservazione ed il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione.
24) Cassazione penale, sez. I, 10.7.2015, n. 49067
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In tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la condotta del soggetto estraneo
all’associazione è punibile se la condivisione da parte dello stesso delle finalità perseguite dal gruppo si sia
tradotta in un concreto ausilio alla realizzazione di uno o più degli scopi tipici del programma criminoso del
sodalizio.
25) Cassazione penale, sez. VI, 25.2.2010, n. 7651
La veste di concorrente “esterno” è assunta da chi, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa
dell’associazione mafiosa e privo dell’ affectio societatis (che quindi non ne “fa parte”), fornisce tuttavia un
concreto, specifico, consapevole e volontario contributo. Deve tuttavia trattarsi di apporto che abbia
un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative
dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “Cosa nostra”, di un suo particolare settore e ramo
di attività o articolazione territoriale) e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma
criminoso della medesima. Pertanto, per la configurabilità dell’autonoma fattispecie di concorso “eventuale” o
“esterno” nei reati associativi, è richiesto: I) che sussistano tutti i requisiti strutturali che caratterizzano il nucleo
centrale significativo del concorso di persone nel reato; II) che il dolo del concorrente esterno investa, nei
momenti della rappresentazione e della volizione, da un lato tutti gli elementi essenziali della figura criminosa
tipica, e dall’altro, il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto,
con la consapevolezza e la volontà di interagire, sinergicamente, con le condotte altrui nella produzione
dell’evento lesivo del “medesimo reato”; III) che l’indagine sulla responsabilità si sviluppi - in ogni caso - con
un accertamento di natura causale, che viene così a svolgere una funzione selettiva delle condotte penalmente
rilevanti e per ciò delimitativa dell’area dell’illecito; IV) che il criterio di imputazione causale dell’evento,
cagionato dalla condotta concorsuale (attesa la natura preminentemente induttiva dell’accertamento e del
ragionamento inferenziale nel giudizio penale), costituisca il presupposto indispensabile di tipicità della
disciplina del concorso di persone nel reato in quanto integra la fonte ascrittiva della responsabilità del singolo
concorrente; V) che, quindi, non sia affatto sufficiente che il contributo atipico - con prognosi di mera
pericolosità ex ante - venga considerato idoneo ad aumentare la probabilità o il rischio di realizzazione del fatto
di reato, qualora poi esso, con giudizio ex post, si riveli per contro ininfluente o addirittura controproducente
per la verificazione dell’evento lesivo; VI) che anche la promessa e l’impegno del politico di attivarsi, una volta
eletto, a favore della cosca mafiosa integrano, in linea di principio, gli estremi del contributo atipico del
concorrente eventuale nel delitto associativo, a prescindere dalle successive condotte di esecuzione
dell’accordo, valutabili sotto il profilo probatorio, a condizione peraltro che sia provato che tale patto elettorale
politico-mafioso abbia prodotto risultati positivi, qualificabili in termini di reale rafforzamento o
consolidamento dell’associazione mafiosa; VII) che, al contrario, laddove risulti indimostrata l’efficienza
causale dell’impegno e della promessa di aiuto del politico, sul piano oggettivo del potenziamento della
struttura organizzativa dell’ente non sia consentito convertire surrettiziamente la fattispecie di concorso
materiale oggetto dell’imputazione in una sorta di - apodittico ed empiricamente inafferrabile - contributo al
rafforzamento dell’associazione mafiosa in chiave psicologica: nel senso che, in virtù del sostegno del politico,
risulterebbero comunque sia aumentato “all’esterno” il credito del sodalizio nel contesto ambientale di
riferimento (ove tuttavia non si accerti e si definisca “occulto” l’accordo) che rafforzati “all’interno” il senso di
superiorità e il prestigio dei capi e la fiducia di sicura impunità dei partecipi.
Dott. Riccardo Di Girolamo
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