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BREVI NOTE SUGLI ONERI DI ALLEGAZIONE E SUI POTERI
INTEGRATIVI DEL GIUDICE NEL RITO DEL LAVORO E DELLE
LOCAZIONI
1.- osservazioni generali
2- il regime delle eccezioni nei riti speciali del lavoro e delle locazioni
3- preclusioni e poteri istruttorii ex officio del giudice
4- il regime delle produzioni documentali
1. - Il rito speciale del lavoro, introdotto con la L. 1.5.1973 n.533, si
caratterizza -come noto - per un forte recupero dei principi dell'oralità, della
concentrazione e dell'immediatezza di ispirazione chiovendiana 1, al chiaro fine di
rimediare alle gravissima storture del rito ordinario all'epoca vigente2.
1 Si è giustamente rilevato (MANDRIOLI, Diritto processuale civile, volume III, 485), come " … nel processo del lavoro, l'accelerazione dell'iter cognitivo è … conseguita attraverso una serie di caratteristiche che investono l'intero svolgimento del processo ma che possono ricondursi ad un impiego particolarmente incisivo della tecnica delle preclusioni nonché dell'iniziativa istruttoria del giudice, nell'ambito dei classici orientamenti chiovendiani dell'oralità, concentrazione e immediatezza. E ciò con modalità in buona parte coincidenti (talora addirittura attraverso l'impiego delle medesime parole) con quelle che caratterizzavano il processo delineato (e mai praticamente attuato) dal codice del 1940 ". 2 Come si è osservato, la specialità del rito del lavoro è tuttavia relativa. TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987, rileva efficacemente che il processo del lavoro è il " processo ordinario in materia di lavoro ", essendo soggetto alle disposizioni generali del libro primo del codice e a quelle dettate per il processo davanti al pretore richiamate dall'articolo 311, " in quanto applicabili ". In altre parole, il processo del lavoro è speciale solo quanto alle forme, ove comparato a quello ordinario assunto come modello tipico. E’ indubbio, peraltro, che la disciplina del procedimento di cognizione ordinario costituisca, in assenza di una specifica disciplina e nei limiti indicati, il naturale complemento del processo speciale del lavoro. Così pure MANDRIOLI, Diritto processuale civile, volume III, Torino, tredicesima edizione, 484. Cass. 1° marzo 1988, n. 2166, in Foro it., 1988, I, 2613, con nota di A. PROTO PISANI, ha precisato che «pur nella più accentuata autonomia che ‘il processo del lavoro’ ha assunto nel sistema introdotto dalla citata l. 11 agosto 1973 n. 533, questo processo resta . . . strumento di cognizione ordinaria, inserito nel più ampio sistema del codice di procedura civile, ove la sua nota carenza di autonomia normativa trova la necessaria integrazione, cosicché, salva diversa disposizione, debbono ritenersi ad esso applicabili, oltre alle norme generali del libro primo del codice di procedura civile, quelle sul processo civile di cognizione (libro secondo), se ed in quanto compatibili con le peculiarità strutturali, non escluso il regime generale delle nullità (art. 156, 162, 164)». Così anche S.U. 13 maggio 2004 n.11353, inedita.
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Gli effetti della novella del '50 sul buon andamento della giustizia civile sono sotto
gli occhi di tutti. Ancora oggi le strutture giudiziarie soffrono il peso dell'enorme
contenzioso civile sviluppatosi in modo incontrollato fino al 1995, grazie alla
sostanziale soppressione di ogni filtro preclusivo alle facoltà di allegazione,
eccezione e produzione attribuite alle parti.
Il lassismo di quella controriforma agevolò l'abnorme dilatazione della trattazione
(nella sua più ampia accezione di formazione del thema decidendum e del thema
probandum), favorendo l'innesco di una sequela di infiniti rinvii destinati a
consentire l'allegazione illimitata di fatti ed eccezioni nuove, la produzione di nuovi
documenti, la formulazione di nuove prove (con le inevitabili controdeduzioni
dell'avversario), il tutto persino in sede di precisazione delle conclusioni e, magari,
dopo anni di udienze.
Ben poco spazio vi era, poi, per prassi virtuose volte ad arginare la deriva
giudiziaria3.
Non è questa la sede per una compiuta rassegna dei caratteri essenziali
del procedimento speciale in esame né - a dire il vero - se ne sente il bisogno, stante
l'amplissima ed esaustiva manualistica. Ai fini della riflessione odierna è
sufficiente, piuttosto, ricordare che il legislatore del 1973, muovendo dalla rilevanza
costituzionale dei diritti soggettivi dei lavoratori e dalla avvertita necessità di
approntare per essi un agevole strumento di tutela giudiziaria, ha dato vita ad una
profonda riforma destinata ad incidere principalmente su due versanti :
3 Va peraltro ricordato come la magistratura più avveduta facesse uso dell'articolo 244, ultimo comma, c.p.c., ora abrogato, onde assegnare alle parti un termine perentorio per l'integrazione e/o la formulazione della prova costituenda, al chiaro fine di far cessare i meccanismi dilatori appena menzionati. Sull'argomento, in generale, vedi FABBRINI, Diritto processuale del lavoro, Milano, 1974; TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987; VOCINO-VERDE, Appunti sul processo del lavoro, Napoli, 1979; per un'efficace sintesi della storia della giustizia del lavoro nel nostro paese è utile lo scritto di PROTO-PISANI , " Il rito speciale ", in PROTO-PISANI, PEZZANO-BARONE-ANDRIOLI, Le controversie in materia di lavoro, Bologna e Roma, 1974, seconda edizione, 1987.
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- rapida formazione del thema decidendum, mediante la previsione bilaterale
dell'onere di completa allegazione dei fatti di cui all'articolo 2697, commi primo e
secondo, cod civ., già al momento della costituzione in giudizio (con, in più, per il
resistente, l'onere di costituirsi tempestivamente quale presupposto per l'esplicazione
piena della facoltà di impugnare il diritto vantato dal creditore e di introdurre - a sua
volta-contropretese;
- (tendenziale) completezza iniziale del thema probandum, mediante la previsione
del simmetrico onere per le parti di articolare la prova e di produrre i documenti già
con le primissime difese.
Peraltro, accanto a questo reticolo di oneri processuali sanciti a pena di
decadenza e dei quali si verrà a dire, il legislatore ha opportunamente previsto, a fini
spiccatamente correttivi e riequilibratori, l'attribuzione al giudicante di ampi poteri
volti a sanare le eventuali irregolarità compiute dalle parti (articolo 421, comma
primo, cpc: " il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti ed
i documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi,
salvo gli eventuali diritti quesiti ") , come pure al completamento “ex officio” del
thema probandum ( articolo 421, commi secondo e terzo, c.p.c. ), il tutto con effetti
di intuibile efficacia mitigatoria della severe preclusioni descritte.
Fin dalle prime battute applicative, la più attenta dottrina ha avuto modo di mettere
in luce non tanto - come di primo acchitto verrebbe da pensare - il potenziale
conflitto tra il sistema di perenzioni descritto e i poteri di intervento officioso del
giudice nel processo di formazione della prova, quanto piuttosto la loro non agevole
armonizzazione .
Va ancora ricordato che, dopo la riforma processuale della cognizione ordinaria
introdotta con la L. n. 353/90 e con la novella del '95 , molte delle peculiarità del rito
del lavoro e delle locazioni, proprio perché estese oramai anche al rito ordinario,
hanno finito per divenire - più semplicemente - espressione "speciale " di un
principio generale valevole per ogni forma di cognizione. Anche il rito ordinario,
difatti, grazie al reticolo degli artt. 167, 269, 180, 183, 184, 345 cpc, conosce, in
relazione al progredire del processo, la progressiva restrizione delle facoltà di
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allegazione e di introduzione della prova riconosciuta alle parti, sino a giungere alla
definitiva preclusione 4.
Inoltre, anche nel rito ordinario riformato entrano in scena le ordinanze anticipatorie
(articoli 186 bis e ter c.p.c. ), sulla scia di quanto contemplato dagli articoli 423,
commi primo e secondo, cpc, in tema di pagamento di somme non contestate e di
provvisionali.
Il rito del lavoro ha visto, pertanto, stemperare l'originaria specificità, ditalché può
essere senz'altro condiviso l'assunto per cui esso altro non è che il modulo di
cognizione ordinaria per le controversie di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c. e per quelle
di cui all’articolo 447 bis c.p.c. (locazione e comodato di immobili urbani, affitto
d'azienda) 5.
L'evoluzione generale del sistema processuale evidenziata dal ricordato parallelismo
fornisce , dunque, l’occasione per una valutazione di più ampio respiro sulle linee
evolutive del rapporto tra preclusioni (assertive e istruttorie), da un lato, e poteri
inquisitorii del giudice, dall’altro.
Chiara, intanto, è la ratio dell’estensione del modello processuale delle controversie
del lavoro a quelle in materia di locazione, di affitto d’azienda e di comodato:
4 La diluizione del meccanismo preclusivo rispetto a quanto previsto per i riti speciali risulta evidente. Tuttavia, la soluzione “attenuata” appare un accettabile compromesso, avuto riguardo alla estrema eterogeneità delle materie da trattarsi con il rito ordinario. Cass. S.U. 13 maggio 2004 n.11353 parla di " sostanziale avvicinamento dei due riti " a seguito della novella della L. 26.11. 1990 n.353, " avendo il processo ordinario ora acquisito numerose delle caratteristiche che avevano segnato la specificità della legge 11.8. 1973 n.533 " . 5 TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987, 42; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, volume III, Torino, 2000, 485, in nota 2, osserva : " In realtà, quanto e come la nuova disciplina del processo ordinario si sia ispirata alla disciplina del processo del lavoro è rilievo che abbiamo più volte compiuto nel presentare la suddetta nuova disciplina del processo di cognizione. Le sole perplessità, a questo riguardo, concernono anzi una forse eccessiva disinvoltura nel trapianto, nel processo ordinario, di strumenti e meccanismi non sempre adatti ad oggetti sostanziali talora complessi delicati. ". Una approfondita disamina dell'influenza esplicata dal processo del lavoro sul rito civile ordinario riformato viene da VACCARELLA , Il processo civile riformato ed il processo del lavoro, in Studi in onore di C. MANDRIOLI, I, Milano, 1995, 425 e ss. ; in argomento v. anche , da ultimo, per un’utile sintesi delle principali problematiche, A. CARRATO, Riflessioni generali sulle particolarità della fase istruttoria del processo locatizio, in Rassegna delle locazioni del condominio, 2002, 473 e seguenti.
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si ha riguardo, invero, in ambo le categorie, a fenomeni contrattuali caratterizzati da
uno spiccato intervento eterointegrativo e cogente del legislatore, in difesa del c.d.
“contraente debole” (individuato rispettivamente nel lavoratore e/o nel conduttore-
affittuario6) .
L'affinità concettuale dei contratti in questione (quanto a tipologia dei soggetti
tutelati), unità alla consapevolezza della sicura qualità tecnica del modello
processuale introdotto dalla L. 533/1973 ai fini di una sollecita tutela giurisdizionale
dei relativi diritti, ha giustificato, quindi, l'operazione estensiva del legislatore.
Si è seguita, in questa prospettiva, la tecnica del rinvio recettizio: l'articolo 447 bis
cpc richiama, difatti, l'impianto principale del rito lavoristico, ancorché con talune
attenuazioni in materia di poteri istruttori d’ufficio ( il giudice può difatti ammettere
ogni mezzo di prova, nel rispetto, tuttavia, dei limiti per ciascuno di essi contemplati
dal codice, diversamente da quanto previsto per il giudice del lavoro), nonché in
materia di ordinanze anticipatorie (non essendo richiamato l'art. 423, comma
secondo, cpc., quanto al potere del giudice di pronunciare il pagamento di una
somma a titolo provvisorio " quando ritenga il diritto accertato nei limiti della
quantità per cui ritiene già raggiunta la prova")7.
Un primo esame generale dei caratteri della disciplina speciale del
lavoro e delle locazioni consente di rilevare come il combinato disposto degli
articoli 414 n.4 , 420 e 416 c.p.c., chiami entrambe le parti - fin dalla prima difesa
( ricorso e memoria difensiva di costituzione e risposta) - ad importanti attività
assertive ed istruttorie la cui inosservanza viene sanzionata con la decadenza 8.
6 Meno agevole è la spiegazione dell’estensione con riferimento alle controversie in tema di affitto d’azienda e di comodato. 7 Peraltro, richiamato quanto sopra in ordine alla naturale tendenza del rito ordinario ad espandersi, in quanto compatibile, nelle aree lasciate libere dal rito speciale, non vi sono ostacoli all'applicazione dell'articolo 186 ter cpc (in materia di ordinanza-ingiunzione) anche davanti al giudice delle locazioni e del lavoro. La ratio anticipatoria della norma appare, difatti , pienamente compatibile con le finalità proprie del rito speciale locativo. 8 Come è noto, Corte cost. n.13/1997 (in Foro it. , 1977, I, 259) ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell'articolo 418 c.p.c., sotto il profilo della disparità di trattamento dell'attore rispetto al convenuto. Il Giudice delle Leggi , argomentando sulla scorta dei commi primo e quinto dell'articolo 420 cpc, ha difatti ravvisato una disciplina paritaria degli oneri gravanti sulle parti.
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Molto sinteticamente, sul ricorrente gravano gli oneri di esporre i fatti e gli
elementi di diritto sui quali fonda la domanda, unitamente alle relative conclusioni
(articolo 414); sul resistente, di costituirsi tempestivamente al fine di proporre le
eventuali domande riconvenzionali nonché di sollevare le eccezioni (processuali e di
merito) non rilevabili d'ufficio (articolo 416 cpc) 9.
Il convenuto deve, altresì, prendere posizione " in maniera precisa e non limitata ad
una generica contestazione " in ordine ai fatti di causa dedotti dal ricorrente.10
L'assetto che ne emerge è caratterizzato, quindi, da uno statuto processuale simmetrico per il ricorrente ed il resistente quanto ad oneri di allegazione e a preclusioni. In tal senso si era già espressa la dottrina: per tutti vedi TARZIA, op. cit., 68. Anche il ricorrente, pertanto, laddove non indichi nel ricorso introduttivo i propri mezzi istruttori, si esporrà – in forza dell’intervenuta decadenza - più che alla decadenza, al "rischio di mancata prova " , per quanto si verrà a dire circa i poteri correttivi ed integrativi del giudicante. 9 Le Sezioni Unite, con sentenza 3.2.1998 n.1099 (in Foro it. 1998, I, 764 e in Giust. Civ., 1998, I, 645, con nota CENTOFANTI), hanno enunciato il principio dell'eccezionalità (si perdoni il gioco di parole) delle eccezioni in senso stretto, individuandole in quelle così qualificate espressamente dalla legge ovvero in quelle afferenti l'esercizio di diritti potestativi riservati all'esclusiva volontà della parte che ne sia titolare (ad esempio, le eccezioni di annullamento, di incompetenza, di compromesso in arbitri della lite, eccetera). Ne consegue la tendenziale rilevabilità ex officio della generalità delle eccezioni di parte, con intuibili riflessi sull'an e sul quomodo della facoltà di impugnazione del diritto attoreo da parte del convenuto. 10 Tralascio deliberatamente, per carenza di spazio, il controverso tema dell'onere di contestazione gravante sul resistente ai sensi dell'articolo 416, comma terzo, cpc, così come quello delle conseguenze derivanti dal suo mancato assolvimento. Giova, peraltro, ricordare che se, da un lato, è per lo più costante l'affermazione per cui, in difetto di previsione espressa, deve essere esclusa la sanzione della decadenza dalla facoltà di proporre mere difese laddove il resistente si sia limitato a contestazioni generiche (così, ad esempio, Cass. 6.2.1990 n.815), dall'altro - sul versante della rilevanza di tale condotta omissiva - la giurisprudenza di legittimità, escluso parimenti che la mancata contestazione possa essere equiparata, quanto ad effetto probatorio, ad una confessione o ad un'ammissione (Cass 19.8.1996 n.7630) , oscilla tra la tesi per cui il ricorrente resterebbe comunque gravato dell'onere di dimostrare i fatti costitutivi della propria domanda ai sensi dell'articolo 2697 cod civ (per tutte cfr. Cass. 19.6. 1987 n.5415) e quella, pragmatica (e a mio avviso maggiormente aderente al principio della ragionevole durata del processo di cui all'art.111 c.p.c.), per cui nel rito del lavoro la pacificità dei fatti costitutivi della domanda può derivare dalla mancata contestazione di essi nella memoria difensiva di primo grado e d'appello (così, ad esempio, Cass 11.2.2002 n.1902 e 24.11.1998 n.11919; per la " … tendenziale irreversibilità della non contestazione del fatto costitutivo del diritto ", finalizzata a far sì che all'udienza di discussione la causa giunga delineata in modo compiuto per quanto attiene all'oggetto e alle esigenze istruttorie, la recentissima pronuncia di S.U. 13.5-17.6. 2004 n.11353, inedita), cui va aggiunta l'ipotesi di difese concettualmente incompatibili con la contestazione di quei fatti (cfr. Cass. 20.1.1997 n.551; si pensi, ancora, alla difesa del convenuto fondata unicamente sulla prescrizione del credito: in tal caso è del tutto ragionevole ritenere che l'attore non debba fornire la dimostrazione del fatto costitutivo del credito, dovendo piuttosto assolvere la prova di avere interrotto la prescrizione).
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Entrambi, poi, a pena di decadenza, devono indicare i mezzi prova dei quali
intendono avvalersi e "in particolare" i documenti che devono parimenti depositare
contestualmente al deposito dei rispettivi atti difensivi.
Questo sistema, improntato alle ricordate regole chiovendiane dell’oralità,
concentrazione ed immediatezza (vieppiù accentuate dalla monocraticità del
giudicante), si muove nell’evidente direzione della “ragionevole durata del
processo”. Esso prevede, tuttavia, come anticipato, un peculiare sistema di
ammortizzatori processuali destinato, nella sostanza, ad assicurare alla cognizione
non solo speditezza ma anche maggiore aderenza al dato reale, con felice
premonizione del principio del “giusto processo regolato dalla legge” di cui
all’art.111, comma primo, Cost.
Le parti, in effetti, previa autorizzazione del giudice (diversamente da quanto accade
nel rito ordinario: art.183, u.c., c.p.c.), possono essere ammesse ad esercitare la
facoltà - prudente e ragionata - di emendatio libelli (articolo 420, comma I: " le
parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e
conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice "), possono proporre
eccezionalmente nuovi mezzi di prova, tanto in prime cure (ove non abbiano potuto
farlo prima: articolo 420 comma quinto) quanto in appello (purché “indispensabili”
ai fini della decisione: art.437 c.p.c.), fermo restando il diritto al rispetto del
contraddittorio mediante assegnazione alla controparte di un termine perentorio per
la formulazione delle prove necessarie in relazione a quelle ammesse, vuoi ai sensi
dell'articolo 420, comma 7, cpc (sicuramente operante in prime cure), vuoi, più in
generale dell’art.412, comma I, c.p.c., laddove si ritenesse il primo inapplicabile nel
giudizio di impugnazione per mancato richiamo11
Vi è spazio, tuttavia, per una sintesi tra le due posizioni, nel senso che, laddove - a fronte di contestazioni del tutto generiche - si riconosca , come si crede, la persistente facoltà del convenuto di introdurre ulteriori eccezioni improprie nel corso del giudizio, sorgerà in campo al ricorrente il rinnovato interesse all’espletamento di prove tempestivamente proposte, in ordine alle quali egli aveva soprasseduto in ragione della silente condotta processuale dell'avversario. 11 Cass. 6841/96 ravvisa nell'art.421, comma primo, c.p.c. un principio applicabile anche in sede di gravame poiché espressione specifica del corrispondente principio generale di cui all’art.162 c.p.c. La Corte ritiene, inoltre, la naturale perentorietà del termine a tal fine assegnato, stante la ratio
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Il complesso modello processuale che ne deriva riceve, poi, grazie
all’art.421, comma secondo, c.p.c., un ulteriore e decisivo contributo destinato a
mettere in crisi la tradizionale idea di processo fondato sul principio dispositivo (art.
112 cpc) e sul riparto dell’onere della prova (art. 2697 cod civ) . Il legislatore
assegna, difatti, al giudice speciale del lavoro e delle locazioni un ruolo tutt’altro che
ancillare nella formazione del thema probandum, attribuendogli (oltre a quello di
indicare alle parti, in ogni momento, le irregolarità sanabili degli atti e dei
documenti, con assegnazione di un termine perentorio a tal fine 12), i poteri di :
a) disporre d'ufficio - in qualsiasi momento - l'ammissione di ogni mezzo di
prova (ove si tratti di processo del lavoro anche fuori dei limiti stabiliti dal
codice civile), con eccezione del giuramento decisorio, così come di
procedere alla richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni
sindacali indicate dalle parti
b) dare ingresso all’interrogatorio libero ex officio dei soggetti altrimenti
incapaci a deporre come testi13
c) richiedere informazioni e osservazioni, sia scritta che orali, alle associazioni
sindacali indicate dalle parti.
acceleratoria della disciplina lavoristica. Sul punto, FARNARARO, nota a S.U. 13.1.1997 n. 262, in Foro it., 1997, parte I, col.1506. Ai fini indicati appare peraltro più appagante il richiamo al principio generale di cui all’art.184, u.c., c.p.c. (valevole anche in sede di gravame giusta la previsione dell’art.359 c.p.c.), in forza del quale , in caso di mezzi di prova ammessi ex officio, “… ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi “. A ben vedere, il disposto dell’art.420, c.VII, c.p.c. si rivela applicazione “speciale” di tale principio ordinario. 12 A questa previsione ( e al relativo potere -dovere del giudice di indicare alle parti le irregolarità degli atti e dei documenti in cui esse sono incorse, con assegnazione di un termine perentorio per sanarle) si riferisce Cass. S.U. 13.1.1997 n.262, cit (in Foro it., 1997, parte I, col.1506), per superare il vizio derivante dalla mancata indicazione delle generalità dei testi da escutere sui capitoli tempestivamente formulati. Secondo le Sezioni Unite si tratterebbe di mera irregolarità a cui non conseguono decadenze di sorta (la parte ha comunque assolto all'onere di indicare quantomeno il "tipo" di prova richiesto) né diritti quesiti della controparte. 13 La Corte Costituzionale, con la sentenza 23 luglio 1974 n.248, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 247 cpc che faceva divieto di testimoniare alle categorie di soggetti indicati. Pertanto, il riferimento dell'articolo 421 cpc a detta norma deve ritenersi venuto meno.
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Non a caso, dottrina e giurisprudenza parlano oramai - con riferimento al rito del
lavoro (ma l’argomento andrebbe ripetuto anche nel rito ordinario, grazie al citato
art.281 ter c.p.c. che ne costituisce l’eco) - di principio dispositivo “attenuato”,
quando non di un vero e proprio sistema nel quale, accanto al principio ridetto,
convive quello inquisitorio, ancorché non allo stato puro.
Come si vede, il giudice – accanto alla verifica (con le conseguenti
statuizioni in rito) delle eventuali decadenze nelle quali possono essere incorse le
parti per inosservanza del sistema di preclusioni sommariamente descritto - viene
sincronicamente chiamato ad assolvere un delicato ruolo propulsivo (ma, come
vedremo, meglio sarebbe dire complementare ed integrativo) nella formazione del
nucleo essenziale del processo: la prova.14
Non sfugge, già ad una prima lettura, come l’assetto processuale complessivo che ne
deriva finisca – da un lato - per porsi in un’orbita ecclettica ove comparato all’idea
tradizionale del processo civile come luogo della decisione iuxta alligata et probata
e – dall’altro – come, nella realtà, il processo del lavoro, ampliando i poteri istruttori
d'ufficio che il sistema già conosceva per il processo ancillare davanti al pretore e al
giudice conciliatore (articolo 317 cpc ante riforma del 1990 )15, abbia finito per
divenire la testa di ponte per una rimodulazione dell’intera giustizia civile ordinaria.
Così è stato, difatti, dapprima con l'abrogato articolo 312 cpc - introdotto nel
14 CONSOLO, L'avvento del giudice unico fra organizzazione e timidezze, Corr. Giur., 1998, 256, con riferinento all'introduzione dell'art.281 ter c.p.c. parla di "forte attenuazione del principio dispositivo in materia istruttoria, con una non meno vistosa valorizzazione del ruolo attivo del giudice". Il ragionamento può ripetersi "a fortiori " nel rito speciale. LAZZARO-GUERRIERI-D'AVINO , op. ci.t, 131 rilevano come l'applicazione dell'art.281 ter c.p.c. nelle cause riservate al giudice monocratico favorisca "l'allontanamento da una visione del processo affidato esclusivamente alla disponibilità delle parti", introducendo una cultura del giudice con accenti "dirigistici " nella conduzione del processo. 15 La dottrina tende a ravvisare la natura discrezionale di siffatto potere: LAZZARO-GUERRIERI-D'AVINO, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella geografia giudiziaria , Milano, 1998, 131; BUCCI, Manuale pratico del giudice unico nel processo civile, Padova, 1999, 77, per il quale i poteri istruttorii officiosi "comprendono una facoltà essenzialmente discrezionale , il cui uso o non uso è certamente soggetto a controllo di legittimità". La giurisprudenza di legittimità, dopo varie oscillazioni, è giunta opportunamente a precisare che detto potere, benchè discrezionale, non può risolversi in arbitrio: cfr., da ultimo, le recentissime S.U. 13.5.2004 n. 11353.
10
giudizio pretorile riformato dalla L. 26.11. 1990 n.353 16 - e, in prosieguo, con lo
speculare art.281 ter c.p.c. nel giudizio davanti al giudice unico in composizione
monocratica ( " il giudice può disporre d'ufficio la prova testimoniale formulando
nei capitoli, quando le parti nell'esposizione dei fatti si sono riferite a persone che
appaiono in grado di conoscere la verità ").
L’apparente conflitto tra i principi descritti ha generato (e verosimilmente genererà
ancora) inevitabili torsioni giurisprudenziali, il più delle volte legate alle diverse
prospettive culturali e alle mutevoli sensibilità degli interpreti. La rapida lettura dei
repertori di giurisprudenza in tema di “eccezioni in senso stretto e mere difese”, di
tempestiva allegazione dei fatti costitutivi della domanda distinti dalle (per lo più
ammissibili) allegazioni successive delle condiciones iuris di essa (per il caso di
contestazione), di “tardiva” allegazione della prova precostituita in prime cure
ovvero in appello, di limiti, infine, al potere istruttorio d’ufficio allorquando si sia
verificata la corrispondente preclusione in capo alla parte, danno adeguatamente
conto tanto della dimensione del problema teorico quanto dell’instabilità delle
soluzioni che, di volta in volta, si profilano all’orizzonte.
In sintesi, è agevole scorgere nei filoni giurisprudenziali contrapposti l’anima per
certi versi antagonista che li ispira: l’una – formalista - che attraverso
l'enucleazione di un rigido sistema di preclusioni (valevole addirittura per il
giudice), si cura di preservare, all'un tempo, il processo dalle tattiche dilatorie del
resistente come pure la stessa neutralità del giudice-arbitro dal rischio di
sovraesposizione processuale 17; l’altra, all’opposto, dal carattere per certi versi
16 Forse con un certo arretramento rispetto alla più ampia formulazione del previo articolo 316 cpc che prevedeva (sotto la rubrica " rettificazione o integrazione di atti ") che il pretore o il conciliatore potessero ... indicare alle parti in ogni momento le lacune ravvisate nell'istruzione così come le irregolarità degli atti e dei documenti che potevano essere rimediate, assegnando un termine per provvedervi, fatti salvi gli eventuali diritti quesiti. 17 Tra esse va senz'altro segnalata – per assonanza tematica, data la specularità dell’art.421 , c.II, c.c. alla norma esaminata dal Giudice delle leggi - Corte Cost. 14 marzo 2003, n. 69 ( in Giust. Civ. 2003, I, 865) che - nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 281 ter C.P.C. nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa disporre d'ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli nei procedimenti con riserva di collegialità - osserva che " il potere attribuito al giudice dalla disposizione censurata si risolve pur sempre in un’eccezione al principio della disponibilità delle prove, in un processo governato dal
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"dirigista", che - pur nella sicura premessa della indefettibile terzietà ed imparzialità
del giudicante - evoca un modello di giudice " costituzionale " non indifferente ai
beni primari coinvolti nel processo, per l’effetto di chiamarlo ad assolvere una
funzione, per così dire" promozionale dei diritti fondamentali " anche sul terreno
contenzioso 18.
2. - L'inquadramento di massima appena svolto rende più agevole
l’approfondimento del tema proposto con il presente paragrafo.
Ci occuperemo, in specifico, delle eccezioni nei riti speciali del lavoro e delle
locazioni, per verificare l'effettivo atteggiarsi dei corrispondenti oneri di
allegazione e probatori, così come delle connesse preclusioni .
principio di preclusione, e che deve conseguentemente escludersi che il giudice possa esercitare il potere oltre i limiti della fase istruttoria, ferma l’applicabilità del disposto di cui all'articolo 184, ultimo comma, cpc... diversamente risultando violato il principio della parità delle armi delle parti in causa, mai potendo il potere ufficioso del giudice risolversi in un mezzo per aggirare, in favore di una parte e in danno dell'altra, gli effetti del maturarsi delle preclusioni ". La pronuncia, pur nella sua autorevolezza, non vincola l'interprete. Infelice è poi la concezione ideologica che la ispira, lì dove concepisce l'intervento officioso del giudice, a preclusioni intervenute, quale strumento di " aggiramento " in danno delle parti, anzicchè - come parrebbe conveniente in ragione dei valori costituzionali a cui si ispira la giurisdizione - come rimedio correttivo volto a realizzare il principio del " giusto processo". Giova ricordare, al riguardo, come il potere istruttorio del giudice non confligga con il principio dispositivo; esso, difatti, opera con esclusivo riferimento ai soli fatti allegati dalle parti. Inoltre, proprio perché integrativo e correttivo, il potere-dovere in questione si colloca naturalmente nello spazio processuale successivo all'esaurimento delle facoltà probatorie delle parti; solo, difatti, allorquando esse abbiano assolto all'onere di formulare il thema probandum il giudicante sarà in grado di verificarne la congruità e l'adeguatezza in relazione alle allegazioni di fatto svolte a sostegno del thema decidendum, onde valutare se far uso o meno dei propri poteri. Imporre, quindi, il concorso sincronico dell'organo giudicante nella formazione della prova, come si vorrebbe con la sentenza in commento, significa, paradossalmente, chiamare il giudice ad una anomala sovraesposizione di ruolo, in conflitto financo con gli stessi principi evocati dalla sentenza della Corte. Sul punto v. anche CHIARLONI, Potere istruttorio d'ufficio del giudice civile : le sirene dell'ideologia liberista inducono la Corte Costituzioanale in un errore di interpretazione del diritto positivo, in Giur. It. 7/20003, il quale critica severamente il provvedimento del Giudice delle leggi qualificandolo come classico caso di precedente " per incuriam datum" . 18 Prevale, allo stato, questo secondo orientamento: così, da ultimo, Cass. 15 dicembre 2000 n. 15820 che conferma l'indirizzo di Cass. 1.7. 2000 n. 8838; 15.1.1998 l. 310 ( in Giust. Civ., 1998, I, 2259, con nota di TODDE) e Cass. 21.2.1998 n.184 Si può, quindi, parlare di un significativo consolidamento del quadro giurisprudenziale.
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L'analisi deve partire necessariamente dall'articolo 416 cpc che fa onere al
convenuto di costituirsi tempestivamente e di sollevare, a pena di decadenza, con la
memoria difensiva di risposta " le eccezioni processuali e di merito che non siano
rilevabili d'ufficio ", oltre che di "… indicare specificamente … i mezzi di prova dei
quali intende avvalersi e in particolare i documenti che deve contestualmente
depositare ".
Il dato testuale consente subito di rilevare la positiva riconferma della distinzione tra
eccezioni in senso proprio, da un lato, ed eccezioni improprie (e mere difese),
dall'altro, già contemplata in via generale dall'articolo 112 cpc ( il giudice "... non
può pronunciare d'ufficio su eccezioni che possono essere proposta soltanto dalle
parti ").
La sanzione della decadenza opera, dunque, con riferimento alle sole eccezioni in
senso stretto, tali dovendosi intendere, secondo l'elaborazione dottrinale19. e
giurisprudenziale20, solamente quelle che la legge riserva, espressamente21 o
19 In dottrina, per la nozione di eccezione in senso stretto, MANDRIOLI, op. cit., vol. I, § 25; FABBRINI, Eccezione, voce dell' Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1999, II, 2. La distinzione (non sempre univoca) tra eccezioni in senso stretto ed improprie è affrontata anche da Cass. 9.2. 1999 n.1110, in Foro it, 1999, I, 2967, con nota di FORTINI. 20 Le Sezioni Unite, con sentenza 3.2.1998 n.1099 (in Foro it., 1998, I, 764 e in Giust. civ., 1998, I, 645, con nota di GIACALONE) hanno affermato il carattere " eccezionale " delle eccezione in senso stretto, la cui portata deve essere ristretta alle sole ipotesi in cui la legge riserva esclusivamente all'interessato l'iniziativa per la decisione sul fatto estintivo, modificativo, impeditivo e alle eccezioni coordinate all'esercizio di un’azione costitutiva. Nello stesso senso si veda anche Cass. 25 maggio 1995 n.5747 secondo cui la natura di eccezione in senso stretto " può evincersi solo dall'esistenza di specifiche norme che, caso per caso, dispongano in tal senso ". Sul tema , ORIANI, Eccezione rilevabile di ufficio e onere di tempestiva allegazione: un discorso ancora aperto, op cit., 127 e ss., il quale osserva - in merito a S. U.1099/98 - che "… si dilatano così i fatti estintivi, modificativi, impeditivi rilevabili di ufficio: il che costituisce un principio molto importante alla luce sia dell'orientamento che consente la proposizione per la prima volta in appello dell'eccezione senso lato, sia di quello che permette la libera produzione di documenti nel giudizio di appello, senza passare attraverso il filtro dell'indispensabilità". V. anche Cass. 11.12. 2003 n.18991 21 La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, ad esempio, eccezioni in senso stretto quella di prescrizione (sentenza n.49/1986), di compensazione (sentenza 1.9.1987 n.7158), di decadenza (sentenza 2.2. 1991 n.1035), di estinzione del credito per remissione del debito (sentenza 9.2. 1999. n.1110), la deduzione dell'aliunde perceptum in tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposto dal giudice ai sensi dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n.300 (Cass. 14.6.1994 n.5766; contra, peraltro, Cass. 21.3.2000 n.3345, in Riv. It. Dir. Lav. 2001, 133, con nota di CATTANI, nonché .App. Firenze 5.2.2003 , in Foro Toscano, 2003, con nota di PUCCI ), l'interruzione della prescrizione (Cass. 28.4. 1994 n.4094 e 28 luglio 2003 n.11588),
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implicitamente22, al potere dispositivo della parte in quanto titolare di un vero e
proprio diritto potestativo in tal senso.
Le eccezioni improprie, per converso, sono quelle che si risolvono, secondo il
consolidato orientamento della Suprema Corte 23, nella semplice contestazione dei
fatti costitutivi affermati dall'attore ovvero nella contestazione del valore probatorio
dei mezzi istruttori esperiti in primo grado su istanza di parte o d'ufficio dal giudice.
Esse ineriscono, pertanto, alle allegazioni e alle prove già offerte dal ricorrente e
non provocano, quindi, diversamente dalle eccezioni " proprie", la dilatazione del
thema decidendum, proprio perché - in definitiva - non alterano il quadro del
contraddittorio fattuale.
Ecco spiegata la ragione della loro rilevabilità ex officio pur in difetto di formale
richiesta: i fatti corrispondenti - una volta allegati dalle parti cui la legge riserva
l’esclusiva facoltà 24- provocano, in ossequio al principio della corrispondenza tra il
l'improponibilità della domanda del lavoratore per intervenuta rinuncia o transazione non tempestivamente impugnata (sentenza 19.1. 1995 n.552). Incerto è lo statuto dell'eccezione di rinunzia alla prescrizione: Cass. 14.5.2003 n.741 la ritiene mera difesa, al contrario di Cass. 11.2. 2004 n.2625. Vanno annoverate in tale categoria anche talune eccezioni “in rito” rimesse dalla legge all’esclusiva facoltà di parte: si pensi, ad esempio, all’eccezione di estinzione del giudizio ex art. 307 c.p.c., di incompetenza per territorio semplice ex art. 38, c.II, c.p.c., di incompetenza arbitrale ex art.817 c.p.c., di carenza di giurisdizione del giudice ordinario per compromesso arbitrale. Ritiene , con approfondita analisi, eccezioni improprie quelle di remissione del debito e di transazione novativa, ORIANI, op. cit., 127 e ss.: in entrambi i casi, secondo l'A., si tratta di circostanze estintive e/o modificative del diritto del creditore prodotte dalla volontà negoziale del medesimo e, come tali, conoscibili ex officio dal giudice. 22 Il caso tipico è quello della contestazione connessa ad un’azione a carattere costitutivo riservata alla parte : si pensi all'eccezione di annullamento del contratto che, diversamente da quella di nullità negoziale (sulla quale cfr. Cass. 18.7. 2002 n.10440 ) , non è rilevabile ex officio. Sul punto, si veda in particolare CASS. S.U. 3.2.1998 n. 1099, in Corr. Giur. 1999, 1007, con nota di NEGRI. 20 Cfr. Cass. 18.6.2002 n.8855; Cass.16.7.2002 n.10280 parla di " deduzione concernente il difetto di un requisito di fondatezza della domanda, la cui sussistenza deve essere verificata d'ufficio dal giudice ". 24 COMOGLIO, Allegazione, voce del Digesto civ., IV., Torino, 1987, 274; . MENCHINI, Osservazioni critiche sul c.d. onere di allegazione dei fatti giuridici nel processo civile, in Scritti in onore di E. FAZZALARI, Milano, 1993, III, 23 e ss. In giurisprudenza, Cass.10 aprile 2000 n. 4533, in Foro it. 2000,I, 2196, parla di "principio assoluto " di allegazione per trarne la conseguenza dell'onere di provare il fatto rilevante posto a base dell'eccezione (propria o impropria che sia) laddove contestato.
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chiesto e il pronunciato (art.112 c.p.c.) l’ineludibile intervento cognitivo officioso
del giudice 25.
Si comprende, ancora, perché la legge non riservi all'esclusivo potere dispositivo
della parte la rilevabilità delle eccezioni improprie:
la parte che eccepisce, ad esempio, la nullità del contratto sul quale si fonda la
"causa petendi" dell’attore altro non fa che richiamare l'attenzione del giudicante
sull'inesistenza e/o sull'insufficienza dei fatti allegati ai fini dell'accoglimento della
domanda.
L'eccezione impropria esorta, pertanto, il giudice al compimento di un accertamento
(negativo) al quale egli sarebbe pur sempre tenuto in via autonoma.
Si pensi, in questa prospettiva, all'eccezione di pagamento (Cass. 22.1. 1998 n.599,
in Foro it. 1998,I, 3270) , di nullità del contratto, di remissione del debito26, di
transazione novativa dell'obbligazione in forza della quale agisce l'attore, di
giudicato esterno 27, etc.: non si dubita che, a prescindere dall'impulso di parte,
laddove i fatti corrispondenti fossero allegati al processo " tardivamente " (oltre,
dunque, il limite della memoria ex articolo 416 c.p.c. ovvero dell'emendatio
dell'articolo 420, comma I, c.p.c.), il giudicante dovrebbe comunque esaminarli ai
fini dell'accertamento del diritto vantato dall'attore, per il duplice rilievo della loro
inerenza specifica al fatto costitutivo dedotto sostegno della domanda e della
conseguente necessità di sottoporli alla corrispondente valutazione " in iure ", onde
25 Sul punto sovviene l'insegnamento di Cass. 21.5. 2001 n.6890, in Giust. Civ., 2001, I, 2641, che, nell'affrontare la questione di legittimità costituzionale degli articoli 112 e 184 cpc in relazione all'articolo 24 Cost. (nella parte in cui consentono al giudice di rilevare d'ufficio, per la prima volta in sede di decisione della causa, le eccezioni cosiddette improprie, con pregiudizio per il diritto di difesa), ne ha ritenuta la manifesta infondatezza "… essendo onere dell'attore quello di provare i fatti posti a fondamento della pretesa, onde è compito del giudice verificare d'ufficio se l'attore ha adempiuto o meno a tale onere ". 26 contra, peraltro, Cass. 9.2. 1999 n.1110, in Foro it , Rep. 1999, I 2967. 27 Va segnalato come solo a partire da Cass 23.10. 1995 n.11018 - in Foro it. 1996, I, 599, con nota di SCARSELLI - l'eccezione di giudicato esterno, in contrasto con l'orientamento precedente, sia stata qualificata eccezione impropria. Sul punto v., altresì, SCARSELLI, Note in tema di eccezione di cosa giudicata, in Riv. Dir. Proc. , 1996, 824; PROTO-PISANI, Appunti sul giudicato civile e i suoi limiti oggettivi, in Riv. Dir. Proc. , 1990, 418 e ss., il quale giustamente sottolinea come non vi possa essere allegazione d'ufficio del giudicato esterno, essendo rilevabile ex officio il solo effetto giuridico di esso. Si pensi al caso della scoperta di siffatta circostanza in occasione della consultazione di una banca dati giurisprudenziale .
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verificare la concreta sussistenza del diritto reclamato. Diversamente, il giudice si
esporrebbe al vizio di motivazione della sentenza 28, con effetti invalidanti in caso
di decisività dell’error, ai sensi dell'articolo 360 n.5 cpc.
In definitiva, la profonda diversità concettuale tra eccezioni improprie ed
improprie consente di comprendere (e di condividere) la ragione del diverso
atteggiamento assunto dal legislatore in materia.
Appare, dunque, coerente con un sistema processuale che fa divieto al giudice di
servirsi della sua " scienza privata " 29 ( il giudice, difatti, senza bisogno di prova,
può porre a fondamento della decisione le sole nozioni di fatto che rientrano nella
"comune esperienza": art.115 c.p.c.) e che, anzi, lo sottopone al principio della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (articolo 112 cpc), il divieto di
rilevazione ex officio di eccezioni riservate dalla legge alle parti, pena l'allargamento
d'autorità del "thema decidendum", con grave pregiudizio per il diritto di difesa della
parte e la celerità del processo (cfr. Cass. 9.11.2001 n.13924).
Ed ancora, questo spiega la ragione per cui l'onere di tempestiva allegazione valga
per le sole eccezioni proprie.
Per converso, a prescindere dall'orientamento che si intenda assumere sul problema
dell'onere di contestazione gravante sul resistente ex articolo 416 c.p.c. (vedi sopra,
sub nota 15), il problema della decadenza non si pone con riferimento alle eccezioni
"improprie", né in primo grado (giusta l'esplicita previsione dell'articolo 416 cpc),
né in grado d'appello, dovendosi interpretare il divieto di " nuove eccezioni " di cui
all'articolo 437 cpc in senso rigorosamente tecnico (vale a dire come divieto di 28 Non ad " error in procedendo ": in termini, cfr. Cass 14.5. 1999 n. 4763. 29 PROTO PISANI, Lavoro (e controversie individuali in materia di), voce del Digesto civ., Torino 1993, X, 297 e ss., evidenzia " che l'attribuzione al giudice di poteri istruttori d'ufficio non significa affatto abbandono o superamento del divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice ... che il giudice del lavoro non può cercare autonomamente (non solo perché privo degli strumenti necessari) il fatto secondario oggetto di prova indiretta e le fonti materiale di prova (i documenti, i testimoni, etc.) ma possa disporre d'ufficio l'acquisizione di quelle sole fonti materiali di prova che siano notorie ovvero siano emerse nel corso del processo nel contraddittorio delle parti o nell’'interrogatorio libero, o a seguito di informazioni… o (più genericamente) dagli atti del processo (esempio documenti prodotti o esibiti), ivi comprese le risultanze istruttorie (semplici dichiarazioni rese dal testimone a seguito di domande rivoltegli ex articolo 253, primo comma, rilievi compiuti in occasione dell'accesso sul luogo del lavoro) ".
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nuove eccezioni " proprie"). Ciò perché, come si è ricordato, le eccezioni improprie
(e le mere difese) appartengono naturalmente al thema decidendum già introdotto
dall'attore e non violano, così, il principio del doppio grado di giudizio.
Corollario di quanto esposto è la facoltà del convenuto di segnalare in ogni
momento al giudicante i fatti corrispondenti, anche laddove non enunciati "in limine
litis" entro l'udienza di discussione e persino per la prima volta in appello 30, per
l'effetto di chiamare l'attore-ricorrente, in ossequio al principio di “eventualità”,
all'assolvimento dell'onere probatorio di cui è gravato ai sensi dell'articolo 2697,
comma primo, cod civ.
Ma cosa significa, tecnicamente, sollevare un'eccezione, propria o
impropria che essa sia ?
Significa, come si è osservato, da un punto di vista generale, allegare - in fatto - le
circostanze atte a contestare, in senso impeditivo e/o estintivo, i fatti costitutivi della
domanda attorea al fine di chiederne, in diritto, il rigetto31.
Il potere di impugnazione del diritto vantato dall'attore si articola, allora, nella
(indefettibile) allegazione del fatto impeditivo/estintivo, accompagnata dalla
richiesta del rigetto della domanda. Non pare, invece, necessario, al fine invocato,
che il convenuto proceda altresì alla analisi " in iure " di quel fatto, vale a dire alla
valutazione critica della sua idoneità a provocare il rigetto della domanda attorea.
Soccorre, a tal fine, la vocazione istituzionale del giudice scolpita nel principio
"iura novit curia ".
Precisata come sopra la duplice articolazione in cui si concreta la facoltà di eccepire
(allegazione del fatto + istanza di rigetto della domanda), ne consegue, per proprietà
transitiva, che ove si ammetta la proponibilità delle eccezioni in senso improprio
tanto in primo grado quanto in appello, altrettanto dovrà dirsi per la facoltà di
allegarne le fonti storiche che ne costituiscono l'impianto oggettivo, la base logica.
30 Così la dominante giurisprudenza della Suprema Corte; in dottrina non è mancato chi ha ritenuto trattarsi di orientamento praeter legem: PROTO PISANI, Controversie individuali di lavoro, op. cit., 117; LUISO, Il processo del lavoro, Torino, 1992, 292 . 31 ORIANI, Eccezione, voce del Digesto civ., Torino, 1991, VII, 266 e ss.
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Soccorre sul punto copiosa giurisprudenza conforme che, tuttavia, risulta disattesa
dalla pronuncia delle S.U. 3.2.1998 n. 1099, più volte richiamata nel corpo della
presente relazione.
La Suprema Corte, con la sentenza citata (cui ha fatto seguito Cass.7.10.1999
n.11252, in Foro it., 2000, I, 2648 ), distinguendo tra potere di allegazione dei fatti
(riservato alla parte ed esercitabile, nel rito del lavoro, entro il limite temporale di
cui all'articolo 416 c.p.c.) e potere di rilevazione dei fatti medesimi (legittimamente
esercitato dal giudicante - una volta che i fatti cui si riferiscono stati
tempestivamente allegati - anche oltre suddetto limite, ove si tratti di fatti rilevabili
ex officio), ha ritenuto che il convenuto non possa allegare fatti nuovi, ancorché
posti a base di eccezioni rilevabili d'ufficio, oltre la "dead line" della memoria
difensiva (o dell'udienza dell'art.420 c.p.c.) 32
La conclusione, pur nella sua autorevolezza, non appare condivisibile.
Come si è acutamente osservato33, essa finisce per vanificare la distinzione tra
eccezioni in senso stretto ed eccezioni improprie, unificandole quanto alla sanzione
preclusiva, in palese contrasto con il dato positivo dell'articolo 416 cpc. 34
Va dunque ribadito l'orientamento che ammette l'allegazione dei fatti costituenti
eccezioni in senso lato tanto in primo grado quanto in sede di appello ( purchè, in
questo secondo caso, l'allegazione del fatto costituente mera difesa avvenga con
l'atto di impugnazione), con significativi riflessi positivi in tema di formazione
della prova , sia su istanza di parte che ex officio, anche in sede di gravame.
32 Critico nei confronti di S.U. n.1099/98 è ORIANI, op.cit, il quale osserva giustamente che "… proporre una eccezione significa dedurre un fatto e chiedere che sia applicato l'effetto del fatto alla situazione sottoposta a giudizio. Sono presenti nell'eccezione gli stessi elementi della domanda: fatto, norma, conseguenze giuridiche. Vi è però un dato semplificato rispetto alla domanda, e cioè che la conseguenza giuridica, trattandosi di un fatto idoneo ad estinguere o modificare il diritto dedotto ex adverso o ad impedirne la nascita, è sempre l'inesistenza del diritto vantato dall'attore e quindi, sul piano processuale, il rigetto della domanda; richiesta che, tranne casi eccezionali, non manca mai in ogni atto difensivo del convenuto ". 33 ORIANI, op. cit., 266 e ss. 34 La questione resta peraltro controversa: il principio enunciato dalle Sezioni Unite risulta difatti disatteso dalla giurisprudenza successiva: così Cass. 25.2.1999 n.1655; Cass. 19.11.1999 n.12840; Cass. 11.8.2000 n.10640, in Foro it., 2001, I, 126; Cass. 8.1.2002 n.126, le quali tutte hanno riproposto l'orientamento tradizionale.
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3. - Costituisce fermo principio giurisprudenziale che la finalità del
rito del lavoro sia quella di conciliare le esigenze di celerità e speditezza con quelle
dell'accertamento della verità storica, materiale, obiettiva , dei fatti di causa 35.
In questa prospettiva, appare chiara la collocazione teleologica della disposizione
dell'articolo 421, commi primo e secondo, cpc, quanto ai poteri correttivi e istruttori
del giudicante.
Alla luce del dato positivo, può subito dirsi che i poteri in questione spaziano dalla
semplice attività, per così dire maieutica e "a basso impatto", volta a indicare alle
parti le irregolarità degli atti e dei documenti a fini di sanatoria 36 (eventualmente
mediante assegnazione di un termine perentorio37: articolo 421, comma primo, cpc,
riconducibile al principio generale di cui agli articoli 162 e 182 cpc), fino al diretto
intervento dell'organo giudicante nell'integrazione del thema probandum (articolo
421, comma secondo).
35 Basterà ricordare l'autorevole insegnamento di Cass. S.U. 13 gennaio 1997 n.262 secondo cui, dal combinato disposto degli articoli 420, comma quinto, 421, comma secondo e 244, comma terzo, cpc (ora abrogato) emerge l'intento del legislatore "… di conciliare le esigenze di rapidità e di concentrazione che improntano il rito speciale con quelle di accertamento della verità, che non sono meno rilevanti delle altre e che sono in questo stesso rito particolarmente sottolineate dalla accentuazione dell’ aspetto dell’inquisitorietà". 36 Vedi, in questi termini, Cass. S.U. 13.1.1997 n.262, in Foro it., 1997, parte I, col. 1506 ( annotata da V. FARNARARO). La Corte, con riferimento al caso dell'omessa indicazione dei testimoni a conforto della prova orale offerta con ricorso introduttivo, superando l'orientamento restrittivo precedente, ha ravvisato una mera irregolarità sanabile nel termine all’uopo assegnato dal giudice ex art. 421, comma primo, e 420, comma quinto, c.p.c.. In tale prospettiva, il giudice di legittimità ha osservato "… che nel sistema normativo introdotto dalla legge n. 533 del 1973 non rientrano soltanto le preclusioni e le decadenze di cui agli articoli 414 e 416 , che consentono all'attore e, pariteticamente, al convenuto, di indicare i mezzi di prova di cui intendono avvalersi, ma anche i poteri istruttorii del giudice: il che rende evidente come il contesto normativo, se non attua un sistema inquisitorio puro, tende a contemperare, in considerazione della particolare natura del rapporto di lavoro e degli interessi in discussione, alcuni dei quali riguardanti diritti di rilevanza costituzionale, il principio dispositivo, che obbedisce alla regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova, col principio inquisitorio che tende alla ricerca della verità reale'". 37 Per la "naturale" perentorietà del termine di cui all'articolo 421, comma primo cpc, Cass. 7.10.1999 n.11252, in Foro it. , 2000, I, 2648
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Si discute intorno ai limiti del potere istruttorio, forte essendo la preoccupazione di
non travalicare la reale portata della legittimante 38
Per comodità di esposizione, si possono individuare limiti attinenti all' "an" e al
"quomodo" del potere istruttorio del giudice.
Ebbene, quanto al primo profilo, va ribadito ancora una volta che un
problema di esercizio dei poteri istruttorii ex officio può porsi , in linea generale,
esclusivamente in relazione a fatti che siano stati ritualmente allegati dalle parti a
sostegno delle rispettive difese.
Ciò vale anche per le eccezioni, senza che rilevi l'indagine circa la loro natura
propria o impropria: anche per le eccezioni in senso lato (pur rilevabili ex officio)
vale invero l'onere di introdurre nel giudizio i relativi fatti storici, giusta la ricordata
distinzione tra potere di allegazione, sempre riservato alle parti (eccetto il caso delle
" nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza ": articolo 115 c.p.c.), e
potere di rilevazione, esteso - per le mere difese - anche al giudice pur in difetto di
impulso di parte 39.
Il giudicante, pertanto, non potrà procedere al compimento di atti istruttori ex officio
in relazione a fatti aventi "fonte storica" nella sua scienza privata ( Cass.3228/2001;
Cass.1.9. 1987 n.7158 ) né potra cercare da sè le fonti materiali di prova (documenti,
testimoni, supporti costituenti prove atipiche)40.
38 Il rischio paventato è quello dell'arbitrio del giudicante. Vi sarebbe, peraltro, un concreto pericolo di perdita di terzietà del giudice nella sola ipotesi in cui l'iniziativa istruttoria dell’ufficio si sovrapponesse a quella delle parti in termini di assoluta discrezionalità ( sul punto, cfr. Cass. 6.3.2001 n. 3228 e 6.7.2000 n.9034). A diversa conclusione si deve giungere, invece, lì dove tale potere fosse correttamente inteso, come si ritiene, come un vero “munus”. 39 Da ultimo, v. S.U. 17.6.2004 n. 11353, inedita; “contra”, quanto alla rilevabilità ex officio pur in difetto di allegazione, laddove si abbia riguardo ad una qualità del datore di lavoro ostativa alla pronuncia di reintegrazione (nella fattispecie si trattava di datore di lavoro-organizzazione di tendenza, per l'effetto dell'insussistenza del diritto alla reintegrazione ex articolo 4 della L. n.108/90), Cass.11.8. 2000 n.10640, in Foro it, 2001, parte I, 127, la cui valenza indicativa risulta peraltro fortemente attenuata dal rilievo per cui l'allegazione corrispondente venne comunque fatta in appello. In dottrina, SINISI-TRONCONE, I riti locatizi (Guida teorico-pratica al rito ordinario e ai procedimenti speciali), Napoli, 1999, 61; F. P. LUISO, Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, Milano, 2000, III, 55. 40 PROTO PISANI, Lavoro (controversie individuali di) , op. cit., 297 e ss.
20
Ancora, quanto alla natura dei poteri conferiti al giudice dagli articoli 421 e
437 cpc, può ritenersi oramai superato l'orientamento formalista che, ravvisandovi
un'attività meramente discrezionale, concludeva per l'insindacabilità del mancato
esercizio in sede di legittimità, pure in ipotesi di omessa motivazione 41. Si è,
difatti, consolidato l'orientamento che - pur riconoscendone l'innegabile
discrezionalità - scorge in tale potere un vero e proprio " munus " 42 il cui mancato
esercizio può tradursi non tanto in error in procedendo quanto, piuttosto, in un vizio
di illogicità della decisione (così Cass.3.10. 1998 n.9817; Cass. 15.1. 1998 n.310 ),
denunciabile ex articolo 360 n.5 cpc laddove decisivo ai fini del giudizio.
In argomento dirimente, anche per la completezza dell'intervento nomofilattico,
deve ritenersi la pronuncia delle Sezioni Unite 17 giugno 2004 n.11353 (inedita)
che, affrontando ex professo, sotto molteplici profili, il tema dei poteri istruttori del
giudice del lavoro, ha ritenuto, per quanto qui interessa, che essi, quand'anche
discrezionali "... proprio perché funzionali al contemperamento del principio
dispositivo con quello della ricerca della verità materiale - non possono mai essere
esercitati in modo arbitrario. "
Sulla scorta di questa premessa dogmatica, le Sezioni Unite 11353/04 cit. hanno
autorevolmente ribadito che, in ossequio a quanto prescritto dall'articolo 134 cpc e al
disposto dell'articolo 111, comma primo, Cost. in tema di "giusto processo regolato
dalla legge ", il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso
all'uso dei poteri istruttori (benché non sollecitato dalla parte), ovvero, all'opposto,
41 cfr. ad es., Cass.15.4. 1994 n.3549, Cass. 22.8. 1997 n.7881 e Cass. 27.9. 1999 n.10658. 42 sulla nozione, FOSCHINI, Osservazioni sulla struttura giuridica dell'offici, in Riv. Dir. Civ., 1964, I ; TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1977, 55. In dottrina, per la ricostruzione del potere istruttorio d'ufficio del giudicante in termini di potere-dovere, FABBRINI, Potere del giudice, voce della Enciclopedia del diritto, Milano, 1985 XXXIV, 734-736; E. FABIANI, Sul potere del giudice monocratico di disporre d'ufficio la prova testimoniale ai sensi dell'articolo 281 ter c.p.c., nota a Trib. Foggia, 4.11. 1999, in Foro it ,, 2000, parte I, 2093, ed ivi per riferimenti giurisprudenziali e bibliografici.
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ritenga di non farvi ricorso (benché sollecitato), pena il vizio di motivazione ex
articolo 360, n. 5, cpc43.
Ancora sull'an del potere istruttorio, oscillanti sono le risposte della
giurisprudenza al quesito circa la possibilità di ammettere d'ufficio una prova in
ordine alla quale le parti siano incorse nella corrispondente preclusione.
Allo stato, come meglio si preciserà, il problema si pone in termini acuti per la prova
costituenda (testimonianza, interrogatorio formale, etc.), essendo nettamente
prevalente l'orientamento giurisprudenziale per cui le prove costituite (documenti)
non soggiacciono alla decadenza dell' articolo 416 cpc.
Limitando, allora, la disamina alle prove costituende (e ribadito che il potere del
giudice dovrà correlarsi necessariamente ai fatti costitutivi dedotti dall'attore ovvero
a quelli a impeditivi, estintivi, modificativi dedotti dal resistente, tanto in via di
eccezione in senso stretto quanto di eccezione impropria o mera difesa), è
giocoforza ritenere che non vi sia spazio per l'intervento istruttorio integrativo in
riferimento, ad esempio, a fatti costitutivi nuovi (poiché non dedotti nel ricorso
introduttivo e, come tali, preclusi dal divieto di mutatio libelli rilevabile ex officio
ex articolo 420, comma secondo, cod civ), ovvero ad eccezioni in senso stretto
“tardive”: in entrambi i casi balza agli occhi il difetto dell’indispensabile
correlazione tra la prova sollecitata e il thema decidendum ritualmente formatosi.
Diverso discorso vale, invece, per le eccezioni improprie (non soggette a
preclusione) e per le proprie tempestivamente sollevate, in relazione alle quali la
43 Le Sezioni Unite 11353/2004 cit. , accanto al vizio di cui all'art.360 n.5 c.p.c., enucleano altresì l'ipotesi della violazione di legge ex articolo 360 n.3 cpc, nei seguenti casi: A) allorquando il giudice abbia esercitato i poteri istruttori sulla base del proprio sapere privato, con riferimento a fatti non allegati dalle parti e non acquisiti al processo in modo rituale (cfr. Cass. 23 maggio 2003 n.8220); B) allorquando, superando il principio della legalità della prova, il giudicante abbia dato ingresso alle cosiddette prove atipiche; C) allorquando il medesimo, in violazione del principio dispositivo, abbia ammesso una prova contro la volontà già espressa in modo chiaro dalle parti di non servirsi di detta prova ( Cass.24 marzo v 993 n.3537) ; D) allorquando, infine, in presenza di una prova già espletata su punti decisivi della controversia, venga ammessa d'ufficio una prova diretta a diminuirne l'efficacia, specialmente nei casi in cui - come avviene per la prova per testi - un corretto esercizio del diritto di difesa imporrebbe di espletare la prova in unico contesto temporale ( Cass.19 agosto 2000 n. 11002).
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parte sia comunque incorsa nella decadenza dalla facoltà di prova ex art.416 e 420,
c.V, c.p.c.
Per esse, come è intuibile, si profila - in modo pertinente e in tutta la sua complessità
- il problema dell'intervento correttivo officioso.
Ebbene, ai fini della soluzione del problema, un eccellente indicatore ermeneutico
viene fornito dall'articolo 437 cpc, quanto alla disciplina della prova in grado
d'appello.
La norma citata, a fronte del secco divieto di nuovi mezzi di prova, prevede
nondimeno il potere-dovere del giudice del gravame di ammettere, anche d'ufficio le
prove ritenute "indispensabili ai fini della decisione della causa ".
Giova osservare, a questo proposito, come in ossequio al principio
dell'interpretazione conservativa della norma giuridica, vada senz'altro escluso che
la previsione dell'articolo 437 disciplini il solo caso in cui il giudice di prime cure
non abbia ammesso una prova ancorché tempestivamente formulata (e dunque già
facente parte del thema probandum). Invero, in tal ipotesi, non si potrebbe parlare di
"nuovo mezzo di prova"; inoltre, laddove si volesse ritenere che la novità fosse
riconducibile al mancato esperimento del mezzo in prime cure, si finirebbe per
svuotare la relativa previsione di ogni significato. Non è inutile osservare, a questo
riguardo, come il giudice d'appello abbia sempre, in via generale, il potere di
discostarsi dai provvedimenti a carattere meramente ordinatorio emessi dal primo
giudice, in applicazione del principio generale di cui all'articolo 175 cpc, secondo
cui ogni giudice (e, dunque, anche quello del gravame) provvede alla autonoma
direzione del procedimento avanti a sè, esercitando i poteri a tal fine necessari, nella
prospettiva del sollecito (ma anche corretto e completo) svolgimento della
trattazione.
Il sistema non necessita, quindi, di una norma che preveda, ad esempio, la facoltà
per il giudice del gravame di disporre una consulenza tecnica d'ufficio chiesta e
respinta in prime cure, piuttosto che di assumere un teste di riferimento ex articolo
257 cpc trascurato dal giudice di primo grado, ovvero ancora di procedere
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all’audizione di testi che, sebbene tempestivamente indicati, non siano stati sentiti
per “riduzione delle liste sovrabbondanti”, in applicazione dell’art.245, c.I. c.p.c.
Esclusa quindi l'opzione riduttiva, risulta ancor più evidente l'interpretazione
secondo cui l'articolo 437 c.p.c. ha ad oggetto proprio l'ammissione di una prova "
nuova " in quanto mai proposta in primo grado e dunque obiettivamente perenta,
fatta salva l'applicazione dell'articolo 184 bis cpc come norma di chiusura del
sistema.44
Ebbene, così come il giudice d'appello soggiace al menzionato potere-dovere di
introdurre nuove prove indispensabili ai fini della decisione senza potersi trincerarsi
dietro lo schermo formalistico della decadenza (S.U. 11353/2004), altrettanto deve
valere per il tribunale in funzione di giudice unico del lavoro, quale corollario
concreto del principio del doppio grado di giurisdizione.
Così stando le cose, anche il giudice di prime cure, ricorrendo il ricordato
presupposto di rilevanza, dovrà dare ingresso alle " nuove " prove emergenti dai
materiali del processo, laddove necessarie al fine di superare l'incertezza sui fatti
costitutivi/estintivi della domanda.
Ricostruito il profilo di massima dei poteri istruttorii assegnati dagli
artt.421 e 437 c.p.c. al giudice del lavoro e delle locazioni, si può coerentemente
concludere che il giudice non potrà farne uso qualora le prove raccolte consentano la
ricostruzione esaustiva del fatto rilevante ai fini della decisione; all'opposto, laddove
tale fatto sia rimasto incerto, egli dovrà avvalersi dei propri legittimi poteri istruttori,
prima di giungere all'applicazione dell'articolo 2697 cod civ.45
44 Perché mai le parti dovrebbero stimolare il giudice ad esercitare, in via preventiva ed eventuale, i poteri istruttori officiosi, laddove ancora abilitate ad articolare direttamente la prova (nuova) richiesta? 45 Così FABBRINI, Potere del giudice, op. cit., 736 e ss., il quale osserva che sarebbe assai singolare un ordinamento che, assegnando al giudice la facoltà di "bloccare" l'assunzione di ulteriori mezzi di prova quando ritenga raggiunta, in forza delle prove già assunte, la certezza - positiva o negativa- del fatto da dimostrare, consentisse al contempo al giudicante di inserire nuove prove ex officio laddove fossero sufficienti quelle già raccolte; PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo ordinario di cognizione di primo grado e di appello (in Foro it, 1991,V, 249 e ss.), osserva che un mezzo di prova è indispensabile allorché sia diretta a provare un fatto (ovviamente rilevante) la cui esistenza (o inesistenza) sia stata dichiarata con la sentenza di primo grado non sulla base delle concrete risultanze probatorie bensì “sulla base della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova;
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In questi termini si sono pronunciate, da ultimo, le citate Sezioni Unite 11353/04
cit., con espresso riferimento al verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle
parti 46
Balza agli occhi la ratio del sistema delineato: il potere del giudice di disporre,
anche senza iniziativa di parte, mezzi istruttori sui fatti acquisiti alla causa come
temi di decisione, persegue l'evidente finalità di giungere alla (più volte ricordata)
verità storica.
Questa tensione ideale del processo non può soffrire, de iure condito, un vulnus
assoluto per effetto di formali preclusioni relative al thema probandum 47
coerentemente al " valore " che anche nel rito ordinario assume la corretta ricostruzione dei fatti ai fini della giusta composizione della controversia, proprio perché in primo grado sono previste preclusioni rigide quanto alle richieste dei mezzi di prova, nel processo d'appello deve essere possibile disporre l'assunzione di mezzi di prova ove ciò si riveli necessario, " indispensabile ", per risolvere la controversia sulla base dell'accertamento pieno dei fatti controversi e non sulla base di regole formali di giudizio "; v. anche E. FABIANI, Sull'indispensabilità della prova in appello, in Toscana giur., 1998, 553 e ss., ed ivi per ulteriori riferimenti. 46 Così anche Cass. S.U. 23.1.2002 n. 761. 47 In termini, tra le molte, Cass. 15 dicembre 2000 n.15820 secondo cui il giudice " deve esercitare il potere-dovere di provvedere d'ufficio agli incombenti istruttori necessari a superare l'incertezza sui fatti costitutivi dei diritti fatti valere in giudizio, senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti ", per l'effetto di ritenere carente di motivazione la decisione del giudice di merito il quale, sul presupposto dell'intervenuta decadenza del datore di lavoro dal potere di allegazione, aveva ritenuto illegittima la sanzione disciplinare inflitta al lavoratore. In argomento si vedano gli interessanti rilievi di R. ORIANI, Eccezione rilevabile d'ufficio e onere di tempestiva allegazione: un discorso ancora aperto, in Foro it, 2001, parte I, 127 e ss., il quale - nell'annotare con favore la presa di distanza di Cass. 11 agosto 2000 n.10640 dal pronunciamento delle Sezioni Unite n.1099/98 (le quali avevano statuito che il giudice non può rilevare d'ufficio un fatto estintivo, modificativo, ancorché attinente ad una eccezione rilevabile di ufficio, ove esso non sia stato tempestivamente allegato con la memoria difensiva , sostanzialmente vanificando la distinzione tra eccezioni rilevabili ex officio ed eccezioni in senso stretto), ricorda che " il processo, secondo quanto diceva Chiovenda, serve alla tutela dei diritti, non a crearne di nuovi, come si verificherebbe se il giudice accogliesse la domanda, pur risultando dagli atti che il diritto non esiste più, ad esempio, perché c'è stato l'adempimento”. Lo stesso SATTA, nel suo Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1962, II, 141 e ss., precisa efficacemente, con riferimento all’ampia facoltà di introdurre eccezioni in senso lato, che non si tratta di "… un trattamento più favorevole al convenuto, ma del fatto che l'eccezione per se stessa non altera i termini del giudizio, ma concorre alla realizzazione dell'ordinamento giuridico nell'orbita della domanda... (l'eccezione) è compresa nella domanda, perché il giudice deve giudicare della domanda” tota re perspecta”, cioè nell'integralità dell ' ordinamento". Sul punto, v. anche COLESANTI, Eccezione (diritto processuale civile), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milanox, 1964, IV , 181, che assegna all'eccezione la funzione di evitare "... addirittura una frattura tra processo e giudizio, tra realtà accertata nel processo e contenuto dell'accertamento giudiziale".
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Quanto al “quomodo”, il sistema inquisitorio attenuato delineato dagli
articoli 420, 421 e 437 cpc, contempla ( quale " minus " rispetto al potere del
giudicante di procedere all'integrazione diretta del thema probandum: ad esempio,
mediante la formulazione dei capitoli) quello - finalizzato al medesimo scopo - di
concedere alle parti apposito termine perentorio ex articolo 420, comma 7, e 421,
comma primo, cpc., sempre che, come si è detto, la prova dei fatti ritualmente
allegati si riveli indispensabile ai fini della decisione, nel senso dianzi esposto 48.
Il rebound logico-giuridico è dunque la conclamata ampiezza della
facoltà per le parti di allegare (e di articolare) - anche oltre il limite di cui all'articolo
420, comma quinto, cpc - la “prova” sui fatti rilevabili ex officio, così come sui
fatti costitutivi e sulle eccezioni proprie, purchè tempestivamenti dedotti (fermo
restando, in ogni caso, il vaglio giudiziale di indispensabilità), trattandosi, in
definitiva, di una forma, per così dire, abbreviata di realizzazione degli effetti che
deriverebbero dall'esercizio del potere istruttorio d'ufficio49
Risulta evidente, alla luce di quanto illustrato, come il modello
processuale speciale in esame abbia spostato l'accento da un sistema caratterizzato Il giudice può certamente cooperare, in via integrativa e correttiva, al completamento del thema probandum ma ciò deve verificarsi all'interno della cornice della leale cooperazione delle parti al sollecito svolgimento del processo. Appare, quindi, giustificata la conclusione nel senso della perenzione per il caso di inattività istruttoria delle medesime a fronte dell'impulso ordinatorio ricevuto con un atto di sostanziale rimessione in termini . 48 Il giudice, come si è detto, può certamente cooperare, in via integrativa e correttiva, al completamento del thema probandum. Tale risultato deve, peraltro, realizzarsi all'interno della cornice ideale di quella leale cooperazione delle parti finalizzata al sollecito svolgimento del processo. Appare, quindi, condivisibile la conclusione secondo cui le parti, laddove restino inerti pur dopo un’ordinanza di rimessione in termini, andranno dichiarate definitivamente decadute dalla corrispondente facoltà istruttoria. Va così disatteso l'orientamento espresso da Cass. 8.6. 1999 n.5639 che, muovendo dalla non perentorietà del termine per le integrazioni assegnato ex articolo 421, comma primo, cod civ, ritiene l’irrilevanza della sua mancata osservanza. 49 La ricostruzione proposta consente di evitare " delicate " operazioni giurisprudenziali quali , ad esempio, quella compiuta da Cass.11.2. 1995 n. 1509 (in Foro it, 1995, I, 1840, con nota di FARNARARO), che ha escluso la decadenza nei confronti della parte che aveva omesso di dedurre tempestivamente una prova avente ad oggetto una circostanza decisiva ai fini della decisione, in presenza di "… una ragionevole presunzione di non contestazione di tale fatto" alla luce del contegno tenuto dall'Inail nel corso della fase amministrativa. Nella specie, la Corte, correggendo la motivazione della sentenza del giudice di merito, ritenne sussistere la " ragionevole presunzione" ricordata ancorché il fatto costitutivo fosse stato tempestivamente contestato dall'Inail, nella successiva sede giudiziale, già con la memoria difensiva di costituzione e risposta. Qui, come si vede, la questione non si poneva in termini di principio di eventualità della prova bensì di esplicito onere probatorio.
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dall'onere assoluto della prova ex articolo 2697 cod civ ad uno connotato dal "
rischio della mancata prova ", tenuto conto della discrezionalità del giudicante e
dell’intuibile incertezza delle censure che gli si dovessero muovere in sede di
gravame.
4 . - La giurisprudenza assolutamente prevalente esclude che la sanzione
di decadenza per tardiva produzione valga anche con riferimento alle prove
documentali. 50
L'orientamento dominante pare, tuttavia, incoerente con il dettato normativo.
L'articolo 416 cpc, difatti, non distingue tra prove costituende e prove precostituite,
né limita in alcun modo alle prime la perenzione ivi prevista.
Parimenti irrilevante, al fine indicato, si stima la circostanza - sovente ribadita in
giurisprudenza - per cui le prove precostituite, essendo oggetto di mera
"produzione", non sono soggette ad "ammissione" , per l’effetto del libero ingresso
nel processo. Si tratta, invero, di un rilievo de iure condendo che, allo stato, trova
ostacolo nel chiaro tenore letterale della norma il cui contenuto – a ben vedere - non
lascia spazio ad argomentazioni alternative.
La norma prevede difatti l'onere di "... indicare specificamente, a pena di decadenza,
i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve
contestualmente depositare" .
50 Per tutte, ad esempio,Cass. 30 maggio 1989 n 2618; Cass 4 febbraio 1993 n.1359; Cass. 7 gennaio 1997 n.1154; Cass. 7 maggio 1999 n.5265; Cass. 8 giugno 1999 n. 5639; contra, Cass.23 dicembre 1992 n. 13602 e 26.1.1991 n. 773, entrambe nel senso dell'inammissibilità delle produzioni tardive in appello. Per l'ammissibilità, anche in sede di gravame, della prova documentale nuova (in genere con la prescrizione dell'immediata allegazione all'atto d'appello o alla memoria difensiva), cfr Cass. 23.1.99 n.655 (che, tuttavia, la subordina al vaglio di opportunità del giudicante), nonché Cass.15.1.1999 n.56 e Cass.10.2.1990 n.972, con nota di FRASCA In dottrina, C. CEA, Produzione documentale e iniziativa istruttoria ufficiosa nel rito del lavoro, in Foro it., 2000, parte I, 1267, ed ivi per ampi riferimenti bibliografici e e giurisprudenziali: l'A., nell'operare un'attenta ricostruzione del panorama giurisprudenziale, rileva che l'orientamento di legittimità apparentemente contrario si è realtà formato solo a livello di obiter dictum. Sul punto, LUISO, Il processo del lavoro, op. cit., P 293 e seguenti; PROTO PISANI, Controversie individuali di lavoro, op. cit., 114 e ss.
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Non giova, infine, alla soluzione criticata l'argomento secondo cui le prove costituite
non influirebbero negativamente sulla celerità del giudizio: la compatibilità
teleologica di dette prove con i principi chiovendiani ispiratori del rito speciale del
lavoro e delle locazioni non può ovviamente superare il dato ostativo della norma. Si
è poi acutamente replicato 51 come, a fronte di libere produzioni "a pioggia" fino
all'udienza di cui all'articolo 420, comma quinto, cpc ( e , a seguire, in appello),
scatti inevitabilmente il diritto di difesa dell'avversario il quale, in relazione a
documenti " nuovi ", ben potrebbe chiedere di essere autorizzato, a mente del
successivo comma 7, ad articolare nuove prove, se del caso anche orali, destinate a
confutare il contenuto delle " new entries" cartacee. Con buona pace per le ragioni di
speditezza del rito!
Non sfugge, ancora, l'incoerenza dell'orientamento permissivista ove comparato a
quello " restrittivo" formatosi in riferimento al processo ordinario: evidente, al
riguardo, è la sostanziale specularità del contenuto preclusivo degli articoli 184 e
345 cpc rispetto a quello previsto degli articoli 416 e 437 c.p.c. , né è dubbio che
essa imponga, sul piano logico, soluzioni omogenee, tanto più giustificate, sul piano
finalistico, dal parziale modellamento del rito ordinario riformato a quello speciale
del lavoro.
Occorre, tuttavia, prendere atto, da una parte, della solidità dell'orientamento
criticato e, dall'altra, di come la questione non si presti (più di tanto) a prese di
posizione eccessivamente rigide, a fronte della coesistenza di ficcanti poteri
istruttorii ex officio che non consentono di risolvere, in termini meramente formali,
il problema del rituale inserimento della prova precostituita nei materiali cognitivi
del processo.52
51 F.P. LUISO, Diritto processuale civile, IV, I processi speciali, Milano, 2000, III edizione, 60 e ss.; così pure TARZIA, Manuale del processo del lavoro, IV ed., Milano, 1999, 177. 52 La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito come, nel rito speciale del lavoro, improntato alla ricerca della verità storica e materiale, sia necessario superare il formalismo della decisione improntata sull'applicazione supina del solo principio dell'articolo 2697 cod civ.
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È comunque possibile individuare un ragionevole punto di equilibrio tra il dettato
normativo e l'orientamento giurisprudenziale descritto, alla luce del principio della
ricerca della verità storica.
Fermo restando, così, l'onere di produrre i documenti in limine litis - a pena di
decadenza - il giudice, nell'esercizio dei suoi poteri istruttori d'ufficio, avrà
comunque il potere di valutare l'indispensabilità della produzione tardiva laddove
esse intervenga a sostegno e/o a confutazione di:
a) fatti costitutivi della domanda ed eccezioni in senso stretto allegati
tempestivamente in prime cure;
b) eccezioni improprie sollevate per la prima volta in sede di gravame, stante la loro
rilevabilità ex officio e l'inerente potere di indagine del giudicante ( Cass.4 febbraio
1997 n 1021).
Viceversa, se il documento dovesse riguardare domande nuove ovvero eccezioni in
senso stretto tardivamente sollevate, la produzione, anche laddove ritenuta
tecnicamente ammissibile (nel main stream ricordato), sarebbe comunque irrilevante
in quanto non indispensabile.
A conclusione di questa breve rassegna sul “ mix” di impulsi di parte e di interventi
integrativi officiosi, piace ricordare l’efficace annotazione di Oriani 53 secondo cui
la soluzione complessiva raggiunta "… importa una preziosa elasticità in un
processo dotato di organiche preclusioni. Si evita in tal modo la completa
cristallizzazione della res controversa nella fase iniziale del processo; ad essa
conseguirebbe l'irrilevanza delle acquisizioni processuali verificatesi nel corso del
giudizio, fonte di una pericolosa divaricazione non solo tra diritto e processo, ma
tra realtà accertata e contenuto dell'accertamento giudiziale"
Andrea Mirenda
53 Eccezione rilevabile di ufficio, op. cit., 127 e ss.
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