8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965
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PUBBLICAZIONI DELLA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI «S. PAOLO»
DI ASSISI
GIOVANNI ROMANO BACCHIN
I
FONDAMENTI
DELLA
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO
ISTITUTO EDITORIALE UNIVERSITARIO - ASSISI
1 9 6 5
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Union Arti Grafiche • C tà di CasMlo 1966
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I N T R O D U Z I O N E
Non credo di esagerare se dico che le uniche opere di filosofia
del linguaggio che possano dirsi veramente tali — a parte spunti
e no te ed osservazioni sparsi un pò ovun que — e non solo d i
questi ult imi anni, sono opere che non intendono trattare ex
-professo del linguaggio e sono, anzi, opere metafisiche. E ciò non
stupisce se alla filosofia del linguaggio si chiede inn an zit u tto di
essere filosofia ed alla filosofia di essere « m etafisica » nel senso
più rigoroso della parola.
Il migliore esito della contemporanea attenzione prestata al
linguaggio da parte di studiosi di provenienze culturali le più
disparate è, penso, l 'acuirsi della sensibilità critica nel suo uso,
nella scelta appropriata dei termini in vista di un rigore effettivo
delle varie ricerche. E si ha un linguaggio delle scienze (in cui
pare che le scienze si risolvano) e si ha un linguaggio della filo
sofia (che si risolve — come tale —• in filosofia teoretica, nell'atto
del filosofare che esso non può esaurire
né «
definire ») e si hanno
altri linguaggi, circoscritti e circoscriventi l 'umana esperienza. In
ciascuno va cercato il « rigore » che è metodologicam ente la neces
sità di non estendere un linguaggio ad ambiti per i quali non sia
sta to « costruito » o nei quali p iù non si riconosca ciò che l'ha
fatto nascere.
Ora, il rigore stesso della ricerca filosofica importa che ad essa
non si pervenga trascinandosi dietro i pesi di un linguaggio che,
nato in altro terreno, induca estrapolazioni, falsi miraggi, rap
presentazioni inadeguate, crisi apparenti. Di fatto, l 'opera del
filosofo nei confro nti delle a tt u al i ricerche into rno al linguagg io
si risolve proprio nel liberare (meglio : purificare) la filosofia con
la sua autentica problematica da problemi fittizi, rivelando criti
camente i punti in cui si generano più facilmente gli equivoci e le
discussioni meramente verbali.
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VI INT RODUZ IONE
Tale opera è, tuttavia, condizionata all 'attuarsi effettivo della
filosofia, per così dire all'interno di se stessa e non solo
in con
fronto con altre at t ività umane.
Ma è proprio questo collocarsi e radicarsi profondo del filo
sofo nella filosofia, che, escludendo rigorosamente ogni interesse
che non sia autenticamente filosofico, accredita anche una filo
sofia del linguaggio che non sia solo una « riflessione critica » sul
linguaggio, o un'analisi di linguaggi effettivamente disponibili, o
linguistica generale od anche curiosità erudita.
Una volta chiari to — ed è chiarimento molto importante —
che la filosofia non è da risolversi nel pensiero così detto « scientifico », non ha più senso per la filosofia condizionarsi alle tecniche
op erativ e di cui si avvalg ono le scienze e i loro linguaggi pa rt i
colari. Del resto, la stessa espressione « filosofia del linguaggio »
come l'espressione
«
filosofia de lla scienza », riv ela che scienza e
linguaggio sono passibili di una ricerca che non coincide semplice
mente con la posizione — anche critica — dei loro termini.
In ogni caso, se l'intima intenzione delle
«
filosofie del linguag
gio », dai frammenti di Parmenide, al Cratilo platonico, alla Spra-
chenphilosophie di V O N H U M B O L D T , alla
« Languistique generale »
del De Saussure al
Tractatus
di Wittgenstein, alla «
Sintassi logica
del linguag gio » di
R.
Carnap, alle ultime rielaborazioni a carattere
più informativo che costruttivo (e che caratterizzano la produzione
italiana in materia), secondo vari intenti, è di raggiungere una
sufficiente consapevolezza del linguaggio fino alla sua giustifica
zione fondante, è non solo possibile, ma necessario enucleare
tale
«
intenzione
»
nella sua purezza e vederne l ' intima consistenza
ed è questo, appunto, il compito della filosofia o il modo di con
siderare il linguaggio in filosofia.
Con che il filosofo è ancora a casa sua dove del linguaggio
non si chieda come psicolog icame nte o socialmen te si origini,
né
come si possa ade gu are alle cose che con esso si vuole « dire » o
« com unicare », m a si chieda a quali condizioni il linguaggio, o
segno o semantizzazione o forma di pensiero, sia pensabile. Por
tata al limite, là dove solo il filosofo può pervenire con il suo
totale ricercare, la ricerca sul linguaggio radica in se stessa la
differenza di cui ci si serve, di fatto, tra « linguaggio » e « lingua »
e non solo per un a p rop osta, m a per u na intrinseca necessità :
« linguaggio » volendo essere
il pensiero in quanto dicibile o signi
ficabile e tale a prescindere dai
«
segni
»
di cui una lingua d i fatto
dispone.
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INTRODUZIONE
VII
E questo importa
che del
linguag gio
si
determini
la «
s t ru t tura
»
nella
sua
originarietà
; che è
l'originarietà stessa
del
concetto
di
« s t ru t tu ra »
e del
« concetto », ap pu nto ,
o
« pensiero »
di cui è
«
s t r u t t u r a
».
La presente ricerca
dei
« fondamenti » della filosofia
del
lin
guaggio
si
collega, pertanto, direttamente
a due
gruppi
di
lavori,
per
un
verso affini anche
se
nati indipendentemente
e in
altro
clima
:
ovviamente
i
miei lavori teoretici precedenti,
a
cominciare
dal lavoro Su le
implicazioni teoretiche della struttura formale (i),
ed
i
lavori teoretici
di
Emanuele Severino, specialmente
la Strut
tura originaria
(2) e
Studi
di
filosofia della prassi
(3) nei
quali
risultano rigorosamente tolte
le
pregiudiziali
da cui ci si
muove
per considerare
«
filosofia
» ciò che è, al più, «
cultura
»,
interesse
alle
«
cose »,
più che al
loro intimo senso,
che è poi il senso del
l essere.
Non tut to
del
pensiero metafisico
del
Severino
io
accolgo,
ma molto
del suo
pensiero
io
incontro sulla
mia
strada proce
dendo indipendentemente
da lui, ed a
partire dalla
originaria
impostazione problematica
del
pensiero classico
che
ritengo
sia
stata fatta valere nella
sua
purezza
da
Marino Gentile
(4), del
quale
mi
onoro
di
essere discepolo.
Se nella pura problematicità,
che è il
totale problematizzare
o discussione totale,
i
singoli contenuti
di
asserzione sono revo
cabili
in
dubbio, dissolvibili nella loro pretesa consistenza, indis
solubile, irrevocabile appare, invece,
la «
s t ru t tura
» ed il «
con
cetto
» che la dà ed in cui la
s t ru t tura
è,
piuttosto, l 'originario
strutturarsi
del
« trascendentale »,
che è
essere
e
pensare, pensare
perchè
essere.
Di
un più
chiaro recupero
del
livello trascendentale
si
avvale
questo
mio
ultimo lavoro
nei
confronti
del
lavoro
Sulle impli
cazioni
teoretiche
detta struttura formale,
perchè
il
trascendentale
si
chiarisce
qui non
solo come str utt ur a,
ma
come l'im possibilità
che
in esso
«
s t ru t tura
» e «
funzione
» si
dist inguano,
e non,
piuttosto,
che
«
funzione
»
del
trascendentale
sia
dissolversi
o
vanificarsi
come « oggetto »
non
appena
lo si
pensi, essendo esso
ciò in
virtù
di
cui si
pensa
e si
dice.
(1) R o m a ,
1963.
(2) E. SEVERINO,
La struttura originaria,
B re sc ia , 1958.
(3) E. SEVERINO,
Studi di filosofia della prassi,
M i l a n o , 1962.
(4)
Si
v e d a s o p r a t t u t t o
di M, GENTI LE,
Filosofia
e
Umanesimo,
B re sc ia ,
1948,
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Vil i
INT RODUZ IONE
Questo vanificarsi del trascendentale è dialettico ed è
l at
testazione dialettica che il linguaggio, nato per « significare »,
non può valere dove non valgano l i oggettivazione », l'« entifi-
cazione », la « cosalizzazione » dell'esperienza e che l uso filosofico
del linguaggio è la critica d issoluzione della sua pretesa di significare
la totalità. Ed ogni cosa è, nella sua con cretezza o pienezza d'essere,
la totalità di se stessa.
Del linguaggio ci si serve dunque, in filosofia, per dire che
co n il linguaggio non si dice di filosofico se non la necessità di
considerarlo tutto condizionato, necessità di dire nonostante il
linguaggio, dialetticamente.
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'
CAPITOLO PRIMO
S O M M A R I O
:
i .
Il carattere filosofico della presente ricerca. — 2. 77 carattere dialettico,
0 negatorio della filosofia.
— 3 .
La dialettica dell identico livello.
— 4 .
La dia-
letticità della filosofia e il mom ento analitico della filosofia del linguaggio. — 5.
/
limiti di validità dell analisi nella filosofia del linguaggio. — 6 . Limili di v ali
dità e valore.
— 7.
Com e è possibile una filosofia del linguaggio.
— 8 .
Concetto
di « teoria » e sua riduzione.
— 9 .
La riduzione del concetto di teoria e la radice
pragma tica dell intellettualismo. —
i o .
La nozione ateoretica dello « in generale »
come base della teoria.
— 11 .
Riduzione del procedimen to analitico all inde
terminato, cioè al contraddittorio.
—
12.
Differenza ontologica tra il contraddit
torio ed il negato. —
13.
La dialetticità come impossibilità di un procedimento
analitico sulla totalità. —
14.
La dom anda totale e la totalità doma ndata. — 15.
L intero della doman da totale e della totalità doman data.
—
16. La conversione
dialettica della totalità doma ndata nella esclusività de l doman dare.
—
17. La
doma nda come riferirsi in atto alla risposta.
—
18. La problematicità della
«
de
finizione » concettuale.
—
19. L intersoggettività come dimensione dialettica.
—
20 . La struttura dialettica dell implicazione.
§ 1. —
II
carattere filosofico della presente ricerca.
La presente ricerca sul linguaggio si colloca sul piano filoso
fico puro
(1)
e,
da
un pun to di vista esclusivamente filosofico, si
svolge in ordine alla domanda di come il linguaggio possa venire
giustificato e perciò di come possa giustificarsi una ricerca filo
sofica into rno ad esso, che le due cose coincidono .
Coincidono perchè la giustificazione è, essenzialmente, la fon
data attribuzióne di un valore in base al quale si giustifica il pro
cesso stesso onde si perviene a questa attribuzione ; e così la giu
stificazione del linguaggio è il linguaggio nel suo valore e la filo
sofia del linguaggio procede consapendo o sapendo insieme , se
stessa e il valore del linguaggio nel suo essere tale. Con che si
(1)
L a p a r o l a
«
pu ro », d e t t a pe r ind ica re l a f ilosof ia ne l l a sua t eor e t i c i t à ,
de te rmina i l ca ra t t e re in t r inseco de l l a f i losof ia , oss ia l a f i losof ia è pura o non è
filosofia.
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2 CAPITOLO PRIMO
chiarisce che la filosofia del linguaggio è il linguaggio stesso nel
suo venire considerato dalla filosofia od anche il linguaggio
nella
filosofia.
È così che si rivendica la piena autonomia del filosofare, an
che nel caso della filosofia del linguaggio, in que l caso, cioè, in cui,
di fatto e per le molteplici implicanze dei vari linguaggi disponi
bili, più difficile appare l'autonomia del filosofare.
La facile — invero banale — osservazione che definire la filo-
s
ofia come « giustificazione » è presupporre qualcosa alla ricerca
e
che la stessa
parola
« giustificazione » appartiene al linguaggio
che
si intende giustificare, onde non sarebbe legittimo porsi ori
ginariamente
ad un livello filosofico puro nei confronti del reale,
e del linguaggio in particolare
(i) ,
va tolta con quest 'altra osserva
zione, che ogni ricerca, a qualsiasi livello, in ta nt o legittim am ente
si pone in quanto
«
motivata
»
in ordine al valor e che le si at tr i
buisce e que sta motivazione h a però
senso
solo dove il valore venga
consaputo nel suo autentico senso, ossia come « giustificazione »,
la quale è, si voglia o
no,
filosofia.
E la filosofia, come totale e perciò pura problematicità (2), non
può risultare (3)
«
cond izionata
»
senza cessare di essere ; il che
significa che è indispensabile porre in questione ogni forma di
«
condizionamento
»
che di essa si pretende e da parte delle scienze
e da parte dei linguaggi dei quali esse si strutturano e da parte
del « linguaggio comune » di cui pu re si abbisog na p er farsi inten
dere, e da parte di quella particolare scienza che è la scienza delle
strutture logiche o « sintassi logica del linguaggio ».
Così, se questi « condizionamenti » vann o messi in questione,
e se filosofia si intende questo radicale epperò totale questionare,
non sarà mai possibile rinunciare alla autonomia del filosofare e
non sarà il linguaggio, nella sua struttura e nella sua funzione,
a comprom ettere q uesta autonom ia ;
che,
se ciò si pensasse, si
dovrebbe pur sempre pensare o che il linguaggio è tutta la filo
sofia e, di conseguenza, non è linguaggio perchè altro non avrebbe
(1)
È l ' o s se rv a z io n e c h e mi mu o v e v a
L . GEYMONAT
a p ro p o s i to in «
Sapere
scientifico e sapere filosofico », S imp o s io a P a d o v a , i 9 6 0 .
(2) R im a n d o i l l e t t o re a g l i a l t r i m ie i l a v o r i te o re t i c i , r i sp e t to a i q u a l i i l p re s e n t e
è u n u l t e r io re a p p ro f o n d i me n to d e l l a p ro b le m a t i c i t à c o me è in t e sa n e l p e n s ie ro
d i M. G e n t i l e .
(3) Una fi losofia che
«
r i s u l t a s s e » s a r e b b e g i à t u t t a c o n d i z i o na t a e r i p r o p o r
re b b e i l p ro b le m a d e l v a lo re d i c iò d a c u i l a s i f a r i su l t a re , p ro b le m a t e o r e t i c a
m e n t e s p o s t a t o , m a i r i s o l t o .
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I
FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA
D E L
LINGUAGGIO 3
da comunicare se non se stesso e non potrebbe, perciò,
«
comuni
carsi
»,
o che esso è un particolare
«
caso
»
(particolare anche seinsopprimibile e semp re presuppo sto) di un a to ta lit à in cui si
inscrive ed è tale da non potersi mai convertire in essa.
Qu esta to tal ità, a pp un to, che pu r con il linguaggio si com unica,
è dal linguaggio
indipendente
se ques to si inscrive in essa e ta le in
dipendenza è già
l autonomia
del dire la totalità, che è la totalità
nel suo affermarsi o filosofia che afferma se stessa : il pieno ep-
però concreto affermarsi della filosofia.
§ 2. —
II carattere
dialettico, o negatorio (i), della filosofia.
La forma più comune — e perciò stesso più banale — in cui,
implicitamente od esplicitamente, appare il dubbio intorno al
significato ed al valore della filosofia è quella vagamente
«
stori
cistica
»
che pretend e alla m isura del
vero
come
«
at tuale
»
e della
« at tual i tà » come « con tem po rane ità », nel senso d elle rapp resen
tazioni collettive (2) delle quali si materia ciò che è, di volta in
volta, e per tutti i tempi,
«
il nostro temp o »,
«
la m oda del tem po ».
Tale forma è in effetti la domanda : « la filosofia ha
ancora
qualcosa d a dire nel nostro tem po ? », la q uale d om and a, presa
nel suo significato preteso, suppone in ogni caso risolto o mai
discusso che cosa significhi
«
dire qualcosa
»
ed
«
avere ancora da
dire » e « nostro tempo » ; essa suppone tut to questo perchè è dal
senso comune che essa muove ed è in esso che si mantiene, co
sicché
il suo valore dipenderebbe solo e tutto dalla rilevanza di
quel
«
senso comune
»
in filosofia, ma, dove si pervenga a tale
consapevolezza, è già dissolta la pretesa di porre una simile
domanda intorno alla filosofia, perchè la consapevolezza critica
del limite del senso comu ne (nonché delle questioni che esso
suscita ed alimenta) è già
«
filosofia
»
(3).
Quella domanda, presa nel suo effettivo significato, si sempli
fica nella seguente :
«
la filosofia ha qua lcosa da dire ? ». Perch è,
(1) «
N e g a to r io » d i c i a mo e n o n
«
n e g a t iv o », p e r c h è l a n e g a z io n e v i c o m
p ie la
funzione positiva
della r i a f f e rma z io n e d e l
limite
o d ia le t t i c i tà e ssenz ia le a l
f i losofa re , pe r la qua le i l nega t ivo è cond iz ione a l
rilevamento
de l ve ro , dove
tutto
s ia messo in d iscuss ione ( ipo te t izza to come non ve ro) . Cfr . G.
R. BACCHIN,
Origi-
narietà e mediazione nel discorso metafisico,
R o m a ,
1963.
(2) Per « ra p p re se n ta z io n i c o l l e t t i v e » in t e n d o l ' u so c o mu n e d i p a ro le n o n suf
f i c i e n te me n te c o n s a p u to n e l l e su e r a g io n i : d i t u t t i e d i n e ssu n o .
(3) Si veda, a proposito , i l Cap. II , § 3.
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4 CAPITOLO PRIMO
se essa, come filosofia, ha avuto qualcosa da dire, essa, restando
filosofia, ha
ancora
ed avrà
sempre
qualcosa da dire e se ora risul
tasse che come filosofia essa non ha nulla da dire, ciò significhe
rebbe che essa non ha mai avuto qualcosa da dire, nonostante
l 'apparenza contraria.
Qui l'appello alla storicità, per dire che la filosofia svolgen
dosi ha perso di attualità, dovrebbe significare che la filosofia ha
cessato di essere filosofia, donde la necessità di tornare ad essere
ciò che era per essere ancora filosofia, oppure che essa non è mai
stata filosofia e perciò non è mai stata attuale e che lo svolgimento
storico all'interno di essa, quello che porterebbe alla dissoluzione
della filosofia, vale solo a mostrarne l'illusorietà ; illusorietà però
che solo la filosofia ora potrebbe rilevare, perchè dovremmo chia
mare filosofia almeno questa consapevolezza raggiunta,
nonché
il processo per raggiungerla.
E la filosofia avreb be per unico comp ito di elim inare se stessa ;
il quale compito è ovviamente contraddittorio e perciò si elimina,
restituendo così il compito incontraddittorio della filosofia, quel
compito che è, a rigore, tutto nella sua stessa incontraddittorietà,
nella incontraddit torietà dell essere che per esso si rivela (nel
ten tativo frustrato di negarlo), precisamente il compito «m eta
fisico
»
(i).
È fuori d ub bio, com unqu e, che alla d om and a se la filosofia
abbia qualcosa da dire, nel senso che si giustifichi come filosofia,
si suppone che solo la filosofia possa risp on de re,
che
ad essa ci si
rivolge e non avrebbe senso atten der e u na risp osta da chi non
tende o pretende alla filosofia ; dove è almeno implicito che, se
tale domanda ha un senso, questo senso è ancora filosofia, per cui,
a rigore, non ha alcun senso porsi questa domanda se non come
consapevolezza che la filosofia attua di se stessa
(2) ; dovreb be pen
sarsi cioè fuori dubbio ciò che darebbe « senso », o valo re, alla
domanda relativa intorno ad esso e il dubbio così non avrebbe
senso.
La massima concessione che si può dunque fare a chi pone
dom ande filosoficamente ba na li (3) è che ques te dom and e pos
sono venire poste solo banalizzando il loro stesso senso, cioè sup-
(1) Cfr. G. R.
BACCHIN,
Originarietà ecc., cit.,
p . 4 0 ;
L originario come im
plesso esperienza - discorso,
R o m a ,
1963,
p . 79 .
(2) Cfr. G. R. BACCHIN, SU l autentico nel filosofare, R o m a , 1963 , p . 12.
(3) È f i losof icamente bana le i l d iscu te re su l la base d i
«
p re su p p o s t i ».
•s
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I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA D E L LINGUAGGIO 5
ponendo che la filosofia sia l'unico senso che esse potrebbero
avere : che se ciò di cui si dubita è il senso stesso del dubitare,
dubitare non ha più senso.
§ 3. — La dialettica dell identico livello.
Il rifiuto della filosofia a prendere in considerazione queste
pretese è per lo meno giustificato qu an to il rifiuto della filosofia
da parte di chi non ne vede la
ragione ;
per lo meno, diciamo,
non perchè effettivamente sia così, ma perchè così si pretende e
solo tanto si è disposti a concedere alla filosofia se ci si pone a
discuterla a partire dal senso comune (e mantenendosi in esso).
Questa parità di diritti compare con l 'atteggiamento di generica
tollera nza con cui il senso comun e può contraffare l'au ten tica
ricerca che è problematicità ; generica tolleranza, proprio perchè
si può « tollerare » solo genericamente, ossia come atteggiam ento
o disposizione, non come critica consap evolezza dell'« ogg etto »,
cosicché la « tolleranza » si rivela p iutto sto una rinuncia alla cri
tica che una disposizione ad attuare pienamente la critica.
Ma anche a porsi in questo atteggiamento di tolleranza, che è
rinuncia, la filosofia e chi la nega negandole ciò che le spetta si
dispongono inevitabilmente al
medesimo livello,
quello stabilito
dalla supposta parità di diritti , il quale, proprio perchè identico
per en tram bi gli atte gg iam enti, deve essere filosofia, la qu ale ,
così, nega la negazione che si pre ten de di essa e, non suben do
negazione, caccia dal suo piano chi pretende negarla.
Non si può negare, cioè, che la parità di diritti venga inizial
mente supposta, perchè la questione sorge solo a condizione che
si suppongano inizialmente compossibili i suoi termini, che sono
qui la filosofia e la sua negazione,
compossibilità
che è l'assunzione
ad un medesimo livello dei due opposti (non v'è opposizione se
non all ' interno di una supposta omogeneità) (i) , per cui, tolta
l ' identità di livello tra i termini in questione, è tolta la questione,
la quale si toglie sdoppiandosi in una negazione mai pertinente e
in un negato
sempre
fuori negazione : la negazione della filosofia,
non orientata a questa, non sarebbe e la filosofia, mai veramente
negata, continuerebbe ad essere.
È così che, a partire dall'identico livello, nella figura da chiun-
(1) Cfr.
A R I S T O T E L E , Metaph.,
IT I , 2 ; IV , 6 ; Cai., X .
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6 CAPITOLO PRIMO
que facilmente concessa della iniziale parità di diritti tra la filo
sofia e chi la nega, mettendo in evidenza con un atto di natura
filosofica che almeno questa identità di livello sarebbe filosofia
(se i livelli fossero diversi, la negazione non sarebb e m ai p er ti
nente), si conclude
escludendo (i)
proprio quella parità di diritti ,
riducendola a semplice pretesa che è discussione teoreticamente
nulla.
L'identico livello, supposto nella figura della p ari tà di d iritti ,
sarebbe dunque in
qualche modo «
filosofia
»,
pe rch è, se non lo fosse,
di essa non si po trebb e dire che è,
né
si potrebbe pretendere che
essa non sia. Ora, basta che essa sia
in qualche modo
filosofia perchè
sia veramente filosofia, perchè l'insufficienza de l m odo è qu i, piut
tosto,
l'insufficienza di chi lo inten de (o prete nd e) vero, mentre
che la filosofia sia già annunciata in questo « qualche modo » de
riva dal fatto che essa è sempre presente anche se oscuramente
consaputa (2).
§ 4. — La
dialetticità
della filosofia e il momento analitico della fi
losofia del linguaggio.
Se la filosofia è il porsi e l 'attuarsi del processo di giustifica
zione, la filosofia del linguaggio è il linguaggio come tale, ossia
la presenza del linguaggio nel suo
concetto
(3) ; con ciò re sta escluso
(1) «
C o n c l u d e re e s c l u d e n d o » è , p r o p r i a m e n t e , p r o c e d e r e n e g a n d o v a l o r e
a l l a p re me ssa d a c u i s i p a r t e ( c f r . G . R. BACCHIN, L originario ecc. c i t . , App . § 14,
l a r i f le s s io n e e sp l i c a t iv a d e l l ' u n i t à ) .
(2 ) Questa pe renne p resenza de l la f i losof ia non v iene
constatata
c o me u n fe n o
me n o c h e l ' e sp e r i e n z a o f f r e
constantemente
(ciò p o t re b b e v a le re , a l p iù , p e r s t a b i
l i re che v i sono , oss ia esistono, t a lu n i c h e s i d i c o n o « f i losof i » ) , ma v iene recupera ta
c o l t e n ta t iv o d i n e g a r l a , o ss i a dialetticamente ; la d ia le t t ic i tà de l m e t od o f ilosof ico
im p o r ta l a d i a l e t t i c i t à d e l l a su a a f fe rma z io n e : è d i a l e t t i c a a n c h e l ' a f f e rma z io n e
de l la d ia le t t ic i tà de l f i losofa re , e ssa è una cosa so la , c ioè , con la f i losof ia s te ssa .
(3 ) Q u a l i e q u a n t i so n o i p ro b le mi d e l l i n g u a g g io ? I l p ro b le ma dell origine,
d e l lo
sviluppo
de l l inguag g io , de l la
struttura
d e i s i s t e m i l i n g u i s t i c i , d e l
significato
d e l l e e sp re ss io n i l i n g u i s t i c h e , d e l l a
funzione
de l l ingua gg io .
D i f a t to , q u e s t i p ro b le mi v e n g o n o d i s t in t i t r a lo ro e d è , i n v e ro , u t i l e c i r c o sc r i
v e re c i a sc u n p ro b le ma o n d e a p p ro fo n d i re l a c o n o sc e n z a d e i su o i t e rmin i , ma u n a
a t t e n t a r i f l e s s i o n e s u t a l e p r o b l e m a t i c a r i v e l e r e b b e c h e c i a s c u n p r o b l e m a r i c h i a m a
l ' a l t ro e d e l l a so lu z io n e e v e n tu a le d e l l ' a l t ro s i a v v a le . C o s i , a d e se mp io , i l p ro b le ma
d e l l a
funzione
de l l ingua gg io s i co l lega con que l lo
dell origine
e c o s t i tu i sc e in s i e me
a q u e s t o i l p r o b l e m a p i ù f o n d a m e n t a l e d e l l a « natura » d e l l i n g u a g g io .
U s a n d o d e l l e c l a s s i f ic a z io n i d i Mo r r i s e d i C a rn a p s i p o t re b b e d e n o m in a re
« s i n t a t t i c o » i l p r o b l e m a d e l l a s t r u t t u r a e « s e m a n t i c o » q u el l o d e l « s i g n i f i c a t o » .
8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965
13/116
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO
J
che si possa pensare una critica al concetto come tale mediante
l'analisi del linguaggio ; che è quanto dire che il linguaggio, nel
suo concetto, non può venire considerato analizzando un par t i
colare linguaggio, procedendo questa analisi solo a supporre la
unità -unicità del concetto di linguaggio.
Questa considerazione ci consente di osservare come il valore
della cosidetta « filosofia an alit ica » sia da demandare a quel
senso lato per cui
«
an ali si filosofica
»
sarebbe
«
ogni filosofia
fondata su generiche operaz ioni di an alisi, di riflessione, di inte r
pretazione, e simili (cioè ogni filosofia non meramente mistica
o intuizionistica)
»
(i)
; e bisognerà subito stabilire come si possa
pa rl ar e di filosofia an ali tica o d 'an alis i filosofica, se la filosofia è
essenzialmente dialettica e se il linguaggio deve essere anche il
linguaggio della filosofia.
Si vedrà più avanti l 'intreccio tra filosofia del linguaggio e lin
guaggio filosofico ; per ora è sufficiente determinare che cosa venga
presupposto al concetto di una filosofia
«
fondata (2) su operazioni
S i n t a s s i e s e m a n t i c a r a p p r e s e n t a n o
cosi
l e d u e d ime n s io n i fo n d a me n ta l i d e l l ' a n a
l i s i l ingu is t ica : com e
«
s i n t a s s i » i l l ingua gg io è pur a fo rma log ica , come
«
s e m a n t i c a »
i l l i n g u a g g io è p u ra e sp e r i e n z a , d o n d e l a n e c e ss i t à d i r i e sa min a re i l r a p p o r to e sp e
r i e n z a - s t ru t tu ra ( c fr ., a p ro p o s i to , i l m io l a v o ro c h e r i t e n g o fo n d a me n ta l e a l l ' i n
t e l l i g e n z a d e l l a p re se n te in d a g in e : SM
le implicazioni teoretiche della struttura for
male,
R o m a , I a n d i - S a p i ,
1963
; s p e c i a l m e n t e c a p p . I V , V I I ,
V i l i ) .
(1) A .
PASQUINELLI, Linguaggio, scienza e filosofia,
B o l o g n a 1962, p .
19.
(2) S i sa che la pa ro la
fondamento
è me ta fo r i c a e r i c h ia m a l ' imm a g in e d e l l a
« c o s t ru z io n e » : è fo n d a m e n to c iò
su
c u i s i c o s t ru i sc e .
Ricercare il fondamento
significa, cioè, determinare ciò su cui posare l intera costruzione filosofica,
la qua le
c o s t ru z io n e n o n p u ò v e n i re posata su d i u n a q u a lc h e b a se , se n o n s i p o ss i e d e , p re
v ia me n te , l a c o n o sc e n z a d e l r a p p o r to t r a l a b a se e l a c o s t ru z io n e s t e s sa , r a p p o r to
c h e d e t e r m i n i l a
proporzione
t r a c o s t ru z io n e e ( su o) fo n d a m e n t o : n o n o g n i c o s t ru
z io n e a b b i so g n a d e l me d e s im o fo n d a m e n to . N e l c a so d e l l a c o s t ru z io n e f il oso fi ca
poiché
l a f il oso fi a s i p o n e in t e n z i o n a lm e n te in o rd in e a l l a to t a l i t à , l a d e te rmi n a
z i o n e d e l f o n d a m e n t o s a r à o r d i n a t a a « so p p o r t a re » l a to t a l i t à . O ra , e s se n d o i l
f o n d a m e n t o d e l l a t o t a l i t à i n e v i t a b i l m e n t e
interno
a l l a to t a l i t à , fo n d a re l a to t a l i t à
n o n è p o ss ib i l e se n z a in t e n d e r e c h e è l a t o t a l i t à a fo n d a re se s t e s sa (n el se n so c h e
i l fo n d a me n to d e l l a to t a l i t à è d e te rmin a b i l e a l l ' i n t e rn o d e l l a s t e s sa to t a l i t à e c h e
lo s i p u ò d e te r m in a re so lo a c o n d iz io n e d i p o sse d e re q u e s t a to t a l i t à ) . P a ra d o ssa l
me n te , p e r t ro v a re i l fo n d a me n to d e l l a c o s t ru z io n e f i l o so f i c a b i so g n a d i sp o r re
de l l ' in te ra cost ruz ione f i losof ica , pe r t rovare c iò su cu i pogg ia la f i losof ia b isogna
d i sp o r re d e l l a f i l o so f i a . P e r t a n to , l a d e te rmin a z io n e d e l fo n d a me n to n o n p re c e d e
la cost ruz ione f i losof ica , né l a se g u e , ma l ' a c c o mp a g n a in q u a l s i a s i mo me n to d e l
su o p ro c e sso : n o n l a p re c e d e , p e rc h è se n z a l a c o s t ru z io n e il fo n d a me n to sa r e b b e
f o n d a m e n t o
di
n u l l a , n o n l a se g u e p e rc h è se n z a i l fo n d a me n to l a c o s t ru z io n e ,
« in fo n d a ta », è n u l l a , m a l ' a c c o mp a g n a n e l l ' i n t e ro p ro c e sso p e rc h è l ' i n t e ro p r ò -
8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965
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8 CAPITOLO PRIMO
d'analisi ecc. ». Dove si prenda per « filosofia » un discorso fondato
direttamente su operazioni anziché su valori, bisognerà anche
riconoscere che una filosofia che si fondasse su operazioni dovrebbe
essere tutta nelle operazioni che la fondano e queste dovrebbero
esau rire in se stesse il valore in funzione del quale p erò si costi
tuiscono come operazioni.
Il valore della
«
filosofia an ali tica
»
dovrebbe consistere, cioè,
non in ciò cui l 'analisi, come operazione ten de, m a ne ll'analisi stessa,
che, se è solo un metodo (se non fosse solo un metodo sarebbe anche
dottrina), è un metodo considerato fuori relazione, «metodo»
e non « me todo logia », ossia òSó? che non ha term ine, un « andare »
senza meta.
Che, se si vuole dar e « consistenza » all 'operazione, bisogna
presupporle una filosofia che, condizionando l 'analisi, non può
subirne i procedimenti
né
strutturarsi degli stessi termini nei
quali l 'analisi si pone e si attua ; d'altro canto, l 'analisi è possi
bile solo dove si assuma l'oggetto da analizzare come
«
analizza
bile
»,
come già analiticamente disposto : l 'analisi del linguaggio
suppo ne un a filosofia che consenta di considerare il linguaggio come
un complesso di term ini, costatandone i mo di e i nessi,
precisamente la concezione empirica del linguaggio, quella che solo l'em
pirismo può consentire.
L'empirismo sarebbe qui scelto come filosofia per la dup lice
ragione che di una filosofia si ha bisogno per condizionare (e si
tuare culturalmente) l 'analisi del linguaggio e che solo l empiri-
cesso è « p r e s e n t e » in ogn i sua « p a r t e », c o s t i t u e n d o a p p u n t o i l « se n so » o il « ve rso »
d e l lo sv o lg ime n to , p re se n z a c h e è l a t o t a l i t à p e r c u i e d in c u i so lo p u ò d i r s i c h e
« q u a lc o sa » è o d iv ie n e .
I l m e t o d o t e o r e t i c o d e l l a d e t e r m i n a z i o n e d e l f o n d a m e n t o è d u n q u e l a c o n s t a
t a z io n e c h e i l
fondamento
de l la to ta l i tà , o fo nd am en to fi losofico, non pu ò esse re
e s t r a n e o a l la to t a l i t à , c h e a n z i so lo n e l l a to t a l i t à e s so è r e p e r ib i l e , p e r c u i , i n
e f fe t t i , l a t o t a l i t à n o n s i c o s t ru i sc e c o m e fondata, b e n s ì c o m e c o n d iz io n e a l l a
su a p o ss ib i l i t à d i fo n d a re , e s se n d o c iò entro cui h a se n so p o r re i l fo n d a m e n to , o d
a n c h e è e s s a
il porsi stesso
d i q u e l fo n d a me n to
C o n c iò d o v re b b e c o n c lu d e r s i c h e l a to t a l i t à , c o in c id e n d o c o n i l fo n d a me n to ,
n o n
ha
fo n d a me n to , o ss i a c h e è l a t o t a l i t à a fo n d a re se s t e s sa , a d
essere eie
i l p ro
p r i o f o n d a m e n t o .
M a, in qu est i te rm in i , face ndo co inc ide re i l fon da m en to f ilosofico con la co
s t ru z io ne f i losof ica , s i è d isso l to i l p r ob le m a de l fon da m en to d i ta l e cost r uz ion e
e s i è r e s a v a n a l a
ricerca
d e l fo n d a m e n to . D i r e c h e l a to t a l i t à fo n d a se s t e s sa
e d i r e c h e il fo n d a m e n to è fu o r i r i c e rc a , è d i r e l a s t e s sa c o sa : c h e i l fo n d a m e n to
n o n p u ò n o n e sse rc i e c h e q u e s t a n e c e ss i t à n o n è e s sa il fo n d a m e n to .
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I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO g
smo
consente
di
guardare
il
linguaggio come
un «
meccanismo
scomponibile pezzo
(i)
».
Dal
disposto com binato delle
due ra
gioni
si
evince facilmente
che il
motivo della preferenza data
all 'empirismo da parte degli analisti è tutto condizionato alla
loro intenzione di operare
sul
linguaggio empiricamente e non è,
perciò un motivo, venendo a coincidere con l'azione che esso
do
vrebbe motivare.
Del resto lo stesso empirismo non ha una sua ragione, perchè
esso rinuncia esplicitamente a giustificarsi, dal momento che as
sume come giustificazione proprio ciò che abbisogna di venire
giustificato : quell empirico cui esso riduce l'esperienza, costi
tuendosi come funzione logica
di
questa,
non
riesce
ad
assorbire
l'esperienza,
né a
giustificarla
; cosicché si può
dire
che il «
no
minalismo
» è
ancora empirismo, nonostante l 'apparenz a
: il nomen
è fatto sussistere come « cosa » tu t t a menta le
(flatus vocis),
ma an
cora come « cosa » che in qualche modo sussista.
Il grande movente, che di m oventi si può qui parlare più che
di motivi, dell'analisi del linguaggio è la difficile situazione in cui
ci
si
viene
a
trovare quando
si
affronta
un
discorso filosofico man
tenendosi
al
livello empirico,
che è per
l 'impossibilità
non
con
saputa
di
ridurre all 'empirico l ' intero arco
del
filosofare
: non po
tendo intendere
il
linguaggio filosofico
e
tanto meno comprenderne
le ragioni, si decide di
com misurarlo
con il linguaggio usuale previa
mente assunto come ordinario » (2), rifiutando ciò che di quello
appare irriducibile a questo ; dove la ragione del rifiuto è solo
il fatto che
non si
vede perchè si debba accettare, e si rifiuta, così
senza
una
vera ragione.
Si può
dire
con
Filiasi-Carcan o
che le dif
ficoltà presentate
dal
neopositivismo potrebbero valere, piuttosto,
come
una «
incapacità
di
intendere
» (3).
§ 5. — / limiti
di
validità d ell analisi
in
filosofia
del
linguaggio.
Per poter parlare
di «
analisi filosofica
» o di «
filosofia an ali
tica
»
(4) è necessario precisare il senso in cui si a t tua in filosofia
(1) Cfr.
U .
SCARPELLI, /
Fondamenti
e il
metodo della analisi
del
linguaggio,
i n
a II
p e n s i e r o a m e r i c a n o c o n t e m p o r a n e o
»,
M i l a no , 1958 ,
p . 186.
(2) Cfr. U.
S C A R P E L L I ,
op. cit., p.
186.
(3)
Cfr. P.
FILIASI-CARCANO,
Da ll analisi alla filosofia
del
linguaggio, in
« Arch iv io
di
Filosofia » , 1955,
p . 19.
(4)
Non si può
v e r a m e n t e u t i l i z z a r e l ' a n a l i s i c o m e s t r u m e n t o
di
c h ia r i f i c a -
8/18/2019 Bacchin - I Fondamenti Della Filosofia Del Linguaggio - 1965
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IO CAPITOLO PRIMO
l 'analisi e, precisamente, se l'analisi sia compossibile con la filo
sofia e, in caso, se essa sia un momento del processo filosofico one esaurisca l ' intero processo.
Ma, per stabilire se l'analisi sia compossibile con la filosofia,
va stabilito il senso in cui l 'analisi può dirsi un
processo
in sé con
cluso
anziché
un procedimento finalizzato a m om enti ulterio ri ;
per
«
processo
»
intendo qui lo svolgimento di un'iniziale assunzione
da cui non è dato uscire e il cui risultato è già
«
preconcetto
»
a l
l'inizio ; per
«
procedimento
»
intend o il passaggio da un
«
m o
mento
>>
ad un altro, nessuno dei quali
«
proconcetto
»
in altro,
epperò passaggio che presuppone il disporsi dei term ini l 'uno
al l 'a l t ro
ulteriore.
In questo senso, anche il procedimento, ove venga totalmente
con sapu to, si inserisce in un processo, e non si conv erte perciò
in esso e mantiene, pur sempre.u la distinzione da qesto, così
come si mantiene in atto la distinzione tra atto e operazione.
Ora, se l 'analisi è un procedimento, è anche un'operazione,
epperò un agire su termini presupposti, il cui valore è tutto in
quei termini e quindi tutto presupposto e la funzione dell'analisi
sarebbe allora quella di disporre quei termini nel modo più chiaro,
ma non per questo più
vero,
che la « chiarezza » è sempre relativa
alla necessità di uscire da una precedente oscurità o confusione (i),
la q ua le può venire riconosciuta solo dove già si sia in qualche
modo usciti da essa, usciti in virtù di quell atto stesso che stabilisce
la necessità di uscire.
Non potre i, infatti, sapere che debbo chiarificare un discorso
se non sapessi che esso è oscuro, se non sapessi, cioè, che esso è
insufficientemente chiaro, chiar o solo relativamente ad una situazione
che ho già superato, situazione variabile, quindi, e che, variando,
determina di volta in volta, come per una funzione matematica,
i diversi gradi di chiarezza.
Se l 'analisi, come procedimento e quindi operazione, ha dunque
la funzione (= il compito) di chiarificare il discorso, essa non può
non dipendere da un canto dalla
effettiva
distinzione dei termini
z ione e « c o n sa p e v o l i z z a z io n e » d e l l i n g u a g g io , se n o n s i p e rv ie n e a l l a p i e n a c o n sa
p e v o le z z a d e l l a utilizzabilità d e l l ' a n a l i s i c o me t a l e : è q u a n to m a n c a p e r lo p iù
a l l e i m p o s t a z i o n i e s s e n z i a l m e n t e
«
s to r iche » , megl io
«
in fo rm at ive », de l le qua l i s i
c o m in c ia a d a b b o n d a r e a n c h e in I t a l i a ; s i v e d a , a d e se m p io , l ' o p e ra c i t a t a d e l
P a s q u i n e l l i .
(i )
È d a e s a m i n a r e a p a r t e i l n e s s o t r a
«
c h i a r o
»
e
«
d is t in to », non due c r i t e r i ,
ma uno : è ch ia ro c iò che è d is t in to .
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I FONDAM E NT I DE L L A FIL OS OFIA DE L L INGUAGGIO I I
sui quali si esercita, dall 'altro dalla variabile situazion e conoscitiva
di chi la esercita : il suo valore è, così, da una parte tutto
presup
posto,
dal l 'a l t ra tut to costruito ; in entram bi i casi sempre prede
terminato all 'analisi da qualcos'altro che resta sempre
esterno
alla
analisi e perciò ad essa essenzialmente
irrilevante.
Perchè l 'analisi abbia, come analisi, un qualche valore bisogna
che essa si consapevolizzi, a sua volta, come processo nel qua le
i termini, tra loro distinguendosi e rapportandosi, mantengano un
inscindibile nesso con la totalità in cui si collocano, nesso che è,
dialetticamente, la presenza della totalità in essi, quella presenza
che l'analisi deve solo
presupporre
e su cui essa non può venire
esercitata : il nesso con la totalità che l analisi suppone non ha
carattere analitico.
Dove la tota lità venisse m eno, m eno verreb be
la possibilità dell 'analisi, la quale non può modificare la totali tà
proprio perchè, al limite, non la può mai escludere ; e se « filoso
fia » diciamo , con term ine op erativo, qu esta to talit à, l 'analis i in
filosofia non ha alcun valore.
§ 6. — Limiti di validità e valore.
Così, la ricerca dei limiti di validità dell'analisi in filosofia
approda alla esclusione di valore all'analisi in filosofia, ma non
esclude la necessità dell 'analisi come procedimento inerente alla
precisa determinazione nel linguaggio dei semantemi che vi com
paiono, che la funzione dell'analisi è insostituibile nella misura in
cui questi semantemi si distinguono effettivamente tra loro.
Di qui la necessità di procedere con rigore e di valutare l 'ana
lisi in relazione a questo rigore, non, viceversa, il rigore in base
all'analisi dei singoli termini dei quali si fa imprescindibile uso.
Se,
infatti, il rigore fosse da progettare come risultato della
analisi, l 'analisi dovrebbe progettarsi non in funzione della chia
rezza, ma in funzione della verità del discorso e questa sarebbe da
pensarsi alla fine dell 'analisi, la quale, invece, analiticamente, non
ha
«
fine
»
(essa proced e, infatti, estenden dosi en tro i lim iti che
ad essa impone, di volta in volta, l 'analizzato) e non è in grado
di stabilire la verità, di
«
farla nas cere ».
Rigore e verità sono, dunque, rispetto all 'analisi, la stessa
cosa, perchè sono, anzi, la
«
cosa stessa
»
come va lore di ciò che
si dice di essa ; cosicché l 'analisi ha valore
solo
se è « rigorosa »,
cioè tale da rispettare l ' intero valore della cosa su cui si esercita,
l 'intero entro cui la cosa si colloca ; ma allora il valore dell'analisi
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12 CAPITOLO PRIMO
dipende dalla filosofia, perchè essa è rigorosa se rigorosamente -pen
sata
è la
«
cosa
»
su cui essa si esercita.
L a
«
cosa
»
è poi rigorosamente pensata
sp
non si esclude il
suo esser(si) la to ta lit à di se stessa , se non si esclude, cioè, l'« es
sere
»
che è totali tà
«
int im a
»
di qualsiasi cosa, l 'essere che è
«metafisica » (i). Qui l 'analisi del linguaggio sarebbe, al più, il
linguaggio in quanto « analizzabile », ciò che del linguaggio non
è « tota l i tà », « essere », « valore », m a « insieme », « termini », « ope
razioni
»
(2), dei qu ali la filosofia pu r abbisogn a per dire se stessa,
ma che essa deve negare come valori se intende veramente dirsi ;
questo
negare
ciò di cui si abbisogna non h a senso, analiticam ente
parlando, ma ha tut tavia un suo senso, precisamente il senso dia
lettico della filosofia (§ 2).
§ 7. — Come è possibile una filosofia del linguaggio.
Per determinare il modo in cui è legittimo parlare di « filo
sofia del linguaggio » è indisp ensab ile che si precisi fin dall'inizio
il valore di quel
«
di
»
con cui si pongono sintatticamente in rap
porto il linguaggio e la filosofia, supponendo che il linguaggio si
inserisca nella filosofia, come entro la totalità, e che la filosofia
si strutturi e si comunichi con il linguaggio che la significa.
Poiché
vanno mantenute e la presenza del linguaggio nella
(1) Cfr. G.
R.
BACCHIN, SU l autentico, cit., p p . 37 -38 .
(2)
Che cosa si intende per « linguaggio
» ? U n u t i l e p u n to d i r i f e r ime n to è
ra p p re se n ta to d a l l a fo rmu la « l in g u a g g io è o g n i s i s t e ma d i se g n i c h e se rv e p e r
co m uni ca re » (c f r. A .
PASQUINELLI,
Linguagg io, scienza, filosofìa,
cit . , p . 45).
N o t i a m o , p e r ò , c h e , c o m e « s is te m a », i l l inguag g io è un ins ie me ord ina to e
d i e s so s i p u ò d i r e q u a n to s i d i c e a p p u n to d i t a l i « in s i e m i », c o me c a so p a r t i c o la re
d i q u e s t i ; c o m e s i s t e ma
«
d i s e g n i » e s s o r i m a n d a d i r e t t a m e n t e a i
«
signific ati »
e d in v o lv e l a q u e s t io n e d i c h e c o sa s i a e f f e t t i v a me n te p o ss ib i l e s ig n i f i c a re , c o me
« com unic az ion e » esso invo lve la du p l ice qu est i one de l la « intersoggetività » (esclu
s ivamente f i losof ica ) e de l la
«
o g g e t t iv i t à » d e l l e c o se c o mu n ic a b i l i ( a n c h e q u e s t a
f i losof ica e snodab i le so lo a l l ive l lo de l rappor to teo re t ico t ra « p re se n z a » e d « o g
g e t t iv a z io n e ». S e il fo n d a m e n to d e l l a « com unic az io ne », e ssenz ia le a l l ingua gg io
c o m e s u a
« funzione
», è la
«
com uni one », e sse nz ia le a l l inguagg io è
il modo di essere
dì co lo ro che lo usano , che è , pe rc iò ,
Vessere
stesso d e g l i e n t i c o mu n ic a n t i t r a lo ro
(cfr. G. R.
BACCHIN,
Tempo e comunione come senso della storia,
in « R iv i s t a
inter
naz iona le d i f i losof ia po l i t ica e soc ia le»
(1964)
pp . 206-211) . Non s i dà una
q u a l c h e « in fo rma z io n e » c h e n o n s i a a n c h e « espr ess ione » d i c h i in fo rm a e de l
s u o
m odo d essere.
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I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO
13
totalità entro cui esso ha un senso e la funzione del linguaggio
rispetto alla filosofia che esso significa, la filosofia del linguaggio
abbisogna di chiarire inizialmente il valore del semantema
«
di »,
ri levandone
l ambiguità.
Tale semantema può venire considerato, come i semantemi
affini «p er», «d a» , «co n», « a» , ecc., consignificante o sincate-
gorematico, per usare una espressione scolastica
(i),
in quanto esso
dice qualcosa solo insieme (sin-cum) ad altro semantema e, tut
tavia, ne determina il senso e, quindi, la possibilità di uso nei
vari contesti. Il « di » presenta, du nque, una bivalenza s truttu rale ,
in quanto esso ha, insieme, funzione sintattica e valore semantico
e i due aspetti non sono tra loro scindibili se il nesso tra seman
temi è sintatt ico e se i semantemi vengono determinati in virtù
di tale nesso che li modifica, ossia li condetermina.
Ma, oltre all 'ambivalenza (sintassi-semantica), per la quale
esso è, insieme , «co nn ettivo logico
»
(2) e «sem antem a
»
(3), il
«
di
»
cela una ambiguità, proprio perchè esso può indicare le due
(1) Cfr.
PIETRO ISPANO,
Summ.
Log.
V I I , 5 , 11 ; m a a n c h e S t u a r t Mill la usa
[Logic, I , c a p . I I , p a r . 2) ; p iù r e c e n te m e n te H U S S E R L
(Logische
Untersuchungen,
I I ,
par . 4 ) ne l senso d i pa r t i de l nome. Cfr . anche E .
CASARI, Lineame nti di logica
matematica,
M i l a n o ,
1961,
p .
19.
(2 ) N e l l a lo g ic a c o n te mp o ra n e a l a p a ro la
«
c o n n e t t iv o » v i e n e u sa ta n e l se n so
d e l « s imb o lo imp ro p r io » c h e , c o m b in a to c o n u n a o p iù c o s t a n t i , d à lu o g o a d u n a
n u o v a c o s t a n t e .
(3) Uso d i questo te rmine ne l senso ind ica to da l
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14
CAPITOLO PRIMO
funzioni dell oggettivazione e della specificazione : la prim a come
operazione connessa al rapporto conoscitivo soggetto-oggetto (co
noscenza
di
qualcosa) e per lo più implicita nel discorso (io penso
che . . .), la seconda connessa, come operazione, con il processo
di determinazione ulteriore, il quale costituisce l'asserzione in
to rn o a qualco sa (questa cosa è così e così e . . .).
Nell 'oggettivazione, il « di », indica nd o ciò di cui v'è conoscenza,
non entra a costituire la cosa se non in quanto rapportata al sog
getto che la conosce, dove, invece, il
«
di
»
specificante en tra nella
asserzione stessa e riguarda intrinsecamente l 'asserito. L'intreccio
tra i l « di » oggettivante e il « di » specificante entra dunque nel
l'asserzione stessa ed è intreccio fra asserzione ed asserito nel
, senso che la specificazione può dirs i anche dell'asserzione come
tale (p. es. l 'asserzione di me, mia).
Non entro qui nell 'analisi dettagliata dei valori linguistici di
appartenenza, di attribuzione, ecc., ma è sufficiente avere stabi
lito che il « di » cela questa am bigu ità ,per chiarire che qu esta
ambiguità si riproduce anche nel caso della filosofia
del
linguaggio :
se il
«
di
»
vi indica l'ogg ettivazion e, deve po tersi pensare la filo
sofia come attiv ità ogg ettivante, come tale, cioè, da avere un
su o
oggetto, oggetto che essa teorizza come esterno ad essa e
che essa investirebbe del proprio metodo, ma che sarebbe sempre
uno degli oggetti cui essa potrebbe applicarsi (altri esempi si
avrebbero con la
«
filosofia del diritto »,
«
filosofia della scienza »,
«filosofia della storia», ecc.).
Questo « applicarsi » de lla filosofia agli « oggetti » è oltremodo
ambiguo se si mantiene, come si pretende comunemente, di molti
plicare nella filosofia gli oggetti che essa
assumerebbe,
tali da divi
dere la filosofia fra i suoi oggetti : la filosofia dovrebbe risultare
composta, di volta in volta, di se stessa
e
del proprio oggetto e
quindi non essere mai « se stessa » senza l'ogg etto che la conde
termina.
Se avesse ogg etti suoi, la filosofia dov rebb e p orre in se stessa
una irriducibile molteplicità, che è l ' impossibilità di avere un og
getto veramente suo, dovendo essa assumere necessariamente og
getti diversi tra loro. È quanto accrediterebbe una riduzione della
filosofia ad attività di
«
riflessione critica
»
sugli oggetti, equivo
cando appunto tra filosofia e
«
pen siero scientifico
», «
pensiero
giuridico », ecc., quel « pensiero », cioè, che indica semplicemente
la consapevolezza di se stessa cui tende qualsiasi scienza e che è,
perciò, ancora « scienza », non mai « filosofia ». Solo una vol ta
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I FONDA M E NT I DE L L A FIL OS OFIA DE L L INGUAGGIO
15
caduti in questo equivoco, l 'eliminazione della filosofia come auto
noma appare inevitabile, proprio perchè una « filosofia » che non
fosse riflessione o coscienza critica che le scienze, strutturazioni
dell 'esperienza, acquistano progressivamente di se stesse, sarebbe
almeno superflua e, quindi, ingombrante. Ma codesta elimina
zione della filosofia consegue all 'equivoco ed è, perciò, tutta equi
voca ; essa, inf atti, suppo ne o che la filosofia sia riflessione sul
modo di costituirsi degli oggetti o che pretenda di vincolare
a
priori gli oggetti al suo modo di vederli : riflessione critica sulla
scienza o dogmatismo. Alla
«
riflessione
»
si con nette il conc etto
di « teoria ».
§ 8. — Concetto di
«
teoria
»
e sua riduzione.
Il concetto di
«
teoria
»
si rivela insignificante se lo si ri po rta
a ciò che comunemente con questa parola si intende. Comune
mente, per quel linguaggio il cui valore, identificandosi con l'uso,
è sempre solo presupposto, si dice
«
teoria
»
per indicare il momento
espositivo o descrittivo di un qualche ordine di operazioni o di
norme e, in questo senso,
«
teorico
»
si oppone a
«
pratico », come
momento in cui, più che il fare o agire o produrre, si vuole dire
il modo che si ritien e di pote r o dovere ten er in quel fare o agire
o produrre.
Al termine
«
teoria
»
è infatti connesso il senso negativo di qual
cosa di insufficiente o di inadeguato rispetto all 'esperienza effet
tiva ed esso viene fatto equ ivalere , perciò, ad
«
as t rat to
»
: in teoria
le cose stare bb ero in un modo , pr atic am en te, cioè in effetti, le
cose andrebbero altrimenti.
Ed anche se si vuole evitare la contrapposizione di
«
teorico »
a
«
pratico
»
come di negativo a positivo , di disvalore a valo re,
la parola
«
teoria
»
conserv a alme no il significato di esposizione
preliminare o, ed è lo stesso, di riesposizione riassuntiva di un
ordine di realtà che, rispetto alla teoria, si presuppone concreto.
Una teoria generale della scienza (una epistemologia), ed una
teoria del metodo, sarebbero pur sempre momenti distinti da
quell'effettivo operare che viene fatto o precedere o seguire al
discorso intorno ad esso. Tale distinzione il senso comune (ed
il comune linguaggio) mantiene sempre,
che
di essa si materia
appunto ogni esposizione di
«
criteri
»
o di
«
valori
»
che non
ritenga di coincidere concretamente con quei valori e fare essa
stessa uso di quei « c rite ri ».
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l 6
CAPITOLO PRIMO
L'insignificanza teoretica della « teoria » è, così, la stessa pre
tesa di esporre con un discorso l intera consistenza del discorso.
Essa si rivela dove si dispongano analiticamente i termini nei
quali un dato discorso si struttura, in modo che l 'esposizione
abbia il carattere della provvisorietà rispetto a ciò che vi si espone,
provvisorietà che consisterebbe tutta nella impossibilità di ridurre
l'esposizione a ciò di cui è esposizione, il dire al
«
dire se stessa
»
da parte di quella cosa.
La provvisorietà è così da ridursi alla costruzione di un lin
guaggio che si esaurisca nell'indicazione semantica della cosa,
appunto quale indice di valori e di criteri, nonché del loro nesso.
Ogni descrizione provvisoria del sapere avviene così per mezzo
di una costruzione del sapere stesso, il quale in ta n to sarebbe
autentico sapere in quanto la costruzione fosse ad esso estranea,
ma anche ad esso identica : estranea, perchè quel discorso è indi
cativo e non risolutivo del sapere ; identica, perchè il sapere è
risolutivo di qualsiasi discorso epperò dello stesso discorso con
cui lo si dice.
Questa situazione aporetica, consistente nel fatto che nel sa
pere si distingue ciò che col sapere si identifica, do m and a che il
senso comune che determina l'aporia non possa costituirsi come
ciò in base a cui risolvere l'aporia, superandola.
Il concetto di teoria, quale provvisoria indicazione di cose
concrete fuori di essa, si riduce a quel senso comune mediante la
costruzione dell'aporia in cui il sapere e la sua indicazione si eli
dono reciprocamente nell'impossibilità di indicare un
«
sapere
»
senza che si inglobi tale indicazione nel sapere indicato, con la
consapevolezza del valore dell'indicazione come tale : indicare il
sapere è necessariamente sapere che l'indicazione vale come indi
cazione ed è, quindi, sapere il proprio sapere.
In tal modo, dire il sapere significa soltanto i l
«
dire se stesso
»
da parte del sapere ed anche che il proprio dirsi, il proprio mo
strarsi del pensiero, venga de tto : soltanto dirsi ed anche venire
detto sono, appunto, la contraddizione in cui ci si viene a trovare
se si vuole erigere il concetto di teoria, con la sua immanente
aporia, in assoluto, teorizzando all'infinito la sua validità.
Ciò che « teoria » può significare è allora niente più che il « pre
suppo sto », il quale non può giustificarsi come tale prop rio in
quanto, come tale, non può non presupporre sempre la propria
giustificazione.
Il senso comune è così, nella sua stessa avversione alla teoria
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I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO
17
e nel suo stesso contrapporsi ad essa come concreto ad astratto,
affatto teorico perchè presuppone appunto un termine da cui si
cominci, il quale termine non sia, perchè inizio, quel processo
che da esso comincia.
Infatti, il senso comune considera la teoria o come momento
indicativo d i cose da fare o come m om ento riassun tivo di cose
fatte,
come insufficiente o come superfluo ; ma insufficienza e
superfluità conseguono, in ogni caso, all'assunzione della teoria
come mo m ento che, sempre presu ppo sto, astr ae dalla giustificazione
di se stesso.
§ 9. —
La riduzione del conce tto di teoria e la radice pragm atica
dell intellettualismo.
Ridurre la teoria al senso comune significa mostrare la radice
dell'intellettualismo, il quale, come atteggiamento di fronte alla
realtà, suppone, appunto, questo trovarsi di fronte alla propria
ed insieme estranea realtà.
Atteggiamento che è scelta non consaputa, perchè è presup
posizione alle operazioni da compiere e queste sono rese possibili
dalla situazione fuori operazione in cui ci si pone per scegliere e
che, perciò, non può venire scelta né consaputa.
Pervenire a sapere che questa situazione è il presupposto alle
operazioni è, d'altra parte, nient 'altro che
una
particolare opera
zione, la quale non fa che riproporre, in quanto tale, la situazione
di tu tte le operazioni e, quind i, non è m ai tale da m uta re la
situazione saputa.
Per cui, se quella situazione è ateoretica, la consapevolezza
della sua ateoreticità non si sostituisce ad essa
né
le conferisce
teoreticità, negando quella ateoreticità di cui è consapevolezza.
E quella situazione è precisamente ateoretica perchè sempre
e solo presupposta e quindi, estranea a se stessa,
«
as t ra t ta
»
o
teorica (§ 8) : essa pres uppone, infatti, la sua giustificazione e
si pone, perciò, arbitrariamente come definitiva.
È impossibile, infatti, operare senza supporre « definitivo » e
concluso il m om ento da cui si pren de ad operare : l 'operazione
(sulla realtà ) domanda, per se stessa, la definitività del suo inizio
quale applicazione tecnica di un concetto già elaborato.
La cosa è anche storicamente importante, perchè l ' interpre
tazione scolastica e moderna del « concetto » classico (ossia della
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..•• -
l 8
CAPITOLO PRIMO
teoreticità come « teoria ») deriva, appunto, dalla necessità di uno
strumento valido d'operazione
sul
reale e, quindi, obbedisce a due
fondamentali istanze : i° che il concetto sia valido come « stru
mento
»
da app licarsi al rea le ; 2° che il
«
concetto
»
sia da veri
ficarsi come
«
st rumento
»
valido m edian te un confronto con quel
reale.
La duplice istanza, operando per se stessa una dicotomia con
il rapporto concetto-realtà, rende insolubile il problema, da essa
emergente, della verificazione del concetto, in quanto la realtà
con la quale il concetto dovrebbe venire confrontato onde sta
bilirne il valore, non potrebbe essere estranea al concetto stesso.
Ma quella duplice istanza deriva precisamente dall'avere ri
dotto il concetto a strumento, il cui valore non può venire giusti
ficato dalla sua effettiva applicazione al reale se non identifican
dosi semplicemente con quel reale e cessando, così, di essere solo
strumento : la giustificazione dello strumento dovrebbe semplice
mente presupporsi e non giustificarsi (cfr. § 5). Questo presupporre
la validità dello strumento significa, allora, nulla più che operare :
lo stru m en to è essenzialmen te l'operazione stessa che esso con
sente. Così la radice dell'intellettualismo è il pragmatismo e l'esito
coerente del lognoseologismo mo derno non è l'idealismo com e recu
pero dell ' identità tra pensiero ed essere, ma il pragmatismo come
identificazione tra valore ed operazione.
§ io . — La nozione ateoretica
dello «
in
generale »
come base della
teoria.
La parola « teoria
»,
riportata a ciò che lo stesso etimo dice,non può significare ciò che con essa polemicamente si crede di
poter dire : la 9-ecopia è, piuttosto, « visione » e vale ad indicare
la pienezza di qu ell'atto per cui ciò — che — è è prese nte, e,
perciò, equivalentemente, l 'attualità della cosa che si conosce e
l'attuazione stessa del conoscente come conoscente.
Bisognerà approfondire questa assunzione della parola « teo
ria » ; per ora ci limitiamo ad usare, in questo senso, della parola
« teoretico » e riserviamo la parola « teoria » a ciò che comune
mente si intende, come si è visto, per
«
dot t r ina
»
nel senso intel
lettualistico e formalistico dell'esposizione o della riesposizione.
Questa distinzione di parole si giustifica con la considerazione
del fatto che si dà un caso in cui la teoria si rivela a teoretica,
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I FONDAM E NT I DE L L A
FILOSOFIA
DE L L INGUAGGIO
19
ossia ingiustificabile. Questo è precisamente il caso in cui si usa
dell'espressione « in generale » e ci si riferisce a qualcosa a p rescindere da certe determinazioni, astraendo da ciò che ne costi
tuisce pienamente la concretezza.
La nozione dello « in generale » è ateoretica ed equivale all'uso
della parola generica
«
cosa
»,
con la quale non ci si riferisce a
qualcosa di determinato, ma si intende una certa sostituzione di
qualcosa di determinato con un aspetto di questa cosa che valga
a dire tutti gli altri aspetti, senza che si incorra nella necessità
di procedere a dire « che cosa » esso sia, all'inte rno di quella pre n
sione globale, appunto.
Dove manchi l ' intenzione di procedere verso la determina
tezza, la nozione di « cosa » non pu ò significare nulla, perch è la
prensione globale di qualcosa non è qualcosa se non per l'opera
zione del
«
prendere insieme », del
«
comprendere », del conside
rare tut to simul.
La parola « cosa », cioè, può voler dire la nozione generica
come globalità all'interno della quale si intende procedere alla
determinazione dei singoli aspetti o caratteri di ciò che si consi
dera, ma anche può voler dire la possibile sostituzione dei singoli
aspetti o caratteri della cosa da parte di un determinato aspetto
in cui tutti gli altri, mantenendosi tali, si riconoscono.
Nel primo senso, la parola
«
cosa
»
ha c aratte re operativo,
perchè, dove manchi l ' intenzione di procedere nella determina
zione, la cosa è solo l'indeterminato, cioè il nulla e la cosa è tutta
nella intenzione di dire che cosa essa sia ; nel secondo senso, la
parola « cosa » indica qu ell'aspe tto che non pu ò venire ulterior
mente determinato, essendo la determinatezza stessa di ogni altro
aspetto e che non è, allora, propriamente « altro » rispe tto ai sin
goli determinati aspetti.
Dove, nel primo senso, la parola
«
cosa », fuori dell'intenzione
operativa, è indeterminabile perchè assolutamente indeterminata
(determ inare il nulla non è determ inare) , nel secondo senso la
parola
«
cosa
»
è indeterminabile perchè assolutam ente prede
terminata quale determinatezza ontologica di ciò che si con sidera.
Il discorso che si articola sulla nozione di
«
cosa
»
è, in ogni
caso, posizione all'interno di una assunzione i cui limiti sono
due indeterminabili : l ' indeterminabile
«
nulla
»
e l 'indeterminabile
« tu tt o ».
I limiti, tuttavia, non sono analiticamente inventati, perchè
il nulla e il tutto non sono dati immediati dell'esperienza (il nulla
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CAPITOLO PRIMO
è operazione,
in
quanto negazione
; il
tu t to
è la
dialetticità del
l'impossibile
che non
sia),
per cui
dovremmo dire, piuttosto,
che
il discorso
nel suo
svolgimento
(in
atto) pone come suoi limiti
il nulla e il tu t to e, precisamente, pone il tutto come impossibilità
del nulla
e
pone
il
nulla come
la
negazione intrinseca
a
tale
im
possibilità.
I l tut to è
l impossibilità
del nulla nel senso che, dove il tu t to
non fosse, ogni singola determinazione e l'insieme ipotetico di
tu t te
le
determinazioni non sarebbero
;
diciamo, dunque,
che la
nozione di « totalità », analiticamente considerata, è contraddit toria :
dire che « domandare tut to
è
tut to domandare »
è
tautologia
nellostesso senso
in cui
« domandare tut to »
è
contraddizione
; quella
tautologia è la ripetizione indefinita di una contraddizione, nello
stesso senso in cui il tu t to di esaustione è l 'indeterminato in una
serie determinata di determinat i (i singoli momenti del processo
non potendo non coesistere, nel m ent re che il processo, per ogni
termine che è la possibilità e quindi la necessità del suo ulte
riore
(i), non può non
essere infinito).
La totali tà di esaustione ha, al più, cara ttere postu latorio,
non essendo ma i
«
determ inabile
»
; ma questa postulazione si rivela
contraddittoria dovendosi porre come intrinsecamente irriducibile
all'« ind eterm inato », che postulare l ' indeterminato è postulare il
nulla
;
coerentemente
non
postulare,
o
po stulare
e non
p ostulare,
contraddirsi appunto.
La contraddizione analitica della domanda di tu t to è, così,
costruzione analitica di un rapporto tra termini i quali escludono
precisamente quel rapporto, perchè
il
domandare importa
una
duali tà tra l 'at to e la cosa che in esso e per esso si pone come
domanda ta
; la
quale,
da
par te
sua, non può non
includere
lo
stesso atto
del
domandare,
il
quale,
nel
tutto, domanderebbe
se
stesso, vanificandosi
in un
processo all'infinito.
Fin da questo momento possiamo dire che la problematicità
pura, quale dom anda della totali tà , analiticamente considerata,
sarebbe contraddittoria, perchè la reiezione universale della cer
tezza
con cui il
dubbio
si
at tua domanda
che si
assuma l 'uni
versale come inattaccabile dal dubbio : dubitare di tu t to è possi
bile solo dove il tu t to sia ; ma, dove il tu t to è, non è possibile
dubi tare di « tu t to » : dell'esservi del tu t to non è possibile dubi-
(i )
Cfr ., pe r
la
s t r u t t u r a d e l l a
«
d e te rm in a z io n e u l t e r io r i z z a n te »,
G. R. B AC -
C H I N , L Originario ecc., cit., I, par. 2.
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I F O N D A M E N T I D E L L A F I L O S O F I A D E L L I N G U A G G I O
21
tare ;
né,
d'altro canto, è possibile dubitare di qualcosa che non
sia nel tutto, perchè se del tutto non si dubita, non si può dubi
tar e di ciò che fuori del tu tto no n sarebbe (il tu tto non sareb be
se qualcosa gli fosse estraneo).
An aliticamente considerato, il dubbio o prob lema è inso ste
nibile se non al livello tutto psicologico e quindi empirico di una
attività presupponente ; al livello teoretico o filosofico, il problema
sarebbe la dissoluzione di se stesso : sarebbe un porsi che si toglie
da solo ; esso mai sarebbe se l'« altro » da esso non fosse, ma non
potrebbe mai attuarsi come universale se questo
«
altro
»
non
fosse risolubile in esso (se il domandare tutto non fosse tutto
domandare) : l '« altro » è così posto e tolto, ed il pro blem a che in
funzione dell'« alt ro
»
si pone, risolvendo l'altro in se stesso, da
se stesso si toglie (poiché domandare tut to è tutto domandare ,
domandare tutto è domandare niente, non è domandare).
§ l i . — Riduzione del procedimento analitico all indeterminato, cioè
al contraddittorio.
L'analiticità domanderebbe dunque un processo all'infinito,
perchè il porsi di un termine è, nella sua determinazione, la po
sizione indicata da un termine ad esso ulteriore.
Questo progressus in
indefinitum
suppone che l'indefinito sia,
il che contraddice alla nozione stessa di progressus, perchè questo
domanda che ciascun termine sia ulteriore rispetto a tutti gli altri,
nel porsi di tutti i termini compresenti tra loro.
Così il progressus in indefinitum è assurdo, perchè, suppo
nendo la definitività dell'indefinito, contrad dice a ciò che esso,
come progresso, dov rebbe porre : il suo presupp osto è tolto da
ciò di cui è presupposto ; ma questo toglimento stesso presuppone
quel presupposto di cui è toglimento, che l'ulteriorità vi consiste
nella presupposizione indefinitamente presupposta.
Tale progresso risulta nullo perchè, presuppon endo indefini
tamente se stesso, non sorge mai : la sua nullità è tutta nel suo
presupp orsi a se stesso ed è qu esta la ratio della sua contraddit
torietà e si può anche dire che, rispetto zìi indefinitum, progresso
e regresso non solo si equivalgono (= la discriminazione è estrin
seca al processo che essi indicherebbero), ma s'identificano, nel
senso che l'atto che pone è il medesimo atto che toglie.
La contraddittorietà (o nullità) del progressus in indefinitum
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22 CAPÌTOLO PRIMO
è, precisamente, l ' identità
tra
posizione
e
toglimento
: la
pro
gressione
è la sua
stessa regressione,
ed
allora né
si
progredisce
né
si regredisce, cioè non v è processo.
Ciò che dal rivelamento di tale contraddittorietà consegue non
è che il tu t to sia finito, e, perciò, esauribile da par te di un pro
gresso che ne svolga fino al termine la finitezza, bensì che un
processo inteso alla determinazione radicale non può non essere
finito ; che il fondamento, cioè, non può non esservi.
Un tu t to « finito » equivarrebbe, infatti, ad un tu t to « indefi
nito », perchè esso non potrebbe non includere quell 'atto onde è
detto come tale,
ma
quell 'atto verrebbe sempre riproposto
per
dire la sua inclusione e, quindi, verrebbe sempre negato dal suo
stesso dirsi incluso
:
dire
che il
tutto include l 'a t to
del
dire
il
tutto implica indefinitivamente un atto che dica tale inclusione,
la quale, perciò, non può non restare indefinita.
La risoluzione del procedimento analitico al contraddit torio
importa la determinazione del procedimento come dialettico :
la
dialetticità è
provata con
la negazione
dell ana liticità. Ma è proprio
questa determinazione che domanda il duplice chiarimento della
distinzione
tra
negazione contraddittoria
e
negazione dialettica
:
la prima come negazione indeterminata, la seconda come deter
minatezza ulteriormente indeterminabile. Il duplice chiarimento
si ottiene con l'esame della differenza ontologica tra il contrad
dittorio ed il negato.
§ 12. — Differenza ontologica tra il contraddittorio ed il negato (i).
«
C ontraddit torio
»
è ciò che è
posto
e
tolto
;
l 'at to
che
pone
è lo stesso atto che toglie ; quest 'a t to non pone né toglie, sempli
cemente non è.
«
N egato
»
è ciò che è posto
per
venire tolto ; l 'at to che pone
non è lo stesso atto che toglie ; cioè gli a t t i sono due ed entrambi
reali, ma solo uno dei due è vero, perchè se è vero l 'atto che pone,
non può non essere falso l'atto che toglie, e viceversa.
Il contraddittorio esce, così, dalla considerazione teoretica ;
esso è ateoretico, ossia il nulla non è (radice pragmatica della no-
(i ) Cfr. G. R. BACCHIN, Intero metafisico e problematicità pura, in « R iv i s t
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