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MERCOLEDÌ 30 MAGGIO 2012 15

Cultura«Leggere bene è uno dei grandi piaceri

che la solitudine può concederci»Harold Bloom

Letti per voi

LisaOppici

PEDAGOGIA, PAOLACADONICI SPIEGAAI BIMBI COMEFINISCE LA VITANELLA «MORTEIN SOFFITTA»

Il tema è ben più che affascinante,per chi ha a che fare con i bimbi manon solo. In «La morte in soffitta»

(sottotitolo, fondamentale: «E se i bam-bini la trovano?») la pedagogista, psico-terapeuta e logopedista parmigiana Pao-la Cadonici affronta un vero e propriotabù, e lo «smitizza»: lo allontana in-somma dall’intoccabilità (e dalle spine)del tabù e prova a trattarlo normalmen-te. Come un argomento che può/deve farparte della quotidianità. Per l’autrice laprima regola per parlare della morte, aibimbi ma non solo, è proprio questa: to-glierla dalla soffitta in cui è stata relegata,

dalla bolla del «non si dice» in cui è spes-so confinata. «Per parlare di morte senzatrasmettere angoscia gli adulti devono aloro volta averla superata.

La difficoltà non sta nel trovare leparole giuste, ma nell’avere la serenitàinteriore per cercarle. Solo se si accettala morte, come parte integrante dellavita, si può insegnare ad accettarla. Maper accettare la morte bisogna accettarela vita, amarla e perseguirla nella suapienezza. Ecco perché il libro non parladella morte in senso stretto, ma anche ditutto ciò che svilisce la vita e la uccide»,si legge nell’introduzione.Ecco dunque

che, come spiega la stessa Cadonici, nondi sola morte si tratta. Anzi, tutt’altro: illibro è di fatto «un inno alla vita» in cuiritroviamo molti dei temi cari alla pe-dagogista parmigiana: dall’elogio dellalentezza e della semplicità (contro lafretta, addirittura quasi la frenesia, checaratterizza il nostro tempo) alla con-danna della tv e dei suoi «programmisciocchi», dalla critica incondizionatadel consumismo alla diseducatività dicerti messaggi pubblicitari, dalla poten-za dei classici alla forza di storie, fiabe eleggende, che sono «un bel modo di rac-contare la complessità della vita ai bam-

bini» e rappresentano un ottimo stru-mento formativo. Anche questo è unviaggio, come tutti i libri di Paola Ca-donici: che si appoggia al consueto mixdi fiabe, canzoni, libri e film e che traeinsegnamento dalle esperienze direttecon i suoi pazienti per farci da guida.Una guida «saggia», come sempre, cheinvita in primo luogo a guardarsi den-tro: a conoscersi, a cercarsi. Questa,sembra dire l’autrice, rimane la via mae-stra: anche per parlare di morte.�

�La morte in soffittaAracne, pag 126, €9,00

Intervista Salvatore Veca Filosofo e autore del romanzo «Sarabanda»

Capita di rado, leggendoun’opera letteraria, di essererapiti dalla potenza amma-liatrice della poesia che si faracconto. Mentre tanti orro-

ri vanno devastando la civiltà, ci con-forta la voce della «poiesis» che si spri-giona da «Sarabanda. Oratorio in tretempi per voce sola» di Salvatore Veca(Feltrinelli, pag. 109, 12 euro). Una car-retta sul mare al largo di una costa pro-babilmente italiana reca a bordo unafolla di migranti in fuga dalla guerra,dalla fame, dalla tirannia «con il sognoopaco di un altrove». Nella narrazionedi un vecchio, carico di anni e di sag-gezza - una sorta di sciamano che havissuto, in tempi diversi, molte vite inmolti luoghi del mondo - prendono cor-po tragedie storiche che trascinano laloro sanguinosa vicenda su questo lacri-moso teatro della terra. L’arte mimeticadi Veca, esponente tra i più insigni dellafilosofia contemporanea (è attualmenteordinario di Filosofia politica all’Istitutouniversitario di Studi superiori di Pa-via), ci offre un racconto pregnante distoria e umanità, nel quale la scritturaentra in gara con la lingua del teatro,dando vita a intrecci senza numero traimmaginazione lirica e meditazione fi-losofica.Professor Veca, all’esordio del suo«Oratorio» leggo: «In principio era lavoce. La voce che canta. Che implora.O sussurra. Che ingiunge e comanda.O piange e seduce. Voce di nenie e difiabe e di canti e di lunghi poemi». E’un omaggio all’epica, quale fonte del-la sua ispirazione?Ho scritto una prima versione di Saraban-

Dramma senza fine Un barcone gremito di migranti tra la Sicilia e Malta.

Arte Mostra a Viareggio

Il '900 nelleraccoltecivichefiorentineII Il Comune di Viareggio, d’intesa conil Comune di Firenze, ha inauguratoalla GAMC Lorenzo Viani di Viareggio,una mostra (aperta fino al 25 novem-bre) dedicata ai capolavori de Il ‘900nelle raccolte civiche fiorentine, a curadi Alessandra Belluomini Pucci, diret-tore della Galleria d’Arte Moderna eContemporanea, organizzata da Per-corsi d’Arte. Una selezione di 80 opere,tra dipinti e sculture, facenti parte delcorpus delle collezioni del '900 custo-dite nei depositi dei Musei Civici fio-rentini, poco note al grande pubblico.

La mostra, allestita seguendo un or-dine cronologico, suggerisce un parti-colare percorso nell’arte italiana delNovecento di oltre sessant’anni, a par-tire dal 1913 per arrivare fino al 1978,attraverso dipinti e sculture di: BaccioMaria Bacci, Afro Basaldella, Mirko Ba-saldella, Vinicio Berti, Renato Birolli,Floriano Bodini, Gino Bonichi (Scipio-ne), Antonio Bueno, Corrado Cagli, En-nio Calabria, Massimo Campigli, Do-menico Cantatore, Arturo Carmassi,Carlo Carrà, Felice Casorati, MauroChessa, Galileo Chini, Pietro Consagra,Primo Conti, Antonio Corpora, Giovan-ni Costetti, Roberto Crippa, Giorgio DeChirico, Filippo De Pisis, Piero Dorazio,Agenore Fabbri, Enzo Faraoni, PericleFazzini, Ferruccio Ferrazzi, SalvatoreFiume, Lucio Fontana, Oscar Ghiglia,Emilio Greco, Virgilio Guidi, RenatoGuttuso, Giovanni Korompay Carlo Le-vi, Moses Levy, Riccardo Licata, Osval-do Licini, Mino Maccari, Alberto Ma-gnelli, Mario Marcucci, Marino Marini,Arturo Martini, Carlo Mattioli, Giusep-pe Migneco, Sante Monachesi, GiorgioMorandi, Ennio Morlotti, Fausto Pi-randello, Domenico Purificato, MarioRadice, Domenico Rambelli, MarioReggiani, Manlio Rho, Ottone Rosai,Aligi Sassu, Pio Semeghini, Gino Se-verini, Mario Sironi, Ardengo Soffici,Alberto Sughi, Emilio Vedova, Giusep-pe Zigaina e altri maestri.�

Narratore e poeta Claudio Piersanti.

Carrette del mare,epica del dolore«Alla diversità e alla ''porosità'' dei confini ho dedicato le miericerche. E' una sfida per tutti noi, in un mondo che cambia»di Sergio Caroli

Il '68 raccontato attraversouna vicenda ambientataa Urbino. Rigoroso realismoe delicatezza psicologica

Paolo Lagazzi

II Tra i poeti e i narratori giunti a espri-mersi in Italia dopo Pasolini, credo chenessuno abbia saputo esplorare così lu-cidamente il terreno vasto e dissestatodel Sessantotto come Umberto Piersan-ti. Già nella sua seconda raccolta di ver-si, «Il tempo differente», apparsa nel‘74, il poeta cominciò a interrogarsi sulsenso delle assemblee continuamenteproclamate dal Movimento Studente-sco nelle università occupate, e nel ro-manzo «L'uomo delle Cesane», uscitovent'anni dopo, alcune pagine crucialitornarono a evocare episodi, personaggie momenti di quella «stagione di vento»e di fuochi, di pietre, di rabbia e di sogni.

cerche filosofiche sul paradigma dell’in -certezza e dell’incompletezza. E credo sitratti di una sfida per tutti noi, in unmondo che cambia.Il vecchio scruta forse le sorti dell’Oc -cidente su cui pare incombere la ca-t a s t ro f e ?Nel terzo tempo dell’Oratorio i migrantisono sbarcati e il vecchio rimane solo.Nel crepuscolo e, poi, nella notte. Sullascena rimane lui e rimane la carretta delmare, che affonda lentamente, comel’animale morente. Il vecchio non ri-sponde più alle domande dei migranti. E’lui che pone domande a se stesso. E ini-zia l’indagine sul senso delle cose. Le vociche ora ascolta, mentre la barca affonda,sono l’eco dei grandi repertori di saggez-za, di speranza e di civiltà. Il vecchio havisioni: visioni occidentali e visioniorientali. Alla fine, sembra che del sogno

di una cosa resti ben poco. E che il si-lenzio sia destinato a prevalere. Alla fine,sembra che il bilancio conosca più per-dite che profitti, per dirla con T. S. Eliot.C'è luce di speranza?Credo di sì. Ma lascio al lettore oall’ascoltatore della voce e delle vocid’umanità la risposta. Alla fine, quandoè ormai buio, il vecchio scorge nell’acquascura, vicino al pontile, la testa del bam-bolotto di Nelson, il piccolo di Chika.Con un occhio vuoto. Il vecchio la rac-coglie e quel piccolo occhio vuoto gli ri-corda le piccole porte da cui può venireun Messia, di cui parlava Walter Ben-jamin. Il vecchio si alza, e riprende il suoviaggio. Forse, la speranza sta sempli-cemente in questo semplice gesto.�

�SarabandaFeltrinelli, pag. 109, € 12,00

da per il teatro Nohma di Milano. Perquesto, il tema della voce è naturale e, delresto, accompagna l’ascoltatore o il lettoredall’inizio alla fine. Vi è una voce che nar-ra e vi sono mille voci d’umanità nell’Ora -torio. E’ il mio omaggio all’epica e alla«phoné», come avrebbe detto CarmeloBene. Ed è anche il promemoria semplicedel nostro rivolgere parole ad altri. Con-tro la condanna al silenzio. O all’afasia.Nel primo tempo ci sono tre donne.Che cosa rappresentano?Laila, l’afghana, è la prima delle tre donneche sulla zattera del mare narrano la loroesperienza della fuga e dell’angoscia diuna decisione terribile: quella dell’addio aun paese e a un mondo che non lasciasperanza. Laila vuole fare pediatria, manon può. Vuole scegliere il suo futuro didonna, ma non può. L’altra è Chika, checon il suo piccolo Nelson viene dalla So-

malia e scappa per fame e condanna allasolitudine. La terza è Zahra, che fugge daTeheran dove non può fare musicaall’aperto, né amare all’aperto. Il vecchiosciamano risponde alle loro domande convoci di donna. Con voci di poesie di don-ne, da Saffo a Achmatova, a Dickinson.Il secondo tempo parla delle cosed’amore. Perché questo tema?Il tema dell’amore irrompe nel secondotempo con la storia di Yamila e Shahbal.Due giovani iraniani che si reincontranosulla barca, dopo l’estate della speranza edella oppressione a Teheran, al tempo del-la grande partecipazione giovanile alleelezioni del 2009. Cose d’amore possonoaver luogo anche sulle carrette del mare. Iltema dell’amore chiama in causa la forzasuprema del desiderio che salva, o può sal-vare, il riconoscimento d’umanità anchenelle condizioni della perdita e della piùdura minaccia. Ma, come quello della vo-ce, anche il tema dell’amore, nelle sue me-tamorfosi, accompagna chi legge sino allafine dell’Oratorio. Nel secondo tempo, vi èluce aurorale, dopo la notte di bonaccia. Eil vecchio riconosce nel volo dei gabbiani ilpromemoria della Sarabanda d’umanità.Grazie alle cose d’amore. E alle voci chenel tempo le salvano e le custodiscono.«Sarabanda» è una selva di significati eallegorie. Quale le piace sottolineare?Alla base, il riconoscimento del fatto odel valore della diversità. L’umanità è, odovrebbe essere, riconosciuta come unpasticcio di modi diversi di essere diver-si. In fondo, Sarabanda è un termine chedesigna una danza un po' «disordina-ta». Alla questione della diversità e dellavariabilità o della porosità dei confini diun qualche «noi» ho dedicato le mie ri-

La storiaUn vecchio saggiorisponde alle domandedei migranti in fugadalla guerra

alte della vita: la bellezza degli ornelli edegli aceri, degli scòtani o dei bianco-spini; la dolcezza delle diverse ore di lucenei cieli tra Urbino, le Cesane, l’Appen -nino e il mare; la tenerezza fragile, forte eradiosa dei corpi delle ragazze da ac-carezzare, abbracciare, penetrare... Tut-te le forme di stupore e incantagioneattraversate dal poeta e dal narratore neisuoi libri precedenti tornano esaltatedalla forza di un contrasto tra l’ideologiae la vita teso fino all’estremo, fino a unaut aut senza scampo, senza compro-messi possibili. Mai le lucciole hannotanto brillato nel profumo delle nottiestive, mai i tramonti hanno striato, co-me i pennelli di un maestro del Rina-scimento, l’azzurro disteso tra i crinali,mai la chiostra dei monti attorno a Ur-bino è stata così «luminosa e perfetta»come in queste pagine schiuse allosguardo di chi desidera sottrarsi allamorsa delle parole astratte e delle ideepreconcette, senz'anima.

Le fughe di Andrea non sono maisemplici immersioni in un’arcadia. Glistati di grazia o di estasi, sospesi «dentrogli anni e le vicende» come raggi lunari,epifanie angeliche o vascelli lievissimi dinubi - per quanto, allo stesso tempo, con-creti come la pelle delle donne, la cor-

teccia degli alberi o il buon cibo delletavole contadine - sono minacciati senzatregua dal tempo: anche i giorni più bellisi concludono troppo presto, così comegli incontri d’amore. Questa potenza di-struttiva del tempo genera a tratti doloreo sgomento nel protagonista, eppure lasua forza sta proprio nell’accettare cheogni esperienza si consumi, perché soloattraverso la fine tutto ricomincia: il pal-pito dell’alba come il mormorìo di unruscello odoroso di «canna verde e ra-ganelle», la possibilità di ritrovare l’amo -re come quella di perdersi tra le quercelleo i carpini, i prugnoli o gli anemoni...

Nato come necessario rendiconto diun ragazzo con le grevi illusioni sessan-tottesche, il romanzo si conclude ideal-mente con alcune pagine dedicate allapiù magica festa di Urbino, quella degliaquiloni, a cui anche Andrea partecipa.Tra gli aquiloni multicolori che si in-trecciano e volano «nella limpida luce disettembre», uno, dipinto di blu, s'innal-za più degli altri, fugge verso le Cesane...Ormai è irraggiungibile, come ogni at-timo della nostra vita quando si perdenei cieli della poesia.�

�Cupo tempo gentileMarcos y Marcos, pag. 224, €18,00

Narrativa «Cupo tempo gentile», romanzo di Claudio Piersanti

Stagione di sogni e di rabbiaOra il romanzo «Cupo tempo gentile»riprende e dilata quegli spunti riflessivie narrativi creando un arazzo di figure,d’incontri e scontri che ha anzitutto ilrespiro fosco, crudo e dissonante diun’età a suo modo appassionata ma sof-focata dalle angustie dell’ideologia. Alcentro di questa pullulante tessitura staAndrea, esplicito alter ego dell’autore.

Mentre racconta i dibattiti e le oc-cupazioni nelle scuole di Urbino, Pier-santi sa restituire i diversi volti del Mo-vimento con un realismo rigoroso, direifilologico nella fedeltà delle inquadra-ture. Benché tra i protagonisti e i com-primari del Sessantotto marchigianonon manchino giovani segnati da unaspecie di leggendaria, romantica bellez-za, ciò che soprattutto emerge dalle pa-gine del libro è il lato dogmatico dellacontestazione: le sue parole d’ordine, leacritiche, infantili esaltazioni di Stalin eMao, la sistematica negazione di ognivero confronto di idee. Rispetto a tuttociò, Andrea, per quanto coinvolto in pri-

ma persona dalle iniziative dei «com-pagni», si sente molto presto portato aun dissenso personale che lo pone, ailoro occhi, in una zona a parte, quasicome un individuo ambiguo o un «re-visionista».

In realtà questo ragazzo condividesinceramente l’esigenza della propriagenerazione di cambiare la storia, di li-berarla dalle troppe storture e ingiusti-zie che l’imprigionano, ma ciò che lorende diverso è la sofferta consapevo-lezza di quanto inadeguate a realizzarequesta esigenza siano le violente, rozzescorciatoie «rivoluzionarie» proposteda troppi suoi coetanei. Ciò che egli so-gna nel profondo dell’anima è un mon-do più «gentile», franco e delicato, ca-pace di sciogliere i rapporti tra gli esseridalle catene della falsità, dell’ipocrisia edel moralismo. Poiché lo spirito dei suoigiorni si mostra sordo a questa sete digentilezza, o di umana schiettezza, eglicerca per proprio conto degli sbocchi,dei passaggi verso le verità più semplici e