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1.2.1 L’origine del petrolio

La composizione estremamente complessa del petrolio (iltermine include sia l’olio sia il gas) riflette gli effetti com-binati di tutti i processi che sono all’origine degli accu-muli petroliferi e che ne determinano il destino nel corsodelle ere geologiche. Poiché le condizioni geologiche egeochimiche nelle quali tali processi si svolgono posso-no variare notevolmente da un luogo all’altro, la compo-sizione del petrolio può mutare di conseguenza. Nella suacomposizione il petrolio contiene alcuni segnali moleco-lari che consentono di ricostruirne l’origine e la storia geo-logica. Di regola, il petrolio non ha mai avuto origine nelgiacimento da cui lo si estrae, ma è il risultato di una lungaserie di processi che ne precedono l’accumulo. Quest’ul-timo ha luogo nei bacini sedimentari e può essere indivi-duato attraverso l’attività esplorativa, se si verificano leseguenti condizioni geologiche (fig. 1):• formazioni di roccia madre in grado di generare petro-

lio in presenza di adeguate condizioni termiche nelsottosuolo;

• compattazione dei sedimenti con conseguente espul-sione del petrolio dalla roccia madre e passaggio nellerocce serbatoio (migrazione primaria);

• rocce serbatoio dotate di porosità e permeabilità suf-ficienti a consentire il flusso del petrolio attraversoil reticolo dei pori (migrazione secondaria);

• configurazioni strutturali degli strati sedimentari taliche le rocce serbatoio formino delle trappole, cioèdei contenitori naturali nel sottosuolo in cui il petro-lio tende ad accumularsi;

• occorre che le trappole siano sigillate in alto da unostrato di sedimenti impermeabili (roccia di copertu-ra), per impedire al petrolio di fuoriuscire;

• nella storia di un bacino sedimentario la sequenzadei processi di generazione/migrazione e di accu-mulo nelle trappole deve essersi svolta seguendo unpreciso ordine cronologico;

• condizioni favorevoli alla preservazione dell’accu-mulo petrolifero nel corso delle ere geologiche, ovve-ro assenza di fenomeni distruttivi, come la frattura-zione della roccia di copertura con conseguente disper-sione del petrolio o un forte riscaldamento, con latrasformazione dell’olio in gas.La questione dell’origine del petrolio è stata a lungo

al centro di un acceso dibattito, nel corso del quale sonostate formulate innumerevoli teorie, ipotesi e specula-zioni. Alcuni decenni or sono furono avanzate diverseidee su una possibile origine inorganica, tra le quali peres. quella che il petrolio potesse essere il prodotto di unareazione tra carburo di ferro e acqua nelle viscere dellacrosta terrestre. I principali indizi a favore di queste teo-rie erano la presenza sporadica di inclusioni di idrocar-buri fluidi e di bitumi solidi all’interno di rocce ignee ealcuni casi di giacimenti di olio e gas alloggiati nelle frat-ture del basamento cristallino (per es., graniti, basalti e

65VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

1.2

Origine, migrazione e accumulodel petrolio

0

1

2

3

4

1

4

5

23

accumulo

affioramento

migrazione

generazione

prof

ondi

tà (

km)

fig. 1. Principali condizioni geologiche e processi geochimici richiesti per la formazione di giacimenti petroliferi nei bacini sedimentari: formazione di petrolio nella roccia madre (1), migrazione primaria (2), migrazione secondaria (3),accumulazione in una trappola (4) e manifestazione in superficie in conseguenza della fratturazione delle rocce di copertura (5).

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rocce metamorfiche). Tuttavia, nella maggior parte deicasi è stato possibile dimostrare che il petrolio si era for-mato in origine in una roccia sedimentaria ed era statotrasportato in un secondo momento nel granito, per es.da un flusso convettivo di fluidi acquosi mineralizzanti,oppure aveva compiuto una lunga migrazione a partireda lontani strati sedimentari e si era accumulato nellefratture del basamento cristallino. La formazione di gia-cimenti petroliferi nel basamento roccioso è estrema-mente rara e non riveste grande importanza dal punto divista commerciale, se paragonata alle riserve di idro-carburi contenute nei bacini sedimentari, che formanola vasta maggioranza dei giacimenti (Selley, 1998). Leprove a favore di un’origine organica del petrolio appaio-no oggi schiaccianti. Tra queste, una delle più convin-centi è la costante presenza in tutti i tipi di petrolio dimolecole di marker biologici come le porfirine, gli ste-rani e gli hopani. La struttura estremamente specifica ditali molecole esclude che possano essere frutto di unasintesi inorganica, ma depone chiaramente e univoca-mente a favore dell’ipotesi di una loro derivazione dastrutture molecolari sintetizzate da organismi viventi.

Le rocce madri petrolifereSono dette rocce madri petrolifere le rocce silico-

clastiche a grana sottile, ricche di argilla (argilliti, sci-sti) o le rocce carbonatiche di colore scuro (calcari,marne) che hanno generato ed espulso idrocarburi inquantità apprezzabili. Una roccia madre petrolifera ècaratterizzata da tre attributi indispensabili: deve pos-sedere un contenuto sufficiente di materia organica diorigine biologica, finemente dispersa al suo interno; que-sta materia organica deve avere una composizione spe-cifica, cioè deve essere ricca di idrogeno; la roccia madredeve trovarsi a una certa profondità ed essere sottopo-sta a determinate temperature sotterranee, per consen-tire l’avvio del processo di formazione del petrolio attra-verso la decomposizione termica del kerogene. Sonostati stabiliti, su basi empiriche, livelli minimi di con-centrazione di carbonio organico totale (TOC) dell’1,5%per le rocce madri con litologie silicoclastiche e dello0,5% per quelle carbonatiche (Hunt, 1996). La concen-trazione di carbonio di origine organica è una misuraapprossimativa del contenuto di materiale organico diuna roccia, infatti la materia organica è composta pre-valentemente di carbonio, ma contiene anche quantitàminori di eteroelementi (azoto, zolfo e ossigeno). Laconcentrazione minima di carbonio organico nella roc-cia madre è in relazione con il rapporto tra la quantitàdi petrolio generata e la capacità di immagazzinamentointerno delle rocce, cioè la loro porosità. Se la quantitàdi materia organica è troppo bassa, le scarse quantità dipetrolio generate non eccedono la capacità di imma-gazzinamento della roccia e pertanto non si ha espul-sione di petrolio. La maggior parte delle rocce madri che

hanno generato ed espulso quantità commercialmen-te rilevanti di petrolio presentano concentrazioni diTOC comprese tra il 2 e il 10%. Un esempio di rocciamadre di litologia silicoclastica particolarmente pro-lifica è la formazione argillosa del Giurassico superio-re di Kimmeridge, nel bacino del Mare del Nord, cheha generato la maggior parte dell’olio accumulato neinumerosi e ricchi giacimenti della zona. I suoi contenutidi TOC oscillano prevalentemente tra il 5 e il 12% (Bor-denave et al., 1993). Un esempio di roccia madre petro-lifera di litologia carbonatica di buona qualità è fornitoinvece dalle formazioni calcaree del Triassico di Meri-de, da cui proviene l’olio presente nei numerosi giaci-menti della valle del Po, nell’Italia settentrionale, e chepresenta contenuti di TOC compresi tra lo 0,5 e l’1,5%(Leythaeuser et al., 1995). Le rocce madri petrolifere dilitologia carbonatica di solito hanno concentrazioni diTOC significativamente più basse, in base alla qualità ealla composizione della materia organica in esse conte-nuta, che generalmente è più ricca di idrogeno.

66 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

fig. 2. Stratificazione e laminazione sottile ben visibili presentate spesso dalla roccia madre di litologia silicoclastica: A, un affioramento (notare il temperino tascabile per la scala, foto di D. Leythaeuser); B, sottile sezione di roccia vista al microscopio (la larghezza dell’immagine è di due centimetri, foto di R. Littke).

A

B

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La maggior parte delle rocce madri petrolifere pre-senta colori che variano dal marrone scuro al nero. Ciòè dovuto alla presenza di materia organica finemente di-spersa, ma anche di cristalli di pirite (FeS2), anch’essifinemente dispersi. Molte rocce madri di litologia sili-coclastica sono caratterizzate da una tipica struttura lamel-liforme (la fig. 2 mostra un esempio di stratificazionesottile, in scala millimetrica e submillimetrica). Una voltagiunti in superficie ed esposti agli agenti atmosferici,questi livelli sottilissimi tendono a separarsi, conferen-do all’affioramento l’aspetto di una pila di fogli di cartascompaginati (da cui il nome di ‘scisto cartaceo’). Lastruttura lamelliforme è dovuta alle particolari condi-zioni prevalenti durante il processo di deposizione delfango ricco di materiali organici, che si è pietrificatodurante il seppellimento e trasformato in roccia madre.Nella maggior parte delle rocce madri di litologia car-bonatica la materia organica tende a essere distribuita inmodo eterogeneo, concentrandosi spesso in sottili lami-ne galleggianti in una massa di fondo povera di materiaorganica. Questi livelli si formano nel sottosuolo attra-verso un processo chiamato soluzione da pressione, checomporta una ridistribuzione dei minerali carbonatici euna nuova cristallizzazione di questi ultimi, che risulta-no così separati dalle particelle di materia organica.

I processi di sedimentazione della roccia madre

La formazione di sedimenti ricchi di materia orga-nica è legata a precise condizioni dell’ambiente in cuiavviene la deposizione. Questi sedimenti si depositanoin ambienti acquosi che ricevono un apporto costante dimateria organica, ossia di residui di organismi morti, edi particelle sedimentarie. In ambienti subaerei la mate-ria organica viene degradata dai processi di ossidazionechimica e biologica in tempi brevi dopo la deposizione.La sedimentazione di roccia madre di buona qualità puòavvenire in ambiente marino o lacustre sotto forma difanghi ricchi di materia organica, purché le acque delfondo siano povere di ossigeno, cioè prevalgano le con-dizioni riducenti. Se la concentrazione di ossigeno pre-sente in queste acque è inferiore a 0,1 ml/l, l’ambienteè detto anaerobico, se è compresa tra 0,1-1,0 ml/l è dettodisaerobico, mentre in presenza di concentrazioni anco-ra superiori si parla di ambiente ossigenato. Gli ambien-ti anaerobici o disaerobici richiedono condizioni di acquastagnante, poiché una circolazione turbolenta dell’acquadetermina un costante ricambio dell’ossigeno presente.Esempi recenti di sedimentazione in ambienti anaero-bici o disaerobici sono ampiamente diffusi nel Mar Nero,nel Golfo di Maracaibo, nella piattaforma continentaleal largo delle coste della Namibia, lungo le coste del Perùe della penisola araba, così come nelle zone più profon-de dei laghi dell’Africa orientale (Hunt, 1996). I se-dimenti depositati in queste aree presentano valori di

TOC superiori al 4%. In condizioni di acqua stagnante,l’energia di trasporto dell’acqua per le particelle mine-rali è quasi inesistente. Solo le particelle a grana moltosottile, e in particolare i minerali delle argille, si depo-sitano lentamente lungo la colonna d’acqua insieme coni residui di organismi viventi. In queste condizioni gliunici organismi in grado di sopravvivere sono i batterianaerobici, mentre sono del tutto assenti quegli organi-smi come vermi, lumache, gamberetti, ecc. (fauna ben-tonica) che vivono usualmente sul fondo, scavando peruna profondità di pochi decimetri i sedimenti del fondoalla continua ricerca di cibo. Questa attività distrugge lastruttura orizzontale originale del fondo, rimescolandola disposizione delle particelle di sedimento (bioturba-zione). Negli ambienti anaerobici, invece, l’originaledisposizione orizzontale dei sottili strati sedimentari siconserva sotto forma di struttura lamelliforme, deter-minando condizioni particolarmente favorevoli alla pre-servazione della materia organica. Oltre a determinarel’assenza di organismi bentonici che si nutrono di mate-ria organica, la scarsissima presenza o l’assoluta man-canza di ossigeno impedisce i processi di ossidazionechimica. Inoltre, la velocità di decomposizione dellamateria organica da parte dei batteri anaerobi è moltoinferiore a quella dei batteri aerobi. Alcune specie di bat-teri anaerobi che vivono nei pori del sedimento consu-mano una parte della materia organica, riducendo il sol-fato (SO2�

4 ) dell’acqua marina e producendo solfuro diidrogeno (H2S), una sostanza tossica. Negli ambienti disedimentazione di tipo silicoclastico, è sempre disponi-bile ferro disciolto per rimuovere il solfuro di idrogenotramite la formazione di pirite (FeS2). In effetti, spessola fine struttura di queste colonie di batteri è conserva-ta sotto forma di minuscoli aggregati di cristalli di piri-te, chiamati framboidi. Gli ambienti di sedimentazionedi tipo carbonatico sono caratterizzati in genere da unascarsa presenza di ferro disciolto. Il solfuro formato dallariduzione batterica del solfato reagisce chimicamentecon la materia organica (vulcanizzazione), generando,al termine del processo, petroli ad alto tenore di zolfo.Tali oli sono meno pregiati dal punto di vista economi-co, in quanto i composti del solfuro creano problemidurante il processo di raffinazione.

Esistono fondamentalmente tre possibili scenari incui il processo di sedimentazione si svolge in condizio-ni favorevoli alla conservazione della materia organica(Demaison e Moore, 1980). Il sistema sedimentario delcosiddetto modello di stagnazione richiede la presenzadi un bacino ristretto o a soglia, ossia di un bacino mari-no caratterizzato da uno scambio molto limitato con ilmare aperto (fig. 3 A). Questo è il caso, per es., del MarNero, che raggiunge una profondità di 2.500 m ma è col-legato al Mediterraneo da un passaggio profondo appe-na 25 m. A causa delle grandi quantità di acqua dolceriversate in questo mare dai fiumi che vi sfociano, le sue

67VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

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acque di superficie presentano livelli di salinità piuttostobassi. Questa massa d’acqua superficiale tende a fluirenel Mediterraneo, mentre da quest’ultimo si riversano nelMar Nero acque più salate, e quindi più dense, che for-mano una corrente di profondità. Questa corrente seguela topografia del fondale colmando tutte le zone più profon-de del Mar Nero. In questo modo si forma una colonnad’acqua stratificata, con un contatto ben definito tra acquead alta salinità e quindi alta densità in basso, e acque abassa salinità in alto. Il gradiente tra le due acque, chenel Mar Nero si colloca sempre ad appena 80-100 m diprofondità, è chiamato aloclino. Al di sotto dell’aloclinogiace un’immensa massa d’acqua stagnante che offre con-dizioni particolarmente favorevoli alla conservazionedelle alghe morte, che scendono verso il fondo abban-donando la fascia superficiale dove avevano trovato laluce e le sostanze nutritive necessarie alla loro crescita(bioproduttività). Il secondo tipo di sistema sedimenta-rio è il cosiddetto modello di produttività (fig. 3 B). Inalcune zone degli oceani esistono correnti di profonditàricche di sostanze nutritive che risalgono i margini dellaplacca continentale a partire dalle zone più profonde dellescarpate. Quando raggiungono la fascia penetrata dairaggi solari (zona eufotica), danno luogo a una crescita

massiccia di alghe (fioritura del fitoplancton). L’attivitàfotosintetica delle alghe produce enormi quantità di bio-massa vegetale, che rappresenta il primo anello della cate-na alimentare marina: le alghe alimentano lo zooplanc-ton, che a sua volta alimenta i pesci e così via. Dopo lamorte, i resti di questi organismi (una biomassa costitui-ta soprattutto da fitoplancton) sprofondano nella colon-na d’acqua e iniziano a putrefarsi e decomporsi. A causadella gran quantità di materiale organico in decomposi-zione, il consumo di ossigeno è così rapido da portareben presto alla creazione di un ambiente anaerobico odisaerobico nella colonna d’acqua. Anche in questo caso,si può rilevare l’esistenza di una netta separazione tra leacque scarsamente ossigenate, in basso, e quelle più vi-cine alla superficie e ricche d’ossigeno, divise dalla co-siddetta barriera redox. Una volta giunta sul fondo del-l’oceano, la materia organica è parzialmente decompo-sta dai microrganismi. In questo modo, una certa quantitàdi biomassa di origine batterica viene ad aggiungersi allamateria organica sedimentaria. I contenuti di TOC deisedimenti depositati in queste condizioni ambientali sonocompresi tra il 2 e il 4%. Infine, la deposizione di sedi-menti ricchi di materiali organici può avvenire nel qua-dro di un terzo scenario, legato in questo caso al sistemadi circolazione di profondità degli oceani (fig. 3 C). Cor-renti di acqua fredda ad alta densità, generate nelle zoneartiche e antartiche, scorrono sul fondo degli oceani versole latitudini più basse. Quando, durante il loro tragitto,incontrano rilievi sottomarini di una certa importanza,sospingono grandi masse di acque di profondità, ricchedi sostanze nutritive, verso la superficie dell’oceano,dando il via a una serie di processi e di effetti simili aquelli di un’area di risalita, che causano la formazione diuna zona di minima ossigenazione in mare aperto. Quan-do questa zona viene a contatto con una placca conti-nentale, si ha la deposizione di sedimenti ricchi di mate-ria organica. Questo fenomeno è osservabile in diverseparti del globo, tra cui le zone più profonde della piat-taforma continentale al largo delle coste dell’India e delPakistan. Quanto abbiamo detto finora a proposito del-l’apporto di materia organica nei processi di sedimenta-zione in mare si applica anche ai grandi laghi, come quel-li della Rift Valley, nell’Africa orientale. La biomassa pro-dotta dalle alghe e dai batteri si deposita nelle acqueanaerobiche o disaerobiche dei laghi più profondi, chenon sono mai soggette a rimescolamento (overturn).

Tutti gli ambienti marini e di acqua dolce in cui sisvolgono processi sedimentari possono ricevere un ulte-riore apporto di materia organica sotto forma dei restidelle piante cresciute sulle alture della terraferma e tra-sportati dai fiumi, dai ghiacciai o dal vento. A differen-za della biomassa prodotta dalle alghe e dai batteri, riccadi idrogeno, la materia organica vegetale di origine ter-restre presenta in genere un elevato tenore di ossige-no, a causa dell’alta percentuale di materiali precursori

68 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

sedimenti ricchi di materia organica

sedimenti ricchidi materia organica

sedimenti ricchi di materia organica

elevata salinitàambiente anaerobico

bassa salinità, O2

venti di terra

acqua dolce

soglia dibacino

risali

ta

0,11

ambiente anaerobico

O2 (ml/l)

fioritura del plancton

0 1.000 km

fig. 3. Deposizione di sedimenti ricchi di materia organica in condizioni di scarsità di ossigeno: A, stagnazione; B, produttività; C, zona di minima ossigenazione (modificati conformemente a Demaison e Moore, 1980).

C

B

A

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69VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

derivati dalla cellulosa e dalla lignina, con l’eccezionedelle spore e delle cuticole delle foglie, che sono più ric-che di idrogeno. In effetti, la materia organica presentenella maggior parte dei sedimenti assimilabili alla roc-cia madre è composta da una miscela di residui di orga-nismi marini e di vegetazione terrestre. A seconda dellaprevalenza di materiale organico dell’una o dell’altro tipo,la roccia madre produrrà idrocarburi liquidi o gassosi.

La materia organica solida contenuta nella rocciamadre, insolubile nei solventi organici a basso punto diebollizione, è detta kerogene. Il kerogene è in parte pro-dotto dall’accumulo di sostanze macromolecolari resi-stenti di origine biologica, quali lipidi cellulari, pareticellulari delle alghe, membrane, cuticole, spore e polli-ne, e in parte si forma all’interno dei sedimenti, nel corsodi un processo chiamato diagenesi, un termine con cuisi designa l’insieme di tutti i processi geochimici e mine-ralogici che si svolgono nella porzione superiore di unacolonna sedimentaria.

La materia organica è sintetizzata dagli organismiviventi sotto forma di biopolimeri, per es., i carboidrati,le proteine, la lignina, ecc. Dopo la morte dell’organi-smo, questi biopolimeri si decompongono rapidamentenei loro biomonomeri costitutivi, per esempio i carboi-drati in zuccheri, le proteine in aminoacidi e così via.Questi biomonomeri non rimangono stabili in un ambien-te sedimentario, ma sono riconvertiti, attraverso una seriedi reazioni controllate da enzimi batterici, in materialiorganici policondensati di tipo polimerico, come gli acidiumici, gli acidi fulvici e le sostanze umiche. Una profon-dità di poche centinaia di metri è sufficiente per trasfor-mare questi ultimi in kerogene, che è stato definito ungeopolimero (Tissot e Welte, 1984), benché, in senso stret-tamente chimico, non si tratti di un polimero ma piutto-sto di una complessa miscela di sostanze ad alto pesomolecolare. I mattoni che ne costituiscono l’ossatura sonoprincipalmente i sistemi ciclici aromatici policondensa-ti, dotati di catene laterali di varie lunghezze, connessetra loro da diversi gruppi funzionali, per es. ponti di este-ri, chetoni o solfuri. Riassumendo, il kerogene è una misce-la di biomassa trasformata dai processi diagenetici e dicomposti di origine biologica non modificati (Killops eKillops, 1993). Un utile approccio preliminare di tipogeochimico al problema della complessa composizionedel kerogene è fornito dall’analisi elementare e dalla valu-tazione della relazione tra il rapporto atomi di idroge-no/atomi di carbonio (H/C) e il rapporto atomi di ossi-geno/atomi di carbonio (O/C, fig. 4). Grazie a questi meto-di si è giunti a classificare la grande varietà di kerogeniesistenti in natura in tre grandi classi, chiamate tipo I, tipoII e tipo III (Tissot e Welte, 1984). I kerogeni di tipo I,dotati di un alto rapporto H/C, hanno origine prevalente-mente da biomasse algali e batteriche e la loro compo-sizione chimica è caratterizzata da elevate percentualidi lunghe catene alifatiche. L’elevato rapporto H/C dei

kerogeni del tipo II è invece la conseguenza di un appor-to particolarmente consistente di biomassa algale; questikerogeni sono formati da una miscela di sistemi ciclicidi idrocarburi saturi (nafteni) e da catene alifatiche, oltreche da sistemi ciclici aromatici policondensati. La for-mazione di entrambi questi tipi di kerogene richiede chela sedimentazione avvenga in ambiente anaerobico. Unsottogruppo della seconda categoria è rappresentato daltipo II-S, cioè dai kerogeni ad alto tenore di zolfo (nonmostrati nella fig. 4), che hanno origine da ambienti disedimentazione carbonatici. Di conseguenza, i petroligenerati da rocce madre carbonatiche contengono in gene-re un’elevata quantità di zolfo (oltre l’1,5%). I kerogenidel tipo III, al contrario, sono caratterizzati da alti rapportiO/C e da bassi rapporti H/C. L’elevato contenuto di ossi-geno, presente principalmente sotto forma di gruppi car-bossilici (�COOH), può essere dovuto sia a un elevato

2,0

1,5

1,0

0,5

0 0,05 0,10

biossido di carbonioe acqua

evoluzione del fluido zona stadio

idrocarburi liquidi

idrocarburi gassosi(C1-C4)

metano

immaturo

olio

gas umido (condensato)

gas secco

diagenesi

catagenesi

metagenesi

0,15 0,20 0,25rapporto atomico O/C

rapp

orto

ato

mic

o H

/C tipo II

tipo III

via evoluzionisticamediatipo I

fig. 4. Variazione dei rapporti atomici H/C e O/C nella composizione di base dei diversi kerogeni di origine naturale (il cosiddetto diagramma di van Krevelen). I kerogeni sono classificati in base a tre tipi e la parte più chiara di ognuno di essi indica la composizione di base della materia organica nei sedimenti depositati in epoca recente (stadio diagenetico). Con l’aumento della profondità, la trasformazione del kerogene prosegue passando agli stadi della catagenesi e della metagenesi (Killops e Killops, 1993).

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apporto di residui di piante terrestri, sempre molto ricchidi strutture derivate dalla cellulosa e dalla lignina, sia allasedimentazione di materia organica di qualunque tipoderivata dalla decomposizione di organismi marini inambienti disaerobici o ossici. I giacimenti di roccia madrepiù prolifici dal punto di vista della produzione di olioappartengono quasi sempre al tipo II. I kerogeni del tipoI sono piuttosto rari e sono limitati quasi esclusivamen-te agli scisti bituminosi (rocce che non contengono petro-lio, ma elevate concentrazioni di kerogene, che può esse-re trasformato artificialmente in olio riscaldando la roc-cia a 500 °C in un’atmosfera inerte). Le rocce madricontenenti kerogene di tipo III generano scarse quantitàdi olio ma molto più gas e condensato, in presenza di ade-guate temperature sotterranee.

Una frazione variabile del kerogene contenuto nellaroccia madre si presenta sotto forma di particelle didimensioni visibili al microscopio. Nella maggior partedei casi, è possibile risalire alle origini biologiche o dia-genetiche delle singole particelle, identificandole comeresti di alghe, cuticole delle foglie, spore o tessuti erbo-si (Taylor et al., 1998). Tali particelle possono essereseparate da un campione di roccia mediante un adegua-to trattamento con acido (HCl, HF) e vengono designa-te per questo con il termine generico di macerali. Alcu-ni di questi macerali, che presentano un alto contenutodi idrogeno e una spiccata fluorescenza ai raggi UV, sonochiamati collettivamente exinite. Un altro gruppo di que-ste sostanze, chiamate vetrinite, deriva da tessuti legno-si del tutto o parzialmente gelatinizzati nel corso delladiagenesi. I macerali che costituiscono l’inertinite deri-vano invece da particelle organiche che, nell’ambientedi sedimentazione, sono state ossidate chimicamente odai batteri.

La formazione del petrolioGli idrocarburi liquidi e gassosi sono generati dalla

decomposizione termica del kerogene contenuto nei gia-cimenti di roccia madre. La temperatura di queste roccecresce con l’aumento della profondità e, oltre una certasoglia, la frazione chimicamente labile del kerogene iniziaa trasformarsi in composti petroliferi (fig. 5, McKenzie eQuigley, 1988). Il principale meccanismo di reazione èla rottura (cracking) dei legami tra gli atomi di carbonio,che richiede il superamento di certi livelli minimi nel-l’apporto di energia termica (energia di attivazione). Ilivelli di energia di attivazione variano secondo la posi-zione e il tipo del legame carbonio-carbonio nella strut-tura del kerogene. I legami tra gli atomi di carbonio equelli degli eteroelementi (azoto, zolfo e ossigeno) sonopiù labili, ovvero si spezzano più facilmente. I primi pro-dotti generati dalla roccia madre nel corso della fase disprofondamento sono quindi i composti di azoto, zolfoe ossigeno, insieme a diossido di carbonio e acqua (v.ancora fig. 4). A temperature più elevate, ha inizio la

formazione di composti petroliferi con il cracking deilegami tra gli atomi di carbonio nella struttura del ke-rogene, che perde così le lunghe catene alifatiche e lestrutture ad anello sature. Queste reazioni produconogradualmente una serie di cambiamenti della composi-zione elementare del kerogene (in particolare una dimi-nuzione del suo contenuto di idrogeno), che sono espres-si nel diagramma di van Krevelen per ciascun tipo dikerogene sotto forma di linee di tendenza, i cosiddettitracciati evolutivi (v. ancora fig. 4).

La formazione di idrocarburi liquidi e gassosi nellaroccia madre è una conseguenza naturale dell’aumentodella temperatura del sottosuolo nel corso delle ere geo-logiche. Nel processo di trasformazione del kerogene pro-vocato dall’aumento della temperatura, chiamato matu-razione, si distinguono due fasi, la catagenesi e la meta-genesi (fig. 4; Tissot e Welte, 1984). In relazione allostadio di avanzamento della formazione del petrolio, lamateria organica è detta immatura prima dell’avvio dellaformazione di idrocarburi, matura quando il processo è

70 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

80-150 ° C>150 ° C

dia

gen

esi

cata

gen

esi

met

ag

enes

im

eta

mo

rfis

mo

del

le r

occ

e

legno

kerogene

inerte

gas

gas

grafite

olio

labilerefrattario

cuticole batteri alghe

biomarkers

fig. 5. Principali condizioni e processi necessari alla formazione del kerogene a partire dai suoi precursori biologici e alla sua trasformazione in prodotti petroliferi con l’avanzare del processo di maturazione (modificato conformemente a McKenzie e Quigley, 1988).

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in corso e ipermatura quando le reazioni hanno avuto ter-mine. La principale forza motrice nei processi di matu-razione della roccia madre e di formazione del petrolio èil calore. A tale riguardo, le temperature massime rag-giunte, ossia il tasso di riscaldamento così come il tempodi esposizione alle temperature massime, assumono unaparticolare importanza. L’intervallo di temperatura in cuisi ha formazione di idrocarburi liquidi è detto ‘finestradei liquidi’ o ‘finestra dell’olio’, e si estende tra gli 80 ei 150 °C. Ai fini della prospezione petrolifera è di fon-damentale importanza stabilire l’esatto stadio di avanza-mento delle reazioni di formazione degli idrocarburi inuna particolare roccia madre. A tale scopo si misurano icosiddetti parametri di maturazione, che forniscono unarappresentazione integrale tempo-temperatura delle con-dizioni sperimentate dalla materia organica di una dataroccia madre, ovvero permettono di valutare in modo indi-retto le paleotemperature e la durata dell’esposizione aesse. I parametri di maturazione più comunemente uti-lizzati sono il potere riflettente della vetrinite e gli indi-ci di maturità dei marker biologici. Le particelle di vetri-nite, contenute in tracce in molti tipi di roccia madre, pos-sono essere individuate per mezzo di un microscopio ariflettanza. Quanto più è avanzato il processo di matura-zione, tanto più aumenta la capacità delle particelle luci-de di vetrinite di riflettere un raggio di luce bianca. Lapercentuale di luce riflessa è misurata in rapporto a unostandard vitreo ed espressa come percentuale di riflet-tanza della vetrinite. Sulla base di risultati empirici otte-nuti attraverso lo studio di un’ampia casistica, è statodimostrato che la finestra dell’olio delle rocce madri petro-lifere contenenti kerogene del tipo II si estende su un inter-vallo di maturità corrispondente a una percentuale di riflet-tanza della vetrinite compresa tra 0,5 e 1,3. Nell’inter-vallo di maturità definito da valori di riflettanza compresitra l’1,3 e il 2%, vengono generati idrocarburi a bassopeso molecolare, sotto forma di condensati e di gas umidi.Quando il livello di maturità supera una percentuale diriflettanza della vetrinite pari a 2, si ha esclusivamente laformazione di gas secco (v. ancora fig. 4, Tissot e Welte,1984). La causa di questo graduale passaggio dalla for-mazione di idrocarburi liquidi a quella di condensato epoi di gas è da ricercare nell’esaurimento di composti adalto contenuto di idrogeno nel kerogene. Il risultato fina-le del processo di maturazione è la trasformazione di unkerogene inizialmente ricco di idrogeno in una misceladi composti ad alto contenuto di idrogeno (olio, gas, con-densato), da una parte, e in un kerogene povero di idro-geno (kerogene inerte, v. ancora fig. 5), dall’altra. Se inseguito gli strati contenenti quest’ultimo tipo di keroge-ne sprofondano ulteriormente, venendo sottoposti a con-dizioni di pressione e di temperatura in grado di inne-scare processi di metamorfismo roccioso, il kerogenesubirà mutamenti strutturali ancora più importanti, tra-sformandosi infine in grafite minerale (v. ancora fig. 5).

La roccia madre contenente kerogene di tipo III, dota-to di una natura chimica maggiormente rifrangente refrat-taria (v. ancora fig. 5), inizia a generare prevalentemen-te gas e condensato, accompagnati da scarse quantità diidrocarburi liquidi, solo dopo uno stadio di maturità defi-nito da una percentuale di riflettanza della vetrinite paria 0,7. Un altro metodo per valutare lo stadio di maturitàdi un kerogene consiste nel controllare i mutamenti deirapporti tra alcuni specifici marker biologici, poiché lostress termico provoca cambiamenti nella struttura ste-reochimica delle singole molecole dei marker. La dispo-sizione spaziale dei gruppi metilici (�CH3) o degliatomi di idrogeno appartenenti alla struttura ciclica o allecatene laterali, muta sistematicamente in funzione del-l’aumento della temperatura (isomerizzazione configu-razionale). In tal modo, la forma biologica originale dellamolecola, per ciò che riguarda la disposizione tridimen-sionale di questi gruppi particolari, viene gradualmentemodificata in una forma più stabile dal punto di vistatermico. È possibile seguire con esattezza il procederedi tali trasformazioni misurando la concentrazione deiprodotti di partenza e di quelli che hanno reagito, chevengono espresse sotto forma di rapporti (Waples eMachihara, 1991). Per effettuare queste misurazioni siusano varie tecniche cromatografiche, e in particolareuna combinazione di gascromatografia e di spettrome-tria di massa (GC/MS). Per molte di queste reazioni ste-reochimiche è stato possibile individuare i tracciati mole-colari e calibrarli in rapporto ai diversi stadi di maturità.Il grande vantaggio di questo metodo di valutazione dellostadio di maturità consiste nel fatto che lo si può appli-care anche a campioni di petrolio greggio.

La posizione della finestra dell’olio in relazione aivalori specifici di tutti i parametri di maturità sopra discus-si è parzialmente flessibile e soggetta a variazioni da unaroccia madre all’altra. Ciò è dovuto al fatto che i pro-cessi chimici e strutturali responsabili dell’aumento delpotere riflettente della vetrinite, o i progressivi muta-menti della struttura stereochimica delle molecole deimarker biologici, obbediscono a leggi di reazione cine-tica diverse da quelle che regolano le reazioni di forma-zione degli idrocarburi. Durante il processo di forma-zione del petrolio si verificano moltissime reazioni, cia-scuna controllata da diverse cinetiche di reazione (energiadi attivazione, fattore di frequenza, ecc.). Di conseguenza,la soglia termica di formazione del petrolio non è unica,ma abbraccia una gamma di temperature. Le cinetichedi reazione di numerosi processi di formazione degliidrocarburi sono state calcolate sperimentalmente, alloscopo di elaborare modelli di simulazione numerica deglistessi processi (Schenk et al., 1997) che consentano divalutare la quantità di petrolio in una specifica rocciamadre. Una simile valutazione, anche se approssimativa,può essere effettuata misurando in laboratorio la concen-trazione dei composti petroliferi, estratti da campioni di

71VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

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roccia madre opportunamente trattati con solventi orga-nici a basso punto di ebollizione. Nelle zone in cui laroccia madre si trova a scarsa profondità e non ha rice-vuto un adeguato riscaldamento, si rilevano concentra-zioni molto basse di composti estraibili, che risultanoformati principalmente da una miscela di marker biolo-gici e di cosiddetti composti NSO, ossia componenti delpetrolio che contengono nella loro molecola eteroatomi(cioè atomi di elementi diversi dal carbonio e dall’idro-geno), di norma rappresentati da azoto (N), zolfo (S) eossigeno (O). Quando viene raggiunto lo stadio di matu-rità corrispondente all’apertura della finestra dell’olio,si osserva un immediato aumento delle concentrazionidi estratti, che si presentano in questo caso come unamiscela oleosa, composta prevalentemente da idrocar-buri con oltre 15 atomi di carbonio per molecola (fra-zione C15�). La massima concentrazione di estratti segnal’intervallo di maturità corrispondente a condizioni diformazione ottimali. Superato questo intervallo, la dimi-nuzione della concentrazione di estratti indica che lariserva di strutture oleose del kerogene è in via di esau-rimento. La soglia inferiore della finestra dei liquidi èraggiunta quando le concentrazioni di estratti sono ridot-te ai valori di fondo. Tuttavia, è raro che in natura le coseseguano questo andamento, poiché la concentrazione diestratti non indica soltanto la quantità di idrocarburi C15�

formati, ma riflette anche il risultato finale di una seriedi processi distruttivi e costruttivi, tra cui la formazionedi petrolio mediante decomposizione termica della por-zione labile del kerogene, l’espulsione della maggiorparte degli idrocarburi generati durante il processo dimigrazione primaria e, una volta superato il livello otti-male di formazione, la progressiva rottura degli idro-carburi a catena lunga e la loro conversione in gas.

Nel caso di roccia madre di buona qualità, la per-centuale di kerogene labile e convertibile in idrocarburidurante il passaggio attraverso la finestra dei liquidi puòraggiungere il 50% del totale. Questo si riflette in un dra-stico decremento dei contenuti di idrogeno e di TOC delkerogene, man mano che la roccia madre passa da un ini-ziale stadio di immaturità a quello di maturità e divieneinfine ipermatura. Nella sequenza di maturazione degliScisti a Posidonia del Giurassico inferiore, che costitui-scono il principale giacimento di roccia madre petroli-fera dell’Europa centrale e occidentale, è stata docu-mentata, nel passaggio dallo stadio di immaturità a quel-li successivi, una diminuzione del contenuto di TOC delkerogene pari a circa il 50% e di quello di idrogeno dicirca il 90% (Rullkötter et al., 1988). La roccia madrecontenente kerogene di tipo III è caratterizzata da bassepercentuali di strutture chimicamente labili e pertantogenera scarse quantità di idrocarburi liquidi, mentre l’al-to contenuto di strutture refrattarie (v. ancora fig. 5) causala formazione di idrocarburi gassosi ai livelli superioridi maturità. Le rocce contenenti kerogene di tipo III sono

quindi definite in genere rocce gassifere, mentre quellecontenenti kerogene di tipo II sono dette petrolifere. Ilrapporto tra le quantità di gas e le quantità di olio (GOR;dove le quantità sono tipicamente espresse in kg) gene-rate da una specifica roccia madre dipende dal tipo dikerogene in essa contenuto e dalla storia delle condizionitermiche subite nel processo di affossamento. Tale rap-porto in natura può variare tra valori limite compresi tra0,1 (giacimento di petrolio) e 100 (giacimento di gas).Di solito, il rapporto gas/olio aumenta con l’avanzare delprocesso di maturazione della roccia madre. Le crescenticoncentrazioni di metano rilevabili nelle rocce situate amaggiore profondità sono una conseguenza delle pro-prietà di questo gas, il più stabile degli idrocarburi difronte alle sollecitazioni termodinamiche. Sempre perquesta ragione, i giacimenti di petrolio che sprofondanonel sottosuolo con conseguente aumento delle tempera-ture di esposizione sono convertiti in giacimenti di gassecco in seguito a processi di cracking.

L’origine dei gas naturali è più complessa. Le sostan-ze da cui sono costituiti – idrocarburi e altre componen-ti – sono generate da diverse fonti (Hunt, 1996). Gli idro-carburi gassosi provengono principalmente da: a) attivitàdei batteri metanogenici; b) kerogene di tutti i tipi; c) car-bone; d) cracking degli idrocarburi a catena lunga pre-senti nell’olio contenuto nei giacimenti e nella rocciamadre. I batteri metanogenici generano metano (il cosid-detto metano biogenico) negli strati sedimentari pocoprofondi attraverso processi di fermentazione o di ridu-zione del biossido di carbonio. La fermentazione che dàorigine al gas di palude segue lo schema di reazione2CH2O�2H2O → CH4�2H2O�CO2, mentre il metanobiogenico prodotto dalla riduzione carbonatica si formasecondo lo schema CO2�4H2→ CH4�2H2O. Questi pro-cessi sono accompagnati da un marcato effetto di frazio-namento degli isotopi di carbonio. Per generare metano,infatti, questi batteri preferiscono consumare il più leg-gero 12CO2, invece del più pesante 13CO2. Pertanto il meta-no biogenico così prodotto presenta una concentrazionedi isotopi leggeri di carbonio significativamente più altadi quella del metano generato dal cracking del kerogeneo del carbone (metano termogenico). Tale differenza nellacomposizione isotopica relativa a isotopi stabili offre unvalido strumento per individuare con esattezza l’originedel metano. Inoltre, i gas generati dai batteri sono formatiquasi esclusivamente da metano, mentre i gas termoge-nici contengono percentuali non trascurabili di etano e diomologhi più pesanti (frazione C2�). Si stima che, di tuttii giacimenti di gas naturale presenti sulla Terra, circa il20% contenga metano di origine batterica. La maggiorparte dei campi di gas naturale della valle del Po e del-l’Adriatico settentrionale contiene metano biogenico, comeper esempio i campi di Porto Corsini e Porto Garibaldi(Mattavelli et al., 1983). Tenendo conto del limite termi-co entro cui i batteri metanogenici possono svilupparsi,

72 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

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è interessante notare che il giacimento di metano bioge-nico più profondo del mondo si trova in quest’area del-l’Italia settentrionale, a 4.467 m di profondità. Gli idro-carburi gassosi di origine termica provengono invece dalcracking di kerogene di vario tipo e di carboni bitumi-nosi. Il kerogene di tipo II, a più alto contenuto di idro-geno, genera una percentuale di idrocarburi C2� mag-giore del kerogene di tipo III, che a sua volta genera per-centuali più alte di biossido di carbonio e di azoto.

I costituenti dei gas naturali diversi dagli idrocarbu-ri – biossido di carbonio, azoto e solfuro di idrogeno –possono avere origine organica o inorganica (Hunt, 1996).L’origine organica del biossido di carbonio consiste prin-cipalmente nella rimozione dei gruppi carbossilici da unkerogene di tipo III (decarbossilazione), mentre quellainorganica risulta in genere dalla dissociazione termicadei carbonati in quelle zone del sottosuolo dove rocceignee calde entrano in contatto con calcari o dolomiti.L’azoto si forma invece in seguito all’ossidazione del-l’ammoniaca (NH3), prodotta dalla maturazione del car-bone, oppure ha origini atmosferiche (aria intrappolatanei pori della roccia) o deriva dall’inclusione di gas inrocce ignee ricche di azoto. Il costituente più indeside-rato del gas naturale è il solfuro di idrogeno (H2S), cheoccorre separare dal resto prima di pompare il gas nellecondutture e prima della sua raffinazione, a causa dellafacilità con cui corrode l’acciaio delle tubature e dellasua elevata tossicità. La sua origine organica va ricerca-ta principalmente nel cracking delle strutture solforicheorganiche presenti nel kerogene contenuto nella rocciamadre di litologia carbonatica, in genere ricche di zolfo.Il solfuro di idrogeno può avere anche un’origine inor-ganica, per riduzione del solfato disciolto nell’acqua inter-stiziale, che si verifica a temperature superiori ai 100 °C.Questa cosiddetta riduzione termochimica del solfatosegue lo schema di reazione CaSO4�2CH2O→ CaCO3�H2O�CO2�H2S, il cui requisito è l’ossidazione degliidrocarburi. Il giacimento di gas naturale di Lacq, neipressi di Pau, nella Francia sudoccidentale, rappresentaun caso estremo, con il 15% di solfuro di idrogeno, uti-lizzato per produrre zolfo elementare. Tutti i gas natura-li contenenti solfuro di idrogeno sono chiamati gas acidi(sour gas), mentre quelli privi di solfuri sono detti gasnon corrosivi (sweet gas). In alcuni giacimenti di gas sonopresenti tracce di componenti estranei quali gas nobili(elio, argon), idrogeno e perfino mercurio. L’elio ha ori-gine dal decadimento radioattivo dei minerali del basa-mento cristallino contenenti uranio o torio. Infine, i con-densati, composti principalmente di idrocarburi appar-tenenti alla gamma delle benzine, possono avere dueorigini. La prima è la decomposizione termica, ossia ilcracking di petrolio in un giacimento sottoposto ad altetemperature dopo il termine del processo di accumulo.L’altro meccanismo è la cosiddetta separazione-migra-zione (Silverman, 1965), un processo che si verifica quan-

do le rocce di copertura di un giacimento petrolifero situa-to a notevole profondità e sottoposto a forti pressioni, sifessurano a causa dell’attività tettonica. In seguito al rila-scio di pressione e alla conseguente volatilizzazione delpetrolio, i componenti più leggeri sfuggono sotto formadi gas attraverso le fratture e le faglie e si accumulanonelle trappole superficiali sotto forma di condensati. I con-densati che hanno origine da questo tipo di frazionamen-to per evaporazione sono caratterizzati da spiccati effettidi frazionamento composizionale (Thompson, 1987).

1.2.2 La migrazione del petrolio

La formazione del petrolio attraverso la decomposizio-ne termica del kerogene è il risultato di una serie di pro-cessi chimici governati prevalentemente dalla tempera-tura. La migrazione del petrolio dalla roccia madre incui ha avuto origine fino alla trappola serbatoio in cui siaccumula dipende invece dalle condizioni fisiche e fisi-co-chimiche degli strati sedimentari attraversati dal petro-lio durante il suo percorso. Il fattore che influenza inmisura maggiore questo processo è la pressione. Nel sot-tosuolo si possono distinguere due tipi di pressione. Ilprimo è la pressione idrostatica, causata dal peso dellacolonna fluida corrispondente alla rete di pori comuni-canti e saturi d’acqua che vanno da una data profonditàfino alla superficie del sedimento. Poiché nell’acquainterstiziale del sottosuolo sono disciolte sostanze sali-ne, il gradiente di pressione idrostatica non corrispondea 10,0 MPa/km (acqua pura), ma piuttosto a 10,4 MPa/kme si applica a tutti i generi di fluidi presenti nei pori, ovve-ro all’acqua, agli oli e ai gas. La pressione litostatica cor-risponde invece alla somma del peso della colonna roc-ciosa, trasmesso dalla superficie fino a una data profon-dità attraverso il contatto tra i granuli rocciosi, più il pesodella colonna fluida. Il gradiente di pressione litostaticaè 24,4 MPa/km (Hunt, 1996). In un bacino sedimenta-rio, qualunque deviazione dalla pressione idrostatica èdefinita pressione anormale. In alcune zone specifichesi può rilevare un eccesso o un difetto di pressione. L’ec-cesso di pressione è causato dalla incapacità dei fluidiinterstiziali di fuoriuscire dai pori delle rocce in misuraproporzionale all’aumento del carico sopportato. Di con-seguenza, gli strati di scisto o di argillite sottoposti a so-vrapressione presentano anche un fenomeno di sotto-compattazione. In alcuni tipi di bacini sedimentari si rile-va un terzo genere di gradiente di pressione, il gradientedi pressione idrodinamica o gradiente potenziale del flui-do, causato dalla presenza di una corrente d’acqua inter-stiziale. Questo genere di pressione si osserva nei trattidi arenarie molto porose e molto permeabili, in cui l’ac-qua scorre da un’area di alimentazione dell’acqua meteo-rica, situata a una certa altitudine, verso un’area di deflus-so, più in basso.

73VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

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Gli altri fattori fisici e fisico-chimici che governa-no la capacità del petrolio di spostarsi attraverso le roccesono la porosità e la permeabilità. La porosità è il volu-me di spazi vuoti in rapporto al volume totale di unadata roccia. Il movimento del petrolio è influenzato nonsolo dalla quantità di pori in un dato volume di roccia,ma anche dalle loro dimensioni. Nella maggior partedelle rocce, le dimensioni dei pori presentano una note-vole varietà, che può essere misurata ed espressa sottoforma di distribuzione della dimensione dei pori.Secondo lo schema di classificazione standard, i porisono classificati in quattro grandi classi in base alleloro dimensioni: macropori, dotati di larghezze supe-riori a 50 nm, mesopori, tra 2 e 50 nm, micropori, tra0,8 e 2 nm, e infine ultramicropori, inferiori a 0,8 nm.Esistono diversi tipi della cosiddetta porosità primariae secondaria (rispettivamente, derivante dal processo dideposizione di un sedimento oppure generata da rea-zioni di disintegrazione minerale nel sottosuolo), oltrealla porosità di frattura causata principalmente da movi-menti tettonici (Selley, 1998).

Tutti i pori delle rocce presenti nel sottosuolo sonosaturi d’acqua, a parte i casi in cui l’acqua è stata espul-sa dal petrolio. Un altro requisito essenziale del movi-mento del petrolio all’interno di una roccia è la per-meabilità di quest’ultima, cioè il grado di interconnes-sione dei pori. La capacità di un fluido (acqua, petrolioo gas) di attraversare una roccia porosa dipende da talepermeabilità, che è misurata in base alla legge di Darcyed espressa in darcy (d), ognuno dei quali è suddiviso in1.000 md. Il rapporto tra la porosità e la permeabilità èmolto variabile e dipende principalmente dal tipo di roc-cia interessato. Infine, il movimento del petrolio attra-verso i pori della roccia è influenzato da un altro fatto-re, la pressione capillare, causata dalla tensione super-ficiale tra due fasi immiscibili (olio/acqua o gas/acqua).La pressione capillare, di conseguenza, agisce semprenei sistemi porosi a componente umida mista, cioè inquelli in cui alla presenza dell’acqua si affianca quelladi olio o di gas. La pressione capillare di una roccia au-menta in misura inversamente proporzionale alle dimen-sioni dei pori. I composti petroliferi generati dal kero-gene, disponendo di spazi di accumulo molto limitati neipori primari degli scisti e delle argilliti in cui hanno ori-gine, sono costretti a muoversi attraverso i capillari e ipiccoli pori tra i minerali argillosi verso il più vicino stra-to dotato di maggiore porosità. Questo processo è notocome migrazione primaria (espulsione) e si distinguedalla migrazione secondaria, che si svolge attraverso ipori più ampi delle rocce di transizione e rocce serba-toio, più permeabili (v. ancora fig. 1).

La migrazione primariaLa migrazione primaria del petrolio segue i gradienti

di pressione, dal centro dell’area di roccia madre matura

verso le zone di contatto con le rocce serbatoio. Molti fat-tori concorrono alla formazione della pressione. Una delleprincipali forze motrici della migrazione primaria è lacompattazione dei sedimenti, causata dal sovraccaricosopportato. La compattazione porta alla riduzione delledimensioni dei pori, in seguito all’espulsione dell’acquainterstiziale. I sedimenti argillosi di recente formazionecontengono il 60-80% d’acqua. La maggior parte di que-sta acqua interstiziale viene espulsa per compattazionenei primi 2.000 m di profondità. Tuttavia, nella maggiorparte dei bacini a questi questo stadio non si registranotemperature sufficientemente alte da avviare la forma-zione di idrocarburi. Scendendo ulteriormente, rimaneben poca acqua da espellere. Per questa ragione, il ruolocentrale della compattazione sedimentaria nei processi dimigrazione primaria è rimasto a lungo incerto. Tuttavia,oggi sappiamo che la roccia madre di buona qualità subi-sce un’ulteriore compattazione in seguito all’espulsionedegli idrocarburi. Per comprendere meglio questo pro-cesso, è necessario considerare le condizioni fisiche diuna data roccia madre in termini di rapporti volumetrici.Prendiamo il caso di una roccia madre petrolifera di buonaqualità con un contenuto di carbonio organico del 10%.Questa percentuale di peso equivale, tenendo conto delladensità della materia organica, al 25% del volume dellaroccia. Ciò implica che la materia organica solida (il kero-gene) agisce da struttura portante, cioè che la pressionelitostatica non è sopportata tanto dai contatti tra i granu-li rocciosi, quanto dalla rete di kerogene. Tenendo contoche, come abbiamo detto prima, circa la metà di questokerogene è chimicamente labile e viene progressivamenteconvertita in petrolio con l’avanzare del processo di matu-razione, è evidente che la pressione di compattazione agi-sce come forza motrice della migrazione primaria.

Nella roccia madre di buona qualità, il petrolio si pre-senta sotto forma di fase separata (England et al., 1987).Ogni fase oleosa migrante è sottoposta, negli stretti poridelle rocce a grana sottile e originariamente impregnated’acqua in cui è generata, a pressioni di tipo capillare. Lafase oleosa non umida deve superare nel suo percorso laresistenza dell’acqua contenuta nelle piccolissime stroz-zature della roccia. Solo dopo la formazione di una retedi pori saturi di idrocarburi, in connessione tra loro, ilflusso petrolifero può assumere dimensioni consistenti.Si stima che, per dare inizio al processo di migrazioneprimaria, è necessario che almeno il 20% dei pori sia satu-ro di petrolio. Un altro meccanismo in grado di fornire lapressione necessaria all’espulsione del petrolio è una certaespansione di volume registrata in seguito alla trasfor-mazione del kerogene solido labile in idrocarburi liquidie gassosi, con l’aggiunta di un residuo di kerogene iner-te. L’espulsione del petrolio è accompagnata da marcatieffetti di frazionamento delle diverse classi di composti.I primi a essere espulsi sono gli idrocarburi saturi, men-tre i composti NSO rimangono più a lungo nei pori della

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GEOSCIENZE

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roccia madre. Questa tendenza emerge chiaramente se siconfrontano la composizione degli estratti dalla roccia ma-dre matura della formazione delle Argille di Kimmeridge,nel Mare del Nord (24,2% idrocarburi saturi, 47,9% com-posti NSO) e quella del petrolio accumulato nell’inter-vallo di arenaria del giacimento interstratificato (50,8%idrocarburi saturi, 18,2% composti NSO; Leythaeuser etal., 1988). Nelle classi di composti idrocarbonici saturi earomatici, non si osservano effetti di frazionamento mole-colare in presenza di roccia madre di buona qualità con-tenente kerogene di tipo II. Questo dimostra che, duran-te la migrazione primaria, il petrolio si comporta comeuna monofase fluida oleosa, separata dalla fase acquosa.L’espulsione del petrolio dalle rocce contenenti keroge-ne del tipo III, tuttavia, produce in genere effetti di fra-zionamento composizionale (Leythaeuser e Poelchau,1991). Le piccole quantità di olio vengono infatti tra-sportate sotto forma di soluzione gassosa. Poiché la solu-bilità nel gas degli idrocarburi petroliferi è inversamenteproporzionale al loro peso molecolare, la composizionedei prodotti generati è diversa da quella della miscelaespulsa. In alcuni scisti petroliferi cementati dal carbo-nato, la porosità e la permeabilità primaria sono così ridot-te da impedire un trasporto consistente di idrocarburi. Gliidrocarburi appena generati, inserendosi in questi spaziristretti, producono un fortissimo aumento della pressio-ne iniziale, a causa del sommarsi della pressione idro-statica originale con la pressione idrodinamica prodottadall’ingresso dei nuovi idrocarburi nei pori della roccia.Se la pressione aumenta fino a raggiungere l’80% dellapressione litostatica, la roccia non è in grado di resisteree si frattura. Si formano così dei reticoli di microfrattureche aumentano la permeabilità della roccia, permetten-do l’espulsione del petrolio. La quantità del petrolio espul-so dalla roccia madre, espressa come percentuale dellaquantità totale generata, è chiamata efficienza di espul-sione. L’efficienza di espulsione aumenta con l’avanzaredel processo di maturazione; questo significa che una roc-cia madre è in grado di espellere tanto più efficacemen-te il petrolio, quanto più ne produce. Gli strati petroli-feri di buona qualità al massimo delle loro capacitàgenerative raggiungono livelli di efficienza di espulsio-ne compresi tra il 60 e l’80% (McKenzie et al., 1987). Il20-40% del petrolio generato rimane nella roccia madre,adsorbito sulle pareti dei pori o sulle particelle di kero-gene. Se in seguito la roccia madre scende a maggioreprofondità ed è esposta a temperature più elevate, questiidrocarburi residui sono convertiti in gas (cracking petro-lio-gas). In questo modo una roccia a vocazione petroli-fera può trasformarsi in una roccia gassifera efficiente.

Un caso particolare riguarda l’espulsione del petro-lio da rocce madri di litologia carbonatica. Molte roccepetrolifere estremamente produttive, come la formazio-ne La Luna del Cretaceo superiore in Venezuela o gli stra-ti petroliferi del Giurassico superiore presenti in Medio

Oriente, appartengono a questa categoria. Come abbia-mo spiegato in precedenza, nella maggior parte dei casinelle rocce di questo tipo la materia organica è concen-trata durante la diagenesi, in seguito a processi di disso-luzione da pressione, in sottili lamine chiamate solutionseams se disposte in senso orizzontale e stiloliti quandopresentano un andamento zigzagante. Nei Calcari di Meri-de, che costituiscono la roccia madre del petrolio accu-mulato in molti giacimenti dell’Italia settentrionale, i restidi alghe sono stati compattati all’interno dei solutionseams in quantità tale da formare un reticolo tridimen-sionale di kerogene (Leythaeuser et al., 1995). Questadisposizione rappresenta un prerequisito ideale per unaefficace formazione ed espulsione di petrolio. Dal momen-to che i solution seams appaiono strettamente sigillati inalto e in basso da cementi a base di carbonato, la forma-zione di idrocarburi produce un eccesso di pressione deifluidi contenuti all’interno della roccia e, di conseguen-za, un’estesa frammentazione di quest’ultima. La rete dimicrofratture risultante offre condizioni favorevoli a un’ef-ficace fuoriuscita del petrolio, che si riflette in un eleva-to livello di efficienza di espulsione.

La migrazione primaria dei componenti del gas natu-rale si verifica prevalentemente quando essi sono disciol-ti nel petrolio. Gli oli minerali sono buoni solventi degliidrocarburi gassosi e, a sua volta, il gas compresso è ingrado di sciogliere gli idrocarburi liquidi in quantitàdirettamente proporzionale all’aumento della pressionee della temperatura. A grandissime profondità, la que-stione se gli idrocarburi migrino allo stato liquido o gas-soso è del tutto irrilevante. Quando la pressione superail punto critico nel diagramma di stato, il petrolio e ilgas si presentano infatti come un’unica fase. In presen-za di pressioni elevate, il metano è solubile in acqua e,per un processo di diffusione molecolare attraverso ipori saturi d’acqua che segue i gradienti di concentra-zione, può essere trasportato efficacemente per brevidistanze fino alla più vicina frattura o faglia nelle rocceo nei carboni gassiferi (Leythaeuser et al., 1982). Il bios-sido di carbonio è altamente solubile in acqua ed estre-mamente reattivo, cioè entra facilmente in reazioni mine-rali come la dissoluzione dei carbonati. Il solfuro di idro-geno presenta le stesse caratteristiche ed è così reattivoda trasformarsi quasi interamente, nel sottosuolo, inzolfo elementare, solfuri ferrosi e composti organicidello zolfo.

La migrazione secondariaNon appena il petrolio raggiunge l’interfaccia tra roc-

cia madre e roccia serbatoio e penetra in quest’ultima, sistabiliscono condizioni fisiche estremamente differenti.L’aumento dei livelli di porosità e di permeabilità e delledimensioni dei pori consente la formazione di goccioli-ne d’olio e di reticoli continui di pori interconnessi satu-ri d’olio. Gli idrocarburi sono trasportati ora sotto forma

75VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

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di fase discontinua, il cui movimento è governato dal giocoreciproco delle forze motrici e delle resistenze (Englandet al., 1987). La principale forza motrice è la spinta digalleggiamento, causata dalla differenza di densità degliidrocarburi e dell’acqua. La densità dell’olio varia da 0,5a 1,0 g/cm3, quella del gas naturale è sempre molto infe-riore a 0,5 g/cm3, mentre l’acqua interstiziale può averevalori di densità compresi tra 1 e 1,20 g/cm3, a secondadella sua salinità. Questi contrasti di densità si traduco-no in gradienti di galleggiamento olio/acqua compresi tra0 e 6,8 kPa/m, mentre quelli gas naturale/acqua sono moltopiù elevati e variano tra 4,5 e 11 kPa/m (Hunt, 1996). Laspinta di galleggiamento aumenta in misura direttamen-te proporzionale al volume della rete di pori interconnessisaturi di idrocarburi. Un secondo meccanismo di spintaè costituito dalle forze idrodinamiche. La presenza di unacorrente attiva di acque interstiziali facilita notevolmen-te il passaggio delle goccioline di petrolio attraverso lestrozzature dei pori. Tuttavia, i sistemi di acque intersti-ziali dotati di attività idrodinamica sono molto rari. Laprincipale resistenza che queste forze si trovano ad affron-tare è quella rappresentata dalla pressione capillare, ossiadalla pressione che gli idrocarburi devono superare perespellere l’acqua dai pori in cui cercano di penetrare. Atale riguardo, molto dipende dalle dimensioni dei capil-lari. Se questi sono troppo sottili, la pressione necessariaper espellere l’acqua dai pori è maggiore della spinta digalleggiamento della vena di petrolio o della bolla di gas,dando luogo all’intrappolamento.

Quando il serbatoio è costituito da arenaria, la migra-zione del petrolio è governata dalla spinta di galleggia-mento e, di conseguenza, procede verso la superficieseguendo l’inclinazione degli strati della roccia veicolo.Questo movimento è noto come updip migration (v. anco-ra fig. 1). La velocità del movimento dipende dal volu-me di petrolio nella rete dei pori interconnessi, cioè dallasua spinta di galleggiamento, dalla distribuzione delledimensioni dei pori e dalla permeabilità della roccia ser-batoio. Sotto la pressione delle forze capillari, le goccio-line di petrolio tendono a occupare i pori di maggioridimensioni (England et al., 1987). Quando il reticolo dipori di grandi dimensioni saturi di idrocarburi raggiun-ge un’ampiezza sufficiente, si verifica uno sfondamentoe ha inizio la migrazione del petrolio. Nelle rocce serba-toio di arenaria, la distribuzione delle dimensioni dei poriè estremamente eterogenea, in gran parte determinata daiprocessi di sedimentazione e parzialmente modificatadurante la diagenesi da reazioni minerali, sotto forma diprocessi di cementazione. Di conseguenza, il percorsoseguito dal petrolio nel corso della migrazione seconda-ria è in genere suddiviso in molti canalicoli irregolar-mente distribuiti in tutto il volume della roccia veicolo.Risulta pertanto impossibile determinare il livello mini-mo di saturazione dello strato di roccia serbatoio com-plessivamente necessario per innescare il movimento di

migrazione secondaria. La migrazione secondaria nonraggiunge mai livelli di efficienza quantitativa pari al100%. Dopo il passaggio degli idrocarburi attraverso unaroccia serbatoio di arenaria, sulle pareti dei pori riman-gono tracce di petrolio adsorbito, dette impregnazioni.L’efficienza della migrazione secondaria del petrolio,ossia le perdite associate a questo processo, è ancora pococonosciuta ed è oggetto di molte speculazioni. Ciò è dovu-to principalmente alla scarsità degli studi sui sistemi dimigrazione naturale. Lo scavo di pozzi esplorativi è diret-to principalmente all’individuazione delle trappole, cioèdei siti di rocce serbatoio collocate lungo le direttive dellamigrazione secondaria, e di conseguenza i campioni dispo-nibili per gli studi sono molto parziali. Servendosi delbilancio di volumi nei bacini sedimentari ben conosciu-ti, la perdita di petrolio durante la migrazione seconda-ria è stata stimata come segue: Prm�Pg�Pms, dove Prm, Pge Pms stanno rispettivamente per volume di petrolio gene-rato ed espulso dalla roccia madre, volume di petrolioaccumulato nei giacimenti e volume di petrolio persodurante la migrazione secondaria. Nel caso di due bacinisedimentari indonesiani, relativamente piccoli e ben esplo-rati, è stata stimata una perdita del 50-80% (McKenzie eQuigley, 1988).

Le distanze percorse e le direzioni prese dal petroliodurante la migrazione secondaria variano a seconda deltipo e della configurazione del bacino sedimentario e deirapporti spaziali tra gli strati alterni di arenaria e di scisto,nonché dell’abbondanza di fratture e di faglie (Larter etal., 1996). La migrazione copre distanze brevi nel casodi sequenze sedimentarie caratterizzate da un’intensainterstratificazione di roccia madre scistosa e di serba-toi di arenaria. Questo accade in particolare in sistemigeologicamente giovani come i delta dei fiumi, per esem-pio il delta del Niger in Nigeria o quello del Mississippinegli USA. Ma spesso la migrazione copre distanze late-rali di chilometri, o anche di decine di chilometri, soprat-tutto nei bacini di avampaese. Uno degli esempi più note-voli è il bacino del Venezuela orientale, dove sono statedocumentate distanze di migrazione secondaria di circa275 chilometri. La massima distanza di migrazione cono-sciuta è tuttavia quella rilevata nel bacino del Canadaoccidentale (Larter et al., 1996), in cui la cintura di gia-cimenti di olio pesante e di sabbie bituminose dista oltremille chilometri dalla formazione di roccia madre matu-ra, situata in prossimità del centro del bacino. Mentremigra lateralmente, il petrolio si sposta anche verso l’al-to, percorrendo una sorta di piano inclinato. Uno studiostatistico effettuato su centinaia di giacimenti petroliferisparsi in tutto il mondo ha dimostrato che nel 60% circadei casi la migrazione dalla roccia madre al serbatoioavviene in senso verticale, mentre nel 40% circa dei casisi può rilevare un considerevole spostamento in sensoorizzontale (Hunt, 1996). Durante il suo percorso dalleprofondità in cui è generato agli strati più superficiali in

76 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

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cui si accumula, il petrolio subisce un rilascio di pres-sione, che produce una serie di effetti fisico-chimici col-lettivamente noti come cambiamenti PVT (pressione,volume e temperatura). Il più importante di tali cambia-menti riguarda il desorbimento del gas, cioè lo stabilirsidi una fase gassosa libera. Questi effetti esercitano uncontrollo quasi assoluto nel caso in cui la migrazioneavvenga in senso verticale attraverso le faglie e le zonedi frattura a esse associate (England, 2002).

1.2.3 L’accumulo del petrolio

La migrazione del petrolio attraverso le rocce serbatoioprosegue lungo un piano inclinato fin quando non incon-tra configurazioni strutturali degli strati serbatoio cheformano trappole (v. ancora fig.1). Le trappole sono zonedel sottosuolo dove il petrolio può accumularsi. Se insuperficie il petrolio riempie un contenitore iniziandodal basso, a causa della forza di gravità, nel sottosuolotale processo si svolge in senso contrario. Ciò è dovutoal fatto che il petrolio è più leggero dell’acqua ed è sog-getto quindi a una considerevole spinta di galleggiamentoin un ambiente formato da pori saturi d’acqua. Di con-seguenza, il contenitore sotterraneo è riempito a inizia-re dall’alto. Le trappole più comuni sono le culminazionidelle pieghe (anticlinali). Il petrolio si sostituisce all’acquapartendo dal vertice della piega ed espandendosi lungoi fianchi dell’anticlinale. Il contatto tra le aree sature dipetrolio e quelle sature d’acqua è sempre ben definito e,nella maggior parte dei casi, disposto in senso orizzon-tale. Questa linea di confine è nota come contattoolio/acqua (fig. 6). Se il petrolio è dotato di un rapportogas/olio sufficiente e di valori di pressione adeguati, siverifica il desorbimento del gas, con la formazione diuna fase gassosa libera. Dato che il gas ha una spinta di

galleggiamento maggiore, si accumula al vertice dellastruttura, dando luogo a una cosiddetta cappa di gas. Ilcontatto gas/olio è anch’esso netto e orizzontale. Il signi-ficato di altri termini che caratterizzano una trappolapetrolifera anticlinale è illustrato nella fig. 6. Oltre a que-sto tipo di trappola, si conoscono molte altre configura-zioni geologiche di accumulo del petrolio (v. cap. 1.3).Affinché una trappola sia in grado di trattenere il petro-lio, è necessario che sia sigillata da una roccia di coper-tura impermeabile. Nella maggior parte dei campi petro-liferi, le rocce di copertura sono costituite da sedimentiargillosi a grana sottile, come scisti o argilliti. A causadei bassi livelli di permeabilità e delle dimensioni moltoridotte dei loro pori, le pressioni capillari di ingressosono così elevate da vincere la spinta di galleggiamentodi un’alta colonna di petrolio o di gas. Le rocce di coper-tura ideali e più efficaci, tuttavia, sono i depositi di eva-poriti, come gli strati di anidrite e di salgemma. Questotipo di rocce di copertura è molto frequente nei grandigiacimenti mediorientali.

Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il petro-lio non si accumula nel sottosuolo sotto forma di laghi odi gigantesche bolle. Da quanto abbiamo detto finora,dovrebbe essere chiaro che gli accumuli petroliferi occu-pano gli interstizi dell’arenaria o dei carbonati porosi, chetrattengono il petrolio come una spugna trattiene l’acquache ha assorbito. La maggior parte dei giacimenti petro-liferi è composta da una zona oleosa, il cui spessore èdetto oil leg o oil column, coperta da una cappa di gas,denominata associated gas (v. ancora fig. 6). Un giaci-mento di gas privo della zona oleosa, cioè un giacimen-to di gas naturale, è invece indicato come non associatedgas. Esistono anche giacimenti di petrolio privi di cappagassosa. In questi casi, il regime di pressione prevalenteè tale che non viene superato il punto di solubilità del gasnel petrolio, cosicché il gas rimane disciolto nel petrolio.

77VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

punto di trabocco

contatto gas/olio

acquaacqua

olio

contatto olio/acquacappa di gas

zona dell’olio

zona dell’acqua

chiu

sura

acqua di fondoacqua marginale acqua marginale

gas

fig. 6. Piega di arenaria costituente una trappola: all’apice di questa anticlinale si osserva un accumulo di gas naturale (in alto) e di petrolio (in basso). Negli spazi interstiziali di entrambe le zone, l’acqua che occupava in origine i pori è stata espulsa dal gas e dal petrolio, mentre al di sotto del contatto olio/acqua la roccia rimane satura di acqua (Selley, 1998).

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Il processo di riempimento delle trappole e la formazio-ne di giacimenti petroliferi richiede spesso tempi estre-mamente lunghi. In alcuni casi, la roccia madre attiva inun dato bacino di drenaggio prosegue la sua discesa nelsottosuolo a profondità sempre maggiori, con un pro-gressivo incremento del grado di maturazione della mate-ria organica. Di conseguenza, oli minerali di diversa com-posizione, soprattutto quelli progressivamente più leg-geri, sono espulsi dalla roccia madre e migrano nellatrappola. In molti giacimenti, i fluidi petroliferi sono scar-samente mescolati tra loro, dando luogo a una composi-zione eterogenea della colonna d’olio (Leythaeuser eRückheim, 1989). Una situazione di questo tipo di veri-fica quando idrocarburi provenienti da diversi depositi diroccia madre si sono accumulati in un’unica trappola.

Nella maggior parte dei bacini petroliferi sono pre-senti molti tipi di roccia madre di differenti epoche geo-logiche, che hanno generato ed espulso petroli di diversacomposizione. Questi idrocarburi si sono accumulati inmolte trappole, spesso situate a considerevoli distanzedall’area in cui trovano le formazioni di roccia madrematura (le cosiddette oil kitchens). In alcuni campi petro-liferi, si osserva un accumulo verticale di svariati giaci-menti, che appaiono come impilati (stacked reservoirs).A volte un giacimento può contenere petroli di originediversa, cioè generati da diverse rocce madri. In tutti que-sti casi il geologo petrolifero ha bisogno di conoscere l’ori-gine precisa di ogni scoperta così come i rapporti gene-tici tra i diversi tipi di petrolio estratti. Per risolvere que-sti problemi si fa ricorso a dettagliate analisi geochimiche,che consentono di determinare le cosiddette correlazionipetrolio/roccia madre e petrolio/petrolio. Tra le varie tec-niche sviluppate a questo scopo, le più diffuse sono attual-mente due. La prima è basata su una serie di accurati con-fronti tra gli schemi di distribuzione delle serie omologheo degli isomeri delle molecole dei marker biologici, peres., gli sterani o i triterpeni. Come abbiamo spiegato inprecedenza, ogni roccia madre si è sedimentata in condi-zioni ambientali specifiche e ha incamerato una specifi-ca mistura di residui di organismi biologici. Il petroliogenerato da ogni roccia madre reca pertanto un’impron-ta genetica individuale sotto forma di ‘firma molecola-re’, paragonabile a un’impronta digitale. Tali ‘firme’sonoin molti casi così precise da permettere al geochimico diraggruppare la molteplicità di petroli diversi contenutinello stesso bacino per famiglie genetiche, o di rintrac-ciare l’origine di ogni singolo tipo di petrolio in una dataroccia madre (Connan, 1993). Il secondo approccio, puremolto diffuso, si basa invece sull’individuazione di somi-glianze nella composizione degli isotopi di carbonio sta-bili (rapporto 13C /12C ), attraverso l’analisi di campionidi petrolio greggio o di classi di composti o perfino disingole molecole separate con i metodi cromatografici.

Un caso molto particolare di accumulo di gas riguar-da i cosiddetti idrati di gas. Si tratta di composti solidi

(clatrati), simili a ghiaccio, in cui le molecole di acquasono disposte in reticoli cristallini contenenti lacune,nelle quali sono intrappolate le molecole di metano. Laquantità di metano idrato immagazzinabile per unità divolume dei pori è superiore a quella di gas libero. Unmetro cubo di idrato di gas può contenere infatti fino a164 m3 di metano. Gli idrati di gas si formano in pre-senza di pressioni elevate e/o di basse temperature (Knen-volden e Lorenson, 2001), condizioni che sulla Terra siincontrano sono in due ambienti molto distanti tra loro,i fondali oceanici e il permafrost. Le pressioni necessa-rie alla cristallizzazione degli idrati di gas sono presen-ti sul fondo degli oceani oltre i 500 m di profondità. Inalcune aree vi è una quantità di metano (prodotto dai bat-teri metanogenici) sufficiente a permettere la formazio-ne di idrati di gas. L’altra regione in cui prevalgono con-dizioni favorevoli alla permanenza degli idrati di gas ècostituita dai territori artici, dove la presenza del per-mafrost comporta un sottosuolo con temperature infe-riori allo zero per diverse centinaia di metri di profon-dità in cui l’acqua interstiziale è permanentemente ghiac-ciata. Le probabilità di trovare idrati di gas al disottodella zona di permafrost sono molto alte. L’esistenzadegli idrati di gas naturale è rimasta a lungo ignorata.Molti paesi hanno recentemente avviato programmi diricerca, uno dei cui obiettivi è valutare le potenzialitàdegli idrati di gas come fonte energetica (Sloan, 2003).Lo sfruttamento commerciale del metano idrato non èancora stato tentato, ma nel campo di Messoyakha inSiberia e in quello di Mallik, nel Canada settentrionale,sono in corso progetti di sviluppo delle tecniche di pro-duzione e i relativi collaudi. Si prevede che gli idrati digas diverranno un’importante risorsa energetica in futu-ro, con il declino delle riserve tradizionali di gas e petro-lio, considerate le enormi quantità di idrati di gas nasco-ste sotto i fondali oceanici e nel permafrost dei territoriartici. Si ritiene infatti che le risorse energetiche presentisulla Terra sotto forma di metano idrato superino di moltola somma di tutte le riserve di combustibili fossili (petro-lio, gas e carbone) attualmente note, tanto che secondole stime più ottimistiche, dagli idrati di gas sarebbe pos-sibile ricavare una quantità doppia di metano. Tuttavia,data la distribuzione non omogenea degli idrati di gasnei sedimenti marini, sotto forma di lenti e noduli, e lagrande profondità dei fondali in questione, la possibilitàche gli idrati oceanici assumano in futuro un interesseeconomico appare piuttosto remota, mentre gli idrati digas presenti nelle regioni del permafrost sotto forma dicampi di gas congelato sembrano avere maggiori possi-bilità di sfruttamento commerciale.

Un argomento molto dibattuto tra i geologi degli idro-carburi riguarda il problema dell’efficienza di accumulonei bacini sedimentari petroliferi. Si tratta di stabilirequanta parte del petrolio formato nella roccia madre si èaccumulata nelle rocce serbatoio e può essere scoperta

78 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

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attraverso la prospezione. Non esiste una risposta univo-ca a questa domanda. Le quantità variano considerevol-mente da bacino a bacino e i valori percentuali basati sulbilancio di volumi rappresentano al massimo stime semi-quantitative. Nella fig. 7 sono illustrati gli effetti quanti-tativi di tutti i processi di formazione, migrazione, dissi-pazione e dispersione di fluidi, dai quali dipende la pre-senza di petrolio in un dato bacino. Lo schema consenteanche una visione di insieme delle condizioni e degli ele-menti che il geologo degli idrocarburi deve valutare perpronunciarsi sull’eventuale presenza di petrolio. Basan-dosi su una sintesi dei risultati ottenuti dai team di sedi-mentologi, geologi strutturali, geochimici, geofisici e altriscienziati, egli deve valutare gli effetti e le potenzialità diuna serie di processi intervenuti lungo un ampio arco ditempo geologico. La fig. 7 è quindi anche un’illustra-zione schematica del cosiddetto concetto di petroleumsystem (Hunt, 1996), oltre a costituire un riassunto e unulteriore sviluppo degli argomenti precedentemente affron-tati in questo capitolo. Sulla quantità totale di petroliogenerata dalla roccia madre nelle viscere di questo ipo-tetico bacino sedimentario, il 75% è espulso nel corsodella migrazione primaria nelle circostanti rocce veico-lo a elevata porosità e permeabilità. Durante la migra-zione secondaria, circa il 50% del petrolio penetrato nellerocce veicolo vi rimane sotto forma di impregnazioniadsorbite sulle pareti dei pori. Il 40% circa raggiunge, inuna fase ancora iniziale della storia del bacino, le rocceserbatoio, dove si accumula, mentre il restante 10% pro-segue la sua migrazione secondaria evitando tutte le trap-

pole e finisce per sgorgare all’esterno, dando luogo a unamanifestazione superficiale. Circa il 25% del petrolioaccumulato si perde in un lento ma lunghissimo proces-so di infiltrazione attraverso le rocce di copertura. Delpetrolio rimanente, un altro 25% va perso a causa di pro-cessi chimici, chimico-fisici e batterici (precedentemen-te descritti). In definitiva, appena il 10% circa del petro-lio generato dalla roccia madre di questo ipotetico baci-no può essere scoperto dagli addetti alla prospezione edestratto a fini commerciali. Si tratta tuttavia di una stimaancora molto ottimistica, se si considera la situazione deipiù noti bacini petroliferi mondiali. In realtà, i bacini dota-ti di un’efficienza di accumulo paragonabile a quella dellanostra ipotesi sono una minoranza, che comprende il siste-ma petrolifero di La Luna-Misoa, in Venezuela, e il baci-no arabo-iraniano in Medio Oriente. Nella maggior partedei casi, l’efficienza varia tra il 2 e il 5%, come in quasitutti i bacini degli USA e dell’Australia (Hunt, 1996).

L’affioramento di petrolio e di gas dal sottosuolo è unfenomeno che si verifica e si è verificato ininterrotta-mente da moltissimo tempo, in diversi luoghi della super-ficie terrestre, sia sulla terraferma sia sul fondo deglioceani. Le manifestazioni di superficie possono esserecostituite da microtrasudamenti, invisibili a occhio nudoe individuabili solo per mezzo di tecniche specifiche, oessere associate a fenomeni macroscopici, come le sor-genti di acqua mista a petrolio, le fosse di catrame e ilaghi di asfalto. Il lago di asfalto di Trinidad rappresentaun esempio di affioramento bituminoso di grandi dimen-sioni, così come le fosse di catrame di La Brea, nei din-

79VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

?

?

0 50 100

accumuloiniziale

saturazione in olio residuadelle rocce serbatoio

petrolio espulso nella roccia serbatoio

petrolio generato nella roccia sorgente

cracking diolio/gas

proporzione relativa (%)

affioramentodi petrolio

ritrovamentodi petrolio

ridistribuzione/alterazione

accumulo

migrazione secondaria

migrazione primaria

sepp

elli

men

to

perd

ita d

elle

roc

cedi

cop

ertu

ra

alterazione

sepp

elli

men

to e

tem

po

fig. 7. Ridistribuzione del petrolio in un bacinosedimentario nel corsodella sua storia geologica:le dimensioni di ciascunriquadro riflettono la proporzione del petrolioprodotto in rapporto al volume totale generatodalla roccia madre, sulla base di stimesemiquantitative che possono variare da un bacino all’altro.

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torni di Los Angeles, divenute celebri per i tesori paleon-tologici che custodiscono. Nel corso del Pliocene e delPleistocene, molti antenati di bufali, rinoceronti, elefan-ti e altri vertebrati, avventuratisi sulla superficie di que-sti laghi di asfalto per bere l’acqua poco profonda cheprobabilmente vi si era raccolta, furono risucchiati dallamelma vischiosa del fondo. I loro resti, preservati dalladecomposizione grazie all’asfalto, sono tuttora recupe-rati dai paleontologi ed esposti nell’adiacente museo.

Le manifestazioni di superficie si verificano in pre-senza di percorsi permeabili, sotto forma di fratture ofaglie, che conducano alla superficie della terra parten-do sia dalla roccia madre matura sia da giacimenti nonermetici. Il fenomeno interessa soprattutto i bacini rela-tivamente giovani e attivi dal punto di vista tettonico, comei bacini di avampaese dei monti Zagros in Iran, la geo-sinclinale mesopotamica in Iraq o i bacini intramontanidell’Indonesia e della Colombia (Hunt, 1996). Nelle epo-che preindustriali, questi affioramenti erano sfruttati comefonte di petrolio o di asfalto per diversi usi. A questo pro-posito, ricordiamo che in Mesopotamia gli uomini del-l’Età della Pietra si servivano dell’asfalto per fissare lepunte delle frecce alle aste di legno. Nella Bibbia trovia-mo molti riferimenti all’uso di materiali asfaltici, per es.l’episodio in cui Noè spalma di bitume la sua arca perrenderla impermeabile. L’asfalto fu utilizzato al posto dellacalce per cementare i mattoni della Torre di Babele. GliEgizi si servivano invece dell’asfalto per mummificare iloro morti. L’asfalto e la pece erano impiegati anticamenteanche a scopi militari e artistici. Il primo documento riguar-dante l’ipotesi che il bacino del Mare del Nord potessenascondere il più importante giacimento petrolifero euro-peo (scoperto solo alla fine degli anni Sessanta del seco-lo scorso) risale al 1752, quando Erich Pontoppidan, allo-ra vescovo di Bergen, in Norvegia, e naturalista dilettan-te, pubblicò un voluminoso libro intitolato Norges NaturligeHistorie, che conteneva tra l’altro le seguenti afferma-zioni: «Un’altra peculiarità del Mare del Nord, oltre allasua salinità, è la sua untuosità […] Si deve supporre chein qualche luogo dell’oceano o della terraferma esistanofonti attive di liquidi oleosi o torrenti di petrolio, nafta,zolfo, olio di carbone e altri liquidi bituminosi». È vero-simile che il vescovo avesse incontrato, nel corso dellesue lunghe passeggiate lungo la costa, palle di catramefuoriuscito da zone di stillicidio sottomarine e gettato sullaspiaggia dalle onde. Questa osservazione dimostra inol-tre come l’inquinamento da idrocarburi degli oceani possaavere a volte un’origine naturale e non sia necessaria-mente una conseguenza delle attività antropiche. L’esi-stenza di zone di stillicidio sottomarine è stata segnalatain molte parti del mondo, dal Golfo del Messico al Golfodi Suez, al Mar Rosso, alle coste settentrionali dell’Al-aska e del Canada, al Mar Cinese meridionale e al Maredel Nord. È stato calcolato che da queste zone ogni annosi riversa negli oceani circa un milione e mezzo di barili

di petrolio e che un altro mezzo milione di barili affiorasulla terraferma (Hunt, 1996). Per rassicurare gli ambien-talisti, vorremmo sottolineare che la natura si è dotata distrumenti molto efficaci per combattere questo tipo diinquinamento. I numerosi processi di alterazione chimi-ca e batterica, a cui abbiamo accennato in precedenza,sono infatti sufficienti a decomporre e a rimuovere la mag-gior parte del petrolio fuoriuscito in superficie.

Il fenomeno delle manifestazioni di superficie noninteressa soltanto il petrolio, ma anche il gas. Le zonedi fuoriuscita di gas dal sottosuolo sono spesso segna-late sulla terraferma dalla presenza dei cosiddetti vul-cani di fango. Il gas risalente alla superficie attraversole fratture della roccia è temporaneamente intrappolatoin prossimità della superficie dall’acqua che ha invasole fratture. Non appena la pressione del gas eccede quel-la esercitata dalla colonna d’acqua sovrastante, l’eru-zione ha inizio. Poiché l’acqua presente nelle fratturesuperficiali è sempre molto fangosa, l’eruzione è accom-pagnata da una colata di fango. L’accumulo di bolle gas-sose al di sotto delle fratture sature d’acqua e la fuoriu-scita eruttiva di gas e fango si susseguono innumerevo-li volte, fino a produrre la configurazione morfologicaconica nota con il nome di vulcano di fango. Nello statodell’Azerbaigian, a nord del Mar Caspio, si trovanonumerosi vulcani di fango, alti anche molte centinaia dimetri. A volte le eruzioni sono accompagnate da vio-lente fiammate di metano incendiato e da gigantescheeruzioni di fango. Nelle colline ai piedi dei monti Zagros,in Iran, vi sono diversi luoghi in cui il metano fuoriesceda fratture della roccia, incendiandosi. Questi fenome-ni, considerati manifestazioni del ‘fuoco eterno’, eranovenerati sin dall’antichità e potrebbero aver dato origi-ne alla religione di Zoroastro. Sui fondali marini, le zonedi fuoriuscita del gas assumono una diversa morfologia.Ogni eruzione di bolle gassose solleva una grande quan-tità di fango proveniente dal sedimento argilloso nonancora consolidato. Dopo l’eruzione, le particelle di fan-go non ricadono verticalmente ma sono trascinate late-ralmente dalle lente correnti di profondità. Il susseguir-si delle eruzioni alla fine produce una depressione cir-colare, simile a un cono scavato nel fondale, che assumecosì l’aspetto di una superficie butterata. Questo tipo diconfigurazione è molto comune nelle piattaforme mari-ne, per es., vaste zone della piattaforma continentaledella Norvegia ne sono cosparse. È necessario conoscerela distribuzione e la frequenza di questi avvallamenti,perché essi possono essere fonte di diversi problemi inmolte attività industriali, come la posa delle tubazioni(Hovland e Gudmestad, 2001).

Modellazione di bacinoLa conoscenza dei processi fisici e chimici responsa-

bili della formazione, della migrazione e dell’accumulodel petrolio ha raggiunto oggi un livello che ci permette

80 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

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di quantificarne gli effetti in funzione della storia geo-logica di un bacino sedimentario. La cosiddetta model-lazione di bacino per mezzo di simulazioni numeriche èdiventata uno strumento comunemente utilizzato nellecampagne di prospezione petrolifera. Sono stati svilup-pati sofisticati pacchetti di software per la gestione dimodelli deterministici avanzati in grado di ricostruirecronologicamente la storia di un bacino sedimentario ela concomitante evoluzione della maggior parte dei pro-cessi inerenti alla formazione dei giacimenti petroliferi(Welte et al., 1997). Per realizzare un modello di questotipo, è necessaria una serie di parametri ricavati dai cam-pioni di estrazione. Per alcuni parametri, si ricorre ine-vitabilmente a ipotesi basate su considerazioni di carat-tere geologico. I principali parametri richiesti (Poelchauet al., 1997) comprendono:• il tasso di subsidenza, di sollevamento e di defor-

mazione del materiale del bacino sedimentario;• le condizioni di deposizione e i tipi di sedimento (tassi

di sedimentazione, ambienti, accumulo di materiaorganica ecc.);

• età e spessore di tutti gli strati sedimentari;• le proprietà della roccia (porosità, permeabilità, den-

sità, conduttività termica, capacità termica e com-primibilità);

• le proprietà dei fluidi (acqua, olio e gas), come com-posizione, densità, viscosità ecc.;

• la storia termica del bacino, cioè il calore fornito dalbasamento e le condizioni per il trasporto di caloredi tipo conduttivo e convettivo;

• le cinetiche della trasformazione della materia orga-nica in roccia madre;

• l’idrodinamica e le condizioni della ridistribuzionedei fluidi;

• il processo di formazione delle trappole, per es. attra-verso i movimenti tettonici, e i suoi tempi.La modellazione di bacino può essere realizzata in

un’unica dimensione (per un singolo pozzo), in due dimen-sioni (per un profilo geologico che combini diversi pozzi)

o perfino in tre dimensioni. Questa tecnica, soprattuttose integrata con informazioni tratte dal rilevamento sismi-co, offre un duplice vantaggio, consentendo di effettua-re previsioni anche quantitative sui luoghi in cui esisto-no maggiori probabilità di trovare giacimenti petrolife-ri all’interno di un bacino sedimentario. Ma la cosa piùimportante è la possibilità di ricavare una ricostruzionestorica di tutti i processi attinenti e dei loro effetti. Peres., è possibile ottenere, per i singoli periodi geologici,mappe illustranti le variazioni regionali del livello dimaturità della roccia madre (le zone in cui è immatura,matura o ipermatura). La sovrapposizione di questemappe, che mostra i differenti aspetti dell’evoluzionestrutturale nello stesso periodo di tempo (tipo, dimen-sioni e distribuzione delle trappole) consente di classi-ficare le prospettive petrolifere.

1.2.4 Le alterazioni del petrolio

I giacimenti scoperti e sfruttati dall’industria petrolife-ra hanno tutti una lunghissima storia. Nel corso delleere geologiche, le condizioni fisiche e chimiche del-l’accumulo possono aver subito dei cambiamenti. Poi-ché, dal punto di vista termodinamico, il petrolio è unasostanza metastabile in rapporto alle condizioni geolo-giche, esso risponde ai relativi cambiamenti alterandola propria composizione, che risulta quindi variata rispet-to a quella originale (Blanc e Connan, 1993). I proces-si geologici che producono un’alterazione nella com-posizione degli idrocarburi e i loro effetti sulla densitàdel petrolio, espressa in gradi API secondo la regola del-l’American Petroleum Institute, sono schematicamenteillustrati nella fig. 8.

Mutamenti della composizione dovuti a processi di biodegradazione

Nelle zone caratterizzate da valori di pressione idrau-lica molto elevati (aree di ricarica della falda freatica

81VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO

ORIGINE, MIGRAZIONE E ACCUMULO DEL PETROLIO

alterazione termica

maturazione

sorgente di carbonati ed evaporiti

sorg

ente

proc

essi

di a

lter

azio

ne

dilavamentodel petrolio

biodegradazione

gas

catrame

densità API

sorgente di clasti continentali marine

azione dell’acqua

precipitazionedegli asfaltanigas naturali

prof

ondi

olioaccumulato

fig. 8. Effetti sulla densitàAPI di un petroliostandard delle differenzedel tipo di roccia madre e dei processi dialterazione successiviall’accumulo nel giacimento (box centrale) (Tissot e Welte, 1984).

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situate a grandi altezze), l’acqua piovana penetra profon-damente attraverso gli strati ad alta porosità e permea-bilità dei bacini sedimentari. Quando incontrano un accu-mulo di idrocarburi, queste acque, che sono ossigenatee trasportano numerosi batteri, producono effetti di bio-degradazione e di dilavamento del petrolio (v. ancorafig. 8). I composti dotati di un maggiore grado di solu-bilità in acqua, come il benzene e il toluene, sono i primia essere rimossi. Numerose specie di batteri degradanoe consumano gli idrocarburi del petrolio in modo moltospecifico (Head et al., 2003). In presenza di condizionifavorevoli alla riproduzione microbica, la composizio-ne molecolare di un giacimento può essere alterata inmisura considerevole. I primi composti degradati daibatteri sono gli n-alcani, con una sistematica preferen-za per gli omologhi più leggeri. I geochimici hanno crea-to una scala da 1 a 10 per classificare il livello di bio-degradazione del petrolio (tab. 1). Questi criteri mole-colari sono associati a mutamenti delle proprietàmacroscopiche dei petroli biodegradati, come un abbas-samento del grado API, che influenza notevolmente illoro valore commerciale. L’avanzamento del processodi biodegradazione è accompagnato dai seguenti effet-ti (Hunt, 1996):• concentrazioni decrescenti di gas umido e di benzi-

ne a favore dei componenti della gamma del kerose-ne (rispettivamente C2-C6 e C6-C15);

• contenuti decrescenti di cere in seguito alla rimo-zione degli n-alcani a catena lunga;

• rapporti gas/olio (GOR) decrescenti;• diminuzione del grado API (aumento della densità);• aumento della concentrazione di asfalteni;• aumento dei contenuti di zolfo e idrogeno;• aumento della viscosità.

I batteri sono sensibili alle alte temperature. Sullabase di osservazioni empiriche, è stata stabilita una tem-peratura massima di 88 °C come limite delle attività bat-teriche. Si è pensato a lungo che la biodegradazione degliidrocarburi fosse causata unicamente dai batteri aerobi-ci, ma sono stati documentati recentemente casi di bio-degradazione in condizioni anaerobiche. Processi este-si e prolungati di biodegradazione e dilavamento causa-no la formazione di oli pesanti e ultrapesanti e di sabbiebituminose. I giacimenti di oli pesanti, come quelli situa-ti nella provincia di Alberta in Canada, hanno una gra-vità specifica compresa tra 0,93 e 1,00 g/cm3 (10°-20°API) e una viscosità compresa tra 100 e 10.000 centi-poise, alle condizioni di giacimento. In questa situa-zione, gli oli mantengono un certo grado di mobilità,ma non possono essere estratti con ritmi di produzio-ne sufficientemente alti. Le sabbie bituminose sonosabbie presenti negli strati superficiali, impregnate dioli ultrapesanti (con valori di gravità specifica superio-ri a 1,00 g/cm3, grado API inferiore a 10 e viscosità supe-riore a 10.000 centipoise). Depositi molto estesi di sab-bie bituminose sono presenti nel Canada settentrionale(sabbie bituminose di Athabasca) e nel Venezuela orien-tale. Le riserve mondiali di oli pesanti e di sabbie bitu-minose si collocano nello stesso ordine di grandezzadelle riserve totali di petrolio greggio convenzionale.

Mutamenti della composizione dovuti ad alterazione termica

Il petrolio, come il kerogene, reagisce immediata-mente all’aumento della temperatura. Gli idrocarburi con-tenuti in un giacimento che scende a profondità sempremaggiori ed esposti di conseguenza a temperature sem-pre più elevate, subiscono mutamenti di composizione

82 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

GEOSCIENZE

tab. 1. Cambiamenti della composizione molecolare del petrolio nei diversi stadi del processo di biodegradazione(Hunt, 1996)

Stadio Cambiamenti composizionali Biodegradazioneo livello

1 Esaurimento degli n-alcani da C1 a �C15 Minima2 Scomparsa di oltre il 90% degli n-alcani da C1 a C35 Lieve3 Gli isoalcani, compresi gli isoprenoidi, sono attaccati;

gli alchilcicloalcani e alchilbenzeni rimossi Moderata4 Rimozione degli alcani isoprenoidi e dei metilnaftaleni Moderata5 Rimozione degli alcani biciclici C14-C16 Estesa6 Possibile formazione di 25-norhopani; gli sterani sono attaccati a cominciare

dalle molecole più piccole Grave7 Esaurimento degli sterani; i diasterani non sono attaccati Grave8 Gli hopani sono attaccati Molto grave9 Esaurimento degli hopani; attacco dei diasterani; sopravvivenza di oleanani,

terpeni triciclici e steroidi aromatici Severa10 Distruzione dei diasterani e dei terpeni triciclici; attacco agli steroidi aromatici;

sopravvivenza delle porfirine di vanadile Estrema

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legati a un aumento dello stadio di maturazione (v. anco-ra fig. 8). La tendenza generale è a un progressivo incre-mento della percentuale di componenti a basso pesomolecolare a spese dei loro equivalenti più pesanti, rag-giunto principalmente attraverso una serie di reazionidi cracking. Gli oli a media gravità sono convertiti inoli leggeri e condensati e infine in giacimenti di gasnaturale. Questa evoluzione nella composizione produ-ce regolarmente un residuo nero e solido, chiamato piro-bitume, che ricopre la superficie dei granelli di sabbiao riempie gli interstizi della roccia. A causa di questiprocessi di alterazione termica, negli idrocarburi con-tenuti nei giacimenti impilati si osserva spesso un incre-mento graduale della densità API in proporzione all’au-mento della profondità.

Altri processi di alterazione responsabili di mutamenti nella composizione del petrolio

Alcuni giacimenti di petrolio ricevono un apporto digas naturale generato da una roccia madre molto matu-ra situata a notevole profondità, in uno stadio molto tar-divo della loro storia geologica. Si produce così una pre-cipitazione degli asfalteni, con un processo chiamatodeasfaltazione (v. ancora fig. 8). A causa delle loro ele-vate densità, le molecole degli asfalteni e i grappoli daesse formati tendono a precipitare nella colonna d’olio(dando luogo alla cosiddetta segregazione per gravità).In prossimità del contatto petrolio/acqua, si forma unostrato di olio pesante ad alto contenuto NSO, chiamatoin genere tappeto di catrame. Molti grandi giacimenticome, per es., il campo di Prudhoe Bay nel versante set-tentrionale dell’Alaska, sono dotati di formazioni di que-sto tipo, che però sono generalmente prive di interessecommerciale, per gli eccessivi costi di lavorazione.

Un altro fenomeno responsabile di importanti cam-biamenti nella composizione del petrolio è un rilasciodi pressione nel giacimento, che può essere causato, peres., da un sollevamento degli strati che contengono ilpetrolio. Questi rilasci di pressione provocano dei cam-biamenti di fase, cioè il desorbimento del gas e un dra-stico incremento del GOR. Un dato volume di petrolio,accumulato in un giacimento situato a una profondità di4 km (con una pressione di 50 MPa e una temperaturadi 155 °C), si presenta come un fluido monofase. Se ilgiacimento, in seguito a movimenti tettonici, viene sol-levato a una profondità di 2 km, la pressione scenderàa 20 MPa e la temperatura a 85 °C, causando laformazione di una cappa di gas di grandi dimensioni eun’espansione del volume del petrolio di circa il 30%.Se la risalita prosegue fino a 1 km di profondità (pres-sione 10 MPa, temperatura 50 °C), il petrolio subiràun’espansione pari a sei volte il suo volume iniziale, inseguito al desorbimento del gas. A questo punto è pro-babile che la trappola non sia più in grado di contenere

il gas e che la colonna d’olio sia stata espulsa attraver-so il punto di trabocco, lasciando il posto a un giaci-mento di gas naturale. Questo genere di effetti del sol-levamento del serbatoio roccioso può essere osservato,per esempio, in alcune zone della piattaforma conti-nentale del Mare di Barent, nella Norvegia settentrio-nale. Analoghi cambiamenti di fase sono prodotti anchedalla formazione di faglie e di fratture nelle rocce dicopertura di un giacimento molto profondo, con conse-guente fuga e migrazione verticale del petrolio fluidonelle trappole degli strati più superficiali. Gli effetti diquesto processo, noto anche con il nome di separazio-ne-migrazione (Silverman, 1965), sono particolarmen-te visibili nei bacini più giovani e dotati di una forte sub-sidenza, come i delta del Mississippi e del Niger.

Infine, il gas naturale accumulatosi decine e centinaiadi milioni di anni fa ha subito nel frattempo un processodi diffusione nelle rocce scistose di copertura, con un con-seguente depauperamento delle riserve o, nei casi estre-mi, la completa dissipazione e distruzione del giacimen-to iniziale. Anche se il dibattito per quantificare gli effet-ti di questo processo distruttivo è ancora in corso, è lecitopensare che la maggior parte dei giacimenti di gas natu-rale conosciuti si siano accumulati in tempi relativamen-te recenti. In altri casi, può trattarsi di sistemi dinamici(sempre sulla scala del tempo geologico), in cui la perdi-ta di gas per diffusione sia continuamente compensata dal-l’arrivo di nuovo gas proveniente da strati di roccia madresituati a grande profondità (Leythaeuser et al., 1982).

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Detlev LeythaeuserUniversität KölnKöln, Germania

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