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Notizie, documenti, rassegne, dossier su mondo cattolico e realtà religiose Poste italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1 DCB Roma Adista Periferia Italia /2 12 MARZO 2016 Anno L Suppl. al n. 6312 10 Numero speciale del settimanale Adista, pro- mosso dall’associazione Officina Adista, nel- l’ambito di “Periferia Italia: i 5 passi di un cammino da intraprendere per una democrazia inclusiva”, progetto finanziato con il contributo dell’Otto per mille della Chiesa evangelica val- dese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi). Se Dio non è più “il Padre” Dall’ordine patriarcale alla liberazione dei generi Con gli interventi di Nicoletta Dentico, María López Vigil, Elizabeth Green, Cristina Simonelli e Daniela Di Carlo e con le illustrazioni di Stefania Anarkikka Spanò (www.anarkikka.blogautore.espresso.repubblica.it)

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Notizie, documenti, rassegne, dossier su mondo cattolico e realtà religiose

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Adista 10

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Periferia Italia /212 MARZO 2016

Anno LSuppl. al n. 6312

1012 MARZO 2016 - Anno L - Suppl. al n. 6312

Numero speciale del settimanale Adista, pro-mosso dall’associazione Officina Adista, nel-l’ambito di “Periferia Italia: i 5 passi di uncammino da intraprendere per una democraziainclusiva”, progetto finanziato con il contributodell’Otto per mille della Chiesa evangelica val-dese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi).

Se Dio non è più “il Padre”Dall’ordine patriarcale alla liberazione dei generi

Con gli interventi di Nicoletta Dentico, María López Vigil, Elizabeth Green,Cristina Simonelli e Daniela Di Carlo

e con le illustrazioni di Stefania Anarkikka Spanò (www.anarkikka.blogautore.espresso.repubblica.it)

L'associazione “Officina Adista” nasce nel 2012 (con il nome di Informazione equa esolidale) su impulso del collettivo redazionale di Adista allo scopo di promuovere ini-ziative sul territorio volte all'approfondimento dei grandi temi che animano il dibattitodella società italiana: diritti civili, ambiente, migranti, modelli economici alternativi, que-stione di genere, disarmo e nonviolenza, ecumenismo e dialogo interreligioso.Convinti che la comunicazione è motore essenziale della società, abbiamo pensato didotarci di un nuovo strumento con il quale ampliare il nostro raggio di azione e intes-sere nuove relazioni con altri soggetti impegnati in tal senso sul territorio.In questi anni “Officina Adista” si è fatta promotrice di diverse iniziative – il numerospeciale che hai tra le mani è una di queste – e altre ne ha in cantiere per il futuro.Per l'anno scolastico appena iniziato, per esempio, ha avviato un percorso didatticorivolto agli studenti di alcuni istituti superiori di Roma, dal titolo: «I conflitti all’originedelle migrazioni».Da quest’anno puoi destinare il tuo 5 per mille ad Officina Adista (codice fiscale97707140584) e contribuire così alla realizzazione dei nostri progetti.

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12 MARZO 2016 • N. 102Adist

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Che si tratti di stupri o di femminicidi,di norme che violano o limitano lalibertà o ancora del tentativo diimporre ruoli fissi e precostituiti, èpalese che viviamo in un sistema di

violenza strutturale contro le donne. In Italia,come nel resto del mondo.

Ma quello della violenza maschile contro ledonne, per quanto abbia acquisito sempre piùspazio sui mezzi di comunicazione – seppure in ma-niera spesso impropria e superficiale –, non è unfenomeno nuovo, bensì un fenomeno che negli ul-timi anni ha assunto nuove implicazioni e nuovi si-gnificati. Se fino a qualche decennio fa eraespressione dell'esercizio del potere maschile,oggi è anche sintomo del collasso di quel potere,di quell'ordine simbolico, in crisi di fronte ai cam-biamenti intervenuti nelle relazioni tra i genericon l'affermazione delle donne nel mondo. Cambia-menti cui non è corrisposto un mutamento dell'im-maginario maschile.

Le donne hanno pensato, creato, innovato, inogni ambito del sapere. E, in un circolo virtuoso icui elementi sono sia causa che effetto l'uno del-l'altro, si sono reinventate. Ma altrettanto non è ac-caduto per gli uomini che non hanno – ancora e nelcomplesso – scoperto una loro nuova soggettività.D'altronde l'asimmetria dei rapporti tra i generi –allora come oggi a tutto svantaggio delle donne –ha fatto sì che uno dei soggetti fosse più interes-sato dell'altro al prodursi di un cambiamento, nelprivato come nel pubblico.

La violenza di cui le donne sono oggetto va in-fatti al di là dei rapporti individuali uomo-donna. Nonsi limita alla violenza – fisica o psicologica – di cuiuna donna su tre tra i 16 e i 70 anni sarà vittimanell'arco della propria vita, ma si manifesta anchein tutti quei dispositivi normativi che sottraggonoalle donne la possibilità di decidere della propriasalute riproduttiva o nell'assenza di strutture chene favoriscano l'occupazione (non a caso, duedei parametri utilizzati per stilare il Global GenderGap Index, l’indice del World Economic Forumche analizza il divario di genere nel mondo). Non-ché in tutti quegli stereotipi di genere prodotti e le-gittimati dal discorso pubblico che danneggiano tan-to le donne quanto gli uomini, «costringendoli in“maschilità” che, socialmente costruite, forni-scono un’immagine speculare dell’oppressionefemminile» (Concilium, 4/2012).

A questo sistema di violenza strutturale, le re-ligioni hanno, nel corso dei secoli, dato un vigoro-so contributo. A partire, come rilevato dalla teolo-ga femminista Elizabeth A. Johnson, da quella«consuetudine secolare» di parlare di Dio con un lin-guaggio – fatto anche di immagini – «che descriveil potere maschile». Perché, per dirla con Mary Daly:

«Se Dio è maschio, il maschio è Dio».Ma per andare «al di là di Dio Padre» non basta

affermare il volto femminile di Dio: in questo approc-cio si cela infatti quel dualismo – che vuole uomi-ni e donne complementari, attribuendo agli uni e al-le altre caratteristiche che sarebbero proprie del ge-nere di appartenenza (e da cui derivano distinti ruo-li sociali) – creato e utilizzato storicamente dal pa-triarcato per il mantenimento dello status quo.

Non a caso le teologhe femministe – le quali,checché ne pensi papa Francesco, da decennihanno elaborato ben più di una “teologia della don-na” – «sostengono che le donne sono in grado dirappresentare nella sua pienezza il mistero diDio allo stesso modo, adeguato e inadeguato, in cuilo hanno fatto per secoli le immagini maschili»(Johnson).

Notevoli sono le resistenze a tutti questi cam-biamenti, nella società e nelle Chiese. Basti pen-sare alla polemica nostrana circa il diffondersidella – quanto mai fantomatica – “ideologia gen-der”. D'altronde, come rileva la teologa tedesca Re-gina Ammicht Quinn (Concilium, 4/2012), lequestioni relative al genere «sono considerateideologiche e perciò pericolose: e lo sono davvero!Pensare con categorie critiche di genere è ri-schioso. Non tanto per il fatto che qui vengono pro-dotte delle ideologie quanto perché le ideologie ven-gono rese manifeste, vengono smascherate».

Affrontare questa sfida è impegno non piùprorogabile ed è per questo che abbiamo deciso didedicare il secondo numero speciale sui diritti in-compiuti promosso dalla nostra associazione, Of-ficina Adista, e finanziato con il contributo dell'8 permille della Chiesa valdese, ad alcune delle questio-ni ancora aperte, quelle più prettamente legate alreligioso, della «rivoluzione più lunga».

A introdurci in questo impervio cammino è Nico-letta Dentico che traccia un quadro generale di que-sta tragedia immutata della storia umana. Allascrittrice María López Vigil abbiamo chiesto dievidenziare come la violenza contro le donne sia an-che frutto del mancato recepimento delle teologiefemministe da parte delle Chiese. La teologa bat-tista Elizabeth Green ha posto la questione ribaltan-do la prospettiva: non sono le donne a essere invi-sibili o a stare in silenzio ma sono la loro presenzae la loro voce a essere sottoposte a una negazio-ne permanente. La presidente del Coordinamentoteologhe italiane, Cristina Simonelli, si è invece ci-mentata in una riflessione sulla cosiddetta “ideolo-gia gender”, ponendo l'accento sulla necessità diun dibattito scevro da posizioni pregiudiziali.

Alla teologa valdese Daniela Di Carlo l'arduocompito di offrirci qualche barlume di speranza apartire dalle "buone pratiche" messe in campo nel-la Chiesa valdese. n

Una violenza strutturale [Ingrid Colanicchia]

Presentazione

Riflettere sulla violen-za contro le donne èun po’ come fermarela mente sulle imma-gini dell’ennesimo

naufragio dei migranti, ragionaresulla devastazione dei cambia-menti climatici, pensare alla cri-minalità organizzata che corrom-pe e corrode larghe porzioni disocietà nel mondo. La dimensio-ne del problema e la quota diindicibile dolore che porta consé tolgono semplicemente ilrespiro. Soffermarsi su questatragedia immutata della storiaumana vuol dire scivolare negliabissi reali e simbolici della vio-lenza maschile contro il femmini-le, che risale appunto ai primordie si manifesta ancora con globa-le archetipo di efferatezza, con-cedendo poco o nulla alle diver-sità culturali e religiose. Significaperò anche muoversi a voloradente sulla superficie foscadell’ultimo episodio di brutalitànazionale, sulle conferme stati-stiche racchiuse nei rapporti cheaggiornano la conta degli omicidinei singoli Paesi, che misuranola violenza di genere lungo i per-corsi migratori o nelle zone diconflitto, dove la vecchia armadegli stupri di massa viene decli-nata secondo nuove forme dellaterrificante modernità mediatica.

Il campo di battaglia del corpodelle donne

Il corpo delle donne è semprestato il campo di battaglia dei

rapporti di potere fra il generemaschile e quello femminile. Finoal XX secolo, senza soluzione dicontinuità, sul corpo delle donnesi è consumato il rapporto di tota-le subordinazione all’uomo, co-me ha sistematicamente illu-strato lo storico Edward Shorterraccontando gli obblighi nei seco-li della vita femminile legati perlo-più alla prigionia del ciclo biologi-co, all’essere considerata ladonna materia che dà forma manon possiede esistenza propria,alla necessità di occuparsi di fa-miglie assai numerose, ai rischidel parto e dell’aborto, alle fre-quenti malattie. All’origine di tut-to questo, il diritto maschile didisporre del corpo femminile.

Dal ratto delle Sabine fino aigiorni nostri, con la legittimazionereligiosa degli stupri delle infe-deli offerta ai propri adepti dalsedicente Stato islamico, fino alrapimento delle 200 ragazzineportate via con gran clamore dal-la scuola superiore di Chibok in Ni-geria dai jihadisti di Boko Haram(oggi respinte da tutti perché de-finite “annoba”, le appestate), ilcorpo femminile è bottino ecampo di battaglia in senso tutt’al-tro che metaforico. Il patriarcatopolitico e religioso si è avvalso tra-dizionalmente della sacralizza-zione dei luoghi come delle possi-bilità riproduttive delle donneper esercitare il dominio, spessotramite l’identificazione dellaterra come donna: una terra daconquistare, una donna da stupra-re. In questa prospettiva lo stuprodi massa – così in voga anche og-gi – comporta non solo il significa-to della minaccia, come scriveMarcello Flores, ma anche il valo-re simbolico di mettere in di-scussione la mascolinità e il co-raggio della comunità che si vuo-le espellere o che, tramite l’in-gravidamento coatto e la nascitadi figli bastardi, viene ulterior-mente umiliata, frantumata,estraniata da se stessa.

Solo negli ultimi 20 anni l’ana-lisi e il dibattito sugli stupri com-

messi all’interno di guerre e con-flitti sono diventati un ambito distudio e di intervento, con un’at-tenzione tutta nuova dell’opinionepubblica e delle organizzazioni in-ternazionali. I contraddittori anni’90 del XX secolo, con la fine del-la guerra fredda e l’imporsi dellaglobalizzazione, hanno rappre-sentato per Flores «un momento dirottura e di transizione profonda,in cui anche il ruolo della donna ela questione della violenza neisuoi confronti si sono trasformateo ri-proposte apparentementeimmutate ma con una carica diconsapevolezza inimmaginabilenel passato». La valutazione èpertinente ma rischia di non fareabbastanza i conti con le distorsio-ni post 11 settembre, e i rigurgitidi guerra preventiva e di nuovoterrorismo che essi hanno pro-dotto. È beffardo che l’ingannevo-le nozione dei nostri giorni sullaguerra chirurgica, pulita, a zeromorti, grazie alla presunta affida-bilità tecnologica dei droni e dellebombe intelligenti, conviva con larealtà di sordide pratiche belli-che che usano, anzi abusano, ilcorpo delle donne e delle bambi-ne. Un altro paradosso deriva dalfatto che con lo stato di tensionepermanente e di guerra asimme-trica non dichiarata che da 15anni sovrasta il mondo, la guerramondiale frammentata di cui par-la papa Francesco, si sia affer-mata ormai una sostanziale indi-stinzione tra guerra e pace, spaziointerno ed esterno al confitto.Per cui lo stupro non si configurapiù soltanto come uno strata-gemma di guerra ma anche comeconseguenza della pace: dacchéesiste, il peacekeeping con lesue forze militari internazionalitende a caratterizzarsi per una ri-corsività allarmante di violenze,stupri, prostituzione forzata,sfruttamento e ricatti sessualiesercitati dai “portatori di pace”contro le popolazioni civili, so-prattutto donne, ma persinobambine e bambini. Si potrebbequasi dire che le violenze sessiste,

Quel male che deve

essere raccontato [Nicoletta Dentico]

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L’AUTRICE

Giornalista, già direttora di Medi-ci Senza Frontiere Italia, è impe-gnata da decenni sui temi dellacooperazione internazionale,dei diritti e della salute globale.È stata co-fondatrice del movi-mento Se Non Ora Quando?(SNOQ). Dal 2013 siede nelConsiglio di Amministrazione diBanca Popolare Etica, ed è re-sponsabile internazionale dellaFondazione Lelio Basso.

Adista

fino allo stupro e al femminicidio(o femicidio, come preferisconodefinirlo alcune studiose), siano undato atavico dell’ordine patriar-cale, una specie di “rumore difondo permanente” su cui si inne-sta e sovrappone il fragore deglistupri bellici, come ha scritto in unarecente pubblicazione Annama-ria Rivera.

La violenza da raccontareSospetto che abbia ragione

da vendere l’amica e saggistaAlessandra Bocchetti quandosostiene che il discorso sullaviolenza sulle donne è quello piùaccettato dalle istituzioni perchédare visibilità alle donne quandosono offese è rassicurante; ledonne vittime non fanno paura anessuno, anzi sono la confermache tutto procede nel solco dellavoluta ordinarietà. Effettivamente,se guardiamo alle rappresenta-zioni cui ricorrono le campagne disensibilizzazione prodotte dalleistituzioni, spesso dalle stesseassociazioni di donne, l’immagineche rimandano è quella di unadonna sola e ripiegata su sestessa dopo la violenza. La figuradi un uomo non compare quasimai. Lo sguardo sociale puntainsomma alla vittima e non al-l’autore, uno spostamento cheripropone un’immagine di minori-tà femminile, confermando una di-sparità tra i sessi, e occulta ilmaschile a uno sguardo critico. Ildubbio che il discorso reiteratosulla violenza di genere nascondail tentativo di far coincidere l’i-dentità della donna con quelladella vittima è legittimo. Ed è legit-timo considerarlo un intento deli-berato di distrarre l’attenzione

da un’agenda di genere che nonpuò più eludere il pensiero politi-co delle donne, a partire dallasua critica di un sapere che si èpresunto neutro ordinatore deicorpi e delle parole.

Ma la questione esiste, odiosa,irrisolta, imbevuta ancora di stereo-tipi e pregiudizi che ne oscurano laportata e ne falsano le conse-guenze non solo sulle donne, maanche sui bambini che spessoassistono a questi episodi, in unciclo perverso destinato a riprodur-re se stesso. Credo quindi che Ilmale vada raccontato, per estirpar-lo. Guardo con favore alla nuova edolorosa consuetudine con cui ledonne uccise sono contate, le lo-ro resistenze domestiche rac-contate sulle pagine dei giornali, iloro nomi pronunciati nelle piazze.Senza questa mobilitazione in-torno al conteggio delle morteammazzate il pur tardivo risve-glio dei mezzi di comunicazione suquesta violenza travestita daamore non ci sarebbe stato. Unproblema strutturale di dimen-sioni epidemiche, come ebbe acommentare la direttrice dell’Orga-nizzazione Mondiale della SanitàMargaret Chan presentando nel2013 il più completo studio maisvolto sugli abusi fisici e sessua-li subiti dalle donne in tutte le re-gioni del pianeta (141 ricerche in80 Paesi). Lo studio calcola cheuna donna su tre sia oggetto di vio-lenza fisica o psicologica da partedel partner o di uno sconosciuto.Dice anche che il 38% di tutte ledonne uccise nel mondo muoreper mano del partner. A due annidi distanza, la misurazione del-l’amore criminale rimanda conuna certa coerenza ai più recenti

dati statistici sul nostro Paese,le cui vicende portano alla ribaltadelle cronache non solo l’abusodella violenza, ma anche le persi-stenti strategie della comunica-zione che fanno un uso perversodel corpo femminile, merce discambio usato come ricompen-sa, addirittura come tangente neicasi di corruzione. Al giugno2015, l’Istat contava 6.788.000donne che avevano subìto violen-za nel corso della propria vita, il31,5% di loro tra i 16 e i 60 anni.

La violenza maschile dunquenon è riconducibile a una devian-za di maniaci o marginali, non èuna storia estrema. È l’esperien-za di centinaia di migliaia di perso-ne, donne e uomini, e interroga di-rettamente la nostra normalità, ilnostro presente. Mette a nudo ilvissuto di relazioni impregnatedi un malinteso concetto di natu-ra – uomini forti e donne deboli,uomini cacciatori e donne prede –ancora non scalfito, e le struttu-re stesse dell’immaginazione edella cultura a cui appartenia-mo. Fa parte della nostra narrazio-ne delle origini – basti pensare perun momento all’iterazione delladonna vittima della brutalità ma-schile nella mitologia, o nel rac-conto delle religioni, nelle rap-presentazioni dell’arte, nell’ordina-mento dello Stato, producendoin questo modo realtà sociale edando senso a gesti e comporta-menti. L’associazione fra sedu-zione e caccia – humus culturaledell’odierno femminicidio – vie-ne da lontano e attinge a un vastocampo letterario, dalla Gerusa-lemme Liberata del Tasso a La Lu-pa di Verga, dalle disgraziateprotagoniste del melodramma a

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La Ballata del Carcere di Readingdi Oscar Wilde, per non parlaredella Sonata a Kreutzer di Tol-stoj, nell’intreccio paradigmaticotra eros e thanatos.

Ancora oggi, l’idea di essereprede naturali del desiderio ma-schile si forma e si consolidamolto presto nelle donne, chevengono gradualmente educate asuscitarlo attraverso un com-plesso codice di comportamenti.I maschi, dal canto loro, fin dabambini subiscono un processodi rappresentazione simbolicaparallelo e complementare. Gliobblighi sono pesanti, si fondanoprincipalmente sul ricorso allaforza, sulla dimostrazione delcoraggio, del potere e anchedella violenza. La pressione cul-turale poggia infine sulla nozioneche il desiderio fisico maschile siaun istinto incontrollabile, e che lavolontà degli uomini sia la primavittima. Si sbaglia chi consideraquesta convinzione un’obsoletaricerca di giustificazioni delle bi-snonne per l’incontinenza e itradimenti dei loro consorti. Laviolenza e il sentimento di pa-dronanza e di dominio possononon emergere in forme dichiara-te ed eccessive, ma esistonoanche se in forme blande e inno-cue – basta pensare alla que-stione della lingua, oppure al ritodel matrimonio, in cui il padreaccompagna la sposa all’altareconsegnandola al giovane uo-mo che sarà suo marito. È loscambio tra uomini messo inscena che ci fa commuovere.

Il male si deve raccontare,senza esemplificazioni che ri-schiano di cannibalizzare quantosi è fatto finora, il moltissimoche resta da fare. La parola per-mette di illuminare la questionepiù profonda: la violenza insensa-

ta è il riflesso del disordine simbo-lico che si è installato con la pro-gressiva frantumazione del pattosociale. «Nel corpo sociale –scrive Luisa Muraro nel preziosolibricino Dio è violent – non scorrepiù, come energia positiva, ilsenso di un ordinamento condivi-so. Sotto i colpi della crisi del2008 che non passa, ora che ilbenessere materiale è in forse, ciaccorgiamo che l’unico orienta-mento generale lo dava la cre-scita economica». Del resto laviolenza è un paradigma che attie-ne alle forme di organizzazionedella società e lo scriteriatosfruttamento delle risorse delpianeta è una declinazione dellostupro, ci ricorda la femminista in-diana Vandana Shiva.

La debolezza maschileLa scarsa qualità delle relazio-

ni che ne scaturisce fa emergerela necessità di alfabetizzazione neirapporti fra le persone, soprat-tutto i lungamente trascuratirapporti di coppia. Ma c’è unaquestione da chiarire senza in-dugio: il fenomeno della violenzacontro le donne non ci parla in ge-nerale di una debolezza femmini-le a cui sopperire con paternalisti-che tutele – protezione delledonne dalla violenza – quantopiuttosto di una debolezza, di unincaglio nella vicenda del ma-schile. Come commenta Stefa-no Ciccone nel suo imperdibileEssere Maschi, il maschile è sto-ria di una «parzialità che si è fat-ta norma, misura dell’umano, ri-spetto a cui il femminile divenivadeclinazione per difetto: ma altempo stesso è storia di quellacondizione vissuta dagli uominiche il sistema di poteri, norme erappresentazioni chiamato pa-triarcato ha plasmato nel tem-

po»; parlare del maschile vuol di-re non solo parlare di quel siste-ma bloccato, ma ancora di più«delle domande a cui la costruzio-ne di questo ordine ha risposto edei segni che questo ordine lasciasui corpi, sui desideri, e sullepercezioni degli uomini». Da de-cenni a questa parte, le diversesocietà del mondo hanno messoa tema una questione femminilementre il maschile resta un nodoirrisolto, «come se le costruzionilinguistiche, simboliche e istituzio-nali prodotte avessero reso gliuomini invisibili a se stessi nellaloro esperienza di vita, dissimulan-do la materialità della loro realtà».

Riconoscere che la violenza èiscritta nel rapporto fra uomini edonne è cosa che vorremmonon credere, chiamando a testimo-nianza l’esperienza di tanti uomi-ni miti e buoni che conosciamo, icompagni di vita amati, i nostriadorati figli, i cari amici. Riconosce-re invece che questa realtà esiste,e nominarla là dove essa si anni-da in gesti pesanti o leggeri, sindalle prime fasi della vita deibambini e delle bambine, è condi-zione necessaria per cambiare leregole del gioco. Questo compor-ta un impegno molto serio daparte di donne e uomini. Implicauno sforzo di soggettività, peruscire entrambi dagli stereotipi einsieme costruire le basi di unanuova compartecipazione e unanuova dimensione del conflittotra i due generi.

Non ci sono molte alternativea questa rotta, che è ricerca perentrambi i generi di una nuovafelicità. Evidentemente, un mondoche pensa di costruire la sua ar-monia sulla sofferenza volonta-ria di un genere solo, oltre a esse-re intimamente malato, non èpiù accettabile. n

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Nella storia dell’U-manità, Dio nac-que donna... Nellamente umana l’i-dea di Dio nacque

strettamente vincolata al fem-minile. Per millenni, gli esseriumani, stupiti di fronte allacapacità della donna di farnascere dal proprio corpo ilmiracolo della vita, veneraronola Dea, vedendo nel corpo delladonna un’immagine divina enella Luna, che governava i ciclidella donna, un simbolo sacro.

Millenni più tardi, e a partiredai cambiamenti culturali e so-ciali provocati dalla rivoluzioneagraria (con la necessità di di-fendere attraverso le armi e laviolenza granai e territori), l’i-dea ancestrale si andò trasfor-mando. La cultura convertì Dioin maschio e in un maschioguerriero. Il Dio maschile do-minò le culture del Mondo anti-co. Marduk soppiantò a Babilo-nia la dea Inanna-Ishtar, Osirisprese il posto di Isis in Egitto,Zeus quello di Gea in Grecia. An-che Yahweh soppiantò la deaAsherah, tanto amata a Ca-naan… Yahweh, il Dio dellaBibbia, è uno degli dei di questatappa dell’Umanità. È un Diomaschio, tribale e guerriero.

Sono trascorsi gli anni e an-cora oggi il Dio nel quale credia-mo continua a essere un Ma-

schio. Giudice, re, guerriero,padre… sempre pensato, invo-cato e adorato al maschile. È co-sì nelle grandi religioni monotei-ste: ebraismo, cristianesimo,islam. E se nelle religioni politei-ste ci sono dee, gli dei maschi-li tendono comunque a esserepredominanti.

Credo che questa “mascoli-nizzazione” del divino contri-buisca, come nessun'altra carat-teristica della nostra culturareligiosa, tanto nella sua ver-sione cattolica come in quellaprotestante o evangelica, alladisuguaglianza tra uomini edonne. E alle diverse espres-sioni di violenza degli uominicontro le donne.

Nell’iconografia cristiana,nelle immagini che abbiamo vi-sto da bambine, Dio è un anzia-no barbuto e severo. O un Re po-tente assiso sul suo trono. È an-che il Dio degli eserciti, un gene-rale. Questo Dio è anche pa-dre. Ha un solo figlio, che è asua volta dio e che “si fece”uomo, il che suggerisce che lasua essenza sia in primo luogomaschile. “Fatto uomo”, fu invia-to da suo padre a soffrire e amorire per calmare la colleragenerata dal peccato di disobbe-dienza commesso all’inizio delmondo, il peccato originale, e fucol sangue che questo dio-ma-schio ci riscattò…

La terza persona di questa“trinità”, di questa “famiglia divi-na”, è lo spirito santo. E non-ostante in ebraico la parola spi-rito sia una parola femminile –ruah, la forza vitale e creatrice,quella che anima tutte le cose –il dogma ci insegna che fu questospirito a rendere gravida Maria, ilche suggerisce che anche lasua essenza sia maschile…

Il cattolicesimo cerca diequilibrare la stravaganza deldogma trinitario esaltandoquella contadina che fu Maria diNazareth, la madre di Gesù, at-traverso un culto idolatrico. Eper quanto la sacralizzazione

di Maria possa apparire comeun modo per recuperare la pre-senza della Dea, la mariolatriaha contribuito alla misoginiatradizionale del cristianesimoavviluppando Maria in una seriedi dogmi che la trasformano inuno stranissimo “modello” didonna: nata senza peccato,madre ma vergine prima, du-rante e dopo il parto, sposasenza relazioni sessuali consuo marito Giuseppe, a cono-scenza da sempre del destinodel figlio e pronta ad accettarlo,morta ma elevata al cielo nelsuo corpo incorrotto… Imitabilesolo nel suo sottomesso eumile “consegnarsi” al pianodi Dio. I rappresentanti maschidi questo Dio maschio raffor-zano nelle donne l’idea che la lo-ro missione consista nel “donar-si” agli altri, anche quandonon ricevono nulla in cambio oaddirittura quando vengonomaltrattate.

Quando riflettiamo sullaviolenza contro le donne – enon bisogna solo riflettere maanche agire – credo che dob-biamo tenere conto delle traccefuneste che la cultura religiosacostruita a partire da questecredenze ha lasciato nellamente di uomini e donne damolto tempo.

Maschi come deiSe Dio è Maschio, i maschi

si credono dio. Se Dio è Uomo,gli uomini agiscono come dei. Ese Dio è immaginato come unpotere arbitrario, che premia epunisce, che decide come vuo-le, gli uomini che si credonodei e agiscono come dei sonoautoritari e anche violenti.

In un incontro regionale didonne evangeliche svoltosi aBuenos Aires qualche anno fa,la pastora Judith VanOsdol lodisse con forza: «Le Chieseche immaginano o rappresenta-no Dio come un uomo devonofarsi carico dell'eresia chequesta immagine comporta.

Se Dio è Maschio,

i maschi si credono dio [María López Vigil]

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L’AUTRICE

Giornalista e scrittrice cubano-nicaraguense. Caporedattricedella rivista “Envío” dell’Uca(Università Centroamericana)di Managua. Autrice, insiemea suo fratello José Ignacio LópezVigil, del celebre radio-romanzo“Un tal Jesús”. Tra i suoi libri piùnoti, la biografia di Romero,“Monseñor Romero, piezaspara un retrato” (pubblicato inItalia con il titolo “MonsignorRomero. Frammenti per un ri-tratto”, 2005).

Adista

Perché se Dio è maschio, ilmaschio è Dio… Dobbiamoampliare i nostri immaginariper vedere che Dio trascende ilgenere, non è né maschile néfemminile… L’origine dellatentazione nel giardino dell’E-den fu il desiderio di esserecome dei. Questa tentazioneresta viva anche oggi… Quandoi maschi si pongono come dei aldi sopra delle donne, conti-nuiamo a vivere le conseguenzedi questo peccato, lo squilibrioe l’ingiustizia di genere».

E che dire di Gesù di Naza-reth, nostro punto di riferimento,nostra ispirazione? Gesù, chenon venne a morire ma che ci in-segnò a vivere in eguaglianzanel progetto che lo appassio-nò, il Regno di Dio, concepivaquesto regno come una comuni-tà in cui nessuno sta in alto o inbasso, dove nessuno ha moltoaffinché a nessuno manchi al-cunché. E ai costruttori di que-sto regno, tutti, uomini e donne,propose di intendere il poterecome servizio e di agire semprecon cura, con compassione esenza violenza, atteggiamentiche la cultura attribuisce solo al-le donne. Quando Gesù, figlio diuna cultura patriarcale comequella del suo tempo e dellasua religione, parlò di Dio, lochiamò – non poteva esserealtrimenti – “padre”. Però qual-cosa doveva aver intuito se cipresentò Dio in una versionemaschile – come un pastoreche cerca tenacemente unapecorella smarrita o come un

padre che offre un banchetto –ma anche in versione femmini-le, paragonandolo a una donnache cerca disperatamente unamonetina perduta o a una casa-linga che impasta la farina perfare il pane.

Riflettendo sulla violenzacontro le donne, credo che l’abu-so sessuale, una delle più co-muni espressioni di questaviolenza, possa anche essere vi-sto a partire dal potere ma-schile divinizzato nella religionetradizionale.

L’abuso sessuale, che siauno stupro per strada o un’insi-diosa violenza domestica, non èconseguenza di una debolezzamorale né di un istinto irrefrena-bile dei maschi né è solo pecca-to di lussuria. È la supremaespressione di un abuso di po-tere, in questo caso con l’ar-ma del fallo, zona del corpo sa-cralizzata nell'ebraismo – con lacirconcisione del pene si sigilla-va l’alleanza con Dio –, la religio-ne di Gesù, dalla quale nacqueil cristianesimo.

E mentre con questo rito

antico si consacra nell’organomaschile l’alleanza con il DioMaschio, la sessualità delladonna e il suo corpo sono tradi-zionalmente associati nellaBibbia alla tentazione e al pec-cato. E le mestruazioni all’impu-ro. Tutte queste associazioniche circolano nel patrimonioculturale dell’Umanità hannoradici religiose e legittimano ladiscriminazione, l’ingiustizia,la violenza e l’abuso sessuale.

A proposito di “una teologiadella donna”

Espressione quotidiana delDio Maschio è il fatto che i rap-presentanti di Dio siano ma-schi. Lo sono totalmente nelcattolicesimo e tra gli ortodossi,e lo sono maggioritariamentein altre denominazioni cristia-ne, protestanti ed evangeliche.La Chiesa cattolica ha negato inmolte occasioni, e con docu-menti inappellabili, la possibili-tà del sacerdozio femminile epersino del diaconato delledonne, argomentando che Gesùscelse solo uomini e che Gesùera un uomo, dato “non irrilevan-te” per la teologia, secondoquanto affermato da papa Bene-detto XVI qualche anno fa.

Come superare questa “rile-vanza” del maschile associata aldivino? Non è facile. Anche se,per tanti aspetti, papa Francescoha aperto molte finestre e alcu-ne porte, non è avanzato moltosu questo versante. E ha dettoche è necessario elaborare“una teologia della donna”. Ma

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La sessualitàdella donna

e il suo corpo sono tradizionalmenteassociati nella Bibbia

alla tentazione e al peccato

“la donna” non esiste. Esistonole donne, che sono, come gliuomini, diverse, distinte, nontutte madri, presenti ormai intutti i campi del sapere umano,plurali nelle loro aspirazioni…E inoltre ci sono molte donneche hanno già prodotto questateologia che sarebbe ancorada elaborare…

Da anni le donne hanno ela-borato una teologia con unanuova visione, mettendo in evi-denza le contraddizioni assuntecome “eterne” nella cultura reli-giosa patriarcale. La teologafemminista brasiliana Ivone Ge-bara lancia, per esempio, questadomanda provocatoria: «Perché ilsangue dell’uomo Gesù è “re-dentore” e il sangue delle donneè considerato “impuro”»?

La teologa femminista te-desca Dorothee Sölle si chiede-va in che misura «la culturadell’obbedienza e della sotto-missione», insegnata alle donnecome massima virtù, abbia favo-rito l’instaurarsi di dittaturepolitiche. Sölle legava questaidea, altrettanto provocatoria,alla legittimazione offerta dalledonne tedesche al nazismo.

Un'importante corrente diteologhe femministe mette indiscussione gli attributi con iquali la Chiesa cattolica ha rive-stito Maria. Elizabeth SchüsslerFiorenza segnala tre danni pro-vocati alle donne con l’immagi-ne tradizionale di Maria: si enfa-tizza la verginità a scapito dell’e-sercizio della sessualità; sivincola l’ideale della vera femmi-nilità alla maternità; si attribui-sce una valenza religiosa al-l’obbedienza, all’umiltà, allapassività e alla sottomissione,indicandole come virtù cardi-nali delle donne.

Altre teologhe hanno se-gnalato l’abisso apertosi stori-camente tra gli atteggiamentidi Gesù di Nazareth verso ledonne e le posizioni delle Chie-se che dicono di rappresentarlo.La religiosa cattolica Elizabeth A.Johnson afferma: «Il cuore delproblema non sta nel fatto cheGesù fu un uomo, ma nel fattoche la maggioranza degli uomi-ni non è come Gesù, poiché la

loro identità e le loro relazionisono definite a partire dai privi-legi che conferisce loro la cultu-ra patriarcale». E MercedesNavarro Puerto, altra teologafemminista, dice: «Perché ci sichiede che cosa sta succeden-do alle donne che hanno tanticonflitti con la religione, invecedi chiedersi che cosa sta succe-dendo alle religioni, conside-rando che le donne si sentonotanto a disagio al loro interno emolte continuano inesorabil-mente ad andarsene?».

Quell'abisso tra le Chiese e ilmovimento di Gesù

Riconoscere che la violenzadegli uomini contro le donne af-fonda le sue radici nella masco-linizzazione di Dio non è un’i-dea facile da digerire. Comenon lo è mettere in discussioneil dogma centrale del cristianesi-mo predicato tradizionalmente:che siamo stati redenti, salvatidalla croce, dal dolore, dallasofferenza. A partire da questacredenza, le donne per salvarsidovrebbero “farsi carico dellaloro croce”, sopportare i mal-trattamenti, le botte, l’abuso, laviolenza. E i poveri per salvarsidovrebbero portare la croce del-la fame, dei bassi salari, delle in-giuste condizioni di lavoro e del-la mancanza di opportunità.

Dice Ivone Gebara: «La croceinsanguinata, che avrebbe dovu-to generare un’intensa lottacristiana per frenare la violenzaingiusta, ha generato la falsaidea che la sofferenza e il sacri-ficio siano necessari per avvici-narci a Dio, per salvarci».

Joann Carlson Brown e Re-becca Parker traggono dalla

teologia della redenzione cheha esaltato il sacrificio questariflessione: «Il cristianesimo èuna teologia abusiva che glorifi-ca la sofferenza. C’è da sor-prendersi che ci sia tanto abusonella società moderna se l’im-magine o la teologia predomi-nante è l’“abuso divino di mino-ri”: Dio Padre che esige e portaa compimento la sofferenza e lamorte del proprio figlio?».

No, non bisogna “elaborareuna teologia della donna”. Cre-do che ciò che bisogna fare èascoltare quello che le donne di-cono della teologia tradizionale.Ascoltiamo di nuovo Ivone Geba-ra: «Alcuni movimenti storicicome quello delle donne investo-no il cuore stesso delle istituzio-ni cristiane. Il cristianesimonon è più lo stesso quando leimmagini maschili di Dio sonosospettate di sessismo. Il cri-stianesimo non è più lo stessoquando le donne, per disagio, ri-fiutano la loro appartenenzaalla Chiesa. Il cristianesimonon è più lo stesso con le erme-neutiche femministe della Bibbiae le prospettive teologichefemministe. Il cristianesimonon è più lo stesso a partiredalla ricerca da parte delledonne della loro libertà,espressa oggi in tutto il mondoin tanti modi diversi».

A volte l’abisso tra cristia-nesimo delle Chiese cristiane emovimento di Gesù di Naza-reth mi sembra così profondoche mi scopro d’accordo conquanto disse il teologo tede-sco (un uomo!) Eugen Drewer-man: «Come Geremia pregavaper la caduta di Gerusalemme,dobbiamo pregare per la cadutadell’istituzione ecclesiastica inmodo che Dio possa comincia-re quanto prima a scrivere nelcuore degli esseri umani ciòche davvero vuole dire loro».

Così come mi viene in men-te ciò che disse un altro teologo,Paul Tillich: «Gesù resusciteràdalla tomba di questa Chiesa».

Spero che, come migliaia dianni fa, quando arriverà questotempo nuovo, che aspettiamo edesideriamo, saremo noi donnead annunciare: è risorto! n

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Riconoscere che la violenza degli uomini

contro le donne affonda le sue radici

nella mascolinizzazionedi Dio non è un’idea

facile da digerire

L'abbraccio trapapa Francesco eil patriarca diMosca Kirill(immagine che ha

fatto il giro di quel mondo cheguarda le immagini), è tanto ras-sicurante quanto contraddittorio.Da un lato ci dice che in unmondo diviso (quale luogo sim-bolico migliore di Cuba?) almenole Chiese sono capaci di cambia-re e produrre segni di riappacifi-cazione. Dall'altro, ci dimostrache le Chiese non cambianoaffatto e che il potere ecclesialerimane saldamente in manimaschili. Plus ça change plusc'est la même chose.

Se dovessimo trattare la que-stione “le Chiese e le donne” allaluce di questa immagine, pense-remmo che le Chiese sono istitu-zioni maschili alle quali le donnesono estranee. Ovviamente lecose non stanno così, le donne so-no – siamo – già Chiesa. Anzi,come dimostrò la rivista Jesusqualche anno fa, senza le donne leChiese non andrebbero da nessu-na parte: a svolgere il lavoro nellechiese sono le donne. Qual è il pro-blema? Il problema è che non sivedono, che raramente si sentono,che non trovano rappresentanza.Anche l'ecumenismo apparetroppe volte un affare di abbraccitra uomini dai quali le donne sonoescluse o si defilano.

Così, volente o nolente, il no-stro tema si inscrive nella vec-chia economia binaria secondola quale nella Chiesa gli uomini, e

alcuni (come il clero) più di altri,fungono da mente pensante; ledonne da corpo, forza lavoro outenti primari di un'offerta spiritua-le declinata squisitamente almaschile (sebbene talvolta trave-stita al femminile).

Invisibilità delle donne?Donne invisibili e Dio patriarca-

le è il titolo di un libro di MargaBührig, dato alle stampe nel1987. Qualche anno dopo Elisa-beth Schüssler Fiorenza pubblicanuovamente un articolo su donnee ministero col titolo “Siamo an-cora invisibili”. All'inizio del nuovomillennio esce Orme invisibili:donne cattoliche tra passato efuturo a firma di Maria TeresaGarutti Bellenzier.

Si è parlato molto dell'invisibi-lità di noi donne nella Chiesa comeanche del nostro silenzio. AdrianaValerio, per esempio, scrive della«esigenza di dare visibilità aquelle donne che sono uscitedall'anonimato e dal silenzio per ir-rompere nella storia» (1995, p.5) e anche io avevo usato l'idea dipassare Dal silenzio alla parola. Tut-tavia, credo che sia giunta l'ora dicambiare prospettiva. Non è chenoi donne siamo invisibili ma, co-me Valerio aveva osservato altro-ve (1990), è la nostra presenzache è stata negata. Detto altri-menti, sono gli uomini a non veder-ci. Non è che come donne stiamoin silenzio, sono gli uomini a nonascoltarci quando parliamo, anon leggerci quando scriviamo, anon partecipare quando discutia-mo. Così Giancarla Codrignanidichiara sconsolatamente: «Manessuno accoglie le riflessionidelle teologhe femministe»(2011, p. 135). Sì, sembra che gliuomini abbiano occhi per vederema non ci vedano, orecchie persentire ma non ci ascoltino. Comescrive la sociologa Anna Simone,«il quadro sociale è piuttostochiaro: le donne hanno fattograndi passi in avanti, gli uomini ela società» (figuriamoci le Chie-se) «fanno fatica a recepirlo»

(2014, p. 90). Perciò comincia-mo a pensare, insieme a lei e aqualche altra, che la vera que-stione sia maschile.

Un affare da uominiNel 1981 il Consiglio Ecumeni-

co delle Chiese (al quale la Chie-sa cattolica partecipa come osser-vatrice) organizzò una conferenzasul tema “La comunità di donne euomini nella Chiesa”. Solo cin-que anni dopo una delle organiz-zatrici affermò: «La conferenza diSheffield è stata ridotta al silen-zio... non è stata presa in conside-razione da coloro che decidono lepriorità nella teologia della Chiesae nella formazione teologica»(Parvey, 1986). Qualcosa di ana-logo è successo al DecennioEcumenico delle Chiese in Solida-rietà con le Donne giunto a termi-ne nel 1998. Tra gli obiettivi delDecennio figuravano la condivi-sione del potere decisionale nel-le Chiese, la visibilità delle idee edelle attività delle donne, la libera-zione delle Chiese dal razzismo,dal sessismo e dal classismo.Nel nostro Paese tali istanze furo-no portate avanti dalla Federa-zione delle Chiese Evangelichein Italia e dal Forum delle donne alquale partecipavano le donnecattoliche. Terminato il Decen-nio, però, le Chiese dell'area pro-testante, convinte che l'ammis-sione delle donne al pastoratoavesse posto fine a ogni residuodi maschilismo e preoccupatedella propria sopravvivenza, ab-bandonarono le istanze del de-cennio delegandole ancora unavolta alle organizzazioni femmini-li al loro interno. Veniva così per-petuata l'idea che la Chiesa fosseun affare di uomini i cui interessistanno decisamente altrove.

Soggetti parziali Il punto di partenza del pensie-

ro delle donne è sempre statoun'analisi delle relazioni asim-metriche tra uomini e donne.“Raddrizzando” – per usare l’e-spressione della teologa statuni-

Perché l’essere maschio

non comporta alcun vanto [Elizabeth Green]

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L’AUTRICE

Teologa femminista, è pastorapresso le chiese evangelichebattiste di Cagliari e Carbonia.Tra le sue pubblicazioni: Dal si-lenzio alla parola. Storie didonne nella Bibbia (2007), Il fi-lo tradito. Vent’anni di teologiafemminista (2011) e Padre no-stro? Dio, genere, genitoriali-tà. Alcune domande (2015).

Adista

tense Carter Heyward – uno deidue termini della relazione perrenderla simmetrica, si presup-poneva che l'altro cambiasse diconseguenza. Mary Daly, infatti,scrivendo agli inizi degli anni Set-tanta del secolo scorso, avevapensato che il movimento delledonne avrebbe trascinato con séanche gli uomini, i quali, ascol-tando le nuove parole delle donne,si sarebbero messi in discussionescoprendo una nuova soggettivitàtutta loro. Eppure questo non è(ancora) accaduto. O forse sa-rebbe meglio dire che, dopo cin-quant'anni, siamo solo agli inizi diun processo che si annuncia lun-go e travagliato come qualsiasiparto: la nascita di un nuovo mo-do di essere uomini, ma anche dinuove parole per dirlo.

Anni fa (1993) polemizzai conla teologa Cettina Militello circa lareciprocità. Mentre lei insistevasulla reciprocità delle relazionitra uomini e donne (nelle Chiese ealtrove), io dicevo che tale reci-procità necessitava non solo diuna soggettività ritrovata da partedelle donne ma anche di unanuova soggettività maschile, libe-ra da rapporti di potere patriarca-le e dalla stereotipia maschile.«Se gli uomini riusciranno a scopri-re in se stessi questa promessa diricerca e di riconciliazione interio-re, avranno raggiunto la sogliadel nuovo spazio». Ecco ciò che,salvo poi rinunciarci, aveva ini-zialmente immaginato Daly(1990, p. 207). Ecco cosaavremmo voluto noi donne! Che gliuomini, fratelli di fede e compagnidi percorso, si lasciassero interro-gare dalle parole che stavamoimparando a dire e, per dirlo insie-me al pensiero della differenza, ri-conoscessero e assumessero lapropria parzialità di soggetti ses-suati al maschile indagando diconseguenza la propria colloca-zione come uomini in una societàe in una Chiesa patriarcali.

Ritengo tuttora che questosia il sine qua non di relazioni re-ciproche tra uomini e donne nelleChiese, base di nuove configurazio-ni di potere nonché di una nuovafedeltà al Vangelo. Qualcosa, for-se, comincia a muoversi grazie, daun lato, a gruppi storici come

“Uomini in cammino” (a Pinerolo)o “Maschile plurale” pronti a dia-logare con diverse realtà eccle-siastiche, e, dall'altro, al com-plesso evolversi della relazionetra i generi negli ultimi decenni.

Partendo dall'immagine deidue patriarchi che si abbracciano,ho messo in evidenza quanto ci ri-sulta difficile pensare alle Chiesecome realtà composte di uomini edonne e non solo come bastionidel potere maschile. Alla Chiesadegli uomini che non ci vedono néascoltano la nostra voce, si era ri-sposto negli anni Ottanta decli-nando in modi diversi la “Chiesadelle donne”. Secondo Rose-mary Radford Ruether, per esem-pio, le “comunità liturgiche femmi-niste” erano espressione nontanto dell'esilio delle donne dallaChiesa quanto della Chiesa inesilio con le donne, in attesa«dell'evoluzione di una nuova co-umanità di donne e uomini libera-ti dal patriarcato» (1985, p. 61). Eli-sabeth Schüssler Fiorenza, invece,sviluppò l'idea «dell'adunanzadelle donne come assemblea libe-ra e decisionale del popolo diDio» (1990, p. 375), la quale diven-tò successivamente l'“ekklesiadi don/ni” intesa come “spaziometaforico” che non esclude gli uo-mini ma sostiene «pratiche criti-

che... per trasformare i discorsi isti-tuzionali kiriarcali nei campi religio-so e sociale» (1996, p. 47). Tali no-zioni si ispiravano al “discepolatodi uguali” che Fiorenza aveva indi-viduato nei primi movimenti cri-stiani (1990, p. 124). “Uguali achi”? aveva ribattuto Luce Irigaray.Nell'epoca della differenza, danoi l'idea dell'uguaglianza ebbepoca fortuna.

Un'assemblea di “diversamenteuguali”

Forse vale la pena ripristinarealcuni elementi di questa visio-ne, soffermandoci su alcuni verset-ti del Vangelo. Mi riferisco al mo-do in cui Gesù utilizza termini di pa-rentela per riferirsi a coloro che siriuniscono intorno a lui per ascol-tare e mettere in pratica la sua pa-rola. Due cose ci appaiono fonda-mentali. In primo luogo, come datempo si è messo in evidenza, lafigura del padre è assente daquesta nuova comunità: «Poichéchiunque avrà fatto la volontà delPadre mio, che è nei cieli, mi è fra-tello e sorella e madre» (Mt12,50). Non solo, ma altrove Ge-sù espressamente proibisce l'usodella parola “padre” per designa-re persone all'interno della co-munità nascente, «perché unosolo è il Padre vostro, quello che è

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nei cieli» (Mt 23,9). Siamo da-vanti a una di quelle istanze in cuila figura paterna di Dio vieneusata non per confermare il patriar-cato bensì per contestarlo. Eracosì difficile dare retta alle paroledel Maestro? A questo punto po-tremmo notare che Gesù ha giàtassativamente vietato il ripro-dursi di relazioni gerarchiche tra isuoi seguaci, i quali non devono“signoreggiare” gli uni sugli altri(Mc 10, 42/Mt 21,25). Non basta,però, come abbiamo visto, che sitrasformi solo uno dei terminidella relazione. In secondo luo-go, quindi, viene specificato chenel movimento che si raccoglieintorno a Gesù ci sono sia fratelliche sorelle. Detto altrimenti, sidà nome e visibilità alle donnedelle prime comunità cristiane.«Poiché chiunque avrà fatto la vo-lontà del Padre mio, che è neicieli, mi è fratello e sorella e ma-dre» (Mt 12,50).

Questo episodio riportato daitre Vangeli sinottici ci suggeriscecose interessanti non solo ri-guardo alla famiglia tout courtma anche riguardo alla Chiesa.Dimostra cioè che le donne face-vano parte integrante del movi-mento di Gesù e che la loro pre-senza era da lui riconosciuta eelaborata. Questa notizia ci ap-pare incontrovertibile in quantoall'epoca della stesura dei Vange-li era già iniziata una certa pa-triarcalizzazione delle Chiese.Secondo alcune studiose, la figu-ra di Dio Padre in Matteo non hatanto a che fare con chi è Dio in sestesso («nei cieli») quanto con il ti-po di relazioni che devono vigerenella comunità che Gesù stacreando. Non tanto con la relazio-ne verticale, quindi, quanto con lerelazioni orizzontali in cui la diffe-renza sessuale è esplicitata: «Miè fratello e sorella».

In altre parole, l’immagine diChiesa cui rimandano le personeriunite intorno a Gesù non è mono-sessuata, non è configurata né inmodo patriarcale né in modo fra-triarcale, bensì come un'assem-blea di “diversamente uguali”.Assemblea in cui non solo le sorel-le si confrontano con i fratelli rico-noscendo la parzialità del propriogenere, ma anche i fratelli si con-

frontano con le sorelle ricono-scendo la propria differenza ses-suale. Detto altrimenti, stiamo rivi-sitando, rafforzate e rafforzati da an-ni di elaborazione teologica daparte delle donne, l'idea della“comunità di donne e uomini nel-la Chiesa” o, per citare un incontropiù recente organizzato dall'Asso-ciazione Teologica Italiana e dalCoordinamento delle teologheitaliane, di “Una Chiesa di donne euomini” (Simonelli e Ferrari).

Da dove iniziare un percorsodel genere? Anche qui teologhe co-me Elizabeth A. Johnson e LettyRussell ci vengono in aiuto attra-verso l'uso che fanno del concet-to di conversione. Pensiamo che lostesso cristianesimo decostrui-sca la soggettività tanto maschilequanto femminile inscritta nelrapporto asimmetrico tra i generi.L'apostolo Paolo, per esempio,ri-scrive il proprio itinerario perso-nale modellandolo su quello diCristo «il quale non consideròl'essere uguale a Dio qualcosa acui aggrapparsi gelosamente,ma spogliò se stesso...» (Fil2,6). Nella stessa lettera eglielenca le cose di cui si era spoglia-to – «io circonciso l'ottavo gior-no, della razza di Israele, della tri-bù di Beniamino, fariseo» (3,5s.) evia dicendo. Queste cose alla ba-se dell'identità dell'apostolo oravengono da lui considerate “undanno”, tanta spazzatura di cui

liberarsi in modo «da essere trova-to in Cristo non con una giustizia»sua (3,9). La giustizia sua, inquesto caso, consisterebbe nellasua genealogia impeccabile dicui la maschilità seppur non nomi-nata è fondamentale. In altre pa-role, mentre abbiamo scopertocome donne che il nostro esseredonna non comporta nessunosvantaggio (o danno) davanti aDio, ora stiamo dicendo che l'es-sere maschio non comporta nes-sun vanto (o guadagno).

Forse per gli uomini (e per alcu-ni più di altri) è giunto il momentodi non aggrapparsi più all'idea diessere al centro dell'ordine so-ciale e simbolico, ecclesiale eteologico.

«Se gli uomini non si ritraggo-no davanti alla buona novellaperché questa comporta la perdi-ta di privilegi e prestigio immerita-ti o un lungo viaggio in territoriinesplorati, possono riuscire a di-ventare degli esseri umani», scri-veva Daly (p. 207). Le Scritture par-lano continuamente di uominiche fanno lunghi viaggi in territoriinesplorati sorretti dall'amore diDio e guidati dalla sua luce per di-ventare degli esseri umani. Es-seri umani in grado di risolvere laquestione maschile costruendoinsieme alle donne relazioni reci-proche in quella comunità di sorel-le e fratelli che si riunisce intornoal Messia Gesù, la Chiesa. n

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Note bibliografiche

Marga Bührig, Donne invisibili e Dio patriarcale, Torino (1989)Giancarla Codrignani, Stiano pure scomode, signore, Roma (2011)Mary Daly, Al di là di Dio Padre, Roma (1990, l'originale è del 1973)Maria Teresa Garutti Bellenzier, Orme invisibili, Milano (2000)Elizabeth E. Green, Dal silenzio alla parola, Torino (1992)EAD., “Da donna a donna in questione”, “Protestantesimo” 48 (1993),pp. 94-107Luce Irigaray, Égales a chi? “Critique” 480 (1987), pp. 420-437Elizabeth A. Johnson, Colei che è, Brescia (1999)Cettina Militello, Donna in questione, Assisi (1992)Constance Parvey, The Community of Women and Men in the Church,Ginevra (1983)Rosemary Radford Ruether, Women-Church, New York (1985)Letty Russell, Teologia femminista, Brescia (1974)Elisabeth Schussler Fiorenza, In memoria di lei, Torino (1990)EAD., Discipleship of Equals, New York (1993),EAD., Gesù, Figlio di Miriam, Profeta della Sofia, Torino (1996)Anna Simone, I talenti delle donne, Torino (2014)Cristina Simonelli e Matteo Ferrari, Una Chiesa di donne e uomini,Camaldoli (2015)Adriana Valerio, Cristianesimo al femminile, Napoli (1990)EAD., Donna potere e profezia, Napoli (1995)

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Metterei la ricogni-zione che è affi-data a questenote sotto il ver-setto biblico che

ne costituisce il titolo. È trattoda un breve passo del libro diGiosuè, a sua volta incastonatonella presa incruenta di Gerico:lo stesso contesto, tra l'altro,che vede il protagonismo diRahab, la prostituta che vivevasulle mura di Gerico, una dellequattro donne citate nellagenealogia di Gesù (Mt 1,5).Mentre Giosuè si avvicina allacittà, vede un uomo e domanda:“E tu? Sei dei nostri o dei nemi-ci?”. L'angelo, che tale era, nonaccetta la domanda così posta,risponde altrimenti, perché nonsi tratta di schierarsi, di prende-re parte a fazioni contrapposte.Piuttosto, riprendendo un temabiblico "classico", rilancia:«Togliti i sandali dai piedi, perchéil luogo sul quale stai è santo»(Giosuè 5,13-15).

Il riferimento vuole dunqueessere duplice. In primo luogoabbiamo necessità di uscire da-gli schieramenti contrappostiper assumere un altro punto di vi-sta, quello del confronto e del ri-spetto. Il secondo suggerimentoofferto dal passo biblico è quelloche parte dal rispetto e lo appro-fondisce, proprio perché invita a to-gliersi i calzari, come di fronte almistero, alla santità – quella diogni vita.

Ho molte volte fatto ricorso aquesto brano, in passato, so-prattutto in relazione a brutalischieramenti identitari – parafra-sando il lessico in voga, potrei

dire rom(o)fobici – ma l'ho recupe-rato nei mesi scorsi proprio in ri-ferimento al clima che si è creatoattorno al tema "gender", cheha ogni tanto nuovi sussulti, amio avviso meno diffusi e omoge-nei di prima, ma non per questomeno problematici (si veda Stefa-nia Guglielmi sul sito di Noi Don-ne, 5/2/2016). La ricognizioneche mi è stata affidata vuoleprendere in considerazione lamodalità delle reazioni "no/gen-der". Questa indagine non ènuova: l'ha egregiamente con-dotta, tra gli altri, Rita Torti su Il Re-gno Attualità del novembre2015, descrivendo una serataestremamente conflittuale in cuiera stata chiamata a spiegare laposizione presa in una letterascritta con altre donne di Parma.Riprendo pertanto solo le dinami-che nel loro complesso, facendoriferimento anche alla mia per-sonale esperienza, ben sapendoche ognuno può trovare più ampiadocumentazione.

Sinodo e sinodalità: virtù corri-spondente cercasi

Si è molto parlato, e con ragio-ne, del passaggio dal sinodo epi-scopale alla sinodalità, almenocome istanza attivata dalla consul-tazione e dall'effervescenza chequesta ha prodotto, dando a tan-te e tanti la spinta a partecipare,in una sorta, appunto, di rinnova-ta Chiesa/popolo, sinodale nelsuo complesso. Ne traggo spuntoper avanzare una riflessione, chenasce in maniera particolare dal di-battito cui ci stiamo riferendo:tutto il plesso che riguarda sessua-lità, differenza, genere/gender èquestione estremamente seria edelicata. E, forse più di tante altrequestioni contemporanee, chie-de di essere affrontata in atteggia-mento sinodale: evitando gli argo-menti preconfezionati e gli schie-ramenti predeterminati.

Di questa modalità c'è biso-gno: se ci sono segnali incorag-gianti in questo senso – si pensialla Nota dell'Ufficio Scuola della

Diocesi di Padova in merito – si de-ve dire che non è questo lo spiri-to con cui si svolgono molte as-semblee. Potrei dire che la stessacampagna no/gender, in tutte lesue forme, procede in forma violen-temente assertiva, svolgendo gliargomenti a partire da presuppo-sti che non vengono dimostratima postulati e spesso rifiutando ilconfronto e il contraddittorio. Maè ancora più evidente il metodo an-ti/sinodale quando avviene ilcontrario, cioè quando gruppi orga-nizzati presidiano gli incontri chetentano invece di argomentare inmaniera diversa e con più sfu-mature, come necessario, il te-ma genere/gender: descriverò amia volta alcuni di questi "scon-tri/più che incontri", in cui la fogaincalzante delle accuse tendeva aspuntarla su tutto il fronte, la-sciando sbalorditi molti degliastanti, venuti per capire e non abi-tuati a simile aggressività.

Gli elementi più appariscentisono i seguenti, che traggo ap-punto da una serata effettiva-mente vissuta, ma con caratteristi-che tipiche: dopo una articolatapresentazione a tre voci (tema ingenerale e lettura pastorale, fonda-mento biologico e prospettivagiuridica), si scatena un incalzaredi interventi, di signore, soprat-tutto, ma anche di signori che indialetto (la cosa si svolge in Vene-to) a voce spiegata urlano chedei perversi vogliono carpire i lorobambini, che nella tale scuolasono successe cose mostruose –ben difficili poi di fatto a essereprovate, perché sfuggono a date,luoghi e precisazioni; soprattuttotutti parlano di omosessualità,descritta però in maniera deformee assurda. Poi intervengono inve-ce seri professionisti, che, van-tando competenze di alto livello,completano, in forma diversa macon contenuto analogo, la serata.Nel frattempo il parroco organizza-tore, che secondo gli accordiavrebbe dovuto moderare la sera-ta, resta in fondo alla sala e si ri-fiuta al ruolo concordato mentre

Sei dei nostri o degli altri? (Gs 5,13)

Note sul dibattito gender [Cristina Simonelli]

L’AUTRICE

Presidente del Coordinamentoteologhe italiane. È docente diTeologia patristica presso laFacoltà Teologica dell'ItaliaSettentrionale (Milano). Havissuto in contesto rom dal1976 al 2012.

l'altra metà circa degli intervenu-ti, tranne due di numero, restanoallibiti senza riuscire a intervenire.L'insieme del discorso, che erapartito dalla storia dell'uso dellacategoria di genere e dal suo lega-me con la questione femminile ela violenza, viene circoscritto uni-camente ad un aspetto: appuntol'omosessualità o meglio lospecchio deformante in cui vieneletta, in una vera omo/ossessione.

Tutto questo mi ha fatto moltoriflettere: non basta trovarsi in-sieme per aprire il confronto,servono degli atteggiamenti chepossono e dunque dovrebberodiventare costanti, cioè abiti, comevenivano indicate le "virtù". E daparte non solo dei cartellino/gender, ma anche di tutti gli al-tri: è necessario creare spazi"regolati" di parola; è utile arriva-re informati; è opportuno ap-prendere il coraggio di esprimersi.Altri contesti, ad esempio quello diun’assemblea coordinata daMosaico di Pace in una parroc-chia romana in cui ho partecipatoinsieme a Massimo Gandolfini(uno degli organizzatori del Fa-mily Day) e Andrea Rubera (diNuova Proposta), hanno avuto in-vece altro esito, proprio per lacura con cui è stato esercitato ilplesso di virtù indispensabili allasinodalità. Se il clima non è arro-ventato e, sia pure verbalmente,violento, è possibile argomentare:del resto, come ha osservatol'antropologo Franco La Cecla, lacontrapposizione non è mai utile,neanche sul fronte liberal e demo-cratico, se stringe su posizioni a"cartello": non mi sta beneneanche una posizione sì/gen-der, voglio utilizzare le categorie in

maniera critica e declinare inmaniera altrettanto diversificata leposizioni politiche. Come sottoli-nea Lucia Vantini all'inizio delsuo Genere, «[queste pagine vor-rebbero piuttosto essere] un invi-to ad ascoltare con maggiore at-tenzione ciò che si muove attornoalla questione, oggi riduttiva-mente presentata nella forma diuna rigida alternativa: o si è pro osi è contro il "genere". La filosofaFranca Agostini collocherebbequesto ragionamento fra i cosid-detti "falsi dilemmi", cioè fraquelle situazioni in cui il pensierosi incaglia di fronte a un bivio co-stituito da due possibilità inge-nuamente disegnate e del tutto in-compatibili tra loro».

Di cosa stavamo parlando?A questo punto, la descrizione

delle dinamiche degli incontri,per essere completa dovrebbeestendersi all’implicazione ec-clesiale ed ecclesiastica, anchequesta a mio parere meno com-patta di qualche tempo fa: restail fatto che in molte diocesi –non tutte però! – la tournéeno/gender ha girato capillar-mente parrocchia per parroc-chia, contribuendo a una grandeconfusione, fatta passare in ma-niera surrettizia, al contrario, comechiarezza. In tutto questo, infatti,alla fine, si perdono le coordinatedelle questioni in gioco.

Penso che anche in questocaso la cosa migliore sia segnala-re studi che possano in manieranon superficiale né frammentariacondurre a una discussione ade-guata e per questo rimando nuo-vamente al volume di Lucia Vanti-ni appena citato (Genere, EMP

2015), che riesce a presentare laposta in gioco in maniera articola-ta, comprensibile senza esserescontata. Qui vorrei fare cenno so-lo ad alcuni dei nessi che leganoal tema della violenza questaprogressiva riduzione del dibatti-to: in primo luogo la violenzaesercitata sulle donne, fisica,psicologica, economica. Il se-questro del dibattito attorno allaomosessualità ottiene il risultatodi lasciare senza parole e senzaspazio di riflessione un fenomenoinvece imponente come nonmai, che va dalla tratta al femmi-nicidio, dallo stupro agli abusi,alla discriminazione sul lavoro eanche alle forme di "maternitàper altri". Contemporaneamentecontribuisce a produrre quelloche viene chiamato gender bac-klash, cioè il ritorno a modelli pa-triarcali di attribuzione di ruoli,che apparivano desueti in Italia giànegli anni '80 del secolo scorso.Ma non è l'unico ambito di violen-za: le cose che vengono dette ri-spetto all'orientamento omo-sessuale sono cattive e ingiu-ste, appunto violente. Tanto èforte questa ossessione da travol-gere in un mondo di insulti – o pre-sunti tali da chi li utilizza – anchechi si avvicina soltanto al tema.

Per tutto questo, concludotornando al brano biblico da cui hoiniziato. La sfida vera è quella dinon perdere l'occasione per impa-rare a togliersi i calzari davanti al-la santità di ogni vita: sguardosim/patetico e contemplativosenza il quale anche la miseri-cordia perde il suo significato piùprofondo, che non è esercitaresdolcinata pietà, ma patire/conognun/*. n

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La domenica quandopredico salgo sul pul-pito e di fronte a me,alla mia sinistra, suuna delle panche,

verso il centro della chiesa,vedo il “Posto occupato”. Unfoulard rosso, un paio di scar-pe rosse, una borsa rossa chericordano a me e alle personeche con me si riuniscono per ilculto che quel posto potrebbeessere occupato da una delletante donne uccise ogni annoa causa della violenza impostaper lo più da mano, presunta,amica: compagno, marito, zio,padre, collega. Bruciate, accol-tellate, stuprate, picchiate,buttate nei rifiuti, è quello chesuccede a donne italiane estraniere, nel nostro belPaese. Ragazze, madri, nonne,casalinghe, lavoratrici i cuinomi vengono raccolti, annodopo anno, da associazioni didonne che li registrano pernon dimenticare quell'anticopeccato di genere che invecedi scomparire tende a diventa-re ogni anno più manifesto.

Peccato di genereSì, si tratta di peccato di

genere, non ha un altro nome. Èquel peccato tutto maschileche assoggetta e uccide volon-tà, genio, corpo femminile la-sciando alle proprie spalle unmondo in cui nascere donnasignifica vivere guardandosi le

spalle, coabitando con la paura.Anche quando le donne riesco-no a costruirsi un'esistenza dapoter vivere con sovranità eagio, dietro l'angolo può esser-ci l'orrore e dentro casa il mo-stro. E ciò continua ad accade-re in maniera indipendentedalla loro volontà.

Il peccato di genere di cuiparliamo ha dato origine al pa-triarcato che come sappiamousa strumenti tanto crudeliquanto poco raffinati per sotto-mettere le donne. Tra quellipiù cruenti lo stupro, il fonda-mentale strumento di forzacontro le donne, il principaleagente della volontà maschilesulla vita delle donne che puòtrasformarsi in un vero e pro-prio ginocidio che ha comescopo fondamentale quellodella distruzione corporale espirituale delle donne.

Alcuni esempi ci sono storica-mente prossimi. Pensiamo aquanto è avvenuto in Bosnia-Er-zegovina (1992-1995) dove at-traverso la violenza sessualel'etnia serba ha cercato di di-struggere quella musulmana,colpendo le donne e gettando leloro famiglie nella disperazio-ne. Lo stupro, per dirla con le pa-role della filosofa e teologastatunitense Mary Daly, portale donne a perdere la capacità dinominare la realtà, a diventarepassive, ad abitare in quelladiaspora dove accade l'addo-mesticamento del genio fem-minista e l’impedimento dellari-membranza, quel legame disostegno reciproco che le legaalle loro madri, fisiche o simbo-liche che siano.

La violenza ha anche a chevedere con i fondamentalismireligiosi presenti in tutte leconfessioni che alle donne vie-tano uno specchio trascenden-te nel quale riflettersi. Puòsembrare assurdo ma è un fat-to, attuale ancora oggi, che tut-te le tradizioni religiose con-servino un sapore patriarcale

che si nutre del mancato amoree riconoscimento delle donnee degli altri soggetti che non siidentificano nei maschi etero-sessuali. È ancora lungo ilcammino che prevede che nel-l'amore di Dio possano esseretutte e tutti inclusi.

Buone praticheCiononostante, e per fortu-

na, le nostre Chiese protestan-ti hanno finalmente rotto, daqualche anno, quel silenzioomertoso che da sempre circo-la intorno alle violenze di gene-re. Negli ultimi Sinodi delleChiese valdesi e metodiste,che rappresentano nella no-stra tradizione i luoghi collettividi massima autorità e decisione,sono accadute alcune cosedavvero importanti relativa-mente a tale questione. Si è ri-conosciuto che nessuno,neanche i membri di Chiesa,né tanto meno le famiglie cristia-ne, sono del tutto immuni allaviolenza domestica. Si è chiestoe si continua a chiedere a tuttala Chiesa, ad ogni suo livello, diimpegnarsi non solo per con-trastare la violenza di generema anche per creare una ma-schilità meno violenta. Sonostati lanciati progetti dedicatie offerti alle scuole superiorivolti a sensibilizzare le ragazzee i ragazzi sulle forme distrutti-ve e pericolose che le relazionipossono assumere. Sono statiorganizzati corsi di formazionenei quali le pastore e le diacone,che lavorano nelle chiese, sisono attrezzate, in cooperazionecon i Centri antiviolenza, persostenere le donne che riesco-no a denunciare l'abuso familia-re e per vigilare su quelle si-tuazioni, numerose, che sono allimite della violenza.

Abbiamo naturalmente co-involto gli uomini in questo lavo-ro, non solo nei dibattiti ma an-che in progetti più complessi.Nella programmazione deicampi studio del Centro ecu-

Se nascere donna

significa guardarsi le spalle [Daniela Di Carlo]

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L’AUTRICE

Pastora nella chiesa valdesedi Milano. Ha diretto il CentroEcumenico di Agape e si occu-pa di teologie femministe e digenere. Ha partecipato alleopere collettive “La Parola ele pratiche. Donne protestanti efemminismi” (2007); “Un vulca-no nel vulcano. Mary Daly e glispostamenti della teologia” acura di Letizia Tomassone(2012).

Adista

menico di Agape per moltotempo hanno avuto luogo i“Week-end uomini”. Occasioniqueste, tutte al maschile, nellequali i partecipanti si sono inter-rogati sulla propria maschilità esulla consapevolezza della vio-lenza di cui erano portatori avolte inconsapevoli. Hanno ra-gionato sul prendersi caricodelle proprie figlie e figli, compa-gne, compagni, in modo nuovo,senza ricadere nel desiderio didominio e controllo che spessodà origine a relazioni squilibrate.Ma hanno anche dedicato deltempo a inventare un nuovolinguaggio capace di contene-re e descrivere i nuovi modelli dimaschilità che faticano ademergere ma dei quali c'è asso-luto bisogno.

Sempre ad Agape, nel “Cam-po politico donne”, che ha supe-rato i 40 anni di esistenza, ledonne hanno lavorato e conti-nuano, sapientemente, a lavora-re sulle questioni di genere esulle narrazioni dominanti.Quelle narrazioni che ancoraoggi non riconoscono comesoggetti non solo le donne, maneppure quelle persone ritenu-te abiette: gay, lesbiche, tran-sgender e tutti quei soggettiresi invisibili da narrazioni di-ventate universali, opera di uo-mini che hanno prodotto il pen-siero all’origine di quella civiltàetero normata che è ancora at-tiva ai nostri giorni.

Per un linguaggio rinnovato È stata proprio l'elaborazio-

ne delle donne, condotta adAgape ma anche dentro le no-

stre comunità, che a partiredalla fine degli '80 ha reso le no-stre Chiese attente all'uso dellinguaggio inclusivo come ri-sposta a quello conosciuto co-me il neutro universale. Il sape-re, in ogni campo, veniva letto erivendicato come neutro equindi universale: non aveva ri-levanza se a scrivere fosseroquasi sempre gli uomini e rara-mente una donna perché en-trambi erano compresi nellageneralità umana. La storia, ilpunto di partenza, i pregiudizi dichi parlava o scriveva sembrava-no essere ininfluenti anche se inrealtà spesso normavano ilcorpo e il sapere delle donne.Per questo, le donne prote-stanti, che hanno lavorato alungo con il femminismo italianoma anche in comunione con leteologhe americane ed euro-pee, hanno denunciato la falsaneutralità del linguaggio rite-nendola frutto di un'astrazionerealizzata dall'essere umanomaschile che aveva come refe-rente solo se stesso.

La violenza passa infattianche da qui, dal linguaggio,perché le parole possono darela vita, costruire un'identità,far diventare qualcuna o qualcu-no soggetto della propria storiae parte attiva del mondo. Epossono anche, al contrario,uccidere, distruggere realtà,estromettere dalla storia corpie pensieri, condannare al si-lenzio e rinchiudere le personenella sfera dell'irrilevante. Perquesta ragione, ormai da tem-po, quegli ordini del giorno cheservono per orientare l'impe-

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gno e il lavoro delle comunità lo-cali, che i Sinodi annualmenteinviano alle chiese, tengonoconto del fatto che il mondo èpopolato da più soggetti e cheil genere ha che fare con qual-cosa di complesso e semprein divenire.

Dal 1993, momento in cui laChiesa valdese ha deciso diavvalersi della norma di leggeche consente alle confessionireligiose, riconosciute dalloStato, di avvalersi della riscos-sione dell'8 per mille dell'Ir-pef, una parte consistente deifondi ricevuti è stata investita, inItalia o all'estero, in progetti disostegno alle donne e di preven-zione. Ogni anno vengono desti-nati finanziamenti a progettidedicati alle donne: dall'am-pliamento delle bibliotechenelle carceri femminili agli in-terventi di sensibilizzazionesulla violenza di genere, dal-l'accoglienza per le vittime diviolenza al potenziamento dellereti di associazionismo femmini-le, dall'aiuto offerto alle donneschiave della tratta al soste-gno alla nascita di piccole impre-se di lavoro femminili.

Ogni buona pratica che leChiese hanno il potere di creareper chiamare alla vita le don-ne, ma anche ogni altro sogget-to che popola questa terra, par-te dalla consapevolezza chetutte e tutti siamo stati creati aimmagine di Dio e da Dio deside-rate/i e amate/i. Basterebbequesta piccola grande verità acambiare il mondo e a rendereogni Chiesa un luogo inclusivo eaccogliente. n

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Periferia Italia /212 MARZO 2016

Anno LSuppl. al n. 6312

1012 MARZO 2016 - Anno L - Suppl. al n. 6312

Numero speciale del settimanale Adista, pro-mosso dall’associazione Officina Adista, nel-l’ambito di “Periferia Italia: i 5 passi di uncammino da intraprendere per una democraziainclusiva”, progetto finanziato con il contributodell’Otto per mille della Chiesa evangelica val-dese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi).

Se Dio non è più “il Padre”Dall’ordine patriarcale alla liberazione dei generi

Con gli interventi di Nicoletta Dentico, María López Vigil, Elizabeth Green,Cristina Simonelli e Daniela Di Carlo

e con le illustrazioni di Stefania Anarkikka Spanò (www.anarkikka.blogautore.espresso.repubblica.it)

L'associazione “Officina Adista” nasce nel 2012 (con il nome di Informazione equa esolidale) su impulso del collettivo redazionale di Adista allo scopo di promuovere ini-ziative sul territorio volte all'approfondimento dei grandi temi che animano il dibattitodella società italiana: diritti civili, ambiente, migranti, modelli economici alternativi, que-stione di genere, disarmo e nonviolenza, ecumenismo e dialogo interreligioso.Convinti che la comunicazione è motore essenziale della società, abbiamo pensato didotarci di un nuovo strumento con il quale ampliare il nostro raggio di azione e intes-sere nuove relazioni con altri soggetti impegnati in tal senso sul territorio.In questi anni “Officina Adista” si è fatta promotrice di diverse iniziative – il numerospeciale che hai tra le mani è una di queste – e altre ne ha in cantiere per il futuro.Per l'anno scolastico appena iniziato, per esempio, ha avviato un percorso didatticorivolto agli studenti di alcuni istituti superiori di Roma, dal titolo: «I conflitti all’originedelle migrazioni».Da quest’anno puoi destinare il tuo 5 per mille ad Officina Adista (codice fiscale97707140584) e contribuire così alla realizzazione dei nostri progetti.

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