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Da il CORRIERE della SERA Salute APPRENDIMENTO Chi scrive a mano usa il cervello più di chi digita Una ricerca rivaluta penna e fogli per lo sviluppo di abilità visive, motorie e costruttive MILANO - Si chiamano "nativi digitali": sono i bambini nati dopo il 2000, più avvezzi alla realtà virtuale che alla vita reale. Ma nel passaggio alla vita "tecnologica" pare proprio che questi bambini rischino di dimenticare abilità utili nella realtà quotidiana, quali allacciarsi le scarpe o andare in bicicletta, come ci dice una ricerca cecoslovacca svolta recentemente "interrogando" 2200 mamme di bimbi dai 2 ai 5 anni. Ora una ricerca condotta da neurofisiologi francesi e norvegesi conferma che qualcosa si è davvero perso nel passaggio dalla penna alla tastiera. Lo studio, pubblicato su Advances in Haptics, dimostra che scrivere a mano "accende" il nostro cervello molto più che digitare su una tastiera. Scrivendo su carta, gli occhi e i movimenti della mano seguono la creazione della lettera: mentre tracciamo il segno di una "s" vediamo e "sentiamo" formarsi pian piano le curve che la compongono. E questo accende molte più aree cerebrali rispetto al digitare la stessa "s" al computer: in questo caso, infatti, basta premere un tasto ed eccola là sullo schermo, tutta intera. LETTERE - Le aree sensoriali e motorie si attivano comunque, perché la mano si è mossa e gli occhi vedono la lettera, ma in maniera molto inferiore. In un altro esperimento i ricercatori hanno chiesto a due gruppi di volontari di imparare un alfabeto sconosciuto di 20 lettere, in un caso esercitandosi a scriverlo a mano, nell'altro utilizzando solo il computer; dopo tre e sei settimane chi doveva usare carta e penna aveva imparato di più e ricordava meglio l'alfabeto rispetto ai volontari "digitali". «Scrivere a mano implica capacità visive, viso-motorie e viso- costruttive molto superiori al semplice digitare su una tastiera - (Corbis)

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Da il CORRIERE della SERA Salute

APPRENDIMENTO

Chi scrive a mano usail cervello più di chi digitaUna ricerca rivaluta penna e fogli per lo sviluppodi abilità visive, motorie e costruttive

MILANO - Si chiamano "nativi digitali": sono i bambini nati dopo il 2000, più avvezzi alla realtà virtuale che alla vita reale. Ma nel

passaggio alla vita "tecnologica" pare proprio che questi bambini rischino di dimenticare abilità utili nella realtà quotidiana, quali allacciarsi le scarpe o andare in bicicletta, come ci dice una ricerca cecoslovacca svolta recentemente "interrogando" 2200 mamme di bimbi dai 2 ai 5 anni. Ora una ricerca condotta da neurofisiologi francesi e norvegesi conferma che qualcosa si è davvero perso nel passaggio dalla penna alla tastiera. Lo studio, pubblicato su Advances in Haptics, dimostra che scrivere a mano "accende" il nostro cervello molto più che digitare su una tastiera. Scrivendo su carta, gli occhi e i movimenti della mano seguono la creazione della lettera: mentre tracciamo il segno di una "s" vediamo e "sentiamo" formarsi pian piano le curve che la compongono. E questo accende molte più aree cerebrali rispetto al digitare la stessa "s" al computer: in questo caso, infatti, basta premere un tasto ed eccola là sullo schermo, tutta intera.

LETTERE - Le aree sensoriali e motorie si attivano comunque, perché la mano si è mossa e gli occhi vedono la lettera, ma in maniera molto inferiore. In un altro esperimento i ricercatori hanno chiesto a due gruppi di volontari di imparare un alfabeto sconosciuto di 20 lettere, in un caso esercitandosi a scriverlo a mano, nell'altro utilizzando solo il computer; dopo tre e sei settimane chi doveva usare carta e penna aveva imparato di più e ricordava meglio l'alfabeto rispetto ai volontari "digitali". «Scrivere a mano implica capacità visive, viso-motorie e viso-costruttive molto superiori al semplice digitare su una tastiera - commenta Cesare Cornoldi, responsabile del Laboratorio sulla memoria e i processi cognitivi dell'apprendimento al Dipartimento di psicologia generale dell'Università di Padova -. Una volta imparate le lettere, però, a noi interessa che un bimbo impari a esprimere per iscritto concetti e idee. In questo caso il computer può rivelarsi un sostegno prezioso: può infatti aiutare i bambini, attraverso software specifici, a individuare e correggere gli errori di scrittura e quindi a produrre un testo più corretto e ricco. Le scuole si chiedono se sia opportuno introdurre il pc in classe al posto dei libri: la risposta non è univoca, ma di certo il computer oggi è una risorsa non trascurabile».

Elena Meli30 gennaio 2011

da il Corriere.it

(Corbis)

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Cervello: scrivere a mano sviluppa abilità mentaliPer il nostro cervello scrivere a mano è efficace a sviluppare abilità mentali. Quella di usare carta e penna è un’abitudine che tende sempre più ad essere messa da parte soprattutto dalle nuove generazioni, le quali preferiscono ricorrere maggiormente alla tastiera del computer. Eppure scrivere a mano fa bene ai nostri processi mentali.

Così afferma uno studio portato avanti da ricercatori francesi e norvegesi, i quali hanno messo in evidenza che nello scrivere a mano vengono implicate molteplici aree cerebrali rispetto a quelle che vengono attivate quando si usa la tastiera del pc. D’altronde si sapeva già che scrivere può essere considerato una cura per la psiche. Esprimere pensieri ed emozioni, ma rigorosamente sulla carta, perché in questo modo riusciamo a sviluppare abilità visive, motorie e costruttive.

Se è vero che la scrittura è una valida alleata contro l’ansia e lo stress, non dovremmo lasciarci sfuggire l’occasione per mettere alla prova le nostre personali capacità mentali. Gli studiosi si sono accorti che un gruppo di soggetti che aveva utilizzato la scrittura a mano dopo qualche settimana avevano sviluppato maggiori capacità di apprendimento e di memoria.

A questo proposito Cesare Cornoldi, responsabile del Laboratorio sulla memoria e i processi cognitivi dell’apprendimento al Dipartimento di psicologia generale dell’Università di Padova, ha spiegato:

Scrivere a mano implica capacità visive, viso-motorie e viso-costruttive molto superiori al semplice digitare su una tastiera.

I bambini dovrebbero essere spinti fin da piccoli a fare buon uso della scrittura a mano, che comunque non implica un totale rifiuto di quella digitale, utile ad imparare le lettere e a fare meno errori di ortografia.

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L'invecchiamento cerebrale e la scritturaLo studio del rapporto tra cervello e corpo ed in particolare di un rapporto diretto tra cervello e mano è stato oggetto di interesse e di ricerche già dai primi anni dell’ottocento quando Charles Bell, ipotizzò l’esistenza di impulsi che partivano dal cervello per arrivare alla mano e l’esistenza di altri impulsi che effettuavano il percorso inverso.Alle sue ricerche seguirono poi (solo per nominarne alcune) quelle del fisiologo Charles Sherrington e di alcuni suoi allievi che hanno permesso di capire che la scrittura è un particolare tipo di movimento effettuato dal corpo come reazione del cervello ad alcuni segnali interni od esterni ad esso; e quelle effettuate in Russia tra il 1930 ed il 1940 dal fisiologo Beirnstein e tra il 1970 ed il 1990 dal neurofisiologo finlandese Granit , che hanno riguardato in particolare l’organizzazione del sistema motorio nell’uomo, e che hanno portato a sostenere che nell’ideazione motoria dei movimenti complessi della mano viene attivata l’area supplementare motoria che risiede davanti alla corteccia motoria.L’argomento è stato, inoltre, oggetto di interesse anche da parte dei maggiori maestri della grafologia da Klages per il quale “ la scrittura è la registrazione materiale del movimento dello scrivente, tutte le proprietà dell’immagine grafica possiedono le qualità del movimento che l’ha prodotto ”, a Padre Girolamo Moretti che afferma che la scrittura “ è un movimento spontaneo della mano azionato dal cervello ”, a Pulver per il quale “ la forma del linguaggio grafico non dipende, in primo luogo, dalla mano, ma da certe parti corticali del cervello da cui partono gli impulso motori che governano il movimento della penna ”.Oggi, quindi, la neurologia e la fisiologia ci insegnano che la scrittura è “una funzione cerebrale e corticale” e che il controllo motorio di questa richiede l’intervento di due sistemi del nevrasse (ossia dell’encefalo e del midollo spinale considerati nel loro complesso): il sistema piramidale che si fonda sul cervelletto e che interviene attivamente nella scrittura funzionando da regolatore dell’energia da conferire ai muscoli, ed il sistema extrapiramidale che trova i suoi centri di più elevata attività nel corpo striato situato nella profondità degli emisferi cerebrali.Gli studi effettuati sul cervello umano hanno, inoltre, permesso di distinguere all’interno di questo due emisferi: quello destro e quello sinistro, e quattro lobi: il frontale, il temporale, il parietale e l’occipitale, ed è proprio il primo (quello frontale), ed in particolare la cd. corteccia motoria primaria, a regolare il movimento della mano. Posto questo, nell’anziano a causa della perdita del controllo del sistema extrapiramidale, vi è una compromissione della prestazione motoria, ed in particolare di quella grafica, tanto che da studi fatti è emerso come in oltre la metà dei soggetti anziani vi sia una diminuzione della coordinazione della destrezza, una compromissione dei movimenti di pronazione e supinazione alternante del polso (cd. disdiadocinesia), ed una riduzione di circa il 18% della velocità del movimento.Così, in rapporto ai cambiamenti fisiologici della persona lo scritto subisce delle modificazioni accidentali, ed in particolare gli indici grafologici dell’invecchiamento cerebrale si sostanziano in:- una scrittura rallentata ed appesantita- un ritmo interrotto, posato o lento- una direzione incerta ed irregolare- dei piccoli tratti superflui- dei movimenti a scosse, angolosi e discontinui- la presenza di giustapposizioni ossia di stacchi tra lettere- la presenza di tremori- una pressione irregolare o leggera- la presenza di sproporzioni, disuguaglianze di dimensione e deformazione di singole lettere- la presenza di un rimpicciolimento delle lettere.

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A cura della Dott. ssa Giulia Ciciani Grafologo, Grafologo giudiziario

Da Il sole 24 ore

Come schierarsi nella guerra dei font tra Helvetica e Comic Sans20 settembre

In rete si combatte una guerra sanguinosa. Attacchi feroci e humor nero, insulti, inviti all’eliminazione finale. Molti si sono già schierati: Comic sans o Helvetica? I due font, diversissimi tra loro, hanno polarizzato le opposte fazioni, paladine di modi completamente differenti di intendere la scrittura. Da un lato c’è chi mira a una comunicazione libera, informale, divertente, che punta a conquistare con il sorriso. Sulla sponda opposta si sono invece schierati i cultori della forma, i brand delle grandi marche, molti designer e grafici di successo. Per capire cos’è accaduto, bisogna fare qualche passo indietro.

“La scrittura rivela l’uomo se vuole e anche se non vuole – scriveva il drammaturgo e poeta Stefan Zweig nei primi decenni del Novecento – È unica, come lui”. Oggi però a mano si scrive sempre meno e praticamente si continua a farlo solo a scuola. Presto, un’affermazione come quella di Zweig potrebbe non avere più senso: il gesto grafico è qualcosa di vivo, che si evolve insieme a noi durante tutta la vita ma i font? “Anche la scelta del font esprime quello che siamo, proprio come la scrittura a mano - dice Paola Urbani, presidente dell’Associazione italo-francese di grafologia (Agif) – Alcuni font del resto imitano la scrittura a mano e sceglierne uno piuttosto che un altro indica il nostro riconoscerci in determinate caratteristiche“.

Chi utilizza il Comic sans, su cui è stata fatta tanta polemica in rete, è una persona che si sente libera, informale, divertente. Qualcuno che non vuole dare troppo peso alle cose che dice. Questo font maltratta la forma, la rende ambigua, poco chiara, malsicura e in questo modo fa dell’ironia, mettendo in discussione la sua stessa funzione comunicativa. Irride e deride. Rappresenta i valori del dubbio, delle rimesse in discussione, dello scetticismo. Quindi non è adatto a un tipo di comunicazione che voglia trasmettere un’impressione di serietà, affidabilità e che voglia comunque darsi importanza. Helvetica invece è chiaro, ben leggibile, rigido e assertivo, adulto. Si prende e viene preso sul serio. Chi lo ama effettua le scelte su base razionale, apprezza la sicurezza, la tenacia e il successo sociale. Per questo Helvetica è il font scelto da molte grandi marche: rassicura, propone qualcosa di conforme agli standard, che non offre sorprese ma mantiene le promesse. Non qualcosa di originale e di innovativo, ma di affidabile. Esprime una personalità di tipo classico che fa propri i valori di efficacia e affidabilità.

 La scrittura è un filo diretto tra mano e cervello, una specie di elettrocardiogramma ordinato della nostra personalità.

Molti studi hanno già dimostrato che rieducare la scrittura ha effetto sul cervello e può aiutare a superare alcune piccole nevrosi e disagi psichici. Quindi il filo corre nelle due direzioni: da un lato trasmette alla mano gli impulsi dettati dal cervello, che rivelano la nostra personalità, dall’altro ritrasmette al cervello gli impulsi dettati dalla mano, che possono intervenire su di esso e in alcuni casi curarlo. Cosa succederà allora quando metteremo via per sempre la penna per scrivere solo su delle tastiere?

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“Credo che anche i font ci cambieranno, sottolineando e amplificando le corrispondenti caratteristiche del nostro carattere – continua Urbani, autrice di una decina di pubblicazioni sulla grafologia – Probabilmente, ma questo è un campo completamente nuovo nel quale non esistono ancora studi di riferimento, usare sempre un certo font per un lungo periodo di tempo modifica il nostro carattere. Per esempio, ad abbandonare un font misantropico come Biergarten si diventa più collaborativi, mentre chi usa sempre lo Stencil, che presenta molti annerimenti ed è il corrispettivo di una scrittura angolosa e ingorgata d’inchiostro, può sviluppare una personalità aggressiva. Sempre ammesso che si possa scegliere, ovviamente“.

L’uso diffuso del Times, per esempio, porta a una certa omologazione. Ma chi può negare che stia avvenendo? Il Times New Roman è un font serio, che ormai si può definire tradizionale. È il corrispettivo informatico di quella che un tempo era la scrittura calligrafica e denota un desiderio di essere conformi a uno standard di serietà, senza strafare. Davvero la scrittura a mano potrà un giorno scomparire? E cosa perderemo con lei? “Moltissimo – dice Urbani – Sappiamo per esempio che usando una penna si memorizza meglio e si organizzano le conoscenze in modo più efficace. Chiunque può facilmente verificarlo facendo una prova: scrivere un testo al computer o scrivere un testo a mano sono due cose molto diverse e la scrittura manuale aiuta a ricordare meglio, senza contare il portato emotivo. Quella manuale è una comunicazione più personale: un biglietto scritto a mano ha un valore emotivo incomparabilmente maggiore rispetto a uno scritto al computer”.

In definitiva, l’adagio grafologico ‘dimmi come scrivi e ti dirò chi sei’, rimane valido anche se invece di una penna si usa una tastiera. Quindi, attenzione a che font scegliete. Usare lo stesso per un curriculum e una lettera galante può essere un grave errore in almeno uno dei due casi. E se poi non sapete trovare il font adatto per voi, potete rispondere alle domande del test ”What font are you?” per scoprire quale corrisponde maggiormente al vostro carattere.

Roma, 20 settembre 2012ALESSANDRA VIOLA

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Da Didattica e Cervello

domenica 19 gennaio 2014

Come si apprendono le parole, la lettura e la scrittura

L’emisfero sinistro è considerato quello 'razionale' o 'verbale': il linguaggio è controllato dalle aree di Broca (produzione, scoperto nel 1861) e di Wernicke (comprensione 1874), mentre altre due zone specifiche controllerebbero la lettura (area di Déjerine 1874) e la scrittura (area di Exner 1881)

Quando nel 2006 Windows lanciò l’assistente vocale per la lettura di un testo visualizzato sullo schermo del computer sembrava una grossa novità . Il nostro cervello questa funzione l’ha invece sempre avuta, quantomeno fin da quando è stata sviluppata la scrittura.

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Ma come funziona il nostro assistente vocale interno, quella voce silenziosa che sentiamo nella nostra testa quando leggiamo un giornale o un libro ?

Vari studi hanno dimostrato che durante la lettura aumenta l’attività metabolica della corteccia cerebrale uditiva, soprattutto nelle aree deputate al riconoscimento vocale, indicando che leggere induce un aumento dell’attività nervosa delle aree cerebrali dell’ascolto, anche se, in effetti, veri suoni non ce ne sono. Ma si tratta di un meccanismo automatico diretto o il nostro assistente vocale viene attivato attraverso altri circuiti accessori? Un gruppo di ricercatori francesi e cileni, rispettivamente delle Università di Lione e Marsiglia e di Santiago del Cile, hanno pubblicato sul Journal of Neuroscience uno studio che ha cercato di capirlo usando la risonanza magnetica funzionale che consente di individuare quali aree del cervello si attivano in funzione di una certa attività mentale.

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I ricercatori franco-cileni hanno scoperto che la voce interna che pronuncia mentalmente le parole che leggiamo si avvale del contributo sia dei circuiti visivi sia di quelli uditivi i quali, a loro volta, attivano precise aree della corteccia cerebrale temporale secondo una precisa sequenza: la temporale superiore traduce la scrittura in suoni e la laterale li rende intelligibili. Questa zona posta vocino alla tempia è chiamata circonvoluzione di Wernicke, dal nome del neurologo polacco che nel 1874 capì che qui risiedono i sistemi che regolano il linguaggio espressivo consentendoci di produrre le parole nel giusto ordine sequenziale e temporale in modo da essere capite. Quando leggiamo ad alta voce l’area di Wernicke invia le sue informazioni a un’altra area chiamata di Broca, dal nome del neurologo francese Paul Broca che scoprì come quest’area serva a produrre il linguaggio che viene ottenuto mandando i suoi impulsi alle aree motorie che controllano i muscoli della laringe e della lingua che ci fanno parlare. Se usiamo solo l’assistente di lettura non c’è, però, bisogno di emettere suoni articolati e il circuito si ferma all’area di Wernicke dove le parole lette sono prima tradotte e rese comprensibili e poi inviate in forma di impulsi all’area acustica che ce le fa sentire.

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C’è infine un altro fattore importante. Ai soggetti dello studio venivano presentate in sequenza parole luminose su uno schermo e l’attivazione del circuito visivo-temporale-acustico che ne derivava è risultata fortemente correlata al livello di attenzione che i soggetti riservavano alle parole presentate: più stavano attenti a ciò che leggevano, più il circuito si attivava e viceversa. È peraltro esperienza comune che in una lettura superficiale e disattenta le parole sembrano scorrere in silenzio e le ricordiamo a malapena, evidentemente perché il nostro assistente vocale non viene fatto scendere in campo con tutte le sue potenzialità.

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Ma come si comporta questo assistente vocale in una lingua completamente diversa dalla nostra, come il cinese? L’italiano o il francese sono lingue basate sull’alfabeto e le lingue latine in genere si basano su concetti astratti, mentre il cinese si basa su pittogrammi formati da caratteri simbolici stilizzati che si riferiscono a oggetti reali. Secondo un altro studio appena pubblicato su PNAS da ricercatori francesi e di Taiwan, rispettivamente delle Università di Parigi e di Taipei, ad aiutare l’assistente vocale dei cinesi ci pensa un’altra area cerebrale chiamata area di Exner, dal nome del neurologo austriaco, contemporaneo di Freud e del quale aveva anche lo stesso nome: Siegmund. Exner scoprì che questa zona dell’emisfero sinistro controlla la scrittura, un controllo sia attivo che passivo, cioè sia della lettura della scrittura che della sua produzione, tant’è vero che uno studio francese dell’Institut national de la santé et de la recherche médicale pubblicato quest’estate su Neuroimage ha evidenziato che nei bambini dislessici con problemi di lettura, quest’area è più sviluppata del normale perché la usano per compensare parzialmente le loro difficoltà, cercando di risalire alla parola attraverso i movimenti delle dita che la scrivono.

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L’area di Exner infatti è un’area cosiddetta premotoria, cioè è capace di immaginare quali movimenti servono per ottenere un certo risultato: nel caso della scrittura prevede quali movimenti compiono le dita della mano per vergare una certa lettera o, nel cinese, un certo segno stilizzato, a prescindere che corrispondano a un concetto astratto o concreto. Se provate a scrivere tenendo gli occhi chiusi vi troverete un po’ nella stessa situazione di chi legge un pittogramma: sarà infatti quest’area a guidare la vostra mano e se poi leggete mentalmente cosa state scrivendo il vostro assistente vocale riuscirà a farlo con l’aiuto dell’area di Exner che traduce i movimenti della mano nelle parole della frase scritta, parole che successivamente l’area di Wernicke renderà intelligibili avviando il solito processo che si verifica quando quelle parole le vedete scritte su un foglio di carta. In definitiva l’assistente vocale dei cinesi legge anche con le mani, mentre il nostro soprattutto con gli occhi, ma alla fine tutti sentiamo la sua voce allo stesso modo.

Pubblicato da gabry venturiello a 12:21

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Angela Padrone 3/2/2014 Il Messaggero carta stampata pagina 11

“Allarme scrittura, i giovani non sanno più usare la penna”, di Angela Padrone

Disabituarsi alla grafia manuale per i pedagoghi danneggia il cervello.

IL PIANO

ROMA«Mamma, ma perché devo proprio imparare a scrivere bene le lettere? Basta che pigi i tasti e vengono da sole….» Paolo, quarta elementare, ha già ben chiaro il problema: vale la pena impegnare i bambini, e poi i ragazzi, con la scrittura a mano, visto che poi useranno sempre di più la tastiera? Ha ancora senso sforzarsi con penna e matita? Negli ultimi anni l’allarme di molti pedagoghi si è diffuso soprattutto nel mondo occidentale: quattro anni fa una ricerca americana constatava che i ragazzi di 16-17 anni non sapevano più scrivere in corsivo, l’85% usava già solo lo stampatello. In Gran Bretagna la ricerca di Docmail rilevava due anni fa che un adulto usava carta e penna per scrivere al massimo una volta ogni 41 giorni e che un terzo delle persone non aveva scritto nulla a penna nei precedenti sei mesi. Si dirà: pazienza, è il mondo che cambia. Invece non è così: la scrittura influenza chi siamo.

SCRITTURA E CERVELLOCi sono ricercatori convinti che la perdita di dimestichezza con la penna abbia effetti negativi sul nostro cervello. Manfred Spitzer, psicologo tedesco e specialista del cervello, ha scritto “Demenza digitale” (Il Corbaccio) un libro nel quale sostiene che l’uso della tecnologia abbia effetti negativi sull’ippocampo, portando alla perdita della memoria, alla riduzione delle capacità spazio-temporali e, alla lunga, anche a una maggiore probabilità di sviluppare l’Alzheimer. Esempi pratici che ognuno può verificare su se stesso: l’atrofizzazione della memoria numerica (nessuno ricorda più i numeri di telefono, perché sono tutti nella memoria del cellulare), perdita del senso di orientamento (senza navigatore ormai ci si smarrisce).«Perdere la capacità di scrittura manuale sembra avere dei risvolti negativi sulla qualità del pensiero». Questa è la teoria del professor Bernardo Vertecchi, ordinario di Pedagogia dell’Università Roma Tre: quando si scrive con la tastiera c’è più distacco tra la persona e il testo, sostiene. Viceversa scrivere a mano metterebbe in moto qualcosa nel nostro cervello e non solo migliorerebbe la padronanza della lingua, ma ne sarebbero influenzate perfino le capacità matematiche. «Per non parlare del senso di autonomia – aggiunge Vertecchi – che dà la capacità di scrivere velocemente degli appunti su un pezzo di carta». Per mettere alla prova questa idea Vertecchi ha messo in piedi un progetto sperimentale, che coinvolge 350 bambini delle classi elementari di terza, quarta e quinta, in due scuole di Roma l’Ic Tor de’ Schiavi-Cecconi e l’Ic Mar dei Caraibi di Ostia.

«NULLA DIES SINE LINEA»Il progetto è intitolato Nulla dies sine linea (neanche un giorno senza tracciare una linea), e ipotizza i benefici di un esercizio costante. «Noi abbiamo preparato dei fogli che vengono distribuiti ai bambini tutti i giorni per un periodo di circa 5 mesi» spiegano due delle curatrici del progetto, le dottoresse Gabriella Agresti e Cinzia Angelini. Ogni bambino è identificato da un codice, visto che non si vuole trasformare il progetto in una valutazione, e i bambini devono scrivere un numero fisso di righe su un argomento diverso ogni giorno, che sia la descrizione di una giornata di vacanza, o l’aula in cui si trovano e così via. Alla fine si cercherà di scoprire se l’esercizio quotidiano avrà prodotto un cambiamento non solo nella capacità di scrittura manuale, ma soprattutto nell’uso del

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lessico e nell’organizzazione dei concetti. Così i genitori potranno spiegare ai propri figli perché non basta imparare a pigiare sui tasti: scrivere a mano potrebbe mi! gliorare la capacità di pensiero.

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SCRIVERE FA BENE AL CERVELLO DEI BAMBINIPosted on marzo 14, 2011 by rossella grenci

Un’interessante notizia su The Telegraph del 20 gennaio ci dice che la Professoressa Anna Mangen, dell’Università di Stavanger in Norvegia, ha eseguito una ricerca dalla quale è emerso che i bambini e gli studenti che scrivono a mano imparano meglio di quelli che utilizzano solo il PC. Lettura e scrittura mettono in moto una serie di sensi e, inoltre, quando si scrive a mano il nostro cervello riceve risposte direttamente dalle nostre dita.Solo due mesi prima  su Il vero benessere appariva un articolo simile, che ha molte cose in comune con lo studio della Professoressa Mangen, leggete voi stessi:“Un tempo si piangeva la capacità di fare le operazioni a mente: tutta colpa delle calcolatrici. Ora è l’abilità di scrivere a mano che perde terreno a favore delle tastiere, soprattutto nell’età della scuola. Computer o telefonini che siano, i caratteri sempre più spesso vengono digitati su uno schermo anziché essere disegnati in tutte le loro bambinesche rotondità.

I primi allarmi fra i pedagogisti risalgono agli anni ’90. E anche se è francamente fuori luogo parlare di invasione dei computer nelle scuole italiane, dell’orizzonte dell’estinzione della scrittura a mano nei paesi anglosassoni si parla da anni.“Un testo scritto a mano contiene una riflessione. Un testo scritto al computer o con il telefonino, il più delle volte, assolve alla funzione di trasmettere un messaggio” sostiene Franco Frabboni, che insegna alla facoltà di Scienze della formazione dell’università di Bologna. Le sue conclusioni coincidono con gli studi che Steve Graham, professore alla Vanderbilt University negli Stati Uniti, conduce da anni sui bambini delle elementari.L’anno scorso ha preso un gruppo di scolari di sei anni, in grado di tracciare a mano solo una dozzina di lettere al minuto e gli ha consigliato di seguire un programma speciale, con un quarto d’ora al giorno di esercizi per tre volte alla settimana. Dopo nove settimane, non solo i bambini erano diventati molto più rapidi, ma avevano anche imparato a comporre strutture sintattiche molto più articolate rispetto ai coetanei.“Oggi siamo abituati a considerare la scrittura a mano come una perdita di tempo” sottolinea Frabboni. “La tastiera è più rapida ed efficace, impossibile negarlo. Ma inconsapevolmente trascina la nostra scrittura verso una forma più sciatta e banale di espressione. La soluzione migliore per la scuola italiana sarebbe il banco a due piazze: da una parte carta e penna, dall’altra il computer”.

Negli Stati Uniti negli anni ’60, la ditta Zaner-Bloser specializzata in strumenti per l’apprendimento della calligrafia raccomandava 45 minuti di esercizio al giorno. Oggi anche i suoi insegnanti si sono adeguati ai tempi, riducendo la pratica quotidiana a 10 minuti. Neanche da trascurare è la lamentela degli storici, abituati a interpretare i manoscritti. Una società incapace di scrivere a mano sarà ugualmente handicappata

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nell’interpretare la calligrafia altrui, e quindi nel leggere i documenti originali del passato.

Un altro motivo per cui Frabboni e gli altri pedagogisti suggeriscono di esercitarsi sia con la penna che con la tastiera è che le due attività coinvolgono aree diverse del cervello, tutte importanti. Per scrivere a mano il cervello fa ricorso a quella memoria procedurale che viene appresa una volta per non essere mai più persa nella vita. Come andare in bicicletta o allacciarsi le scarpe, queste attività non possono essere insegnate a parole, ma solo tramite imitazione e esercizio. Una volta apprese, vengono conservate in serbatoi della memoria particolarmente solidi, che le rendono inossidabili anche dopo anni di mancanza di esercizio.

“L’Italia è un paese spaccato in due, per quanto riguarda l’uso dei computer fra i bambini” continua Frabboni. “Nelle scuole del sud si fa ancora molto affidamento alla scrittura a mano, mentre nel centro-nord comincia a diffondersi in maniera importante l’uso dei computer. Non ho nulla in contrario, ma lo considero uno dei tanti segnali della perdita di corporeità dei nostri ragazzi. Vita sedentaria, isolamento, perdita della manualità, riduzione della capacità di introspezione e riflessione. Rimango convinto che il diario delle nostre emozioni quotidiane è scritto a penna, non al computer”.

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Da Treccani.it

LateralitàUniverso del Corpo (2000)

di Giovanni Berlucchi e Bruna Rossi

Lateralità

Con il termine lateralità si definisce genericamente l'asimmetria fra la metà destra e quella sinistra del corpo umano e, in senso più specifico, la parziale asimmetria funzionale dei due emisferi cerebrali, per la quale le funzioni cognitive e comportamentali più analitiche e razionali, tra cui il linguaggio, sono localizzate nell'emisfero sinistro, mentre quelle sintetiche e immaginative lo sono nel destro. Anche se mancano dati certi, si ritiene che un'asimmetria morfologica tra gli emisferi cerebrali costituisca la base delle loro differenti competenze linguistiche e della dominanza manuale, con la preferenza in genere accordata alla mano destra. La diversa specializzazione funzionale dei due emisferi sembra avere implicazioni significative anche nel campo dell'attività motoria e dello sport. È stata avanzata l'ipotesi che vi sia un vantaggio neurofunzionale per gli atleti mancini, dovuto a una peculiare organizzazione cerebrale.

sommario: Aspetti neurologici. l. L'asimmetria nell'aspetto esteriore. 2. L'asimmetria funzionale fra gli emisferi del cervello. 3. Destrimani e mancini. 4. Fattori genetici ed epigenetici. 5. Asimmetrie di lato nel mondo animale. Specializzazione cerebrale e mancinismo nello sport. □ Bibliografia.

Aspetti neurologicidi Giovanni Berlucchi

l. L'asimmetria nell'aspetto esteriore Le asimmetrie fra le metà destra e sinistra del corpo si manifestano sia nel suo aspetto esteriore sia nella sua organizzazione interna. Anche se la struttura esterna generale del corpo umano presenta a prima vista una simmetria speculare bilaterale, è possibile mettere in evidenza asimmetrie regionali non cospicue ma sistematiche fra destra e sinistra. Queste asimmetrie, come quelle interne ben più vistose, dipendenti dalla collocazione eccentrica di visceri impari, come il cuore, lo stomaco, il fegato, il pancreas, la milza ecc., sono determinate in parte da meccanismi genetici e in parte da fattori epigenetici prenatali che graduano e differenziano i processi di sviluppo e maturazione lungo l'asse laterolaterale del corpo e dei singoli organi (Yost 1992). Un esempio notevole di asimmetria esterna è rappresentato dalle differenze più o meno spiccate che esistono fra le due metà della faccia in tutti gli individui. Un fotomontaggio di una faccia di una persona costruito con due fotografie identiche dell'emifaccia destra, una delle quali sia invertita specularmente, appare decisamente diverso dall'analogo fotomontaggio costituito da due fotografie dell'emifaccia sinistra. A loro volta entrambi i fotomontaggi differiscono apprezzabilmente dalla fotografia originale di partenza, e per quasi tutti gli osservatori la somiglianza con la faccia naturale è maggiore per il fotomontaggio realizzato con le emifacce destre. Questa impressione dipende non solamente dall'asimmetria fra le due emifacce, ma anche da un'altra forma di lateralità che in questo caso riguarda l'osservatore, e più precisamente dall'asimmetria funzionale fra i suoi emisferi cerebrali nella percezione delle facce.

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2. L'asimmetria funzionale fra gli emisferi del cervello Il termine lateralità, in senso stretto, fa riferimento proprio all'asimmetria funzionale fra gli emisferi del cervello umano in vari processi cognitivi, affettivi e comportamentali, inclusa la preferenza per l'uso di una data mano. Fin dal 19° secolo è noto che i disturbi causati da lesioni unilaterali di aree corrispondenti dei due emisferi cerebrali dell'uomo possono essere molto diversi, a seconda che la lesione colpisca l'emisfero destro o quello sinistro. I primi studi di localizzazione di funzioni lateralizzate avevano dato adito alla teoria della dominanza assoluta dell'emisfero sinistro, sede, nella maggior parte degli individui (circa il 90%), dei centri del linguaggio parlato, della scrittura e della lettura, nonché del controllo prassico della motilità. Tuttavia, esperienze successive hanno dimostrato che lesioni di aree specializzate dell'emisfero destro (ma non dell'emisfero sinistro) causano disturbi dell'orientamento nello spazio, del riconoscimento di facce e di stimoli complessi non verbali, visivi, uditivi e tattili, nonché di abilità musicali. Non esiste pertanto una dominanza assoluta di un emisfero sull'altro, bensì una divisione del lavoro fra due organi che si equivalgono per la loro importanza funzionale complessiva, pur essendo in possesso di specializzazioni parzialmente diverse e complementari; nel funzionamento normale del cervello, entrambi gli emisferi contribuiscono, sia pure spesso in modi qualitativamente e quantitativamente differenziati, a tutti gli aspetti dei processi psicologici e del controllo del comportamento (Kolb-Whishaw 1996). Questa unitarietà d'azione viene assicurata dal corpo calloso, la via di connessione primaria fra le aree corticali dei due lati, che costituisce la base per l'integrazione e l'armonizzazione delle funzioni degli emisferi cerebrali. Il corpo calloso è anche il tramite principale per la propagazione bilaterale di accessi convulsivi inizialmente unilaterali, tanto che in pazienti con forme gravi di epilessia resistenti ai farmaci può essere necessario eseguire una resezione dello stesso. In pazienti cui è stato praticato tale intervento, sottoposti a prove che limitino a un solo emisfero le informazioni di senso, si generano comportamenti che riflettono le competenze specifiche dell'emisfero stimolato: l'emisfero sinistro mostra una normale capacità di 'parlare' dei suoi processi mentali ed eccelle in tutte le funzioni cognitive dipendenti dal linguaggio, matematica inclusa, mentre l'emisfero destro è praticamente incapace di esprimersi a parole o per iscritto. Ciò nonostante, l'emisfero destro possiede qualche capacità di comprendere le parole pronunciate dall'esaminatore e di eseguire compiti su istruzione verbale, rivelandosi superiore all'emisfero sinistro in prove che richiedono, per es., la discriminazione e la memorizzazione di forme prive di senso, l'esecuzione mentale di trasformazioni spaziali, il riconoscimento delle facce e l'interpretazione delle espressioni facciali (Sperry 1984). Una caratterizzazione concisa e abbastanza efficace, anche se semplicistica e non del tutto esatta, delle differenze fra i processi cognitivi dei due emisferi attribuisce al sinistro la tendenza a elaborare le informazioni in modo analitico e sequenziale, e al destro la tendenza a elaborare le informazioni in modo sintetico e globale. Le asimmetrie funzionali fra gli emisferi cerebrali sono state dimostrate anche in soggetti con cervello integro, analizzando le piccole ma sistematiche differenze fra le risposte a stimoli lateralizzati all'uno e all'altro emisfero. Per es., stimoli visivi o tattili provenienti da destra sono di regola denominati dai soggetti normali più rapidamente e accuratamente degli stessi stimoli che giungano da sinistra, poiché l'organizzazione anatomofunzionale delle vie visive e somatosensitive fa sì che gli stimoli lateralizzati a destra accedano direttamente ai centri del linguaggio nell'emisfero sinistro. Per arrivare a questi centri, gli stimoli provenienti da sinistra devono essere trasferiti dall'emisfero destro a quello sinistro tramite il corpo calloso, e ciò comporta un lieve ritardo e probabilmente anche una certa degradazione delle informazioni. Viceversa, le facce sono percepite meglio nell'emicampo visivo sinistro che in quello destro per la superiorità funzionale dell'emisfero destro in questo compito. Tale superiorità spiega perché l'emifaccia destra (che nella visione frontale cade nell'emicampo sinistro dell'osservatore) abbia un maggior peso dell'emifaccia sinistra nel riconoscimento facciale, come si è detto in precedenza. Più recentemente lo studio delle differenze funzionali fra gli emisferi cerebrali ha potuto avvalersi dei mezzi moderni di visualizzazione non invasiva dell'attività regionale del cervello durante compiti cognitivi e motori. I

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risultati confermano l'esistenza di chiare asimmetrie di lato nelle attività emisferiche a seconda dei requisiti dei compiti impiegati, e suggeriscono che tali asimmetrie possano essere anche più pervasive di quanto si potesse desumere dagli studi condotti con metodi tradizionali (Imaging the brain 1995).

3. Destrimani e mancini Da migliaia di anni, probabilmente fin dalla preistoria, la prevalenza della mano destra nelle attività motorie quotidiane ha distinto la specie umana in una maggioranza di destrimani e una minoranza di mancini (Bryden 1982). All'uso preferenziale di una mano fa riscontro un maggiore sviluppo della muscolatura del relativo arto superiore, ma questa asimmetria morfologica è quasi certamente un effetto anziché una causa dell'asimmetria funzionale. Se si considera un'attività motoria specifica come la scrittura manuale in individui che abbiano imparato a scrivere utilizzando la mano preferita 'spontaneamente', circa il 90% dei soggetti scrive con la destra e circa il 10% con la sinistra. Ovviamente, laddove vige ancora, come più diffusamente in passato, l'imposizione forzata dell'uso della destra nella scrittura, la percentuale di coloro che scrivono con la sinistra scende tanto al di sotto del 10% quanto più è praticata la coercizione. Tuttavia, anche in questi casi circa il 10% degli individui sceglie preferenzialmente la mano sinistra per varie altre attività motorie (lanciare, tagliare ecc.), e pertanto si ritiene che il rapporto di 9:1 fra soggetti destrimani e quelli non completamente destrimani o francamente mancini sia una delle costanti biologiche di tutte le popolazioni umane oggi esistenti. In realtà, la distribuzione della scelta manuale non è esattamente binomiale, poiché in non pochi individui la preferenza di lato può variare da un'attività motoria all'altra, anche indipendentemente da influenze culturali. Fra i gruppi estremi di soggetti che preferiscono sempre e comunque usare la mano destra (pari a circa il 66%) o quella sinistra (pari a circa il 4%), il rimanente 30% degli individui mostra vari gradi di preferenza mista per l'una e l'altra mano (Annett 1995). Inoltre, la bontà della prestazione motoria (la 'destrezza', termine non del tutto felice) è incompletamente correlata con la preferenza manuale, nel senso che all'atto pratico la mano preferita per un dato compito non è sempre necessariamente quella che lo esegue meglio. In sintesi, si può affermare che vi è una tendenza spontanea costituzionale a preferire l'uso di una determinata mano (la destra per la maggioranza degli individui), ma la preferenza spontanea non è sempre un indice di maggiore destrezza, e comunque può essere invertita o attenuata con la pratica. Infatti, come la pressione culturale fa sì che soggetti tendenzialmente mancini scrivano con la destra, così l'uso della sinistra può diventare predominante in destrimani la cui mano destra sia soggetta a immobilità prolungata per circostanze contingenti. La correlazione fra mano preferita, piede favorito e occhio favorito è positiva ma imperfetta: per es. il 30% dei destrimani sceglie l'occhio sinistro nella visione monoculare. Poiché le vie motorie principali sono crociate, non è illogico pensare che la preferenza per la mano destra dipenda da una superiorità funzionale dell'emisfero sinistro nel controllo della motilità manuale. Nella ricerca di un potenziale correlato morfologico di questa superiorità, H. Steinmetz (1996) ha riscontrato, con metodi non invasivi in un'ampia popolazione di soggetti senza disturbi neurologici, una correlazione significativa tra dominanza manuale ed entità dell'asimmetria di lato relativa al planum temporale. Il planum temporale corrisponde al labbro inferiore della scissura di Silvio, e antichi studi autoptici avevano indicato che, nella maggioranza dei casi, esso tende a essere più esteso nell'emisfero sinistro che in quello destro, in una percentuale oggi valutabile almeno all'80%. Nella correlazione significativa descritta da Steinmetz il grado di asimmetria a favore del planum di sinistra è massimo nei destrimani, intermedio nei mancini non familiari (cioè senza nessun parente di primo grado mancino), minimo o nullo nei mancini familiari. Peraltro, il significato di questa correlazione con la dominanza manuale non può che essere indiretto, poiché la corteccia del planum temporale non ha funzioni motorie, bensì uditive e linguistiche. Essa comprende infatti aree uditive primarie e secondarie, deputate alla ricezione di segnali acustici in entrambi gli emisferi, e l'area di Wernicke, designata alla comprensione del linguaggio, ubicata nell'emisfero sinistro della grande maggioranza degli individui (l'area corrispondente nell'emisfero

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destro serve probabilmente all'analisi dell'intonazione, anziché del contenuto semantico, dei messaggi verbali). È possibile pertanto che l'asimmetria di lato relativa al planum temporale rappresenti una base morfologica primaria delle differenti competenze linguistiche dei due emisferi, e che la correlazione fra asimmetria del planum temporale e dominanza manuale non sia diretta, ma rifletta un'associazione funzionale fra meccanismi del linguaggio e meccanismi della motilità manuale. La natura di questo legame non è nota, ma è certo che l'emisfero dominante per il linguaggio non è sempre quello controlaterale alla mano preferita. L'utilizzazione della tecnica della narcotizzazione temporanea dell'uno e dell'altro emisfero in pazienti neurochirurgici ha permesso di localizzare i centri del linguaggio nell'emisfero sinistro del 96% dei destrimani e del 70% dei mancini, e nell'emisfero destro del 4% dei destrimani e del 15% dei mancini; nel rimanente 15% dei mancini i centri del linguaggio sarebbero bilaterali (Rasmussen-Milner 1977). Recenti esperimenti con tecniche non invasive su soggetti normali, pur confermando in buona parte questi risultati, suggeriscono che le percentuali di mancini con linguaggio a sinistra e a destra sarebbero pari, rispettivamente, all'80 e al 20%, e che la rappresentazione bilaterale del linguaggio probabilmente sarebbe presente solo in soggetti con lesioni neurologiche (On language laterality 1995).

4. Fattori genetici ed epigenetici La lateralizzazione di funzioni negli emisferi cerebrali e la preferenza manuale hanno con buona probabilità una base genetica, ma sono ampiamente influenzabili da fattori epigenetici sia prenatali sia postnatali. La possibile azione di ormoni steroidi sulla lateralizzazione emisferica e l'eventuale esistenza di differenze sessuali nell'organizzazione cerebrale sono state oggetto di numerose ipotesi (per es., Geschwind-Galaburda 1987; Kimura 1996), ancora ampiamente discusse (Bryden-McManus-Bulman-Fleming 1995). Da un punto di vista strettamente genetico, si deve rilevare che in circa il 20% delle coppie di gemelli monozigoti un gemello è destrimane e l'altro mancino, e nella maggior parte dei casi questa discordanza sicuramente non può essere attribuita a cause patologiche. Secondo Steinmetz (1996), anche nelle coppie di gemelli monozigoti con manualità discordante è osservabile la correlazione sopra descritta fra preferenza manuale e grado di asimmetria fra le regioni temporali: di conseguenza i cervelli dei membri di queste coppie sono tutt'altro che identici. Uno dei modelli più noti della possibile trasmissione ereditaria della lateralizzazione emisferica e della preferenza manuale è quello di M. Annett (1995), che postula l'esistenza di tre genotipi caratterizzati dalla presenza o assenza di un ipotetico gene rs: rispettivamente, omozigoti rs++ (frequenza stimata 0,3242) ed eterozigoti rs+‒ (0,4902), e omozigoti rs- (0,1845). Negli omozigoti rs- i centri del linguaggio e della dominanza manuale si svilupperebbero solo da un lato del cervello, senza nessuna preferenza per l'emisfero destro o sinistro, e indipendentemente gli uni dagli altri, sotto il controllo predominante di fattori epigenetici prenatali. Linguaggio e preferenza manuale potrebbero essere rappresentati così nell'uno o nell'altro emisfero, o anche in emisferi diversi di gemelli monozigoti; e in un individuo l'emisfero dominante per il linguaggio potrebbe essere diverso da quello controlaterale alla mano preferita. Sempre secondo Annett, la presenza del gene rs imprimerebbe invece al processo di sviluppo una prevalenza (sia pure non assoluta) per la localizzazione dei meccanismi per il linguaggio e la preferenza manuale nell'emisfero sinistro.

5. Asimmetrie di lato nel mondo animale Asimmetrie di lato nell'anatomia e nel funzionamento del sistema nervoso sono state descritte in animali vertebrati e invertebrati. Si tratta quasi sempre di asimmetrie individuali e non di popolazione, nel senso che in una popolazione il numero di individui con localizzazione di una funzione a un lato è pari al numero di individui con la lateralizzazione opposta della stessa funzione. Tuttavia, in alcuni casi sono anche state dimostrate lateralizzazioni di popolazione, come, per es., la dominanza dell'elitra destra nella stridulazione del grillo campestre (Berlucchi-Tassinari 1985), la superiorità dell'emisfero sinistro per il controllo del canto in uccelli canori (Nottebohm 1980), la prevalenza dell'emisfero destro per il riconoscimento delle facce nel Macacus rhesus

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(Macaca mulatta; Hamilton-Vermeire 1988), e molte altre ancora (Vallortigara 1994). Ma le vere omologie con la lateralità umana sono limitate, con tutta probabilità, alle scimmie antropomorfe, nelle quali (specialmente nello scimpanzé) sono già state accertate asimmetrie di lato anatomiche e funzionali che presentano notevoli somiglianze con quelle dell'uomo (Primate laterality 1993).

Specializzazione cerebrale e mancinismo nello sport di Bruna Rossi

La diversa specializzazione funzionale dei due emisferi cerebrali e il loro controllo crociato sulla muscolatura degli emicorpi destro e sinistro costituiscono un tema importante per chi si occupa di attività motoria e di sport. Recentemente, in considerazione del fatto che la preferenza manuale sembra essere in buona parte correlata con la specializzazione cerebrale, è stato esaminato con attenzione il problema della diversa percentuale di mancini presenti nella popolazione sportiva rispetto a quella generale, delle presunte differenze esecutive tra atleti destrimani e mancini, nonché dei possibili vantaggi di cui questi usufruirebbero nella pratica dello sport. Negli ultimi anni del 20° secolo, infatti, si è prospettata l'ipotesi che negli atleti, soprattutto in quelli che praticano sport che prevedono un confronto fra due avversari, la percentuale di mancini sia più elevata che nella popolazione normale. Questa ipotesi, inizialmente validata a partire da dati puramente osservativi e considerando quale unico indizio di preferenza manuale l'arto utilizzato nella pratica sportiva di discipline asimmetriche (per es., il tennis o la scherma), è stato per lungo tempo interpretato esclusivamente come la conseguenza di un vantaggio di ordine strategico. Il mancino, infatti, prospetta l'azione in maniera rovesciata rispetto al destrimane, mettendo così in difficoltà l'avversario (destrimane o mancino che sia) poco abituato a schemi percettivi e motori che è più raro incontrare sia in allenamento sia in gara, a causa della percentuale molto bassa di mancini normalmente presente nella popolazione (il 6,7% del totale in quella italiana; Salmaso-Longoni 1985). La maggiore frequenza di successi agonistici indurrebbe, poi, l'atleta che ha questa caratteristica a continuare nella carriera sportiva, e ciò darebbe luogo al fenomeno di una più elevata presenza di mancini riscontrata in alcuni sport. Studi effettuati successivamente, utilizzando metodologie neuropsicologiche classiche le quali prescindono completamente dall'arto usato nello sport, hanno permesso confronti effettivi con dati desunti da statistiche sulla popolazione di riferimento e confronti tra popolazioni di atleti praticanti un gran numero di discipline sportive (Porac-Coren 1981; Salmaso-Rossi-Guadagni 1988; Salmaso-Rossi 1994). I risultati di tali lavori hanno portato a formulare l'ipotesi del vantaggio neurofunzionale dell'atleta mancino, ed evidenziato come il fenomeno del mancinismo sportivo non sia limitato esclusivamente ad atleti praticanti discipline 'asimmetriche' o, comunque, sport quali la boxe oppure la lotta. La particolare organizzazione cerebrale del mancino darebbe infatti luogo a una serie di vantaggi che trascendono quello puramente strategico e che si estendono anche ad atleti che praticano discipline senza avversario diretto, dove l'attenzione visiva e l'orientamento spaziale giocano un ruolo importante (per es., alcune discipline dell'atletica leggera, i tuffi, la ginnastica artistica ecc.). Tali vantaggi neurofunzionali, che si evidenziano essenzialmente in una maggiore accuratezza e velocità di esecuzione, sarebbero da attribuirsi a tre elementi: 1) anzitutto i mancini utilizzano un 'circuito' neuronale più 'corto', in quanto adoperano l'emisfero destro, più adatto per decodificare visivamente l'ambiente, anche per controllare la mano usata nell'azione sportiva (De Pracontal 1981; Rossi-Salmaso 1985); 2) inoltre, in una buona percentuale di mancini (il 15% circa), i quali mantengono per il linguaggio lo stesso assetto funzionale dei destrimani (linguaggio nell'emisfero sinistro), il carico elaborativo dell'emisfero che controlla l'arto impiegato nella pratica sportiva risulterebbe inferiore a quello dei destrimani che gestiscono, tramite l'emisfero sinistro, tanto il linguaggio quanto la motricità dell'emicorpo opposto (Guiard 1981); 3) infine, alcuni mancini usufruirebbero, oltre che del controllo crociato, anche di un notevole controllo omolaterale dei movimenti fini, conseguenza, questa, di un tratto piramidale più sviluppato nel suo contingente

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diretto (Levy 1979). Ciò consentirebbe loro un dominio più raffinato ed efficace del gesto sportivo (Rossi 1990). In considerazione dei rapporti tra emisferi cerebrali e preferenza laterale, vari autori dell'Est europeo hanno sostenuto l'utilità, in termini applicativi, del cosiddetto transfer bilaterale. Tale tecnica consiste nell'allenare al gesto specifico l'emicorpo o l'arto 'minore': il miglioramento che è possibile riscontrare anche nell'esecuzione del lato opposto sarebbe dovuto a una migliore definizione ed efficacia della rappresentazione mentale del gesto. Un intervento di questo tipo è da ritenersi oltremodo utile anche nella delicata fase di correzione di errori già consolidati in atleti praticanti discipline asimmetriche (scherma, tennis ecc.) che abbiano una discreta predisposizione alla bimanualità. Impostare un atleta destrimane a eseguire il gesto con l'arto sinistro sembra invece avere un'utilità limitata all'acquisizione di un vantaggio di tipo strategico, ma non certo neurofunzionale: appare accertato, infatti, che l'utilizzo costante ma imposto di un arto non possa modificare la preesistente organizzazione funzionale dei due emisferi.

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