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Fra’ Ginepro all’Aracoeli Tra le sorprese che la Basilica di s. Maria in Aracoeli custodisce - nel centro di Roma, sul Campidoglio - vi è la memoria delle origini dell’Ordine francescano: i Frati Minori si stabilirono qui già verso il 1248 in sostituzione della precedente comunità benedettina. S. Francesco era morto da poco più di vent’anni e s. Chiara era ancora in vita a s. Damiano. Quando ella moriva, nel 1253, uno dei frati che le fu vicino era fr. Ginepro. Successivamente egli venne a Roma e qui nel 1258 terminò la sua vita terrena : così attesta la lapide posta a memoria dei suoi resti mortali, collocati nella cappella di s. Francesco, sul lato destro del transetto della Basilica. Vale la pena ricordare che all’Aracoeli fino alla fine del XIX secolo esistevano tre chiostri e qui era la sede del Ministro generale e dello Studio dell’Ordine, qui pure vi era la Curia provinciale della Provincia Romana. Tutto fu poi distrutto per ragioni ideologiche per la costruzione del Vittoriano o Altare della Patria, all’interno di una operazione selvaggia e insensata di riassetto urbanistico che ha fatto scomparire una porzione preziosa del cuore di Roma. Al di sopra della lapide che indica il luogo dove sono conservate le spoglie di fr. Ginepro, nel settembre 2015 l’artista Piero Casentini ha realizzato un’opera in resina che ne presenta l’immagine sorridente. 1

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Fra’ Ginepro all’AracoeliTra le sorprese che la Basilica di s. Maria in Aracoeli custodisce - nel centro di Roma, sul Campidoglio - vi è la memoria delle origini dell’Ordine francescano: i Frati Minori si stabilirono qui già verso il 1248 in sostituzione della precedente comunità benedettina. S. Francesco era morto da poco più di vent’anni e s. Chiara era ancora in vita a s. Damiano. Quando ella moriva, nel 1253, uno dei frati che le fu vicino era fr. Ginepro. Successivamente egli venne a Roma e qui nel 1258 terminò la sua vita terrena : così attesta la lapide posta a memoria dei suoi resti mortali, collocati nella

cappella di s. Francesco, sul lato destro del transetto della Basilica. Vale la pena ricordare che all’Aracoeli fino alla fine del XIX secolo esistevano tre chiostri e qui era la sede del Ministro generale e dello Studio dell’Ordine, qui pure vi era la Curia provinciale della Provincia Romana. Tutto fu poi distrutto per ragioni ideologiche per la costruzione del Vittoriano o Altare della Patria, all’interno di una operazione selvaggia e insensata di riassetto urbanistico che ha fatto scomparire una porzione preziosa del cuore di Roma.

Al di sopra della lapide che indica il luogo dove sono conservate le spoglie di fr. Ginepro, nel settembre 2015 l’artista Piero Casentini ha realizzato un’opera in resina che ne presenta l’immagine sorridente. Essa è stata collocata esattamente nel punto in cui si leggeva “Ossa fratris Juniperi, socii sancti Francesci” (iscrizione che quindi non risulta più visibile, in quanto coperta dall’opera). Al di sotto si può leggere un’altra iscrizione che ricorda come i resti di fr. Ginepro furono traslati qui nel settimo centenario della sua morte, nel 1958; precedentemente, da quanto ricorda un Frate anziano, essi erano collocati nel primo grande pilastro posto tra il transetto e la navata, sul lato destro della chiesa.

L’opera è stata benedetta dal Ministro generale dell’Ordine, fr. Michael A. Perry, il 25 ottobre

c.a. a conclusione della celebrazione del Vespro, insieme al Definitore fr. Antonio 1

Tomba di fr. Gineprocon l’opera in resina dell’artista Piero

Casentini

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Scabio e a fr. Giovanni Rinaldi, Segretario particolare del Min. gen., al Ministro provinciale di Roma, fr. Luigi Recchia e alla Fraternità dell’Aracoeli (vedi foto).

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Il Ministro generale fr. Michael A. Perrye il Ministro provinciale fr. Luigi Recchia

nella cappella di s. Francesco

Il Ministro generale OFM presiede la celebrazione

del Vespro nella Cappella del Terz’Ordine

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Ed ecco alcune informazioni su fr. Ginepro, che fu tra i primi compagni di San Francesco d'Assisi:

nato ad Assisi, si fece Frate Minore nel 1210 e visse in semplicità fino al 1258.

Si ha notizia di lui nello Specchio di Perfezione. San Francesco tracciando la figura del perfetto Frate Minore elogia le virtù dei suoi primi compagni: chi riuscisse a radunarne in sé tutte le virtù, questi sarebbe il vero Frate Minore. Ginepro viene elogiato così: «(Il Frate Minore deve avere) la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinunzia alla propria volontà e con l'ardente desiderio d'imitare Cristo seguendo la via della croce», (Specchio di Perfezione, 85; Fonti Francescane, -FF- 1782). Altra notizia certa della sua vita è che fu presente alla morte di Santa Chiara l'11 agosto 1253: «Poi facendosi più vicino il Signore e già quasi stando sulla soglia, Chiara vuole che le stiano accanto sacerdoti e frati spirituali, che le ripetano la Passione del Signore e sante parole. E appena tra di essi le appare Frate Ginepro, famoso per saper vibrare ardenti giaculatorie al Signore, con calde parole dal cuore, animata da rinnovata letizia gli chiede se abbia lì pronto qualcosa di nuovo riguardo al Signore. Ed egli, aprendo la bocca, dalla fornace del cuore ardente libera

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fiammeggianti scintille di parole, e la vergine di Dio trova grande consolazione nelle sue parabole», (Leggenda di Santa Chiara, 45; FF 3248).

Un accenno a Frate Ginepro si trova nei Fioretti (XLIII, FF 1888) dove egli, assieme a Frate Egidio, Frate Marco da Montino e a Frate Lucido, testimonia della santa vita di Frate Iacopo da Massa.

La Franceschina, uno scritto del 1400 ad opera di Giacomo Oddi (a cura di N. Cavanna, Firenze 1931, vol. II, p. 197) attesta di Frate Ginepro che: «Quisto homo de Dio emprese tanto de li modi et costumi et vita de santo Francesco, che in ogne suo fatto et ditto se studiava di sequitarlo: et prima de la carità. Perché ello era laico, sempre se dava a servire li frati et fare li servitii per casa».

Sempre la Franceschina (op. cit. pp. 207-208) ci narra della morte di Frate Ginepro avvenuta, secondo la tradizione, il 4 gennaio 1258: «Finalmente, quisto santo Frate funipero, essendo già per molti anni exercitatosi nel servitio de Dio et perfettamente in ogne virtù, como vero figliolo de santo Francesco, et per lui operati lo Signore molti miracoli, nella ciptà de Roma s'enfermò. Et venendo a l'ultimo de la morte, recevé tutti li santi Sacramenti de la chiesia, et con molta devotione quella santa anima passò da questa vita a la gloria beata, lassando depo sé odore meraviglioso de santitade. Lo corpo suo se reposa honorevolmente nel convento d'Araceli nella ciptà de Roma».

II testo che abbiamo trovato è la traduzione libera della Vita Fratris Juniperi inserita nella Cronica XXIV Generalium (AF, III, 54-64).

Nota: esiste l'edizione critica della Vita di Frate Ginepro curata da Giorgio Petrocchi (Bologna, 1960).

Vita di Frate Ginepro

Frate Ginepro fu uno degli elettissimi discepoli e compagni primai di santo Francesco, uomo di profonda umiltà, di grande fervore e carità; del quale santo Francesco, parlando una volta con que suoi devoti compagni, disse: «Colui sarebbe buono Frate Minore, che avesse così vinto sé e il mondo come Frate Ginepro».

CAPITOLO I

Della sua grande carità, che per consolare uno infermo tagliò il piede ad uno porco vivo

Il desiderio di consolare un Frate ammalato fa compiere a Frate Ginepro un gesto «assurdo»: tagliare la zampa ad un maiale vivo per poterla cucinare ed offrire all'in-fermo. L'ira del padrone dell'animale, lo scandalo dei frati e di tutta la gente, l'amarezza di Francesco vengono vinti dalla semplicità e dalla carità che il povero Ginepro manifesta in questa situazione imbarazzante. Quel giorno la mensa dei frati è rallegrata dal dono che l'uomo, prima offeso e poi pacificato, offre con generosità e San Francesco si augura che di frati come Ginepro ce ne siano una selva intera.

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Una volta a santa Maria degli Angeli, Frate Ginepro sì come infocato di carità divina, visitando un Frate infermo, con molta compassione domandollo: «Possoti io fare servigio alcuno che ti piaccia?». Risponde lo infermo: «Molto mi sarebbe grande consolazione se tu mi potessi fare che io avessi uno peduccio di porco». Disse subito Frate Ginepro: «Lascia fare a me, ch'io l'avrò incontanente». E va e piglia un coltello, che stava in cucina; e in fervore di spirito va per la selva, dov'erano certi porci a pascere, e gittossi addosso a uno e tagliògli il piede e fuggì, lasciando il porco col pie' troncato; e ritorna e lava e racconcia e cuoce questo piede; e con molta diligenza apparecchiato bene, porta allo infermo il detto piede con molta carità. E questo infermo il mangia con grande avidità, non senza consolazione molta e letizia di Frate Ginepro, il quale con grande gaudio, per fare festa a questo infermo, ripeteva gli assalimenti di questo porco.

In questo mezzo colui che guardava i porci e che vide Frate Ginepro tagliare il piede, con grande amaritudine riferì tutta la storia al suo signore per ordine. E informato del fatto, viene costui al luogo de' frati molto turbato, chiamandoli ipocriti, ladroncelli e falsari, malandrini e male persone, però ch'aveano tagliato il piede al porco suo. A tanto rumore, quanto costui facea, ce trasse santo Francesco con tutti i frati, e con grande umiltà scusando i suoi frati, e come ignoranti del fatto, per placare costui, promettevano di ristorarlo d'ogni suo danno. Ma per tutto questo non fu costui appagato, ma con molta iracondia, villania e minacce si parte dai frati, replicando più e più volte come maliziosamente aveano tagliato il piede al porco suo; e nessuna escusazione né promissione accettando, partesi così scandolezzato.

Santo Francesco pieno di prudenza, tutti gli altri frati stupefatti, cogitò e disse nel cuore suo: «Avrebbe fatto questo Frate Ginepro con indiscreto zelo?». E fece segretamente chiamare a sé Frate Ginepro e domandollo: «Avresti tu tagliato il piede a uno porco nella selva?». A cui Frate Ginepro, non come persona ch'avesse commesso difetto, ma parendogli aver fatta una grande carità, tutto lieto rispose e disse: «Padre mio dolce, egli è vero ch'io ho troncato al detto porco un piede, e la cagione, padre mio, se tu vuoi, odi con pazienza. Io andai a visitare il tale Frate infermo»; e per ordine gli narra tutto il fatto, e poi aggiunge: « Io si ti dico che, considerando la consolazione che questo nostro Frate ebbe, e il conforto preso dal detto piede, s'io avessi a cento porci troncati i piedi come ad uno, credo certamente che Iddio l'avrebbe avuto per bene». A cui santo Francesco con uno zelo di giustizia e con grande amaritudine disse: «O Frate Ginepro, or perché hai tu fatto così grande scandalo? Non senza cagione quel buon uomo si duole ed è così turbato contro di noi; e forse egli è ora per la città diffamandoci di grande difetto, e ha grande cagione. Onde io ti comando per santa obbedienza che tu corra dietro a lui, tanto che tu lo giunga, e gittati in terra steso dinanzi a lui e digli tua colpa, promettendogli di fare soddisfazione tale e sì fatta, ch'egli non abbia materia di rammaricarsi di noi; ché per certo questo è stato troppo grande eccesso».

Frate Ginepro delle sopraddette parole fu molto ammirato, maravigliandosi che di tanto caritativo atto alcuno si dovesse turbare; imperò che pareva a lui queste cose temporali essere nulla, se non in quanto sono caritativamente comunicate col prossimo. Rispose: «Non dubitare, padre mio, che di subito io farollo contento. E per-ché debbe essere così turbato, con ciò sia cosa che questo porco, al quale io ho tagliato il piede, era piuttosto di Dio che suo, ed èssene fatta così grande carità?».

E così si muove a corsa, e giugne a questo uomo, il quale era turbato senza nessuna misura, e in cui non era rimasto punto di pazienza; e narra a costui come e per che cagione al detto porco ha troncato il piede, con tanto fervore ed esultazione e gaudio, quasi come persona che gli avesse fatto uno grande servigio, per lo quale da lui dovesse essere molto rimunerato.

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Costui, pieno d'iracondia e vinto dalla furia, disse a Frate Ginepro molta villania, chiamandolo fantastico e stolto, ladroncello, pessimo malandrino. Frate Ginepro, di queste parole così villane molto maravigliandosi, avvegna Iddio che nelle ingiurie si dilettasse, e credendo che egli non lo avesse bene inteso, però che gli parea materia di gaudio e non di rancore; ripeté la detta storia, e gittossi a costui al collo e abbracciollo e baciollo e dice come questo fu fatto solo per carità, invitandolo e pregandolo a simile dello avanzo, in tanta carità e semplicità e umiltà, che questo uomo, tornato in sé, non senza molte lagrime si gittò in terra, e riconoscendosi della ingiuria fatta e detta a questi santi frati, va e piglia questo porco e uccidelo, e cotto il porta con molta divozione e con grande pianto a Santa Maria degli Angeli, e diedelo a mangiare a quelli santi frati, per la compensazione delle ingiurie dette e fatte loro. Santo Francesco, considerando la semplicità e la pazienza nelle avversità del detto santo Frate Ginepro, a' compagni e agli altri circostanti disse: «Fratelli miei, volesse Iddio che di tali Ginepri io n'avessi una grande selva!». A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO II

Come Frate Ginepro aveva grande potestà contro al demonio

La presenza di un uomo santo come Frate Ginepro è sufficiente ad allontanare il demonio. Anche San Francesco per poter liberare alcune persone dal potere del maligno evoca la presenza di Frate Ginepro, lo scacciadiavoli. Solo a sentir parlare di lui i demoni si danno alla fuga.

Perché i superbi demoni non poteano sostenere la purità della innocenza e profonda umiltà di Frate Ginepro, siccome appare manifesto, una volta uno indemoniato, oltre a ogni sua consuetudine e con molta diversità gittandosi fuori della via, con repente corso si fuggì per diversi tragetti sette miglia. E addomandato da' parenti, i quali lo seguitavano con grande amaritudine, perché tanta diversità fuggendo avea fatta, rispose: «La cagione è questa: imperò che quello stolto Ginepro passava per quella via, non potendo sostenere la sua presenza né aspettare, io son fuggito infra questi luoghi». E certificandosi di questa verità, trovarono che Frate Ginepro in quella ora era venuto, sì come il demonio avea detto.

Onde santo Francesco, quando erano menati a lui gl'indemoniati acciò ch'eglino guarissono, se subito non si partivano al suo comandamento, diceva: «Se tu non esci di subito di questa creatura, io farò venire contro a te Frate Ginepro». E allora il demonio, temendo la presenza di Frate Ginepro, e la virtù e la umiltà di santo Francesco non potendo sostenere, di subito si partiva. A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO III

Come a procurazione del demonio Frate Ginepro fu giudicato alle forche

Frate Ginepro, dopo atroci torture, viene condannato a morte poiché, su istigazione del demonio, è ritenuto da tutti un assassino. Egli invece di difendersi e dichiararsi innocente ha rincarato la dose presentandosi come il più grande dei malfattori. Provvidenza vuole che un Frate del luogo dove stava per essere giustiziato lo rico-

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nosca e lo liberi da sicura morte intercedendo presso il tiranno che lo aveva condannato. In tutta questa vicenda Frate Ginepro non perde la sua pace e tantomeno il suo umorismo.

Una volta, volendo il demonio suscitare a Frate Ginepro scandalo e tribolazione, andossene a uno crudelissimo tiranno, ch'avea nome Nicolao, il quale allora avea guerra colla città di Viterbo, e dissegli: «Signore, guardate bene questo vostro castello, però che incontanente debbe venire qui un grande traditore mandato da' Viterbesi, acciò che vi uccida e metta a fuoco il castello. E che ciò sia vero, io vi do questi segnali. Egli va al modo d'uno poverello co' vestimenti tutti rotti e ripezzati, e col cappuccio rivolto alla spalla, lacerato, e porta con seco una lesina colla quale egli vi debbe uccidere, e ha allato un acciaiolo col quale esso debba mettere fuoco in questo castello; e se questo voi non trovate vero, fate di me ogni giustizia». A queste parole Nicolao tiranno tutto sbigottì e rinvenne ed ebbe grande timore, però colui che gli dicea queste parole parea una persona matura e degna di fede. Comanda che la guardia si faccia con diligenza, e se questo uomo così sparuto co' sopraddetti segnali viene, che di subito sia rappresentato dinanzi a lui.

In questo mezzo viene Frate Ginepro a questo castello solo, ché per la sua perfezione si avea licenza d'andare e stare solo, come a lui piacesse. E scontrossi Frate Ginepro con alquanti giovani dissoluti, i quali truffandosi lo tiravano di qua e di là, stracciandogli il cappuccio, e dicendogli molte parole villane. Di tutto questo, Frate Ginepro non si turbava, ma piuttosto inducea costoro a fare maggiori beffe di sé. E giungendo alla porta del castello, le guardie vedendo costui così difformato con l'abito stretto e tutto lacerato (però che lo abito in parte per la via per l'amore di Dio avea dato a' poveri e parte gli era stato stracciato e non avea alcuna apparenza di Frate Minore), subito è preso, però che i segnali dati manifestamente appareano, e con furore è menato dinanzi a questo tiranno Nicolao. E cercato dalla famiglia s'egli avea arme da offendere, trovarongli nella manica una lesina, colla quale si racconciava le suola al bisogno; ancora gli trovarono uno focile, il quale egli portava per fare fuoco; però ch'avea il capo debile e spesse volte abitava per i boschi e diserti.

Veggendo Nicolao i segnali in costui, secondo la informazione del demonio, comanda che gli sia arrandellata la testa e così fu fatto; e con tanta crudeltà, che tutta la corda gli entrò nella carne. E poi gli pose il capestro alla gola, e fecegli tirare e strappare le braccia e tutto il corpo dissipare senza nessuna misericordia. E domandato chi egli era, rispose: «Io sono grandissimo peccatore». E domandato s'egli volea tradire il castello e darlo a' Viterbesi, rispose: «Io sono massimo traditore e indegno d'ogni bene». E domandato se egli volea con quella lesina uccidere Nicolao tiranno e ardere il castello, rispose: «Troppo maggiori cose e più grandi farei, se Iddio il permettesse». E questo Nicolao, vinto dalla sua iracondia, non volle fare altra esaminazione, ma senza alcuno tempo di termine, a furore giudica Frate Ginepro, come traditore e omicidiale, comanda che sia legato alla coda d'un cavallo e strascinato per la terra infino alle forche e sia di subito impiccato per la gola. Frate Ginepro di tutto questo nulla escusazione ne fa né tristizia ne prende, ma come persona che per l'amore di Dio si dilettava nelle tribulazioni, stava tutto lieto e allegro. E mandato ad esecuzione il comandamento del tiranno e legato Frate Ginepro per i piedi alla coda d'un cavallo e strascinato per la terra, non si rammaricava né doleva; ma come agnello mansueto menato al macello andava con ogni umiltà.

A quello spettacolo e furiosa giustizia, corre quivi tutto il popolo a vedere giustiziare costui con tanta fretta e crudeltà; e non era conosciuto da persona. Nondimeno, come a Dio piacque, un buono uomo ch'avea veduto pigliare Frate Ginepro e di subito il vedea giustiziare, mosso a compassione, corre al luogo de' frati Minori e dice al guardiano: «Per Dio, vi priego che vegniate tosto, imperò ch'egli è stato preso un

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poverello e di subito è stata data la sentenza e menato a morte; venite, che almeno ei possa rimettere l'anima nelle vostre mani, ch'a me pare una buona persona, e non ha avuto spazio di potersi confessare, ed è menato ad impiccare, e non pare che di morte curi né salute della sua anima: piacciavi di venire tosto».

Il guardiano, ch'era uomo pietoso e divoto, va di subito per sovvenire a questo poverello, alla salute sua; e giugnendo, era già tanto moltiplicata la gente a vedere quella giustizia, che non poteva avere l'entrata. E costui stava e aspettava il tempo; e così aspettando, udiva una voce infra la gente che dice: «Non fate, non fate, cattivelli, ché voi mi fate male alle gambe». A questa voce pigliò il guardiano il sospetto che non fosse Frate Ginepro; e in fervore di spirito si gitta tra costoro e rimuove la fascia della faccia di costui, e allora conobbe veramente ch'egli era Frate Ginepro; però volle il guardiano per compassione cavarsi l'abito e rivestire Frate Ginepro. Ed egli con lieta faccia, quasi ridendo, disse «O guardiano, tu se' grosso e parrebbe troppo male la tua ignudità; io non voglio». Allora il guardiano con grande pianto priega questi esattori e tutto il popolo che debbano per pietà aspettare un poco, tanto ch'egli vada a pregare il tiranno per Frate Ginepro, se di lui gli volesse fare grazia. Acconsentito gli esattori e i circostanti, credendo veramente che ei fosse di suo parentado, va il divoto e pietoso guardiano a Nicolao tiranno con amaro pianto e dice: «Signore, io sono in tanta ammirazione e amaritudine, che con lingua io non lo potrei contare, imperò che mi pare che in questa terra si sia oggi commesso il maggiore peccato e il maggiore male che mai fosse fatto a' dì de nostri antichi; e credo certamente sia stato fatto per igno -ranza». Nicolao ode il guardiano con pazienza e domanda: «Quale è il grande difetto e male che è oggi commesso in questa terra?». Risponde il guardiano: «Signor mio, che uno de più santi frati che sia oggi all'Ordine di santo Francesco, di cui voi siete divoto singularmente, voi avete giudicato a tanta crudele giustizia, e credo certamente senza alcuna ragione». Dice Nicolao: «Or dimmi, guardiano: chi è costui? ché forse, non conoscendo, io ho commesso grande difetto». Dice il guardiano: «Costui che voi avete giudicato a morte è Frate Ginepro, compagno di santo Francesco». Stupefatto Nicolao tiranno, però che avea udito la fama sua, della santa vita di Frate Ginepro, e quasi attonito e tutto pallido, sì corse insieme col guardiano, e giugne a Frate Ginepro e scioglielo dalla coda del cavallo e liberollo, e presente tutto il popolo si gittò tutto steso in terra dinanzi a Frate Ginepro, e con grande pianto dice sua colpa del l'ingiuria e della villania ch'egli avea fatto fare a questo santo Frate; e aggiunse: «Io credo veramente che i dì della vita mia s'approssimano. Da poi ch'io ho questo tanto santo uomo straziato così senza alcuna ragione, Iddio permetterà alla mia mala vita ch'io morrò in brievi dì di mala sorte, quantunque io l'abbia fatto ignorantemente».

Frate Ginepro perdonò a Nicolao tiranno liberamente; ma Iddio permise, ivi a pochi dì, che Nicolao tiranno finì la sua vita con molto crudele morte. E Frate Ginepro si partì, lasciando tutto il popolo bene edificato e consolato. A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO IV

Come Frate Ginepro dava a' poveri ciò che poteva avere, per l'amore di Dio

Come San Francesco d'Assisi anche Frate Ginepro non sa resistere alla richiesta di coloro che gli domandano qualcosa per amore di Dio. Conoscendo il suo debole, il guardiano, cioè il responsabile della comunità, gli comanda di non dare a nessuno la tonaca che indossa. Non gli resta che farsela rubare.

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Tanta pietà avea a' poveri Frate Ginepro e compassione, che quando vedea alcuno che fosse mal vestito o ignudo, di subito toglieva la sua tonica o lo cappuccio del suo abito, e davalo a quel povero; e però il guardiano gli comandò per obbedienza ch'egli non desse a veruno povero tutta la sua tonica o parte del suo abito.

Avvenne caso che, a pochi dì passati, iscontrò un povero quasi ignudo, domandando a Frate Ginepro limosina per lo amore di Dio; a cui con molta compassione Frate Ginepro disse: «Carissimo, io no ho ch'io ti possa dare se non la tonica, e ho dal mio guardiano, per la obbedienza, ch'io non la possa dare a persona, né parte dell'abito; ma se tu me la cavi di dosso, io non ti contraddirò». Non disse a sordo; ché di subito questo povero gli cavò la tonica a rovescio, e vassene con essa, lasciando Frate Ginepro ignudo. E tornando al luogo, fu addomandato dov'era la tonica. Risponde: «Una buona persona la mi cavò di dosso e andossene con essa».

E crescendo in lui la virtù della pietà, non era contento di dare tanto la sua tonica, ma dava libri, paramenti, mantella, e ciò che gli veniva alle mani dei frati dava ai poveri. E per questa cagione i frati non lasciavano le cose in pubblico, però che Frate Ginepro dava ogni cosa per l'amore di Dio. A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO V

Come Frate Ginepro spiccò certe campanelle d'argento dallo altare, e sì le diè per lo amore di Dio ad una femmina poverella

Sostituendo il Frate sacrestano, Frate Ginepro, ad una donna povera dona le campanelle d'argento che decorano l'altare della chiesa. Ira del sacrestano, inutile ricerca delle campanelle e richiesta di punizione severa. Il Ministro generale, stupito che Frate Ginepro non abbia donato anche tutto il resto, accetta di correggere aspra-mente il colpevole di tale misfatto. Conclusione: Frate Ginepro prepara una buona farinata calda per il Generale che ha perso la voce nel riprenderlo e nel cuore della notte gliela porta, facendolo adirare ancor più. Non si turba Frate Ginepro. «Se non la mangi tu, tienimi la candela mentre la mangio io!». In un baleno l'ira scompare e torna la pace nel cuore mentre insieme i due mangiano nel nome del Signore.

Essendo una volta Frate Ginepro ad Assisi per la Natività del Signore all'altare del convento in alte meditazioni, il quale altare era molto bene parato e ornato; a' prieghi del sagrestano, rimase a guardia del detto (altare) Frate Ginepro, infino che il sagre-stano andasse un poco a mangiare. E stando Frate Ginepro in divota meditazione, viene una poverella donna e gli chiese limosina per amore di Dio. Dice Frate Ginepro a quella donna: «Aspetta un poco, e io vedrò se di questo altare così adornato ti possa dare alcuna cosa». Era a questo altare uno fregio molto singolare, ornato con campanelle d'argento di grande valuta; e dice Frate Ginepro fra se medesimo: «Queste campanelle ci sono di soperchio». E piglia uno coltello e tutte ne le spicca del fregio e dàlle a questa poverella per pietà. Il sagrestano, mangiato che ebbe tre o quattro bocconi, si ricordò de' modi di Frate Ginepro, e cominciò forte a dubitare che dello altare così ornato, il quale gli avea lasciato in guardia, egli non gliene facesse scandalo per zelo di carità. E di subito col sospetto si leva di mensa e vanne in chiesa e guarda se dell'ornamento dello altare è rimosso o levato nulla, e vede del fregio tagliate e spiccate le campanelle; di che fu senza alcuna misura turbato e scandalezzato. Frate Ginepro vede costui così adirato e dice: «Non ti turbare, carissimo, di quelle campanelle, però ch'io l'ho date a una povera donna che n’avea grandissimo bisogno,

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e quivi non faceano utilità veruna, se non ch'erano una cotale pomposità mondana e vana».

Udito questo, il sagrestano di subito corse per la chiesa e per tutta la città, afflitto, se per avventura potesse ritrovare quella donna, ma non tanto non trovò lei, ma non trovò persona che l'avesse veduta. Ritornò al luogo e in furia levò il fregio e portollo al Generale, che era ad Assisi, e dice: «Padre Generale, io v'addomando giustizia di Frate Ginepro, il quale m'ha guastato questo fregio, il quale era il più orrevole che fosse in sagrestia; ora vedete come l'ha concio e spiccatene tutte le campanelle dello argento, e dice che l'ha date a una poverella donna». Rispose il Generale: «Questo non ha fatto Frate Ginepro, anzi l'ha fatto la tua pazzia; però che tu debbi pure oggimai conoscere le sue condizioni. E dicoti ch'io mi maraviglio come non ha dato tutto l'avanzo. Ma nondimeno io sì lo correggerò bene di questo fallo». E convocati tutti i frati insieme in capitolo, fece chiamare Frate Ginepro; e, presente tutto il convento, lo riprese molto aspramente delle sopraddette campanelle; e tanto crebbe in furore, innalzando la voce, che diventò quasi fioco.

Frate Ginepro di quelle parole poco si curò e quasi nulla, però che delle ingiurie si dilettava, quando egli era bene avvilito; ma per compassione della fiocazione del Generale, cominciò a pensare del rimedio. E ricevuta la rincappellazione del Generale, va Frate Ginepro alla città e ordina e fa fare una buona scodella di farinata col butirro; e passato un buon pezzo di notte, va e ritorna e accende una candela e vassene con questa scodella di farinata alla cella del Generale e tanto picchia, che gli fu aperto. Quando il Generale vede costui colla candela accesa e colla scodella piena in mano, piano domanda: «Che è questo?». Rispose Frate Ginepro: «Padre mio, oggi quando tu mi riprendevi de' miei difetti, mi avvidi che la voce ti diventò fioca, credo per troppa fatica; e però io cogitai il rimedio e feci fare questa farinata per te; però ti priego che tu la mangi, ch'io ti dico che ella ti allargherà il petto e la gola». Dice il Generale: «Che ora è questa che tu vai inquietando altrui?». Risponde Frate Ginepro: «Vedi, padre, per te è fatta; io ti priego, rimossa ogni cagione, che tu la mangi, però ch'ella ti farà molto bene». E il Generale, turbato dell'ora tarda e della sua improntitudine, comandò ch'egli andasse via, ché a cotale ora ei non volea mangiare, chiamandolo per nome vilissimo e cattivo. Vedendo Frate Ginepro che né prieghi né lusinghe non valsono, dice così: «Padre mio, poi che tu non vuoi mangiare, e per te s'era fatta questa farinata, fammi almeno questo che tu mi tenga la candela, e mangerò io». E il Generale, come pietosa e divota persona, attendendo alla pietà e semplicità di Frate Ginepro e tutto questo esser fatto da lui per divozione, risponde: «Or ecco, poi che tu vuoi, mangiamo tu e io insieme». Ed amendue mangiarono questa scodella della farinata per una importuna carità; e molto più furono recreati di divozione che del cibo. A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO VI

Come Frate Ginepro tenne silenzio per spazio di sei mesi

Gesti, azioni, comportamenti frani quelli di Frate Ginepro! Anche il suo silenzio è strano. Ma è tutto grande ciò che si fa per amore di Dio.

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Ordinò una volta Frate Ginepro di osservare silenzio sei mesi, e fu in questo modo. Il primo dì lo osservava per amore del Padre celestiale; il secondo dì per amore di Gesù Cristo suo figliuolo; il terzo dì per amore dello Spirito Santo; il quarto dì per la riverenza della Vergine Maria. E così per ordine, ogni dì per amore di alcuno Santo, stette sei mesi senza parlare. A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO VII

In che modo Frate Ginepro cacciava le tentazioni della carne

È commovente il dialogo spirituale tra i primi compagni di San Francesco che si incontrano tra di loro in modo familiare. In uno di questi incontri spirituali Frate Ginepro espone la sua «ricetta» per fuggire le tentazione della carne. Egli chiude la porta del suo cuore ove coltiva santi desideri e sante meditazioni. Se il cuore è pieno di Dio nient'altro vi può entrare!

Essendo una volta ragunati Frate Egidio e Frate Simone d'Assisi e Frate Rufino e Frate Ginepro, a parlare di Dio e della salute dell'animale, disse agli altri Frate Egidio: «Come fate voi colle tentazioni del peccato carnale?». Disse Frate Simone: « Io con-sidero la viltà e la turpitudine del peccato carnale, e di questo mi seguita una abbominazione grande; e così scampo». Dice Frate Rufino: « Io mi gitto in terra steso e tanto sto in orazione pregando la clemenza di Dio e della Madre di Gesù Cristo, che mi sento al tutto liberato». Risponde Frate Ginepro: «Quando io sento lo strepito della diabolica suggestione carnale, subito corro e serro l'uscio del mio cuore, e per sicurtà della fortezza del cuore mi occupo in sante meditazioni e santi desidèri; sicché, quando viene la suggestione carnale e picchia all'uscio del cuore, io quasi dentro rispondo: - Di fuori! di fuori! però che lo albergo è già preso, e qua entro non può entrare più gente -; e così non permetto mai entrare dentro dal mio cuore pensiero carnale; di che, vedendosi vinto, come sconfitto si parte non tanto da me, ma da tutta la contrada».

Risponde Frate Egidio e dice: «Frate Ginepro, io mi tengo teco, però che il nemico della carne non si può combattere più sicuramente che fuggendo; però che dentro sta il traditore appetito carnale; di fuori per i sensi del corpo tanto e sì forte nemico si fa sentire, e non si puote vincere che fuggendo. E però chi altrimenti vuole combattere, ha la fatica della battaglia, e rade volte ha la vittoria. Fuggi adunque il vizio e sarai vittorioso». A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO VIII

Come Frate Ginepro per vilificarsi entrò in Viterbo nudo

Vilificarsi: farsi vili, non apparire agli altri se non nella propria pochezza e limitatezza. Un verbo che è stato cancellato nel nostro vocabolario, ma non nel Vangelo. «Chi si umilia sarà esaltato», (Lc 14,11). E San Paolo: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio», (1 Cor 1, 27-29).

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Forse Frate Ginepro, semplice e illetterato, non ha compreso e vissuto questo messaggio?

Una volta Frate Ginepro, volendosi bene vilificare, si spogliò tutto ignudo e posesi i panni in capo, fatto quasi un fardello dello abito suo, e entrò così ignudo in Viterbo; e vassene in sulla piazza pubblica per più sua derisione. E sedendo costui quivi così ignudo, i fanciulli e i giovani, riputandolo fuori del senno, gli feciono molta villania, gittandogli molto fango addosso e percotendolo colle pietre e sospingendolo di qua e di là, con parole di derisione molto; e così afflitto e schernito stette per grande spazio del dì: poi così ignudato se ne andò al convento. E vedendolo i frati così dinudato, ne ebbono grande turbazione; e massimamente perché per tutta la città era venuto così ignudo col fardello in capo, ripresonlo molto duramente, facendogli grandi minacce. E l'uno dicea: «Mettiamolo in carcere»; e l'altro dicea: «Sia impiccato»; e gli altri diceano: «Non se ne potrebbe fare giustizia di tanto malo esempio, quanto costui ha dato oggi di sé e di tutto l'Ordine». E Frate Ginepro tutto lieto con ogni umiltà rispondeva: «Bene dite vero, perché di tutte queste pene sono degno e di molte di più». A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO IX

Come Frate Ginepro per vilificarsi fece al gioco dell'altalena

Frate Ginepro attua alla lettera quanto dice Gesù: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà», (Lc 18,16-17).

Per fuggire la gloria e l'onore degli uomini e per rimanere nell'umiltà Frate Ginepro non esita a giocare con i fanciulli, evitando così la lode e la gloria che i suoi ammiratori vorrebbero attribuirgli.

Andando una volta Frate Ginepro a Roma, dove la fama della sua santità era già divulgata, molti romani per grande divozione gli andarono incontro; e Frate Ginepro, vedendo tanta gente venire, immaginossi di far la loro divozione venire in favola e in truffa.

Erano ivi due fanciulli che facevano all'altalena, cioè ch'aveano attraversato un legno in su un altro legno, e ciascuno stava dal suo capo, e andavano in su e in giù. Va Frate Ginepro e rimuove uno di questi fanciulli dal legno e mòntavi su egli e comincia ad altalenare. Intanto giugne la gente, e maravigliavansi dell'altalenare di Frate Ginepro; nondimeno con grande divozione lo salutarono e aspettavano che compiesse il giuoco per accompagnarlo onorevolmente insino al convento. E Frate Ginepro di loro salutazione e riverenza o aspettare poco si curava, ma molto sollecitava l'altalenare. E così aspettando per grande spazio, alquanti incominciarono a tediarsi e a dire: «Che pecorone è costui?». Alquanti conoscendo le sue condizioni, si crebbono in maggiore divozione: nondimeno tutti si partirono e lasciarono Frate Ginepro in sull'altalena. Ed essendo tutti partiti, Frate Ginepro rimase tutto consolato, però che vide alquanti che aveano fatto beffe di lui. Muovesi ed entra in Roma con ogni mansuetudine e umiltà, e pervenne al convento de frati Minori. A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO X

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Come Frate Ginepro fece una volta cucina ai frati per quindici dì

Ciò che interessa maggiormente a Frate Ginepro è immergersi in Dio attraverso la preghiera. Tutto il resto è tempo perso: anche il far da mangiare tutti i giorni è superfluo. Ecco allora la geniale soluzione che Frate Ginepro attua senza indugio, così da liberare se stesso e i frati da occupazioni che impediscono di dedicarsi alla preghiera. Non sarà facile trovare clienti per una mensa così «succulenta» e far onore ad un cuoco che, come pochi, sa armeggiare tra le pentole: tuttavia ai più coraggiosi non resta che augurare «Buon appetito!».

Essendo una volta Frate Ginepro in uno loghicciuolo di frati, per certa ragionevole cagione tutti i frati ebbono ad andare di fuori, e solo Frate Ginepro rimase in casa. Dice il guardiano: «Frate Ginepro, tutti noi andiamo fuori, tu solo rimarrai; e però fa' che quando noi torniamo tu abbi fatto un poco di cucina a ricreazione de frati». Rispose Frate Ginepro: «Molto volentieri; lasciate fare a me».

Essendo tutti i frati andati fuori, come detto è, dice Frate Ginepro: «Che sollecitudine superflua è questa, che ogni dì di continuo uno Frate stia perduto in cucina, che tutto quel tempo potrebbe spendere in orazione? Per certo, poiché questa volta io sono rimasto a cucinare, ne farò tanta che tutti i frati, e se fossero ancora più, n'avranno assai quindici dì». E così tutto sollecito va alla terra, e accatta parecchie pentole grandi per cuocere, e procaccia carne fresca e secca e polli e uova ed erbe in copia, e ricoglie legne assai, e mette a fuoco ogni cosa insieme, cioè polli colle penne e uova col guscio e conseguentemente tutte l'altre cose.Ritornando i frati al luogo, uno ch'era assai noto della semplicità di Frate Ginepro entrò in cucina, e vede tante e così grandi pentole collo isterminato fuoco, e ponsi a sedere e con ammirazione considera e non dice nulla; ragguarda con quanta sollecitudine Frate Ginepro fa questa cucina. Però che il fuoco era molto grande e non potea molto bene appressarsi a mestare le pentole, piglia un'asse e colla corda la si legò al corpo molto bene stretta; e poi saltava dall'una pentola all'altra, ch'era un diletto a vederlo. Considerando ogni cosa con sua grande recreazione, questo Frate esce fuori di cucina e trova gli altri frati e dice: «Io vi so dire che Frate Ginepro fa nozze». I frati ricevettono quel dire per beffe.

E Frate Ginepro lieva quelle sue pentole da fuoco e fa sonare a mangiare; ed entrano i frati a mensa e viensene in refettorio con questa sua cucina, tutto rubicondo per la fatica e per lo calore del fuoco, e dice a' Fratelli: «Mangiate bene, e poi andiamo tutti a orazione, e non sia nessuno che cogiti più a questi tempi di cuocere; però ch'io n'ho fatta tanta oggi, che io n'arò assai più di quindici dì». E pose questa sua pultiglia alla mensa dinanzi a' frati, che non è porco in terra di Roma sì affamato che n'avesse mangiata. Loda Frate Ginepro questa sua cucina, per darle lo spaccio, e già egli vede che gli altri frati non ne mangiano, e dice: «Queste cotali galline hanno a confortare il celabro; e questa cucina vi terrà umido il corpo, ch'ell'è sì buona».

E stando i frati in tanta ammirazione e devozione a considerare la devozione e semplicità di Frate Ginepro, il guardiano turbato di tanta fatuità e di tanto bene perduto, riprende molto aspramente Frate Ginepro. Allora Frate Ginepro si getta subi-tamente in terra ginocchione dinanzi al guardiano, e disse umilmente sua colpa a lui e a tutti i frati dicendo: «Io sono un pessimo uomo. Il tale commise il tale peccato, per che gli furono cavati gli occhi; ma io n'era molto più degno di lui. Il tale fu per i suoi difetti impiccato; ma io molto più lo merito per le prave operazioni, e ora sono stato guastatore di tanto beneficio di Dio e dell'Ordine». E tutto così amaricato si partì; e tutto quel dì non apparve, dove Frate veruno fosse.

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E allora il guardiano disse: «Frati miei carissimi, io vorrei che ogni dì questo Frate, come ora, sprecasse altrettanto bene, se noi l'avessimo, e solo ce ne rimanesse la sua edificazione; però che grande semplicità e carità gli ha fatto fare questo».A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO XI

Come Frate Ginepro andò una volta ad Assisi nudo, per sua confusione

I folli di Cristo costellano la storia della Chiesa, sia occidentale che orientale. Con gesti scandalosamente edificanti richiamano il popolo cristiano alla conversione ed alla penitenza. Anche Frate Ginepro è un pazzo per Cristo e perciò non ci dobbiamo meravigliare delle sue ardite imprese, ma cogliere il messaggio di umiltà che egli vuole trasmetterci.

Una volta dimorava Frate Ginepro nella Valle di Spoleto, e vedendo che ad Assisi era una grande solennità e che molta gente v'andava con grande divozione, vennegli voglia d'andare a quella solennità. E odi come.Spogliossi Frate Ginepro tutto ignudo come la madre lo fece e così se ne venne passando per Spello e due altri castelli e per lo mezzo della città, e giugne al convento così ignudo. I frati vedendolo, molto turbati e scandalezzati, lo ripresono molto duramente chiamandolo pazzo e stolto e confonditore dell'Ordine di santo Francesco e che come pazzo si vorrebbe incatenare.E il Generale, ch'era allora nel luogo, fa chiamare tutti i frati e Frate Ginepro e, presente tutto il convento, gli fa una dura e aspra riprensione. E dopo molte parole, per vigore di giustizia dice a Frate Ginepro: «Il tuo difetto è tale e tanto, ch'io non so che penitenza degna ti dare». Risponde Frate Ginepro, come persona che si dilettava della propria confusione: «Padre mio, io te la voglio insegnare; che sì come io sono venuto insino a qui ignudo, per penitenza io ritorni insino a là, donde io sono venuto a questa cotale festa». A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO XII

Come Frate Ginepro fu ratto, celebrandosi la Messa

Frate Ginepro è spesso rapito in Dio, ma non va mai in superbia per i doni che da Dio riceve. Anzi con la sua proverbiale concretezza invita a sostenere le prove della vita ed a rimanere umili per conquistare la beatitudine del Regno.

Stando una volta Frate Ginepro a udire la Messa con molta divozione, fu ratto per elevazione di mente per grande spazio. E lasciato solo per lunga stanza dagli altri frati, ritornando in sé cominciò con grande fervore a dire: «O frati miei, chi è in questa vita tanto nobile, che non portasse volentieri la cesta del letame per tutta la terra, se gli fosse data una casa piena d'oro?». E dicea: «Oimè! perché non vogliamo noi sostenere volentieri un poco di vergogna, acciò che noi possiamo guadagnare vita beata?».A laude di Cristo. Amen.

CAPITOLO XIII

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Della tristizia ch'ebbe Frate Ginepro della morte del suo compagno Frate Attientalbene

Frate Ginepro nutre un grande amore per i suoi frati ed in particolare per il santo Attientalbene che ha sostenuto con pazienza molte prove e che ora è passato a miglior vita. L'amore di Frate Ginepro oltrepassa ogni aspettativa!

Avea Frate Ginepro uno compagno Frate, il quale intimamente amava, ed avea nome Attientalbene. Bene avea costui in sé virtù di somma pazienza e obbedienza; però che, se per tutto il dì fosse stato battuto, mai non si rammaricava né si richiamava solo d'una parola; era spesso mandato a' luoghi dov'era malagevole famiglia in conversa-zione, da cui riceveva molte persecuzioni, le quali sostenea molto pazientemente, senza alcuna rammaricazione. Costui, al comandamento di Frate Ginepro, piagnea e ridea.

Or morì questo Frate Attientalbene, come piacque a Dio, con ottima fama; e udendo Frate Ginepro della sua morte, ricevettene tanta tristizia nella mente sua, quanto mai in sua vita avesse ricevuta da niuna cosa sensuale; e così dalla parte di fuori dimostrava la grande amaritudine ch'era dentro, e dicea: «Oimè tapino, che ora non m'è a rimasto alcuno bene, e tutto il mondo è disfatto nella morte del mio dolce e amatissimo Frate Attientalbene!». E diceva: «Se non ch'io non potrei aver pace co' frati, io andrei al sepolcro suo e piglierei il capo suo e del teschio farei due scodelle; l'una, nella quale per sua memoria a mia divozione per continuo mangerei; e l'altra, colla quale io berrei quando io avessi sete o volontà di bere». A laude di Cristo. Amen. 

CAPITOLO XIV

Della mano che vide Frate Ginepro in aria

Ancora una volta Frate Ginepro riconosce con umiltà che la sua vita è nelle mani di Dio. Solo Lui può guida re gli uomini nella via del bene.

Stando una volta Frate Ginepro in orazione, e di sé gran fatti forse cogitava, parvegli vedere una mano per l'aria e udì cogli orecchi corporali una voce che disse a lui così: «O Frate Ginepro, senza questa mano tu non puoi fare niente». Di che subito e levato e drizzati gli occhi in cielo, disse ad alta voce, discorrendo per lo convento: «Bene è vero! bene è vero!». E questo per buono spazio gridando replicava.

A laude di Cristo. Amen.

 

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