Volano i miei pensieri insieme al vento portando via sogni e fantasie ...
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Volano i miei pensieri insieme al vento
portando via sogni e fantasie
lasciandomi nel gelo d’una sera,
a scorgere il destino nelle stelle.
2011 - 2012
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Giuria del Premio Letterario 2012
Gabriella Cruciani Emanuele Faina Michele Limpido Francesca Lucrezia Nicosia Maurizio Vacca
Hanno contribuito alla buona riuscita della manifestazione:
Presidenza Municipio Roma XV Arvalia
Associazione Eleusis
Associazione Evergreen onlus
Associazione Voglia di Creare
Banca di Credito Cooperativo di Roma
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PRESENTAZIONE
Sono veramente lieto di presentare anche quest’anno questo piccolo volume che raccoglie i lavori inviati dai partecipanti al quinto Concorso letterario organizzato dalla Consulta del Volontariato del Municipio XV, “La fantasia e la vita”. Tre sono le sezioni in cui si è articolata questa edizione del Premio: la poesia in lingua italiana, la poesia in dialetto e il racconto. Questo concorso è ormai divenuto un appuntamento atteso e rappresenta una tradizione felicemente consolidata per il nostro territorio, al quale il nostro Municipio non ha mai fatto venite meno il suo convinto patrocinio. Questo successo, credo, confermi la grande serietà degli organizzatori, che vivono questa iniziativa con grande impegno, come un “servizio” offerto ai cittadini senza alcuna forma di tornaconto personale, né ricerca di prestigio. Voglio cogliere, perciò, l’occasione di questa presentazione per esprimere a tutti loro il mio personale ringraziamento. E’ indubbio che Il crescente numero dei partecipanti dimostri come il concorso rappresenti una risposta positiva a un’esigenza sentita della gente di poter comunicare. Il rapporto tra scrittura e lettura è molto stretto, anzi potremmo dire che è un legame indissolubile. Chi scrive di norma è anche e soprattutto un lettore attento e interessato. Se è vero, infatti, che il primo destinatario delle cose che scriviamo siamo noi stessi e lo scrivere è una forma di dialogo con la nostra parte più intima, in genere, chi scrive ha anche l’esigenza – talvolta inconsapevole - di esternare le emozioni e le sensazioni vissute in prima persona proprio per farle leggere “all’altro”. Leggendo le opere qui raccolte, caratterizzate da differenti toni e sfumature, spesso pervase da semplicità e ingenuità, è possibile ritrovare, credo, proprio questa esigenza intima che accomuna tutti gli autori. Non dobbiamo farci ingannare dalle apparenze. Se si guardano le vetrine delle librerie, sempre piene di novità editoriali, sembra che nella nostra società contemporanea sia molto facile scrivere e soprattutto veder pubblicati i propri lavori. Questo purtroppo non è affatto vero. Per questo voglio esprimere il mio apprezzamento per lo sforzo degli organizzatori di voler pubblicare anche quest’anno senza distinzione tutte le opere inviate dai partecipanti, al di là dei riconoscimenti e premi assegnati ai vincitori delle diverse categorie, proprio per offrire loro un’occasione concreta di essere letti da tutti.
Gianni Paris
Presidente Municipio Roma XV
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POESIE IN ITALIANO
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1° DICEMBRE 1969
Guardando verso il cielo la mattina
M’accorsi che la luce era cambiata,
l’atmosfera tutt’intorno era fatata
con il sole dietro una nube birichina.
Nascosto si, ma sempre luminoso,
con la pioggia che scendeva a catinelle
tutte le cose mi parean più belle per noi era il giorno più radioso.
Quando ti vidi in chiesa arrivare
rimasi bloccato sulla porta,
ma la mamma, che se n’era accorta,
mi invitò a seguirla sull’altare.
Quel giorno è ancora nel mio cuore.
Il tuo sorriso, la tua gioia vera,
qualche lacrima furtiva ma sincera
era il sigillo per il nostro amore.
Matrimonio bagnato si dice fortunato
E Dio lo sa quanto lo sono stato !
Salvatore Startari
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A MIA MADRE: “ I TUOI OCCHI NEL SEGRETO DELLA
VITA”
Quanta tristezza nel tuo nero degli occhi orientali che ti porti da
sempre,
che ti porti da quando per la prima volta ho spalancato i miei sul
mondo,
che non mi hanno mai lasciato sola, al buio, ho sempre saputo che
c’erano, che c’eri, che ci sei
ancora. Mi hanno osservato chiedere aiuto, in modo viscerale, da
dentro,
mi hanno implorato,
mi hanno baciato, ma non ancora per l’ultima volta
io li voglio ancora su di me,
mi devono ancora guardare per molto tempo,
ma mi hanno detto la vecchiaia,
mi hanno raccontato il tormento, il sangue, il dolore, la lacerazione
dell’anima, la fragilità
immensa, la solitudine, la caducità, la paura, l’insofferenza,
l’ingiustizia, la morte.
Mi hanno detto grazie,
grazie Figlia mia,
grazie Bianca mia,
mi hanno bramata, cercata, ma non hanno mai odiato chi li
uccideva, mai ucciso chi li spegneva,
ma pianto,
di dolore, di carità, di aiuto,
ed ancora di stupore di fronte al mondo così nero,
così muto, così freddo, così acceso, così vivo.
Ma mi hanno trovato, hanno trovato la gioia, il risveglio dal nero,
dall’abbandono.
Hanno trovato la luce, hanno ancora trovato la vita, ancora io,
ancora Dio.
Bianca Maria Sezzatini
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A ROMA INNEVATA (RICORRE L’ANNO 2012)
Odo allegre voci di bambini festanti e di adulti gaudenti, tornati
bambini
Dolci suoni e rumori di gente felice, inconsapevolmente stupita per
l’evento
Anch’io meravigliata incoraggiata dall’allegro vocerizio, mi alzo,
vado in finestra
Osservo stupita l’insolita visione
Oh, mio Dio, che meraviglia, a Roma nevica!
Mi sento orgogliosa, non sono a Cortina, ma a Roma! Anche da noi
c’è la neve e allora
E’ bellissimo insolito, a parte i disagi, per noi poco abituati a tale
evenienza.
Mi sento felice dentro, è troppo bello veder come nuovi eventi
hanno cambiato la città
Che ne ha acquistato nova veste, una veste verginale “Bianca”
quante visioni mai osservate
Anche tu piccolo passerotto, anche tu sei sorpreso, il tuo nido è
colmo di neve e i tuoi
piccoli cinguettano inconsapevoli, una novità anche per loro, come
per noi,
Evviva Roma innevata ! me la godo, non è facile che presto
risucceda, però
Anche se lo fosse ! Ci adatteremmo come tutti, diventeremo anche
noi sciatori romani.
Evviva, evviva, Roma è innevata !
Anna Carmela La Manna
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A T E
A te regalerei
I miei sogni da bambino.
A te regalerei
il sorriso dei miei occhi.
A te regalerei
le emozioni mie più belle
A te regalerei
le rughe del mio viso.
A te regalerei
la saggezza del mio tempo,
e quando il corpo mio
agli anni cederà,
a te darò in regalo
tutti i ricordi miei.
Gianni Marchetti
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A TE
Lo devo a te
se nuovamente odo
voci di cielo di erbe e di sassi
se nitide forme e vivi colori
mi accendono gli occhi.
Lo devo a te
se piango e rido senza più corazze
nel sentirmi dentro nascere primule
dov’erano solo aride zolle.
Non una pelle ci fa diversi.
Non una veste, non una lingua
non un’idea, non un’età.
Siamo solo esseri umani!
Ed possibile toccarci l’anima
e puri guardarci, ascoltarci
e capire, sentire che tutti ci unisce
la stessa gioia, lo stesso dolore.
Me n’ero dimenticata! Dimenticata
del mio giardino di luce da coltivare
accanto ad altri giardini di luce.
Ora so
che ogni giorno
sempre è un mattino!
A te….a chiunque…ad ognuno…fatto come me di desideri,
di emozioni, di dubbi, di slanci, di errori, di ideali….
Adriana Vendemini
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A VOLTE SIGNORE
A volte, o Signore, io non ti conosco.
Vorrei sentire dalle tue labbra parole d’amore,
di conforto, di tenerezza per ogni uomo che soffre.
Ed invece mi pare di portare anch’io una corona di spine.
Allora mi viene da pensare:
perché mi tratti così se io non ti ho fatto nulla?
Poi ti vedo sulla croce e mi accorgo che tu sei li
per me e soffri con me.
Li mi appartieni del tutto ed io non sono più sola.
E vorrei essere una piuma per posarmi sulle tue labbra
screpolate, inaridite e rese amare dal fiele,
vorrei riaccendere la luce che c’è in te,
vorrei farti scendere dalla croce, prendendoti per mano,
vorrei guarire anche i tuoi piedi e correre, correre insieme.
Tutte queste cose che io vorrei per te,
tu già le fai per me da quella croce.
Ed allora stasera presentandomi al tuo altare
Insieme a tanti amici,
mi sento una privilegiata.
E per questo io ti lodo e ti ringrazio.
Paol Cuofano
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IL MARE
Sono qui sulla spiaggia,
seduta sulla sabbia dorata
a contemplare il mare.
Immenso, esteso a dismisura,
d’un azzurro intenso,
spumoso e bianco
sulla cresta delle onde
leggere e incalzanti.
Culla i miei pensieri
E li porta lontano.
Lontano nel vento, fra le nuvole,
nell’aria dolce della sera.
Gli confido i miei sogni
E glieli affido:
Sento la sua brezza sul mio viso,
come una carezza leggera,
come un soffio d’aria pura.
Ed è come se non fossi qui, ma altrove.
Anna Manzo
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IL MIO QUARTIERE
Io amo il mio quartiere e lo difendo
dagli attacchi impietosi dei giornali
che spesso ci descrivon criminali,
forse a motivo d’un delitto orrendo
commesso con ferocia dal Canaro,
oppure dalla Banda ormai famosa
per quella crudeltà greve e rabbiosa,
intenta solo ad arraffar denaro.
Basta con le illazioni! Il mio quartiere,
seppur popoloso e popolare,
è abitato da gente onesta e sana
che per vivere meglio sa lottare
e, nonostante gli affanni, sa godere.
Ecco perché io amo la Magliana.
Paolo Tognozzi
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IL TEATRINO DELLA VITA
Macchie di verde, tenero, smeraldino,
si muovono tra le ciglia socchiuse:
sembrano i prati della mia infanzia,
ma non ondeggiano al vento
e si muovono sincopati in uno spazio angusto.
Una fitta mi penetra dentro,
una mano mi stringe:
da piccolo la mamma
mi consolava cosi!
Ho le palpebre pesanti, pulsanti:
al verde si aggiungono le chiazza di rosso…
sembrano le distese di papaveri
che entravano dalla mia finestra
e si fondevano col profumo di zucchine fritte
e l’odore di pulito della mia casa,
della mia famiglia.
Ancora una fitta : più forte,
più profonda : mi mordo le labbra,
ma la mano di prima,
non quella della mia mamma,
ma di mia figlia, ora anch’essa mamma,
mi stringe perché non mi perda …
Stavo quasi per abbandonarmi,
tra l’odore dell’etere che non è quello dolciastro
del grano che maturava
sui colli della mia giovinezza.
Mi riprendo la vita,
tra camici verdi e flaconi purpurei,
perché voglio tornare
tra gli amici della mia periferia.
Quirino Berardi
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IL TUO SGUARDO
A volte dolci inganni mi regala
il tuo sguardo,
quando rapido scorre come su
acque immobili.
Un presagio d’amore !
Ma subito ritorna l’onda indifferente
che gelosa nasconde in un fondale
sabbioso dimenticati tesori mai
Dissepolti
Gloria Damato
L ‘ A R I A
Vola lo sguardo verso
il tramonto sul mare,
traguarda il cielo terso
senza mai cadere
spazia e non lascia
tracce sul presente
non vuole fare torti
a chi in lui crede.
Sergio Incitti
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LA STRADA MIA
La strada mia la sento faticosa,
piena di sassi ruvidi, infinita,
fatta di buche e spesso scivolosa
che corre corre, sempre più in salita.
Fatico, mi fò male, ma cammino,
cammino e, grazie e Dio, ci posso vede,
per via che mi da strada un cherubino
col lume della fede.
Maria Gasperoni
P R E S T O
Presto, presto quell’aria quasi estiva
Sfrondò di petali bianchi il buio della notte
Dai gelsomini e dalle zagare lucenti, resto, presto
Venne l’inizio: provammo ad assaporarne il profumo.
Ma l’intensità ci sommerse.
Antonella Domenicantonio
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MARATHON
Un bel giorno ti svegli con il pettorale numero 70
Resti di stucco senza raccapezzare, fintanto a sospettare un 1°
aprile…
mentre sul calendario ride il 23 agosto.
Così scopri di essere un fondista.
Stenti in velocità ma sulla distanza ti sorprendi
e ciabattando ti domandi : Quanto all’arrivo?
Sorridi, non hai motivi per essere deluso
se pensi ai tanti infortunati appena oltre il nastro di partenza.
Il plotone s’è sfoltito, il percorso più scosceso.
Ti sfugge il paesaggio prima ignorato.
Ora ne sei attratto, ma le diottrie scarseggiano.
Quantomeno sul traguardo vorresti un piglio risoluto
non l’espressione di chi riceve una visita inattesa.
E già allo specchio abbozzi varie pose
scegliendo quella che più nasconde il sottomento.
Il percorso è video sorvegliato, “Chi si ferma è perduto!”
Così parlò l’oracolo, ma l’eco già mostrava il paradosso.
Tutto l’immaginabile è accaduto.
Passo su passo in questa corsa ti accorgi che ogni cosa ha il suo
rovescio.
Nulla è assoluto!
Pertanto cosa potrà nascondersi all’arrivo
se non qualcosa che somigli a una partenza?
Prova a ipotizzare:
Senza bagaglio, fuori dal tempo, destinazione a caso.
Confessa, vorresti un posto ponte con la poltrona accanto al
finestrino.
Vedere l’azzurra biglia allontanare finchè sarà un puntino
Tra sciami di meteore e simulare un pianto.
Simile a loro, memore frammento, incontrerai un bersaglio
Ti vestirai di luce e farai centro.
Giuseppe De Luca
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NEL MIO MONDO MAGNIFICO
Mi perdo nell’oceano cosmico per incontrarti.
Sai svelarmi le notti oscure,
il manto della neve,
il deserto che sembra assente…
Amami così, come un sogno che viaggia
nell’universo,
dentro le stelle, nel calore del fuoco…
Amami così, non perdermi nella cenere…
Accendi la fiamma,
guardami camminarti dentro…
amami così, oltre la pelle,
i segni del tempo,
sono qui per te a vigilare la tua anima,
la stringo al petto,
fiore di mille petali…
Amami così, nel silenzio dei miei giorni.
Senti come splendi?
Alato e sincero
con i tuoi occhi da bimbo?
Tutte le carezze posso offrirti,
abbracci per scaldarti,
così…nel mio mondo magico.
Carla Scaringella
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Q U A N D O ……
Quando improvvisante
un dolore lancinante, inatteso, ti blocca,
realizzi in pochi secondi
tutte le cose iniziate che ti impedisce di finire.
Tu sei bloccato,
ma senti che il resto del mondo
continua a girare vorticosamente
più di una grottesca, enorme giostra.
Chiuso nell’intensità,
della tua paura di non farcela
non sai, se desideri tornare a girare,
o lasciarti andare nei cerchi lenti del tuo dolore.
Poi all’improvviso qualcosa cambia.
Qualcuno ha preso la tua mano,
ti chiede con dolcezza come stai,
e ascolta con attenzione le tue risposte.
Sei sorpreso.
Accade sempre più di rado
che qualcuno ascolti le risposte,
alle domande che fa.
E’ tutto,
non ti senti più solo,
hai trovato un alleato che lotta al tuo fianco
contro il male che ti affligge.
Ritorna la voglia di reagire
Non sei ancora guarito ma hai ritrovato,
importantissima alleata per vincere,
la volontà di combattere
e la speranza di vincere domani.
Paola Primavera Campana
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QUESTE MANI
Un tempo agili, scattanti, snodate
grandi come pale, pronte per lavorare
iniziare un nuovo giorno con lena
andare nei campi, dissodare la dura terra.
Fatiche inumane, gote rosse, fronte sudata
rastrellare, falciare, ammucchiare
sotto il sole cocente, arroventato
un lavoro senza fine, stressante
tutto per il cibo e non far la fame.
Mani! Tanto hanno dato e tanto fatto
ora son callose, nodose, maldestre
scricchiolano ad ogni movimento
son sciupate, avvizzite, ferite
l’orgoglio rimane per continuare
per il riposo…passerà tanto tempo.
Graziella Romanin
ROMAGNA
Bella Romagna mia dolce e cortese,
terra di belle donne e sangiovese,
terra di gente da duecento all’ora,
galante con la bionda e con la mora,
pronta a rimarciare ancor su Roma,
con falce, con martello e con la Croma.
Gente dal cuore pieno di passioni
e qualche volta di contraddizioni,
per quanto t’amo sempre mia Romagna,
motori, donne, vino….che cuccagna.
Angela Corzani
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SANTA SOFIA
Paese mio, quanti ricordi
sereni ed innocenti,
volti pacati,
sguardi sorridenti;
fanciulle timide,
uomini virili
e rari passatempi
gai ed infantili;
profumo di cucine,
fragranza di bucato,
sapor di grano
ed orzo or or tostato;
botteghe di artigiani,
donne vere massaie
e, giù nel fiume,
alcune lavandaie.
Suoni ovattati,
rumori di lavoro
e in tutte le persone
il senso del decoro.
Paese mio, quanta felicità
m’hai regalato
lasciandomi il piacere
del tempo ch’è passato:
ed ora, assieme al volto
della mamma
nel cuore mio rimani
sempre tu … Santa Sofia.
Eugenio Corzani
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SFUMATURE IN ROSA
Nata dal rosa
voluta rosa
voluta per unire,
senza riuscirci,
quante volte mi sono punita,
ho cercato l’azzurro
dentro e fuori di me,
per fare muro
al rosa che ci unisce …..
Ha mille sfumature, il rosa,
e sono rotolati molti anni,
più di quelli
che avevi tu
quando tutto iniziò,
per accettare le diversità,
le mie da te,
per ammettere le somiglianze
tue, dentro di me.
Ora non voglio contare il tempo,
ma i prati di risate
e i mondi di segreti
e gli oceani di dolci gesti
che sono solo nostri,
mentre rallento il ritmo
per adeguarmi ai tuoi piccoli passi,
mentre allontano il pudore delle donne
per sussurrarti ”ti amo” .
Buon compleanno, Mamma!
Carla Pelli
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SOGNO
D’averti accanto ancora
Per me sarebbe un sogno,
da quando sei scomparso
mi trovo ancor più sola !
E dai che prego Iddio
d’averti ancora un’ora
ma forse è poca cosa
per chi non ha e più osa.
Del bene che mi davi
sento la nostalgia
ed in cuor mio vorrei
tornar nel tempo indietro.
In mente ho la tua voce
Che ognor mi rincuorava,
vorrei sentirla ancora,
ma è soltanto un sogno!
Ersilia Rosa Ursini
UN FIORE NUOVO
Lacrime di gioia sono la tua sorgente di vita:
Il sorriso di un bimbo ti regala le foglioline.
I tuoi petali sono una meraviglia del creato.
Offrili ad ogni mano tesa.
Non tenerli con te…sono i tuoi messaggeri.
Andranno oltre monti e oceani.
Tu avrai sempre nuovi petali. Non morirai come gli altri fiori!
Sei il fiore dell’amore e vivrai in un mondo migliore.
Francesca La Rosa
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TRATTO DI VITA
Piccoli tratti di penna
Incisi sui cippi tombali,
che vivete tra la N(ato) e la M(orto)
perché vi siete scordati la R(isorgerà)
Vi prego,
scrivetela sulla mia tomba
con l’icona di Cristo per data.
Perché
quel non so che di divino,
racchiuso nell’abbraccio affettuoso d’un figlio
o nell’ innamorato guardarsi di due adolescenti,
voglio viverlo appieno nell’incontro con Dio.
Carlo Pini
UN PENSIERO PER LA NAVE “CONCORDIA” ED IL SUO
TRISTE DESTINO
Bella, bianca, maestosa apparivi all’orizzonte,
solcavi i mari, attraccavi nei porti
con il tuo gran pavese tutto illuminato,
sembravi la Regina del mare.
Ma un triste giorno, uno squarcio al cuore
Fatto da un piccolo scoglio, ferì la tua maestà.
Ed ora piange il cuore vederti così
Adagiata e abbandonata al tuo destino.
Dalla figlia di un vecchio marinaio,
medaglia d’oro di lunga navigazione,
a Genova.
Elisa Capodici
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VORREI ESSERE UN GABBIANO
Vorrei essere un gabbiano
dalle ali speciali:
con esse ancora assonnato
librarmi, ed affacciarmi sulla soglia dell’universo.
Squarciare le nubi,
gonfie di cristalli argentati
rincorrere gareggiando festoso
stormi di uccelli
saltare con l’arcobaleno
nell’immenso spazio azzurro.
Attraversare cime innevate
e, nell’assoluto silenzio
parlare con la mia anima!
Tuffarmi nei profondi abissi
mentre il mormorio del mare
come canto,
guida la mia folle discesa.
Infine sulla terra planare
con le mie ali speciali
aprire, nel buoi della notte
le tue finestre socchiuse
contemplarti, attonito,
mentre ascolto i battiti del tuo cuore !
Maria Provenzano
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……“ V A I “ …….
La luna
che rischiarava il mio andare
ora nascosta da nubi
ride:
“trovami!
sono dietro la nera pioggia che
bagna i tuoi occhi
parlami!
ti ascolto!”
le nubi si allontaneranno quando
vuote torneranno aria
“cosa cerchi?
ti mando il sole?
io incontro l’alba.
il perdere non cercare
lascialo oltre
e
oltre vai!”
la luna ride
all’alba parla al sole
anche sotto le nubi nere si ascolta il suo calore
ti viene da sorridere
un lieve tiepido vento riscalda
mentre il cielo
colorandosi di rosa
ti fa ascoltare
una semplice
piccola parola :
“vai”!
Laura Damilano
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R A C C O N T I
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42 ANNI INSIEME
Il sacramento è benedizione, vincolo d’amore e fedeltà, uno
dell’altro sentirsi la metà.
L’amore della coppia vera non mira al gran piacere, ma coglie il
cuore di questa nobiltà!
Vorrei fermare il tempo amore mio, sentire sul cuscino il tuo
russare: cercare nel lettone la tua mano,
stringerla, accarezzarla finchè mattino e nel contatto : sensualità!!!
Mentre tu russi penso alle pazzie che innamorati cotti facevamo
… ora di ricordi noi gioiamo, se il desiderio scema nella coppia
alta la stima nella fedeltà.
Le cose che ci piacciono nell’età matura: sentirsi uniti più del
primo giorno. Al sacramento tutto abbiamo dato. anche alla fede.
Ci siamo affidati e ancora oggi ci sentiamo amati.
Grazie amore, grazie di cuore per la pazienza e le lunghe attese : i
repentini miei sbalzi d’umore, ma ti ho sempre tenuto dentro il
cuore, sei anche un uomo fortunato sei l’uomo mio : il primo che
ho baciato.
Caterina Iacopino
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C O M P U T E R
Oggi è domenica, il secondo giorno di un normale week-end, hai
presente quei due giorni durante i quali le persone cercano di
riposare o di incontrarsi con gli amici, per divertirsi un po’? spero
proprio che tu oggi abbia il tempo di accendere il computer, così
potrai avere notizie di tutti noi qui, in diretta e in tempo reale. Sono
sveglia dalle 3.35,ho cercato più volte inutilmente di
riaddormentarmi, ma ora mi sono alzata “definitivamente”. Sto
mangiando la seconda fetta di pane tostato (integrale, quasi
dietetico!): forse ieri sera a cena avrei dovuto mangiare qualcosa di
più consistente e non limitarmi ad un’insalata… ma ero troppo tesa,
e se avessi mangiato mi sarei sentita male. Perché???
CHIARA
--Ieri, sabato, si è rifiutata anche solo di pensare a vestirsi, ha
trascorso tutta la giornata in pigiama, aggirandosi per casa come uno
zombi – si è lamentata continuamente del fatto che non riesce
trovare mai nulla di carino da indossare. . . e che nessun tipo di
biancheria le sta bene, a meno che non sia quella sportiva della Nike
– stavamo controllando di avere preparato tutte le cosi indicate nella
lista da portare per la prossima settimana (quando andranno tutti e
tre in vacanza a sciare in Austria) ha messo tutto in discussione con
me, come se fossi stata io a compilarla – parla spesso di come
vorrebbe che fosse la sua stanza, ma non fa niente per avvicinarsi
anche solo lontanamente, ad uno dei cambiamenti che pianifica – da
quando sono andata a prenderla alla festa, dove è stata venerdì sera,
non fa che parlare di come lei vorrebbe festeggiare il suo prossimo
compleanno. Fino ad un paio di giorni fa si era rifiutata anche solo
di ascoltare una delle mie proposte!!! Ovviamente si tratterebbe di
una cosa estremamente semplice… affittare una “sala”, dove far
andare tutti quelli della scuola nuova e alcuni della sua vecchia
classe, dalle 19,00 alle 11,00 del giorno dopo. Non sarebbe FORTE?
(dice lei !!!).
ALESSANDRO
Non si fa che parlare dei prodotti Apple, di quale vuole ricevere, da
chi, in quale occasione, ma in camera sua non si riesce più a vedere
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di che colore è il pavimento a causa della gran quantità di roba che
ci sta sopra. La scorsa settimana ho trascorso due ore in camera sua
cercando di metterla in ordine, districando le liane di magliette,
felpe, calzettoni puliti o non, che si allungavano dalla sua sedia
della scrivania all’armadio, in un unico groviglio, come se non
avessi fatto niente per mesi nella sua stanza- riuscire a risolvere un
calcolo enigmatico a più cifre, sarebbe stato più facile che riuscire a
capire quali sono i compiti che gli sono stati assegnati da fare a
casa- ogni forma di aiuto da parte mia, del padre o della sorella è
sbagliata, incomprensibile, inutile…. Ameno che non si sia disposti
a dargli direttamente la soluzione della espressioni e dei problemi,
senza sdtare lì a perdere tempo con spiegazione di regole e teoremi.
Perché in quel caso scoppiano improvvisi, fortissimi mal di testa….
FEDERICO
- Non si fa che parlare dei prodotti Apple, di quale vuole ricevere,
da chi, in quale occasione, ma in camera sua non si riesce più a
vedere di che colore è il pavimento a causa della gran quantità di
roba che ci sta sopra. La scorsa settimana ho trascorso due ore in
camera sua cercando di metterla in ordine, districando le liane di
magliette, felpe, calzettoni puliti o non, che si allungavano dalla sua
sedia della scrivania all’armadio, in un unico groviglio, come se non
avessi fatto niente per mesi nella sua stanza- riuscire a risolvere un
calcolo enigmatico a più cifre, sarebbe stato più facile che riuscire a
capire quali sono i compiti che gli sono stati assegnati da fare a
casa- ogni forma di aiuto da parte mia, del padre o della sorella è
sbagliata, incomprensibile, inutile…. Ameno che non si sia disposti
a dargli direttamente la soluzione della espressioni e dei problemi,
senza sdtare lì a perdere tempo con spiegazione di regole e teoremi.
Perché in quel caso scoppiano improvvisi, fortissimi mal di testa….
NO! NON TI SEI SBAGLIATA, hai letto veramente due volte la
stessa cosa, ma in fondo lo sai che i gemelli sono monozigoti e
quindi sempre più, uguali in tutto, solo per quanto riguarda l’andare
d’accordo…. è tutto un altro argomento, come certamente ricorderai
bene, no?????? A tutto questo, aggiungiamo che Alessandro, da ieri
sabato, ha deciso che le scarpe che si è scelto venerdì, provando e
riprovando, girando in lungo e largo, un intero pomeriggio per il
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negozio…. Non gli vanno bene, … sono troppo piccole,…gli fanno
un male pazzesco e non può assolutamente portarle.
Federico ieri si è svegliato con una pessima tosse secca, talmente
brutta, che nel pomeriggio alle 17,30 lo abbiamo portato in ospedale
per farlo visitare. Visto che FORTUNATAMENTE non si trattava di
un caso urgente, ci hanno fatto aspettare fino alle 19,45 prima di
prenderci in considerazione. Comunque sia, ieri sera gli ho messo
una supposta di cortisone. Questa mattina anche Alessandro ha
cominciato a tossire, non siamo riusciti a capire se per davvero, o
per solidarietà con il gemello.
- Domani, lunedì, uscirò di casa alle 7,20, comunque con tutti e tre i
ragazzi.
-Porterò Chiara davanti a scuola e con i gemelli proseguirò dal
pediatra. Secondo quello che mi verrà detto, porterò a scuola tutti e
due o uno solo di loro,proseguirò po direttamente per l’ufficio
parrocchiale, dove dovrò recuperare il cavetto del mio telefonino,
che ho dimenticato il venerdì mattina.- Subito dopo passerò in
farmacia a prendere le medicine che verranno prescritte ai miei figli,
e li ( o lo) porterò a casa.. –Cercherò di trovare il tempo di farmi una
doccia tra the, borse d’acqua calda, caramelle per la tosse, la cucina
da mettere a posto, la lavatrice, i panni da stirare, la spesa e altre
piccolezze che riempono la mia vita di tutti i giorni; i bagni li ho
lavati ieri e, dato che era bel tempo, anche i terrazzi fortunatamente!
– Al più tardi alle 13,45 dovrò essere nuovamente alla suola di
Chiara, per consegnare la conferma della partecipazione dei ragazzi
al viaggio organizzato in montagna.
(So già che venerdì prossimo i ragazzi dovranno essere alla
Stazione Centrale, al punto d’incontro alle 13,00, con partenza alle
16,00 per Hannover: Alle 18,00 raduno generale di tutti i gruppi di
ragazzi, provenienti da tutta la Germania e partenza con due
pullman per l’Austria.
Lo stesso giorno della loro partenza dovrò andare a prendere Chiara
a scuola, dopo le prime due ore… perché avrà compito in classe di
chimica! Non può certo saltarlo!)
Alle 14,00, tanto per movimentare un po’ la giornata, Chiara uscirà
prima da scuola (grazie agli esami di maturità in corso). Quindi con
lei e con chiunque dei gemelli sarà già con me, ( se ci sarà
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qualcuno? ) o dovrò andare prima a prendere il gemello ( o i gemelli
) che è a casa o che esce/ono da scuola alle 15,30 oppure, se ho tutti
e tre già con me, li potrò portare direttamente a fare il controllo
dell’apparecchio dal dentista all’appuntamento che ho già, da tempo,
per le ore 16,00.
A seconda dell’ora che sarà quando usciremo dallo studio dentistico,
o torno prima indietro e lascio i gemelli a casa a riposarsi
(POVERINI!) oppure andremo tutti ad accompagnare Chiara al
teatro, dove lo spettacolo scelto dalle insegnanti di musica avrà
inizio alle 19,00.
Al mio ritorno a casa, spero proprio di trovare, se li avrò dovuti
lasciare “alla base”, due figli vivi, possibilmente ognuno in camera
sua!!!
Altro giro di sciroppi, caramelle, the e varie dopo di che… su in
cucina a preparare la ce4na!!!
Niente rende i miei figli così affamati, ma soprattuto “fantasiosi”
nell’esprimere desideri sul pasto che sicuramente li aiuterebbe a
guarire pù velocemente quando stanno male!
Alle 22,00 andrà il papà direttamente dall’ufficio a prendere Chiara
al teatro… se lo ricorderà?
Lo chiamerò comunque per ricordarglielo! Una volta che tutti
saranno nuovamente puliti, accuditi, curati, ascoltati, sazi e
dissetati a letto, potrò cercare di finire di cucire le loro iniziali sulle
cose che si dovranno portare, quando andranno in Austria.
Ho scordato qualche cosa? … Forse… E’ possibile…. Me ne
dispiace… Non l’ho fatto apposta!
Ciao mamma, ci sentiremo forse domani, alla fine della giornata!
Ore 23,10 portando in camera dei ragazzi, che dormono già, alcuni
dei capi ai quali ho già cucito le iniziali, ho trovato Chiara
addormentata, davanti al computer ancora acceso, con questa storia
iniziatae non finita, in inglese:
Siamo andati tutti insieme alla scoperta della nuova attrazione del
Luna Park.
Ci siamo incontrati all’ingresso e dopo un breve giro di
orientamento, fatto tutti insieme, ci siamo divisi in due gruppi,
dandoci appuntamento per due ore più tardi alla nuova gelateria che
sembra una base spaziale.
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Una volta tanto, il desiderio di andare alla scoperta di nuove
emozioni, ci ha fatto mettere da parte, per un po’, il nostro
discutibile desiderio di gelato. Abbiamo fatto qualche gioco che cià
conoscevamo, e già ci sentivamo un po’ delusi perché della
annunciata nuova, emozionante attrazione non si vedeva traccia.
Tutta la città, Da un paio di settimane, era stata tappezzata di poster
che avevano stimolato la nostra fantasia e ci avevano fatto venire il
desiderio di passarci un intero pomeriggio per festeggiare, in modo
nuovo, il mio compleanno.
Pensavamo già che, tornando a casa avremmo raccontato la nostra
delusione agli altri amici per evitare, almeno a loro, un’esperienza
che non era stata brillante come ci aspettavamo, quando
improvvisamente, come per rispondere al nostro senso di delusione,
abbiamo udito una musica gradevole, mai sentita ancora, venire da
dietro una macchia di alberi. Ci siamo diretti, tutti d’accordo, in
quella direzione. Dopo aver superato gli alberi, abbiamo capito di
essere arrivati alla misteriosa, autentica, tanto pubblicizzata novità
di quest’anno al Luna Park.
Nessuno di noi aveva veduto mai niente che potesse anche
lontanamente somigliare a ciò che era davanti ai nostri occhi. Era
una struttura indefinibile, nella forma e nel colore sembrava non
avere ne’ porte, ne’ finestre. Malgrado ciò ci sentivamo attratti in
modo veramente notevole, oltre che per la curiosità anche
fisicamente, da una inspiegabile forza magnetica. Abbiamo iniziato
ad avvicinarci lentamente e a girarle intorno, con l’intenzione di
trovare un modo di entrare. Del nostro gruppo era rimasta acanto a
me soltanto Lisa, sembrava come ipnotizzata quando mi ha chiesto
se, per caso, sentivo anche io il verso del gabbiano; io non li sentivo
affatto e, mentre le stavo dando questa risposta, ho alzato gli occhi
al cielo come per avere una conferma che di gabbiani non c’era
traccia.
Quando ho abbassato gli occhi, però, Lisa vicino a me non c’era più.
Seguendo le voci degli altri amici ho proseguito, per vedere se era
andata verso di loro, ma anche lì non c’era. Tommaso stava
parlando con Piero della strana luce cangiante che era sulle pareti
senza porte dell’edificio, discuteveno di come si potesse produrre
una luminosità in movimento, che cambiava in più continuamente di
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colore, quando Piero disse ricodava di aver visto una luce simile,
durante un viaggio fatto in Oriente con il padre. Mentre parlava,
sorridendo al pensiero di quella luce, io ricordo di averli lasciati
soli, proseguendo la mia ricerca di Lisa. Ho fatto in tempo però a
sentire Piero affermare che sarebbe tornato molto volentieri in
Oriente. Quei luoghi gli erano rimasti nel cuore, non avrebbe mai
dimenticato come era stato felice in quel periodo,
Ho continuato il mio giro voltando un angolo di quello che sarebbe
non lontano dalla realtà descrivere come un gigantesco acquario con
le pareti di vetro dai colori cangianti e continuamente mutevoli,
quando mi ha colpito, bloccandomi, un pensiero e,
contemporaneamente, si sono immobilizzate le mie gambe.
ERO DAVANTI ALLA NOVITA’ DEL LUNA PARK!
Mi è tornata alla mente la passione incontenibile di Lisa per il mare,
per il suo colore azzurro che lei quasi monotamente aveva
l’abitudine di indossare, in ogni possibile sfumatura. Ricordo
benissimo come fosse capace di stare seduta sul bagnasciuga,
immobile per ore, anche quando gli altri la invitavano a giocare,
Forse era scivolata nel suo sogno preferito: potersi spostare in fondo
al mare, senza pericolo, tra le coloratissime specie di pesci ed
organismi marini.
Ho provato allora ad immaginare quale potesse essere stato il
desiderio degli altri amici.
Tommaso sicuramente potendo scegliere sarebbe andato sulle
adorate Dolomiti, dai suoi nonni. Ha sempre parlato volentieri delle
sue vacanze in montagna e sogna di poter avere da grande un
piccolo Hotel da gestire come lavoro, che sarebbe per lui come una
infinita vacanza.
Lucia sicuramente, potendo scegliere, avrà raggiunto un luogo
estremamente esotico, dato che la sua passione sono i fiori tropicali
che, anche se privi del tutto di profumo, sono coloratissimi.
Non riuscivo però a capire come questo “gioco” potesse avere
inizio, allora mi sono avvicinata di più ad una parete ed ho
cominciato a fissarla cercando di concentrarmi, per decidere quale
avrebbe potuto essere il mio desiderio. Mi sono ricordata allora che,
già da piccolissima, avrei voluto saper cavalcare talmente bene da
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saper saltare gli ostacoli più difficili, senza aver bisogno di briglie e
sella.
Appena ho capito ciò che desideravo, ho notato che nessuno era più
vicino a me. Nessuna sensazione di ansia mi ha sfiorato e,
finalmente, ho lasciato i miei pensieri liberi di andare. Mi sono
avvicinata ancora di più senza timore alla parete che, quasi
inavvertitamente, si allontanava davanti ai miei occhi mostrando un
vasto prato, circondato da colline. Con sorpresa ho notato poi la
presenza di un puledro che, brucando l’erba, lentamente mi si
avvicinava. Dopo avermi permesso di accarezzarlo, mi è sembrato
volesse invitarmi a salirgli in groppa. Cavalcare senza sella,
tenendosi alla criniera invece che alle briglie, è stata davvero
un’esperienza indimenticabile. L’intesa con il cavallo era perfetta,
abbiamo cominciato a spostarci lentamente sul prato; poi,
all’improvviso, intuendo il mio desiderio di correre, ha iniziato a
trotterellare, presa la rincorsa, ha saltato il recinto. Che sensazione
stupenda! Non avevo mai saltato un ostacolo, è stato come se mi si
fossero allungate improvvisamente le gambe, cavallo ed io eravamo
una sola cosa. Abbiamo corso in lungo e largo per tutta la
campagna. Ho avuto la sensazione del tempo trascorso solo quando
mi sono accorta che il sole si avvicinava all’orizzonte, allora ho
desiderato ritornare e il cavallo, intuendolo, si è voltato dirigendosi
al prato dove questa esperienza meravigliosa era iniziata.. Ad essere
sinceri la stanchezza cominciavo proprio a sentirla, per cui ho
pensato di riposarmi un po’ sdraiandomi sull’erba. Devo aver preso
sonno pensando che non mancherò di raccomandare ai miei amici di
provare la nuva attrazione, ma per non togliere a loro la sorpresa…..
non dirò loro di che si tratta…
CHIARA, E’ TARDI, VAI A LETTO, TI SEI ADDORMENTATA
ANCORA UNA VOLTA DAVANTI AL COMPUTER.
Si sono stanca, hai proprio ragione mamma, meglio non stare
troppo davanti al computer.
A me è piaciuta molto, che ne pensi?
Paola Primavera Campana
DUE DELL SUD PER LE VIE DEL PARADISO
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(UNO RICCO UNO POVERO)
Il ricco disse : “Dove vai tu insieme a me?”
Il povero . “io vado in Paradiso”
Il ricco : ”Tu in Paradiso insieme a me?”
Il povero. “Io vado in Paradiso perché io lo vedo già il Paradiso e
vedo anche gli angeli”
Il ricco : “Ma povero illuso, come fai tu ad andare nel Paradiso se
non hai avuto amici sulla terra, non ne hai nemmeno in Paradiso
perciò nessuno ti apre le porte”
Il povero : “Ma tu lo vuoi capire che quando ci troviamo insieme per
questa via saranno finiti tutti gli amici, nonché le ricchezze. E
povero e morto sono io e povero e morto sei tu”
Il ricco : “Qui siamo veramente uguali?”
Il povero . “Ora che incominciate a ragionare, mi ricordo che noi
siamo anche paesani, Io abitavo a Roma, ero povero. Anche tu
abitavi a Roma, ma tu eri ricco e anche deputato, poi ministro.
Insomma, era parte del governo che aiuta i ricchi, ignorava i poveri
e non vi bastava tutto questo, ma prendevate anche grosse
bustarelle e vi facevate grosse ville non solo a Roma ma anche in
Tunisia e a Sorrento. Ma quando ci troviamo insieme per questa via
che porta al Paradiso siamo uguali.”
Il ricco : “Morto io, morto tu, ma io vado in Paradiso, tu no”.
Ma dopo questo si vede un Angelo Bianco che dice : “Attenzione:
ricco a destra e povero a sinistra”
Il ricco dice : “Cosa ti avevo detto? La sinistra è sempre sinistra,
perciò tu non vieni con me in Paradiso”
Ma detto questo si vede un cartello che sarà l’addio fra ricco e
povero.
A sinistra : Benvenuti in Paradiso.
A destra : Benvenuti nell’infermo
Il ricco dice : “Qui manca veramente il rispetto, nonché gli amici,
io torno indietro”
Ma spunta un demonio nero e con una forcella lo prende a forcellate
e dice . “Cammina, cammina, qui nessuno torna indietro. Dovevi
fare opere buone sulla terra, ora cammina con me”
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Il nuovo arrivato dice al suo demonio: “ Ma tu quando eri sulla terra
eri ricco o povero?”
Il demonio: “ Ero ricco e potente durante l’Impero Romano”
Il ricco : “ E tu sei qui da 2000 anni?”
Il demonio: “Si, da 2000 anni, perché qui non finisce mai. Tu vedi
laggiù quel grande fuoco? Tutti i giorni senti una voce che dice:
buttati nel fuoco e trovi la porta del Paradiso. Le pene sono tante,
ma il Paradiso non lo trovi mai. Domani sarà il tuo turno, per
sempre, per l’eternità.”
Angelo Altomari
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ERAVAMO FELICI … E NON LO SAPEVAMO.
La telefonata di Gianni Greco arrivò improvvisa, inaspettata e
accattivante: sabato 24, alle ore 12, tutti gli ex studenti fuorisede di
san Lorenzo, laureatisi negli anni accademici 1971 e 72, si
ritroveranno al vecchio bar “La Califfa” di via dei Marsi per
recarci insieme a pranzo da “Franco ar vicoletto” in via dei
Falisci, dove c’era la vecchia rosticceria; “Ricordi come erano
buoni quegli arancini che ci preparava Nicolino? Oggi è un
ristorante esclusivo, vi si gusta dell’ottimo pesce. Ci saranno Tonino
Lucci, Giovanni Germinara, Leonardo di Biasi, Enzo Brunetti,
Rolando Nerco da Lamezia Terme, Quirica, psicologa ad una ASL
di Roma. Marco Saporito, ingegnere alle Ferrovie, verrà da
Bologna; da Siena, ove fa la farmacista, ci raggiungerà Rosalba.
Saranno presenti anche Stella che dirige un Liceo a Campobasso,
Mariolina docente di Lingua ad Urbino e Antonella De Gennaro che
insegna sociologia all’università di Teramo. E poi Dino, Franca,
Vittorio… Da Parigi arriverà Pino Rana, direttore della sede Rai, da
Trieste Sauro Fugo e, da Milano, Fiorella, la ricordi? È sempre
bella, ha sposato un colonnello dell’aeronautica, ha tre figli e oggi si
chiama Pede. Vieni anche tu. Ho già ordinato una barca di ostriche e
di mazzancolle. Non mancare, ti aspettiamo!” “”””””””””””””””
Sono indeciso. Il desiderio di rivedere vecchi amici, con i quali si è
condiviso una parte non indifferente della nostra vita, è grande;
l’invito è allettante, ma… non so se accetterò. Forse manderò un
SMS di scuse, adducendo, a motivo, improrogabili impegni di
lavoro o di famiglia.
Ma il buon Greco non aveva altro a cui pensare? Perché riunire,
dopo quasi 40 anni, noi studenti meridionali fuorisede, che
studiavamo sparpagliati nel quartiere San Lorenzo alla fine degli
anni sessanta?
Il tempo passato ha lasciato segni indelebili sul nostro fisico. Quam
mutatus ab illo! Scriverebbe oggi di nuovo, e a ragione, il buon
Virgilio se confrontasse la mia pancetta odierna con lo studentello
smilzo di 40 anni fa. Potrebbe imbarazzarmi il confronto con gli
amici di un tempo. Rischierei di non riconoscere Dino, per tutti “ er
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basetta”: lo prendevamo in giro perché, ad ogni vetrina che
incontravamo, si specchiava, pavoneggiandosi ed accarezzandosi il
ciuffo e i basettoni alla Little Tony; e se oggi fosse diventato calvo?
E Fiorella? Era la più bella del gruppo; tutti subivamo il suo fascino.
Chiamarla oggi “signora Pede “ mi sembrerebbe goffo.
Ancora più grottesco dare dell’Eccellenza a Sauro Fugo. Oggi è
presidente di Corte d’Appello ma allora, più grande di noi di
qualche anno, riuscì a dividere il nostro gruppo tra chi lo ammirava
per le sue conquiste femminili e chi non approvava il suo
comportamento. Per tutti era il “toro di Potenza” perché aveva
irretito, sedotto e scaraventato in un mondo sfrenato di sesso e di
eros una bimbetta di seconda media, piccolo pulcino ancora
implume, ad appena tre mesi dal suo menarca. Con aria da esperto
amatore si vantava, tronfio, “me la porto tutti i pomeriggi di
martedì, giovedì e sabato, sotto i pini di Castelfusano o
nell’appartamento di via lsocrate, ove - tra una monta e l’altra – le
insegno a declinare rosa – rosae”. A chi lo invitava ad essere meno
violento, rispondeva che Marisella il sesso ce l’aveva nel sangue e
nel destino, visto che la nonna faceva la prostituta in una località del
litorale romano. Dopo nove anni se ne sbarazzò, lasciandola con un
fisico devastato e una psiche ancora più avariata da una dipendenza
da sesso, un lacerante aborto clandestino e tante delusioni.
E Rolando Nerco? Nessuno come lui ha vissuto così intensamente il
Sessantotto. Non c’era assemblea studentesca alla quale non
partecipasse; in quelle aule della facoltà di Lettere, brutturate e
violentate da scritte maoiste del tipo “con le budella dell’ultimo re
impiccheremo l’ultimo papa” sembrava voler ridisegnare il mondo,
come avevano fatto i Grandi a Yalta nel 1945. Ogni manifestazione
lo vedeva in prima fila a gridare, con passione, slogan contro la
polizia, i fascisti, i baroni delle facoltà. Il giorno dell’assalto feroce
a Valle Giulia contro la polizia, mani pietose lo aiutarono a tornare a
San Lorenzo: i manganelli dei celerini si erano accaniti sulla sua
testa; perdeva sangue da tutte le parti e faticammo non poco a
fermare le emorragie; lui stringeva i denti e non si lamentò mai, solo
ci ordinava di non portarlo al pronto soccorso. Oggi insegna Lettere
classiche e dicono sia diventato un berlusconiano di ferro.
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In quegli anni di studio e di partecipazione imparammo a sentire e a
vivere con passione le problematiche del momento. Le bombe che
cadevano in Vietnam sembrava colpissero anche noi; i colonnelli
del colpo di stato in Grecia avevano tolto un po’ di libertà ad
ognuno di noi. Sapevamo dei movimenti indipendentisti di vari
paesi dell’Africa, alcuni idealizzavano la lotta di guerriglia del Che
Guevara. Le pallottole che uccisero Bob Kennedy attentarono al
nostro sogno di un mondo più bello e più giusto.
Qualcuno di noi faceva volontariato, anche se allora non si
chiamava così: Tonino Vecchio ed altri dedicavano un po’ del loro
tempo libero per aiutare, nello studio, i bambini delle famiglie che
vivevano nelle baracche lungo l’acquedotto Felice; diverse ragazze
sapevano trovare il tempo e il modo per aiutare alcune persone
anziane sole: riuscivano a far loro compagnia e a procurare la spesa
o le medicine. Dino, che aveva il padre in miniera in Belgio, faceva
il cameriere per pagarsi gli studi e Vittorio, che spesso la domenica
mattina passeggiava lungo i viali del Verano ed ammirava le tombe
monumentali dei personaggi illustri dell’Ottocento, correggeva le
bozze presso una casa editrice per mantenersi a Roma.
Per noi studenti fuorisede, c’erano pochi soldi e ancora più pochi
divertimenti. Una radiolina a transistor ci bastava per canticchiare le
canzoni del festival di san Remo o di Un disco per l’estate di Saint
Vincent; gli appassionati di calcio ascoltavano Tutto il calcio
minuto per minuto, la mitica trasmissione di Roberto Bortoluzzi,
Enrico Ameri e Sandro Ciotti. Un mangiadischi di plastica, a pile,
allietava il pomeriggio di qualche domenica e ci bastava per ballare
tra di noi o per ascoltare la musica di Luigi Tenco o di Fabrizio De
Andrè. Non avevamo la TV; non c’erano allora Personal computer,
CD, DVD, telefonini cellulari, internet, You tube, iPod, iPad,
iPhone, Facebook, Twitter… sapevamo accontentarci di poco ed
insieme avevamo validi punti di riferimento, forti motivazioni e
sogni ambiziosi. “”””””””””””””””
Un sole vivo accarezzava le vecchie case di san Lorenzo in quella
calda estate del ’72 e sembrava giocare tra le begonie, sui piccoli
davanzali delle finestre; da un juke box saliva la splendida voce di
Mina che cantava Un anno d’amore.
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Gianni, davanti al bar “La Califfa”, offriva da bere a tutti: si era
appena laureato discutendo una tesi sull’Associazione dei barbieri
nella Roma del Medioevo e sprizzava felicità da tutti i pori; due
giorni dopo sarebbe toccato a Rolando Nerco che da tempo non
seguiva più le assemblee del movimento studentesco e si apprestava
a tornare sulla Sila in cerca di lavoro e di fortuna. Rosalba, sempre
perfezionista, ritoccava continuamente la sua tesi in Farmacologia.
Antonietta aveva smesso il montgomery verde bottiglia e vestiva
vivaci camicette di lino che a fatica riuscivano a contenere il seno
abbondante; la bella Liliana, dopo la morte improvvisa del padre,
aveva accantonato gli studi di Giurisprudenza e vendeva giornali e
riviste nel chioschetto all’angolo di via dei Sabelli; Marisa, messa
da parte la laurea in pedagogia, splendida nel suo fisico sodo ed
armonioso, si esibiva, come prima ballerina, sul palco del varietà
all’Ambra Jovinelli. Andreina, fresca di Laurea in Economia e
Commercio, si avviava a gestire, con competenza e professionalità,
il negozio di calzature dei vecchi genitori, un negozio grande, con
ben sei porte fronte via Boccea. Dino, dopo il primo anno di
insegnamento in una scuola privata, era già partito per Cefalù, dove
arrotondava lo stipendio facendo il bagnino e l’assistente di colonia
ai bambini orfani dell’ENAOLI.
Come sembravano lontani allora la crisi petrolifera, le prime
domeniche a piedi, il colera di Napoli, gli anni di piombo, il
terrorismo e le brigate rosse, l’enorme debito pubblico, il
malgoverno di una classe politica corrotta spendacciona e
strapagata, la crisi economica e lo spread tra i titolo italiani e quelli
tedeschi, il fallimento delle imprese, i licenziamenti, la
disoccupazione, l’invasione degli stranieri, la violenza, l’insicurezza
nelle città e nelle nostre case, il governo tecnico, la gragnuola di
tasse sulle nostre teste…
Eravamo ventenni in quella calda estate del ’72, ricchi di salute, di
entusiasmo, di fiducia in noi stessi e negli altri. Si aveva fretta di
andare incontro alla vita e ci perdemmo di vista.
Eravamo una generazione felice e fortunata… ma non lo
sapevamo.
Nicola Sacchetti
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IL GIOCO DELLE EMOZIONI TRA LE RIGHE DI UNA
POESIA
“…… Ho sceso un milione di volte le scale con te dandoti il
braccio ed ora…..” (E. Montale)
Inevitabilmente quelle righe si accomunano a me, anzi a noi due.
A tutte le volte che ho sceso le scale con te.
Alle mille volte che l’ho fatto e ai mille modi in cui l’ho fatto.
Su e giù per quelle scale nel nostro rifugio, sempre pronto ad
accoglierci quando stressati da tutto, ostentavano un atto di pace con
tutto, dove finalmente ritrovavamo la nostra agognata e meritata
intimità. Penso alle tante volte che, accoccolati sul divano al calore
del camino, ci stringevamo felici a quella nostra libertà.
Penso alla nostra intesa e persino ai nostri silenzi che poi ci
lasciavano intuire ogni nostro pensiero.
Tornano mie, chiuse in un’unica emozione, tutte quelle volte che
scendevo quegli undici gradini così velocemente, a due a due, per
raggiungerti di sotto ed unirmi al tuo tenero abbraccio.
Penso alle tante, tantissime volte che ho sceso le scale con te, dopo
in tempi poco migliori, quando la malattia mi ha colpita.
A tutte quelle volte che con me condividevi la mia difficoltà e
insieme con quella difficoltà comune scendevamo lentamente tutti i
gradini, uno dopo l’altro. Penso angosciata alle tante volte che io,
spazientita per quell’inopportuna difficoltà, cercavo di interrogare il
tuo sguardo nel tentativo di capire quello che tu stavi provando. Se,
come me, sentivi il dolore delle mie gambe inermi che piano piano
muovevano goffamente quei passi per scendere quei gradini ad uno
ad uno contandoli tutti, fino alla fine.
Sai, in tutte quelle volte non sono riuscita a capire nulla di quello
che stavi provando, di quanto o che vuoto tu stessi avvertendo.
Oggi, nell’impossibilità di poter scendere ancora una volta le scale
con te, sono ancora più grata a quella tua inaccessibile emozione
perché la risposta alla mia domanda è proprio lì, dentro
quell’affinità del nostro incondizionato amore.
A te amore caro mio compagno da sempre
Giuseppina Raganelli
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IL SOGNO
Una mattina il Papa si svegliò di soprassalto con il cuore che gli
batteva forte in gola: aveva avuto un incubo.
Aveva sognato di volare in cielo attraversando una corsia di malati
che, pallidi in viso, si toccavano la pancia.
Non sapeva di preciso quanti fossero, nè i loro volti erano a lui
familiari, ma uno di loro in particolare non riusciva proprio a
vederlo; sentiva solo il battere dei denti per il tremore.
Continuando a volare giungeva ad un grosso portone, che in
lontananza aveva visto aperto, ma che in un attimo si chiudeva
sbarrandogli il cammino. Cercava di entrare spingendo con le mani,
con tutta la sua forza, ma un lampo con un potentissimo boato era la
risposta.
Agitato si alzò dal letto e cominciò a girare su e giù per la stanza.
Quel sogno non gli piaceva affatto. In modo particolare quel lampo,
e in quell’istante ci fu un lampo!.. E un boato.
Alzò gli occhi e vide delle goccioline di pioggia sul vetro. “che
stupido” disse “fuori piove”.
Già , ma quello stanzone di malati.
E tremanti.
Ad un tratto senti una fitta alla pancia, non aveva digerito la cena, a
quella cerimonia di inaugurazione di una chiesa, e per questo motivo
gli doleva la pancia
Ed il portone che si chiudeva nel sogno era proprio quello della
chiesa. Stava per rimettersi al letto ma non era del tutto convinto.
Per distogliersi da quel sogno, tirò fuori dal cassetto del comodino
un libro con la copertina verde, era una Bibbia.
Aprì una pagina qualsiasi e lesse un capitolo del Vecchio
Testamento. L’argomento era la storia di Giuseppe che saggiamente
interpretava i sogni. Si alzò dalla sedia e cominciò a camminare su e
giù per la stanza, e battendo le dita della mano su di un tavolo posto
al centro della camera disse: ” ci vorrebbe Giuseppe per interpretare
il mio sogno”.
“Il portone potrebbe essere quello del paradiso” aggiunse “ed il
boato la voce del Signore, ed il lampo la sua spiritualità “.
.Ma i malati erano malati veri ;non c’era sbaglio.
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Ripensò velocemente al percorso della sua vita, l’ingresso nella
parrocchia da bambino accanto a Don Vincenzo come chierichetto,
poi gli anni studio per diventare prete, e il seminario e la Laurea in
Teologia.
E poi incarichi sempre più importanti per il Vaticano, i libri scritti
sul comportamento e la Dottrina Cristiana, per finire da Cardinale a
papa. Ad un tratto gli venne in mente che nella sua vita come Papa
non era mai andato in un ospedale: era per questo che gli veniva
negato il Paradiso
Aspettò l’alba chiamò i sui collaboratori, si fece vestire e disse
:”Oggi pomeriggio voglio portare la mia benedizione all’ospedale
San Giovanni. Fatemi preparare la carrozza”
All’ospedale San Giovanni al reparto gastroenterologia era
ricoverato un ebreo negro di nome Ruben.
Era due mesi che era ricoverato, messo in una corsia di ventiquattro
letti e in due mesi non era riuscito a farsi un amico per passare un
po’ di tempo. Solo il vicino di letto gli rivolgeva la parola, ma
esclusivamente per farsi fare dei piaceri.
La visita che faceva il Papa aveva messo in stato di allarme il
direttore, i medici e tutto il personale dell’ospedale. Gli infermieri
gridavano:” tutti a letto, coprirsi con le lenzuola”, il reparto era stato
ripulito e lavato e qualche letto rifatto di nuovo.
Ad una certa ora ci fu il silenzio.
Apparvero i professori che spalancarono la vetrata d’ingresso al
reparto. Poi apparve il Papa.
Professori e medici si inchinarono baciando la mano. Il papa
cominciò a passare letto per letto alzando la mano in segno di
benedizione. Giunto al letto di Ruben scorse solo un ciuffo tremante
di capelli neri.
“ E tu cosa hai? “ domandò il Papa incuriosito. Ruben tirò fuori il
viso ed impacciato disse Padre invece di dire Eminenza. “Io sono
ebreo e per giunta di colore” disse.
Il papa rispose con calma. “Cristo nostro signore era ebreo ed Esau
era scuro di carnagione”. In quel momento tutti i malati incuriositi
più che mai nel vedere il papa soffermarsi davanti a Ruben si
alzarono dai loro letti avvicinandosi a quello di Ruben che si sentiva
soffocare.
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” Allora cos’hai” disse di nuovo il papa. “Mi sento soffocare”
rispose Ruben.
Prendi, prendi un bicchiere d’acqua” e con la mano gli porse un
bicchiere e aprì la vetrata per fare entrare un po’ d’aria.
“Ora ti saluto” disse il papa, “Shalom” disse; saluto ebraico che
significa pace.
“Baruch Shalom” rispose Ruben “Benedetta pace”.
Il giorno dopo tutta la camerata voleva fare amicizia con Ruben,
anche i medici e gli infermieri prestarono maggiore attenzione a lui,
tant’è che dopo dieci giorni Ruben guarì e fu dimesso .
E del papa direte voi?
Dopo parecchi anni mori e sali direttamente in paradiso.
Sergio Mieli
IL SOGNO PIU’ BELLO DELLA MIA VITA
Questa notte ho fatto un sogno meraviglioso :ero diventata una
creatura così importante presso Dio che molta gente correva verso
di me arrivando da tanti luoghi per accertarsi che tutto fosse vero.
Volavo in alto nel cielo e da lassù non sarei mai più scesa! Ero
piccola, ma con il cuore grande e pieno d’amore, così come vuole il
Signore.
Tutti mi guardavano meravigliati, quasi non credendo ai loro occhi:
volevano incontrarmi, conoscermi e capire come e perché fossi
cambiata in quel modo. Lassù ho rivisto la gente del mio paese, tra
cui mio fratello, morto dopo aver tanto sofferto e pianto durante la
sua vita terrena. Egli nel rivedermi era molto contento, soprattutto
per quello che mi era accaduto, e mi faceva intendere che lo stare
vicino a Dio rendeva chiunque immensamente felice. Poco dopo
sono rimasta sorpresa ed emozionata nel riconoscere accanto a me,
in mezzo a tutte quelle persone, la mia balia, quella “mamma da
latte” che mi ha nutrita da piccola. Teneva in braccio una bambina
ed io le sono andata vicino per toccarla, farmi riconoscere e
trasmetterle la mia gioia.
43
Quando ho visto il marito di mia nipote gli sono andata incontro per
dargli una carota, mentre, poco distante da noi, mio cognato
Salvatore di Milano ci osservava ridendo, ma io ero sempre lì a
credere in “Lui” cioè il “nostro Signore”. E’stato bellissimo
vedere le mie amiche che venivano verso di me contente di
salutarmi anche da lontano, desiderose di scoprire che cosa fosse
successo: ero leggera, sempre più in alto, non volevo scendere e
con il cuore pieno di fede e di grande riconoscenza per “Lui”, cioè
per “Nostro Signore”. Improvvisamente mi sono trovata vicino a
mia sorella Angelina era lei custodire con devozione il “Più
grande” cioè l’Essere al di sopra di ogni cosa, proprio il piccolo
Gesù, mentre la folla intorno voleva contemplare una tale bellezza,
mia sorella mi ha voluto vicino a sé, il bimbo era sporco e voleva
fossi io a cambiarlo. L’ho fatto con tenerezza, premura e tanta
gioia; non posso descrivere quanto fosse grande la mia felicità nel
trovarmi in quel luogo, accogliendo anche tutti quelli che arrivavano
e offendo loro in dono un po’ di fagioli.
Questo è stato proprio il sogno più bello della mia vita!
Lina Adornetti
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IN QUELLA CASA…….
In quella casa quasi spoglia, Luciano aveva appena finito di cenare
quando il campanello squillò.
Aprì la porta e, nella penombra, intravide una sagoma
inconfondibile.
Buona sera. Posso? - Disse una voce sempre nitida alle sue
orecchie.
Quasi senza fiato Luciano la lasciò passare. La donna si tolse i
tacchi a spillo con naturalezza, poi gli rivolse un sorriso e gli mollò
in mano una borsetta nera gonfia e pesante. Luciano notò che la
zippa non era stata chiusa e riconobbe al suo interno un oggetto
familiare.
A che ti serve una pistola? – Domandò severo.
Quell’uomo in strada … mi stava seguendo
Non la vedeva da quasi da un anno. Cosa aveva potuto farle credere
di presentarsi di nuovo in quel modo? Sparita dalla sua vita senza
preavviso, adesso pretendeva di rientrarvi senza permesso.
Troppo tardi, pensò Luciano. Troppo tardi per tutto.
Ti stava seguendo?
Affacciati alla finestra, controlla con i tuoi occhi
Cos’è accaduto? Domandò con voce tremante?
Se mi lasci star qui stasera, prometto di non farlo mai più
Luciano si strizzò il labbro inferiore tra pollice e indice, voltandosi
nella direzione della finestra.
Gli ubriachi negano di aver bevuto, gli assassini rifiutano il pensiero
di aver ucciso.
Dov’è – domandò irritato, sporgendosi oltre la tenda
Sara abbassò lo sguardo sul tappeto fermo sotto i suoi piedi nudi. I
suoi passi incerti l’avevano condotta nel posto più sicuro, si sciolse
i capelli, spense la luce e si raggomitolò sul divano.
E un uomo calvo, robusto, non molto alto…sussurrò sbadigliando
Non c’è nessuno
Non crederai che stia inventando tutto di sana pianta? ribattè con un
fiammifero in mano
La luce della fiamma le illuminò le labbra, per il tempo necessario
ad accendere il sigaro. Luciano pensò che non sarebbe stata la prima
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volta, ma qualcosa nel suo tono suggeriva che stesse dichiarando la
verità Alcune persone sembrano nate per mentire con grazia, per
infrangere la legge con discrezione, per riportare il caos
nell’equilibrio precario dell’ordinario. Persone venute al mondo
solo per sconvolgere l’esistenza di qualcun altro. Sara, che per lui
aveva qualcosa di straordinario, aveva forse il ruolo di rovinare la
sua?
Due lacrime le rigarono il volto : il rimmel scivolò sulle guance, ma
Sara pensò che, nella penombra della sera, Luciano non avrebbe
potuto notarlo.
Asciugati con il mio tovagliolo
Piove ancora? Mi ha seguita per sei isolati senza ombrello, sussurrò
lei
Chiudigli occhi adesso. Replicò lui, chiudendo la finestra
Il campanello della porta li interruppe. Luciano si voltò di scatto
verso di lei.
Non aspettavo nessuno
Se mi avesse vista entrare?
Vorrei sapere almeno l’entità del danno
Non ho fatto nulla, Luciano. Credimi
Il campanello li interruppe ancora e Luciano si diresse a passo
svelto verso l’ingresso, poi appoggiò l’orecchio alla porta e rimase
in silenzio.
Sono io, apri. Devo parlarti
Carlo! Cosa ci fai qui? Domandò Luciano invitando l’amico
nell’ingresso.
Un uomo calvo, robusto e non molto alto entrò nell’ingresso di
quella casa quasi spoglia.
Ho motivo di ritenere che una persona sia nascosta in questo
palazzo.
Non ricordavo che questa sera tu avessi un turno..
Doveva essere il tuo, in effetti. Il collega a cui hai chiesto il cambio,
l’ha chiesto a me.
Silenzio. Possibile che fosse tutto prestabilito? Luciano pensò che i
poliziotti sono sempre più stanchi ultimamente. Lavorare molto
guadagnando poco, cercare giustizia per trovare amarezza. In piedi
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ore, in attesa. Scoprire, delusi e confortati al contempo, che in
quell’attesa non c’è speranza.
Ho visto entrare una donna nel tuo portone, proseguì Carlo
affannato: corporatura esile, cappotto di classe, pettinatura alta e
bionda.
Avevo preso questa serata libera per me, replicò Luciano nel
chiudere la porta a vetri.
Se c’è qualcuno di là in salone…beh, ti chiedo scusa – aggiunse
l’altro.
Non c’è nessuno di là – dichiarò Luciano.
Non avevo intenzione di disturbare. Il lavoro è lavoro…
Che cosa ha fatto?
Riguarda sempre la gioielleria…
-Ci sono stati feriti? Io interruppe Luciano con tono duro.
Nessun ferito, ma…
Mi sfugge il problema, a questo punto.
Questa donna ha commesso un’infrazione: tentata rapina Luciano.
Dovresti scendere in strada con me… Mi ha disarmato…spiegò
Carlo portandosi una mano alla fronte.
Nessun ferito, nessun furto. Non si può dare la caccia a
un’innocente.
Ma l’intenzione? Replicò Carlo. Va fermata, Luciano. Quella donna
va fermata…
Sotto la pioggia, quando si è stanchi, anche una sagoma sinuosa che
si muove con eleganza può confondersi con l’allucinazione o col
sogno
Luciano portò la mano destra sulla spalla del collega, sfiorandone il
cappotto umidiccio.
Per questa volta ha vinto lei. Carlo. E’ troppo tardi. Troppo tardi per
tutto.
L’uomo robusto e non molto alto si diresse a piedi lungo le scale,
con espressione perplessa.
Qualcosa di insolito era accaduto in quella fredda serata di inverno,
qualcosa che aveva l’aria del noir e l’ombra del giallo. Giallo, ma
non troppo.
Una donna con i capelli biondi raccolti e le lebbra rosee aveva
chiesto di visionare un collier pregiato in una delle più note
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gioiellerie del quartiere, poco prima della chiusura. La commessa
doveva essersi distratta per qualche istante o forse era stato lui, di
passaggio per quella strada, a distrarsi più del dovuto, perché il
prezioso oggetto era sparito, nel vuoto, senza lasciare traccia .
L’allarme era scattato, quando la donna era uscita di corsa da quel
negozio.
Una pistola era stata sottratta alle mani di un poliziotto in servizio :
aveva vinto lei.
Luciano apri di scatto la porta a vetri, si diresse in salone e accese la
luce. Come gli assassini negano di aver ucciso, Sara avrebbe sempre
negato di aver rubato.
Da quella sera, però anche Luciano avrebbe sempre negato di aver
amato.
Ilaria Abate
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LA FINE SEGRETA
La fine, segreta, cancro.
Avellino, 8 luglio 1996. Giornata dell’intervento chirurgico di mia
madre che ancora le permette di vivere con una buona qualità la
vita, anche se è minata dal male incurabile che sta facendo la sua
maledetta strada, senza lasciarsi intimorire neanche dai
bombardamenti della chemio, neanche dal mio grande dolore che
vive ogni giorno, che mi dico di vivere, di vincere, ma che poi mai
riesco a fare.
Ho lottato, stiamo lottando ancora io e lei, la mia mamma adorata
che è ancora forte, ma lo fa per me, quando è sola, so che piange, so
che cerca tante risposte alle sua triste vita.
Non c’è più neanche un marito a consolarla, mio padre è morto 11
anni fa, neanche un’altra figlia, mia sorella è morta molto tempo fa.
Sono rimasta solo io, sola a lottare contro un gigante che mi assale,
nella paura della solitudine, nel dolore di perdere l’unica persona
cara al mondo, l’ultima.
Lui, il grande Male, lo riconosciamo, lo controlliamo, ne sentiamo il
respiro a volte affannoso, a volte si placa, come una iena che ha
fame di sangue, di morte, di carne. Ma Lui a volte, sono sicura, ci
guarda meravigliato, stupito di tanto coraggio, forse inutile ma
sempre armato, mai debole, talvolta spezzato sotto i colpi di tosse,
sotto i sintomi ogni giorno diversi, Lui si nasconde, gioca, prende,
sbrana in Gran Segreto.
Così come in gran segreto porterà via Teresa, porterà così via la mia
vita, la vita di tanti altri che l’hanno conosciuto.
Io l’ho conosciuto il 26 aprile del 1995.
Dopo il silenzio è finta vita che scorre.
La VITA è morta, dopo sarà di nuovo l’incanto di un’altra vita.
Bianca Maria Sezzatini
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LA MORTE?... E’ VITA!
Una scrivania moderna, computer completo di tastiera e video. È il
tavolo di lavoro quotidiano di Antonio, vecchio compagno di
infanzia vissuta nella periferia est di Roma subito dopo la seconda
guerra mondiale, guerra infame come quelle alle quali, purtroppo, ci
stanno e ci stiamo abituando oggi.
Antonio, a settanta anni, si è convertito al mondo virtuale e ne è
diventato anche maestro. È però rimasto l’Antonio di sempre:
ricordi, rimorsi e rimpianti, sensi di colpa sono il suo pane
quotidiano. Anche la scrivania è piena di ricordi: piccoli oggetti che
marcano le tappe della sua vita, della nostra vita.
Siamo vissuti insieme frequentando una scuola elementare che, a
guerra finita, oltre la dedica al fratello del duce conservava ancora
un retaggio dello stesso ventennio: l’alza bandiera con il canto
corale dell’inno nazionale prima delle lezioni.
Ho detto vita. Ma era forse vita quella di bambini che crescevano
rachitici in tale contesto? Crescevamo, infatti, in una borgata
“sviluppatasi” lentamente con casette, tutte abusive, costruite
personalmente da immigrati muratori, i quali la domenica – quando
non lavoravano nei cantieri del sacco di Roma postbellico -- si
dedicavano alla casa di famiglia con l’aiuto delle mogli ed anche dei
bambini. Era facile, “normale”, vedere noi bambini che, con un
secchiello pieno d’acqua, evitavamo che il sole cocente screpolasse
la malta appena impastata con il tufo o i mattoni. Anche noi due
eravamo nati in due delle piccole casette che punteggiavano quel
verde di allora che ora non c’è più.
Famiglie arrivate dalle diverse regioni centro-meridionali in cerca di
fortuna. Luoghi ancora non contaminati dallo sterco-cemento. Era
piacevole vedere le pecore brulicanti in quei prati verdi ai margini
della città, ai margini del mondo e della vita.
Rattrista, però, rivivere mentalmente quel mondo, molto simile, pur
in un apparente benessere esteriore, a quello di molti immigrati
arrivati qui dal sud e dall’est del mondo.
Il mio sguardo, tra tutte le cianfrusaglie che occupano la scrivania di
Antonio, si sofferma su una foto dove, dei due bambini
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rappresentati, mi sembra di riconoscerne uno, il più piccolo. Chiedo
ad Antonio se, per caso, non sia Lucio.
---Si! È proprio lui con la sorellina. Sai perché la conservo qui?
Perché così ripercorro un po’ le varie tappe della vita di Lucio, le
mie, le nostre. Te lo ricordi?
---Eccome! Aveva qualche anno meno di noi. Poi, però, l’ho
“perduto di vista”, poiché dopo le medie – se ben ricordi – la mia
famiglia si era trasferita in una cittadina della Toscana. E tu mi sai
dire qualche cosa di lui? È rimasto sempre in borgata? Ha
continuato gli studi, munito di eccezionale intelligenza e caparbietà,
nonostante la povertà più nera della nostra?
Mentre Antonio mi conferma la volontà di narrare la vita di Lucio a
me sfuggita, i pensieri vagano disordinatamente e distrattamene.
Voglio entrare nella foto. Lì c’è la storia, il film della nostra
infanzia ed oltre. Mi concentro, poiché allora, da bambino, non
riuscivo mai a vedere un film per intero: mi addormentavo. Anche
oggi, con il mio corpo ed i miei occhi arrugginiti dall’età, mi capita
lo stesso. Cercherò di non addormentarmi nel raccontare la vita
nostra e, per la parte a me nota, quella di Lucio. Per il resto Antonio
sarà pronto ad integrare i miei ricordi.
Vedo suo nonno Arturo, seduto su una seggiolina, con accanto
Lucio e la sorellina. Nonno Arturo ha l’aspetto particolare di quando
ci raccontava le numerose “fole”, che tutti noi bambini ascoltavamo
incantati, anche se non sempre riuscivamo a comprendere qualche
espressione dialettale. Sono ritratti su una piazzetta tipica di paesini
italiani: il monumento ai caduti della Grande Guerra è quasi lo
sfondo ideale, con la turrita porta d’ingresso al castello delle colline
marchigiane, da dove i genitori di Lucio arrivarono a Roma,
portando con sé anche nonno Arturo.
Lucio, però, come me ed Antonio, era nato a Roma. Oggi si
direbbe figlio di immigrati. Fortunatamente, però, allora ci
lasciavano lo ius soli, la cittadinanza italiana. Non esisteva il partito
del nord, non conoscevamo il nord, anche se, compatti e concordi,
facevamo il tifo per il “Torino”: era la squadra più forte, vinceva
sempre!
Le nostre giornate iniziavano all’alba, quando i genitori si
alzavano per andare al lavoro a Roma. Dicevamo, ed in periferia si
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dice ancora, “vado a Roma”, quasi ad evidenziare la provenienza da
un altro mondo, il mondo dei dimenticati, oggi come allora. I papà
muratori – era il mestiere preminente – salivano sul primo autobus
nella piazza antistante la scuola elementare: un autobus curioso, con
“il muso lungo” – dicevamo.
Le madri ci affidavano alle sorelle o fratelli maggiori, dovendo
correre anche loro al lavoro. Il lavoro delle donne era il medesimo
che generalmente svolgono oggi le immigrate: “ mezzi servizi” nelle
case dei signori di Roma o le pulizie nei “pidocchietti”, come noi
chiamavamo i cinema delle borgate, oggi, purtroppo, spariti per far
posto a sale giochi.
Ma ritorniamo alla scuola “Arnaldo Mussolini”. Dopo la
sceneggiata patriottica – che a noi, d’altronde, non dispiaceva – ci si
avviava in classe seguiti dagli insegnanti.
--Me lo ricordo bene il nostro maestro, il maestro Cosentino, al
quale devo tanta riconoscenza per l’insegnamento basilare, che mi è
servito sempre nella vita, perfino durante gli anni universitari. E tu,
Antonio, cosa mi dici? Lo hai forse dimenticato?
-- Non fare il furbo, non provocare – mi risponde Antonio ridendo.
Ero il primo e gareggiavo con te nel prendere le bacchettate sulle
mani, che spesso ritraevamo e così il loro numero, graziosamente
concesso, aumentava. Fin da allora amavo fischiettare e lungo il
corridoio verso la classe fischiavo l’inno di Mameli cantato poco
prima nell’atrio: grande colpa aver infranto il silenzio, colpa che
preludeva alla bacchettate! Tu invece rimanevi in silenzio e
pensavi… pensavi, davi spazio alla fantasia come fai adesso.
-- Hai ragione. Tu fischiavi ed io, arrivati in classe, iniziavo a
chiacchierare. Diventavo così il secondo bersaglio del maestro, che
in seguito ho sempre più paragonato all’Orbilius plagosus di Orazio.
Lucio, invece, con gli occhi sempre tristi, si avviava al banco,
ponendovi sopra, ordinatamente, il “Sussidiario” ed il “Libro di
letture” ben foderati, unici testi che riempivano le cartelle insieme
con l’astuccio di legno contenente matite e pennini per scrivere.
Antonio si addolora al pensiero di quel nostro compagno amato da
tutti, più povero nella povertà comune ed il più diligente e studioso,
al quale ricorrevamo spesso nei nostri piccoli dubbi dei compiti in
classe. Mi dice che Lucio non c’è più. Da un paio di anni, dopo
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pochi mesi da pensionato, un terribile male l’ha portato via, un male
che aveva sconvolto la sua parte migliore, la mente. Alcune lacrime
gli solcano il viso, sembra che voglia richiamare il nostro compagno
Lucio alla memoria, risvegliarne l’assenza e farlo tornare quasi
presente.
Erano anni fantastici quelli della nostra infanzia! Dopo le lezioni,
arrivati a casa per il pranzo e fatti diligentemente i compiti,
andavamo a tuffarci nella marana (sic!): acqua che veniva dal vicino
Aniene, acqua pulita, anche se le nostre madri erano di parere
contrario. Infatti, rientrati a casa, non mancavano i rimproveri,
poiché, secondo loro, eravamo sporchi, mentre noi ritenevamo
perfino di profumare. Allora iniziava il rito del bagno: una modesta
tinozza di zinco (la “bagnarola”) piena di acqua scaldata sui
fornelletti a carbone e posta in mezzo alla cucina. In verità
quell’acqua calda era più desiderata di quella fredda della marrana.
La rotonda piazzetta vicino casa, luogo abituale dei nostri giochi:
figurine, picchio, “nizza”, monopattino, non mancando mai una
partitella di pallone, alla quale partecipava un attento portiere,
Lucio. Ho rivisitato quel luogo. La piazzetta non c’è più. Il posto è
stato divorato da una variegata e multiforme serie di lamiere:
orrendo parcheggio di automobili, dove non è possibile ritrovare i
segni delle porte, del centro-campo o del muretto da dove facevamo
scendere le figurine.
Antonio prosegue, quindi, raccontando quella parte a me
sconosciuta di Lucio, quella dopo le medie, dopo la mia partenza.
Lucio continuò gli studi fino alla laurea, mentre lui aveva imparato
il mestiere paterno, il muratore, diventando – così mi dicono i
ritrovati vecchi amici di borgata – un muratore provetto fra i
migliori. Gli anziani della borgata ricordano e rivivono con
entusiasmo le feste organizzate per Lucio laureato. Ancora scendono
copiose le lacrime al ricordo del padre presente in carrozzella e della
madre assente, mamma Liberata, che aveva preceduto il figlio con lo
stesso male. Mamma Liberata! Chi non l’ha conosciuta in borgata!?
Infermiera nell’unico ambulatorio ginecologico e pediatrico
dell’ONMI, aveva veduto crescere centinaia di bambini e tutti
ricordava il nome con la sua proverbiale memoria: quasi un ufficio
anagrafico della zona.
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Luci -- è sempre Antonio che continua il racconto – durante gli
studi aveva vissuto in prima linea gli scontri studenteschi del 1956:
la rivolta anticomunista d’Ungheria – quella che lui si ostinava a
chiamare “controrivoluzione”- e la contemporanea crisi del canale di
Suez, nazionalizzato da Nasser. Io vivevo, invece, nel mio esilio
dorato di Toscana, ove quegli eventi, ascoltati per radio giungevano
da un’eco lontana, perché non avevamo la Tv. Ora so che Lucio
partecipava, combatteva, mentre io, chiuso in casa, fuori dal mondo,
godevo egoisticamente dei miei libri e solo loro mi aprivano al
mondo e con loro mi sembrava che le pareti della stanza ed il
soffitto si aprissero. Fantasticavo come facevo alle elementari nei
momenti di silenzio.
Dopo la laurea Lucio continuò a vivere in borgata con il padre e si
dedicò completamente alla carriera universitaria, diventando ben
presto assistente e poi titolare nella facoltà di Lettere e Filosofia.
Era “il professore” ed insieme al vice parroco don Ernesto un
punto di riferimento per tutti. A don Ernesto, stimato ed apprezzato,
ci si rivolgeva per lavoro: ufficio di collocamento. A Lucio
ricorrevano i genitori per ripetizioni di italiano e latino, che lui
allora – diversamente da quasi tutti i suoi colleghi – faceva gratis.
Era forse possibile un diverso comportamento per quella povera
gente?
Antonio mi ricorda, quindi, una parte del carattere del nostro
amico, aspetto a me sconosciuto e quasi impossibile a credere: una
certa ironia, un ostentato atteggiamento spigliato, che contrastava
con la serietà ed autorevolezza di professore o con la tristezza di
Lucio bambino. Egli amava molto la vita ed a chi ricorreva a lui
diceva che avrebbe fatto lezioni in eterno, perché non voleva morire,
non sarebbe mai morto. Gli abitanti ci ridevano, ma don Ernesto –
“un tipo” quasi identico a Lucio – aveva voglia a dirgli: “Lucio,
moriremo tutti, ricordatelo: pulvis es et in polvere reverteris!” E
Lucio, di rimando: “Don Ernè, fà il prete, è il mestiere tuo, ste cose
a me non le dire. Io non morirò”. Tutti ridevano di queste frasi che,
passate di bocca in bocca, avevano fatto il giro della borgata.
A questo proposito Antonio ricorda come Lucio, nei momenti di
lucidità dalla malattia – per intervalla insania e, diceva – avesse già
scritto il proprio epitaffio.
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La giornata volgeva al termine ed il sole stava quasi scomparendo
all’orizzonte. Chiesi ad Antonio di
accompagnarmi al cimitero per salutare Lucio prima di risalire sul
treno che mi avrebbe riportato in Toscana.
Arrivati al non lontano e piccolo cimitero, davanti alla tomba
proruppi in una grande risata di cuore, prontamente seguito da
Antonio. Perché? Colpa dell’epitaffio scolpito sotto la foto di uno
scanzonato Lucio: “Lucio amava la vita, non voleva morire, ma qui
giace”.
Marcello Olivi
LA TRAPPOLA
La volpe correva felice verso il rumore assordante del mare; voleva
finalmente vedere questa distesa azzurra che s’infrangeva ai piedi
della scogliera.
Ne aveva sentito parlare dai vecchi del branco. Essi avevano osato
sfidare l’altopiano che non offriva riparo ma prometteva, una volta
giunti al suo limitare, un cielo rovesciato sotto di loro.
A un tratto un dolore improvviso, nuovo le tolse il respiro ed arrestò
la sua corsa. Una tagliola aveva serrato il morso d’acciaio intorno
alla sua zampa. Tentò di liberarsi, ma capì subito che non c’era via
di scampo, la corsa finiva lì.
Cercò aiuto con lo sguardo e lo vide: l’aveva seguita, per una volta
aveva osato lasciare la loro tana.
Sapeva che la sua presenza era vitale per lui; non sarebbe rimasto
mai solo con tutti quei fantasmi che tormentavano la sua esistenza e
lei, per la prima volta, fu felice di vederlo; forse rappresentava la
libertà.
Si avvicinò guardingo e con i denti allentò gli anelli della catena
che trattenevano la trappola. Lei fu libera!
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Dolorante ma felice, lo seguì fino alla tana e lui la guidò nell’angolo
più profondo e buio, al riparo dagli animali predatori attratti
dall’odore delle sue ferite.
Di giorno usciva per cacciare, tornava sempre con un boccone scelto
con cura per lei; il resto del tempo lo passava ad armeggiare con i
denti intorno a quell’arnese di prigionia per tentare di allentare la
morsa. Il calore delle sue fauci la tranquillizzava, le davano la
speranza che tra non molto avrebbe ritrovato la libertà.
Lui la guardava con occhi devoti e protettivi, certo che ormai non lo
avrebbe più abbandonato, anche se per poco e per vedere il mare,
una favola messa in giro dai vecchi per far sognare i cuccioli prima
d’addormentarsi.
Una notte, dopo l’ennesimo tentativo fallito, lei ebbe la sensazione
che quei denti d’acciaio fossero sempre più serrati intorno alla sua
zampa e la tagliola sempre più pesante.
Fu allora che una nausea salì dalle sue viscere fino ad invaderle le
fauci e le nari accompagnata da un odore di morte. Nel gran
bisogno di lei, lui era pronto a sacrificare tutti i sogni della sua
compagna in cambio di una dedizione totale senza limiti: in fondo
era lui che dava di più! Finalmente lo vide per la prima volta: era lui
la trappola, non quel pezzo di ferro di cui si sarebbe facilmente
liberata con un gesto estremo.
Raccolse tutto il suo coraggio; si trattava di scegliere tra il vivere o
il morire. Con un morso netto tranciò il ginocchio liberando il resto
della zampa.
Non urlò, non provò dolore, ma solo la forza di trascinarsi fuori
dalla tana e provare a correre. Si rese conto che era possibile, anche
con solo tre zampe che toccavano il terreno.
Aveva davanti a sé tutta la notte per tentare di attraversare
l’altopiano e raggiungere la scogliera; il buio l’avrebbe protetta e
nascosta da tutti coloro che volevano insegnarle a vivere!
Giunse alla scogliera; le prime sciabolate di luce iniziavano a
lacerare il buio della notte, ma udì anche il latrare dei cani lanciati
nella caccia in quella splendida alba.
Lei incantata guardava quel cielo rovesciato e mai fermo. Era giunto
il momento di scegliere: fermarsi sul ciglio del nulla, provare a
nascondersi e sperare di sfuggire ai cacciatori o lanciarsi nel mare
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per gustarne il sapore, l’odore, il contatto con la quasi certezza di
schiantarsi sulla risacca? Scelse il salto ed in quel preciso istante
una volpe zoppa provò la maestosità del volo dell’aquila reale
qualunque fosse stato l’atterraggio.
Rosanna Risi
LE DUE VALIGE
Sono nata nuda, come tutti. Ho pensato: che freddo, che cosa
aspettano a vestirmi? In quel momento qualcuno mi ha dato una
sculacciata. “Ehi, ma che maniera di dare il benvenuto!” Ho cacciato
un urlo e ho pianto. Le prime lacrime della mia vita. Ho comprato
una valigia, grande, trasparente e ci messo la “sculacciata” con un
cartellino: prendi e impara. Crescevo e la valigia si riempiva. Ora è
abbastanza piena e sciupata. Non occorre aprirla. È trasparente e
lascia vedere il mio vissuto: i giorni belli e quelli brutti. Non voglio
ricordare i giorni tristi, ma in quella valigia ci sono. Vedo anche la
foto di una ragazza. Si, sono io che, incerta e sorridente, cerco la
strada della vita. Chissà se poi ho scelto quella giusta, ormai l’ho
percorsa quasi tutta. Inutile guardare indietro. Non è stata una strada
tanto diritta. Ogni curva nascondeva una gioia o un dolore. La gioia
mi dava energia e il dolore m’irrobustiva. Nella valigia alle mie
prime lacrime se ne sono aggiunte tante ancora. Esse hanno lenito le
ferite, ma il tempo le ha asciugate. La vita tanto mi ha tolto, ma
tanto mi ha dato. Tutto il mio vissuto lo conservi tu, cara vecchia
valigia, ormai pesante. La mia mano destra ti stringe forte per non
perdere le memorie tanto care.
Negli anni di gioventù, però, ho comprato un’altra valigia. Piccola,
di un colore indefinibile, bello e brillante. La porto con la mano
sinistra, perché fa parte del mio cuore. È preziosa. Al manico c’è un
cartellino con una scritta: “personale”. La apro in momenti di
particolare serenità e ci trovo tutti i miei sogni giovanili. Ogni tanto
ne tiro fuori uno e cerco di realizzarlo. Non ci rinuncio.
Ecco, avrei voluto fare la scrittrice, ma le necessità della vita non lo
hanno permesso. Oggi, dopo gli anni lavorativi ho tempo per
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scrivere. Non sono una scrittrice famosa, ma mi soddisfa
esprimermi attraverso la scrittura.
Avrei voluto liberare la mia creatività. Oggi sono una volontaria che
crea abiti e gioielli per le sfilate di moda over ‘60.
I miei sogni di ieri, oggi sono i miei hobby. Li realizzo per me
stessa. Questo mi appaga.
A te, piccola valigia così bella e raffinata, devo dire “grazie” per
aver conservato tutta la freschezza dei miei verdi anni, i sogni,
l’ingenuità, la speranza, la voglia di vivere.
Care valige, le mie mani non hanno mai annaspato a vuoto.
Dovevano tenervi saldamente. Grazie per questo!
Francesca La Rosa
LETTERA
Lettera a te ed a voi ragazzi. A chi brucia ed a chi è bruciato, a chi
violenta ed a chi è violentato, a chi uccide ed a chi è stato ucciso.
In che modo possiamo chiedervi perdono, in modo noi madri e
padri possiamo chiedere perdono a questi nostri figli, che con tanto
amore abbiamo allevato, con tutte le cure possibili, lavorando con
fatica per non far loro mancare il necessario, dando loro consigli ed
esempi per farli crescere onesti, con sani principi. Li guardiamo diventare giovani ragazzi e ragazze e ci sentiamo
orgogliosi, “accidenti! Se ci sentiamo orgogliosi”.
Poi, all’improvviso, così per caso, accendendo la televisione, li
vediamo arrestati, perché hanno picchiato, violentato, ucciso e
bruciato, con la ferocia di pazzi scatenati, con una mente distorta,
tanto capaci, maschi o femmine, di portare una così macabra dea.
Buttare prima un po’ di vernice affinchè il fuoco bruci di più e più
a lungo, addosso ad un giovane della loro stessa età, inerme,
colpevole solo di non essere in grado di difendersi.
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Uno contro tre, straniero in un paese straniero, solo in una stazione,
preso di mira perché la loro serata era stata priva d’emozioni, il vino
e la droga non erano stati abbastanza.
Invece, vedere tra le fiamme dimenarsi il figlio di madre, gridare,
urlare ed invocare, come facciamo tutti nei momenti dolorosi della
nostra vita “Mamma aiutami!”
Ma che aiuto poteva dargli, visto che la sua mamma non era
presente? Invece, quelle fiamme ora le stiamo sentendo bruciare nel
nostro cuore, e stanno lasciando cicatrici che continueranno a
bruciare per tutta la vita, di sconfitte, di vergogna:”Perché ci state
facendo questo? E di che cosa vi dobbiamo chiedere perdono?”
In che cosa abbiamo sbagliato, da meritarcelo?
E tu, giovane che stai lottando con la morte, solo, senza nessuno
che ti sia vicino e ti consoli, come chiederti perdono per quello che
ti hanno fatto questi nostri figli?
E come spiegarti il perché, visto che non lo sappiamo neanche noi?
Ora io, una mamma di questo mondo - non chiederti il colore della
mia pelle, sono solo una mamma -se potessi darti un lembo della
mia pelle per trapiantarla sulla tua, e restituirti la bellezza di prima,
io personalmente lo farei.
O la verginità a quelle ragazze madri, ed una famiglia ai bambini ed
alle bambine abbandonate.
Di portare in ogni parte del mondo la pace e non più guerre, per non
poter contare i morti.
Eppure io, una emigrante del mondo, in nome di tutti gli esseri
viventi, chiedo perdono a Dio.
Perché sappiate tutti, siamo venuti al mondo, con un soffio della
vita, e tutti, proprio tutti lasceremo questa vita, quando lo stesso
soffio ci lascerà.
Potere, gloria e bellezza, tutto finirà.
Maria Antonietta Pieroni
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L O S F A T I C A T O
Da quanno er mònno è mònno, esistono du’ spece de ommini: quelli
che se dannano l’anima a fa’ troppo e quelli, invece, che se dannano
a non fa ‘gnente.
Li primi, invidiosi, chiamano li secondi “sfaticati. Io per mio
naturale, appartengo a li secondi; ma voi potete immmaginà quanto
è dura la vita de ‘no sfaticato? Come te svej la mattina, davi alzarte
in piedi; se la sera prima hai magnato er cioccolato, quanno vai al
bagno, pè completà l’opera, devi spigne; se frattanto che hai
dormito, hai pijato ‘n po’ de freddo e te sei svejato cor mal de’
panza, a cacà ce devi andà de corsa. Quanno poi vai ar bare a prenne
‘n caffè e trovi quarcuno che te conosce, per nun fatte cojonà, devi
dije che er caffè lo bevi “amaro” per non dovè lavorà troppo de
cucchiarino e che lo bevi ristretto per non faticà troppo ad alzà la
chicchera. Li ommini della prima specie, solitamente se
concentrano a fa solo ciò che vonno fà; io ‘nvece per non sentimme
dì la solita tiritera che l’ozzio è er padre de tutti i vizzi, me devo
arrabattà a tutte le occasioni pè sembrà quello che sono, cioè ‘no
sfaticato.
Se cammino veloce devo faticà a respirà più forte, quanno ‘nvece
cammino lemme lemme, spesso m’addormo e poi devo faticà, ‘na
vorta riaperti li occhi , a capì da che parte stavo annando.
La sera, quanno rientro a casa, sfinito pè il troppo penzà a non fa
gnente, er giorno mio non è ancora finito; me principio a penzà a ciò
che non devo fa il giorno dopo, per non portà via lavoro all’altri,
cosa che farei il giorno del dopo e l’anno del mai! Ma voi, ce lo
immaginate che fatica? Altro che sfaticato!
Senza de noantri sfaticati er mònno sarebbe tutto piatto e ce sarebbe
poco spazio per l’immagginazione de’ quelli che se
arimbambiscono a cambiarlo, con la loro voja de fa e pe’ ripijà cor
vizzio de apparì li mejo ommini der mònno.
“Tutti gli uomini credono di essere indispensabili, anche gli
sfaticati”
??
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Caro amico,
ti incontro tutti i giorni e ogni volta mi sembra di conoscerti e forte
è in me la tentazione di salutarti mentre mi domando chi sei, dove ti
ho conosciuto, se occasionalmente ci siamo scambiati alcune parole.
Ad ogni nostro incontro, leggo nei tuoi occhi il mio stesso dilemma;
allontanandoci l’un l’altro, i nostri pensieri, sfumando, si rivolgono
ad altro.
Ci siamo così abituati ad incontrarci senza parlarci, salutandoci
forse solo con lo sguardo, così chevolessimo confidarci alcune cose,
ci sembrerebbe strano il significato delle nostre parole. Dopo di te
incontro altri che desidererei conoscere meglio ma, spesso, non
trovo le parole adatte per ridurre la distanza che mi separa da loro.
L’altro giorno, osservavo nel parco alcuni bambini di nazionalità
diversa, giocare tra loro; un cinesino rivolgendosi ad un bimbo
italiano gli ha detto “houchin” e il bimbo italiano gli ha risposto “ci
chin” ed il cinesino, pur non avendo compreso la risposta convinto
che gli fosse stata detta in lingua italiana, con un grande sorriso
sulle labbra, lo ha invitato a giocare con lui.Beata fanciullezza!
Intendersi senza capirsi!
Perché l’uomo si ostina a portarsi addosso questa pesante corazza di
pregiudizi, timori, consapevolezza, a volte di essere superiore agli
altri, tanto da non riuscire ad essere bambino per vivere il magico
gioco della vita con tutti quelli che gli stanno attorno?
Ecco, forse, la risposta al mio dilemma. Riuscire ad essere ancora
bambini, spogli di quella quotidianità che spesso non ci fa vedere
l’amico che abbiamo di fronte, non ci fa aprire la bocca per parlargli
o sorridergli, ci impedisce di predisporre la nostra mente e il nostro
cuore a capirlo e a condividere le sue preoccupazioni.
Bambini cresciuti e sempre più costretti dalla durezza della vita ad
isolarsi gli uni dagli altri.
Bruno Bertolani
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MAMMA
Dopo 30 anni è tornata con il grande amore della sua vita, ora è di
nuovo felice. Ho passato con lei le ultime ore della sua vita terrena,
ore interminabili e troppo veloci allo stesso tempo. Aveva nello
sguardo una dolcezza indescrivibile mi diceva:- non mi lasciare….
Aiutami!-, mi sentivo impotente, l’unica cosa che potevo fare era
accarezzarla e tenerle la mano per farle capire quanto le volessi
bene, anche se come tutti i figli, con il passare degli anni e presi dai
nostri impegni, anche io spesso non ho saputo darle tutto l’amore di
cui aveva bisogno. L’ho capito tardi… lei, credo abbia percepito il
mio rammarico perché ha voluto che mi avvicinassi al suo viso, mi
ha dato un bacio e fatto una carezza. Non so descrivere cosa ho
provato in quel momento, una cosa solo so, ho desiderato con tutto
il cuore che il tempo velocemente tornasse indietro fino a farla
tornare con tutto il vigore che aveva in gioventù.
L’ho vista giovane donna con 5 figli sempre indaffarata e precisa
nell’organizzare le giornate, papà la chiamava “la mia maestrina”, o,
quando prima di uscire a fare la spesa si sedeva al tavolo con carta e
penna per vedere cosa poteva comperare con i soldi a disposizione
per quella giornata; o ancora, quando io piccolina, avendo passato
molti mesi in ospedale, malgrado tutto il dafare che le dava la
famiglia numerosa (i gemelli erano nati da poco) veniva tutti i giorni
a trovarmi e a volte, quando dovevano farmi le medicazione (molto
dolorose) veniva anche la mattina, a me bastava tenere la sua mano
ed era più efficace di un anestetico. Poi venivo riportata al presente
dai suoi flebili lamenti.
Nei momenti in cui teneva gli occhi aperti, guardava fisso il muro
davanti al letto come se cercasse qualcosa, ho capito che le mancava
il Crocefisso che aveva a casa davanti al suo letto e con il quale
parlava tutte le sere. Le ho portato un’immagine di padre pio al
quale era molto devota ed ha voluto che glielo mettessi in modo che
potesse vederlo quando apriva gli occhi. Spesso la sorprendevo a
muovere le labbra mentre lo guardava, come in una preghiera
silenziosa.
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L’ultimo giorno erano con me anche i miei fratelli e dopo molte ore
di incoscienza si è addormentata con il sorriso sulle labbra e chissà,
forse è proprio in quel momento che ha visto papà.
Mi piace salutarla come facevamo tutte le sere per telefono:
”Buonanotte mammetta… buonanotte e sogni d’oro!” E lei mi
rispondeva: “sogni d’oro anche a te Lucetta”.
Lucia Giorgetti
SCRIPTA MANENT…..
Questa storia riguarda Silvia M., una monteverdina degli anni ’70.
Erano anni in cui non c’erano cellulari e computer e in cui spesso le
famiglie avevano il telefono in duplex, un sistema di condivisione
della linea con un vicino di casa che faceva economizzare, ma
costringeva a chiamate brevi: è grazie a ciò che di questa storia
esistono documenti scritti, consistenti in un cospicuo carteggio tra
Silvia e me, due amiche che volevano rimanere tali e tali sono
rimaste.
Silvia, ad Ostia, era stata mia compagna di classe per quattro anni di
liceo, i primi, quelli più importanti perché più forte ribollono nel
sangue gli ormoni della crescita e più sono frequenti determinate
caratteristiche : avere la testa tra le nuvole, vivere la scuola come
una guerra inevitabile dove i professori sono cecchini sempre in
agguato per colpirti, pensare continuamente all’amore, sperimentare
strategie e possibilità nei rapporti tra coetanei, coltivare passioni,
stringere amicizie.
Silvia aveva una passione sconfinata per il teatro, io per la scrittura
ed eravamo amiche, “amiche del cuore” , come si diceva allora.
A quell’età si sa poco della vita e, anche se i primi approcci con lo
studio della Filosofia tendono ad ampliarci gli orizzonti
gnoseologici , la vita è e rimane, tutto sommato, la nostra
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quotidianità e non ce ne curiamo, a meno che non sia lei a bussare
prepotentemente alla nostra porta.
Fu proprio un evento drammatico a far sì che Silvia, nata e cresciuta
a Ostia, diventasse una romana di Monteverde Nuovo, zona dello
storico quartiere Portuense : la morte della sua mamma impose alla
famiglia un cambio di ambiente e lei, figlia maggiore, si trovò
catapultata da un’adolescenza spensierata ad una maturità precoce
ed inevitabile. Per mantenere il rapporto di amicizia con lei io,
ancora ostiense, incominciai a scriverle e lei a ruota iniziò a
rispondermi : le notizie arrivavano con un certo ritardo ma che
soddisfazione, allora, poter leggere e rileggere con calma tutti i fatti
e fatterelli delle nostre vite con emozioni e commenti connessi! E
che grande opportunità, oggi, potere rileggere in quelle lettere,
conservate in scatoloni sul fondo di un armadio insieme a diari ed
altri ricordi di gioventù, dettagli che altrimenti si sarebbero
probabilmente persi nei labirinti sovraffollati della memoria!
Silvia con il trasferimento si ritrovò iscritta al liceo classico
“Manara”, che frequentò più per dovere che per convinzione e che
abbandonò dopo pochi mesi senza rimpianti, ma con una rabbia
sorda che le covava dentro e le faceva provare paura: quale
sarebbe stato il suo futuro? Voleva rendersi indipendente presto, a
prescindere dal diploma liceale, a prescindere dalle strade prefissate
che non avevano più alcun senso per lei.
Ma, a diciannove anni, le esigenze pratiche non possono fare
smettere di sognare e così, con quanto guadagnato con lavoretti
occasionali, Silvia decise di pagarsi delle lezioni private, di
recitazione per tentare l’esame di ammissione all’Accademia di
Arte Drammatica “Silvio D’Amico” nell’autunno successivo.
Tra studio e lavoro era molto impegnata, ma trovava comunque il
tempo di scrivermi lunghe missive.
Mi raccontava che il padre, a bordo della sgangherata Fiat
“milletrè”, la conduceva talvolta con la sorellina a visitare edifici
e luoghi particolari della zona: Lei, amante del cinema oltre che del
teatro, era rimasta molto colpita dal quasi irreale complesso del
Buon Pastore a via di Bravetta, dove erano state girate alcune scene
del film “Una vita violenta” tratto dal romanzo di Pasolini, e poi dal
Monte delle capre al Trullo e da Villa Kock e Torre Righetti a
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Monte Cucco, dove l’eclettico artista aveva ambientato varie scene
del famoso “Uccellacci e uccellini” con il grande Totò; ma era
quasi svenuta per l’emozione quando aveva scoperto che Luigi
Pirandello in persona aveva scelto come set cinematografico del
film “ il fu Mattia Pascal” Villa York , un imponente edificio
barocco troneggiante nella Valle dei Casali : - il Maestro è stato
qua, così vicino a casa mia…forse il suo fantasma si aggira ancora
in questi luoghi…lo spero tanto!
Mi scriveva anche di come avesse imparato a conoscere il saliscendi
delle strade romane che, anche se inizialmente faticose per lei che
non vi era abituata, tuttavia non le impedivano di avventurarsi in
posti sempre nuovi e straordinari : portando a spasso la cagnolina
Laika aveva scoperto un cimitero per animali, Casa Rosa, pieno di
dediche struggenti e di veri e propri monumenti, ma l’aveva
rattristata troppo e non aveva voluto tornarci. Quello che con il
mercato di Porta Portese era diventato, invece, un divertente
appuntamento domenicale e spesso ci andava a piedi, alla ricerca di
“tesori” il più possibile economici. Con l’autobus poteva
raggiungere in poco tempo il Gianicolo pieno di Risorgimento e di
bambini a bocca aperta di fronte alla baracca dei burattini, la
decadente Villa Sciarra, i vicoletti di Trastevere a l’Isola Tiberina,
sui cui fianchi a primavera gli innamorati si baciavano incuranti del
mondo. Talvolta , con Laika nel trasportino, andava a fare delle
passeggiate in bicicletta a Villa Pamphili di cui mi decantava il
verde immenso, gli edifici, le fontane e il lago, un lago vero, dove,
in un giorno di particolare calura, la cagnolina si era tuffata !
Le sue lettere erano sempre frizzanti e piene di battute, ma due di
esse raggiunsero uno stato di euforia pura : le era capitata
l’occasione di assistere a due rappresentazioni teatrali! Al Teatro
Argentina aveva assistito a “Una delle ultime sere di carnovale” di
Goldoni, con Lina Volonghi ed Eros Pagni; al Teatro Rossini si era
tuffata con gran gusto in uno spettacolo dialettale romanesco , “Ah,
vecchiaia maledetta!”, con Checco e Anita Durante.
-Per arrivare al Rossini devi passare tra vicoletti, piazze e botteghe
che ti risucchiano in un’altra epoca; - mi scriveva – c’è poco da
fare, quando entri in questi posti devi lasciarti andare, ti sembra di
sentire l’odore del vino delle vecchie osterie, del pane cotto nei
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forni della Roma papalina e quando ti ritrovi a dire “Aoh! Embè?
Ndò sta?” ti ci ritrovi davanti, pronto per lo spettacolo.
Fu proprio a Checco Durante, che l’aveva colpita profondamente
per il faccione bonario e i modi sornioni ma pieni di umanità, che
Silvia scrisse quando, con sua grande delusione, non fu ammessa
all’Accademia. Era una lettera di sfogo, semplice e sincera, in cui
parlava di desideri, speranze, disillusioni, ribadendo la sua
incrollabile passione per il teatro: pur di respirarne l’atmosfera
sarebbe stata disposta a lavorare come maschera o come tirasipario!
La grande forza di un sogno a volte lo fa trasformare in realtà.
Checco telefonò a Silvia e la convocò al Rossini per un giorno
fatidico e beneaugurante perché era il giorno del suo ventesimo
compleanno. Dopo una breve chiacchierata le disse che l’avrebbe
inserita con poche battute nello spettacolo in cartellone, per
verificare che sapesse sostenere l’impatto col pubblico. La prova
andò bene e Silvia entrò a fare parte della compagnia. “Pensione la
tranquillità”, “il trabocchetto”, “Accidenti ai giuramenti” i suoi
cavalli di battaglia.
Quando, per la prima volta, andai a vederla recitare, ero
emozionatissima: quell’attrice dai riccioli neri che si muoveva con
disinvolta professionalità sul palcoscenico e che riceveva applausi a
scena aperta era proprio lei, la mia “amica” del cuore” degli anni
liceali!
Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, il tempo è rotolato in
avanti con velocità crescente, portando a me e a Silvia carrettate di
figli, amori e vita, ovvero di gioie, dolori e possibilità che non
avremmo mai creduto, incontrollabili e sempre variabili come le
immagini di un caleidoscopio.
Ma qualcosa di importante è rimasto inalterato nel tempo, a dispetto
dei cambiamenti e delle divergenze che le stagioni hanno inciso sui
nostri volti e sulle nostre opinioni. La vita ci ha fatto, quando
eravamo adolescenti, un prezioso dono e noi lo abbiamo saputo
conservare con cura: si tratta della nostra amicizia.
Carla Pelli
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SPETTACOLO IN PERIFERIA
Questa sera in teatro c’è un grande fermento : attori in ansia per il
debutto della nuova Commedia “Dottore per caso”, di Molière,
tecnici del suono e delle luci indaffarati nelle prove, regista nervoso
e agitato, perché non è tutto ancora a punto come dovrebbe,
scenografa non ancora soddisfatta dei risultati, che cerca di
apportare modifiche fino all’ultimo momento.
L’agitazione degli attori si tocca con mano: chi ripassa la parte, che
cammina avanti e indietro sul palcoscenico per scaricare la
tensione, chi sbircia attraverso le giunture del sipario per guardare
quanti spettatori sono in attesa, chi fa una preghiera per invocare
l’aiuto divino.
Io resto in osservazione e seguo con molta curiosità quello che
accade intorno.
Sono soltanto la suggeritrice, eppure mi lascio coinvolgere
dall’ansia che c’è nell’aria.
Il sipario rosso nasconde tutto ciò che avviene nei retroscena. Si
sente soltanto lo scalpiccio di coloro che stanno allestendo la
scenografia.
Ecco, ci siamo. E’ giunto il momento.
La gente comincia ad entrare. Si dispone nei posti assegnati, in
attesa che lo spettacolo abbia inizio. La sala è ormai al completo. Un
rumorio di voci serpeggia nell’atmosfera poi, all’improvviso, tutto è
silenzio.
Il presentatore si fa avanti sul palco, a sipario ancora chiuso, e
annuncia il titolo della Commedia, elencando i nomi degli
interpreti ed informa che essa sarà recitata in dialetto romanesco e
preceduta da una gag molto divertente.
Il sipario si apre ed appare uno scenario molto semplice: un tavolino
con due sedie, su di esso un bouquet di fiori e un posacenere. Seduti,
in attesa, una coppia di giovani sposi, rappresentata da due bambini
abbigliati da adulti: lui in abito elegante e papillon al collo della
camicia, lei in abito di voile con toni sfumati sull’azzurro e
cappellino spiritoso con fiori sulla falda.
Entra il cameriere. La gag ha inizio. Il gioco si basa su continui
equivoci, determinati dalla duplice interpretazione delle parole. Ne
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nasce una situazione altamente comica, che provoca continue risate
da parte del pubblico.
Al temine della gag gli applausi scoppiano fragorosi. I due piccoli
attori sono molto emozionati, altrettanto il padre che appare,
oltretutto, orgoglioso dei propri figli (infatti essi sono una vera
famiglia nella realtà quotidiana).
Il sipario si chiude. La scena viene modificata. Ora appaiono due
ambienti: uno esterno con giardino e uno interno con caminetto, un
tavolino e una sedia. Il primo rappresenta l’ambiente agreste di una
modestissima famiglia di contadini, l’altro una famiglia benestante,
della quale fa parte una giovane, diventata muta all’improvviso.
La comicità della Commedia nasce da un equivoco: c’è bisogno di
un medico per la giovane ammalata. Lì non se ne trovano. Ne viene
individuato uno che medico non è, ma che si trova a fingere di
esserlo , obbligato dalle circostanze e invogliato dall’occasione di
un lauto guadagno. Egli non sa che è stata sua moglie a creare
l’equivoco, per vendicarsi di lui che la bastona ripetutamente. “Chi
la fa l’aspetti”, dice il proverbio, e lui, Sganarello, avrà quel che si
merita.
Gli interpreti si rivelano bravi attori, nonostante si dichiarino
soltanto amatori della recitazione; i costumi, ben indovinati (e qui
vengono fuori la creatività e la fantasia della scenografa), calzano a
misura sui personaggi, caratterizzandoli in maniera perfetta. Le gags
sono di una comicità esilarante e provocano applausi continui e
fragorosi da parte del pubblico. Sganarello, molto compreso nella
sua parte, vuole affermare la propria autorità sulla moglie Martina,
che non intende certo soccombere alle angherie del marito, anzi non
le sembra vero di aver trovato l’occasione opportuna per fargli
pagare i soprusi che ha subito. Il povero Sganarello si troverà a
subire lo stesso trattamento che ha riservato alla moglie. Ne
riceverà di bastonate! E di santa ragione.
Cosi, di scena in scena , le occasioni di ilarità sono tante. Il pubblico
si sta veramente divertendo.
Quando entra in scena Geronte, il padre di Lucetta, l’ilarità giunge
all’apice.
L’abbigliamento, l’andatura strascicante e traballante rendono il
personaggio molto veritiero e buffo.
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Tutti gli interpreti danno il massimo di sé : Petruccio l’innamorato,
Giacomina la cameriera, Valerio il servo, Lucetta la figlia di
Geronte, Martina, Sganarello e persino Orazio, mai presente e
soltanto nominato, contribuisce a dare carattere alla Commedia.
Lo spettacolo dura poco più di un’ora, ma riesce a provocare un
grande divertimento. Al termine, la soddisfazione è generale: quella
degli attori, quella della regista, della scenografa, del pubblico che
non si lascia pregare, quando all’uscita deve deporre l’offerta libera
per la rappresentazione. Ma la gioia più grande è l’obiettivo
raggiunto: l’opera di beneficenza a cui sono destinati questi soldi.
Saranno devoluti alla Parrocchia di periferia che ci ha ospitati. Il
nostro scopo è semplicemente filantropico e, se possiamo col
nostro contributo, rendere migliore la vita a qualcuno in situazione
di bisogno, ne siamo veramente felici. In più , riusciamo ad
alleggerire gli animi con due ore di lieta compagnia e questo non è
poco.
Anna Manzo
TERME DI CASA MIA
“Frutta e verdura, frutta e verdura, frutta e verd….” è questo il no to
ritornello che insistentemente ci segue e che tutti ormai abbiamo
memorizzato nell’ascoltare i consigli e le prescrizioni di medici,
dietisti, estetisti ed esperti che si occupano di benessere fisico anche
attraverso le trasmissioni televisive e gli articoli dei giornali. In
effetti, ognuno di noi potrebbe raccontare e dimostrare per
esperienza diretta quanto sia importante nutrirsi di alimenti vegetali,
soprattutto crudi, che ci assicurano vitamine, sali minerali, fibre e
fresche sensazione di sapori e di gradevoli profumi. Perciò….tanta,
tanta frutta e verdura…da coltivare, da mangiare, da gustare, da
trasformare, da conservare, da scoprire, da osservare, da studiare, da
regalare, da disegnare, da scolpire…insomma un vero patrimonio da
proteggere e che possiamo utilizzare con intelligenza a nostro
vantaggio e nel migliore dei modi
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Mi sono accorta che, mettendo in atto un po’ di fantasia e di senso
pratico, potremmo ricavare ulteriori benefici per la nostra salute da
tutto ciò che la natura crea ogni giorno per noi. Tempo fa,
desiderando fare un bagno immersa nella vasca per distendermi e
recuperare energie, come faccio di solito tra una doccia e l’altra, mi
sono trovata a corto di bagnoschiuma e con un po’ di follia mi sono
inventata le terme a domicilio. Ho pensato: ”ma quello che ci fa
tanto bene dentro può farcelo anche fuori, noo??”, cosi ho
appoggiato sul tavolo di cucina il mio vecchio e potente frullatore,
mi sono guardata intorno e ho buttato dentro tutto quello che mi
sembrava più idoneo a creare là per là un’emulsione gradevole e
profumata da spalmare sul corpo. Ho preso del limone con la buccia,
gli scarti ben puliti di un finocchio, mezza carota, qualche foglia di
lattuga, del sedano, la scorza di un avocado, una mela, un cucchiaio
di miele, delle foglioline fresche di menta e rosmarino, qualche
pinolo… ho aggiunto dell’acqua e ho frullato il tutto fino ad
ottenere una crema granulosa dal profumo fresco e piacevolmente
insolito. Nel versare in un contenitore di plastica per alimenti tutto il
composto ottenuto, mi sentivo un po’ ridicola, come quando tanti
anni fa giocavo con le mie figlie piccole a preparare strani intrugli
per le pappe delle bambole. È facile immaginare come all’inizio
fossi un po’ perplessa nel prendere piccole quantità di quella crema
vegetale per poi massaggiarla con una spugna su tutto il corpo,
rimanendo per quasi un’ora immersa e rilassata nell’acqua come in
una specie di calda palude. Dopo una veloce e tiepida doccia sono
uscita dalla vasca sentendomi leggera, con la pelle compatta e
levigata, davvero sorpresa per quelle nuove sensazioni di benessere
e di vitalità che nessun prodotto in commercio mi aveva mai
trasmesso. Dopo quella prima e benefica esperienza, anche adesso
mi regalo di tanto in tanto un bagno fantastico alle terme di casa
mia, usando (non tutti insieme) anche altri ingredienti ed essenze,
come foglie di malva, mandorle, bucce di mango e di papaja, farina
di riso, germe di grano, frutta di ogni stagione, tuorlo d’uovo…;
l’importante è usare ciò che usiamo abitualmente nella nostra
alimentazione e rimanere nella vasca almeno per mezz’ora, magari
ascoltando della bella musica che ci piace.
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Del resto la pratica del bagno è segnata nel DNA della nostra
cultura e della nostra memoria storica, basta pensare ai tempi
dell’antica Roma con gli acquedotti, le fontane e le grandiose terme
assicurava a tutti la cura, l’armonia e la salute del corpo.
Ripercorrendo la storia del mio rapporto con il bagno, ripenso alla
mia infanzia lontana quando, seduta dentro un piccolo mastello di
legno dove si versava dell’acqua riscaldata nelle pentola sulla stufa,
battevo i denti dal freddo mentre mia madre mi strofinava con del
sapone da bucato; ripenso alle rapide docce ritagliate tra i ritmi
frenetici della mia età adulta divisa tra famiglia e lavoro; da sempre
aspetto l’estate per correre al mare, catturata dal suo richiamo di
freschezza, di spazio e di energia, per immergermi in quella vastità e
sentirmi una cosa sola con la natura.
Noi moderni siamo diventati troppo dipendenti da tutto ciò che è già
costruito e subito pronto all’uso; siamo imprigionati da vecchie
abitudini dalle quali a volte si potrebbe provare ad uscire, per
recuperare e perfezionare quei metodi antichi e semplici che non
deludono mai, rompendo i rigidi schemi dettati sia dalla fretta del
nostro vivere quotidiano che dai continui e insistenti messaggi della
pubblicità.
Gli orti, i giardini e i terrazzi dove coltiviamo innumerevoli specie
di erbe aromatiche e frutti, ma anche i nostri mercati, dove possiamo
trovare di tutto, ci offrono all’istante la materia prima per
improvvisare qualcosa di efficace ed economico e per sostituire
qualche volta i prodotti in commercio, spesso preparati con sostanze
artificiali e di origine dubbia ma pubblicizzati come se dovessero
per noi fare miracoli.
Quindi, non nutriamoci soltanto ma “impiastricciamoci” pure di
frutta e verdura!
Provare per credere!!
Adriana Vendemini
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POESIE IN ROMANESCO
-------------------------------
DROGATO
Aveva cominciato
Così pè scherzo, come fosse un gioco
E forse pè sentisse press'a poco
Diverso dar presente e dar passato.
Fu infatti 'na mattina maledetta
Che un tizzio, for de scola, sottomano,
je regalò la prima sigheretta
dar gusto novo e dar sapore strano,
Mentre fumava, se godeva er monno,
nascosto in una nuvola sbiadita,
e se n'annava, carico de sonno
lontano dall'inganni de la vita,
Poi fece l'ignezzione
d'un 'antra droga nova e allucinante,
'na droga più eccitante
Che subito je dava l'illusione
d'un godimento facile e improviso
che lo portava in mezzo ar Paradiso,
E adesso c'è volato pè davvero
Ancora ne la piena giovinezza
E co li segni in faccia d'un 'ebbrezza
Che sa de delusione e de mistero,
Certo lassù conoscerà la pace
Che qui ner monno nun ha mai trovato,
Certo lassù Quarcuno è più capace
de perdonallo, pure si è drogato,
E ar cantoncello d'una strada ignota
Rimane la vergogna d'una vita
Incominciata e subbito finita.
Una siringa vota.
Fabio Valdarnini
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ER BUCO
Famme da na tirata a lo spinello
Dissi a n'amico tanto tempo fa'
N'par de boccate, tanto pe provallo
Vojo sentì l'effetto che me da'
Da lo spinello ar buco è stato un lampo
Credevo de potemme comannà
Se voijo smette nun ce metto tanto
Da la siringa nu me fo' fregà
Pe tutti vale er solito discorso
Senza da' retta a chi me consijava
Ma adesso è tardi pe provà e rimorso
Dipenno da la "ROBBA" che me schiava
Me guardo de sfuggita ne lo specchio
Ma la mente nun accetta l'evidenza
Me porto i segni e n'è solo apparenza
Vent'anni appena e già sembro n'vecchio
So sceso fino all'urtimo scalino
Perdenno gni valore de me stesso
Pe n' po' de "NEVE" dentro ar cucchiarino
M'abbasso fino ar peggio compromesso
Nun sento più er profumo de li fiori
Nemmeno er sole riesce più a scallamme
Me se so' cancellati li colori
Er monno addosso a me stà pe crollamme
Vorrei agrappamme, ma nun trovo presa
Annaspo pe cercà na mano tesa
Ma acchiappo solamente tanto vento
E cò quello la speranza more dentro
La mia esistenza è n' buco co gnente tutt'intorno
Pasquangela Pisoni
73
ER CICOGNO
Se ne stava solo lì in disparte
ma d'artro canto ciaveva raggione
chi se lo pija quer "Cignombbrellone"
braccio piegato come Bonaparte?
E nemmanco co le mèdeme carte
pe rivolà co la nòva staggione
e doppo con tanta disperazzione
messo fòra negozzio... lì da parte.
E io alluminato dall'incanto
ar commesso j'ho richièsto sortanto:
"Epperchè l'urtimo e cusì sfranto?"
"Quanno era chiuso ancora in fasce
se semo sbajati a fallo nasce
quì a vennelo 'gnisuno ce riesce!"...
..."Ma nun è giusto che arimane qua!"
De bòtto senza rennemene conto
l'ho subito pijato co lo sconto
e appiccicato...co difficortà!
Sfacciato o attufato ar tramonto
mò aspetta nòve nòve lappelà
cià come compagna la serenità
d'arègge oramài 'gni confronto!
'N "Cignombbrellone" nato scarzo
nun deve d'arimanè senza fiato
cusì da nun pèrde nisuno sbarzo
come li cristiani soli e storti
cor cèlo lì dall'arto incorniciato
quanno che ariveno a li porti!
Claudio Giampaolo
74
ER COCOMMERO
Giranno tra li banchi der mercato
Sentivo er pesciarolo che strillava
"A metà prezzo!" pe' quello che ciaveva.
Lui giurava che era arigalato.
Er fruttarolo così j'arisponneva
"Che te strilli che 'n ce stà gnisuno!?!"
"So iti tutti ar mare, sarvognuno!
Stanno in bianco...!" er primo ribbatteva
Der cocommero cianno i colori
Stanno ar verde come la coccia
E se li gratti in bianco l'aritrovi
Rosso è quer che cianno in banca
De semi neri piena è la saccoccia
Er colore de la rabbia nu' je manca.
Mario Marini
75
ER QUARTIERE NOSTRO
So' trent'anni o poco più
che io vivo a 'sto quartiere
se pò dì 'na vita intera
e mo ancora, non so come,
nun me so' abituata!
Se va male quarche cosa
tutti a di' ch'è corpa nostra,
de 'sto posto malfamato,
dei quartieri er più sfigato
e da tutti maltrattato.
Però mo so' rassegnata
faccio finta, mio malgrado,
de nun sta' a sentì la gente
che se strilla a più non posso
nun migliora certo er posto.
Nun so di' come succede
ma è 'na cosa assai palese;
facce nove tutti i giorni
pur se qui è com'un paese
piccolin, senza pretese.
Ce dovemo avè pazienza,
noi qui dentro ce vivemo,
famo in modo de pulillo
de tenello co' decenza
e poi bene ce staremo!
Ersilia Rosa Ursini
76
IL GRIMAL DE MI NONNA IL GREMBIULE DI MIA
NONNA
Leat davor la schena Legato dietro la schiena
il grimal di me nona il grembiule di mia nonna
aveva un gran tacon una gran toppa aveva
par dut al geva ben: a tutto si prestava.
Ombrena sal ploveva Ombrello se pioveva
sporta sal coventava borsa se occorreva
suaman quan altri no era. asciugamano se altro non
c'era.
In banda una sacheta A lato una taschetta
larghia sora e in bas pi streta. larga sopra e in basso stretta
Dentri a steva dut: Dentro ci stava tutto:
La clav par sera' il plat La chiave per chiudere il
piatto
par ca no vadi il ghiat. Perchè non vada il gatto.
Di pan dur li molenis. Di pan duro mollichine
manghia par li gjalinis. Il mangiar delle galline.
Fuarfi par cerpi flors Forbici per potare fiori
curas cun tant amor. curati con tanto amore.
Doi batons da ponta' Due bottoni da cucire
qual cal timp a chiatara'. neri neanche a dire
Chel blanc sio' fasalet, Quel suo bianco fazzoletto,
spagli par i gno scarpes, spago per le mie scarpette,
semencis di radic, sementi di radicchio
e polvara di tabac. E polvere di tabacco.
Giuseppe de Luca
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LA LIBBERTA’
Un cane bastardone se lagnava
Con cagnolino de n'à gran signora
Vorei stà ar posto tuo le diceva
Perchè so certo che quann'è quell'ora
C'hai n'à scudella piena de porpette
O perlomeno m'par de cotolette
A fine settimana fai er bagnetto
Co la passeggiatina quotidiana
Si te và da dormì c'hai pure er letto
E te ne freghi de la tramontana
E quanno che fa freddo t'ariscalli
Davanti ar foco acceso der camino
Venghi trattato come n'signorino
dar maggiordomo cò li guanti gialli
Invece a me me tocca arimediamme
Quarc'osso buco immezzo a la monnezza
E quann'è notte che viè giù la guazza
N'ciò manco n'posto n'dove a riparamme
Er bagno me lo faccio quanno piove
E se fa freddo m'ariscallo ar sole
Vorrei stà ar posto tuo, perchè me sbajo?
Te sbaji j'arisponne l'altro cane
Te do' ragione nù me manca er pane
Ma tu c'hai la libbertà, io stò ar quinzajo.
Biagio Mariotti
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LI SOGNI DEGLI URTIMI
Quanno er sole
va a dormire
e la luna se stampa
dietro quer campanile,
in quer cantuccio
buio e ariparato
trova da dormire
'nvecchio emarginato.
Cor vorto sofferente
e su se stesso rannicchiato,
sogna quello che di certo
mai c'avrà:
- 'na casa, 'na famija,
co ‘na moje e 'na gran fija -
che quann'è ll'ora,
prima d'annà a lletto,
je dica con affetto:
- bona notte papà mio... -,
mentre lui l'accarezza
cco tanta, tanta tenerezza.
Tutti li sogni parono vero
e puro questo non vien da meno;
ma quanno er sole prepotente
s'aripjia er posto suo,
'nfreddolito e dolorante
da tera lui se tira su,
allarga le bbraccia,
se guarda 'ntorno
79
e s'accorge co tristezza
ch'era stato solo 'nsogno,
ma nun fa gnènte
tanto viene notte,
e...... co la notte,
aritorneno li sogni.
Daniela Cruciani
LI NIPOTI
So due ma quarche vorta sò cinquanta
Mai troppi pe chi co loro puro canta
Inni alla vita che non basta mai
Sapenno quant'è dura e ce lo sai.
Uno ch'è bruno e sembra un torello
L'artro ch'è biondo tranquillo e bello
Me dicheno perchè li tengo tanto in mano
Senza sapè che nun ce sta de strano.
La vita che ci scorre sotto i piedi
Non cerca storie pe creà i poeti
E non penso che sia solo tracotanza Pe vedelli come sono gran sostanza.
Tra li sogni le speranze e le promesse
Quanno che vado a fa le somme stesse
Me ritrovo forse senza grandi azioni
Ma da me nascheno solo gran campioni.
Livio Angelici
80
'NA GRAN VITA
Ner mucchio de tutti quelli che conosco
Ce stà chi, pur di preggio, è sotto costo
E si trincera dietro er nonno de vacanza,
E chi senza d'emerge nun po' sta senza.
Ce so l'amichi che se scanneno tra loro
Pe fa vede che nun stanno tutti in coro
E che so pronti ad affrontà l'impegno
Pe' svorge quarsiasi tema con ingegno.
L'età non conta, sarvo pe' trastulla,
però so' pronti a sproloquià sur nulla
ma nun je dì che nun sò boni a fallo,
se a quer punto nun vòi vedè lo sballo.
E pe te dimostrà che nun ce giobba
Te dice che nun je manca certa robba
ma a fronte de quarsiasi interferenza
Sta bono a nun scantasse puro senza.
Ce so poi quelli che nun stanno fermi
E se arrovellano pe combatte i germi
Che drento casa li potrebbero corpì
E segueno l'istinto puro senza capì.
C'è er vecchietto che balla senza sosta
E serio serio te guarda a bella posta
pe dimostrà che nun ce stà a mollà
Anche se la voja sta mejo de l'età.
E se je scappa de fa come i ragazzi
E se mette a cinquettà tra frizzi e lazzi
Pe conquistà l'occhiata dell'amica
nun è arzaimer è solo 'na gran vita.
Sergio Incitti
81
NOZZE D’ORO
Ne so passati d'anni, e manco poco
Da quanno ve trovaste su l'altare!
A riccontallo adesso, nun ve pare
Ch'er tempo v'abbia fatto un brutto gioco?
Forse ve pare ch'oggi stesso è er giorno
De li progetti e li castelli in aria
Ma si ve date n'occhiatina intorno
Vedete che qui drento c'è n'antr'aria,
Sur viso de l'antichi giovincelli
Er tempo quarche cosa cià cambiato
Na ruga sulla fronte cià tracciato
E un po' de bianco ha sparso a li capelli
Mo ve sentite, ner guardà sti visi
Un po' più vecchi de tant'anni fa,
De quanno tra li baci e li sorisi
Ve se parlava de felicità,
Eppuro sta parola n'è invecchiata,
Ma v'è rimasta drento ar core impressa
Uguale a prima, identica, la stessa,
dar tempo de la vita spensierata,
e ne farà tesoro ‘ndando avanti
Er grann'affetto che v'unisce er core
E leggeremo ancora in diamanti
"FELICITA'" dettata dall'amore.
Maria Gasperoni
82
PONTE ROTTO
S'allungheno le ombre ner tramonto,
L'isola Tibberina se colora
de rosa, poi d'azzuro e doppo 'n'ora,
a celo scuro, er Tevere è già pronto,
in quela pace, a dije che l'adora,
Ponte Rotto l'osserva mezzo tonto
poi pija sonno senza facce conto
pe' svejasse ar rumore de l'Aurora.
Straluna l'occhi e smiccia 'ntorno 'ntorno,
dar Campidojo, ar Pincio, ar Palatino,
Sospira de passione. A mezzogiorno,
co' piedi a mollo come un ragazzino
canta a la Roma sua che je sta attorno,
co' 'na voce compagna a 'n cherubbino.
Ne l'ascortà 'sto canto delicato
me sento, eppur nun sono, fortunato.
Paolo Tognozzi
83
TESTAMENTO SPIRITUALE
Quanno finisce l'ojo a lo stoppino
E doppo n’po' se spegne la fiammella
Vordì che quarcheduno stà vicino
a dovè rende l'anima a la bella*
E quanno c'ariva nun fa distinzione
Tra er poveraccio a chi cià li bajocchi
Ma quanno è l'ora che chiudemo l'occhi
Pe tutti c'è la stessa posizione
Stavorta tocca a me, nun ce so' santi
Avoja a rampicasse su li specchi
Quanno l'anni so' tanti e semo vecchi
Damo ‘n saluto ar monno e a li restanti**
Però quanno sarà nun vojio gnente
Ne marmi lustri c'o le scritte d'oro
Nemmanco n'epitaffio pe' ricordo
Na' messa liscia e sbriscia senza er coro
E in quanto a fiori n'ce spennete n'sordo
Possibbilmente a piagne poca gente
Voijo annà via così come so' nato
Sortanto co la pelle che ciò addosso
Quella che er Padreterno m'ha prestato
Dar primo pianto n'poi fino ar trapasso
E pe' nun lascià traccia der passato
Ma ne' rispetto pe l'inquinamento
Vorei che er corpo mio fosse cremato
E quer che resta che sia sparso ar vento.
Giampiero Mariotti
84
INDICE
1° DICEMBRE 1969 Salvatore Startari pag. 4
A MIA MADRE: “ I TUOI OCCHI NEL SEGRETO
DELLA VITA” Bianca Maria Sezzatini 5
A ROMA INNEVATA (RICORRE L’ANNO 2012)
Anna Carmela La Manna 6
A TE Gianni Marchetti 7
A TE Adriana Vendemini 8
A VOLTE SIGNORE Paol Cuofano 9
IL MARE Anna Manzo 10
IL MIO QUARTIERE Paolo Tognozzi 11
IL TEATRINO DELLA VITA
Quirino Berardi 12
IL TUO SGUARDO Gloria Damato 13
L’ARIA Sergio Incitti 13
LA STRADA MIA Maria Gasparoni 14
PRESTO Antonella Domenicantonio 14
MARATHON Giuseppe de Luca 15
NEL MIO MONDO MAGNIFICO
Carla Scaringella 16
QUANDO Paola Primavera Campana 17
QESTE MANI Graziella Romanin 18
ROMAGNA Angela Corzani 18
SANTA SOFIA Eugenio Corzani 19
SFUMATURE UN ROSA Carla Pelli 20
SOGNO Ersilia Rosa Ursini 21
UN FIORE NUOV Francesca La Rosa 21
TRATTO DI VITA Carlo Pini
22
UN PENSIERO PER LA NAVE “CONCORDIA” ED
IL SUO TRISTDESTINO Elisa Capodici 22
85
VORREI ESSERE UN GABBIANO
Maria Provenzano 23
VAI Laura Damilano 24
42 ANNI INSIEME Caterina Iacopino 25
COMPUTER Paola Primavera Campana 26
DUE DEL SUD PER LE VIE DEL PARADISO (UNO
RICCO UNO POVERO) Angelo Altomari 33
ERAVAMO FELICI … E NON LO SAPEVAMO
Nicola Sacchetti 35
IL GIOCO DELLE EMOZIONI TRA LE RIGHE
DI UNA POESIA Giuseppina Raganelli 39
IL SOGNO Sergio Mieli 40
IL SOGNO PIU’ BELLO DELLA MIA VITA
Lina Adornetti 42
IN QUELLA CASA Ilaria Abate 44
LA FINE SEGRETA Bianca Maria Sezzatini 48
LA MORTE ….. E’ VITA Marcello Olivi 49
LA TRAPPOLA Rosanna Risi 54
LE DUE VALIGE Francesca La Rosa 56
LETTERA Maria Antonietta Pieroni 57
LO SFATICATO Bruno Bertolani 59
MAMMA Lucia Giorgetti 61
SCRIPTA MANENT…. Carla Pelli 62
SPETTACOLO IN PERIFERIA
Anna Manzo 66
86
TERME DI CASA MIA Adriana Vendemini 68
DROGATO Fabio Valdarnini 71
ER BUCO Pasquangela Pisoni 72
ER CICOGNO Claudio Giampaolo 73
ER COCOMMERO Mario Marini 74
ER QUARTIERE MIO Ersilia Rosa Ursini 75
IL GRIMAL DE MI NONNA
Giuseppe De Luca 76
LA LIBBERTA’ Biagio Mariotti 77
LI SOGNI DEGLI URTIMI
Daniela Cruciani 78
LI NIPOTI Livio Angelici 79
‘NA GRAN VITA Sergio Incitti 80
NOZZE D’ORO Maria Gasperoni 81
PONTE ROTTO Paolo Tognozzi 82
TESTAMENTO SPIRITUALE Giampiero Mariotti 83
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Consulta del Volontariato Municipio Roma XV Arvalia
00146 ROMA Viale Vicopisano 95
e-mail: [email protected]
www.consultemunicipioromaxv.com/volontariato
Coordinamento
Centri Sociali Anziani Municipio Roma XV Arvalia
00146 ROMA Viale Vicopisano 95
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