VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

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VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO

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VOCI E FIGURE DI DONNA

NELLA POESIA DEL NOVECENTO

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Guido Gozzano nasce a Torino nel 1883. Nel 1903 consegue la licenza liceale e si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma non giungerà mai a

laurearsi. Nel 1904 compone La via del rifugio. La raccolta esce nel 1907 e ha un buon successo. Nello stesso anno si ammala di tubercolosi. Nel periodo

della malattia compone i Colloqui, che vengono editi nel 1911. Un anno dopo, su consiglio dei medici, fa un viaggio in India e scrive le Lettere dall’India, pubblicate su “La Stampa”. Nel periodo della prima guerra mondiale Guido scrive alcune poesie in merito, anche se mediocri e generiche. Muore nel

1916 a Torino.

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AD UN’ IGNOTA

Tutto ignoro di te: nome, cognome,l’occhio, il sorriso, la parola, il gesto;

e sapere non voglio, e non ho chiestoil color nemmen delle tue chiome.Ma so che vivi nel silenzio; comecare ti sono le mie rime: questo

ti fa sorella nel mio sogno mesto ,o amica senza volto e senza nome.

Fuori del sogno fatto di rimpiantoforse non mai, non mai ci incontreremo,

forse non ti vedrò, non mi vedrai.

Ma più di quella che ci siede accantocara è l’amica che non mai vedremo;

supremo è il bene che non giunge mai.

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Umberto Saba (Trieste 1883-Gorizia 1957). La sua poesia aderisce agli aspetti più umili della realtà autobiografica nella cornice familiare di Trieste; il suo stile è

semplice e raffinato. Le sue liriche sono riunite nel Canzoniere (1921-1948; 1951-1961), nei volumi Mediterranee (1947) e Uccelli - Quasi un racconto (1951), le prose in Scorciatoie e raccontini (1946). Di grande utilità per la

comprensione di Saba è Storia e cronistoria del Canzoniere (1948). Postumo è uscito il romanzo Ernesto (1975).

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A MIA FIGLIA

Mio tenero germoglio,che non amo perché sulla mia pianta

sei rifiorita, ma perché sei tantodebole e amore ti ha concesso a me;

o mia figliola, tu non sei dei sognimiei la speranza; e non più che per ogni

altro germoglio è il mio amore per te.La mia vita, mia cara

bambina, è l’erta solitaria, l’erta chiusadal muricciolo,

dove al tramonto solosiedo, a celati miei pensieri in vista.

Se tu non vivi a quei pensieri in cima,pur nel tuo mondo li fai divagare;e mi piace da presso riguardare

la tua conquista.Ti conquisti la casa a poco a poco,

e il cuore della tua selvaggia mamma.Come la vedi, di gioia s’infiamma

la tua guancia ed a lei corri dal gioco.Ti accoglie in grembo un sì bella e pia

Mamma, e ti gode. E il vecchio amore oblia.

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FEDRA

Soffia una bora omicida. Domanicadrà la neve, imbiancherà le strade

che salivano amiche alla tua casain cima al colle, lontana. Tra i verdi

pini l’immensa vallata ripete in foglie innumerevoli il colore

che amavi sempre ai tuoi capelli.Fedra

Eri; ancor sei.Più preziosa adesso

Che si accende alla stufa il primo fuocoin rare case; la stagione è un poco

nostra, nostro il paesaggio; il pensieroirraggia un ultimo vero; s’illude

che il peggio - forse - è passato.

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Dino Campana (1885-1932): Dino nacque il 20 agosto a Marradi, un fazzoletto di terra in provincia di Firenze, al confine con la Romagna. Il diritto

di persona gli fu negato ben presto dall’incomprensione familiare, dall’educazione repressiva del collegio, da un vizio di poeta che non si adatta

alle regole del mondo. Come poeta fu riconosciuto dopo l’internamento definitivo in manicomio, dopo la morte. La poesia si svolge in un "eterno

presente", incapace di storicizzare la vita interiore, il Poeta, dal primo all’ultimo verso, rivela un’eguale grandezza e tensione

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DONNA GENOVESE

Tu mi portasti un po’ d’alga marinaNei tuoi capelli, ed un odor di vento,

Che è corso di lontano e giunge graveD’ardore, era nel tuo corpo bronzino:

-Oh la divinaSemplicità delle tue forme snelle-

Non amore non spasimo, un fantasma,Un ombra nella necessità che vaga

Serena e ineluttabile per l’animaE la discioglie in gioia, in incanto serena

Perché per l’infinito lo sciroccoSe la possa portare.

Come è piccolo il mondo e leggero nelle tue mani!

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IN UN MOMENTO

In un momento Sono sfiorite le rose

I petali cadutiPerché io non potevo dimenticare le rose

Le cercavamo insiemeAbbiamo trovato delle rose

Erano le sue rose erano le mie roseQuesto viaggio chiamavamo amore

Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le roseChe brillavano un momento al sole del mattino

Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i roviLe rose che non erano le nostre rose

Le mie rose le sue rosep.s. E così dimenticammo le rose.

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Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani. Vive un po’ di tempo a Parigi e poi partecipa alla guerra del 1915-18 come soldato semplice di fanteria. La vita di trincea, lo strazio per le creature morte e il senso della fraternità umana rappresentano per lui un’esperienza decisiva e gli

permettono di scoprire le sue doti di uomo e scrittore.Morirà a Milano nella notte tra l’1 e il 2 giugno del 1970.

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LA MADRE

E il cuore quando d’un ultimo battitoAvrà fatto cadere il muro d’ombra,

Per condurmi, Madre, sino al Signore,Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,sarai una statua davanti all’Eterno,

Come già ti vedevaQuando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,Come quando spirasti

Dicendo: Mio Dio, eccomi.E solo quando m’avrà perdonato,Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,E avrai negli occhi un rapido sospiro.

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Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) è stato uno dei protagonisti del novecento europeo. Montale si formò e visse le prime esperienze letterarie

a Genova. Nel 1925 esce la sua prima raccolta di poesie: Ossi di Seppia. In seguito furono pubblicate Le occasioni (1939) dove trattò il tema

dell’antifascismo e della guerra, La bufera (1956) in cui Montale fa i conti con la tragedia bellica, Satura (1971) e altre opere. Nominato senatore a vita nel

1967, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1975.

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REBECCA

Ogni giorno di più mi scopro difettivo:manca il totale.

Gli addendi sono a posto, ineccepibili,ma la somma?

Rebecca abbeverava i suoi cammelliE anche se stessa.

Io attendo alla penna e alla gamellaPer me e per altri.

Rebecca era assetata, io famelico,ma non saremo assolti.

Non c’era molt’acqua nell’uadi, forse qualche pozzanghera,e nella mia cucina poca legna da ardere.

Eppure abbiamo tentato per noi, per tutti, nel fumo,nel fango con qualche vivente bipede o anche quadrupede.

O mansueta Rebecca che non ho mai incontrata!Appena una manciata di secoli ci dividono,

un batter d’occhio per chi comprende la tua lezione.Solo il divino è totale nel sorso e nella briciola.

Solo la morte lo vince se chiede l’intera porzione. 

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POESIE PER MOSCA

Ascoltare era il solo tuo modo di vivere.Il conto del telefono s'è ridotto a ben poco.

***Non ho mai capito se io fossiil tuo cane fedele e incimurrito

o tu lo fossi per me.Per gli altri no, eri un insetto miope

smarrito nel blabladell'alta società. Erano ingenui

quei furbi e non sapevanodi essere loro il tuo zimbello:

di essere visti anche al buio e smascheratida un tuo senso infallibile, del tuo

radar di pipistrello.

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Lalla Romano nacque a Demonte ,in provincia di Cuneo nel 1906, si era laureata in letteratura romanza nel 1928 a Torino, dove come pittrice fu allieva

di Casorati, insegnò e frequentò la Torino gobettiana , per trasferirsi poi a Milano. Si è espressa dapprima in poesia, incoraggiata da Eugenio Montale, per poi passare alla narrativa. Riservata, poco presenzialista, quasi schiva, la Romano fu dapprima conosciuta in un ambito ristretto di estimatori, amata e

letta da una cerchia di ammiratori. E’ morta Martedì 26 Giugno 2001, all’ età di 95 anni ,a Milano, dove viveva.

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IO NON TI CHIAMERO’ PIU’…

Io non ti chiamero’ piu’: vita,ma ti daro’ un nome piu’ dolce.

Se il silenzio è più intensonon solo d’ ogni rumore,ma ogni più alta musica;e la quiete è più vasta

non solo delle tempeste,ma del respiro delle maree

e dello stesso ritmo dei mondi;allora quel nome

comprende assai più della vita.

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Cesare Pavese, scrittore e poeta italiano (Santo Stefano Belbo, Cuneo 1908 - Torino 1950). Scrisse poesie, romanzi e saggi come: Lavorare stanca (1936),

Paesi tuoi (1941), Feria d'agosto (1946), Il compagno (1947), Dialoghi con Leucò (1947), Prima che il gallo canti (1949), La bella estate (1949), La luna e i falò (1950), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951), Il mestiere di vivere. (1952).

L'opera di P., anche dove più tende alla forma oggettiva del romanzo, è sempre legata alla sua vita intima. Mentre i primi racconti, anche per suggestione della

narrativa americana, sono segnati da un realismo a volte crudo, la tendenza più profonda, chiaritasi nei libri della maturità, portò lo scrittore a interpretare la realtà

secondo significati simbolici.

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HAI UN SANGUE, UN RESPIRO

Hai un sangue, un respiro.Sei fatta di carne

di capelli di sguardianche tu. Terra e piante,

cielo di marzo, luce,vibrano e ti somigliano-il tuo riso e il tuo passo

come acque che ti sussultano-la tua ruga fra gli occhi

come nubi raccolte-il tuo tenero corpo una zolla del sole.

Hai un sangue, un respiro.Vivi su questa terra.Ne conosci i saporile stagioni i risvegli,hai giocato nel sole,hai parlato con noi.

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Acqua chiara, virgultoprimaverile, terra,

germogliante silenzio,tu hai giocato bambinasotto un cielo diverso,

ne hai gli occhi il silenzio,una nube, che sgorgacome polla dal fondo.

Ora ridi e sussultisopra questo silenzio.Dolce frutto che vivisotto il cielo chiaro,

che respiri e viviquesta stagione,

nel tuo chiuso silenzioè la tua forza.Come erba viva nell’ariarabbrividisci e ridi,ma tu, tu sei terra.Sei radice feroce.

Sei la terra che aspetta.

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DUE

Uomo e donna si guardano supini sul letto:i due corpi si siedono grandi e spossati

l’uomo è immobile , solo la donna respira più a lungoe ne palpita il molle costato. Le gambe distese

sono scarne e nodose, nell’uomo. Il bisbiglidella strada coperta di sole è alle imposte.

l’aria pesa impalpabile nella grave penombrae raggela le gocciole di vivo sudore

sulle labbra. Gli sguardi delle teste accostatesono uguali ,ma più non ritrovano i corpi

come prima abbracciati. Si sfiorano appena.Muove un poco le labbra la donna ,che tace.

Il respiro che gonfia il costato si fermaA uno sguardo più lungo dell’uomo. La donnavolge il viso accostandogli la bocca alla bocca.Ma lo sguardo dell’uomo non muta nell’ombra.

Gravi e immobili pesano gli occhial tepore dell’alito che ravviva il sudore,

desolati. La donna non muove il suo corpomolle e vivo. La bocca dell’uomo s’accosta.Ma l’immobile sguardo non muta nell’ombra.

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Alfonso Gatto è nato a Salerno nel 1909. Nel 1938 fondò a Firenze con Vasco Pratolini la rivista "Campo di Marte" che diventò la voce del più

avanzato ermetismo. Oltre che poeta fu anche scrittore e, in particolare, scrisse testi per l'infanzia. Negli ultimi anni della vita si dedicò alla critica

d'arte. Morì a Orbetello (Grosseto) nel 1976, in un incidente stradale.

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FORSE MI LASCERÀ DEL TUO BEL VOLTO

Forse mi lascerà del tuo bel voltoamore un soffio e la celeste sera

disparirà come un silenzio intorno.Era la neve dolce del tuo passo

e la città dai poveri cantierispegneva al cielo umido l'azzurro

riverbero dei muri. Mi parlavisciolta dal busto come una fanciullae lontana da te, quasi in un sogno,

io ti vedevo scendere nel dolcesentiero della sera, aprire l'ombra.

Una parola basta sul tuo cuore,e nessuno di te saprà mai dire

il silenzio che imbianca del tuo soffio.Solo la notte, di cui passa eguale

la luna nei miei sogni e ferma al cielogli alberi, i colli e sui cipressi il vento.

Nel suo tiepido oblio che l'orientestrugge di care lontananze ed ombre,

io so che il giorno ti soccorre, vivi,e dimentichi i sogni e la mia voce.Mi resta solo del tuo bene l'aria,un passato di nulla, una parola.

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Dorothy Livesay, nata a Winnipeg (Manitoba) nel 1909, si è laureate presso l’Università di Toronto. Ha frequentato la Sorbona di Parigi e negli anni ’30 si è dedicata ad un’intensa attività sociale e politica fino a diventare, tra il 1960 e il

1963, insegnante di inglese in Zambia per conto dell’Unesco. Successivamente ha insegnato presso varie università canadesi e ha pubblicato numerosi volumi di

versi, tra i quali ricordiamo Day And Night (1944) e Poems for People (1947) con cui ha vinto anche importanti premi letterari. La sua produzione iniziale è

influenzata dalla poesia della Dickinson e di Auden, ma in seguito precisa un proprio stile caratterizzato dall’attenzione per l’immagine fresca e diretta e il

preciso controllo della metrica.

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DIVERSITA’

1Gli uomini preferiscono un’isola

Che è inizio e fine:Sottofondo d’onde

Alberi ricurvi.Gli uomini preferiscono una strada

Che si snoda in cerchi, come una conchigliaConvessa e fossilizzata

In spirali eterne.Gli uomini preferiscono una donna

Tersa nel soleTenuta come una conchiglia

Nel riparo di un’isola…Gli uomini preferiscono un’isola

2Ma io sono un continente,

SpazioDalle vette agli abissi:

Dai campi di salvia, dalle fratte, dalle paludiAl fondo del mare.

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Mostratemi un frutteto dove non abbia dormito,Una cavità dove non mi sia avvolta

Nella salvia, e in alto, silenzioseStelle e grappoli

Sul pino, sul colle dei cactus.Ditemi di un tempo

In cui non abbia amato,Di una montagna non scalata:

Di un campoChe non abbia solcato con la mia lingua,

Nutrito con bui spazi della mente;Piantato con lacrime non versateE mietuto come amici, come volti.

Mostratemi un vicolo ciecoChe non abbia percorso,

Un sentiero di bosco che allontana il cuoreNel segreto sempreverde delle radici dei cedri

Oltre il più lontano raggio del sole-Allora, nell’improvviso sfolgorio d’una radura,

Non c’è strada, né fine, né mistero.Ma non mostratemi nulla. Conosco

Il paese che vagheggio:Un luogo dove non c’è possesso

Né violazione:Un continente governatoDalla sua inaccessibilità.

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Elsa Morante nacque a Roma nel 1912; cresciuta nel quartiere popolare Testaccio, vi è morta nel 1985 dopo aver tentato il suicidio nel 1983 aprendo i

rubinetti del gas. Cominciò a pubblicare giovanissima delle cronache di costume su giornali e riviste ed esordì nel 1941 (anno in cui sposò A. Moravia) con i

racconti Il gioco segreto. Si impose all’attenzione della critica con Menzogna e sortilegio, 1948, ottenendo un successo sempre rinnovato a ogni nuovo

romanzo.

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LETTERA

Tutto quel che t’appartiene, o che da te proviene,è ricco d’una grazia favolosa:

perfino i tuoi amanti, perfino le mie lagrime.L’invidia mia riveste d’incanti straordinari

i miei rivali: essi vanno per vie negate ai mortali,hanno cuore sapiente, cortesia d’angeli.

E le lagrime che mi fai piangere sono il mio bel diadema,se l’amara mia stagione s’adorna del tuo sorriso.

Stupisco se ripenso che avevo tanti desideriE tanti voti da non sapere quali scegliere.

Ormai, se cade una stella a mezzo agosto,se nel tramonto marino balena il raggio verde,

se a cena ho una primizia nella stagione nuova,o m’inchino alla santa campana dell’Elevazione,

non ho che un voto solo: il tuo nome, il tuo nome,o parola che m’apri la porta del paradiso.

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Nel mio cuore vanesio, da che vi regni tu,le antiche leggi del mondo sono tutte rovesciate:

l’orgoglio si compiace d’umiliarsi a te,la vanità si nasconde davanti alla tua gloria,

la voglia si tramuta in timido pudore,la mia sconfitta esulta della tua vittoria,

la ricchezza è beata di farsi, per te, povera,E peccato e perdono, ansia e riposo,

sbocciano in un fiore unico, una grande rosa doppia.Ma la frase celeste, che la mia mente ascolta,

io ridirti non so, non c’è nota o parola.Ti dirò: tu sei tutto il mio bene, ad ogni ora

Questa grazia d’amarti m’è dolce compagnia.Potesse il mio affetto consolarti come mi consola,

o tu che sei la sola confidenza mia!

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Mario Luzi (Firenze 1914), formatosi nell’ambiente di Siena e di Firenze, ha esordito presto, nel 1935, come poeta con il libretto La Barca. Dal 1938 si è dedicato all’attività di insegnante, pur continuando a collaborare con riviste culturali di punta. Tra le sue raccolte si possono segnalare Il giusto della

vita(1960), Dal fondo delle campagne (1965), Nel magma (1966), Su fondamenti invisibili (1971). Ha lavorato anche come saggista e traduttore.

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GIOVINETTA, GIOVINETTA

Giovinetta, giovinettaper le scogliose vie di Firenze

disperse in un etereo continentei venti s’avvicendano e i tuoi passial colmo traboccano nell’assente;

gli adolescentinel silenzio delle strade

ricercano i tuoi passi dispersi,l’ombra, gli sguardi lenti caduti dalle tue ciglia

sulle livide pietre dei crepuscoli:risfiorando le porte e i davanzali

la tua forma mortale si ripetein altri corpi in altre odorate carezze,

e sulla terra dovunquela triste realtà d’una fanciulla.

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GIOVINETTE

Voi siete la tepida figura del nostro dolore,sulla terra dolce

d’alimenti al vostro tenue rossorevoi passate col sorriso che ci opprime.

Ritornano le prime ali ai confinidel cielo, la sera

spande la triste calma dei giardinie muto il tempo si avvolge intorno alla

vostra bellezza.Ma invano, perché la vostra carezza arde

profondaed ignota, e in voi

senza limiti il cielo si riposadella sua eternità come una foglia.

E nelle vostre calde mani odoratutta la fuggevole

corona delle nostre passioni, mentre ognuna

porta il dolore della giovinezza.

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Franco Fortini è nato il 10 settembre 1917 a Firenze. Qui ha compiuto gli studi, laureandosi dapprima in Giurisprudenza e poi in Lettere ed entrando in contatto sia con i protagonisti della stagione dell'Ermetismo, sia con gli intellettuali che

prima della guerra hanno fatto la storia della cultura italiana, da Montale a Noventa e Vittorini. Richiamato alle armi nel 1941,dopo aver partecipato alla

Resistenza in Valdossola ed essere emigrato in Svizzera, con la fine della guerra si è stabilito a Milano, diventando redattore del "Politecnico". Nel 1985 gli è stato

conferito il premio Montale-Guggenheim per la poesia. È morto a Milano nel novembre del 1994.

Page 33: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

ALLA STAZIONE DI MINSK

Perchè cosi felicequella giovane donna bruna

e così a lungomi sorrideva?

I fiori della veste di cotonebattevano nel ventoche la portava via.

Stavano i nuvoli sugli alberi bianchi.I capelli le correvano la fronte.Voleva che non la dimenticassi

mai più, che per sempre vedessiin lei l'idea di lei,

e i suoi boschi che vincono ogni pace?Ma al di là delle erbe,

dove la foresta e le acquehanno sepolto...

Page 34: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

L'irta, la nera Europala sua ombra sublime

allunga fino a me:e mi fa orrore.

Entro quell'ombra dormono tutti i miei annicome abbiamo dormito soldati sfiniti

nelle nottatedelle sue guerre.

Sorride perchè io vivala vera creatura che era.O da sempre conosciuta

libertà spino di marzodunque non m'hai lasciato.

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PER ROSSANA R.

In questo tempo che divagain questo tempo che ci allaga

di malgrado e di sebbenea me la Rossana va beneCollettivisti a tutta pagadi cooperative dabbene

e voi marxisti del plioceneassopiti alla vecchia sagaprofessori di controscene

aiuto-carristi di Pragasoviettisti delle cateneletterati di gaie ceneitaliani di mente vaga

a me la Rossana va beneGente, la rima non ripaga

corta è la vita lunga la piaga.Finchè un’ora più vera non viene

la Rossana a me va bene.

Page 36: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

Anne Sexton (1928-1974) è stata la più scandalosa ed eversiva tra le madri fondatrici della "specie" culturale delle poetesse contemporanee. Love poems è il

libro con il quale approdò alla maturità stilistica e tematica che ha dato alla letteratura anglo-americana la sua prima eroina del sesso senza inibizioni, e in

una prospettiva imperdonabilmente femminile, con passione e sarcasmo, fervore e furore, sensualità e beffarda ironia.

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SCALZA

Amarmi senza scarpeVuol dire amare le mie lunghe gambe brune,

dolci e care, buone come cucchiaie i miei piedi, due bambini

liberi di giocare nudi. Nodose sporgenzei miei diti, non più costretti

- e in più guarda le unghie e le prensili giunture di giunture

come i dieci passi mettono radici  -irrequieti e selvaggi: questo

questo l'ammazzo, questo lo cucinò.Lunghe gambe brune e lunghe brune dita.

Più su, caro, la donnaRievoca segreti, casine,

piccole lingue che narrano per te.

Page 38: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

Siamo soli noi dueIn questa casa su una lingua di terra.

Ha un campanellino nell'ombelico il mare,ed io sono la tua scalza puttanella

per una settimana. Gradiresti del salame?No. Non ti va proprio uno scotch?

No. Non bevi molto tu bevi Me. I gabbiani uccidono pesci

Strillando come bimbi di tre anni.Il ritmo delle onde è una droga

E tutta notte invocaSono, sono, sono. Scalza,

ti tamburello la schiena su e giù.Corro da porta a porta la mattina,

nella capanna giochiamo a nascondino.Ora mi afferri le caviglie,ti fai strada fra le gambe

e vieni a trapassarmi nel punto della fame.

Page 39: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

PER L’ANNO DI FOLLI[….]

O Maria, apri e tu palpebre,io sono nel dominio del silenzio,

nel regno della pazzia e del sonno.C’è sangue qui

Ed io l’ho mangiato.O madre del grembo,

sono venuta soltanto per il sangue?O piccola madre

Sono dentro i miei pensieri.Sono rinchiusa nella casa sbagliata.

Page 40: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

Alda Merini nasce a Milano il 21 marzo 1931 in una famiglia tranquilla,esordisce con il volume di poesie La presenza di Orfeo.

Dopo dieci anni di internamento in manicomio e un lungo periodo disilenzio scrive altre opere molte delle quali rifiutate da alcune case editrici.

Page 41: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

CHE INSOSTENIBILE CHIAROSCURO…

Che insostenibile chiaroscuro,mutevole concetto di ogni giorno,

parola d’ordine che dice: non vengoe ti lascio morire poco a poco.

Perché questa lentezza del caos?Perché il verbo non mi avvicina?

Perché non mangio i frammenti di ieriCome se fosse un futuro d’amore?

Page 42: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

Sylvia Plath, nata a Boston, nel 1932, rivelò ben presto la sua predisposizione alla poesia. Una borsa di studio la portò in Inghilterra e a Cambridge dove conobbe e sposò il poeta Ted Hughes, con cui ebbe due figli. Nel 1962 si separò dal marito

ed un anno dopo si suicidò.

Page 43: VOCI E FIGURE DI DONNA NELLA POESIA DEL NOVECENTO.

ULTIME PAROLE

Non voglio una cassa qualunque, voglio un sarcofagoCon striature di tigre e una faccia dipinta

Tonda come la luna, con gli occhi sgranati in su.Voglio sembrare che li guardo quando verranno

A scavarmi fra ottusi minerali e radici.Già li vedo- pallide facce, a una distanza astrale.

Adesso non sono nulla, non sono nemmeno in fasce.Li penso senza né padri né madri, come gli dei primigeni.

Si domanderanno se io sia stata importante.Dovrei come frutta candire e conservare i miei giorni!

Il mio specchi si appanna –

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Ancora qualche fiato e non specchierà più niente del tutto.I fiori e le facce si sbiancano come un lenzuolo.

Dello spirituale non mi fido. Sguscia via come vaporeNei sogni per le fessure della bocca o degli occhi. Non posso

Fermarlo né mai tornerà. Ma non così le cose.Loro restano, con quel brillio particolare,

Da tante mani scaldato, con un brusio di piacere.Se avrò freddo alle piante dei piedi,

Mi consolerà l’occhio azzurro del mio turchese.Siano con me le casseruole di rame, i miei vai di coccio,

Mi fioriscano intorno notturni fiori, dal buon profumo.Mi avvolgeranno nelle bende, deporranno il mio cuore

Sotto i miei piedi in un bel pacchettino.Non mi riconoscerò quasi. Sarà tutto buio,

Ma ci sarà il fulgore di questi piccoli oggetti più dolce che il viso di Ishtar.

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Biancamaria Frabotta è nata a Roma nel 1946. Qui vive insegnando Letteratura italiana all’Università La Sapienza. Ha pubblicato opere narrative, teatrali, saggistiche e le seguenti raccolte di poesia: Il rumore bianco (1982),

Appunti di volo e altre poesie (1985), Controcanto al chiuso (1991), La viandanza (1995), High tide (1998) e Terra contigua (1999).

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LA TESTA LEGGERA

Mio marito ha un cuore generosocome quel dio che dona il primo verso.

La notte a sé non tira le copertesul petto non mi pungono i suoi pelie al risveglio vorrebbe unirsi al coroanonimo che sole e fame assillano.Mio marito diffida delle ore oscuree al suo cospetto io mi vergogno.

E anche di vergognarmi mi vergogno.Mio marito diffida delle cose oscure.Così, per amor suo, io cambierò stilee per lui terrò in serbo cose chiare.

***

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Quasi che il sonno ,l’uno all’altrali rapisse ,nel buio intrecciano le dita

si sfiorano con la punta del piedee pensano- gli estremi si toccano

nel cuore della notteUno dei due già sogna anche per l’altro.Incline più al contagio che al presagio

s’addormenta l’amore coniugalemano nella mano, la vita cinta

come per una danza mentre l’altravita preme ai cancelli del rimosso

e li piega. Entrambi sul fianco sinistro.L’alba li sveglia un poco più fratelli.

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Bibliografia essenziale

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in "Canti Orfici e altre poesie"

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in "Poesie inedite" Einaudi - Torino 1997

Frabotta, Biancamaria

La testa leggera in "La pianta del pane"

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Livesay, Dorothy

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Luzi, Mario Giovinetta, giovinetta Giovinette

in "Il giusto della vita"

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Montale, Eugenio

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in "Satura" Mondadori - Milano 1976

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La classe 3 H