Vittore Mariani - Lavoro di rete
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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).
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Indice
1. PERCHÉ ESSERCI NEL SOCIALE? ............................................................................................................. 3
2. PERCHÉ LE RETI E LE ALLEANZE EDUCATIVE OGGI? .............................................................................. 9
3. COME COSTRUIRE LE RETI E LE ALLEANZE EDUCATIVE? ...................................................................... 12
BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................ 15
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1. Perché esserci nel sociale?
Poste le ineludibili e preziose premesse occorre porsi una domanda che non è per niente
scontata, specialmente oggi: perché esserci nel sociale?
Qualcuno potrebbe subito rispondere, ma senza sufficiente ponderazione, perché ci siamo
da sempre, c’è una tradizione da difendere, abbiamo un’opera avviata, utenti potenziali, risorse
economiche, personale adeguato, non c’è ragione per porsi domande retoriche. Non è un
ragionamento sbagliato, specialmente se i servizi alla persona promossi e gestiti sono richiesti e
sembrano rispondere alle necessità territoriali e se la gestione è in attivo nonostante la crisi
economica abbia colpito anche il sociale, grazie ad una lungimirante e attenta gestione, senza
dovere risparmiare sul pagamento del personale con stipendi infimi come talvolta si assiste nei
contratti di operatori anche qualificati, anche laureati; e senza lasciare strutture e mezzi mobili
fatiscenti. Sono motivi importanti ma non sufficienti, non abbastanza motivanti, non fondanti, non
decisivi.
Non possono bastare, non devono bastarci neppure la filantropia, il desiderio di aiutare le
persone in difficoltà, la spontaneità nella vicinanza con gli ultimi, competenze, metodi, tecniche e
mezzi all’avanguardia.
Tre sono i motivi principali: la promozione integrale della persona, la relazione educativa di
aiuto in ogni età e condizione della vita e il favorire il riconoscimento della dignità della persona.
La promozione integrale della persona è motivo e fine, di tutte le persone, sempre, nessun
essere umano escluso. Che cosa intendiamo per promozione integrale della persona? Ce lo
spiega benissimo di seguito il “Documento base per progetti educativi guanelliani”, attualizzazione
del carisma e della pedagogia di don Luigi Guanella. “Il fine principale della nostra attività è quello
di promuovere la persona umana in tutte le sue dimensioni secondo le potenzialità di ciascuno. Ci
proponiamo pertanto di salvaguardare il benessere fisico (…). Miriamo inoltre sia allo sviluppo che
al benessere psichico delle persone. Cerchiamo dunque di mantenere viva e di far crescere la
coscienza della loro dignità e vocazione, di aprire il loro animo alla gioia del dono e della
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accoglienza della vita della vita e attivare nella misura maggiore possibile le loro potenzialità
psichiche, anche nel caso in cui le capacità conoscitive, affettive e volitive appaiono molto
limitate. In particolare intendiamo aiutarle a formarsi un cuore buono, capace di accoglienza
sincera e universale del prossimo, sensibile alle sue necessità, generoso e disponibile all’aiuto
fraterno. Allo stesso tempo le guidiamo a una conoscenza e a un amore sempre più profondi di
Dio, percepito amato come Padre provvidente, e a un’esperienza sempre più viva e gioiosa di Lui.
Questo, ci dice il Fondatore, è l’intendimento ultimo dell’educazione. Nella convinzione che in
Gesù la persona umana può raggiungere il grado massimo del rapporto con Dio e incontrare la
piena felicità, ci adoperiamo a promuovere, nel rispetto delle scelte religiose di ciascuno,
l’apertura alla fede in Lui, fino al traguardo della santità cristiana.”1
Se non perseguissimo questo fine, se non puntassimo alla salvezza personale e comunitaria,
quale senso avrebbe la nostra opera? A che pro i nostri sforzi? L’aiuto risulterebbe monco, non
porterebbe alla felicità, non darebbe speranza, si ridurrebbe ai supporti materiali ma senza sbocco
per un’esistenza di vera gioia e di benessere integrale, completo.2
Se la finalità dunque è la promozione integrale della persona, conseguentemente
l’approccio alla persona, la modalità di accostamento e di supporto non può che essere la
relazione educativa di aiuto. Si parla molto in questa ultima fase in ambito sociale di cura e non più
di educazione, anche confusamente e in maniera fuorviante, con chi addirittura sovrappone
senza alcuna distinzione. Come già ribadito recentemente3, cura appare come un termine
esprimente la complessità richiesta oggi all’approccio alla persona, specialmente in difficoltà ed è
certamente di gran moda in ambito sociosanitario, con qualcuno che lo usa ormai usualmente
anche negli ambiti prettamente educativi. Ingloba e rende sinergiche diverse dimensioni dell’aiuto
e della relazione di aiuto:
1 Documento base per progetti educativi guanelliani, Nuove Frontiere, Roma, 1994, pp. 33-34. 2 Per un opportuno e possibile approfondimento vedere anche il recente volume: L. BIANCHINI – W. BOGONI – A. CRIPPA – V.
MARIANI – F. VENDRAMIN, Promozione integrale della persona, Nuove Frontiere, Roma, 2008. 3 V. MARIANI, Per una rinnovata tonalità educativa nei servizi per disabili, in: L. BIANCHINI – V. MARIANI – A. VALENTINI, La persona
disabile: dignità e promozione integrale, Nuove Frontiere, Roma, 2009, p. 50.
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- le terapie e le prescrizioni medicinali a scopo di guarigione dalla malattia, di ristabilimento
di una certa condizione fisica, ovviamente nei limiti delle possibilità, evitando comunque il
più possibile il decadimento psicofisico;
- l’assistenza, risposta alle necessità primarie dell’individuo;
- l’abilitazione e riabilitazione per rendere capaci o di nuovo capaci di svolgere
determinate funzioni motorie e attività, grazie ad interventi peculiari di mobilitazione e
addestramento favorendo apprendimenti, cioè acquisizioni di nuovi comportamenti;
- nell’accezione sociale, l’interessamento solidale, premuroso e solerte, svolto con
intelligenza e generosità, comprendente sentimenti ed emozioni.
La relazione educativa di aiuto aggiunge però l’educazione intesa nella sua triplice
accezione, che parte dal concetto multiforme di cura per andare oltre e rendere ancora più e
meglio umano l’accompagnamento della persona. Educazione è qui intesa come:
- ingegno nell’ideare, progettare dinamicamente e realizzare contesti di accoglienza in cui
davvero la persona si senta accolta, amata, in qualsiasi condizione ed età della vita, nella
condivisione e nella comunione, nella gioia e con speranza, pur passando dalle tribolazioni
che pure attraversano l’esistenza di ogni essere umano;
- sviluppo delle potenzialità personali e di adattamento attivo e graduale al contesto di
appartenenza, fino a potere apportare innovazioni allo stesso e dare uno slancio di
cambiamento costruttivo col proprio contributo unico e irripetibile messo a servizio, in una
rapporto dialettico tra autorità e libertà e reciproco tra persona e comunità;
- integrazione, come rendere protagonista la persona, al centro dell’esperienza della
comunità, elemento irrinunciabile, prezioso, proficuo, che sempre apporta novità nel
cammino per il bene comune, anche e forse ancora di più quando, a causa delle sue
difficoltà si trova in uno stato momentaneo o permanente di eteronomia totale, cioè
necessitante di essere continuamente seguita, accompagnata da altri nel cammino della
vita, in uno stato di dipendenza, promovendo la crescita di tutti nell’esperienza dell’amore
oblativo, vissuto consapevolmente dentro una progettualità e logica comunitaria.
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L’educazione si presenta con:
- intenzionalità, sistematicità e gradualità;
- tradotte con i suoi propri strumenti di progettazione pedagogica, personali, come il
progetto educativo personalizzato, e comunitari, come il progetto educativo del servizio e
le relative declinazioni in itinere a medio e breve termine, le programmazioni;
- applicate attraverso la metodologia propria della relazione educativa che si basa sul
dialogo e sulla comunicazione educativa per l’unitarietà della progettazione e dell’azione
educativa4.
La sfida educativa è proprio, anzitutto e soprattutto, portare e riportare, con intelligenza e
coraggio, nei servizi alla persona l’educazione e i relativi professionisti competenti e qualificati, di
formazione chiaramente pedagogica (educatori professionali e pedagogisti), per una vera
riumanizzazione degli stessi.
La risposta all’emergenza educazione è adesso proporre rinnovata progettualità personale
e comunitaria con impostazione pedagogica e così dare perseguibili strade e rasserenanti soluzioni
al dilagante disagio tra i bambini, gli adolescenti, gli adulti, gli anziani. In particolare, urge
riprendere ad educare gli adolescenti5, in una fase molto delicata e decisiva della vita e in fase
storica intrisa di sconcertante relativismo, e a permettere loro di trovare adulti educatori, esempi di
vita nella coerenza ideale e costantemente impegnati a tendere alla coerenza morale, capaci di
accogliere e di proporre, di esprimere tenerezza e fermezza, di essere comprensivi ed esigenti, di
perdonare e di correggere, oltre le ipocrisie e la superficialità del mondo adulto, le scorciatoie
deresponsabilizzanti della facile psicopatologizzazione e dei devastanti psicofarmaci.
Così si può promuovere veramente il riconoscimento della dignità di ogni essere umano, oltre:
- il disagio esistenziale, l’angoscia, la disperazione;
- l’abbandono e l’emarginazione;
4 Per opportuni approfondimenti: V. MARIANI, Pedagogia della vita comunitaria, AVE, Roma, 2001; V. MARIANI (A CURA DI), La
relazione educativa di aiuto nelle diverse condizioni ed età della vita, Edizioni del Cerro, Tirrenia(Pi), 2005; V. MARIANI, Il lavoro
d’èquipe nei servizi alla persona. Metodologia e indicazioni operative. Nuova edizione ampliata, Edizioni del Cerro,
Tirrenia(Pi), 2009. 5 L. D’ALONZO – M. LUISA DE NATALE – V. MARIANI, Girasoli e aquiloni. Adolescenti. Ripartire dall’educazione, Ancora, Milano, 2010.
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- la soppressione eugenetica, magari camuffata da pietismo e solidarismo.
“Per contrastare i fenomeni e i modelli culturali che sono un chiaro disprezzo per la vita
umana, quali la manipolazione genetica, la legalizzazione dell’aborto, l’eutanasia, la violenza (…),
diamo impulso a una cultura che affermi e difenda il valore sacro e inviolabile della vita umana,
dal suo concepimento fino alla sua conclusione naturale, in ogni fase del suo sviluppo e in ogni sua
condizione.”6
Si tratta di una cultura che ribadisca le posizioni fondamentali dell’antropologia di
ispirazione cristiana, rispondente ad un rispetto pieno della natura umana, e che si traduca
pedagogicamente in elaborazione di cammini di accompagnamento delle persone in difficoltà
che rendano la loro vita, nella sostanza ma anche nella forma, serena, bella, gioiosa nella sua
essenza, rendendo così sopportabili anche i problemi derivanti dai deficit intellettivo, fisico,
sensoriale. Occorre di conseguenza una metodologia dell’accompagnamento, di chiara matrice
e con qualificata consulenza pedagogica, che comprenda studio, ricerca, progettazione inerenti
a:
- impostazione e conduzione della relazione educativa;
- modalità di comunicazione, comprensiva dei diversi linguaggi;
- metodi di accompagnamento a seconda delle diverse necessità;
- tecniche di sviluppo delle potenzialità possibili per una promozione integrale;
- lavoro d’équipe per interventi condivisi e unitari in una logica comunitaria;
- qualità pedagogiche e stile degli accompagnatori-educatori7.
Gli apporti necessari per favorire il riconoscimento della dignità di ogni persona
umana sono dunque culturale, pedagogico e politico, perché le politiche per la persona, per la
famiglia e sociali subiscono gli influssi culturali, ma a loro volta attraverso le normative creano
mentalità, costume, abitudini, orientando le scelte.
6 Documento base…, cit., p. 135. 7 In particolare su quest’ultimo punto rimando al volumetto: Con fede, amore e competenza. Profilo dell’operatore
guanelliano, Nuove Frontiere, Roma, 2000, pp. 28-47.
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Sono consapevole, come lo è il Papa, che non è facile in questa fase storica proporre e
diffondere la pedagogia e l’educazione di ispirazione cristiana e che bisogna continuamente,
perseveranti e impavidi, con discernimento e approfondimento, studiare i modi e i luoghi per e
dove poter incidere. Infatti, “L’affermarsi di una visione relativistica di tale natura pone seri problemi
all’educazione, soprattutto all’educazione morale, pregiudicandone l’estensione a livello
universale. Cedendo a un simile relativismo, si diventa tutti più poveri, con conseguenze negative
anche sull’efficacia dell’aiuto alle popolazioni più bisognose, le quali non hanno solo necessità di
mezzi economici o tecnici, ma anche di vie e di mezzi pedagogici che assecondino le persone
nella loro piena realizzazione umana.”8
8 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, cit., n. 61, pp. 101-102.
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2. Perché le reti e le alleanze educative oggi?
Scaturisce dal ragionamento in corso la domanda ineludibile: perché il lavoro di rete oggi?
Essenzialmente ancora per tre motivi, il primo di tipo istituzionale, il secondo di tipo
strategico, il terzo nuovamente pedagogico.
La legge n. 328 del 2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali”, nata perché la Repubblica vuole “assicurare alle persone e alle famiglie
un sistema integrato di interventi e servizi sociali”, promovendo “interventi per garantire la qualità
della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza”, attraverso la prevenzione,
l’eliminazione o la riduzione delle “condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e
familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà e condizioni di non autonomia” (art. 1),
non si limita, in applicazione del principio di sussidiarietà, ad una chiara divisione delle competenze
in materia degli Enti Pubblici, Stato, Regioni e ASL, Province, Comuni, comprensiva dei rapporti e
raccordi tra gli stessi, ma tenta di valorizzare gli organismi di utilità sociale, anche coinvolgendoli
nella programmazione concertata del complesso organico degli interventi, vedasi ad esempio i
Piani di Zona (art. 19). E’ la normativa dunque che si premura di ratificare il mettersi in rete di tutti
coloro che concorrono alla progettazione, coordinamento e gestione delle opere sociali. Lo Stato
emana le leggi quadro, le Regioni legiferano in merito ai servizi e al loro coordinamento, i Comuni,
in genere accorpandosi, definiscono i Piani di Zona, cioè la programmazione sociale territoriale,
anche attraverso il confronto con il cosiddetto Terzo Settore. Anche le Regioni, ad esempio la
Regione Lombardia, possono attivare Tavoli del Terzo Settore, per confrontarsi con le macro-
organizzazioni del Sociale, quelle che accorpano e coordinano i singoli organismi privati di utilità
sociale, presenti capillarmente su tutto il territorio regionale e con diversi servizi alla persona. La
partecipazione e il mettersi in rete istituzionale a tutti i livelli, promovendo o aderendo a macro-
organizzazioni riconosciute, non è dunque un optional ma ormai una necessità e quindi una
consapevole scelta nel contribuire a costruire le politiche sociali, nel rispetto di ruoli e compiti. Si
comprende evidentemente la inderogabilità, l’improrogabilità e l’opportunità di aggregarsi e di
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dare il contributo politico, sapendo che le scelte politiche ricadono sui progetti e sul quotidiano dei
servizi alla persona, sapendo che bisogna esserci per garantire tavoli di dibattito e progettualità
davvero circolari, trasparenti, democratici, solidali, oltre la competizione e la concorrenza che
imperversano oggi nel mondo del sociosanitario in maniera nefasta, oltre gli accordi di cartello che
tendono ad estromettere per scopi utilitaristici e di potere realtà che apportano una preziosa ed
efficace cultura del sociale, oltre quel fenomeno miserabile che ho chiamato cannibalismo, cioè il
tendere a risucchiare, sostituire, emarginare, far chiudere addirittura enti simili persino
nell’impostazione antropologica ed etica, in nome del potere e del denaro. Quanta miseria! Non si
può non esserci facendo finta di dimenticarsi dei tavoli istituzionali, prima beandosi in una crassa
ignoranza per poi magari lamentarsi di leggi onerose che limitano, obbligano, disorientano,
innervosiscono, frustrano. Occorre una rinnovata consapevolezza del valore della dimensione
politica.
Anche i connessi motivi strategici del lavoro di rete sono ormai palesi: bisogna dare risposte
unitarie, concordate, condivise, organiche alle persone, alle famiglie, ai problemi della gente,
grazie a tavoli circolari e nello spirito del dialogo e della concertazione, onestamente e
serenamente.
Non bastano però più oggi il lavoro di rete e i relativi motivi istituzionali e strategici, livelli
base ma non sufficienti per costruire un’azione sociale per la reale e piena promozione integrale
della persona. Ci vogliono, quando possibili, le alleanze educative. Già nella scelta della macro-
organizzazione di appartenenza discernere sul con chi allearsi è di vitale importanza per la
salvaguardia di carisma, mission, progettualità. Le alleanze educative permettono di elaborare e
condividere addirittura progetti e opere, rinverdendo il motto “l’unione fa la forza”. Le alleanze
educative, stabilite con oculatezza e prudenza, attenti alla proposta dei partner, senza
compromessi rinunciatari rispetto a finalità ed etica insopprimibili, ratificate sulla scelta
pedagogica, ispirata al personalismo cristiano, della promozione integrale della persona. Non si
perde la propria identità, al contrario si ha la possibilità di esserci ancora, in maniera rinnovata, con
maggiori presenza, forza, efficienza, efficacia. Non rispondono ad un’idea vaga e confusa e a una
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volontà generosa ma ingenua di essere solidali filantropicamente e neppure a patti di potere e
affari di basso profilo etico con la dimensione economica diventata centrale e a cui tutto asservire.
Garantiscono di potere continuare una testimonianza di servizio alla persona e agli ultimi con
modalità ripensate e rinnovate, sinergie dirompenti e creative, risposte e proposte adeguate alle
nuove necessità, nuovi servizi innovativi, un cambiamento vitalizzante, rigenerante, entusiasmante.
Propedeuticamente ad iniziative progettuali in cogestione, possono essere attuati itinerari comuni
di formazione degli operatori, cominciando così dalle esigenze formative e mettendo le basi per
una mentalità e pedagogia comuni, pur nel rispetto della distinzione, della originalità, delle
peculiarità, dell’identità di ciascun ente. Le alleanze educative potranno caratterizzare
proficuamente il futuro dei servizi alla persona e le vediamo positivamente e proficuamente con
lungimiranza e simpatia.
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3. Come costruire le reti e le alleanze educative?
Come dunque costruire le reti e le alleanze educative?
Anzitutto occorre unire le forze tra le diverse realtà che hanno la stessa matrice, unite già
certo formalmente ma spesso disgregate a livello progettuale e operativo. Ci vuole unità
concretamente, non solo nelle pur lodevoli ma talvolta sterili dichiarazioni d’intenti:
- intra-carisma anzitutto, tra le Case di una stessa congregazione o ente che promuovono
servizi alla persona, a partire dai servizi simili per tipologia di utenti accolti, con coordinamenti stabili
e operativi, e poi anche con altre congregazioni o enti, sempre impostando coordinamenti inter
pares;
- interscambi progettuali ed esperienziali, fino a progetti comuni, cogestiti;
- promovendo quando assenti o vitalizzando quando presenti i tavoli territoriali,
intercomunali, regionali.
Quali sono i problemi in merito oggi? Anche per questo aspetto ne evidenzio tre:
- l’autoreferenzialità;
- le lobbies;
- la crisi economica.
Penso che il principale sia l’ancora ben presente autoreferenzialità, che potremmo
chiamare anche autarchia: c’è chi pensa di bastare a se stesso, di usare gli altri solo in quanto
funzionali, di riuscire a sopravvivere anche nel tempo della globalizzazione coltivando il proprio
orticello e basta, di non rivolgersi, neppure per uno scambio di progetti ed esperienze, neppure a
realtà che hanno alla base lo stesso carisma o carismi simili. Chi pensa così non solo vive fuori dal
mondo, ma disprezza l’esperienza della condivisione e della comunione. Potrebbe obiettare:
meglio soli che male accompagnati! E’ un’affermazione gretta e incomprensibile quando ci sono
evidentemente coloro con chi è possibile interscambiare e trovare motivi e occasioni per unirsi.
Alla base di questo atteggiamento ancora molto diffuso, sta molta ottusità corredata da
ignoranza, presunzione, arroganza ed egoismo. Sono organizzazioni fini a se stesse, ripiegate su se
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stesse, destinate a scomparire, forse senza neppure accorgersi fino quasi alla fine, spazzate via
dagli eventi, magari fino al giorno prima tronfie e sicure di sé, ignare, nel mondo della
comunicazione, della interazione, del cambiamento continuo, delle reti, della globalizzazione. Ci
sono enti che neppure si confrontano con i simili per capire cosa succede nel mondo, in merito alle
innovazioni del sociale, agli aspetti progettuali, pedagogici, gestionali. “Abbiamo sempre fatto
così, perché cambiare?”, dice chi ha paura del nuovo o pensa di essere eterno. L’esperienza di
altri, meglio dei più vicini a carisma e pedagogia, certo può e deve servire. Non usufruire di preziosi
consigli e apporti è atto di superbia, dalle conseguenze disastrose. Si va avanti per inerzia, poi
quando nasce il problema si corre ansiosamente, senza ponderazione e adeguato tempo, in fretta
per mettere una pezza, alla ricerca spasmodica e confusa di chi può aiutare, spesso, come è
capitato, mettendosi nelle mani di pseudo-esperti, pseudo-manager del Sociale, che promettono
di risolvere i tanti e complessi problemi, come nuovi guru, spesso maneggioni senza scrupoli e col
solo obiettivo di arrichirsi alle spalle dei gonzi e imprevidenti, spremendo le risorse economiche, che
ci sono ancora ma disancorate da una progettualità umanizzante. E’ amaro vedere che fine
hanno fatto certi enti, anche di matrice cristiana, anche con un nome e una tradizione
considerate di rilievo, spersonalizzati, senza identità, allo sbando teleologico ed etico, seppur
ancora aventi a disposizione risorse economiche importanti.
Il secondo problema è inerente alle lobbies del Sociale, concorrenziali da una parte, ma,
dall’altra, tendenti, in contraddizione solo apparente, a spartirsi la torta, a creare una sorta di
monopolio anche nell’ambito dei servizi alla persona, grazie anche agli accordi e sostegni politici.
Ci sono macro-organizzazioni, che, dimentiche ormai delle loro origini, anche se a parole e per
l’immagine continuando a proclamarsi (spergiurando) limpide e finalizzate al bene comune, ma
razzolando molto male, tendono a costruire il predominio nel mondo dei servizi e a risucchiare tutti
coloro che sono piccoli e in difficoltà nel continuare a proseguire l’opera sociale, intendendo qui il
sociale in senso lato e in tutte le varie accezioni: educativo, scolastico, sociosanitario, assistenziale,
sanitario. “Il pesce grosso mangia quello piccolo”, si suole dire, specie nel mondo del cosiddetto
profit e ora, possiamo affermare, anche nel mondo del non profit. Assistiamo attoniti e
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amareggiati, ma non volgiamo adeguarci, a omologazioni culturali, immiserenti la lunga, vasta e
bella tradizione del Sociale con le sue tante e diverse anime, e a operazioni spregiudicate di
lottizzazione dei servizi alla persona, con indirizzi politici che sostengono la liceità di competizione e
concorrenza e normative attuative che la implementano, ma tacendo che non si tratta di
concorrenza alla pari, perché strafavorisce gli enti grossi e più potenti politicamente ed
economicamente.
Ed infine c’è pure questa crisi economica planetaria, che certamente durerà per anni, con
conseguenze devastanti non solo nel mondo produttivo, ma anche, per ricaduta, nel Sociale e
nell’ambito dei servizi alla persona, con riduzione delle risorse, scadente qualità dei servizi, riduzione
dei servizi stessi, sempre peggiore trattamento dei lavoratori dal punto di vista dei salari e dei
contratti, con precarietà dei posti di lavoro, con personale qualificato, laureato e competente
sottopagato, persino sfruttato, non valorizzato. Tutto ciò certo non incentiva la scelta da parte dei
giovani delle professioni sociali, anche se c’è ancora ricerca di operatori in questo ambito,
educatori in testa. Come si fa a garantire la continuità educativa, la qualità dei servizi, la serenità
degli utenti e dei loro familiari, la tanto auspicata umanizzazione dei servizi quando non c’è la
garanzia di sicurezza del posto di lavoro?
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Bibliografia
• V. Mariani, Le alleanze educative e il lavoro di rete per una rinnovata
politica dei servizi alla persona, in: AA.VV., L’olio della carità e il vino della
verità sulle ferite del mondo, Nuove Frontiere, Roma, 2010, pp. 165-177