VISIONI D'ARCHIVIO 2011

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PALERMO 28 e 29 novembre / 5 e 6 dicembre Cinema ROUGEetNOIR / Cinema ABC ingresso libero

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vetrina annuale della Filmoteca regionale siciliana (sesta edizione) Palermo, 28 e 29 novembre (cinema Rouge et Noir), 5 e 6 dicembre (cinema ABC) ingresso libero Regione Siciliana - vAssessorato dei beni Culturali e dell'Identità Siciliana - CRICD Centro Regionale per l'Inventario, la Catalogazione e la Documentazione

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PALERMO

28 e 29 novembre / 5 e 6 dicembre

Cinema ROUGEetNOIR / Cinema ABC

ingresso libero

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Regione SicilianaAssessorato dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana Dipartimento dei Beni Culturali dell’Identità siciliana Servizio Centro Regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione grafica, fotografica, aerofotografia, audiovisiva di Palermo e Filmoteca regionale siciliana

Assessore Regionale dei Beni Culturali dell’Identità siciliana Sebastiano Missineo

Dirigente Generale del Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana Gesualdo Campo

Dirigente del Servizio Centro Regionale per l’inventario la catalogazione e la documentazione Giulia Davì

Commissario Straordinario del Centro Regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione Enrico Carapezza

Unità Operativa X - Filmoteca Regionale Siciliana Alessandro Rais (dirigente coordinatore)Marcello Alajmo, Alessandra Patti, Ignazio Plaia, Diana Sergio, Maurizio Spadaro, Nadia Volpe

Si ringraziano

Cinecittà Luce (Roma), First Sun (Roma), Fuoricircuito (Catania), Rossofuoco (Torino), Zalab.org (Roma), ZeLIG (Bolzano);

Laura Argento, Matteo Bavera, Federica Di Biagio, Matteo Di Gesù, Gian Luca Farinelli, Davide Ferrario, Lucia Goracci, Luca Guadagnino, Katja Iseler, Franco La Cecla, Annamaria Licciardello, Alessio Mangano, Ivano Mistretta, Giulia Moretti, Gabriella Saitta, Stefano Savona, Irene Tagliavia, Ladislao Zanini, Georg Zeller.

Cura scientifica Alessandro Rais

Cura organizzativa Marcello Alajmo, Alessandra Patti, Ignazio Plaia (coordinamento), Diana Sergio, Maurizio Spadaro, Nadia Volpe,

Ufficio Stampa Giovannella Brancato

Progetto Grafico Donato Faruolo

Organizzazione Machinaria Cinematografica (Palermo)

Stampa Tipografia Luxograph (Palermo)

In collaborazione con Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia, Cineteca di Bologna, Film Commission Regione Siciliana.

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PALERMO28 e 29 novembre / 5 e 6 dicembreCinema ROUGEetNOIR / Cinema ABC

ingresso libero

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Com'è tradizione ormai più che decennale della Filmoteca Regionale Siciliana (l'archivio au-diovisivo dell'Assessorato regionale Beni Culturali e Identità siciliana, attivo all'interno del CRICD), la riflessione sul patrimonio cinematografico, alla cui preservazione e valorizzazione la Filmoteca è istituzionalmente preposta, diventa occasione per una riflessione più ampia sulle poetiche e le prati-che dei linguaggi audiovisivi contemporanei, e per la diffusione sul territorio della cultura del cinema e dell'audiovisivo.

Dalla prospettiva di un archivio che non va inte-so come un magazzino polveroso di immagini, ma piuttosto come un laboratorio creativo di attualiz-zazione della memoria e di ridefinizione costante degli orizzonti del visibile e del rappresentabile, le “visioni” si allargano dunque a prospettive più am-pie, mescolando la riscoperta di pagine di cinema antiche e spesso ingiustamente dimenticate, con la presentazione in anteprima di film recenti, spes-so altrimenti invisibili a Palermo e in Sicilia perché censurati dalle ciniche logiche del mercato cine-matografico.

Questa sesta edizione di “Visioni d'Archivio”, vetrina dedicata alle acquisizioni, ai restauri, alle attività, ai progetti e alle idee in cantiere della Fil-moteca del CRICD, prende spunto dall'opera del cineasta catanese Ugo Saitta (1912-1983), il cui corpus cinematografico è conservato quasi inte-gralmente negli archivi della Filmoteca, ed alla cui attività è dedicato il documentario di Alessandro De Filippo che presentiamo in prima proiezione assoluta nella giornata inaugurale, per allargare il giro d'orizzonte e di discussione ad alcune delle più interessanti esperienze di “cinema del reale” che di recente si sono intrecciate con la Sicilia. Sono anteprime delle opere più recenti di autori siciliani che leggono realtà solo apparentemente lontane da noi (Stefano Savona e la rivolta civi-le nordafricana, Luca Guadagnino e l'Etiopia del

passato coloniale dell'Italia fascista, Giusy Buc-cheri e le storie di una comunità siciliana emigrata in Australia), e film – anch’essi inediti in Sicilia – di autori “forestieri” (Raúl Ruiz, Benoit Felici, Davide Ferrario, Gustav Hofer e Luca Ragazzi, e per altri versi un Martin Scorsese d'annata) che riflettono (anche) su aspetti meno convenzionali della iden-tità culturale siciliana, che il cinema – e soprattutto il documentario – fanno bene a non smettere mai di questionare criticamente.

Come fa il lombardo Davide Ferrario in Piazza Garibaldi, mettendosi in viaggio sulle orme della spedizione dei Mille senza alcun intento celebra-tivo, o la coppia italo-germanòfona Hofer/Ragazzi nel suo ironico pellegrinaggio da un estremo all'al-tro dello Stivale alla ricerca di un'Italia “resistente” e non stereotipata, quella che i mass-media quasi mai raccontano.

La proiezione dell'ultimo lavoro del palermitano Stefano Savona, Tahrir, Liberation Square, girato nella capitale egiziana pochi mesi fa e dedicato a vicende tornate di scottante e drammatica attuali-tà proprio in questi giorni, ci offre inoltre lo spunto per aprire una stimolante discussione, insieme all'inviata del Tg3 Lucia Goracci, sui differenti ap-procci – di sguardo e di racconto, visuali e quindi etici – all’attualità che consentono da una parte il reportage e dall'altro il documentario d'autore.

E infine abbiamo scelto di dedicare un ricor-do speciale a Raúl Ruiz, un Maestro – anzi, un autentico emblema – del cinema indipendente contemporaneo, la cui recente scomparsa ha profondamente addolorato i suoi molti amici e di-scepoli siciliani, presentando in anteprima assolu-ta l’ultima versione (da lui stesso rielaborata in una ulteriore sessione di montaggio) del suo ultimo “documentario” (ogni definizione nella sterminata filmografia ruiziana è soltanto un’approssimazio-ne), girato proprio a Palermo nel 2010.

ArchiVisioni del “cinema del reale”

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Con la Sicilia negli occhi racconta, attraverso interviste e sequenze cinematografiche, la produ-zione documentaria degli anni Cinquanta e Ses-santa del regista catanese Ugo Saitta e mostra le immagini di un suo documentario “ritrovato”, La Terra di Giovanni Verga.

Prodotto da Fuoricircuito, Con la Sicilia negli occhi è stato realizzato grazie al contributo e alla collaborazione di diverse istituzioni: la Film Com-mission della Regione Siciliana, che ha finanziato il documentario con il Fondo per il Cinema e l’Audio-visivo del 2008; la Filmoteca Regionale Siciliana, che ha messo a disposizione l’intero Fondo Saitta; la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, che ha contribuito alla realizzazione del documentario dando la disponibilità del labora-torio multimediale di sperimentazione audiovisiva

Italia 2011, documentario, col., 45’. Prima proiezione assoluta.Regia e fotografia: Alessandro De Filippo. Montaggio: Carmelo Emmi. Musiche originali: Carlo Natoli. Riprese: Giuseppe Giudice, Giovanni Tomaselli. Suono: Alessandro De Caro. Suono in presa diretta: Stefania Santagati. Produzione esecutiva: Ivano Mistretta. Produzione: Fuoricircuito e la.mu.sa, in collaborazione con Film Commission Regione Siciliana. Con: Riccardo Manaò, Gabriella Saitta, Tuccio Musumeci, Leo Gullotta, Sebastiano Gesù, Adriano Aprà, Marco Bertozzi, Enrico Magrelli, Giuseppe Giarrizzo, Ivano Lollo, Mario Musumeci.

CON LA SICILIA NEGLI OCCHI: IL CINEMA DOCUMENTARIO DI UGO SAITTA di Alessandro De Filippo

“la.mu.s.a.” e delle sue attrezzature tecniche di produzione e post-produzione; la Cineteca Nazio-nale del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, che si è occupata del recupero e del re-stauro del documentario di Saitta ritrovato nel cor-so delle ricerche preparatorie di questo film.

Preziosi sono stati gli interventi di coloro che con Saitta hanno lavorato e collaborato, così come l’apporto di quegli studiosi ed esperti che hanno contribuito a definire meglio il valore della sua produzione: Riccardo Manaò, Gabriella Saitta, Tuccio Musumeci, Leo Gullotta, Sebastiano Gesù, Adriano Aprà, Marco Bertozzi, Enrico Magrelli, Giuseppe Giarrizzo, Ivano Lollo e Mario Musumeci.

Con la Sicilia negli occhi è il frutto di uno studio, durato 3 anni, condotto da Alessandro De Filip-po sulle rare fonti lasciate dal regista catanese.

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Lo studio è stato possibile grazie alla generosa collaborazione della figlia, Gabriella Saitta, che ha permesso di digitalizzare un album con circa 300 documenti, tra ritagli di giornale, fogli di sala, recensioni e lettere istituzionali. I testi, interrogati e incrociati tra loro attraverso una serie progres-siva di comparazioni, hanno permesso inoltre di “ritrovare” negli archivi della Cineteca Nazionale un documentario sconosciuto agli stessi eredi e agli storici del cinema siciliano. La cinearchivista Anna-maria Licciardello, ha così potuto recuperare il ne-

gativo infiammabile di La terra di Giovanni Verga, prodotto da Carmine Gallone nel 1953. Un primo controllo del negativo, su supporto infiammabile, ha permesso di constatare evidenti segni di alte-razione del colore e di sclerotizzazione della pelli-cola, per i quali si è resa necessaria un’immediata operazione di restauro. Fuoricircuito, insieme alla Cineteca Nazionale, ha provveduto alle spese di restauro permettendo la realizzazione di una copia positiva ora custodita presso gli archivi dell’istitu-zione romana.

Il cinema di Ugo SaittaIl cinema documentario di Ugo Saitta (1912-

1983) è prima di tutto testimonianza di una Si-cilia che non c’è più. Rivedere e rileggere l’isola attraverso il suo cinema significa recuperare uno sguardo ingenuo e speranzoso su uno sviluppo economico basato tanto sul turismo naturalistico quanto sulle aspirazioni industriali del boom eco-nomico.

L’Etna e la sciara, le miniere di zolfo e i carusi, il battesimo della barca e le sponde decorate dei carretti, i pupi e le processioni religiose, ogni singola inquadratura, ogni sequenza, ogni gioco di luce e taglio di montaggio concorrono a disegnare una Si-cilia del mito e insieme dei bisogni terreni.

Il corpus più ampio (e quasi integrale) delle opere del poliedrico regista catanese è quello custodito nel Fondo Saitta della Filmoteca Regionale Siciliana.

«Saitta è un regista medio, uno di quelli che resta escluso dai percorsi principali della Storia

“ufficiale” del cinema italiano. Ma in questa mia definizione non c’è alcun disprezzo, perché la sua medietà non è mai mediocrità. Anzi, proprio attra-verso il cinema medio siamo in grado di leggere e interpretare la società siciliana, di restituire la complessità attraverso gli sguardi plurali dei tanti cineasti artigiani. Il capolavoro resta “fuori classe” e non riesce infatti a raccontare la norma, a espri-mere la normalità. Il cinema medio è invece proie-zione sincera delle paure e dei desideri di una so-cietà, delle ambizioni politiche ed economiche, del recupero del valore delle tradizioni culturali e della speranza di un futuro aperto a un rinnovamento velleitario. La sua onestà, anche quando tracima nell’ingenuità (si pensi all’infatuazione siciliana per l’industria pesante di Gela e di Priolo), diventa così specchio di un tempo e di un territorio, spontanea rappresentazione mimetica di una realtà storica». (Alessandro De Filippo)

«Tre anni or sono preparai un programma speciale per l’Interfilm Festival di Berlino, intito-lato Sicilia documentaria, presentato insieme ad Alessandro Rais, direttore della Filmoteca Regio-nale, che fornì al festival tedesco la possibilità di proiettare in 35mm i documentari di Francesco Alliata di Villafranca e di Vittorio De Seta. Di ri-torno da Berlino, raccontai di questo viaggio al Preside Giuseppe Giarrizzo, che mi domandò: e

come mai non c’era anche il cinema di Ugo Sait-ta? Candidamente risposi che ne avevo sentito parlare, ma non l’avevo ancora mai studiato. Quel giorno cominciò la ricerca e Ugo Saitta divenne l’argomento centrale della mia tesi di dottorato. Conoscere le sue difficoltà produttive, apprezzar-ne il tentativo velleitario di trasportare Cinecittà a Catania (che era già stata il centro di produzione cinematografica più grande d’Italia tra il 1911 e il

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1914), riconoscerne i tentativi di supplire alla man-canza di un tessuto industriale con geniali trovate amatoriali e con una coraggiosa scelta di auto-produzione quasi del tutto autarchica, mi ha fatto amare il suo cinema imperfetto. Certo c’è la voce fuori campo che riproduce gli stilemi dei Cinegior-nali Luce, c’è il commento sonoro extradiegetico che è forse il tratto caratteristico più datato delle sue interessanti opere documentarie, ma resta e

resiste tuttavia una forza dirompente delle imma-gini, un’impronta materica sulla luce e sul colore, determinata anche dall’uso della pellicola Ferra-nia, che oggi ci stupisce e ci affascina. E poi c’è la passione, quasi ossessiva, per la macchina cinema. E quella non posso non condividerla. Saitta mi ha contagiato in questo, senza dubbio». (Alessandro De Filippo)

Alessandro De Filippo si occupa di critica ci-nematografica e televisiva. Insegna Storia e critica del cinema presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania; è dottore di ricerca in Storia della Cul-tura, della Società e del Territorio in Età Moderna.

Dal 2005 coordina le attività di la.mu.s.a., il laboratorio multimediale di sperimentazione au-diovisiva della stessa Facoltà. È regista di corti di finzione e documentari (Tutti devoti tutti, Birds as punctuation, Joy, Lebeul me, Time-code, Iso-la, Cattura), presentati in diversi festival in Italia e Europa. Le ultime regie sono Goor, realizzato con il contributo del Ministero dell’Interno e Con la Si-cilia negli occhi.

Dal 1996, insieme a Enrico Aresu e Alessan-dro Aiello, fa parte del gruppo Cane CapoVolto che compie una ricerca radicale sui media dello Spettacolo.

Nel 2004 pubblica “Ombre, manuale di tecnica della narrazione dei media audiovisivi” e nel 2008 “Eiga o dell’immagine riflessa”, che raccoglie i testi sul cinema scritti tra il 2001 e il 2007; nel 2009, insieme a Ivano Mistretta, “Sequenze. Tempo e movimento nella narrazione tra cinema e fumetto” e cura “Videomaking. Manuale di tecnica video”; nel 2011 “Idioteque. L’11 settembre nell’immagi-nario cinematografico dell’Occidente”.

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LO VOGLIO MASCHIOItalia 1971, 35mm, col., 91’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana). Regia e fotografia: Ugo Saitta. Soggetto: Ugo Saitta, Gaetano Caponetto. Sceneggiatura: Ugo Saitta, Gaetano Caponetto, Gabriele Musumarra. Musica: Nino Porto. Scenografia: Francesco Geracà. Direttore di produzione: Rita Consoli. Con: Tuccio Musumeci, Aliza Adar, Leo Gullotta, Maria Tolu, Franca Manetti, Turi Scalia, Ignazio Pappalardo, Pippo Viola, Nino Calì, Pippo Naso, Santo Sciacca, Anna Sciacca, Saro Spadaro, Pippo Ventura, Gabriella Saitta, e con la partecipazione di Umberto Spadaro

È l’unico lungometraggio di finzione diretto da Ugo Saitta che qui si avvale del contributo di noti attori teatrali siciliani. Ambientato in una cittadina che trae proventi essenzialmente dall’agricoltura (è stato girato a Caltagirone, Catania, Acireale e dintorni) il film narra la paradossale vicenda di un giovane imprenditore di idee progressiste, in con-tinua lotta con i pregiudizi della cultura conserva-trice del suo paese. Un barone siciliano spera di esser nominato erede universale dalla ricchissima zia, ma costei gli preferisce il cugino che ha sapu-to assicurare la discendenza maschile (il barone invece non riesce ad avere un figlio maschio).

LA TERRA DI GIOVANNI VERGAItalia 1954, col., 10’ (copia della Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia) Regia: Ugo Saitta.

Ritrovato nel corso del 2011 negli archivi della Cineteca Nazionale di Roma durante le ricerche per la preparazione del documentario Con la Sici-lia negli occhi di Alessandro De Filippo, questo film di Ugo Saitta, prodotto da Carmine Gallone nel

1953, era sconosciuto agli stessi eredi oltre che agli storici del cinema siciliano. La cinearchivista Annamaria Licciardello, ha così potuto recuperare il negativo infiammabile che, dopo i primi esami, ha rivelato evidenti segni di alterazione del colore e di sclerotizzazione della pellicola, che hanno reso necessario un intervento di restauro compiuto dal-la Cineteca Nazionale con l’intervento economico della casa di produzione Fuoricircuito di Catania.

TESTE DI LEGNO (PISICCHIO E MELISENDA)Italia 1939, 35mm, b/n, 11’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia e fotografia: Ugo Saitta. Scenografia: Salvatore Crisafulli, Ugo Saitta. Musiche originali: Piero Capponi. Dialoghi: Arnoldo Foà, Ugo Saitta. Animazione: Ugo Saitta, Mario Stella. Direttore di produzione: Rita Consoli

Cortometraggio d’animazione, realizzato a pas-so uno (sono 90.224 i fotogrammi impressionati e 16.902 quelli montati). È il primo esempio di film a pupazzi animati “senza fili” con una tecnica di pre-disposizione in fase di doppiaggio del mutamento d’espressione. Si tratta di una satira, in chiave fia-besca del mondo cavalleresco medioevale.

LA FESTA DEI POVERIItalia 1978, 35 mm, col., 11’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia, soggetto, sceneggiatura e fotografia: Ugo Saitta. Musiche: Mario Molino. Direttore di produzione: Rita Consoli. Aiuto regia: Riccardo Manaò. Operatore: Angelo Strano. Speaker: Riccardo Paladini

Il documentario, di notevole interesse etnoan-tropologico, racconta la festa tradizionale che si svolge a Trecastagni (CT), in occasione delle ce-lebrazioni per Sant’Alfio. I protagonisti della festa sono i sordomuti.

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ZOLFARAItalia 1947, 35 mm, b/n., 10’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia, soggetto e sceneggiatura e fotografia: Ugo Saitta. Commento parlato: Giampiero Pucci. Commento musicale: Virgilio Chiti. Speaker: Umberto Notari. Direttore di produzione: Rita Consoli

È tra i primi documentari neorealisti italiani dell’immediato dopoguerra. Saitta qui registra l’immane fatica dello zolfataro siciliano ed i vecchi sistemi di estrazione dello zolfo. È stato realizza-to ad una profondità media nel sottosuolo di 500 metri.

SCIARAItalia 1953, 35mm, b/n, 10’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia, soggetto, sceneggiatura, fotografia: Ugo Saitta. Testo e commento parlato: Giampiero Pucci. Commento musicale: Virgilio Chiti. Speaker: Corrado Mantoni. Direttore di produzione: Rita Consoli.

Il documentario mette in risalto le drammatiche condizioni di vita degli abitanti dell’Etna. Quando il vulcano si sveglia, l’eruzione sommerge spesso colture e paesi. Non appena il flagello si placa, l’uomo riesce a riconquistare la terra, palmo a pal-mo ricreando vigneti, giardini, colture distrutte. Un aspetto che merita di essere evidenziato è quello della temerarietà degli operatori che hanno ripreso le eruzioni a brevissima distanza dai ribollenti fronti lavici, rinunciando a trucchi e all’uso del teleobiet-tivo per restituire immagini di estremo realismo.

LA BARCA SICILIANAIItalia 1958, 35mm, col., 9’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia: Ugo Saitta. Soggetto e sceneggiatura: Ugo Saitta, Giuseppe Beretta. Testi e commento: Giuseppe Beretta. Commento musicale: Pietro Marletta. Speaker: Mario Colli. Operatore: Giuseppe Consoli. Direttore di produzione: Rita Consoli

Nei piccoli cantieri sparsi lungo la costa sicilia-na o abbarbicati su alture a picco sul mare, ven-gono costruite le tipiche barche siciliane. Ricca-mente dipinta e arricchita di simboli marinareschi, la barca viene battezzata e quindi sospinta verso il mare per condividere la dura fatica del pescatore.

TRAVELING IN SICILYItalia 1960, 35mm, b/n, 10’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia: Ugo Saitta. Soggetto e sceneggiatura: Ugo Saitta, Giuseppe Beretta. Musiche originali: Franco Cristina. Testo e commento: Giampiero Pucci. Operatore: Benito Frattari. Direttore di produzione: Rita Consoli

Le località più affascinanti e le caratteristiche tradizionali della Sicilia vista, interpretata e scandi-ta da una coppia di danzatori (Alberto Testa e Lo-redana Furno) alla scoperta di alcuni tra i più sug-gestivi luoghi di Sicilia. Finale travolgente al ritmo di una tarantella suonata e danzata da un gruppo folkloristico in costume sullo sfondo dell’Etna.

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Ugo Saitta (1912-1983) è il primo documenta-rista siciliano di rilievo, già attivo cinematografica-mente a Catania a partire dagli anni Trenta. Dopo alcune esperienze da cinedilettante, si iscrive al corso inaugurale (1935-1936) del Centro Speri-mentale di Cinematografia di Roma, dove imparerà le tecniche di regìa e la narrazione cinematografica. Il suo lavoro più interessante, in questa prima fase di sperimentazione, è sicuramente il cortometrag-gio di animazione Teste di legno, che viene pre-sentato con il titolo Pisicchio e Melisenda alla VII Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1939. Dopo l’esperienza romana, la sua ricerca lo avvicinerà soprattutto all’attività di cineoperatore: nei confronti della ripresa cinemato-grafica Saitta infatti mostra una passione fuori dal comune, che lo porterà nell’immediato dopoguer-ra a una feconda collaborazione con la Settimana Incom. Il momento più importante di questa colla-borazione è senza dubbio la realizzazione nel 1950 delle riprese del cadavere martoriato del bandito Giuliano. La seconda fase dell’esperienza cinema-tografica di Ugo Saitta si caratterizza per la scelta espressiva del documentario. La storia del cinema documentario di Ugo Saitta si intreccia con la storia della Sicilia. Zolfara (1947) è l’inizio del momento più ispirato della produzione del regista catanese, quello più continuo dal punto di vista produttivo e di coerenza stilistica, e sicuramente quello più rile-vante dal punto di vista artistico. Saitta sente una missione: dare figura alla rinascita sociale e cultu-rale della sua terra. Il documentario unico e occa-sionale però non basta, perché la sua ricerca non è quella di una singola opera d’arte, ma di un sistema di rappresentazione, che viene concepito appunto come una «collana di cortometraggi».

L’ultima parte della ricerca audiovisiva del regi-sta catanese si muove verso una direzione diversa: se la formula del documentario aveva alla base lo sviluppo narrativo di un tema, la cinerivista Volto di Sicilia, strutturata in puntate, si avvicina più al roto-calco e segna un nuovo registro espressivo e una diversa funzione comunicazionale.

I PUPI SICILIANIItalia 1954, 35mm, col., 8’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia: Ugo Saitta. Soggetto e sceneggiatura: Ugo Saitta, Giuseppe Beretta. Rievocazioni pittoriche: Sebastiano Milluzzo. Testo e commento parlato: Giuseppe Beretta. Commento musicale: registrazioni sonore dal vivo. Speaker: Carlo D’Angelo. Operatore: Giuseppe Consoli. Direttore di produzione: Rita Consoli.

Il film illustra l’attività di un teatro dei pupi di antica tradizione siciliana: l’amore per il teatro, i preparativi per la recita, le vestizioni, la coloratis-sima rappresentazione, le battaglie dei Paladini di Francia, la viva partecipazione del pubblico.

VOLTO DI SICILIA N. 7 (cinegiornale)Italia 1968, 35mm, col., 10’ (copia della Filmoteca Regionale Siciliana) Regia, soggetto, sceneggiatura, direzione editoriale: Ugo Saitta. Commento musicale: Pietro Marletta. Speaker: Riccardo Paladini. Organizzatrice: Rita Consoli. Redattore capo: Gaetano Caponnetto.

Volto di Sicilia è il nome del cinegiornale sici-liano che Saitta ha realizzato dal 1962 al 1969 e del quale la Filmoteca Regionale conserva la quasi totalità dei numeri. In questo numero del 1968 tre i servizi: Il terremoto dei poveri, sul drammatico terremoto del Belice; Dall’albero alla carta, sulla cartiera Siace di Villafranca di Sicilia e sullo svi-luppo industriale siciliano; L’arcipelago del sole sul turismo nelle Isole Eolie

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Italianamerican è un ritratto di famiglia in un in-terno di Elizabeth Street, Little Italy, nell’anno1974. Martin Scorsese ha trentadue anni, ha appena gi-rato Mean Streets. Durante un week-end estivo, si installa nella casa dei genitori Charles e Catherine, la casa dove lui stesso è cresciuto; li fa sedere sul divano del salotto foderato di cellophane; li fa parlare davanti alla cinepresa, Charles un po’ im-pacciato, Catherine subito mattatrice. Il risultato è un documentario unico, un celebrato home-movie d’autore che trova qui la sua prima edizione italia-na. I racconti di Charles e Catherine, italoamericani di seconda generazione, incrociano memorie di famiglia siciliana e storie di lotta per una persona-le conquista dell’America, e restituiscono con un linguaggio affettivo e ironico il clima quotidiano di una famiglia italianamerican come tante, tra gli anni Quaranta e Sessanta. I soldi risparmiati per com-prare l’albero di Natale, le porte delle case sempre

aperte per accogliere i vicini, il cibo come patrimo-nio e identità condivisa: la conversazione si sposta dal salotto alla cucina, dove Catherine Scorsese prepara le sue polpette al sugo. Una famiglia ita-lianamerican come tante. Ma intanto da Elizabeth Street iniziava un’altra storia del cinema.

Nel 2010 la Cineteca di Bologna, con il con-tributo del Centro Regionale per l’Inventario e la Catalogazione dei Beni Culturali della Regione Si-ciliana e di Slow Food, pubblica un cofanetto che contiene oltre all’edizione in dvd del film Italiana-merican (1974), la traduzione italiana del libro omo-nimo (Italianamerican. The Scorsese Family Cook-book, pubblicato per la prima volta per le edizioni americane Random House nel 1996) curato da Catherine Scorsese, madre di Martin: un patrimo-nio di cultura gastronomica siciliana gelosamente custodito e interpretato. Con testi introduttivi di Carlo Petrini, Franco La Cecla e Sonia Cenciarelli.

USA 1974, documentario, col., 48’. Regia: Martin Scorsese. Sceneggiatura: Martin Scorsese, Larry Choen, Martin Mardik. Montaggio: Bert Lovitt. Prodotto da: Saul Rubin, Elain Attias. Produttore associato: Bert Lovitt. Direttore di produzione: Dale Bell. Elettricista e fotografo di scena: Matthew Andrews. Suono: Lee Osborne. Operatore: Alex Hirschfeld. Trattamento: Mardik Martin, Larry Cohen. Fotografie: famiglia Scorsese. Con: Catherine Scorsese, Charles Scorsese, Martin Scorsese.

ITALIANAMERICAN di Martin Scorsese

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Martin Scorsese, nato a Flushing, Long Island, il 17 novembre 1942, da una famiglia di origine siciliana, cresce nell’ambiente della Little Italy di New York, per le strade che vanno da Hou-ston Street a Chinatown. Da bambino ama molto disegnare, soprattutto le scene dei film. Film visti al cinema, ma anche passati in televisione come Le quattro piume (Zoltan Korda, 1939) o Paisà (Roberto Rossellini, 1946). Da ragazzo aspira a diventare sacerdote, ma viene cacciato dal se-minario quando si accorgono che frequenta tipi ribelli e poco raccomandabili. Ma quei tipi sono proprio i suoi amici, quelli che porterà sullo scher-mo in Mean Streets (1973). Dopo essersi laureato in regia alla New York University, gira alcuni corti ed esordisce nel lungometraggio con Chi sta bus-sando alla mia porta? (1969), con Harvey Keitel, che insieme a Robert De Niro sarà uno dei suoi attori preferiti. Vincitore della Palma d’Oro al Festi-val di Cannes con Taxi Driver (1976), inaugura gli anni ‘80 con un altro grande film, Toro Scatenato (1980), quando si è appena sposato con Isabella Rossellini.

La passione per il cinema lo spinge ad interes-sarsi della conservazione del patrimonio filmico internazionale attraverso la Film Foundation a cui aderiscono nomi illustri come Coppola, Kubrick, Lucas, Spielberg, Pollack e Woody Allen. Anche se continua a raccontare le gesta di gangster

d’oltreoceano (Quei bravi ragazzi, 1990), o la rovi-na del gestore di un Casinò (1995) di Las Vegas, l’amore per il cinema italiano (e per Il Gattopardo di Luchino Visconti) lo ispira quando dirige il suo primo film in costume, L’età dell’innocenza (1993). Tra il 1999 e il 2000 realizza Il mio viaggio in Italia, dove ripercorre la storia del cinema italiano attra-verso i ricordi della sua infanzia e della sua fami-glia. Perchè, dopotutto, “Io amo i film: sono la mia vita, ed è tutto”.

Quelli che seguono sono per Scorsese gli anni di Gangs of New York (2002), con Leonar-do Di Caprio, Daniel Day Lewis e Cameron Diaz, l’epopea della New York ottocentesca ricostruita a Cinecittà; ancora tre film con Di Caprio prota-gonista, The aviator (2004), The Departed (2006) che gli vale l’ottava nomination della sua quaran-tennale carriera e finalmente l’Oscar, e Shutter Island (2010).

Sempre nel 2010 Scorsese firma la puntata pi-lota di Boardwalk Empire, serie TV ambientata ad Atlantic City, la città del gioco, dei bordelli e della corruzione. Prosegue poi con un documentario-tributo all’amico Elia Kazan, A Letter to Elia e, nel 2011, con il suo esordio nel 3D, Hugo Cabret, ambientato nella Parigi del 1930, che racconta la storia di un orfano che vive in stazione e sogna di riparare l’automa lasciatogli dal padre prima di morire.

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L'ESTATEBREVEdi Raúl RuizItalia 2010, col., 108’. AnteprimaRegia: Raúl Ruiz. Sceneggiatura: Raúl Ruiz e Matteo Bavera. Fotografia: Pina Mastropietro. Scene e costumi: Mela Dell’Erba. Musiche: Gianni Gebbia, Günther Sommer, Peter Kowald. Montaggio: Camille Lotteau. Produzione: Katja Iseler per Teatro Garibaldi alla Kalsa. Con: Gianfranco Perriera, Simona Malato, Giuliano Scarpinato, Salvatore Pizzillo, Matteo Bavera e con la partecipazione straordinaria di Franco Scaldati.

Invitato dal Teatro Garibaldi di Palermo a creare un'opera partendo da un adattamento, Raúl Ruiz decide di basarsi su “Sogno di una notte di mez-

za estate” di William Shakespeare. Il film è stato realizzato anche grazie al Fondo regionale per il Cinema e l'Audiovisivo.

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Shakespeare salvato dai ragazzininidi Matteo Bavera L’estate breve di Raúl Ruiz è l’ironica trasposi-

zione della “Mezza estate” del “Sogno” di William Shakespeare. Il progetto a cui lavoro da diversi anni nel Teatro Garibaldi, ma anche a Cefalù e in Germania, “Shakespeare salvato dai ragazzini”, è per me l’ideale continuazione, omaggio e memo-ria, del progetto realizzato, tra il ’96 e il 2000, da Carlo Cecchi al Teatro Garibaldi di Palermo.

Nel dialogo con Raúl si è immediatamente sgombrato il campo dall’ipotesi di procedere alla semplice ripresa dello spettacolo teatrale, che ho invece offerto come patrimonio e materiale mu-tante per l’immaginario del grande cineasta cileno. Sgombrato il campo dai convenevoli e dai doveri di amicizia, il percorso teatrale è diventato il dato su cui costruire una trama libera da qualsiasi con-dizionamento.

Raúl si aspettava degli “attori” di età inferiore (si parlava da diversi anni dell’idea di un film) a quella adolescenziale dei comunque giovanissimi prota-gonisti (non più di 17 anni). L’immagine che gli si è materializzata come l’idea guida, che sovrintende sempre il principio del suo lavoro, è stata quella dell’osservazione di giovani gruppi di adolescenti in Giappone e in Cile. I cosiddetti “pochemonetti”, rimaterializzatisi dagli omonimi fumetti, conosciu-ti anche in Italia. Giovani, che con alle spalle una

carriera scolastica e sociale irreprensibile, si ritro-vano nei parchi delle proprie città, a dar vita rituali amorosi e di costume che ne definiscano l’appar-tenenza e la socialità, in un universo che tende ad escludere le differenze, cercano la propria unicità, percorso iniziatico che Raul Ruiz intuisce come profetico anche per il nostro ”Occidente”.

Per i ragazzi di Palermo la via di fuga e di ri-entro diventa Shakespeare. Riconoscersi nella lingua altissima del Bardo li identifica, da tempo, anche come “gruppo”. Accanto, però, Rúiz intu-isce la fragilità di questo pensiero. Per questo vi introduce la riflessione sull’inesistenza del Teatro, già cara a Borges nella sua “Ricerca di Averroè”: e chi più di Franco Scaldati poteva incarnare questo ossimoro?

Gli attori adulti, corrispondono a quelli dello spettacolo teatrale, sono gli stessi nobili che as-sistono ed interagisco con la stramapalata recita finale degli artigiani.

Il film, prodotto con un’agile troupe professiona-le, ha messo a disposizione del regista tutto quan-to richiesto per la propria “cucina”, carrelli, steady cam, scene riprese con i telefonini, i fumetti-sce-neggiatura di Mela Dell’Erba e collaboratori capaci di leggere la leggerezza della “camera stilografica” con cui da sempre disegna il “cileno volante”

Un sogno dentro un sogno, sul film palermitano di Raúl Ruizdi Bruno RobertiIl nuovo film di Ruiz è un “sogno fatto a Paler-

mo”, o meglio, come dice il Totò shakespeariano delle Nuvole di Pasolini, “un sogno dentro un so-gno”. E lì dentro, sullo schermo, ci siamo anche noi, sognati dal sogno.

Il “ramoscello” magico di Ruiz ha il potere di farci passeggiare per lo spazio di una Estate bre-ve, in mezzo alle apparizioni palermitane che il suo occhio smagato insegue.

Nei giardini esotici, nei boschi onirici, nelle stan-

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ze labirintiche dei palazzi e delle gallerie, nei cortili assolati, lungo i muri scrostati, nelle nuvole di un fumetto.

Il film ci prende per mano sul ritmo di una musi-chetta impertinente e ci catapulta in un coloratissi-mo, lussureggiante, danzante Sogno che trascrive Shakespeare con un geroglifico aereo.

Il sogno prende la forma vivente dei corpi dolci e indisciplinati, acerbi e serpentini, dinoccolati e indolenti di un gruppo di ragazzini e ragazzine.

E subito il film si inoltra in un mistero, come sempre in Ruiz, sottile e obliquo, ironico e leggero.

Un gioco serissimo, come è quello scenico che Matteo Bavera ha, per anni, imbastito per il Teatro Garibaldi, concertato, orchestrato con i giovanis-simi del laboratorio.

Ma anche un volatile, mercuriale, equilibristico, viaggio iniziatico alla ricerca dei versi shakespe-ariani, della loro sonorità d’incantamento, che le voci degli attori e dei ragazzi inseguono nell’intrico di quel “bosco magico” che è la città stessa, le sue strade, la sua polvere, i vicoli, i Ficus, i balconi, i cortili: Palermo nella sua verità visionaria.

La Sicilia è una terra di sogni, e Palermo è il sogno di una città sempre congetturale, che si nasconde, sguscia, si arrampica come il Puck shakespeariano, come il “caruso siculo”, come la masnada arlecchinesca delle fate, degli elfi, dei “rappers”, dei punk, che il gesto ruiziano modella.

Scrive Jorge Luis Borges in un racconto che si chiama appunto “Un sogno”, che in luogo deser-to dell’Iran c’è una torre di pietra molto alta senza porta né finestra, dove c’è una stanza circolare dove c’è un uomo che scrive in caratteri arcani un lungo poema su un uomo che in un’altra cella cir-colare scrive un poema su un uomo che in un’altra

camera circolare... è un sogno infinito e noi somi-gliamo all’uomo che scrive. Chi potrà mai leggere quel “sogno del prigioniero?”, si chiede Borges.

Ruiz, che si intrattiene con gli interrogativi bor-gesiani, ha già trovato più volte la risposta sotto i cieli siciliani.

Una volta, sulla scorta di eresie e di teologi ha inseguito parabolicamente le infinite Storie di santi e peccatori, in un “viaggio clandestino” per strade siciliane. Un’altra volta ha innalzato la Turris ebur-nea del Sigismondo di La vita è sogno e l’ha tra-sformata una stanza-torre dove passare le “notti di mezza estate”, nell’albergo “dei sogni” di Antonio Presti (alla “Fiumara d’arte” di Castel di Tusa).

La risposta “siciliana” di Raùl a Borges consiste nel film “come in uno specchio” .

Nell’infinito processo delle visioni, siamo noi gli spettatori, noi agli attori eterni della vita che è sogno, perché siamo fatti, come dice il Mago Pro-spero, di quella stessa stoffa sognante e sognata. Siamo, come Amleto e Don Chisciotte, perso-naggi e lettori-spettatori di noi stessi, scriviamo e siamo scritti, vediamo e siamo visti, e ci chiediamo continuamente chi siamo e a che gioco siamo invi-tati a giocare: che cosa sono quelle strane ombre saltellanti che sulle terrazze suonano il tamburo e il liuto e indossano maschere rosse e teste d’asino.

Come l’Averroè del racconto borgesiano, se-guendo la voce di Franco Scaldati che ci invita a seguire i saltelli e gli schiamazzi dei ragazzini inna-morati l’uno dell’altra, rispondiamo che non si sa con certezza che cosa sia questa “casa dipinta di legno, con file di gabbie e balconi una sull’altra”, e chi sono quelle persone che sembrano pazzi, ma forse, come disse un mercante, rappresentano una storia.

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Raúl Ruiz nasce in Cile a Puerto Montt il 25 luglio del 1941. La sua vita è strettamente colle-gata agli episodi che hanno sconvolto negli anni Settanta il Cile.

Comincia a studiare teologia, ma già giovanis-simo capisce che il suo amore è il cinema. Nel 1960 il Dipartimento di Cinema Sperimentale gli produce La Maleta, quello che sarà la prima di una lunghissima serie di pellicole.

Subito dopo si trasferisce in Argentina per con-tinua ad approfondire l’arte del cinema. Nel 1968 con Tres Tristes Tigres vince il Pardo d’Oro al Fe-stival di Locarno, facendo conoscere il suo nome in tutta Europa.

Eclettico e surreale, Ruiz sin dai suoi primi film mette in scena la sua poetica. I suoi film sono dif-ficili per il pubblico delle grandi masse e il regista cileno si afferma fin da subito come un perso-naggio atipico e difficilmente inseribile in un filone cinematografico specifico, apprezzato soprattutto dai cosiddetti “cinefili”.

Nel 1970 la sua vita è sconvolta per sempre. Infatti essendo vicino al governo di Salvador Al-lende e al Partito Comunista cileno, è costretto ad abbandonare la terra natìa quando il generale Pinochet con un colpo di stato sale al potere. Ruiz trova rifugio in Francia, dove continua la sua at-tività di regista, sempre supportato dalla moglie Valeria Sarmiento, sposata nel 1968, montatrice di tutti i suoi film.

Durante gli anni Ottanta continua a realizzare

pellicole a basso budget; tra queste le più impor-tanti sono: Le tre corone del marinaio (1983) La città dei pirati (1983). Nel 1989 recita una parte in Palombella rossa, di Nanni Moretti.

Nel 1991 dirige L’isola del tesoro con Martin Landau e Melvil Poupaud. Apprezzato soprattut-to dagli attori più in voga di quel periodo, dirige Marcello Mastroianni nel 1996 nel film Tre vite e una sola morte.

Nel 1998 Catherine Deneuve entra nel cast di Genealogia di un crimine, con cui Ruiz vince l'Orso d’Argento al Festival di Berlino. Nel 1999 con Il tempo ritrovato porta sul grande schermo la trasposizione de Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, summa del pensiero del regista cileno, con un cast d’eccezione (John Malkovich, Catherine Deneuve, Emmanuelle Béart e Vincent Perez).

In Sicilia realizza due film: Il viaggio clandestino: storie di santi e di peccatori e Turris eburnea.

Dal 10 al 18 dicembre del 1994, su invito della Filmoteca Regionale Siciliana, Ruiz conduce a Pa-lermo, all’Albergo dei Poveri, un intenso e segui-tissimo seminario teorico-pratico, e tiene la con-ferenza “Il cinema come viaggio clandestino” il cui testo verrà incluso in una raccolta di suoi scritti te-orici pubblicata anni più tardi in Francia,“Poétique du Cinéma”. Nel 2010 torna ancora in Sicilia per realizzare quello che resterà il suo ultimo docu-mentario: L’estate breve.

Muore a Parigi il 19 agosto 2011.

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INCONSCIO ITALIANOdi Luca GuadagninoItalia 2011, documentario, 100’. Anteprima.Regia: Luca Guadagnino. Soggetto e sceneggiatura: Giuppy D’Aura. Fotografia: Luca Ranzato. Montaggio: Ferdinando Cito Filomarino.Produzione: First Sun. Con: Angelo del Boca, Lucia Ceci, Iain Chambers, Michela Fusaschi, Alberto Burgio, Ida Dominijanni

Inconscio Italiano è un film-saggio che parten-do dalla drammatica esperienza dell’occupazione in Etiopia riflette sulle origini stesse dell’identità italiana. Il film dà voce a sei intellettuali: gli storici Angelo del Boca e Lucia Ceci, gli antropologi Iain Chambers e Michela Fusaschi e i filosofi Alberto Burgio e Ida Dominijanni. Ognuno dei protagoni-sti analizza il passato coloniale dell’Italia fascista slittando nel percorso delle riflessioni verso il pre-sente italiano. Poi lo schermo si apre a una suite di montaggio che, destrutturando l’idea del do-cumentario di propaganda del regime, indaga su ciò che in quelle immagini rimaneva velato, spro-fondando nel visibile e nell’invisibile e, ancora una volta, nell’inconscio. Per la realizzazione delle im-magini di repertorio di questo film, Guadagnino ha avuto accesso a rarissimi materiali dell’Archivio Storico dell’Istituto Luce sull’occupazione italiana in Etiopia, mai utilizzati prima d’ora.

«La genesi di Inconscio italiano è legata a due

circostanze particolari», racconta il regista paler-mitano. «La prima è di natura biografica: da ra-gazzino ho vissuto per diversi anni in Etiopia, dove mio padre lavorava come maestro, e ho mantenu-to un legame molto particolare con questo paese. La seconda invece è di natura documentaristica: ho infatti avuto l’opportunità di accedere agli ar-chivi cinematografici dell’Istituto Luce, nei quali ho trovato documenti incredibili».

Con la collaborazione di Giuppy D’Aura (sce-neggiatura) e di Ferninando Cito Filomarino (mon-taggio), Luca Guadagnino ha così costruito la sua indagine sul passato coloniale dell’Italia fascista, dando spazio alle immagini d’epoca ma anche alle voci di eminenti storici, filosofi e antropologi.

Il documentario è infatti diviso in due parti. La prima si apre con le analisi di sei intellettuali, una sorta di manuale sulla storia del colonialismo che spinge a un parallelismo tra passato e presente. Nella seconda parte, invece, le parole lasciano

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spazio ad immagini sconcertanti, tratte per l’ap-punto dagli archivi dell’istituto Luce, ma anche da quelli russi e inglesi. Si ritrovano così i corpi sfigu-rati dalle bombe a gas – censurati nei cinegiornali italiani – o il sorriso del generale e viceré Rodolfo Graziani, l’uomo dal pugno di ferro che ordinò la strage dei monaci a Debra Libanos.

Con questo taglio radicale, ispirato a Full me-tal jacket di Stanley Kubrick, Guadagnino fa una scelta coraggiosa, ma mette anche a dura prova l’attenzione dello spettatore. «Sulla base di quanto

emerso nelle interviste, abbiamo selezionato una trentina di minuti di immagini e le abbiamo mon-tate sulle note di Harmonium, di John Adams», racconta Ferdinando Cito Filomarino. La musica disturba, le immagini sconvolgono, i discorsi fan-no paura e l’Inconscio italiano riemerge, anche se solo per una manciata di minuti.

Inconscio italiano è stato presentato lo scorso agosto in prima mondiale – fuori concorso – alla 64esima edizione del Festival del film di Locarno.

Palermitano di nascita, algerino d'origine e milanese d'adozione, dopo un'infanzia trascor-sa anche in Etiopia, Luca Guadagnino, classe 1971, si laurea a Roma alla Sapienza con una tesi su Jonathan Demme, uno dei suoi registi preferiti insieme a Brian De Palma, Luchino Visconti e Paul Verhoeven. Cinefilo e occasionalmente critico ci-nematografico, Luca Guadagnino inizia la sua car-riera di cineasta negli anni '90 realizzando alcuni documentari tra cui Algerie presentato al Festival del Cinema Africano del 1996. Nel 1997 si fa nota-re al festival di Taormina con il cortometraggio Qui e due anni dopo debutta nel lungometraggio con The protagonists, con Tilda Swinton, sua amica e attrice feticcio, cui dedica nel 2002 Tilda Swinton:

The Love Factory, una docu-intervista presentata alla Mostra di Venezia. Dopo aver diretto numerosi videoclip musicali (tra cui quelli di Elisa e di Paola e Chiara) e dopo aver riscosso un discreto succes-so di critica con i documentari Mundo civilizado (2003) e Cuoco contadino (2004), nel 2005 Luca Guadagnino raggiunge la notorietà e riscuote buoni incassi con il film Melissa P., trasposizione cinematografica del libro scandalo di Melissa Pa-narello. Nel 2009 torna al cinema e al Festival di Venezia (sezione Orizzonti) con Io sono l'amore, con Tilda Swinton, Alba Rohrwacher, Marisa Be-renson e Pippo Delbono. Il film viene venduto in 30 paesi del mondo.

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TAHRIR:LIBERATION SQUAREdi Stefano Savona

Tahrir è il primo documentario “in tempo reale” della rivoluzione, partita da un gruppo di giovani su Facebook e sfociata poi in una forza dirompen-te, di egiziani di qualsiasi ceto sociale e religioso, determinati nel proclamare il proprio grido di liber-tà e di rispetto. Per la prima volta, in uno spet-tacolo allo stesso tempo tragico ed esaltante, il mondo ha visto la potenza incontenibile dell'agire comune. L'Egitto si è rivoltato cantando e urlan-do, cosa che il regime non gli aveva mai permes-so, senza avere paura degli attacchi della polizia,

Francia/Italia 2011, documentario, col., 90'. AnteprimaRegia e fotografia: Stefano Savona. Montaggio del suono e mixaggio: Jean Mallet. Prodotto da: Penelope Bortoluzzi e Marco Alessi. Produttore: Bert Lovitt. Coproduzione: Picofilms, Dugongo, con la partecipazione di Rai 3.

dei cecchini appostati sui palazzi e del rilascio dei delinquenti dalle prigioni (pagati profumatamente), usati per creare caos e violenza. Nell'opera del regista palermitano, presentata in prima mondia-le al Festival di Locarno, emergono gli individui, eroi improbabili, per la maggior parte giovani ma anche donne ed adulti, che vivono una situazio-ne storica forse più grande di loro ma con vero idealismo, realismo e condivisione. Tahrir è un film emozionante nel suo scorrere, giorno dopo gior-no, fino all'annuncio delle dimissioni di Mubarak.

Stefano Savona è nato a Palermo nel 1969. Ha studiato archeologia e antropologia a Roma e ha preso parte a diversi scavi archeologici in Su-dan, Egitto, Turchia e Israele. Nel 1995 comincia a lavorare come fotografo indipendente. Dal 1999 si dedica principalmente all’attività di regista e produttore di film documentari e videoinstallazioni.

Il suo lungometraggio Primavera in Kurdistan

(2006) ha ricevuto il Premio Internazionale della SCAM al Festival Cinéma du Réel di Parigi e una nomination ai David di Donatello.

Il film Piombo fuso (2009) è stato selezionato al Festival Internazionale del film di Locarno nella sezione Cinéastes du présent e ha vinto il Premio Speciale della Giuria.

Da un imponente progetto legato all’archivio

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audiovisivo sulla civiltà rurale siciliana, Il pane di San Giuseppe, al quale lavora da oltre due anni, è scaturito il documentario Spezzacatene, presen-tato al Torino Film Festival del 2010.

Fonda nel 2010 a Parigi con la documentari-sta Penelope Bortoluzzi la società di produzione Picofilms.

É il produttore e il regista principale di Palazzo delle Aquile, che ha ottenuto il Gran Prix del Festi-val Cinéma du Réel 2011.

Nel 2011 realizza Tahrir Liberation Square, sele-zionato al Festival del film di Locarno, al New York Film Festival e alla Viennale 2011.

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SORTINOSOCIALCLUBSTORIE DI UNA COMUNITÀ SICILIANA EMIGRATA IN AMERICAdi Giusy Buccheri

Sortino, Sicilia Orientale. Da qui più di 4000 persone sono emigrate in tutto il mondo dagli anni Trenta a oggi. Circa la metà sono andati in Austra-lia. Il 15 febbraio del 1954 si imbarcava Vastianina, con le due figlie, Sarina e Maria, per raggiungere il marito emigrato due anni prima in cerca di for-

Italia 2010, documentario, col., 52'. AnteprimaRegia: Giusy Buccheri. Montaggio: Andrea Ciacci. Immagini e suono: Silvana Costa e Giusy Buccheri. Montaggio del suono: Francesco Albertelli. Produzione: Griò Sinergie Culturali e Suttvuess.

tuna. Partiva per stare pochi anni, invece in Sicilia non è più tornata. Come lei tanti altri. Sortino So-cial Club è la storia degli emigranti sortinesi e della piccola comunità da loro costituita nei dintorni di Melbourne.

«Sono passati pochi decenni da quando gli emigranti eravamo noi. Migliaia di persone han-no lasciato il mio paese per cercare fortuna, moltissimi in Australia. Ogni Sortinese ha a Mel-bourne un pezzo della famiglia. Fra loro c’era la sorella di mia nonna. “Ma soru”, mia sorella, diceva spesso lei. Ne parlava come se fosse partita il giorno prima, e non la vedeva da qua-si cinquant’anni. I suoi racconti hanno acceso in me la voglia di conoscere la storia di quella Sor-tino dall’altra parte dell’oceano, e di raccontarla». (Giusy Buccheri)

Giusy Buccheri, siciliana, vive e lavora a Roma. Laureata in Storia e Critica del Cinema al D.A.M.S di Bologna, ha completato la sua forma-zione all’estero e ha lavorato come aiuto regista in Francia e in Spagna. Rientrata in Italia, si è di-plomata in regia documentaria presso la scuola del Festival dei Popoli. Collabora con produzioni italiane ed europee alla ricerca e sviluppo di sog-getti documentari.

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UNFINISHED ITALYdi Benoit Felici

Le origini italiane dei suoi avi e la passione per il documentario hanno convinto Benoit Felici, nato in Francia nel 1984, a iscriversi alla ZeLIG - Scuola di documentario, televisione e nuovi media di Bol-zano, dove si è diplomato nel 2010. Ha lavorato per diverse case di produzione e, nel 2009, con la Eye Steel Film in Canada. Con Unfinished Italy, il suo mediometraggio documentario d'esordio, ha recentemente vinto il Premio Studenti al Premiers Plans Festival di Angers, in Francia, e partecipato al 33° Festival del Cortometraggio di Clermont-Ferrand (febbraio 2011).

Italia 2010, documentario, col., 33'. AnteprimaSoggetto, sceneggiatura e regia: Benoit Felici. Fotografia: Bastian Esser. Montaggio: Milena Holzknecht. Suono: Philipp Griess, Sven Kurt Albertini, Roberto Fondriest. Produzione: Georg Zeller, Heidi Gronauer, Lorenzo Paccagnella per ZeLIG. Con: Damiano Nasselli, Josè Sorbello, Andrea Masu, Roberto Festa, Matteo Erenbourg, Salvatore Cammerata, Michele Cammerata, Alessandro Mustaccio, Marco Dandrea, Carmelo Caruso.

Un viaggio alla scoperta delle rovine moderne d'Italia e di Sicilia: l'architettura dell'incompiuto.

Tra i simboli di un'epoca insicura del suo avve-

nire, e le persone che hanno reinventato queste strutture paradossali, frutti della famosa corruzio-ne politica.

“Nel suo film L’amour existe del 1960, Maurice Pialat diceva, parlando della periferia parigina in mutazione, ‘questi luoghi nei quali il futuro ha già un passato, e il presente un eterno gusto di atte-sa’. Per me anche le opere pubbliche incompiute hanno questo sapore di eternità. Infatti sono rovi-ne nate rovine, tracce di cemento sparse sul terri-torio, testimoni di una memoria recente. In questi paesaggi post-apocalittici ho incontrato alcuni sopravvissuti che mi hanno mostrato come con un po’ di creatività si può reinventarli utilizzandoli in maniera diversa, riuscendo perfino a dar loro un minimo di dignità”. (Benoit Felici)

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ITALY:LOVE IT OR LEAVE ITdi Gustav Hofer e Luca RagazziItalia/Germania 2011, documentario, col., 75'. Anteprima.Sceneggiatura e regia: Gustav Hofer e Luca Ragazzi. Fotografia: Michele Paradisi. Montaggio: Desideria Rayner. Musiche: Santi Pulvirenti. Sound Editor: Silvia Moraes. Animazioni: Studio Tesla, Zaelia Bishop, Andrea Cerini, Fernanda Veron. Produzione esecutiva: Vania Del Borgo. Produzione: Hiq Productions, NDR - arte, WDR, RAI 3, con il supporto di Media. Distribuzione: Zalab.org. Miglior lungometraggio e Premio del Pubblico al Milano Film Festival 2011.

Luca e Gustav sono due ragazzi italiani che di recente hanno assistito all’esodo di molti amici coetanei che hanno deciso di lasciare l’Italia per mete come Berlino, Londra o Barcellona. Perso-ne creative che non vedono un futuro in questo paese, stanchi del costo della vita, del precariato, dell’atteggiamento reazionario, del baronato nel mondo accademico, della mancanza di attenzio-ne per i diritti umani, l’abbrutimento e la mancanza di meritocrazia.

Anche Gustav crede che andarsene sia la cosa migliore da fare mentre Luca vuole convincerlo che l’Italia è ancora un paese pieno di buoni mo-tivi per restare, di persone appassionate che ogni giorno conducono una battaglia silenziosa perché le cose possano cambiare.

Prima di prendere una decisione definitiva, si danno sei mesi per capire se è ancora possibi-

le re-innamorarsi dell’Italia. Decidono di fare un viaggio con una vecchia Fiat 500, su e giù per lo stivale, con ben due tappe in Sicilia. Vanno alla ricerca di storie, aneddoti, personaggi, per scoprire cos’è rimasto dell’Italia che all’estero fa ancora tanto sognare, cercando di capire meglio un paese dal passato tanto celebrato e dal futuro incerto, lasciando la porta aperta all’imprevedibile. Scopriranno un paese diviso e contraddittorio ma sull’orlo di un cambiamento.

Dopo l’acclamato Improvvisamente l'inverno scorso ( Nastro d’Argento 2009, menzione spe-ciale alla Berlinale 2008, più di 200 festival in tutto il mondo), Luca e Gustav tornano a raccontare l’Italia di oggi, non senza sarcasmo e ironia.

Gustav e Luca sono italiani, anche se il primo proviene dall’Alto Adige ed è quindi di madrelin-gua tedesca. Nel loro film precedente hanno sco-

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perto il lato oscuro del loro paese mentre questa volta vorrebbero carpirne il fascino misterioso. Perché gli stranieri amano così tanto l’Italia mentre gli italiani, insieme ai nostri due protagonisti, se ne lamentano costantemente? Gustav, essendo nor-dico, ha un approccio molto pragmatico, con una forte coscienza politica. Luca, da bravo romano indolente, è pigro, sarcastico, fatalista. Insieme si bilanciano alla perfezione.

“La posta in gioco di Italy è alta: stare al di sopra dell’iperbole di intolleranza diffusa per ciò che non funziona, cercando esempi virtuosi di resistenza. È un atto di coscienza importante per l’identità na-zionale: il Paese non verrà risollevato da chi crede ancora che “restare-è-come-morire”, nonostante le immagini degli ecomostri mai completati e delle fabbriche-simbolo del made-in-Italy chiuse e tra-sferite nell’est Europa perché “costa meno”. Come in Improvvisamente l’inverno scorso, il docufilm sull’incompiuta legge sui “Dico” premiato a Ber-lino, Hofer-Ragazzi nella loro opera seconda met-tono in scena sé stessi: una formula limpida ed ef-

ficace per raffreddare una materia bollente tramite il filtro dell’autoironia. Decisamente made-in-Italy”. (Vincenzo Rossini)

“I motivi per lasciare l´Italia, soprattutto per le persone della nostra generazione, sono moltepli-ci e non vale la pena stare qui a ricordarli, ma è anche vero, che noi tutti troppo spesso ci lamen-tiamo di qualcosa senza mai veramente rimboc-carci le maniche per far sì che le cose possano andare diversamente. Tuttavia, proprio portando in giro per lo stivale il nostro primo documenta-rio, avevamo avuto l´impressione che c’è un’Italia nascosta, che non viene raccontata nè dalla te-levisone nè nei telegiornali, che è di fatto l´Italia migliore, fatta di persone che combattono ogni giorno silenziosamente per rendere questo pa-ese un posto migliore in cui vivere, nonostante la classe politica che lo (mal)governa. Abbiamo voluto renderle giustizia dandole la possibilità, per una volta, di esprimersi con la propria voce.” (Gustav Hofer e Luca Ragazzi)

Gustav Hofer, nato a Sarentino, dopo la lau-rea in Scienze della Comunicazione a Vienna e in cinema a Londra si è trasferito a Roma. Dal 2001 lavora per la televisione franco-tedesca Arte in qualità di corrispondente per la cultura dall'Italia. Da Gennaio 2005 conduce sulla stessa emittente il programma quotidiano di cultura, Journal de la Culture - Arte Kultur.

Luca Ragazzi, nato a Roma e laureato in Let-tere e Filosofia all'Università La Sapienza, esercita da anni la professione di giornalista, critico cine-matografico e di fotografo. Ha debuttato alla regia con Improvvisamente l'inverno scorso, diretto insieme a Gustav Hofer, menzione speciale al Fe-stival di Berlino nel 2009.

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PIAZZAGARIBALDIdi Davide Ferrario

Piazza Garibaldi è un toponimo che si incon-tra in qualsiasi città italiana. È la metafora della nazione e della sua storia. Come nel fortunato e premiato La strada di Levi, il regista lombardo Ferrario si mette in viaggio: stavolta sulle orme della spedizione dei Mille. L’obiettivo: verificare il rapporto tra passato e presente, partendo da Bergamo, una volta “Città dei Mille” e oggi rocca-forte padana, per arrivare fino a Teano (con tappe

Italia 2011, documentario, col., 106'. AnteprimaRegia: Davide Ferrario. Soggetto: Marco Belpoliti. Sceneggiatura: Davide Ferrario, Giorgio Mastro-

rocco. Fotografia: Ezio Gamba. Montaggio: Claudio Cormio. Musiche: Giuseppe Verdi. Suono: Vito Martinelli, Andrea Giorgio Moser, Roberto Gambotto Remorino, Francesco De Marco. Produzione: Davide Ferrario per Rossofuoco, in collaborazione con RaiCinema. Distribuzione: Cinecittà Luce. Con Luciana Littizzetto, Marco Paolini, Salvatore Cantalupo, Filippo Timi.

a Pavia, Torino, Genova, Caprera, Marsala, Cala-tafimi, Palermo, Milazzo, Napoli, in Calabria e in Basilicata).

Il percorso è pieno di sorprese, incontri, rifles-sioni: un grande road movie attraverso la storia e la geografia del paese, cercando di rispondere a una domanda assillante: perché noi italiani non riusciamo più a immaginarci un futuro?

Un racconto estremamente sentito, nel quale si susseguono le immagini del “bel paese” e i volti di coloro che si sacrificarono per l’idea di Patria e dove il basso continuo è costituito dalle lettere, dalle testimonianze e dai ricordi. Tre voci e altret-tanti volti noti quelli di Marco Paolini, Filippo Timi e Luciana Litizzetto, interpretano in momenti diversi del racconto brani antologici di Saba, Bianciardi

e Leopardi significativi del carattere e delle con-traddizioni proprie del popolo italiano. Una lezione di storia moderna e contemporanea impartita con rigore e grande onestà che si pone l’obiettivo di tenere alto un interesse e soprattutto un dialogo sulla costituzione dell’Unità d’Italia che trascenda le recenti celebrazioni più trite e scontate del cen-tocinquantenario. (Caterina Liverani)

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«Quando 50 anni fa si celebrava il centenario io ero un ragazzino e il mio interesse sull’argo-mento non era certo quello di oggi, da qui il mio desiderio confrontarmi con questo pezzo di storia italiana» ha spiegato Davide Ferrario nella confe-renza stampa alla Mostra del Cinema di Venezia, «Quando eravamo bambini io e Giorgio Mastro-rocco, docente di storia e co-sceneggiatore di Piazza Garibaldi, andavano di moda le figurine e i soldatini dei garibaldini. Siamo partiti dal liceo che abbiamo frequentato insieme e abbiamo scoper-to che era stato frequentato anche da alcuni dei 180 giovani bergamaschi che erano fra i Mille, tutti partiti quando avevano meno di 18 anni, un dato impressionante. La loro esperienza la si può leg-

gere nelle lettere che loro inviavano alla famiglia e che abbiamo inserito nel film, lette dai discen-denti che conservano con orgoglio la tradizione. Il cinema è uno strumento straordinario per capire la storia, e, personalmente, utilizzo la forma del documentario come un’ipotesi che deve essere in grado di mettere in discussione le nostre cono-scenze pregresse. Quando si gira un progetto di questo tipo occorre anche confidare nel caso, e molti degli incontri che ci è capitato di fare durante le riprese di Piazza Garibaldi sono stati casuali. È in assoluto il film più lungo che abbia mai girato, e ne ho dovute tagliare quasi 6 ore. Spero di inserire del materiale inedito nei contenuti extra del dvd.» (Davide Ferrario)

Davide Ferrario, prima di passare dietro la macchina da presa, è critico cinematografico per “Cineforum”, allestisce rassegne in varie città d'Italia e pubblica nell'84 il “Castoro” su Rainer Werner Fassbinder. Nel 1985 interpreta una par-te nel film di John Sayles Matewan. Comincia la propria attività di regista nel 1987con il cortome-traggio Non date da mangiare agli animali, e nel 1989 dirige il suo primo lungometraggio La fine della notte.

Scrive due sceneggiature per Daniele Segre e nel 1991 dirige il documentario Lontano da Roma, sulla (meglio: contro la) Lega Nord, trasmesso dal-la Rai, e nel 1995 produce e realizza assieme a Guido Chiesa il documentario Materiale resistente.

Nel 2005 il suo lungometraggio Dopo mezza-notte (interamente realizzato in digitale all'interno del Museo Nazionale del Cinema di Torino, alla Mole Antonelliana) ottiene tre candidature per il David di Donatello.

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LUNEDÌ 28 NOVEMBRE / cinema ROUGEetNOIR

// 18.30 LO VOGLIO MASCHIO, di Ugo Saitta, Italia 1971, col., 91’.

// 20.30 Inaugurazione “Visioni d’Archivio 2011” Intervengono: Sebastiano Missineo, assessore regionale dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana. Gesualdo Campo, dirigente generale del Dipartimento regionale Beni Culturali e Identità siciliana. Giulia Davì, direttrice del Centro Regionale per l’Inventario, la Catalogazione e la Documentazione. CON LA SICILIA NEGLI OCCHI: IL CINEMA DOCUMENTARIO DI UGO SAITTA di Alessandro De Filippo, Italia 2011, documentario, col., 45’. Prima proiezione assoluta. Intervengono: Alessandro De Filippo, Pietro Di Miceli, Ivano Mistretta, Alessandro Rais, Gabriella Saitta.

// 22.30 LA TERRA DI GIOVANNI VERGA, di Ugo Saitta, Italia 1954, 10’. TESTE DI LEGNO/PISICCHIO E MELISENDA, di Ugo Saitta, Italia, 1939, 10’. FESTA DEI POVERI, di Ugo Saitta, Italia 1978, 10’. ZOLFARA, di Ugo Saitta, Italia 1947, 10’. SCIARA, di Ugo Saitta, Italia 1953, 10’. LA BARCA SICILIANA, di Ugo Saitta, Italia 1958, 10’. TRAVELING IN SICILY, di Ugo Saitta, Italia 1960, 10’. I PUPI SICILIANI, di Ugo Saitta, Italia 1954, 10’. VOLTO DI SICILIA N. 7, di Ugo Saitta, Italia 1968, 10’.

MARTEDÌ 29 NOVEMBRE / cinema ROUGEetNOIR

// 18.30 CON LA SICILIA NEGLI OCCHI: IL CINEMA DOCUMENTARIO DI UGO SAITTA, di Alessandro De Filippo, Italia 2011, documentario, col., 45’. (replica).

IL RESTAURO DI “LA TERRA DI GIOVANNI VERGA”, di Giuseppe Giudice, Italia 2011, 15’. LA TERRA DI GIOVANNI VERGA, di Ugo Saitta, Italia 1954, 10’. (replica).

// 20.30 ITALIANAMERICAN, di Martin Scorsese, USA 1974, 48’. Introduce: Franco La Cecla, antropologo. Intervengono: Giulia Davì, direttrice del CRICD. Francesco Vergara, direttore della Biblioteca centrale della Regione siciliana.

// 22.30 (in ricordo di Raúl Ruiz, 1941-2011) L’ESTATE BREVE, di Raúl Ruiz, Italia 2010, documentario, 108’. Anteprima. Introduce Matteo Bavera, produttore.

LUNEDÌ 5 DICEMBRE / cinema ABC

// 18.30 INCONSCIO ITALIANO, di Luca Guadagnino, Italia 2011, documentario, 100’. Anteprima.

// 20.30 La “Primavera araba” tra documentario d’autore e reportage giornalistico Intervengono: Stefano Savona, regista. Lucia Goracci, giornalista, inviata del TG3.

PROGRAMMA

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3 ArchiVisioni del “cinema del reale”6 CON LA SICILIA NEGLI OCCHI Il cinema di Ugo Saitta bio / Alessandro De Filippo9 LO VOGLIO MASCHIO LA TERRA DI GIOVANNI VERGA TESTE DI LEGNO (PISICCHIO E MELISENDA) LA FESTA DEI POVERI10 ZOLFARA SCIARA LA BARCA SICILIANA TRAVELING IN SICILY11 I PUPI SICILIANI VOLTO DI SICILIA n.7 bio / Ugo Saitta12 ITALIANAMERICAN bio / Martin Scorsese14 L’ESTATE BREVE Shakespeare salvato dai ragazzini

di Matteo Bavera Un sogno dentro un sogno

di Bruno Roberti bio / Raúl Ruiz18 INCONSCIO ITALIANO bio / Luca Guadagnino20 TAHRIR: LIBERATION SQUARE bio / Stefano Savona22 SORTINO SOCIAL CLUB bio / Giusy Buccheri23 UNFINISHED ITALY bio / Benoit Felici24 ITALY: LOVE IT OR LEAVE IT bio / Gustav Hofer bio / Luca Ragazzi26 PIAZZA GARIBALDI bio / Davide Ferrario28 Programma

TAHRIR: LIBERATION SQUARE, di Stefano Savona, Italia 2011, documentario, 90’. Anteprima

// 22.30 SORTINO SOCIAL CLUB, di Giusy Buccheri, Italia 2010, documentario, 52’. Anteprima. Interviene: Giusy Buccheri, regista.

MARTEDÌ 6 DICEMBRE / Cinema ABC

// 18.00 INCONSCIO ITALIANO, di Luca Guadagnino, Italia 2011, documentario, 100’. (replica).

// 19.45 UNFINISHED ITALY, di Benoit Felici, Italia 2010, documentario, 33’. Anteprima.

// 20.30 ITALY: LOVE IT OR LEAVE IT, di Gustav Hofer e Luca Ragazzi, Italia/Germania 2011, documentario, 75’. Anteprima. Intervengono: Gustav Hofer e Luca Ragazzi, registi.

// 22.30 PIAZZA GARIBALDI, di Davide Ferrario, Italia 2011, documentario, 106’, con Luciana Littizzetto, Marco Paolini, Salvatore Cantalupo, Filippo Timi. Anteprima. Introduce Matteo Di Gesù, Università di Palermo.

INDICE

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Filmoteca Regionale Siciliana 90141 Palermo, via Nicolò Garzilli 38 tel. 091 9827831 – fax 091 9827832