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1184 Parte XVII Malattie infettive DIAGNOSI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE La diagnosi di infezione da PIV nei bambini si basa di solito su criteri clinici ed epidemiologici. La croup è una diagnosi clinica e deve essere distinta da aspirazione di corpi estranei, epiglottite, ascesso faringeo ed emangioma ipoglottico. Sebbene il “segno del pinnacolo” ( steeple sign) radiografico di progressivo restringimento della regione ipoglottica sia caratteristico del croup, considerazioni differenziali comprendono epiglottite acuta, lesioni da cause ter- mine, angioedema e tracheite batterica. La manifestazione della malattia da PIV delle vie aeree inferiori può somigliare a numerose altre infezioni virali respiratorie; l’identificazione del virus per alcune malattie gravi, come la polmonite nei bambini immunocom- promessi, va pertanto effettuata in modo specifico mediante i mezzi diagnostici più sensibili a disposizione. TRATTAMENTO Tranne che per la croup, non esistono trattamenti approvati per le infezioni da PIV. Per la croup, la possibilità di una rapida compro- missione respiratoria deve essere alla base dell’entità del trattamento somministrato (Cap. 377). L’umidificazione dell’aria non è stata di- mostrata efficace. Generalmente, una dose singola di desametasone orale, intramuscolare o endovenoso (0,6 mg/kg) dovrebbe far parte del trattamento della croup in ambulatorio o in pronto soccorso. La dose può essere ripetuta, ma non esistono linee guida di con- fronto degli esiti di programmi terapeutici a dose singola e multi- pla. Anche l’adrenalina per aerosol (adrenalina racemica 2,25%, 0,5 mL in 2,5 mL di fisiologica, o l-adrenalina diluizione 1:1000 in 5 mL di fisiologica) può fornire un temporaneo miglioramento dei sintomi. I bambini vanno tenuti sotto osservazione per almeno 2 ore dopo la somministrazione del trattamento con adrenalina, in quanto possono presentare un rebound della costrizione delle vie respiratorie. Trattamenti ripetuti possono ovviare al bisogno di intibazione. Occorre somministrare ossigeno contro l’ipossia, e la terapia di supporto con analgesici e antipiretici è ragionevole per la febbre e il malessere associati alle infezioni da PIV. Le indicazioni agli antibiotici sono limitate alle infezioni batteriche secondarie ben documentate dell’orecchio medio o delle vie aeree inferiori. La ribavirina esercita una certa attività antivirale nei confronti dei PIV in vitro e in studi su animali e se ne deve considerare la somministrazione per aerosol nel bambino immunocompromesso con polmonite da PIV. Strategie promettenti di sviluppo di farmaci comprendono gli inibitori dell’emoagglutinina-neuraminidasi e gli RNA interferenti brevi sintetici. COMPLICANZE L’ostruzione delle trombe di Eustachio può portare a invasione bat- terica secondaria dello spazio dell’orecchio medio e a otite media acuta nel 30-50% delle infezioni da PIV. Analogamente, l’ostru- zione dei seni paranasali può provocare sinusite. La distruzione cellulare nelle vie aeree superiori può portare a invasione batterica secondaria con conseguente tracheite batterica, e un’antecedente infezione da PIV delle vie aeree inferiori può predisporre a polmo- nite batterica. Le complicanze non respiratorie dei PIV sono rare, ma comprendono meningite asettica, encefalite, encefalomielite disseminata acuta, rabdomiolisi, miocardite e pericardite. PROGNOSI Nel bambino normale, la prognosi per una completa guarigione è eccellente, senza sequele polmonari a lungo termine. PREVENZIONE Lo sviluppo di vaccini si concentra sui vaccini vivi intranasali del PIV-3. I virus vivi candidati comprendono un virus adattato al freddo di origine umana, un PIV-3 bovino attenuato, e un nuovo ibrido ottenuto usando il vaccine PIV-3 bovino con l’inserimento di geni HN ed F umani del PIV-3 e la proteina F dei virus respira- torio sinciziale. Sarà difficile valutare la misura della protezione offerta dai vaccini a causa della possibilità di una reinfezione sintomatica e del fatto che la frequenza di infezioni severe nella popolazione generale è bassa. Tuttavia, è chiaro che la prevenzione della malattia respiratoria acuta causata dai PIV, e in particolare le infezioni delle vie aeree inferiori nei lattanti e nei bambini piccoli, è un obiettivo desiderabile. BIBLIOGRAFIA Per la bibliografia completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com. Capitolo 252 Virus respiratorio sinciziale James E. Crowe, Jr. Il virus respiratorio sinciziale ( Respiratory Syncytial Virus, RSV) è la causa principale di bronchiolite (Cap. 383) e di polmonite virale nei bambini <1 anno di età ed è il più importante patogeno respiratorio della prima infanzia. EZIOLOGIA L’RSV è un virus a RNA di medie dimensioni dotato di mem- brana, con un genoma a singolo filamento negative che si replica interamente nel citoplasma delle cellule infette e matura con gem- mazione attraverso la superficie apicale della membrana cellulare. Poiché questo virus ha un menoma non segmentato, non può subire spostamento antigenico per riassorbimento come i virus dell’influenza. Appartiene alla famiglia delle Paramyxoviridae come i virus della parainfluenza e il virus del morbillo, ed è clas- sificato nella sottofamiglia delle Pneumovirinae, che comprende anche il metapneumovirus umano (Cap. 253). È l’unico membro del genere Pneumovirus che infetta gli esseri umani. Esistono due sottotipi antigenici di RSV, distinti primariamente in base a una variazione di una delle due proteine di superficie, la glicoproteina G responsabile dell’adesione. Tale variante antigenica, causata da mutazioni puntiformi dovute a infedeltà della polimerasi dell’RNA virale, può contribuire in qualche misura alla frequenza con la quale l’RSV reinfetta i bambini e gli adulti. L’RSV si replica in molte colture cellulari monostrato in vitro e nelle cellule HeLa o HEp-2 produce una caratteristica citopatologia sinciziale da cui deriva il nome. È interessante notare che ora si sa che il virus non provoca grandi sincizi nelle cellule epiteliali pola- rizzate in vitro, e non è chiaro se la formazione di sincizi avvenga in grado significativo in vivo. EPIDEMIOLOGIA L’RSV è distribuito in tutto il mondo e compare in epidemie annua- li. Nei climi temperati, tali epidemie si verificano tutti gli inverni per 4-5 mesi, mentre durante il resto dell’anno le infezioni sono sporadiche e molto meno comuni. Nell’emisfero settentrionale, le epidemie presentano di solito un picco in gennaio, febbraio o marzo, ma sono stati osservati picchi anche a dicembre e fino a giugno. In alcune zone degli USA, come la Florida, si segnala una moderata incidenza per tutto l’anno. Nell’emisfero meridionale, le epidemie si verificano anche durante i mesi invernali (giugno, lu- glio, agosto). Le epidemie di RSV spesso si sovrappongono a quelle influenzali e di metapneumovirus umano, ma sono generalmente più costanti da anno ad anno e determinano di solito una patologia di maggiore entità, specialmente nei lattanti di età <6 mesi. Nei Paesi tropicali, il pattern epidemico è meno chiaro. Il pattern di

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1184 ■ Parte XVII Malattie infettive

DIAGNOSI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE La diagnosi di infezione da PIV nei bambini si basa di solito su criteri clinici ed epidemiologici. La croup è una diagnosi clinica e deve essere distinta da aspirazione di corpi estranei, epiglottite, ascesso faringeo ed emangioma ipoglottico. Sebbene il “segno del pinnacolo” ( steeple sign ) radiografi co di progressivo restringimento della regione ipoglottica sia caratteristico del croup, considerazioni differenziali comprendono epiglottite acuta, lesioni da cause ter-mine, angioedema e tracheite batterica. La manifestazione della malattia da PIV delle vie aeree inferiori può somigliare a numerose altre infezioni virali respiratorie; l’identifi cazione del virus per alcune malattie gravi, come la polmonite nei bambini immunocom-promessi, va pertanto effettuata in modo specifi co mediante i mezzi diagnostici più sensibili a disposizione.

TRATTAMENTO Tranne che per la croup, non esistono trattamenti approvati per le infezioni da PIV. Per la croup, la possibilità di una rapida compro-missione respiratoria deve essere alla base dell’entità del trattamento somministrato ( Cap. 377 ). L’umidifi cazione dell’aria non è stata di-mostrata effi cace. Generalmente, una dose singola di desametasone orale, intramuscolare o endovenoso (0,6 mg/kg) dovrebbe far parte del trattamento della croup in ambulatorio o in pronto soccorso. La dose può essere ripetuta, ma non esistono linee guida di con-fronto degli esiti di programmi terapeutici a dose singola e multi-pla. Anche l’adrenalina per aerosol (adrenalina racemica 2,25%, 0,5 mL in 2,5 mL di fi siologica, o l-adrenalina diluizione 1:1000 in 5 mL di fi siologica) può fornire un temporaneo miglioramento dei sintomi. I bambini vanno tenuti sotto osservazione per almeno 2 ore dopo la somministrazione del trattamento con adrenalina, in quanto possono presentare un rebound della costrizione delle vie respiratorie. Trattamenti ripetuti possono ovviare al bisogno di intibazione. Occorre somministrare ossigeno contro l’ipossia, e la terapia di supporto con analgesici e antipiretici è ragionevole per la febbre e il malessere associati alle infezioni da PIV. Le indicazioni agli antibiotici sono limitate alle infezioni batteriche secondarie ben documentate dell’orecchio medio o delle vie aeree inferiori.

La ribavirina esercita una certa attività antivirale nei confronti dei PIV in vitro e in studi su animali e se ne deve considerare la somministrazione per aerosol nel bambino immunocompromesso con polmonite da PIV. Strategie promettenti di sviluppo di farmaci comprendono gli inibitori dell’emoagglutinina-neuraminidasi e gli RNA interferenti brevi sintetici.

COMPLICANZE L’ostruzione delle trombe di Eustachio può portare a invasione bat-terica secondaria dello spazio dell’orecchio medio e a otite media acuta nel 30-50% delle infezioni da PIV. Analogamente, l’ostru-zione dei seni paranasali può provocare sinusite. La distruzione cellulare nelle vie aeree superiori può portare a invasione batterica secondaria con conseguente tracheite batterica, e un’antecedente infezione da PIV delle vie aeree inferiori può predisporre a polmo-nite batterica. Le complicanze non respiratorie dei PIV sono rare, ma comprendono meningite asettica, encefalite, encefalomielite disseminata acuta, rabdomiolisi, miocardite e pericardite.

PROGNOSI Nel bambino normale, la prognosi per una completa guarigione è eccellente, senza sequele polmonari a lungo termine.

PREVENZIONE Lo sviluppo di vaccini si concentra sui vaccini vivi intranasali del PIV-3. I virus vivi candidati comprendono un virus adattato al freddo di origine umana, un PIV-3 bovino attenuato, e un nuovo

ibrido ottenuto usando il vaccine PIV-3 bovino con l’inserimento di geni HN ed F umani del PIV-3 e la proteina F dei virus respira-torio sinciziale. Sarà diffi cile valutare la misura della protezione offerta dai vaccini a causa della possibilità di una reinfezione sintomatica e del fatto che la frequenza di infezioni severe nella popolazione generale è bassa. Tuttavia, è chiaro che la prevenzione della malattia respiratoria acuta causata dai PIV, e in particolare le infezioni delle vie aeree inferiori nei lattanti e nei bambini piccoli, è un obiettivo desiderabile.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 252 Virus respiratorio sinciziale James E. Crowe , Jr.

Il virus respiratorio sinciziale ( Respiratory Syncytial Virus , RSV) è la causa principale di bronchiolite ( Cap. 383 ) e di polmonite virale nei bambini < 1 anno di età ed è il più importante patogeno respiratorio della prima infanzia.

EZIOLOGIA L’RSV è un virus a RNA di medie dimensioni dotato di mem-brana, con un genoma a singolo fi lamento negative che si replica interamente nel citoplasma delle cellule infette e matura con gem-mazione attraverso la superfi cie apicale della membrana cellulare. Poiché questo virus ha un menoma non segmentato, non può subire spostamento antigenico per riassorbimento come i virus dell’infl uenza. Appartiene alla famiglia delle Paramyxoviridae come i virus della parainfl uenza e il virus del morbillo, ed è clas-sifi cato nella sottofamiglia delle Pneumovirinae, che comprende anche il metapneumovirus umano ( Cap. 253 ). È l’unico membro del genere Pneumovirus che infetta gli esseri umani. Esistono due sottotipi antigenici di RSV, distinti primariamente in base a una variazione di una delle due proteine di superfi cie, la glicoproteina G responsabile dell’adesione. Tale variante antigenica, causata da mutazioni puntiformi dovute a infedeltà della polimerasi dell’RNA virale, può contribuire in qualche misura alla frequenza con la quale l’RSV reinfetta i bambini e gli adulti.

L’RSV si replica in molte colture cellulari monostrato in vitro e nelle cellule HeLa o HEp-2 produce una caratteristica citopatologia sinciziale da cui deriva il nome. È interessante notare che ora si sa che il virus non provoca grandi sincizi nelle cellule epiteliali pola-rizzate in vitro, e non è chiaro se la formazione di sincizi avvenga in grado signifi cativo in vivo.

EPIDEMIOLOGIA L’RSV è distribuito in tutto il mondo e compare in epidemie annua-li. Nei climi temperati, tali epidemie si verifi cano tutti gli inverni per 4-5 mesi, mentre durante il resto dell’anno le infezioni sono sporadiche e molto meno comuni. Nell’emisfero settentrionale, le epidemie presentano di solito un picco in gennaio, febbraio o marzo, ma sono stati osservati picchi anche a dicembre e fi no a giugno. In alcune zone degli USA, come la Florida, si segnala una moderata incidenza per tutto l’anno. Nell’emisfero meridionale, le epidemie si verifi cano anche durante i mesi invernali (giugno, lu-glio, agosto). Le epidemie di RSV spesso si sovrappongono a quelle infl uenzali e di metapneumovirus umano, ma sono generalmente più costanti da anno ad anno e determinano di solito una patologia di maggiore entità, specialmente nei lattanti di età < 6 mesi. Nei Paesi tropicali, il pattern epidemico è meno chiaro. Il pattern di

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epidemie diffuse annuali e l’elevata incidenza di infezione durante i primi 3-4 mesi di vita sono unici tra i virus umani.

Gli anticorpi sierici materni anti-RSV (immunoglobuline [Ig] G) trasmessi per via placentare, se presenti a elevate concentrazioni, forniscono una protezione parziale ma incompleta. Queste IgG possono spiegare la minore gravità delle infezioni da RSV durante le prime 4-6 settimane di vita, tranne nei lattanti prematuri, che ricevono meno immunoglobuline materne. L’allattamento al seno fornisce una protezione sostanziale contro la malattia grave alle neonate, ma non ai neonati. L’RSV è uno dei virus più contagiosi che colpiscono gli esseri umani. L’infezione è quasi universale entro il 2° compleanno. La reinfezione si verifi ca a un tasso del 10-20% per epidemia per tutta l’infanzia, con una minore frequenza negli adulti. Nelle situazioni a elevata esposizione come nidi e scuole materne, i tassi di attacco sono quasi del 100% in lattanti precedentemente non infetti e del 60-80% per la seconda infezione e per le infezioni successive.

La reinfezione può verifi carsi anche poche settimane dopo la guarigione, ma di solito si verifi ca durante le successive epidemie annuali. Per la reinfezione non è necessaria la variazione antigenica, come dimostra il fatto che una percentuale di adulti a cui viene inoculato ripetutamente lo stesso preparato sperimentale di virus wild-type possono reinfettarsi più volte. La risposta immunitaria dei lattanti è di scarsa qualità, entità e durata. La gravità della ma-lattia nel corso della reinfezione è di solito minore e sembra essere in funzione sia dell’immunità parziale che dell’età più avanzata.

L’infezione asintomatica da RVS è rara nei bambini. La maggior parte dei bambini presenta coriza e faringite, di solito con febbre e occasionalmente con otite media dovuta alla presenza del virus nell’orecchio medio o a sovrainfezione batterica a causa di una disfunzione della tromba di Eustachio. Le vie respiratorie inferiori sono coinvolte in circa un terzo dei bambini in vario grado con bronchiolite e broncopolmonite. Il tasso di ospedalizzazione per l’infezione da RSV in bambini peraltro sani è dello 0,5-4%, a seconda della regione, del sesso, delle condizioni socioeconomiche, dell’esposizione al fumo di sigaretta, dell’età gestazionale e del-l’anamnesi familiare di atopia. La diagnosi al ricovero è in genere bronchiolite con ipossia, sebbene questa condizione sia spesso indistinguibile dalla polmonite da RSV nei lattanti e, in effetti, i 2 processi spesso coesistano. Tutte le patologie da RSV delle vie respiratorie inferiori (con l’eccezione della croup) presentano la massima incidenza a 6 settimane-7 mesi di età e successivamente diminuiscono di frequenza. La sindrome della bronchiolite è molto meno frequente dopo il 1° compleanno. La terminologia usata per la diagnosi delle malattie con respiro sibilante associate a virus nei bambini da 1 a 3 anni confonde, in quanto queste malattie sono defi nite malattie respiratorie associate a respiro sibilante ( Wheezing Associated Respiratory Infection , WARI), “bronchite asmatifor-me”, esacerbazione di malattia reattiva delle vie aeree o attacco d’asma. Dato che molti bambini piccoli hanno un respiro sibilante durante l’infezione da RSV, ma non avranno l’asma per tutta la vita, è meglio utilizzare questo termine diagnostico solo in epoche successive della vita. La polmonite virale è un problema persistente per tutta l’infanzia, anche se l’RSV diviene meno importante come agente eziologico dopo il 1° anno. L’RSV ha un ruolo causale nel 40-75% dei casi di bronchiolite ospedalizzata, nel 15-40% dei casi di polmonite dell’infanzia e nel 6-15% dei casi di croup. Bronchiolite e polmonite derivanti dall’RSV sono più comuni nei ma-schi rispetto alle femmine con un rapporto di circa 1,5:1. Altri fattori di rischio con impatto analogo comprendono ≥ 1 fratello/sorella a casa, razza bianca, residenza in campagna, fumo materno e scolarità materna < 12 anni. I fattori medici nei lattanti associati al rischio più elevato sono displasia broncopolmonare, cardiopatia congenita, im-munodefi cienza e prematurità. Tuttavia, la maggior parte dei lattanti ricoverati in ospedale per un’infezione da RSV non presenta fattori di rischio facilmente identifi cabili, e pertanto qualunque strategia di profi lassi destinata solo a soggetti con forti fattori di rischio potrebbe probabilmente prevenire solo circa il 10% dei ricoveri, anche se avesse un’effi cacia del 100% nei soggetti ad alto rischio trattati.

Il periodo di incubazione dall’esposizione ai primi sintomi è di circa 3-5 giorni. Il virus è eliminato per periodi variabili, pro-babilmente a seconda della severità della malattia e dello stato immunitario. La maggior parte dei lattanti con malattia delle vie aeree inferiori elimina il virus infettante per 1-2 settimane dopo il ricovero in ospedale. È stata documentata un’eliminazione per 3 set-timane e anche di più. La diffusione dell’infezione si verifi ca quando goccioline infette di grandi dimensioni, trasportate sia per via aerea sia con le mani, vengono inoculate nella rinofaringe di un individuo suscettibile. L’RSV è probabilmente introdotto nella maggior parte delle famiglie da parte dei bambini in età scolare che vanno incontro a reinfezione. Tipicamente, nel giro di qualche giorno, il 25-50% dei fratelli maggiori oppure uno o entrambi genitori contraggono una rinite, mentre il lattante presenta una malattia più grave con febbre, otite media o malattia delle vie aeree inferiori.

L’infezione nosocomiale nel corso di epidemie di RSV è un problema importante. Il virus viene di solito diffuso da bambino a bambino attraverso le mani degli operatori. Anche adulti con reinfezione sono risultati coinvolti nella diffusione del virus. Le precauzioni nei contatti sono suffi cienti per prevenire la diffusione quando la compliance è meticolosa, in quanto il virus non si tra-smette di solito tramite inalazione di piccole particelle. L’aderenza alle procedure di isolamento da parte degli operatori non è però sempre completa.

PATOGENESI La bronchiolite è causata dall’ostruzione e dal collassamento delle piccole vie aeree durante l’espirazione. I lattanti sono particolar-mente esposti all’ostruzione delle piccole vie aeree a causa delle piccole dimensioni dei bronchioli normali; la resistenza delle vie aeree è proporzionale a 1/raggio 4 . Gli esami patologici della ma-lattia da RSV nelle piccole vie respiratorie in individui peraltro sani sono stati relativamente pochi. Il restringimento delle vie aeree è probabilmente causato da una necrosi indotta dal virus dell’epitelio bronchiolare, da ipersecrezione mucosa e da infi ltra-zione di cellule rotonde con edema della sottomucosa circostante. Queste alterazioni determinano la formazione di tappi mucosi che ostruiscono i bronchioli con conseguente iperinfl azione o collasso del tessuto polmonare distale. Nella polmonite interstiziale l’infi l-trazione è più generalizzata e la necrosi epiteliale può estendersi sia ai bronchi sia agli alveoli. Nei soggetti più anziani, l’iperreattività della muscolatura liscia può contribuire al restringimento delle vie aeree, ma le vie aeree dei bambini piccoli non presentano in genere un alto grado di iperreattività reversibile della muscolatura liscia durante l’infezione da RSV.

Molti fatti suggeriscono che elementi della risposta dell’ospite possono causare infi ammazione e contribuire al danno tissutale. La risposta immunitaria richiesta per eliminare le cellule infettate dal virus è una spada a doppio taglio, in quanto riduce le cellule che producono il virus, ma allo stesso tempo causa la morte della cellula ospite. Durante il processo vengono liberati numerosi fattori solubili, quali citochine, chemochine e leucotrieni, e un’anomalia del pattern di queste risposte può predisporre alcuni soggetti a una malattia più grave. Vi sono inoltre evidenze che dimostrano che alcuni fattori genetici possono predisporre a una bronchiolite più grave.

I bambini che negli anni Sessanta hanno ricevuto un vaccino antiRSV, inattivato con formalina e somministrato per via paren-terale, hanno presentato una bronchiolite più grave e più frequente dopo successiva esposizione naturale a RSV wild-type rispetto ai controlli della stessa età. Vari bambini sono morti durante l’infezio-ne naturale da RSV popola vaccinazione. Questo evento ha inibito fortemente il progresso nello sviluppo di un vaccino contro l’RSV, sia a causa dell’incompleta comprensione del meccanismo che di una riluttanza a testare nuovi vaccini sperimentali che potevano indurre lo stesso tipo di risposta.

Alcuni studi hanno identifi cato la presenza di RNA virale sia dell’RSV che del metapneumovirus umano nelle secrezioni respi-ratorie in una percentuale signifi cativa di lattanti che necessitano

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di ventilazione assistita e terapia intensiva. è possibile che la coin-fezione si associ a malattia più grave; i risultati positivi dell’analisi PCR devono essere interpretati con attenzione: in quanto tale la positività può persistere per periodi prolungati dopo l’infezione, anche quando non è più individuabile il virus infettivo.

Non è chiaro in che modo un’infezione batterica sovrapposta svolga un ruolo patogeno nella malattia delle vie aeree inferiori da RSV. La bronchiolite da RSV nei lattanti è probabilmente una malattia esclusivamente virale, anche se vi sono crescenti evidenze che la polmonite batterica è spesso scatenata da un’infezione re-spiratoria virale, compresa quella da RSV. Un grande studio clinico sul vaccino antipneumococcico ha dimostrato che la vaccinazione nell’infanzia ha ridotto l’incidenza della polmonite virale di circa il 30%, suggerendo interazioni fra virus e batteri che attualmente non comprendiamo del tutto.

MANIFESTAZIONI CLINICHE Tipicamente, il primo segno di infezione nei lattanti con RSV è la rinorrea. La tosse può comparire simultaneamente, ma più spesso dopo un intervallo di 1-3 giorni, quando vi possono essere anche starnuti e una febbre di basso grado. Subito dopo la comparsa della tosse, nel bambino con bronchiolite inizia un wheezing evidente. Se la malattia è lieve, i sintomi possono non progredire oltre que-sta fase. L’auscultazione spesso rivela ronchi inspiratori e sibili espiratori. La rinorrea persiste di solito per tutta la durata della malattia, con febbre intermittente. La radiografi a toracica in questa fase è frequentemente normale.

Se la malattia progredisce, tosse e wheezing aumentano e compare fame d’aria con aumento della frequenza respiratoria, retrazioni intercostali e sottocostali, iperespansione del torace, irrequietezza e cianosi periferica. Segni di malattia grave e poten-zialmente fatale sono cianosi centrale, tachipnea con > 70 atti re-spiratori per minuto, scarsa reattività e periodi di apnea. In questa fase, il torace può essere marcatamente iperespanso e quasi silente all’auscultazione a causa degli scarsi movimenti dell’aria.

La radiografi a del torace di lattanti ospedalizzati con bronchio-lite da RSV è normale in circa il 30% dei casi, mentre il restante 70% mostra iperespansione del torace, ispessimento peribronchiale e infi ltrate interstiziali. Il consolidamento segmentarlo o lobare è infrequente e il versamento pleurico è raro.

In alcuni bambini, il decorso della malattia può assomigliare a quello della polmonite, con un prodromo di rinorrea e tosse seguito da dispnea, diffi coltà di alimentazione e scarsa reattività, con whee-zing e iperespansione minimi. Anche se la diagnosi clinica è quella di polmonite, il wheezing è spesso presente in modo intermittente e la radiografi a toracica può dimostrare intrappolamento dell’aria.

La febbre è un segno incostante nell’infezione da RSV. Nei bambini più piccoli, particolarmente quelli prematuri, il respiro periodico e i periodi di apnea rappresentano segni frequenti e stres-santi, anche in caso di bronchiolite relativamente lieve. L’apnea non è necessariamente causata da di stress respiratorio, ma sembra piuttosto essere una conseguenza di alterazioni nel controllo cen-trale della respirazione.

Le infezioni da RSV negli ospiti immunocompromessi possono essere gravi a qualsiasi età. La mortalità associata a polmonite da RSV nelle prime settimane dopo un trapianto di cellule staminali emopoietiche o di organo solido è elevate sia nei bambini sia negli adulti. L’infezione da RSV non sembra essere più grave nei pazienti con infezione da HIV con controllo ragionevole della malattia da HIV, sebbene questi pazienti possano eliminare il virus per periodi prolungati.

DIAGNOSI La bronchiolite è una diagnosi clinica. Si può sospettare la pre-senza dell’RSV con un grado variabile di certezza in base alla stagione dell’anno e alla presenza del virus nella comunità. Altri aspetti epidemiologici che possono essere utili sono la presenza di

raffreddore in altri membri della famiglia e persone in loro con-tatto e l’età del bambino. Gli altri virus respiratori che attaccano i lattanti frequentemente nei primi mesi di vita sono il virus della parainfl uenza di tipo 3, il metapneumovirus umano e l’infl uenza. Il rhinovirus si ritrova di frequente nelle vie respiratorie dei bambini e vi sono evidenze crescenti che questo virus possa contribuire alla malattia delle vie aeree inferiori.

Le indagini di laboratorio di routine sono di minima utilità nella maggior parte dei casi di bronchiolite o polmonite causati da RSV. La conta leucocitaria è normale o elevata e la formula leucocitaria può essere normale con una predominanza neutrofi la o mononu-cleata. L’ipossiemia, misurata mediante pulsossimetria o emogasa-nalisi arteriosa, è frequente e tende a essere più marcata di quanto si possa prevedere in base alla situazione clinica. Nn valore ematico normale o elevato di CO 2 in un paziente con frequenza respiratoria marcatamente elevata è segno di insuffi cienza respiratoria.

Il principale problema diagnostico è l’identificazione della presenza di forme batteriche o chlamydia. Quando la bronchio-lite non è accompagnata da infi ltrati alla radiografi a toracica, la componente batterica è poco probabile. Nei lattanti di 1-4 mesi di età, una polmonite interstiziale può essere causata da Chlamydia trachomatis ( Cap. 218 ). Con la polmonite da C. trachomatis vi può essere un’anamnesi di congiuntivite e la malattia tende ad avere un esordio subacuto. Tosse e ronchi inspiratori sono marcati, mentre non lo è il wheezing. La febbre di solito è assente.

Un consolidamento lobare senza altri segni o con versamento pleurico deve essere considerato di origine batterica fi no a prova contraria. Altri segni suggestivi di polmonite batterica sono neu-trofi lia, neutropenia in presenza di malattia grave, ileo o altri segni addominali, temperatura elevata e collasso circolatorio. In tali casi, occorre iniziale un trattamento antibiotico.

La diagnosi defi nitiva di infezione da RSV si basa sull’identifi -cazione del virus vivo nelle secrezioni respiratorie mediante coltura cellulare. La presenza di RNA virale (individuato con un test diagno-stico molecolare usando la reverse transcription PCR [RT-PCR]) o di antigeni virali (individuati con un test diagnostico rapido, di solito un test blotting con membrana comprendente l’individuazione degli anticorpi alle proteine virali) è fortemente indicativa nell’ambiente clinico corretto. Il test antigenico è meno sensibile della coltura, mentre l’analisi RT-PCR è più sensibile. Un aspirato del muco o un lavaggio nasofaringeo dalla cavità nasale posteriore del bambino rappresentano il campione ottimale. Un tampone nasofaringeo o faringeo è meno preferibile ma accettabile. Non è necessario un aspirato tracheale, ma può essere analizzato il liquido di lavaggio del tubo endotracheale di pazienti incubati per la ventilazione meccanica. Il campione deve essere messo in ghiaccio, portato direttamente in laboratorio e processato per la ricerca dell’antigene o con la PCR.

TRATTAMENTO Il trattamento dei casi non complicati di bronchiolite è sintomatico. Per i bambini ipossici ricoverati sono indicati ossigeno umidifi cato e aspirazione. Molti bambini hanno una lieve o moderata disi-dratazione e quindi occorre un’attenta somministrazione di liquidi in quantità leggermente superiore al mantenimento. Spesso è utile l’alimentazione endovenosa o con sondino quando la suzione è diffi cile a causa della tachipnea.

Vi è disaccordo tra gli esperti sull’utilità dell’adrenalina o dei � 2 -agonisti nella bronchiolite da RSV. La maggior parte dei pazienti non ricava benefi ci duraturi dalla terapia prolungata, che si as-socia a una frequenza relativamente elevata di effetti collaterali. I corticosteroidi non sono indicati eccetto che nei bambini più grandi con una diagnosi stabilita di asma, poiché il loro utilizzo è associato a prolungata eliminazione del virus e non porta benefi ci clinici dimostrati.

In quasi tutti i casi di bronchiolite, gli antibiotici non sono utili, e il loro uso inappropriato contribuisce allo sviluppo di resi-stenze. La polmonite interstiziale nei lattanti da 1 a 4 mesi può

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Capitolo 253 Metapneumovirus umano ■ 1187

essere causata da C. trachomatis , e per questa infezione può essere indicata la terapia con macrolidi.

La ribavirina è un antivirale erogato attraverso una tenda a os-sigeno, una maschera facciale o un tubo endotracheale utilizzando un generatore di aerosol a piccole particelle per la maggior parte della giornata per 3-5 giorni. Piccoli studi preliminari hanno evi-denziato un modesto effetto benefi co sul decorso della polmonite da RSV con una certa riduzione della durata della ventilazione meccanica e dei giorni di ricovero, ma gli studi successivi non hanno dimostrato un chiaro effetto positivo della ribavirina. Attualmente, la maggior parte dei centri non utilizza ribavirina nell’infezione da RSV. L’anticorpo monoclonale palivizumab è autorizzato per la profi lassi nei lattanti ad altro rischio, ma piccoli studi clinici sull’uso dell’anticorpo come terapia durante l’infezione conclamata non hanno fi nora evidenziato benefi ci.

PROGNOSI Il tasso di mortalità dei bambini ospedalizzati con infezione da RSV delle vie respiratorie inferiori è basso nel mondo sviluppato. Quasi tutti i decessi si verifi cano in bambini molto piccoli, in prematuri, oppure in bambini con malattie di base dell’apparato neuromu-scolare, polmonare, cardiovascolare o del sistema immunitario. Si calcola però che ogni anno nel mondo, in ambienti poveri di risorse, muoiano per RSV centinaia di migliaia di bambini.

Molti bambini con asma hanno un’anamnesi di bronchiolite nella prima infanzia. Nel 30-50% dei bambini con tipica bron-chiolite da RSV nella prima infanzia è presente wheezing ricorrente. La probabilità di recidiva è aumentata in presenza di una diatesi allergica (ad es. eczema, rinite allergica o un’anamnesi familiare di asma). Con una presentazione clinica di bronchiolite in pazienti di età > 1 anno, è maggiore la probabilità che tale episodio, benché possa essere indotto dal virus, sia il primo di diversi attacchi di wheezing che in seguito verranno diagnosticati come iperreattività delle vie aeree o asma. L’asma è diffi cile da diagnosticare nei primi anni di vita. Al momento non è chiaro se il wheezing precoce e grave da RSV causi alcuni casi di asma o se i soggetti destinati a sviluppare asma presentino i primi sintomi quando provocati dall’infezione da RSV durante l’infanzia.

PREVENZIONE In ospedale, le misure preventive più importanti sono mirate a bloc-care la diffusione nosocomiale. Nel corso della stagione dell’RSV, i bambini ad alto rischio devono essere separati da tutti quelli con sintomi respiratori. Per la cura di tutti i bambini con diagnosi so-spetta o certa di infezione da RSV devono essere utilizzati camici, guanti e un accurato lavaggio delle mani. È essenziale che vi sia un elevato livello di compliance con l’isolamento dal contatto. I test virali di laboratorio sono adeguati per la diagnosi durante la malattia acuta, ma non sono progettati per individuare bassi livelli del virus, e pertanto è necessario osservare l’isolamento dal contatto, per precauzione, per la maggior parte dei pazienti ricoverati per malattia acuta per tutta la durata del ricovero; per determinare se un paziente continui o meno a richiedere l’isolamento non si devono usare i test antigenici rapidi. Idealmente, i pazienti con infezione da RSV o metapneumovirus vengono ricoverati separatamente, in quanto la coinfezione può associarsi a malattia più grave.

Immunoprofi lassi passiva La somministrazione di palivizumab (15 mg/kg im 1 volta al mese), un anticorpo monoclonale murino umanizzato neutralizzante contro l’RSV, è raccomandata per la protezione dei bambini ad alto rischio contro le complicanze gravi della malattia da RSV. L’immunoprofi lassi riduce la frequenza e i giorni totali di ricovero per le infezioni da RSV nei bambini ad alto rischio. Il palivizumab viene somministrato mensilmente dall’inizio alla fi ne della stagione dell’RSV (rispettivamente ottobre-dicembre e marzo-maggio nelle regioni temperate dell’emisfero settentrionale).

I candidati all’immunoprofi lassi comprendono i bambini con pneumopatia o con prematurità importante. I bambini < 2 anni di età con pneumopatia cronica che richiedono una supplementazione di ossigeno o altra terapia medica durante o nei 6 mesi precedenti la stagione dell’RSV devono ricevere la profi lassi per le prime 2 stagioni dell’RSV, se hanno una pneumopatia grave, e soltanto per la prima stagione dell’RSV in caso di pneumopatia meno grave. Anche i bambini < 2 anni di età con cardiopatia congenita emodi-namicamente signifi cativa (insuffi cienza cardiaca, cianosi, iperten-sione polmonare) sono candidati a questa terapia. I lattanti nati < 28 settimana di gestazione devono ricevere profi lassi stagionale contro l’RSV fi no ai 12 mesi di vita, e fi no a 6 mesi di vita se sono nati alla 29-32 a settimana di gestazione. I neonati nati tra la 32 a e la 35 a settimana di gestazione devono ricevere la profi lassi soltanto se hanno altri fattori di rischio. Gli eventi avversi da palivizumab sono infrequenti. È agli ultimi stadi di sviluppo una versione con affi nità aumentata dell’anticorpo come farmaco di seconda generazione.

Vaccino Non esiste attualmente un vaccino autorizzato contro l’RSV. La sfi da nello sviluppo degli agenti vivi è stata di produrre ceppi attenuati che infettino i lattanti nella nasofaringe dopo inoculazione topica senza produrre sintomi inaccettabili, che rimangano geneticamente stabili durante l’eliminazione e che inducano protezione contro la malattia grave in seguito a reinfezione. I virus candidati vivi attenuati più promettenti sono stati sviluppati in laboratorio a partire da ceppi di RSV adattati al freddo, seguendo la strategia di base che ha prodotto i ceppi vivi di vaccini per il poliovirus e i virus dell’infl uenza.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 253 Metapneumovirus umano James E. Crowe , Jr.

Il metapneumovirus umano ( HMPV), un virus respiratorio identifi ca-to nel 2001, sta emergendo come una delle più comuni cause nel mon-do di malattia severa delle vie respiratorie inferiori dei bambini.

EZIOLOGIA L’HMPV è un virus a RNA a fi lamento singolo, non segmentato e a senso negativo, della famiglia delle Paramyxoviridae, che si suddivide in due sottofamiglie: Pneumovirinae e Paramyxovirinae. La sottofamiglia delle Pneumovirinae comprende i 2 generi Me-tapneumovirus e Pneumovirus, che comprende il virus respiratorio sinciziale (RSV). L’HMPV e i pneumovirus aviari (APV) sono altamente correlati e separati nel genere a sé Metapneumovirus a causa del fatto che l’ordine dei geni nel genoma non segmentato è leggermente alterato e gli APV/HMPV mancano delle due proteine non strutturali NS1 e NS2 che sono localizzate sull’estremità 3 � dei genomi di RSV. Si ritiene che queste proteine reagiscano contro gli interferoni di tipo I dell’ospite. L’assenza di NS1/NS2 nei metap-neumovirus può contribuire alla ridotta patogenicità dell’HMPV rispetto ai ceppi di RSV di tipo wild-type.

Sono state determinate le sequenze complete di diversi genomi di HMPV. Il genoma è predetto come codifi cante nove proteine nell’or-dine 3 � -N-P-M-F-M2-(orf1 e 2)-SH-G-L-5 � . Il genoma contiene anche un leader 3 � , un trailer 5 � e regioni intergeniche, compatibilmente con l’organizzazione della maggior parte dei paramyxovirus, con un promoter virale contenuto nell’estremità 3 � del genoma. Le proteine F (fusione), G (glicosilata) e SH (idrofobica breve) sono proteine integrali di membrana sulla superfi cie delle cellule infette e delle

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particelle virali. La proteina F è una classica proteina di fusione virale integrale di membrana di tipo I che contiene due ripetizioni heptad nel dominio extracellulare che facilitano la fusione di membrana. Esiste un sito di clivaggio proteico predetto che probabilmente è sottoposto all’azione di una proteasi extracellulare, attivando la pro-teina F per la fusione. La proteina di adesione predetta dell’HMPV (G o glicosilata) presenta le caratteristiche di base di una proteina simile alla mucina glicosilata di tipo II. La proteina G dell’HMPV differisce dall’RSV 6 in quanto manca di una struttura cisteinica ad anello. Questa proteina può inibire la risposta immunitaria. Le proteine interne del virus sembrano simili come funzione a quelle degli altri paramyxovirus.

EPIDEMIOLOGIA Le epidemie di HMPV si verifi cano annualmente nel corso dell’ulti-ma parte dell’inverno e della prima parte della primavera nei climi temperati, di solito sovrapponendosi all’annuale epidemia dell’RSV ( Fig. 253.1 ). Le infezioni sporadiche si verifi cano per tutto l’anno. È probabile che il periodo usuale di eliminazione del virus sia di diverse settimane dopo l’infezione primitiva nei lattanti. Il periodo di incubazione è di circa 3-5 giorni. Gli esseri umani sono l’unica fonte del virus. Si ritiene che la trasmissione avvenga per contatto intimo o diretto con secrezioni contaminate che coinvolgono gros-se particelle in aerosol, goccioline o superfi ci contaminate. Sono state riportate infezioni nosocomiali; in ambito medico è indicato l’isolamento dei contatti, con un accurato lavaggio delle mani per gli operatori sanitari. I pazienti anziani, gli immunocompromessi e quelli con patologie reattive delle vie aeree sono colpiti da questo virus in maniera più severa rispetto agli individui sani.

ANATOMIA PATOLOGICA L’infezione è di solito limitata allo strato superfi ciale delle cellule epiteliali delle vie aeree. L’infezione è associata a un infi ltrato in-fi ammatorio locale consistente in linfociti e macrofagi. Gli individui immunocompromessi presentano evidenze di un danno polmonare, acuto o di organizzazione, nel corso di infezioni prolungate.

PATOGENESI L’infezione si verifi ca attraverso l’inoculo nelle vie respiratorie su-periori. L’infezione può diffondersi rapidamente alle vie respiratorie inferiori, ma non è chiaro se la diffusione è mediata dalla diffusione da cellula a cellula o dall’aspirazione di materiali infetti dalle vie re-spiratorie superiori. La malattia severa delle vie respiratorie inferiori, specialmente il wheezing, si verifi ca durante i primi 6 mesi di vita, quando le vie aeree hanno un piccolo diametro e un’elevata resisten-za. Gli anticorpi neutralizzanti del siero materno che attraversano la placenta possono conferire una protezione relativa contro la malattia grave per diverse settimane o mesi dopo la nascita. Una volta stabilita l’infezione, si sospetta che cellule T citotossiche riconoscano ed elimi-nino le cellule infettate dal virus, terminando in tal modo l’infezione ma causando anche un certo grado di citopatologia. Gli individui con una predisposizione sottostante alla malattia reattiva delle vie aeree (compresi gli adulti) sono suscettibili a wheezing severo nel corso della reinfezione nelle fasi successive della vita, suggerendo che l’HMPV possa causare iperattività della muscolatura liscia e infi ammazione o aumento della produzione di muco in tali individui. L’infezione in individui altrimenti sani si risolve senza apparenti conseguenze a lungo termine nella maggior parte dei casi.

MANIFESTAZIONI CLINICHE L’HMPV è associato al raffreddore comune (complicato da otite media nel 30% circa dei casi) e con malattie delle vie aeree inferiori come bronchiolite, polmonite, croup ed esacerbazione della malat-tia reattiva delle vie aeree Il profi lo dei segni e dei sintomi causati dall’HMPV è molto simile a quello causato dall’RSV ( Tab. 253.1 ). Il 5-10% circa delle malattie ambulatoriali delle basse vie respira-torie è associato a infezione da HMPV in bambini altrimenti sani, con un’incidenza seconda soltanto all’RSV. I bambini con infezione da RSV o da HMPV richiedono l’uso di ossigeno supplementare e cure intensive con frequenze simili.

La metà circa delle malattie delle vie aeree inferiori nei bambini si verifi ca nei primi mesi di vita, suggerendo che un’età molto giova-ne è un fattore di rischio per una malattia severa. Sia i giovani adulti sia gli anziani possono avere un’infezione da HMPV che porta a patologie tali da rendere necessaria l’attenzione medica compresa l’ospedalizzazione, ma una malattia severa si verifi ca con frequen-za molto più bassa negli adulti che nei bambini più piccoli. Una malattia severa nei soggetti più grandi è più comune nei pazienti immunocompromessi e può essere fatale. Un numero signifi cativo di pazienti sia adulti sia pediatrici con esacerbazioni dell’asma ha un’infezione da HMPV; non è chiaro se il virus provochi wheezing a lungo termine. Sono state riportate coinfezioni da RSV e HMPV; le coinfezioni possono essere più severe e determinare il ricovero in unità intensiva pediatrica. È diffi cile defi nire le vere coinfezioni dal momento che il genoma virale può essere identifi cato mediante la PCR con transcrittasi inversa (RT-PCR) nelle secrezioni respiratorie per almeno diverse settimane dopo la malattia, anche quando l’eliminazione del virus è terminata.

REPERTI DI LABORATORIO Il virus può essere osservato soltanto alla microscopia elettronica. Il virus cresce in colture primitive monostrato di cellule di rene di scimmia, di cellule LLCMK2 o di cellule Vero, ma il suo isolamento effi cace richiede un laboratorio di particolare esperienza. La micro-scopia convenzionale in campo chiaro di colture monostrato di cellule infette spesso rivela un effetto citopatico soltanto dopo diversi

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Novembre 01

Dicembre 01

Gennaio 02

Febbraio 02

Marzo 02

Aprile 02

Maggio 02

Giugno 02

Luglio 02

Agosto 02

Settembre 02

Ottobre 02

HMPV (n = 68)RSV (n = 101)FluA (n = 77)Parainfluenza (n = 36)Adenovirus (n = 11)

Figura 253.1 Distribuzione temporale dei virus respiratori in bambini ospedalizzati con infezioni delle basse vie respiratorie dal novembre 2001 fi no all’ottobre 2002. I dati sono mostrati come la percentuale di ciascun virus identifi cata mensilmente. FluA, infl uenza A; HMPV, metapneumovirus umano; RSV, virus respiratorio sinciziale. (Da Wolf DG, Greenberg D, Kalkstein D, et al: Comparison of human metapneumovirus, respiratory syncytial virus and infl uenza A virus lower reparatory tract infections in hospitalized young children, Pediatr Infect Dis J 25:320–324, 2006.)

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Capitolo 254 Adenovirus ■ 1189

passaggi in coltura cellulare. Le caratteristiche dell’effetto citopatico non sono suffi cientemente distinte da poter identifi care il virus solo su queste basi, anche da parte di un osservatore esperto. Sono di-sponibili in commercio test per l’identifi cazione di antigeni di HMPV nelle secrezioni nasofaringee. Alcuni laboratori hanno successo nell’identifi cazione di HMPV attraverso l’immunofl uorescenza con anticorpi monoclonali o policlonali nelle secrezioni nasofaringee e nelle colture “shell vial” oppure in colture in monostrato in cui il virus è stato coltivato. Il test più sensibile per l’identifi cazione dell’HMPV in campioni clinici è la RT-PCR, di solito eseguita con primer diretti a geni interni come la nucleoproteina. L’identifi cazione attraverso questa modalità è anche possibile attraverso alcuni test di PCR multiplex su pannelli di virus respiratori. La RT-PCR in tempo reale presenta una migliore sensibilità e specifi cità e comprende test per la ricerca di virus delle 4 linee genetiche note.

DIAGNOSI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE Nelle aree temperate, si deve sospettare la diagnosi nel corso del-l’ultima parte dell’inverno in lattanti o bambini più piccoli con wheezing o polmonite e un test negativo per l’RSV. Le malattie pro-vocate da RSV e HMPV non possono essere distinte clinicamente. Molti altri comuni virus respiratori come quelli della parainfl uenza e dell’infl uenza, gli adenovirus, i rhinovirus e i coronavirus, pos-sono causare una malattia simile nei bambini più piccoli. Alcuni di questi virus possono essere identifi cati con test genetici mediante PCR o con le colture convenzionali.

COMPLICANZE Una coinfezione con batteri non è comune, a eccezione della com-plicanza locale dell’otite media.

TRATTAMENTO Attualmente non esiste un trattamento specifi co per l’infezione da HMPV. Il trattamento consiste in una terapia di supporto. Il tasso di infezioni batteriche polmonari associate a infezione da HMPV non è completamente defi nito, ma si sospetta che sia molto bas-so. Gli antibiotici di solito non sono indicati nel trattamento dei bambini ospedalizzati per bronchiolite o polmonite da HMPV.

TERAPIA DI SUPPORTO Il trattamento è di supporto e comprende la massima attenzione per l’idratazione, il monitoraggio clinico dello stato respiratorio con l’esa-me obiettivo e la determinazione della saturazione d’ossigeno, l’uso di ossigeno supplementare e, se necessario, la ventilazione meccanica.

PROGNOSI La maggior parte dei bambini e dei lattanti guarisce dall’infezione acuta da HMPV senza apparenti conseguenze a lungo termine. Molti esperti ritengono che esista un’associazione tra infezioni severe da HMPV durante l’infanzia e rischio di wheezing ricorrente o sviluppo di asma; non è chiaro se il virus causi queste condizioni o ne precipiti la prima manifestazione.

PREVENZIONE L’unico metodo di prevenzione dell’infezione da HMPV è la ridu-zione dell’esposizione. Precauzioni di contatto sono raccomandate per la durata della malattia associata all’HMPV nei bambini e nei lattanti ospedalizzati. I pazienti con infezione nota da HMPV devono essere ricoverati in camere singole o con una coorte di pazienti con infezione da HMPV. Può essere consigliabile gestire i pazienti con infezione da RSV in una coorte separata da quelli con infezione da HMPV per prevenire la coinfezione. Le misure preventive com-prendono la limitazione, ove possibile, dell’esposizione alle situazioni contagiose nel corso delle epidemie annuali (scuole materne) e l’insi-stenza sull’igiene delle mani in tutte le situazioni, compresa la casa, specialmente nei periodi in cui i contatti dei bambini ad alto rischio hanno infezioni respiratorie. Tuttavia, gli operatori sanitari devono tenere presente che l’infezione è universale nei primi anni di vita. Pertanto, la riduzione dell’esposizione ha più senso nei primi 6 mesi di vita, quando i lattanti sono a maggior rischio di malattia severa.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 254 Adenovirus John V. Williams

Gli adenovirus sono una causa comune di malattia dell’essere uma-no. La congiuntivite è una malattia nota associata agli adenovirus, che tuttavia provocano anche malattie delle vie aeree superiori e in-feriori, faringite, gastroenterite e cistite emorragica. Gli adenovirus possono causare malattia grave negli ospiti immunocompromessi. Nelle comunità e nelle popolazioni che vivono a stretto contatto fra loro, come i militari, si verifi cano epidemie di adenovirus, contro le quali non sono disponibili antivirali specifi ci altamente effi caci. Esistono vaccini contro i sierotipi 4 e 7 ma sono utilizzati solo per le popolazioni militari.

EZIOLOGIA Gli adenovirus sono stati isolati per la prima volta da campioni chirurgici umani delle adenoidi nel 1953. Si tratta di virus senza involucro con un capside proteico icosaedrico. Il genoma del DNA a doppio fi lamento è contenuto nella particella complessata con varie proteine virali. La variabilità antigenica delle proteine super-fi ciali del virione defi nisce > 50 sierotipi raggruppati in sette specie. Le specie differiscono per il tropismo tissutale e gli organi target, e causano infezioni cliniche distinte ( Tab. 254.1 ). Gli adenovirus possono essere eliminati dall’apparato gastrointestinale per periodi prolungati, e possono indurre infezioni croniche di basso livello di tonsille e adenoidi.

EPIDEMIOLOGIA Gli adenovirus circolano in tutto il mondo e causano infezioni endemiche per tutto l’anno in ospiti immunocompetenti. Sono comuni anche le infezioni asintomatiche. Solo circa un terzo dei

Tabella 253.1 MANIFESTAZIONI CLINICHE DI METAPNEUMOVIRUS UMANO NEI BAMBINI

COMUNE ( > 50%)Febbre > 38 °C Tosse Rinite, coriza Wheezing Tachipnea, retrazioni Ipossia (saturazione di ossigeno < 94%) Infi ltrati o iperinfl azione alla radiografi a toracicaMENO COMUNEOtite media Faringite RantoliRARACongiuntivite Raucedine Encefalite Insuffi cienza respiratoria fatale in bambini immunocompromessi

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sierotipi umani noti di adenovirus si associano a malattia clinica-mente apparente. I tipi con maggiore prevalenza nei recenti studi di sorveglianza sono gli adenovirus 3, 2, 1 e 5. Si riscontrano epidemie di congiuntivite (spesso grave), faringite e malattie respiratorie, soprattutto in scuole e ambienti militari. Le epidemie di malattia re-spiratoria febbrile causate da adenovirus 4 e 7 sono un’importante fonte di morbilità nelle caserme militari, con tassi di attacco che variano dal 25% al > 90%. La diffusione degli adenovirus avviene per via respiratoria e oro-fecale.

Un fattore importante nella trasmissione degli adenovirus, soprattutto nelle epidemie, è la capacità della particella priva di involucro di sopravvivere sugli oggetti inanimati nell’ambiente. Sono state segnalate epidemie nosocomiali.

PATOGENESI Gli adenovirus si legano ai recettori sulla superfi cie cellulare e scatenano l’internalizzazione per endocitosi. L’acidifi cazione degli endosomi induce modifi che della conformazione del capside, che portano alla fi ne alla traslocazione del genoma nel nucleo della cellula. La trascrizione dell’RNA messaggero virale e la replicazione genomica avvengono nel nucleo, dove si uniscono le particelle progenitrici del virione. La lisi della cellula rilascia nuove particelle infettive e causa danni alla mucosa epilteliale, distacco di detriti cellulari e infiammazione. Gli adenovirus reclutano neutrofili, macrofagi e linfociti natural killer nella sede dell’infezione e li inducono a elaborare numerose citochine e chemochine. La risposta immunitaria dell’ospite contribuisce quindi ai sintomi dell’infezione da adenovirus, ma gli specifi ci meccanismi della patogenesi sono scarsamente compresi.

MANIFESTAZIONI CLINICHE Gli adenovirus causano una varietà di sindromi cliniche comuni, sia negli ospiti immunocompetenti che in quelli immunocompromessi. Tali sindromi sono diffi cili da distinguere in modo affi dabile da malattie simili causate da altri patogeni, quali virus respiratorio sinciziale (RSV), metapneumovirus umano (HMPV), rhinovirus umano (HRV), rotavirus, streptococco del gruppo A e altri diffusi patogeni virali e batterici.

Malattia respiratoria acuta Le infezioni delle vie aeree sono manifestazioni comuni dell’infezio-ne da adenovirus in bambini e adulti. Si calcola che gli adenovirus causino il 5-10% di tutte le malattie respiratorie dell’infanzia. Le infezioni primitive nei lattanti possono manifestarsi come bron-chiolite o polmonite. La polmonite da adenovirus può manifestarsi con caratteristiche più tipiche della malattia batterica (infi ltrati lobari, febbre elevata, versamenti parapolmonari). La faringite dovuta ad adenovirus comprende tipicamente sintomi di coriza, mal di gola e febbre. Il virus può essere identifi cato nel 15-20% dei bambini con faringite isolata, soprattutto in quelli in età pre-scolare e nei lattanti.

Infezioni oculari La diffusa congiuntivite follicolare dovuta ad adenovirus è au-tolimitante e non richiede trattamento specifi co. Una forma più grave, la cheratocongiuntivite epidemica , coinvolge la cornea e la congiuntiva. La febbre faringocongiuntivale è una sindrome distinta che comporta febbre elevata, faringite, congiuntivite non purulenta e linfoadenopatia preauricolare e cervicale.

Infezioni gastrointestinali Gli adenovirus possono essere ritrovati nelle feci del 5-10% dei bambini con diarrea acuta. La maggior parte di questi casi è au-tolimitante, anche se la malattia può essere grave. L’infezione enterica da adenovirus è spesso asintomatica, cosicché di frequente il ruolo causale in questi episodi è incerto. Gli adenovirus possono provocare inoltre adenite mesenterica.

Cistite emorragica La cistite emorragica ha un esordio improvviso con ematuria, disuria, pollachiuria e urgenza batteriologicamente sterili con risultati negativi della coltura batterica delle urine. L’analisi delle urine può evidenziare giuria sterile oltre a eritrociti; la malattia si risolve da sola in 1-2 settimane.

Altre complicanze Raramente, gli adenovirus si associano a miocardite, epatite o menin-goencefalite in soggetti immunocompetenti.

Adenovirus in pazienti immunocompromessi Le persone immunocompromesse, e in particolare i soggetti sotto-posti a trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT) e organi solidi, corrono un rischio elevato di malattia grave dovuta ad adenovirus. L’insuffi cienza d’organo dovuta a polmonite, epatite, gastroenterite e infezione disseminata si verifi ca principalmente in questi pazienti. L’infezione da adenovirus in soggetti sottoposti ad HSCT si manifesta in genere come malattia polmonare o dis-seminata e tende a verifi carsi soprattutto nei primi 100 giorni dopo il trapianto. Le infezioni dovute ad adenovirus nei trapiantati di organi solidi riguardano in genere l’organo trapiantato. I bambini immunocompromessi sono a maggior rischio di complicanze da adenovirus rispetto agli adulti immunocompromessi, presumi-bilmente a causa della mancanza di un’immunità pre-esistente. Ulteriori fattori di rischio sono innesti con deplezione delle cellule T, immunosoppressione di livello elevato e presenza di malattia da trapianto contro l’ospite (GVHD). Alcuni esperti suggeriscono un approccio di screening preventivo per individuare e trattare precocemente le infezioni da adenovirus nei pazienti immunocom-promessi, con l’intento di prevenire la disseminazione e la malattia grave in questa popolazione vulnerabile.

DIAGNOSI Può essere sospettato un adenovirus come eziologia di un disturbo sulla base di aspetti epidemiologici o clinici; nessuna di queste categorie è suffi cientemente specifi ca per porre con certezza la diagnosi. Non sono disponibili in commercio test rapidi per gli adenovirus. La maggior parte dei sierotipi degli adenovirus cresce bene in coltura, sebbene questo metodo richieda 2-7 giorni e non sia quindi di aiuto per l’iden-tifi cazione precoce. Le tecniche molecolari come la PCR consentono una diagnosi rapida, sensibile e specifi ca delle infezioni da adenovirus e sono utilissime dal punto di vista clinico per la gestione delle sospette infezioni da adenovirus negli ospiti immunocompromessi. La frequen-za dell’eliminazione asintomatica di adenovirus rende talvolta diffi cile assegnare un ruolo causale a questo patogeno. Gli esami sierologici sono generalmente utili sono nelle indagini epidemiologiche.

COMPLICANZE La polmonite da adenovirus può portare a insuffi cienza respiratoria con necessità di instaurare la ventilazione meccanica, soprattutto nel paziente immunocompromesso. Le polmoniti batteriche secondarie

Tabella 254.1 SIEROTIPI DI ADENOVIRUS CON LE INFEZIONI ASSOCIATE

SPECIE SIEROTIPO SEDE PRIVILEGIATA DI INFEZIONE

A 12, 18, 31 GastrointestinaleB1 3, 7, 16, 21, 50 RespiratoriaB2 11, 14, 34, 35 Epitelio renale/urinarioC 1, 2, 5, 6 RespiratoriaD 8, 9, 10, 13, 15, 17, 19a, 19p, 20,

22-30, 32, 33, 36, 37, 38, 39, 42-48, 49, 51

Oculare

E 4 RespiratoriaF 40, 41 Gastrointestinale

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Capitolo 255 Rhinovirus ■ 1191

non appaiono frequenti in seguito a infezione da adenovirus, come invece lo sono dopo l’infl uenza, ma i dati al riguardo sono limitati. In una minoranza di casi, la polmonite grave da adenovirus è stata correlata a pneumopatia cronica e bronchiolite obliterante. La che-ratocongiuntivite epidemica è una forma di infezione da adenovirus che minaccia la vista. Quasi tutte le forme di infezione da adenovirus possono essere fatali in un paziente sottoposto ad HSCT o trapianto di organo solido. Nei pazienti HSCT con cistite emorragica può svi-lupparsi un’anemia refrattaria grave che richiede ripetute trasfusioni di sangue. In pazienti trapiantati con adenovirus disseminati o polmonite da adenovirus sono stati riportati tassi di mortalità fi no al 60-80%.

TRATTAMENTO Il cardine del trattamento dell’adenovirus, nella maggior parte dei casi, è la terapia di supporto. I pazienti con congiuntivite da ade-novirus grave devono essere inviati a un consulto oftalmologico. Nessuna specifi ca terapia antivirale ha dimostrato di produrre un beneficio clinico definito contro l’infezione da adenovirus. L’analogo nucleosidico cidofovir presenta attività in vitro contro la maggior parte dei sierotipi di adenovirus. Il cidofovir è utilizzato per trattare topicamente la cheratocongiuntivite epidemica, sebbe-ne spesso gli steroidi topici vengano prescritti più tardivamente nel corso della malattia, per limitarne la componente infi ammatoria. Il cidofovir può essere usato per endovena contro le infezioni da adenovirus nei pazienti immunocompromessi. Il cidofovir è al-tamente nefrotossico, ma la preidratazione, la somministrazione concomitante di probenecid e un dosaggio settimanale possono alleviare la tossicità renale. Alcuni studi clinici indicato un benefi ci del cidofovir, ma non vi sono studi prospettici, randomizzati e controllati del cidofovir per gli adenovirus. Non esistono inoltre linee guida o raccomandazioni formali. Sono state riferite anche de-scrizioni aneddotiche di benefi ci ottenuti con infusione endovenosa di immunoglobuline (IVIG) e linfociti da donatore.

PREVENZIONE La trasmissione ambientale e attraverso fomiti degli adenovirus è molto facile; pertanto, semplici misure come lavarsi le mani e il mantenimento di un buon livello di igiene riduce la diffusione. Dagli anni Settanta fi no al 1999 sono stati usati con successo vaccini vivi attenuati contro adenovirus 4 e AdV 7 nei militari USA. La cessazione del loro utilizzo ha portato a diffuse epidemie nelle caserme, e questi vaccini sono stati reintrodotti per uso militare. Gli adenovirus sono altamente immunogenici e sono stati utilizzati come vettori per la terapia genica e per vaccini contro altri patogeni, compresi malaria e HIV, ma non sono disponibili in commercio vaccini specifi ci anti-adenovirus.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 255 Rhinovirus E. Kathryn Miller e John V. Williams

I rhinovirus umani (HRV) sono la causa più frequente del raf-freddore comune sia negli adulti sia nei bambini. Sebbene un tempo si ritenesse che i rhinovirus potessero causare solo il raffreddore, oggi è noto che sono associati anche alle infezioni delle vie aeree inferiori in adulti e bambini. Molti HRV non crescono in coltura; da alcuni studi che hanno utilizzato strumenti diagnostici moleco-lari come la PCR è emerso che gli HRV sono cause importanti di malattie respiratorie sia lievi sia gravi nei bambini.

EZIOLOGIA I rhinovirus umani sono membri della famiglia delle Picornavi-ridae (“pico” = piccolo; “rna” = genoma dell’RNA). I metodi tradizionali di tipizzazione virale mediante antisiero immunitario hanno identifi cato ≈ 100 sierotipi, classifi cati in specie HRVA e HRVB sulla base di analogie della sequenza genetica. Un nuovo gruppo di HRV, defi niti HRVC, è stato individuato grazie alla transcrittasi inversa PCR (RT-PCR) ma non è stato coltivato. L’analisi della sequenza genica virale dimostra che gli HRVC sono una specie geneticamente distinta. Le percentuali aumentate di HRV segnalate in recenti studi basati sulla PCR possono essere dovute in parte all’individuazione di questi HRVC, precedente-mente ignoti, oltre che al miglioramento della rilevazione dei ceppi HRVA e HRVB.

EPIDEMIOLOGIA I rhinovirus sono distribuiti in tutto il mondo e non esiste una cor-relazione dimostrata fra sierotipi e caratteristiche epidemiologiche o cliniche. In una comunità possono circolare contemporanea-mente diversi sierotipi, e durante stagioni epidemiche consecutive possono essere isolati ceppi particolari di HRV, il che suggerisce la persistenza per periodi prolungati all’interno della comunità. Nei climi temperati, l’incidenza dell’infezione da HRV ha un picco in autunno e un altro picco in primavera, ma le infezioni da HRV si verifi cano tutto l’anno. I rhinovirus sono il principale fattore scatenante infettivo per l’asma nei bambini e numerosi studi hanno descritti un brusco aumento degli attacchi asmatici in questa fascia di età alla riapertura delle scuole in autunno. Il picco di incidenza dell’infezione da HRV nei Tropici si verifi ca durante la stagione delle piogge, da giugno a ottobre.

I rhinovirus si trovano in concentrazioni elevate nelle secrezioni nasali e possono essere riscontrati nelle vie aeree inferiori. Le particelle di rhinovirus sono prive di involucro e particolarmente resistenti, e persistono per molte ore nelle secrezioni sulle mani e altre superfi ci come telefoni, interruttori della luce, maniglie e stetoscopi. La trasmissione avviene quando le secrezioni infette trasportate dalle dita contaminate vengono strofi nate sulla mucosa nasale o congiuntivale. I rhinovirus sono presenti negli aerosol prodotti quando si parla, si tossisce e si starnutisce. I bambini sono il serbatoio principale del virus.

PATOGENESI La maggior parte dei rhinovirus infetta le cellule epiteliali delle vie aeree attraverso la molecola 1 di adesione intercellulare (ICAM-1, intercellular adhesion molecule-1), ma alcuni ceppi di HRV utilizza-no il recettore per le LDL (lipoproteine a bassa densità). L’infezione esordisce nel nasofaringe e si diffonde alla mucosa nasale e, in al-cuni casi, alle cellule epiteliali bronchiali nelle basse vie aeree. Non sembra che i rhinovirus provochino danni cellulari signifi cativi, e pertanto si ritiene che molti degli effetti patogeni siano prodotti dalla risposta immunitaria dell’ospite. L’infezione da rhinovirus delle cellule epiteliali bronchiali in vitro induce la secrezione di molte chemochine e citochine infi ammatorie. Nella patogenesi e nella clearance dei rhinovirus sono importanti meccanismi immuni-tari sia innati che adattativi. Il giorno 3 dopo l’infezione è possibile identifi care immunoglobuline (Ig) A nasali HRV-specifi che, seguite dalla produzione di IgM e IgG sieriche dopo 7-8 giorni. Le IgG neutralizzanti verso gli HRV possono prevenire o limitare la gravità della malattia in seguito a reinfezione. La protezione crociata fra gli anticorpi contro diversi sierotipi di HRV è limitata in estensione e durata. Sia l’esposizione agli allergeni che valori elevati delle IgE predispongono i pazienti con asma a sintomi respiratori più gravi in risposta all’infezione da HRV. Anomalie della risposta cellulare dell’ospite all’infezione da HRV che portino a defi cit dell’apoptosi e aumento della replicazione virale potrebbero essere responsabili dei sintomi gravi e prolungati nei soggetti con asma.

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1192 ■ Parte XVII Malattie infettive

MANIFESTAZIONI CLINICHE La maggior parte delle infezioni da HRV produce sintomi clinici, ma circa il 15% dei casi sono asintomatici. Dopo un periodo di incubazione di 1-4 giorni compaiono sintomi tipici come starnuti, congestione nasale, rinorrea e mal di gola. Tosse e raucedine si verifi cano in un terzo dei casi. Con i rhinovirus, la febbre è meno frequente che con altri virus respiratori diffusi come quelli dell’in-fl uenza, il virus respiratorio sinciziale e il metapneumovirus umano. Spesso nei bambini i sintomi sono più gravi e durano più a lungo, tanto che il 70% dei bambini presenta ancora sintomi al giorno 10, rispetto al 20% degli adulti. Il virus può essere eliminato anche per 3 settimane.

Gli HRV sono gli agenti maggiormente prevalenti associati a wheezing acuto, otite media e ricovero in ospedale per malattia respiratoria nei bambini e sono una causa importante di polmonite grave ed esacerbazione dell’asma o della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) negli adulti. I ricoveri associati ad HRV sono più frequenti nei lattanti che nei bambini più grandi e nei bambini con anamnesi di wheezing o asma. L’infezione da HRV negli ospiti immunocompromessi può essere pericolosa per la vita.

DIAGNOSI La coltura degli HRV in laboratorio è diffi coltosa e con resa relati-vamente bassa. Sono disponibili in commercio metodi diagnostici sensibili e specifi ci basati sulla RT-PCR. Un caveat importante nell’individuazione degli HRV è il fatto che l’infezione da HRV può essere asintomatica, e quindi non in tutti i casi la presenza del virus dimostra la causalità. I test sierologici sono poco pratici a causa del gran numero di sierotipi esistenti. La diagnosi clinica presuntiva basata sui sintomi e la stagionalità non è specifi ca, in quanto molti altri virus causano malattie clinicamente simili. La coltura o la ricerca dell’antigene batterico possono escludere una faringite da streptococco. Tecniche di individuazione rapida degli HRV possono ridurre l’utilizzo di antibiotici o procedure non necessari.

COMPLICANZE Possibili complicanze dell’infezione da HRV sono sinusite, otite media, esacerbazione dell’asma, bronchiolite, polmonite e, rara-mente, morte. Il wheezing associato ad HRV durante la prima in-fanzia è un fattore di rischio signifi cativo per lo sviluppo dell’asma nel bambino. Questo effetto sembra permanere fi no all’età adulta, anche se non sono stati chiariti i meccanismi.

TRATTAMENTO Il caposaldo del trattamento dell’HRV è la terapia di supporto. I sintomi dell’infezione da HRV sono solitamente trattati con analgesici, decongestionanti, antistaminici o antitosse. I dati circa l’effi cacia di questi farmaci contro il raffreddore nei bambini sono limitati. In caso di forte sospetto o di diagnosi di sovrainfezioni batteriche può essere corretto l’uso di antibiotici, che invece non sono indicati per le infezioni virali non complicate delle alte vie aeree. Lo sviluppo di vaccini non ha avuto successo a causa dei numerosi sierotipi dei rhinovirus e della limitata protezione cro-ciata fra i sierotipi.

PREVENZIONE Il miglior approccio alla prevenzione delle infezioni da HRV resta il lavarsi bene le mani e va ripetuto frequentemente, soprattutto nei bambini piccoli, i “vettori” principali della malattia.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 256 Coronavirus Mark R. Denison

I coronavirus sono sempre più riconosciuti come agenti patogeni importanti negli esseri umani. Causano fi no al 15% dei raffreddori comuni e sono implicati come cause di croup, esacerbazioni di asma e infezioni delle basse vie respiratorie, tra cui bronchiolite e polmonite. Inoltre ci sono prove che i coronavirus possono essere causa di enterite o colite nei neonati e nei bambini e possono essere sottovalutati come agenti di meningite o encefalite. La scoperta che la sindrome respiratoria acuta grave ( Severe Acute Respiratory Syndrome , SARS) è causata da un nuovo coronavirus umano ( SARS-CoV ) ha portato a una maggiore vigilanza e alla scoperta di ulteriori coronavirus umani, rivelando che nuovi coronavirus entrano nelle popolazioni umane da vettori quali i pipistrelli.

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256.1 Sindrome respiratoria acuta grave (SARS) associata a coronavirus Mark R. Denison

L’epidemia di SARS del 2003 è stata contenuta e, infi ne, arrestata grazie a un notevole sforzo di cooperazione tra i Paesi di tutto il mondo; la presenza di numerosi casi contratti in laboratorio così come episodi sporadici probabilmente associati a trasmissione da animale a uomo nel 2004, dimostra la potenziale minaccia rap-presentata dalla trasmissione trans-specie del coronavirus. L’iden-tifi cazione dei pipistrelli come probabili serbatoi di coronavirus da SARS, così come un gran numero di coronavirus correlati a tutti gli altri gruppi di mammiferi, suggerisce alcuni meccanismi di introduzione nella popolazione umana.

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Capitolo 257 Rotavirus, calicivirus e astrovirus Dorsey M. Bass

La diarrea è la principale causa di mortalità infantile nel mondo, ed è responsabile di 5-10 milioni di decessi all’anno. Nella pri-ma infanzia, la singola causa più importante di diarrea grave con disidratazione è l’infezione da rotavirus. Il rotavirus e altri virus della gastroenterite non soltanto sono cause maggiori di mortalità pediatrica, ma sono anche motivo di signifi cativa morbilità . È stato stimato che i bambini degli Stati Uniti abbiano un rischio di ospe-dalizzazione per diarrea da rotavirus di 1 su 43, corrispondente a 80.000 ricoveri all’anno.

EZIOLOGIA Rotavirus, astrovirus, calicivirus come l’ agente di Norwalk e gli adenovirus enterali sono i patogeni della gastroenterite umana importanti da un punto di vista medico ( Cap. 332 ).

I rotavirus sono della famiglia delle Reoviridae e causano ma-lattia virtualmente in tutti i mammiferi e gli uccelli. Il virus è un icosaedro a forma di ruota con triplo involucro contenente 11 segmenti di RNA a doppio fi lamento. Il diametro delle particelle

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Capitolo 257 Rotavirus, calicivirus e astrovirus ■ 1193

alla microscopia elettronica è di circa 80 nm. I rotavirus sono clas-sifi cati in base al sierogruppo (A, B, C, D, E, F e G) e al sottogruppo (I o II). I ceppi di rotavirus sono specie-specifi ci e non provocano malattia negli ospiti eterologhi. Il gruppo A comprende i comuni patogeni umani come anche diversi virus animali. Il gruppo B di rotavirus è stato riportato come causa di malattia grave nei lattanti e negli adulti soltanto in Cina. Sono stati riportati episodi occasionali di epidemie umane di infezione da rotavirus di gruppo C. Gli altri sierogruppi infettano soltanto ospiti non umani.

Il raggruppamento in sottogruppi dei rotavirus è determinato dalla struttura antigenica nella proteina interna del capside, VP6. La sierotipizzazione dei rotavirus, descritta per il solo gruppo A, è determinata in base al classico test di neutralizzazione crociata e dipende dalle glicoproteine del capside esterno, VP7 e VP4. Il sie-rotipo VP7 è noto come tipo G (per la glicoproteina). Esistono 10 sierotipi G, 4 dei quali provocano la maggior parte delle malattie da rotavirus e variano di anno in anno e da regione a regione. Il sierotipo VP4 è noto come tipo P. Esistono 11 sierotipi P. Sebbene sia VP4 sia VP7 stimolino la produzione di IgG neutralizzanti, il ruolo relativo nell’immunità protettiva di questi anticorpi si-stemici rispetto alle IgA mucosali e alle risposte cellulari rimane da chiarire.

I calicivirus , che costituiscono la famiglia delle Caliciviridae, sono piccoli virus di 27-35 nm che rappresentano la causa più comune di epidemie di gastroenterite nei bambini più grandi e negli adulti. I calicivirus provocano anche una malattia simile a quella da rotavirus nei bambini più piccoli. Si tratta di virus a RNA a fi lamento singolo, a senso positivo, con una singola proteina strutturale. I calicivirus umani si dividono in due generi: norovirus e sapovirus. I calicivirus sono stati denominati in base alle località delle epidemie iniziali: Norwalk, Snow Mountain, Montgomery County, Sapporo ed altri. I calicivirus e gli astrovirus sono talvolta denominati come piccoli virus rotondi sulla base dell’aspetto alla microscopia elettronica.

Gli astrovirus , che costituiscono la famiglia delle Astroviridae, sono importanti agenti di gastroenterite virale nei bambini più piccoli, con un’elevata incidenza nei Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Gli astrovirus sono virus a RNA a fi lamento singolo a senso positivo. Si tratta di particelle piccole, con diametro di circa 30 nm con una caratteristica stella centrale a 5 o 6 punte alla mi-croscopia elettronica. Il capside consiste di tre proteine strutturali. Esistono 8 sierotipi umani noti.

Gli adenovirus enterici sono causa comune di gastroeterite virale nei lattanti e nei bambini. Sebbene esistano molti sierotipi di adenovirus rilevabili nelle feci, soprattutto durante e dopo tipiche infezioni delle vie respiratorie superiori ( Cap. 254 ), soltanto i sierotipi 40 e 41 causano gastroenterite. questi ceppi sono molto diffi cili da far crescere in colture di tessuti. Il virus consiste in una particella icosaedrica di 80 nm di diametro con un genoma di DNA a doppio fi lamento relativamente complesso.

Il virus Aichi è un picornavirus associato a gastroenterite che è stato inizialmente descritto in Asia. Diversi altri virus che possono causare malattia diarroica negli animali sono stati ipotizzati, ma non stabiliti, come virus della gastroenterite umana: questi com-prendono coronavirus, torovirus e pastivirus. I picobirnavirus sono un gruppo non classifi cato di piccoli virus a RNA a fi lamento singolo di 30 nm che sono stati ritrovati nel 10% dei pazienti con diarrea associata a HIV.

EPIDEMIOLOGIA Si stima che il rotavirus causi in tutto il mondo 111 milioni di casi di diarrea ogni anno, in bambini con meno di 5 anni. Di questi, 18 milioni di episodi sono considerati almeno moderatamente gravi, con circa 500.000 decessi per anno. Il rotavirus provoca 3 milioni di casi di diarrea, 80.000 ricoveri e 20-40 decessi ogni anno negli Stati Uniti.

L’infezione da rotavirus è particolarmente frequente durante i mesi invernali nei climi temperati. Negli Stati Uniti, il picco

invernale annuale si diffonde da ovest a est ( Fig. 257.1 ). A diffe-renza di altri virus invernali come quello infl uenzale, tale onda di aumentata incidenza non è dovuta a un singolo ceppo o sierotipo prevalente. Diversi sierotipi caratteristicamente predominano in una determinata comunità per 1 o 2 stagioni, mentre località vicine possono ospitare ceppi non correlati. La malattia tende a essere più grave nei pazienti di 3-24 mesi di età , anche se il 25% dei casi di malattia grave si verifi ca nei bambini con > 2 anni di età , con evidenze sierologiche di infezione che compaiono virtualmente in tutti i bambini di 4-5 anni. I lattanti con meno di 3 mesi di età sono relativamente protetti dagli anticorpi transplacentari e forse dall’allattamento al seno. Le infezioni di neonati e adulti a stretto contatto con bambini infetti sono generalmente asintomatiche. Alcuni ceppi di rotavirus hanno colonizzato stabilmente reparti di neonatologia per anni, infettando virtualmente tutti i neonati senza alcuna malattia conclamata.

I rotavirus e gli altri virus della gastroenterite si diffondono effi cacemente tramite la via oro-fecale e le epidemie sono comuni negli ospedali pediatrici e nelle scuole materne. Il virus viene elimi-nato nelle feci a concentrazioni molto elevate prima della malattia clinica e diversi giorni dopo. Sono necessari pochissimi virioni infettanti per causare la malattia in un ospite suscettibile.

L’epidemiologia degli astrovirus non è stata completamente studiata come quella dei rotavirus, ma sono una causa comune di diarrea acquosa invernale nei bambini e nei lattanti e un pa-togeno poco frequente negli adulti. Le epidemie ospedaliere sono comuni. La gastroenterite da adenovirus enterici si verifi ca tutto l’anno, soprattutto in bambini con meno di 2 anni. Si verifi cano epidemie nosocomiali ma sono meno comuni rispetto al rotavirus e all’astrovirus. I calicivirus sono noti in particolare per causare ampie epidemie esplosive nei bambini più grandi e negli adulti, particolarmente in ambiti come scuole, navi da crociera e ospedali. Spesso viene identifi cato come fonte un singolo alimento, come i frutti di mare o l’acqua utilizzata nella preparazione degli alimenti. I calicivirus, inoltre, si trovano comunemente nella gastroenterite infantile invernale, simile a quella da astrovirus e rotavirus.

PATOGENESI I virus che provocano diarrea umana infettano selettivamente e distruggono le cellule degli apici dei villi dell’intestino tenue. La biopsia dell’intestino tenue evidenzia gradi variabili di accorcia-mento dei villi e di infi ltrati di cellule rotonde nella lamina propria. Le alterazioni patologiche possono non correlare con la gravità dei sintomi clinici e di solito si risolvono prima della risoluzione clinica della diarrea. La mucosa gastrica non è affetta nonostante il termine gastroenterite , anche se è stato documentato un ritardo dello svuotamento gastrico nell’infezione da virus di Norwalk.

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Figura 257.1 Picco di attività del rotavirus negli Stati Uniti dal luglio 1996 al giugno 1997. Questo andamento è tipico dell’attività annuale del rotavirus per tutti gli anni. (Da Centers for Disease Control and Prevention: Laboratory-based surveillance for rotavirus–United States, July 1996-June 1997, MMWR Morb Mortal Wkly Rep 46:1092–1094, 1997.)

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1194 ■ Parte XVII Malattie infettive

Nell’intestino tenue, gli enterociti della parte superiore dei villi sono cellule differenziate che svolgono sia funzioni digestive, come l’idrolisi dei disaccaridi, sia funzioni di assorbimento, come il tra-sporto d’acqua ed elettroliti attraverso i cotrasportatori di glucosio e aminoacidi. Gli enterociti delle cripte sono cellule indifferenziate che mancano degli enzimi idrolitici dell’orletto a spazzola e sono secretori netti di acqua ed elettroliti. L’infezione virale selettiva delle cellule dell’estremità dei villi intestinali causa pertanto (1) un ridotto assorbimento di sale e acqua e uno squilibrio nel rap-porto tra assorbimento e secrezione intestinale di liquidi e (2) una riduzione dell’attività della disaccaridasi e un malassorbimento dei carboidrati complessi, in particolare il lattosio. La maggior parte delle evidenze supporta il fatto che l’alterato assorbimento è il fattore più importante nella genesi della diarrea virale. È stato proposto che la proteina non strutturale del rotavirus (NSP4) serva da enterotossina.

La viremia può presentarsi spesso in infezioni primitive gravi ma l’ infezione extraintestinale sintomatica è estremamente rara nelle persone immunocompetenti, anche se i pazienti immunocom-promessi possono presentare interessamento epatico e renale. L’aumentata vulnerabilità dei lattanti (rispetto ai bambini più grandi e agli adulti) a una morbilità e a una mortalità gravi da virus della gastroenterite può essere correlata a diversi fattori, tra cui la diminuzione della riserva funzionale intestinale, la mancanza d’immunità specifi ca e la riduzione dei meccanismi di difesa non specifi ci dell’ospite, come l’acidità gastrica e il muco gastrico. L’enterite virale aumenta notevolmente la permeabilità intestinale alle macromolecole luminali ed è stato ipotizzato che aumenti il rischio di allergie alimentari.

MANIFESTAZIONI CLINICHE L’ infezione da rotavirus inizia tipicamente dopo un periodo di incubazione < 48 ore (range, 1-7 giorni) con febbre da moderata a grave e vomito seguiti dall’esordio di feci frequenti e acquose. Tutti e 3 i sintomi sono presenti nel 50-60% dei casi. Vomito e febbre tipicamente diminuiscono nel corso del 2° giorno di malattia, ma la diarrea spesso continua per 5-7 giorni. Le feci sono prive di sangue macroscopico o di globuli bianchi. Si può sviluppare una disi-dratazione che progredisce rapidamente, soprattutto nei bambini. La malattia più grave si verifi ca caratteristicamente nei bambini di 4-36 mesi di età. I bambini malnutriti e quelli con malattia intestinale sottostante come una sindrome dell’intestino corto sono particolarmente portati a contrarre una diarrea da rotavirus grave. Raramente, i bambini con immunodefi cienza presentano una malattia grave e prolungata. Anche se la maggior parte dei neonati con infezione da rotavirus è asintomatica, alcune epidemie di enterocolite necrotizzante sono state associate alla comparsa di un nuovo ceppo di rotavirus nelle neonatologie interessate.

Il decorso clinico della malattia da astrovirus sembra essere simile a quello del rotavirus, con la notevole eccezione che la malattia tende a essere più lieve e con disidratazione meno si-gnifi cativa. L’ enterite da adenovirus tende a causare diarrea di maggiore durata, spesso 10-14 giorni. Il virus di Norwalk ha un periodo di incubazione breve (12 ore). Nausea e vomito tendono a essere predominanti nella malattia associata al virus di Nor-walk e la durata è breve, di solito 1-3 giorni di sintomi. Il quadro clinico ed epidemiologico del virus di Norwalk somiglia spesso strettamente a quello del cosiddetto avvelenamento alimentare da tossine preformate, come quelle dello Staphylococcus aureus e del Bacillus cereus .

DIAGNOSI Nella maggior parte dei casi, può essere posta una diagnosi soddi-sfacente sulla base degli aspetti clinici ed epidemiologici. Sono disponibili test ELISA con specifi cità e sensibilità > 90% per la diagnosi del rotavirus di gruppo A, calicivirus e degli adeno-virus enterici in campioni fecali. Sono disponibili anche test di

agglutinazione su lattice per il rotavirus di gruppo A e sono meno sensibili del test ELISA. Gli strumenti di ricerca comprendono la microscopia elettronica delle feci, l’RNA-PCR per l’identifi cazione degli antigeni G e P e le colture. La diagnosi di gastroenterite virale deve sempre essere considerata in pazienti con febbre persistente o elevata, presenza di emazie o leucociti nelle feci, oppure vomito persistente grave o biliare, specialmente in assenza di diarrea.

REPERTI DI LABORATORIO La disidratazione isotonica con acidosi è il reperto più comune nei bambini con enterite virale grave. Le feci sono prive di sangue e leucociti. Anche se la conta leucocitaria può essere moderatamente elevata secondariamente a stress, il marcato spostamento a sinistra che si osserva nell’enterite batterica invasiva è assente.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE La diagnosi differenziale comprende altre cause infettive di enterite come batteri e protozoi. Occasionalmente, condizioni chirurgiche come appendicite, ostruzione intestinale e invaginazione possono inizialmente mimare una gastroenterite virale.

TRATTAMENTO Evitare e trattare la disidratazione è l’obiettivo principale del trat-tamento dell’enterite virale. Un obiettivo secondario è il manteni-mento dello stato nutrizionale del paziente ( Capp. 55 e 332 ).

Non esiste un ruolo di routine per il trattamento con farmaci antivirali della gastroenterite virale. Studi controllati non hanno dimostrato alcun benefi cio dai farmaci antiemetici o antidiarroici, ed esiste un rischio signifi cativo di seri effetti collaterali. Allo stesso modo, gli antibiotici non sono utili. Immunoglobuline sono state somministrate per os sia a pazienti normali sia a pazienti con immunodefi cienza con gastroenterite da rotavirus grave, ma questo trattamento è attualmente considerato sperimentale. La terapia con microrganismi probiotici come Lactobacillus spp. si è dimostrata utile soltanto in casi lievi e non nei casi con disidratazione.

Trattamento di supporto Nella maggior parte dei pazienti con disidratazione da lieve a mo-derata può essere effettuata la reidratazione per via orale (Capp. 55 e 332). La disidratazione grave richiede l’immediata terapia in-travenosa seguita dalla reidratazione orale. Le moderne soluzioni reidratanti orali contenenti quantità appropriate di sodio e glucosio favoriscono un assorbimento ottimale di liquidi nell’intestino. Non vi sono evidenze che una particolare fonte di carboidrati (riso) o l’aggiunta di aminoacidi migliori l’effi cacia di queste soluzioni nei bambini con enterite virale. Altri liquidi chiari come soda (pura), succhi di frutta e sport drink sono inappropriati per la reidrata-zione dei bambini più piccoli con perdite fecali signifi cative. La reidratazione per via orale (o nasogastrica) deve essere eseguita in 6-8 ore e subito dopo occorre iniziare immediatamente l’alimen-tazione. Eseguendo la reidratazione a un ritmo lento e costante, tipicamente 5 mL/min, si riduce il vomito e migliora il successo della terapia orale. La soluzione reidratante deve essere continuata come supplemento per compensare le eccessive perdite fecali. Per il bambino in stato di shock, o occasionalmente se il vomito è intrattabile, sono inizialmente necessari liquidi ev.

Dopo aver eseguito la reidratazione, è stato dimostrato che la ripresa di una dieta normale per l’età determina una più ra-pida guarigione della gastroenterite virale. La somministrazione prolungata ed esclusiva ( > 12 ore) di liquidi chiari o di formula diluita non ha alcun benefi cio clinico e in realtà prolunga la durata della diarrea. L’allattamento al seno deve essere continuato anche durante la reidratazione. Alcuni bambini selezionati possono trarre benefi cio da un’alimentazione priva di lattosio (latte a base di soia o latte vaccino privo di lattosio) per diversi giorni, anche se ciò non è necessario nella maggior parte dei bambini. Diete ipocaloriche

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Capitolo 258 Papil lomavirus umano ■ 1195

con ridotto contenuto proteico e di grassi come la dieta BRAT ( b anane, r iso, c ereali, a pplesauce [succo] di mela e t oast [pane tostato]) non si sono dimostrate superiori alla dieta usuale.

PROGNOSI La maggior parte dei decessi si verifi ca in bambini con scarse risorse mediche a disposizione ed è attribuibile alla disidratazione. I bam-bini possono avere un’infezione da rotavirus ogni anno durante i primi 5 anni di vita ma con gravità decrescente per ogni successiva infezione. L’infezione primaria determina una risposta immunitaria prevalentemente sierotipo-specifi ca, mentre la reinfezione, di solito causata da un sierotipo differente, induce una risposta immunitaria allargata con anticorpi eterotipici crossreagenti. Dopo l’infezione naturale iniziale, i bambini hanno una limitata protezione con-tro le successive infezioni asintomatiche (38%) e una maggiore protezione contro la diarrea lieve (73%) e la diarrea da grave a moderata (87%). Dopo la seconda infezione naturale, aumenta la protezione contro le successive infezioni asintomatiche (62%) e la diarrea di grado lieve (75%) e la protezione è completa nei confronti della diarrea da moderata a grave (100%). Dopo la terza infezione naturale, la protezione contro le successive infezioni asintomatiche è ancora più elevata (74%) ed è quasi completa anche contro la diarrea di grado lieve (99%).

PREVENZIONE Una buona igiene riduce la trasmissione della gastroenterite vira-le, ma anche nelle società dove le misure igieniche sono migliori virtualmente tutti i bambini si infettano a causa dell’effi cienza dell’infezione da virus gastrointestinali. Un adeguato lavaggio delle mani e procedure d’isolamento possono servire a controllare le epidemie nosocomiali. Il ruolo dell’allattamento al seno nella prevenzione o nel miglioramento dell’infezione da rotavirus può essere limitato, considerata la protezione variabile osservata in diversi studi. I vaccini sono potenzialmente il migliore strumento di controllo di queste infezioni ubiquitarie.

Vaccini Un vaccino trivalente per rotavirus è stato approvato negli USA nel 1998 e successivamente collegato ad un aumentato rischio di intussuscezione, soprattutto durante il periodo dal 3° al 14° giorno dopo la prima dose e dal 3° al 7° giorno dopo la seconda dose. Il vaccino è stato ritirato dal mercato nel 1999. Successivamente due nuovi vaccini orali vivi per rotavirus sono stati approvati negli USA dopo ampi studi di sicurezza ed effi cacia.

Un vaccino orale vivo pentavalente per rotavirus è stato appro-vato nel 2006 per l’uso negli USA: il vaccino contiene 5 rotavirus riassortiti isolati da ospiti umani e bovini. Quattro dei rotavirus riassortiti esprimono 1 delle proteine esterne VP7 (G1, G2, G3 o G4) e il 5° esprime la proteina P1A (genotipo P[8]) dal ceppo progenitore di rotavirus umano. Il vaccino pentavalente protegge contro la gastroenterite da rotavirus se somministrato in un ciclo di 3 dosi a 2, 4 e 6 mesi di età. La prima dose deve essere sommini-strata tra la 6 a e la 12 a settimana di vita, e tutto il ciclo di 3 dosi deve essere completato entro la 32 a settimana di vita. Il vaccino fornisce una sostanziale protezione contro la gastroenterite da ro-tavirus, con un’effi cacia primaria del 98% contro la gastroenterite da rotavirus grave causata dai sierotipi G1-G4, e del 74% contro la gastroenterite di qualsiasi gravità , per tutta la 1 a stagione del rotavirus dopo la vaccinazione. Esso permette una riduzione del 96% dei ricoveri per gastroenterite da rotavirus per i primi 2 anni dopo la 3 a dose. In uno studio su > 70.000 bambini, il vaccino pentavalente non ha aumentato il rischio di intussuscezione.

Un altro nuovo vaccino monovalente per il rotavirus è stato recentemente approvato in Messico e sembra essere sicuro ed effi cace. Si tratta di un rotavirus umano attenuato monovalente ed è somministrato con 2 dosi orali al secondo e terzo mese di età. Il vaccino possiede l’85% di effi cacia contro le gastroenteriti gravi e

sembra ridurre i ricoveri ospedalieri del 42% per tutte le diarree. Nonostante sia monovalente, il vaccino è effi cace nella prevenzione di tutti i 4 sierotipi di rotavirus umano. Dati di sorveglianza pre-liminari sull’incidenza del rotavirus dall’U.S. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) suggeriscono che la vaccinazione contro il rotavirus abbia ridotto notevolmente il carico di malat-tia negli Stati Uniti durante la stagione di rotavirus 2007-2008. Data la copertura vaccinale incompleta durante questo periodo, i risultati suggeriscono un certo grado di “immunità di gregge” da immunizzazione rotavirus. La malattia associata al vaccino è stata segnalata in soggetti vaccinati che hanno immunodefi cienza combinata grave (una controindicazione). Inoltre, virus derivati dal vaccino possono subire riassortimento e diventare più virulenti, producendo diarrea nei fratelli non vaccinati.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 258 Papillomavirus umano Anna-Barbara Moscicki

I papillomavirus umani ( Human PapillomaViruses , HPV) provoca-no diverse lesioni proliferative mucose e cutanee, tra cui verruche cutanee comuni, lesioni benigne e maligne del tratto anogenitale e papillomi respiratori potenzialmente fatali. La maggior parte delle lesioni correlate agli HPV nei bambini e negli adolescenti è benigna.

EZIOLOGIA I papillomavirus sono piccoli (55 nm) virus a DNA ubiquitari che infettano la maggior parte delle specie di mammiferi e molti non mammiferi. I ceppi sono quasi sempre specie-specifi ci. Com-parando omologie di sequenza, sono stati identifi cati più di 100 tipi differenti di HPV, che causano tipicamente la malattia in siti anatomici specifi ci; > 30 dei tipi di HPV sono stati identifi cati in campioni del tratto genitale.

EPIDEMIOLOGIA Le infezioni cutanee da HPV sono comuni e la maggior parte degli individui ha probabilmente, in un dato momento, un’infezione da uno o più tipi di HPV. Non esistono serbatoi animali degli HPV; la trasmissione si verifi ca presumibilmente da persona a persona; sono disponibili poche evidenze che suggeriscano che gli HPV sono trasmessi da fomiti. Le verruche comuni, comprese quelle palmari e plantari, sono frequenti in bambini e adolescenti, infettando mani e piedi, aree comunemente sottoposte a traumi minori.

Il papillomavirus umano è l’infezione virale a trasmissione sessuale prevalente negli Stati Uniti. Fino al 70% delle donne sessualmente attive acquisisce l’HPV per trasmissione sessuale; la maggior parte contrae la prima infezione entro i 3 anni dall’inizio dell’attività sessuale. Il maggior rischio di infezione da HPV negli adolescenti sessualmente attivi è l’esposizione a nuovi partner ses-suali che non fanno uso del profi lattico, sottovalutando la facilità di trasmissione di questo virus. Come con molti altri patogeni genitali, anche nei neonati si ha trasmissione perinatale, ma l’in-fezione sembra essere transitoria. L’individuazione dell’HPV in individui tardo-adolescenti è rara. Se vengono individuate lesioni in un bambino > 3 anni, si deve ipotizzare un abuso sessuale.

La manifestazione più comune dell’HPV è un’infezione latente defi nita identifi cabile, in assenza di qualsiasi lesione associata a un HPV, in base al riscontro del DNA di HPV. Nel 20% circa degli

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adolescenti sessualmente attivi è riscontrabile l’HPV, con reperti citologici normali e senza lesioni identifi cabili. Le verruche genitali esterne sono molto più comuni, occurring in < 1% degli adolescenti. La lesione clinicamente evidente più comune nelle adolescenti è la lesione alla cervice denominata lesione intraepiteliale squamosa di basso grado ( Low-grade Squamous Intraepithelial Lesion , LSIL) ( Tab. 258.1 ). La lesione sembra presentarsi nel 25-30% degli adole-scenti infetti da HPV. Le LSIL sono considerate lesioni cellulari benigne associate a infezione da HPV. Come avviene con l’identi-fi cazione del DNA di HPV, la maggior parte delle LSIL regredisce spontaneamente nelle giovani donne e non richiede alcun intervento o terapia. Meno frequentemente, l’HPV può indurre alterazioni cellulari più gravi denominate lesioni intraepiteliali squamose di grado elevato ( High-grade Squamous Intraepithelial Lesion , HSIL) ( Cap. 547 ). Anche se le HSIL sono considerate lesioni precancerose, raramente progrediscono a cancro invasivo. Le HSIL si verifi cano nello 0,4-3% circa delle donne sessualmente attive, mentre il cancro della cervice invasivo si verifi ca in 8 casi/100.000 donne adulte. Nelle popolazioni che non hanno avuto rapporti sessuali, com-presi i bambini non abusati sessualmente, i tassi di malattia clinica e di identifi cazione di HPV sono da molto bassi a zero. Negli Stati Uniti, si verifi cano circa 12.000 nuovi casi e 3.700 decessi da can-cro cervicale ogni anno. In tutto il mondo, il cancro cervicale è la seconda più comune causa di morte per cancro nelle donne.

Alcuni bambini possono acquisire i papillomavirus nel corso del passaggio attraverso un canale del parto infetto, il che deter-mina una papillomatosi respiratoria ricorrente. Sono stati inoltre riportati casi in seguito a parto cesareo. Il periodo di incubazione massima per la comparsa di lesioni clinicamente evidenti (verruche genitali o papillomi laringei) in seguito a infezione acquisita in età perinatale è sconosciuto, ma sembra essere di circa 6 mesi (Cap. 382.2).

Le verruche genitali che compaiono negli ultimi anni dell’infan-zia possono derivare da abuso sessuale e possono rappresentare un’infezione sessualmente trasmessa anche in bambini molto pic-coli; la loro presenza giustifi ca il sospetto di tale possibilità. Un bambino con verruche genitali deve pertanto essere sottoposto a una valutazione completa per verifi care un possibile abuso ( Cap. 37 .1) e l’eventuale presenza di altre infezioni sessualmente trasmes-se ( Cap. 114 ). La presenza di verruche genitali in un bambino non

conferma l’abuso sessuale, perché le verruche genitali trasmesse in età perinatale possono passare inosservate fino a quando il bambino è più grande. La classifi cazione in tipi specifi ci dell’HPV nei bambini non è utile ai fi ni della diagnosi o dell’accertamento dell’abuso sessuale, dal momento che gli stessi tipi genitali sono presenti sia nella trasmissione perinatale sia nell’abuso. Tuttavia, il tipo individuato nel lattante non è sempre lo stesso presente nella madre, e questo fatto suggerisce che vi sono altre fonti di acquisizione dell’HPV.

PATOGENESI Si ritiene che l’infezione della cervice da HPV inizi con l’invasione virale delle cellule basali dell’epitelio, facilitata da una lesione epiteliale causata da un trauma o da un’infi ammazione. Si ritie-ne che il virus inizialmente rimanga relativamente quiescente in quanto non si associa ad alcuna evidenza clinica di patologia. Il ciclo vitale dell’HPV dipende dal programma di differenziazione dei cheratinociti. Il pattern di trascrizione dell’HPV varia a se-conda dello strato epiteliale e dei differenti stadi della malattia (LSIL, HSIL, cancro invasivo) e comprenderne il meccanismo aiuta a capire la sua capacità di comportarsi come un oncovirus. Le proteine della regione precoce, E6 ed E7, agiscono da fattori transattivanti che regolano la trasformazione cellulare; le inte-razioni complesse che intercorrono tra le proteine trascritte E6 ed E7 e le proteine dell’ospite determinano una perturbazione dei normali processi che regolano la sintesi del DNA cellulare. Le perturbazioni causate da E6 ed E7 si verifi cano innanzi tutto attraverso l’interruzione rispettivamente delle anti-oncoproteine p53 e della proteina del retinoblastoma (Rb), contribuendo allo sviluppo di cancri anogenitali. L’interruzione di queste proteine determina una proliferazione cellulare continua, anche nel caso di danno del DNA, che determina proliferazione delle cellule basali, anomalie cromosomiche e aneuploidia, tutte caratteristiche dello sviluppo di lesioni intraepiteliali squamose (SIL).

Nelle lesioni benigne, come le verruche genitali esterne e le LSIL, un’evidenza di infezione virale produttiva è rappresentata dall’abbondante espressione di proteine del capside virale nei che-ratinociti superfi ciali. La comparsa dei coilociti associati all’HPV è dovuta all’espressione di E4, una proteina strutturale che provoca il collasso del citoscheletro. Una lieve espressione delle proteine E6 ed E7 determina la proliferazione cellulare osservata nello strato basale delle LSIL. Le LSIL sono una manifestazione della replicazione virale attiva e dell’espressione delle proteine. Tuttavia, dal momento che le lesioni avanzano di grado, predomina l’espres-sione di questi importanti prodotti del processo di trasformazione cellulare, E6 ed E7, più che l’espressione delle proteine strutturali, determinando le anomalie cromosomiche e l’aneuploidia caratteri-stiche delle lesioni di grado più elevato.

Le lesioni cutanee (verruche comuni e genitali) non sono as-sociate a tipi maligni di HPV, né hanno alcun potenziale maligno eccetto che nella rara patologia cutanea denominata epidermodi-splasia verruciforme . Le lesioni genitali causate dall’HPV possono essere grosso modo suddivise in un gruppo con modesto o nessun potenziale maligno (a basso rischio) e in un gruppo con maggiore potenziale maligno (ad alto rischio). I tipi di HPV a basso rischio , 6 e 11, si trovano più comunemente nelle verruche genitali e ra-ramente o mai sono stati isolati in lesioni maligne. I tipi di HPV ad alto rischio , nello specifi co i tipi 16 e 18 che provocano il 70% circa dei casi di cancro della cervice, si trovano comunemente nelle SIL e nei cancri anogenitali invasivi. Altri tipi di HPV di comune reperto nei cancri invasivi, ma con frequenza molto più bassa, comprendono i tipi 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68, 73 e 82. L’HPV 16 è inoltre particolarmente comune nelle donne senza lesioni, rendendo la connessione con il cancro poco evidente. Le lesioni possono inoltre essere infettate contemporaneamente da diversi tipi di HPV. Quasi tutte le infezioni latenti da tipi a basso rischio si risolvono spontaneamente nel tempo; le verruche comuni e genitali in generale si risolvono senza terapia, ma possono essere

Tabella 258.1 SISTEMA BETHESDA PER LA CITOLOGIA CERVICALE/VAGINALE

DIAGNOSI DESCRITTIVA DI ANOMALIE CELLULARI EPITELIALI TERMINOLOGIA EQUIVALENTE

CELLULA SQUAMOSACellule squamose atipiche di signifi cato

indeterminato (ASC-US)Atipia squamosa

Cellule squamose atipiche, non si può escludere HSIL (ASC-H)

Lesione intraepiteliale squamosa a basso grado (LSIL)

Displasia lieve, atipia condilomatosa, modifi che relative a HOV, atipica coilocitica, neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN) 1

Lesione intrepiteliale squamosa ad alto grado (HSIL)

Displasia moderata, CIN 2, displasia grave, CIN 3, carcinoma in situ

CELLULA GHIANDOLARECellule endometriali, citologicamente

benigne, in una donna in postmenopausaCellule ghiandolari atipiche di signifi cato

indeterminatoAdenocarcinoma endocervicaleAdenocarcinoma endometrialeAdenocarcinoma extrauterinoAdenocarcinoma, non altrimenti specifi cato

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necessari anni. Sebbene si risolvano anche le infezioni da tipi ad alto rischio nell’85-90% dei casi, esse possono essere più persistenti rispetto ai tipi a basso rischio. Questo sembra particolarmente vero per l’HPV 16, che ha un tasso di regressione più lento rispetto ad altri tipi ad alto rischio. Infezioni persistenti da tipi ad alto rischio sono associate a un rischio maggiore di sviluppare HSIL e cancro invasivo. Le LSIL nelle giovani donne hanno pattern di regressione simili rispetto all’infezione latente: il 92-95% delle LSIL nelle giovani donne regredisce spontaneamente entro 3 anni. Anche se le HSIL hanno una minore probabilità di regredire rispetto alle infezioni latenti o alle LSIL, la progressione a cancro invasivo è rara, verifi candosi soltanto nel 5-15% dei casi.

La maggior parte dei lattanti con verruche genitali riconosciute ha un’infezione da tipi a basso rischio; al contrario, i bambini con un’anamnesi di abuso sessuale presentano un quadro clinico più simile alle verruche genitali dell’adulto, con un mix di tipi a basso rischio e ad alto rischio. In bambini preadolescenti e in adolescenti vi sono rare segnalazioni di neoplasie maligne genitali associate a HPV. D’altra parte, le HSIL si verificano in adole-scenti sessualmente attivi. Vi è anche il sospetto che la progres-siva precocità nell’inizio dell’attività sessuale abbia contribuito all’aumento dei cancri alla cervice invasivi osservati nelle donne di età < 50 anni negli Stati Uniti. L’HPV è considerato necessario ma non suffi ciente allo sviluppo di cancri invasivi. Altri fattori di rischio con evidenze relativamente robuste di un’associazione sono il fumo, l’uso prolungato di contraccettivi orali, la Chlamydia trachomatis , l’herpes simplex e una parità più elevata.

MANIFESTAZIONI CLINICHE I segni e sintomi clinici dipendono dalla sede dell’infezione epiteliale.

Lesioni cutanee Le tipiche lesioni da HPV sono proliferative, papulose e iperche-ratosiche. Le verruche comuni sono lesioni rilevate, cercinate con una superfi cie cheratinizzata ( Fig. 258.1 ). Le verruche plantari e palmari sono praticamente piatte. Verruche multiple sono comuni e possono creare un pattern a mosaico. Le verruche piatte hanno l’aspetto di piccole (1-5 mm) papule color carne.

Verruche genitali Le verruche genitali possono essere riscontrate in tutto il perineo intorno ad ano, vagina e uretra, oltre che nelle aree cervicale, in-travaginale e intra-anale ( Fig. 258.2 ). Le verruche intra-anali si os-

servano prevalentemente in pazienti che hanno avuto rapporti anali passivi, a differenza delle verruche perianali che possono verifi carsi in uomini e donne senza anamnesi di sesso anale. Anche se rare, le lesioni causate da genotipi genitali possono essere riscontrate su altre superfi ci mucose come congiuntive, gengive e mucosa nasale. Possono essere lesioni singole o multiple e si trovano di solito in siti anatomici multipli. Le verruche genitali esterne possono essere piatte, a cupola, cheratosiche, peduncolate e a cavolfi ore; singole, a gruppi o in placche. Sull’epitelio mucoso, le lesioni sono più molli. A seconda delle dimensioni e della sede anatomica, le lesioni pos-sono essere pruriginose e dolorose, causare bruciore alla minzione, essere friabili e sanguinare oppure andare incontro a sovrainfezio-ne. Gli adolescenti possono essere frequentemente disturbati dallo sviluppo di lesioni genitali. Altre lesioni più rare dell’area genitale esterna causate dall’HPV comprendono la malattia di Bowen, la papulosi bowenoide, i carcinomi a cellule squamose, i tumori di Buschke-Löwenstein e le neoplasie intraepiteliali vulvari ( Vulvar Intraepithelial Neoplasias, VIN).

Le lesioni intraepiteliali squamose diagnosticate mediante esame citologico sono di solito invisibili a occhio nudo e richiedono l’ausilio dell’ingrandimento colposcopico e dell’acido acetico: in tal modo, le lesioni appaiono bianche e presentano segni di neova-scolarizzazione. Le SIL possono verifi carsi a livello cervicale, va-ginale, vulvare e intra-anale. I cancri invasivi tendono a essere più esofi tici, con vasi dall’aspetto aberrante. Queste lesioni si trovano raramente negli individui non sessualmente attivi.

Papillomatosi laringea L’età mediana di esordio della papillomatosi laringea è 3 anni. I bambini si presentano con raucedine, i lattanti con pianto alterato e, talvolta, stridore. La crescita rapida di papillomi respiratori può occludere le vie aeree superiori, causando una compromissione re-spiratoria. Queste lesioni possono recidivare entro settimane dalla rimozione, richiedendo ulteriori interventi; non divengono maligne a meno che non siano trattate con la radioterapia.

DIAGNOSI La diagnosi di verruche genitali esterne e di verruche comuni può essere affi dabilmente determinata in base all’ispezione visiva di una lesione da parte di un osservatore esperto e non richiede altre indagini per la conferma. Deve essere presa in considerazione una biopsia qualora la diagnosi sia incerta e le lesioni non rispondano alla terapia o peggiorino con essa.

Figura 258.1 Verruche comuni della mano sinistra e della parete toracica. (Da Meneghini CL, Bonifaz E: An atlas of pediatric dermatology , Chicago, 1986, Year Book Medical Publishers, p 45.)

Figura 258.2 Verruche comuni della mano in una madre e condilomi anali acuminati in suo fi glio. (Da Meneghini CL, Bonifaz E: An atlas of pediatric dermatology , Chicago, 1986, Year Book Medical Publishers, p 44.)

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1198 ■ Parte XVII Malattie infettive

Lo screening del cancro della cervice inizia con l’esame ci-tologico mediante il test di Papanicolaou (Pap test) o citologia liquida. Le linee guida relative allo screening, aggiornate nel 2009 dall’American Society for Colposcopia and Cervical Pathology (ASCCP) e dall’American College of Obstetrics and Gynecology, consigliano di iniziare lo screening all’età di 21 anni, dal momento è più probabile che lo screening prococe provochi rinvii inutili per la colposcopia, perché la maggior parte delle lesioni di questo gruppo è probabilmente rappresentata da LSILs e, quindi, tende a regredire. Si raccomanda lo screening citologico annuale fi no a quando non si ottengano almeno 3 citologie normali, dopodiché l’intervallo raccomandato è 1-3 anni. La terminologia raccoman-data per la valutazione citologica è basata sul sistema Bethesda (si veda Tab. 258.1 ), mentre la terminologia in uso per l’istologia è quella raccomandata dall’OMS: neoplasia cervicale intraepiteliale ( Cervical Intraepithelial Neoplasia , CIN) 1, 2 e 3 (si veda Tab. 258.1 ). Sebbene lo scopo dello screening sia di identifi care le CIN 3+, la maggior parte delle lesioni è riscontrabile in donne invia-te per cellule squamose atipiche di signifi cato incerto ( Atypical Squamous Cells of Undetermined Signifi cance , ASCUS ) o LSIL all’esame citologico. Tuttavia, nella popolazione adolescente si osservano pochi CIN 3 o tumori. La valutazione citologica delle cellule cervicali è un test di screening e non di conferma. Spesso sono necessari anni perché le linee guida vengano aggiornate. Se si ottiene una citologia in un adolescente, devono pertanto essere seguite le linee guida ASCCP 2006 relative al trattamento della citologia e dell’istologia anomala. Per gli adolescenti, ASCUS e LSIL sono trattati allo stesso modo. La raccomandazione attuale per gli adolescenti con ASCUS o LSIL è di ripetere la citologia ogni 12 mesi fi no a 24 mesi. Per ASCUS o LSIL persistente a 2 anni o 24 mesi di follow-up, è raccomandata la colposcopia. Adolescenti con HSIL dovrebbero essere sottoposti a colposcopia e biopsia a ogni visita.

Nelle donne adulte, l’HSIL può essere trattata senza conferma istologica. Comunque, questo approccio dovrebbe essere evitato nelle adolescenti poiché HSIL viene spesso maldiagnosticata in questo gruppo di popolazione. Nella donna di età superiore a 21 anni, si può ricorrere al test per HPV ad alto rischio a supporto del triage ASCUS. L’ultima raccomandazione si basa sull’osservazione che le donne adulte con ASCUS e un test positivo per HPV del tipo ad alto rischio sono più probabilmente affette da CIN 2/3 rispetto a donne con test HPV negativo. Il test HPV negli adolescenti, impiegato nel triage ASCUS o nel follow-up, non è raccomanda-to a causa dell’alevata incidenza di HPV. Se inavvertitamente si esegue il test, si consiglia di ignorarne il risultato. Una volta che l’LSIL è confermata dall’esame istologico, ad esempio come CIN 1, il trattamento non è raccomandato e le pazienti devono essere sottoposte a esame citologico a intervalli di 12 mesi. Un’adole-scente il cui esame istologico confermi CIN 2/3 o CIN 2 può es-sere sottoposta a colposcopia e citologia a intervalli di 6 mesi, se la paziente è collaborativa. Se la CIN 2/3 persiste a 2 anni di follow-up, si raccomanda il trattamento; la CIN 3 va trattata sia nelle adolescenti sia nelle pazienti adulte. Le linee guida e relativi aggiornamenti possono essere reperiti sul sito www.asccp.org .

Si stanno diffondendo test molto sensibili alla presenza di DNA, RNA e proteine di HPV, sebbene non siano necessari per la dia-gnosi di verruche genitali esterne o per condizioni correlate. Non vi sono indicazioni al test HPV DNA nelle adolescenti o nelle bambine.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE Devono essere escluse varie altre condizioni, tra cui il condylo-ma latum, le cheratosi seborroiche, i nevi displastici e benigni, il mollusco contagioso, le papule perlacee peniene e le neoplasie. Il condyloma latum è causato da sifi lide secondaria e può essere diagnosticato con la microscopia in campo oscuro e test sierologici standard per la sifi lide. Le cheratosi seborroiche sono comuni lesioni iperpigmentate e localizzate, raramente associate a neo-

plasie maligne; il mollusco contagioso è causato da un poxvirus, è altamente infettivo ed è spesso ombelicato; le papule perlacee peniene si presentano sulla corona peniena e sono varianti normali che non richiedono trattamento.

TRATTAMENTO Le verruche più comuni (plantari, palmari, cutanee) si risolvono spontaneamente ( Cap. 659 ). Le lesioni sintomatiche devono es-sere rimosse. La rimozione prevede una serie di automedicazioni, tra cui preparazioni di acido salicilico, e trattamenti prescritti dal medico (crioterapia, laserterapia, elettrochirurgia). Le verruche genitali dei bambini e degli adolescenti sono benigne e di solito vanno incontro a remissione, ma in un lasso di tempo prolungato. Se il paziente o il genitore richiede la terapia, si raccomanda di procedere. Come per le verruche comuni, il trattamento può es-sere classifi cato come automedicazione o prescritto dal medico. Nessuna terapia si è dimostrata più effi cace dell’altra. Le terapie prescritte dal medico comprendono trattamenti chirurgici (elet-trochirurgia, escissione chirurgica, chirurgia laser) e ambulato-riali (crioterapia con azoto liquido o una criosonda, resina di podofi llina 10-25% e acido bi- e tricloroacetico), che sono solita-mente applicati 1 volta a settimana per 3-6 settimane. Le resine di podofi llina hanno perso terreno a favore di altri metodi a causa della variabilità delle preparazioni. L’interferone intralesionale, ma non quello sistemico, non è più effi cace delle altre terapie ed è associato a effetti avversi signifi cativi. Questa terapia è riservata al trattamento dei casi refrattari.

Molte terapie sono dolorose e i bambini non devono essere sottoposti a trattamenti genitali dolorosi a meno che non sia as-sicurato un adeguato controllo del dolore. Genitori e pazienti non devono applicare da soli trattamenti dolorosi. Negli adolescenti e negli adulti, i trattamenti raccomandati per le verruche genitali esterne che i pazienti possono applicare da soli comprendono il podofi lox topico, l’imiquimod e la sinecatechine. Il podofi lox in soluzione o in gel 0,5% viene applicato con un cottonfi oc sulle verruche visibili con un ciclo di applicazioni 2 volte al giorno per 3 giorni seguiti da 4 giorni senza terapia, ripetuto per un totale di 4 cicli. La crema di imiquimod 5% è applicata prima di andare a dormire, 3 volte alla settimana a giorni alterni, fi no a 16 settimane; l’area trattata deve essere detersa con sapone delicato e acqua 6-10 ore dopo il trattamento. La sinatechine è un prodotto topico ap-provato dall’FDA per il trattamento delle verruche genitali esterne e può essere usato 3 volte al giorno fi no a 16 settimane. Nessuna di queste terapie, inclusa la resina di podofi llina, è approvata in gravidanza. Per tutti i trattamenti non chirurgici, la prescrizione è controindicata se vi è un’anamnesi di ipersensibilità a un in-grediente del prodotto.

Se si sospetta o è nota un’esposizione in seguito ad abuso ses-suale, il medico deve accertarsi che si sia creata e mantenuta una situazione di sicurezza per il bambino.

Quando indicato, i trattamenti più comuni per la CIN 2/3 sono quelli ablativi, inclusi la crioterapia e la procedura di escissione elettrochirurgica. Poiché la laserterapia è costosa e richiede l’ane-stesia, il suo uso è limitato a casi relativamente semplici. Una volta confermata istologicamente con CIN 1, l’LSIL può essere osservata indefi nitamente. La decisione di trattare la CIN 1 persistente va presa tra medico e paziente e i rischi del trattamento, compreso il parto prematuro in una paziente in stato di gravidanza, discussi prima di prendere qualsiasi decisione.

COMPLICANZE La presenza di queste lesioni nell’area genitale può essere causa di grande imbarazzo per un bambino o un genitore. Le complicanze della terapia non sono comuni; possono verifi carsi dolore cronico (vulvodinia) o ipoestesia nel sito di trattamento. Le lesioni pos-sono guarire esitando in un’ipo- o iperpigmentazione e, meno frequentemente, con cicatrici depresse o ipertrofi che. Le terapie

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Capitolo 259 Encefalite da arbovirus in America settentrionale ■ 1199

chirurgiche possono portare a infezione e cicatrizzazione. Parto prematuro e basso peso alla nascita in future gravidanze sono complicanze della terapia escissionale per CIN.

Si stima che il 5-15% delle lesioni CIN3 non trattate progredi-sca a cancrinoma della cervice. La maggior parte dei tumori si previene con la diagnosi precoce e il trattamento di queste lesioni. Nonostante lo screening, in alcune adolescenti e giovani donne il cancro della cervice si sviluppa rapidamente. Il motivo di ciò rimane sconosciuto, ma difetti genetici dell’ospite sono proba-bilmente le cause più profonde. Raramente i papillomi delle vie respiratorie diventano maligni, a meno che non siano stati trattati con radioterapia, e i condilomi vulvari cancri. Tumori della vagina, della vulva, dell’ano, del pene e del cavo orale associati all’HPV sono molto più rari rispetto ai tumori del collo dell’utero, quindi lo screening attualmente non è raccomandato. Tuttavia, questi tumori sono più comuni nelle donne con cancro della cervice; pertanto, si consiglia di sottoporre a screening con ispezione visiva le donne con cancro della cervice.

PROGNOSI Qualunque sia la terapia, le verruche genitali di solito recidivano e circa metà dei bambini e degli adolescenti richiede un 2° o un 3° trattamento. La recidiva è inoltre evidente nei pazienti con papillomatosi respiratoria. I pazienti e i genitori devono essere av-vertiti di tale eventualità. La terapia di associazione per le verruche genitali (imiquimod e podofi lox) non migliora la risposta, ma può aumentare le complicanze. La prognosi della malattia cervicale è migliore, con un tasso di guarigione dell’85-90% dopo una sola seduta di escissione elettrochirurgica. La crioterapia ha un tasso di guarigione leggermente inferiore. Le forme refrattarie richiedono una valutazione e sono comuni negli individui immunocompromes-si, specifi camente nelle persone affette da HIV.

PREVENZIONE L’unico mezzo per prevenire l’infezione è evitare il contatto diretto con le lesioni. I profi lattici possono ridurre il rischio di trasmissione dell’HPV e prevengono anche altre infezioni sessualmente trasmes-se, che sono fattori di rischio associati allo sviluppo di SIL; inoltre, i profi lattici sembrano accelerare la regressione delle LSIL nelle donne. Evitare il fumo di sigarette è importante nella prevenzione del cancro della cervice; l’uso prolungato di contraccettivi orali e la parità sembrano essere fattori di rischio. Tuttavia, i meccanismi associati a questi fattori non sono stati identifi cati e di conseguenza non è raccomandato alcun cambiamento nella consulenza.

I vaccini per l’HPV si dimostrano effi caci in caso di persistenza tipo-specifi ca e di sviluppo di malattia tipo-specifi ca. Un vaccino quadrivalente per l’HPV contro i tipi 6, 11, 16 e 18 e un vaccino per HPV bivalente contenente tipo 16 e 18 sono stati approva-ti negli Stati Uniti nel 2006 . L’efficacia del vaccino è mediata dallo sviluppo di risposte immuni umorali. La vaccinazione è raccomandata di routine per tutte le bambine di 11-12 anni ed è somministrata im nella regione del deltoide in un ciclo di 3 dosi a 0, 1, 2 e 6 mesi. È importante che la vaccinazione avvenga nelle ragazze prima che siano sessualmente attive, poiché il tasso di acquisizione dell’HPV è elevato subito dopo l’esordio dell’attività sessuale. Il vaccino può essere somministrato a bambine anche di soli 9 anni di età come pure a ragazze e donne di 13-26 anni. Gli individui già infetti prima della vaccinazione da uno o più tipi di HPV correlati al vaccino sono protetti dalla malattia causata dai restanti tipi di vaccino per l’HPV. Tuttavia, i vaccini non sono terapeutici. Il vaccino quadrivalente è somministrato in 3 dosi anche nei maschi di età compresa da 9 a 26 anni per ridurre la loro probabilità di acquisire condilomi genitali e di sviluppare la displasia e il cancro anale.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com.

Capitolo 259 Encefalite da arbovirus in America settentrionale Scott B. Halstead

Le encefaliti virali da arbovirus ( arthropod-borne virus ) sono un gruppo di infezioni neurologiche severe clinicamente simili causate da vari virus differenti. Esse sono trasmesse dalle zanza-re durante l’esposizione all’aria nel corso della bella stagione in regioni corrispondenti a gran parte degli Stati Uniti e del Canada meridionale.

EZIOLOGIA Le cause principali delle encefaliti da arbovirus comprendono l’encefalite West Nile ( West Nile Encephalitis , WNE), le encefaliti di St. Louis ( St. Louis Encephalitis , SLE), il complesso di virus compresi nel gruppo dell’encefalite della California ( California Encephalitis , CE) e, meno frequentemente, l’encefalite equina occidentale ( Western Equine Encephalitis , WEE), l’encefalite equina orientale ( Eastern Equine Encephalitis , EEE) e la febbre da zecche del Colorado. Gli agenti eziologici appartengono a taxa virali differenti: alfavirus della famiglia delle Togaviridae (EEE e WEE), Flaviviridae (WNE, SLE), il complesso California della famiglia delle Bunyaviridae (CE) e le Reoviridae (febbre da zecche del Colorado). Gli alfavirus sono virus a RNA a senso positivo di 69 nm, dotati di involucro, che si sono evoluti da un antenato virale comune simile al virus dell’encefalite equina del Venezuela nell’emisfero occidentale. I fl avivirus sono virus a RNA, a senso positivo, dotati di involucro, di 40-50 nm, che si sono evoluti da un antenato comune. Essi sono distribuiti globalmente e sono re-sponsabili di molte importanti malattie virali umane. Il sierogruppo California, 1 dei 16 gruppi di Bunyavirus, è costituito da virus dotati di involucro, di 75-115 nm, che possiedono un genoma a RNA, a senso negativo, di 3 segmenti. I reovirus sono virus a RNA a doppio fi lamento di 60-80 nm.

EPIDEMIOLOGIA Encefalite equina orientale Negli Stati Uniti l’EEE è una malattia con incidenza molto bassa, con una media di 8 casi ogni anno negli Stati atlantici e della zona del Golfo tra il 1964 e il 2007 ( Fig. 259.1 ). La trasmis-sione si verifi ca spesso in aree endemiche focali della costa del Massachusetts, delle sei province meridionali del New Jersey e della Florida nordorientale. In America settentrionale il virus si mantiene nelle paludi di acqua dolce in un ciclo zoonosico com-prendente la zanzara Culiseta melanura e gli uccelli. Diverse altre specie di zanzara assumono pasti di sangue infetto dagli uccelli e trasmettono il virus a cavalli ed esseri umani. L’attività del virus varia marcatamente di anno in anno in risposta a fattori ecologici sconosciuti. La maggior parte delle infezioni negli uccelli è silente, ma le infezioni nei fagiani sono spesso fatali e le epizoozie in queste specie sono utilizzate come sentinelle di un’aumentata attività virale. Sono stati riscontrati casi nelle isole caraibiche. Il rapporto caso: infezione è più basso nei bambini (1:8) e relativamente più elevato negli adulti (1:29).

Encefalite equina occidentale Le infezioni si verificano principalmente negli Stati Uniti e in Canada a occidente del fi ume Mississippi (si veda Fig. 259.1 ), soprattutto nelle aree rurali dove ristagni di acqua, terreni agricoli irrigati e terreni soggetti a inondazioni naturali forniscono aree di riproduzione per la zanzara Culex tarsalis. Il virus è trasmesso in un ciclo che comprende zanzare, uccelli e altri ospiti vertebrati. Es-seri umani e cavalli sono suscettibili all’encefalite. Il rapporto caso-

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1200 ■ Parte XVII Malattie infettive

infezione varia per età, essendo stata stimata a 1:58 nei bambini con meno di 4 anni e a 1:1.150 negli adulti. Le infezioni sono più severe nelle età estreme; 1/3 dei casi si verifi ca in bambini con meno di 1 anno. Sono state segnalate epidemie umane ricorrenti nella Yakima Valley, Stato di Washington, e nella Central Valley in California; la maggiore epidemia registrata di 3400 casi si è verifi cata in Minnesota, Nord e Sud Dakota, Nebraska e Montana, e in Alberta, Manitoba, Saskatchewan e Canada. Le epizoozie nei cavalli precedono le epidemie umane di diverse settimane. Nei ultimi 20 anni, forse in seguito a effi caci campagne di controllo delle zanzare, sono stati segnalati pochi casi di WEE.

Encefalite di St. Louis Sono stati segnalati casi in quasi tutti gli Stati; i più elevati tassi di attacco si verifi cano nel Golfo e negli Stati centrali (si veda Fig. 259.1 ). Le epidemie si verifi cano frequentemente in aree urbane e suburbane; la più ampia, nel 1975, ha coinvolto 1.800 persone residenti a Hou-ston, Chicago, Memphis e Denver. I casi spesso si raggruppano in aree dove è presente acqua stagnante o sistemi settici che favoriscono la proliferazione delle zanzare. I principali vettori sono il Culex pipiens e il Culex quinquefasciatus negli Stati centrali del Golfo, il Culex nigripalpus in Florida e il Culex tarsalis in California. Il virus SLE si mantiene in natura con un ciclo uccello-zanzara. L’amplifi -cazione virale si verifi ca in specie di uccelli molto diffuse nelle aree residenziali (ad es. passeri, bluejay e colombi). Il virus si trasmette nella tarda estate e nella prima parte dell’autunno. Il rapporto caso-infezione può essere anche di 1 : 300. Il tasso di attacchi specifi ci per età è più basso nei bambini e più alto negli individui al di sopra dei 60 anni. Le più recenti piccole epidemie sono state in Florida nel 1990 e in Louisiana nel 2001. Negli ultimi 15 anni la media è stata di 18 casi l’anno.

Encefalite West Nile Il virus WNE è stato indicato come causa di casi sporadici di ence-falite e meningite umana nella stagione estiva in Israele, India, Paki-stan, Romania, Russia e Stati Uniti. Tutti i virus WNE americani sono geneticamente abbastanza simili e sono correlati con un virus isolato in un’oca in Israele nel 1998. Il virus West Nile sopravvive in un ampio ciclo enzootico negli Stati Uniti e nell’arco di 4 anni si è diffuso nella maggior parte degli Stati a est delle Montagne Rocciose e in California ( Fig. 259.2 ). Tutti gli Stati degli Stati

Casi di encefalite equina orientale umana per Stato (1964-2007)

Casi umani di EEEVT

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13

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Casi di encefalite equina occidentale umana per Stato (1964-2007)

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Casi di encefalite di St. Louis per Stato (1964-2007)

Casi umani di SLEVT

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AK

Casi di encefalite della California per Stato (1964-2007)

Casi umani di CALVT

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WVPuerto Rico

*La maggior parte dei casi riportati di sierogruppo della California

è costituita da virus di La Crosse

HI

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Figura 259.1 Distribuzione e incidenza di casi di encefalite equina orientale ( A ), encefalite equina occidentale ( B ), encefalite di St. Louis ( C ) ed encefalite della California ( D ) segnalati dallo Stato al Center for Disease Control and Prevention, 1964–2007.

Incidenzaper milione

0,1-9,99

10-99,99

�100

Attività di WNV

PuertoRico

Figura 259.2 Incidenza della malattia neuroinvasiva da virus West Nile negli uomini (USA, 2008). (Da Centers for Disease Control and Prevention: West Nile virus activity – United States, January 1-December 31, 2008 as reported to CDC’s ArboNET system.)

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Capitolo 259 Encefalite da arbovirus in America settentrionale ■ 1201

Uniti continentali, cui si aggiungono nove province del Canada, hanno riportato un’infezione da virus West Nile in zanzare, uccelli, mammiferi o esseri umani. Alla fi ne del 2008 erano stati segnalati in totale 28.813 casi, il 30-40% dei quali erano encefaliti, con 1.064 decessi. Le epidemie estive e autunnali sono comuni ( Fig. 259.3 ). Il virus West Nile è penetrato nel sistema trasfusionale attraverso donatori viremici asintomatici. Le banche del sangue ora eseguono lo screening per l’RNA del virus West Nile ( Fig. 259.4 ). Il virus West Nile è stato trasmesso agli esseri umani anche attraverso la placenta, il latte materno e il trapianto di organi. Per tutto il territorio interes-sato, il virus è mantenuto in natura mediante la trasmissione tra zanzare del genere Culex e varie specie di uccelli. Negli Stati Uniti le infezioni umane sono in gran parte acquisite dal Culex pipiens. I cavalli sono i vertebrati diversi dagli uccelli con maggiore proba-bilità di presentare una malattia da infezione da WNE. Nel corso della stagione di trasmissione 2002 sono stati segnalati 14.000 casi equini, con un tasso di mortalità del 30%. La malattia si verifi ca soprattutto in individui di > 50 anni.

Encefalite di La Crosse/della California Le infezioni virali della California (o di La Crosse) sono endemiche negli Stati Uniti e si verifi cano ogni anno da luglio a settembre, principalmente negli Stati centrosettentrionali e centrali (si veda

Fig. 259.1 ). Le infezioni si verifi cano in ambienti peridomestici in seguito al morso della zanzara Aedes triseriatus , che spesso si riproduce nei buchi degli alberi. Il virus si mantiene verticalmente in natura mediante trasmissione transovarica e può essere diffuso tra le zanzare con la copula e amplifi cato nelle popolazioni di zanzare con infezioni viremiche in vari ospiti vertebrati. Gli ospiti amplifi canti comprendono chipmunk, scoiattoli, volpi e wood-chuck. È stato ipotizzato un rapporto caso:infezione di 1:22-300. L’encefalite di La Crosse è principalmente una malattia dei bam-bini, che possono costituire anche il 75% dei casi. Negli ultimi 10 anni sono stati riscontrati in media 100 casi all’anno.

Febbre da zecche del Colorado Il virus della febbre da zecche del Colorado è trasmesso dalla zecca dei boschi Dermacentor andersoni, presente nelle aree elevate de-gli Stati che si estendono dalle pianure centrali fi no alla costa del Pacifi co. La zecca è infettata dal virus allo stadio larvale e rimane infetta per tutta la vita. Scoiattoli e chipmunk servono da serbatoi primari. Le infezioni umane si verificano tipicamente in auto-stoppisti e campeggiatori nelle aree infestate durante la primavera e la prima parte dell’estate.

MANIFESTAZIONI CLINICHE Gli arbovirus producono sintomi da encefalite, con l’eccezione del virus West Nile e del virus della febbre da zecca del Colorado, che più comunemente si manifestano come sindrome infl uenzale e solo occasionalmente come encefalite.

Encefalite equina orientale Le infezioni da virus EEE determinano un’encefalite fulminante con rapida progressione a coma e morte in 1/3 dei casi. Nei lattanti e nei bambini, l’esordio improvviso di febbre, irritabilità e cefalea è seguito da letargia, confusione, convulsioni e coma. Si osservano temperatura elevata, protrusione della fontanella, rigidità nucale e paralisi fl accida o spastica generalizzata. Vi può essere un breve prodromo di febbre, cefalea e vertigini. A differenza di molte altre encefaliti virali, la conta leucocitaria periferica di solito evidenzia una marcata leucocitosi e il liquido cerebrospinale può evidenziare una marcata pleiocitosi. Le alterazioni patologiche si trovano nella corticale e nella sostanza grigia, con antigeni virali localizzati nei neuroni. Sono presenti necrosi dei neuroni, infi ltrazione neutrofi la e infi ltrazione perivascolare da parte di linfociti.

Encefalite equina occidentale Vi può essere un prodromo con sintomi di infezione delle vie re-spiratorie superiori. L’esordio è di solito improvviso con brividi, febbre, vertigini, capogiri, cefalea ingravescente, malessere, nausea e vomito, rigidità nucale e disorientamento. I lattanti tipicamente si presentano con l’improvvisa interruzione dell’alimentazione, agitazione, febbre e vomito protratto. Convulsioni e letargia si sviluppano rapidamente. All’esame obiettivo, i pazienti sono sonnolenti, presentano segni meningei, una perdita di forza gene-ralizzata e una riduzione dei rifl essi osteotendinei profondi. Nei lattanti si possono osservare una protrusione della fontanella, una paralisi spastica e convulsioni generalizzate. All’esame patologico sono caratteristici piccoli ascessi focali, piccole emorragie focali e aree focali di demielinizzazione.

Encefalite di St. Louis Le manifestazioni cliniche variano da una malattia lieve simil-infl uenzale a un’encefalite fatale. Vi può essere un prodromo di sintomi non specifi ci e di sottili alterazioni della coordinazione motoria o dello stato mentale, con una durata che varia da alcuni giorni a una settimana. Segni e sintomi precoci comprendono febbre, fotofobia, cefalea, malessere, nausea, vomito e rigidità nucale. Circa metà dei pazienti presenta un esordio improvviso della malattia con perdita di forza e di coordinazione, disturbi del sensorio, irrequietezza, confusione, letargia e delirio o coma. La

0.991.0-9.99�10

*Per 100.000 residenti nella contea.†Meningite, encefalite o paralisi flaccida acuta.‡Dati provvisori al 1° dicembre 2005.

Incidenza* di malattia neuroinvasiva† da virus West Nilenegli esseri umani – (USA, 2005‡)

Figura 259.3 Numero* di casi riportati di malattia neuroinvasiva † negli uomini, per settimana di esordio della malattia (USA, 2005). ‡ (Da Centers for Disease Control and Prevention: West Nile virus activity-United States, January 1-December 1, 2005, MMWR Morbid Mortal Wkly Rep 54:1253–1256, 2005.)

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Figura 259.4 Attività dei donatori di sangue viremico West Nile a fi ne 2008. (Da Centers for Disease Control and Prevention, as reported to CDC’s ArboNET system.)

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1202 ■ Parte XVII Malattie infettive

conta leucocitaria periferica è modestamente elevata e nel liquido cerebrospinale si ritrovano 100-200 cellule/mm 3 . All’autopsia, il cervello presenta focolai sparsi di danno neuronale e di infi amma-zione perivascolare.

Encefalite West Nile Gli aspetti clinici possono essere asintomatici, ma quando sono presenti comprendono un esordio improvviso di febbre elevata, cefalea, mialgie e segni non specifici con vomito, rash, dolore addominale o diarrea. La maggior parte delle infezioni si mani-festa come una malattia febbrile simil-infl uenzale, mentre una minoranza di pazienti sviluppa una meningite, un’encefalite o entrambe. Raramente, vi possono essere aritmie cardiache, mio-cardite, rabdomiolisi, neurite ottica, retinite, orchite, pancreatite o epatite. Negli Stati Uniti la malattia è stata accompagnata da linfopenia prolungata e da una paralisi asimmetrica acuta con pleiocitosi del liquido cerebrospinale e interessamento delle cellule anteriori del midollo spinale. Aspetti rilevanti ma non comuni sono stati il parkinsonismo e le patologie del movimento (con tremori e mioclono).

Encefalite della California/di La Crosse Lo spettro clinico comprende una lieve malattia febbrile, una meningite asettica e un’encefalite fatale. I bambini tipicamente si presentano con un prodromo di 2-3 giorni con febbre, cefalea, malessere e vomito. La malattia evolve con obnubilamento del sensorio, letargia e, nei casi severi, convulsioni focali o genera-lizzate. All’esame obiettivo i bambini appaiono letargici ma non disorientati. Segni neurologici focali, tra cui perdita di forza, afasia e convulsioni focali o generalizzate, sono stati riscontrati nel 16-25% dei casi. Il liquido cerebrospinale evidenzia una conta leuco-citaria da bassa a moderata. All’autopsia il cervello evidenzia aree focali di degenerazione neuronale, infi ammazione e infi ltrazione a manicotto perivascolare.

Febbre da zecche del Colorado La malattia inizia con un esordio improvviso simile all’infl uenza, con febbre elevata, malessere, artralgie e mialgie, vomito, cefalea e riduzione del sensorio. Un rash è infrequente. I sintomi scom-paiono rapidamente dopo 3 giorni di malattia. Tuttavia, in circa la metà dei pazienti, un secondo identico episodio recidiva 24-72 ore dopo il primo, producendo la tipica curva di temperatura “a sella” della febbre da zecche del Colorado. Le complicanze, comprese encefalite, meningoencefalite o una diatesi emorragica, si sviluppano nel 3-7% delle persone infette e possono essere più comuni nei bambini con meno di 12 anni.

DIAGNOSI La diagnosi eziologica di un’infezione specifi ca da arbovirus è stabilita in base alla ricerca delle IgM virus-specifi che nel siero della fase acuta ≥ 5 giorni dopo l’esordio della malattia median-te un test di immunofl uorescenza indiretta o un test ELISA di cattura delle IgM. In alternativa, i sieri della fase acuta e della convalescenza possono essere testati per un aumento di 4 volte o più del test ELISA, dell’inibizione dell’emoagglutinazione o dei titoli di anticorpi neutralizzanti IgG.

Sono in commercio kit diagnostici sierologici, specialmente per le infezioni da virus West Nile. Il siero e il liquido cerebro-spinale dovrebbero essere testati per le IgM specifi che del virus West Nile.

Tuttavia, le IgM possono rifl ettere un’infezione passata in quan-to possono durare anche 12 mesi dopo l’infezione. La diagnosi può inoltre essere stabilita con l’isolamento in colture cellulari del virus nel tessuto cerebrale ottenuto con una biopsia cerebrale o con l’autopsia, oppure con l’identificazione dell’RNA virale mediante RT-PCR.

La diagnosi di encefalite può essere agevolata dall’imaging con TC o RM e mediante elettroencefalografi a. Convulsioni focali o

alterazioni focali alla TC o alla RM o all’elettroencefalografi a devono suggerire la possibilità di un’encefalite da herpes simplex, che deve essere trattata con aciclovir ( Cap. 244 ).

TRATTAMENTO Non esiste alcun trattamento specifi co per le encefaliti da arbovirus, benché la ribovirina si sia dimostrata effi cace in caso di encefalite di La Crosse. Il trattamento dell’encefalite acuta da arbovirus consiste nella terapia intensiva ( Cap. 62 ), che comprende il controllo delle convulsioni ( Cap. 586 ).

PROGNOSI Decessi si verifi cano con tutte le encefaliti da arbovirus. Con l’ec-cezione di EEE, la maggior parte si risolve senza sequele.

Encefalite equina orientale La prognosi è migliore per i pazienti con prodromo prolungato; la comparsa di convulsioni si accompagna a prognosi sfavorevole. I tassi di mortalità nei pazienti sono del 33-75% e sono più elevati negli anziani. Defi cit neurologici residui sono comuni, soprattutto nei bambini.

Encefalite equina occidentale I tassi di mortalità nei pazienti sono del 3-9% e sono più elevati negli anziani. Sequele neurologiche maggiori sono state riportate anche nel 13% dei casi e possono raggiungere il 30% nei lattanti. Una sindrome parkinsoniana è stata riscontrata come sequela nei pazienti sopravvissuti adulti.

Encefalite di St. Louis Il principale fattore di rischio per un esito fatale è l’età avanzata, con tassi di mortalità nei pazienti che raggiungono l’80% nelle fasi precoci delle epidemie. Nei bambini, i tassi di mortalità sono del 2-5%. Negli adulti, una malattia cardiovascolare ipertensiva sottostante è stata un fattore di rischio per un esito fatale. La guari-gione dalla SLE è di solito completa, benché siano state riportate sequele neurologiche severe anche nel 10% dei bambini.

Encefalite West Nile I casi e i decessi si verifi cano soprattutto negli anziani, anche se molti studi sierologici evidenziano che persone di tutte le età sono infette. Nel 2002-2004 vi sono stati 648 decessi su 16.557 casi, un tasso di mortalità del 3,8%. Una paralisi può causare una perdita di forza permanente.

Encefalite della California/di La Crosse La guarigione dalla CE è di solito completa. Il rapporto casi:decessi è intorno all’1%.

Febbre da zecche del Colorado La guarigione dalla febbre da zecche del Colorado è di solito com-pleta. Sono stati riportati 3 decessi, tutti in persone con sintomi emorragici.

PREVENZIONE Sono disponibili vaccini uccisi per EEE, WEE e WNE per l’uso nei cavalli, mentre un vaccino ucciso sperimentale è disponibile per gli operatori di laboratorio che maneggiano il virus EEE. Gruppi di polli o fagiani sentinella vengono dislocati in varie località lungo la Costa Atlantica durante l’ultima parte dell’estate o la prima parte dell’autunno per ottenere un allarme precoce di aumentata trasmissione del virus EEE.

Nessun vaccino umano è autorizzato per le encefaliti da ar-bovirus, anche se vaccini per il WNE sono in corso di svilup-po. Vaccini WNE uccisi sono autorizzati per l’uso veterinario.

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Capitolo 260 Encefalite da arbovirus al di fuori dell’America settentrionale ■ 1203

Estesi programmi di trattamento delle acque e di disinfestazione dalle zanzare in California hanno ridotto la trasmissione del WEE e l’incidenza di infezioni umane. Le epidemie urbane di WNE e SLE negli Stati Uniti orientali, in Texas e nel Midwest sono state controllate con l’applicazione di insetticidi adulticidi a volume ultrabasso irrorati da autocarri o da aeroplani a bassa quota.

Poiché le infezioni nei bambini possono verifi carsi in seguito alla puntura di zanzare in aree residenziali durante le giornate estive, per prevenire la malattia può essere utile eliminare le aree di riproduzione delle zanzare, utilizzare repellenti per gli insetti e raccomandare ai bambini di giocare in aree aperte e soleggiate lontano dai confi ni delle aree boschive.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 260 Encefalite da arbovirus al di fuori dell’America settentrionale Scott B. Halstead

Le cause principali di encefalite da arbovirus al di fuori del Nord America sono il virus dell’encefalite equina del Venezuela (VEE), il virus dell’encefalite giapponese (JE), l’encefalite da zecche e il virus West Nile (WN) ( Tab. 260.1 ).

260.1 Encefalite equina del Venezuela Scott B. Halstead

Il virus VEE è stato isolato da un’epizoozia in cavalli venezuelani nel 1938. Casi umani sono stati identifi cati per la prima volta nel 1943. Negli ultimi 70 anni si sono verifi cati centinaia di migliaia di casi umani ed equini. Nel 1971, le epizoozie si sono spostate attraverso l’America centrale e il Messico verso il Texas. Dopo due decenni di quiescenza, la malattia epizootica è riemersa in Venezuela e in Colombia nel 1995.

EZIOLOGIA Il VEE è un alfavirus della famiglia delle Togaviridae. Il VEE circola in natura in 6 sottotipi. I virus di tipo I e III hanno diverse varianti antigeniche. I tipi IAB e IC hanno causato epizoozie ed epidemie umane.

EPIDEMIOLOGIA La maggior parte delle epizoozie derivate dai tipi IAB e IC si è verificata in Venezuela e Colombia. Il virus risiede in mal defi niti serbatoi selvatici nelle foreste pluviali sudamericane. Gli ospiti noti comprendono i roditori e gli uccelli acquatici con la trasmissione da parte delle zanzare della specie Culex melaconion . I vettori per la trasmissione da cavallo a cavallo e da persona a persona comprendono le zanzare delle specie Aedes taeniorhynchus e Psoropora confi nnis. Le epizoozie si spostano rapidamente, anche diverse miglia al giorno. I casi umani sono proporzionali alle epizoozie e le seguono nel tempo. I livelli viremici nel sangue umano sono abbastanza elevati da infettare le zanzare. Poiché il virus può essere recuperato da tamponi faringei umani e i tassi di attacco a livello domestico possono giungere al 50%, è opinione diffusa che sia possibile la trasmissione da persona a persona, anche se ne mancano evidenze dirette. I virus di tipo II-VI sono limitati a focolai relativamente piccoli; ognuno possiede un’unica relazione vettore-ospite e raramente causa infezioni umane.

MANIFESTAZIONI CLINICHE Il periodo di incubazione è di 2-5 giorni, seguito dall’esordio improvviso di febbre, brividi, cefalea, faringodinia, mialgia, ma-lessere, prostrazione, fotofobia, nausea, vomito e diarrea. Nel 5-10% dei casi, la malattia è bifasica; la 2a fase è annunciata da convulsioni, vomito a getto, atassia, confusione, agitazione e lievi disturbi della coscienza. Sono presenti linfoadenopatia cervicale e iniezione congiuntivale. Nella meningoencefalite vi può essere paralisi dei nervi cranici , debolezza dei muscoli motori, paralisi, convulsioni e coma. L’esame microscopico dei tessuti dimostra infi ltrati infi ammatori in linfonodi, milza, polmoni, fegato e cer-vello. I linfonodi presentano deplezione cellulare, necrosi dei centri germinali e linfofagocitosi. Il fegato evidenzia degenerazione epatocellulare focale, i polmoni presentano una polmonite inter-stiziale diffusa con emorragie intra-alveolari e il cervello mostra infi ltrati cellulari focali.

DIAGNOSI La diagnosi eziologica di VEE si pone con la ricerca delle IgM specifi che nel siero della fase precoce della malattia o, in alterna-tiva, dimostrando un aumento di 4 volte o più del titolo delle IgG nel siero della fase acuta e della convalescenza. Il virus può essere identifi cato con la PCR.

TRATTAMENTO Non esiste un trattamento specifi co per la VEE. Il trattamento consiste nella terapia intensiva di supporto ( Cap. 62 ), compreso il controllo delle convulsioni ( Cap. 586 ).

PROGNOSI Nei pazienti con meningoencefalite, il tasso di fatalità varia dal 10 al 25%. Le sequele comprendono nervosismo, perdita della memoria, cefalee ricorrenti e facile affaticabilità.

PREVENZIONE Sono disponibili diversi vaccini veterinari per la protezione degli equini. Il virus VEE è altamente infettivo in laboratorio, per cui devono essere usati contenitori BL-3. È disponibile un vaccino sperimentale per gli operatori di laboratorio.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Tabella 260.1 VETTORI E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELL’ENCEFALITE DA ARBOVIRUS AL DI FUORI DEL NORD AMERICA

GENERE VIRUS E MALATTIA VETTORE DISTRIBUZIONE

GEOGRAFICA

Flavivirus Encefalite giapponese

Culex tritaeniorhynchus

Asia/dal Giappone allo Sri Lanka

Encefalite della Murray Valley

Culex annulirostris Australia orientale

Rocio Psorophora o Aedes San Paolo, BrasileWest Nile Culex e altri Dall’Europa all’AustraliaEncefalite

da zecche Ixodes ricinus Europa Ixodes persulcatus Russia

Togavirus Encefalite equina del Venezuela

Culex e altri Sud America settentrionale

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1204 ■ Parte XVII Malattie infettive

260.2 Encefalite giapponese Scott B. Halstead

Epidemie di encefalite sono state riportate in Giappone dalla fi ne del XIX secolo.

EZIOLOGIA Il virus JE è un virus a RNA a fi lamento singolo, a senso positivo, della famiglia delle Flaviviridae.

EPIDEMIOLOGIA La JE è una malattia virale trasportata dalle zanzare, che colpisce gli esseri umani come anche gli equini, i suini e altri animali domestici, che provoca infezioni umane e malattia acuta in una vasta area dell’Asia, dal Giappone settentrionale a Corea, Cina, Taiwan, Filippine, all’arci-pelago indonesiano e all’Indocina attraverso il subcontinente indiano. Il Culex tritaeniorhynchus summarosus, una zanzara che punge di notte e che si nutre preferibilmente su grossi animali domestici e su uccelli ma solo raramente su esseri umani, è il principale vettore della JE zoonotica e umana dell’Asia settentrionale. In Asia meridionale prevale un’ecologia più complessa. Da Taiwan all’India, sono vettori la zanzara Culex tritaeniorhynchus summarosus e i membri del gruppo strettamente correlato Culex vishnui . Prima dell’introduzione del vaccino per la JE, epidemie estive si verifi cavano regolarmente in Giappone, Corea, Cina, Okinawa e Taiwan. Nel decennio scorso, si è manifestato un pattern di epidemie stagionali ricorrenti e progres-sivamente più ampie in Vietnam, Tailandia, Nepal e India, con piccole epidemie nelle Filippine, Indonesia e nell’estremità settentrionale del Queensland, in Australia. Le piogge stagionali sono accompagnate da un aumento delle popolazioni di zanzare e da un aumento della trasmissione. I maiali servono da ospiti amplifi canti. L’incidenza annuale nelle aree endemiche varia da 1 a 10/100.000 abitanti. Sono principalmente interessati i bambini < 15 anni di età , con un’esposizione pressoché universale entro l’età adulta. Il rapporto casi:infezioni per il virus JE è stato variamente stimato da 1:25 a 1:1.000. Rapporti più elevati sono stati stimati per le popolazioni indigene delle aree enzootiche. La JE si verifi ca nei viaggiatori che visitano l’Asia, per cui è fondamentale un’anamnesi del viaggio per la diagnosi di encefalite.

MANIFESTAZIONI CLINICHE Dopo un periodo di incubazione di 4-14 giorni, i casi tipicamente progrediscono attraverso 4 stadi: malattia prodromica (2-3 giorni), stadio acuto (3-4 giorni), stadio subacuto (7-10 giorni) e convale-scenza (4-7 settimane). L’esordio può essere caratterizzato da febbre improvvisa, cefalea, sintomi respiratori, anoressia, nausea, dolore addominale, vomito e alterazioni del sensorio, compresi episodi psicotici. Convulsioni tipo grande male si osservano nel 10-24% dei bambini; si osservano meno frequentemente tremore non in-tenzionale simil-parkinsoniano e rigidità a ruota dentata. Partico-larmente caratteristici sono i segni e sintomi rapidamente variabili a carico del SNC (ad es. iperrefl essia seguita da iporefl essia o da risposte plantari variabili). Lo stato del sensorio del paziente può variare da confusione, disorientamento, delirio o sonnolenza fi no alla progressione al coma. Di solito è presente una lieve pleiocitosi (100-1.000 leucociti/mm 3 ) nel liquido cerebrospinale, inizialmente polimorfonucleato ma in pochi giorni prevalentemente linfocitario. È comune un’albuminuria. I casi fatali progrediscono rapidamente al coma e il paziente muore entro 10 giorni.

DIAGNOSI Una JE deve essere sospettata nei pazienti che riportano esposizione a zanzare che pungono di notte nelle aree endemiche durante la stagione della trasmissione. La diagnosi eziologica di JE è stabilita

in base all’esame di un campione di siero della fase acuta raccolto nelle prime fasi della malattia per la presenza di IgM specifi che o, in alternativa, con la dimostrazione di un aumento di 4 volte o più dei titoli di IgG esaminando campioni della fase acuta e della convalescenza. Il virus può essere identifi cato anche con la PCR.

TRATTAMENTO Non esiste alcun trattamento specifi co per la JE. Esso consiste nella terapia intensiva di supporto ( Cap. 62 ), compreso il controllo delle convulsioni ( Cap. 586 ).

PROGNOSI Il tasso di mortalità nei pazienti è del 24-42% ed è più elevato nei bambini di 5-9 anni di età e nelle persone con più di 65 anni. La frequenza delle sequele è del 5-70% ed è direttamente correlata all’età del paziente e alla severità della malattia. Le sequele sono particolarmente frequenti nei pazienti con meno di 10 anni all’esor-dio della malattia. Le sequele più comuni sono deterioramento mentale, severa instabilità emotiva, alterazioni della personalità, anomalie motorie e disturbi del linguaggio.

PREVENZIONE I viaggiatori in aree endemiche che soggiornano in aree rurali del-le regioni endemiche durante il periodo previsto di trasmissione stagionale e quelli che viaggiano in aree di trasmissione endemica, devono essere vaccinati con il vaccino per la JE. Un vaccino inatti-vato prodotto in Giappone dall’iniezione intracerebrale in giovani topi e disponibile nel mondo è stato ritirato dal mercato per alta incidenza di eventi avversi. Nel 2008-2009, il vaccino per JE basato su colture tissutali (IXIARO) è stato registrato in Europa, Australia ed USA. Negli Stati Uniti, questo vaccino (denominato anche IC51) è registrato per l’uso in ragazzi e adulti. Per questo vaccino, il virus JE viene cresciuto in cellule Vero, quindi inattivato in formalina e somministrato per via intramuscolare in due dosi da 0,5 mL, a distanza di 28 giorni. La dose fi nale andrebbe completata almeno 1 settimana prima dell’arrivo del paziente nell’area endemica per JE. Questo vaccino contiene allume e solfato di protamina e ha mostrato solo eventi avversi lievi. Un vaccino per JE in singola dose con virus vivo attenuato ed altamente effi cace è stato sviluppato in Cina per bambini ed è registrato e distribuito in alcuni Paesi asiatici. Questo vaccino può essere cosomministrato con vaccino vivo atte-nuato contro il morbillo senza modifi care le risposte immunitarie di entrambi i vaccini. Negli esseri umani, una pregressa infezione da virus dengue offre una protezione parziale dalla JE clinica.

Occorre prendere misure personali per ridurre l’esposizione alle punture di zanzara, specialmente per i residenti a breve termine nel-le aree endemiche. Le misure consistono nell’evitare l’esposizione all’aperto di sera, utilizzando repellenti per insetti, ricoprendo il corpo con abiti e utilizzando zanzariere o schermi per le fi nestre.

I pesticidi commerciali, ampiamente usati dai coltivatori di riso in Asia, sono effi caci nel ridurre le popolazioni di C. tritaeniorhyn-chus. Fention, fenitrothion e fentoato sono effi caci come come insetticidi su zanzare adulte e su larve. Gli insetticidi possono essere applicati con spruzzatori portatili o con elicotteri o aerei leggeri.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

260.3 Encefalite da zecca Scott B. Halstead

L’encefalite da zecche ( Tick-Borne Encephalitis , TBE) è stata iden-tifi cata da scienziati russi nel 1937; successivamente ne è stata dimostrata la diffusione in Europa, dove è stata identifi cata come causa di encefalite diffusa attraverso il latte.

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Capitolo 261 Febbre dengue e febbre dengue emorragica ■ 1205

EZIOLOGIA Il virus della TBE è un virus a RNA a fi lamento singolo, di senso positivo, della famiglia delle Flaviviridae.

EPIDEMIOLOGIA L’encefalite da zecche si riferisce a un’infezione fl avivirale neuro-tropica trasmessa dalle zecche che si verifi ca nell’area eurasiatica. In Estremo Oriente, la malattia è chiamata encefalite russa della primavera-estate ; la forma lieve, spesso bifasica, in Europa è sem-plicemente chiamata encefalite da zecche. La TBE si trova i tutti i Paesi europei tranne il Portogallo e i Paesi del Benelux. L’incidenza è particolarmente elevata in Austria, Polonia, Ungheria, Repub-blica Ceca, Slovacchia, ex Jugoslavia e Russia. L’incidenza tende a essere molto focalizzata. La sieroprevalenza può raggiungere il 50% nei lavoratori dell’agricoltura e forestali. La maggior parte dei casi si verifi ca negli adulti, ma anche i bambini piccoli possono infettarsi giocando nei boschi o durante un picnic o in campeggio. La distribuzione stagionale dei casi è la mezza estate nell’Europa meridionale, con una stagione più lunga in Scandinavia e nell’Estre-mo Oriente russo. Il latte di capra, pecora o vacca possono essere veicolo di TBE. Prima della Seconda Guerra Mondiale, quando il latte era consumato non pastorizzato, i casi trasmessi attraverso il latte erano comuni.

I virus sono trasmessi principalmente da zecche dure come Ixodes ricinus in Europa e Ixodes persulcatus in Estremo Oriente. La circolazione del virus è mantenuta da una combinazione tra una trasmissione dalle zecche a uccelli, roditori e grossi mammiferi e una trasmissione trans-stadiale dagli stadi larvali a quelli di ninfa e adulto. In alcune parti dell’Europa e della Russia, le zecche si nutro-no attivamente durante la primavera e la prima parte dell’autunno, dando origine al nome “encefalite della primavera-estate”.

MANIFESTAZIONI CLINICHE Dopo un periodo di incubazione di 7-14 giorni, la forma europea inizia come malattia febbrile non specifica seguita nel 5-30% dei casi da meningoencefalite. La varietà dell’Estremo Oriente risulta più spesso in encefalite con tassi più elevati di mortalità e di sequele. La 1 a fase della malattia è caratterizzata da febbre, cefalea, mialgie, malessere, nausea e vomito per 2-7 giorni. La febbre scompare e dopo 2-8 giorni può ritornare accompagnata da vomito, fotofobia, segni di irritazione meningea nei bambini e segni di encefalite più severi negli adulti. Questa fase dura raramente più di 1 settimana.

DIAGNOSI La diagnosi di TBE deve essere sospettata nei pazienti che riferi-scono un morso di zecca in aree endemiche durante la stagione di trasmissione. La diagnosi eziologica di TBE si pone con la ricerca nel siero della fase acuta raccolto nella fase precoce della malattia delle IgM specifi che o, in alternativa, con la dimostrazione di un aumento di 4 volte o più dei titoli delle IgG nei sieri della fase acuta e della convalescenza. Il virus può essere identifi cato anche con la PCR.

TRATTAMENTO Non esiste un trattamento specifi co per la TBE. Esso consiste in una terapia intensiva di supporto ( Cap. 62 ), compreso il controllo delle convulsioni ( Cap. 586 ).

PROGNOSI Il rischio principale per un esito fatale è l’età avanzata; il tasso di mortalità negli adulti è dell’1% circa, ma le sequele nei bambini sono rare. Negli adulti, una complicanza comune è una paralisi

unilaterale transitoria di un’estremità superiore. Le sequele comuni comprendono affaticabilità cronica, cefalea, disordini del sonno e disturbi emotivi.

PREVENZIONE Ig specifi che sono state somministrate alle persone con esposizione stagionale al morso di zecca, anche se l’effi cacia di questa terapia preventiva non è stata ben studiata. In Russia ed Europa sono approvati per la vendita vaccini inattivati effi caci per l’uso umano, preparati da virus cresciuti in colture di tessuti. Essi sono sommini-strati in un ciclo di 3 dosi simile a quello del vaccino per la JE.

BIBLIOGRAFIA Per la bibliografi a completa, consultare il sito internet www.expertconsult.com .

Capitolo 261 Febbre dengue e febbre dengue emorragica Scott B. Halstead

La febbre dengue, una sindrome benigna causata da diversi ar-bovirus, è caratterizzata da febbre bifasica, mialgie o artralgie, rash, leucopenia e linfoadenopatia. La febbre dengue emorragica (febbre emorragica di Singapore, delle Filippine o thailandese; dengue emorragica, porpora trombocitopenica infettiva acuta) è una malattia severa, spesso fatale, causata dai virus dengue. È caratterizzata da permeabilità capillare, anomalie dell’emostasi e, nei casi severi, da una sindrome da shock proteino-disperdente ( sindrome da shock della dengue ), che si ritiene avere una base immunopatologica.

EZIOLOGIA Esistono almeno quattro distinti tipi antigenici di virus dengue, membri della famiglia delle Flaviviridae. Inoltre, tre altri arbovirus causano malattie febbrili simili o identiche con rash ( Tab. 261.1 ).

EPIDEMIOLOGIA I virus dengue sono trasmessi dalle zanzare della famiglia Ste-gomyia. L’ Aedes aegypti , una zanzara che punge di giorno, è il principale vettore e tutti e 4 i tipi di virus vi sono stati isolati. Nella maggior parte delle aree tropicali, l’ A. aegypti è altamente urbana, si riproduce nell’acqua conservata a scopo potabile o per il bagno e nell’acqua piovana raccolta in qualsiasi contenitore. I virus dengue sono stati ritrovati anche nell’ Aedes albopticus , come nell’epidemia del 2001 nelle Hawaii, mentre epidemie nell’area del Pacifi co sono state attribuite a diverse altre specie di Aedes . Queste

Tabella 261.1 VETTORI E DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE MALATTIE TIPO DENGUE

VIRUS GENERE GEOGRAFICO E MALATTIA VETTORE DISTRIBUZIONE

Togavirus Chikungunya Aedes aegypti Africa, India, Asia sud-orientale

Aedes africanus Togavirus O’nyong-nyong Anopheles funestus Africa orientaleFlavivirus Febbre West Nile Culex molestus Europa, Africa, Medio

Oriente, India Culex univittatus

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