VIAGGIO ALLA RICERCA DELLE “RADICI” EUROPEE · Da qui la scelta di intraprendere un viaggio di...

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1 VIAGGIO ALLA RICERCA DELLE “RADICI” EUROPEE INDICE Radici cristiane? Una campagna mistificatoria! 1. RADICI GRECHE 1.1 RADICI LINGUISTICHE 1.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ GRECA 1.2.1 La rivoluzione scientifica: una svolta moderna o greca? 1.2.2 I “valori” greci: parte integrante della cultura europea? Il primato dell’etica in Socrate L’uomo artefice del suo destino L’esigenza platonica di coniugare il “sapere” e il “potere” 2. RADICI ROMANE 2.1 RADICI LINGUISTICHE 2.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ ROMANA 2.2.1 Uguaglianza dei cittadini: ma… quale? 2.2.2 Il linguaggio politico: un’eredità solo linguistica? 2.2.3 I Romani: i pionieri della “globalizzazione”? 3. RADICI GOTICHE E LONGOBARDE Noi e i barbari 4. RADICI ARABE 4.1 RADICI LINGUISTICHE 4.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ ARABA Dallo zero alla carta Lo jihād islamico: l’equivalente del combattimento interiore di S. Paolo? Buonismo o forza militare? È vero o no che l’Occidente (in primis l’Europa) non si ama? 5. RADICI EBRAICHE 5.1 Il Signore degli eserciti: un Essere molto simile al Dio dei kamikaze islamici? 5.2 Le leggi del monte Sinai: norme che hanno permeato la cultura europea? 5.3 Eredità linguistica

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VIAGGIO ALLA RICERCA DELLE “RADICI” EUROPEE

INDICE

Radici cristiane? Una campagna mistificatoria! 1. RADICI GRECHE 1.1 RADICI LINGUISTICHE 1.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ GRECA 1.2.1 La rivoluzione scientifica: una svolta moderna o greca? 1.2.2 I “valori” greci: parte integrante della cultura europea? Il primato dell’etica in Socrate L’uomo artefice del suo destino L’esigenza platonica di coniugare il “sapere” e il “potere” 2. RADICI ROMANE 2.1 RADICI LINGUISTICHE 2.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ ROMANA 2.2.1 Uguaglianza dei cittadini: ma… quale? 2.2.2 Il linguaggio politico: un’eredità solo linguistica? 2.2.3 I Romani: i pionieri della “globalizzazione”? 3. RADICI GOTICHE E LONGOBARDE Noi e i barbari 4. RADICI ARABE 4.1 RADICI LINGUISTICHE 4.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ ARABA Dallo zero alla carta Lo jihād islamico: l’equivalente del combattimento interiore di S. Paolo? Buonismo o forza militare? È vero o no che l’Occidente (in primis l’Europa) non si ama? 5. RADICI EBRAICHE 5.1 Il Signore degli eserciti: un Essere molto simile al Dio dei kamikaze islamici? 5.2 Le leggi del monte Sinai: norme che hanno permeato la cultura europea? 5.3 Eredità linguistica

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6. RADICI INDOEUROPEE 6.1 Un filo diretto tra Europa, India e Iran 6.2 La parentela tra “orfano” e “robot” 7. RADICI CRISTIANE 7.1 L’uguaglianza di diritti: un valore cristiano? 7.2 Quale Cristianesimo? 7.3 Le crociate e… la crociata di Bush 7.4 Le chiese cristiane: storiche fabbriche di odio teologico? 7.5 Libertà di coscienza: un valore cristiano o anti-cristiano? 7.6 “Cristiani” o “cittadini”? 7.7 Good-bye! Grüβ Gott! Spasibo! 7.8 La religione: un fatto “privato” o anche “pubblico”? La fine di un viaggio e un altro da intraprendere BIBLIOGRAFIA

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VIAGGIO ALLA RICERCA DELLE “RADICI” EUROPEE

“Se si cerca l’essenza dell’Europa non si trova

che uno ‘spirito europeo’ evanescente e asettico.” (Edgar Morin, Pensare l’Europa, Feltrinelli, Milano 1988, p. 29)

Radici cristiane? Una campagna mistificatoria! Radici cristiane? Ma quali mai? Emanuele non riesce a sopportare la campagna mistificatoria condotta in prima persona da papi e politici sulle radici dell’Europa. Egli è convinto dell’esatto contrario: se ci sono dei valori comuni a cui si ispirano gli europei oggi, questi sono nati proprio contro il Cristianesimo! Non è forse contro il fanatismo delle chiese cristiane, contro i roghi da esse accesi per secoli che è maturato il valore della libertà di coscienza? Non è contro il connubio tra chiese e potere politico che si è affermato il valore della laicità dello Stato? E che dire poi dell’uguaglianza? Non è fare violenza alla verità storica ancorarla al Cristianesimo quando è lo stesso Nuovo Testamento a riconoscere la schiavitù e ad indicare i doveri degli schiavi verso i loro padroni? Come è possibile radicare la democrazia nel Cristianesimo quando è lo stesso S. Paolo che fa derivare il potere politico da Dio? Come si può “battezzare” la pace quando i cristiani (di ogni chiesa), spesso e volentieri, hanno strumentalizzato Dio per giustificare e addirittura santificare le guerre più inique per poi ringraziarlo, a vittoria ottenuta, con solenni Te Deum? Emanuele non è per nulla antireligioso. Ha alle spalle letture prevalentemente laiche, ma è anche innamorato di certe letture del Cristianesimo. Sì, letture. Egli è convinto che non esista il Cristianesimo, ma esistano differenti interpretazioni (letture, appunto) del Cristianesimo: non è un caso che al messaggio di Cristo i cristiani, in duemila anni, hanno fatto dire tutto e il contrario di tutto! È per questo che ritiene che non abbia alcun senso andare alla ricerca delle radici cristiane dell’Europa. Quali radici? S. Francesco o i Torquemada della Santa Inquisizione? Celestino V o Bonifacio VIII? Le Crociate o gli accorati appelli contro la guerra di Giovanni Paolo II? Non lo convince neppure chi va alla ricerca di altre radici. Radici classiche? Sì, ci sono, ma… che cosa c’è di comune tra l’europeo tecnologico di oggi e il puro ricercatore della verità presente nella civiltà greca? E poi come potrebbero essere isolate le radici greche dal grande debito che la Grecia ha avuto nei confronti delle civiltà orientali? Non è, inoltre, disonesto – al fine di sottolineare i nostri nobili natali – enfatizzare le radici latine dimenticando il significativo influsso delle popolazioni barbare e degli stessi arabi? Emanuele ha l’impressione di assistere ad esercitazioni puramente accademiche. Gli sembra davvero patetica la ricerca dello spirito europeo, dell’uomo europeo. Ma quale uomo europeo? L’Europa – quella che si sta creando – non c’è mai stata! Tanto meno uno… spirito europeo! Quella che oggi si chiama Europa è stata nella storia un melting pot, un crogiolo di popoli ciascuno dei quali ha lasciato, anche se in misura diversa, una sua traccia. Un dubbio lo tormenta: tutto il battage pubblicitario sulle radici classico-cristiane dell’Europa non è stato, forse, un elegante stratagemma finalizzato a tenere la Turchia fuori dall’Unione europea? Perché mai un tale paese dovrebbe essere lasciato fuori dalla porta – dopo decenni di attesa – considerato che la cosiddetta Europa non ha mai avuto confini geografici definiti e che la cultura araba ha inciso in modo considerevole sui cosiddetti paesi europei? Non è stata la Turchia la prima culla della stessa filosofia greca e una delle aree in cui si sono diffuse le prime comunità cristiane? Negli ultimi decenni, inoltre, la Turchia, oltre ad essere membro effettivo della Nato, non si è trasformata nel

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paese arabo più europeo? Non c’è stato, infine, un periodo in cui il medio-oriente e i paesi nord-africani erano decisamente più europei (se riteniamo la cultura latina una delle matrici dell’Europa) di quelli del nord Europa? Che senso ha, allora, una crociata ideologica in nome di una (presunta) identità europea costruita su misura, quando poi, di fatto, sono le esigenze economiche che oggi hanno assunto il ruolo preponderante? Che cos’è, infatti, se non la sfida degli Usa e dei Paesi emergenti (in primis la Cina) a rendere vantaggiosa l’Unione europea?

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1. RADICI GRECHE 1.1 RADICI LINGUISTICHE

“Il greco oggi è letto da pochi specialisti […] Eppure il nostro modo di pensare si è formato nella Grecia antica […] Se ignoriamo l’Ellade non ci capiamo più, per una ragione profonda:

mentalmente siamo nati lì.” (Vittorio Mathieu, Le radici classiche dell’Europa, Spirali, Milano 2002, p. 9)

Sensazioni, impressioni. Emanuele, però, vuole andare oltre. Il tema lo intriga: lo intriga non solo dal punto di vista culturale, ma anche perché è consapevole che tocca ai giovani far uscire l’Europa dalle secche in cui si è trovata dopo le sonore bocciature subite dal referendum francese e da quello olandese. Da qui la scelta di intraprendere un viaggio di ricerca. Un viaggio a 360°, senza percorsi precostituiti (per quanto è umanamente possibile): non ha nulla, infatti, da difendere a tutti i costi. Per questo si sceglie una

compagna di viaggio che sa di essere su posizioni antitetiche alle sue: Alessandra. È la sua ragazza. Una ragazza letteralmente animata dai valori cristiani, entusiasta frequentatrice delle ultime giornate mondiali della gioventù (Roma, Toronto e Colonia), amareggiata per il mancato riconoscimento nel Trattato costituzionale delle radici cristiane. Per lei la proposta di Emanuele è una sorta di invito a nozze che accoglie con grande piacere. Si danno una scadenza: tre mesi. Tre mesi propedeutici: il viaggio è impegnativo e richiede un buon lavoro di preparazione. Si procurano una bibliografia, ricorrendo anche a Internet, e si dividono i compiti, ciascuno in base alla sua sensibilità. Più leggono, più accresce la loro curiosità. Spaziano su tutto: dal patrimonio linguistico a quello dei valori. Ogni lettura ne sollecita altre: non solo libri, ma anche riviste e quotidiani. Per ridurre i costi, fanno ampio uso di biblioteche e di emeroteche. Finalmente… si parte. La prima tappa del viaggio (virtuale, naturalmente): Atene, più precisamente l’Acropoli di Atene. È qui che ricercano in che misura il linguaggio e i valori della Grecia classica hanno segnato la cultura dei paesi europei. A guidare il dialogo è Alessandra: è lei che, in questo ambito, ha le carte da giocare avendo fatto gli studi classici. Dal ginnasio alla… pedofilia È qui, in Grecia, che noi europei siamo in qualche misura nati: forse non lo sai, ma noi parliamo in greco. In greco? Ma la nostra non è una lingua neo-latina? Sì, ma il patrimonio lessicale greco che noi conserviamo nella nostra lingua è immenso. Immenso? Ma non siamo di fronte a un lessico da specialisti? Macché specialisti! Abbiamo fatto ricerca per mesi nelle biblioteche e nelle emeroteche, abbiamo consultato la bibliografia: non siamo di fronte a parole composte da termini greci? “Biblíon” vuol dire libro, “graphía” descrizione, “hēméra” giorno. Non sono termini tecnici? Tecnici? Pensa alla parola Bibbia: che cosa significa mai se non i libri per eccellenza, i libri sacri, rivelati da Dio? Non è un caso che Mathieu suggerisca di dire “le Bibbia” e non “la Bibbia”. Prova a pensare a quante parole italiane contengono il termine graphía? Mi vengono in mente geografia, calligrafia, ortografia.

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Termini tecnici, questi? No. Tu stai parlando in greco. Geo – lo sai da un noto programma televisivo – significa “terra” e deriva da “ghê”. Letteralmente, quindi, geografia vuol dire “descrizione della terra”. “Ghê” si trova anche in geometria, geologia, geocentrismo. Come vedi, non si tratta di termini troppo tecnici: li troviamo già alle elementari. “Logia”, poi, si trova come suffisso in molte parole italiane. Ad esempio, teologia, antropologia. Infatti: “theós” vuol dire “dio” e “ánthropos” “uomo”. Da qui anche misantropo. Esatto. “Logia”, poi, deriva da “lógos” che ha più significati: discorso, parola, ragione. In questo caso si tratta, naturalmente, di “studio”, “scienza”. Infatti. Ma che cosa c’entrano le parole calligrafia e ortografia con “descrizione”? Graphía significa anche scrittura. Calligrafia significa, infatti “bella scrittura”. Dire “bella calligrafia”, allora, è dire… bella bella scrittura! Infatti. Il termine greco che sta per “bello”, poi, viene usato spessissimo qui ad Atene. In quale parola? Non hai ancora sentito “Buon giorno”? Ah! Kalí méra. I greci, allora, non dicono “buon” giorno, ma “bel” giorno! Infatti. Per loro, tuttavia, “kalós” (bello) ha un significato che va oltre la sua valenza estetica: bello significa sia bello che buono. Sono i greci che hanno inventato la categoria del “bello”: erano dei veri e propri cultori della bellezza. Della bellezza del corpo, in primo luogo. Lo sai che attribuivano un grande valore alla ginnastica. Ah, sai da dove deriva ginnastica? Come potrei saperlo? Siamo in presenza di un’origine curiosissima: deriva da “gymnós” che significa “nudo”. Ma che rapporto c’è tra nudo e ginnastica? I giovani, sia maschi che femmine, facevano i loro esercizi ginnici (con l’accompagnamento musicale) letteralmente nudi e unti di olio. E sai dove li facevano? Dove? Nel… ginnasio. Ah, ora capisco perché inglesi, francesi e spagnoli usano ancora oggi il termine “ginnasio” per indicare la palestra: vedi gymnasium, gymnase, gimnasio. È attraverso questi esercizi che puntavano a raggiungere la bellezza del corpo, bellezza intesa come proporzione, armonia, equilibrio tra le parti. È qui al ginnasio, quindi, che gli adulti maschi si invaghivano dei ragazzini! In genere, sì: erano adulti (liberi) di sicuro appartenenti a una classe sociale agiata se avevano il tempo per frequentare il ginnasio. Ricchi e depravati! Perché depravati? Non puoi valutare tale fenomeno con i parametri di oggi: non dimenticarti che noi abbiamo alle spalle duemila anni di Cristianesimo! Ma qui siamo di fronte ad un legame immorale. Ma per i greci non lo era. Anzi: il legame che si creava tra un adulto maschio (amante) e un giovinetto assumeva proprio una dimensione “morale”. Non esagerare! Era considerato importante ai fini dell’introduzione degli “amati” alla vita adulta e alla stessa vita sessuale. E dove sarebbe la moralità?

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Il ruolo dell’adulto era di fatto quello di… maestro di vita: un ruolo… pedagogico. In tale quadro culturale, di conseguenza, il rapporto omosessuale non era per nulla contrapposto a quello eterosessuale. Mi viene in mente, a proposito, Socrate: non era, nello stesso tempo, eterosessuale e omosessuale? Infatti. Ora Socrate non era un uomo di grande statura morale? Si tratta di un atteggiamento che va, quindi, inquadrato nella cultura del tempo. Una cultura lontanissima dalla nostra! Sono d’accordo con te. Ma ciò che scandalizza è il fatto che la pedofilia è tutt’altro che scomparsa! Una pedofilia che è ancora più malvagia di quella classica: oggi, infatti, i bambini vengono sfruttati e basta! Purtroppo è presente perfino nella Chiesa cattolica. Perfino nel clero! Purtroppo, sì. I termini sessuali che stiamo usando sono tutti - immagino – di derivazione greca. Infatti. Pedofilia deriva da “philêin” che significa “amare” e “pâis” (paidós al genitivo) che vuol dire “bambino”. Come pederastia, pediatria. Esatto. Ma perché omosessuale non si riferisce solo ai maschi? Perché “omo” non ha che fare col latino “homo”, ma col greco “ómoios”, che significa “simile”: l’omosessuale, quindi, è chi ama un individuo dello stesso sesso. “Héteros”, invece, significa “diverso”: da qui, appunto, eterosessuale. Torniamo alla bellezza greca. Si tratta di un tipo di bellezza – lo ricordo bene dalla storia dell’arte – che è ben rappresentato dalla sculture di Fidia e di Prassitele. Sì, erano proprio i loro nudi che rappresentavano il “modello” di uomo che avevano i greci. Un modello che, a dire il vero, non si riduceva alla bellezza fisica, ma includeva anche la bellezza… spirituale, cioè qualità, doti, competenze: un modello di bellezza, cioè, nello stesso tempo esteriore e interiore. È quello che i greci chiamavano kalós kai agathós (bello e buono), o meglio, fondendo le parole, kalokágathos. Ma… questo era il modello degli aristocratici, non certo dei ceti popolari. Tanto meno degli schiavi che erano numerosi ad Atene! Hai ragione. Hai detto “aristocratici”: si tratta di un’altra parola di derivazione greca. Come democrazia. Ascesi come lo… jihād islamico Esatto. Aristocrazia significa etimologicamente “governo dei migliori” (áristoi), così come democrazia significa “governo del popolo” (da dêmos). Macché governo del popolo! La democrazia ateniese era il governo di una élite, il governo – di fatto – dei proprietari di schiavi! Da essa non solo erano esclusi gli schiavi, ma anche le donne e i numerosissimi stranieri che lavoravano in città. Hai perfettamente ragione. Ma ora continuiamo con la nostra navigazione linguistica. Ti offendo se ti chiedo come si chiamava il governo di uno solo? Questo lo si sa dalle elementari: monarchia. E oligarchia era il governo dei ricchi. Come vedi, il lessico politico di base che ancora oggi usiamo è greco. Qui abbiamo utilizzato un termine nuovo “archía” che deriva da “arché” che significa “principio”. Immagino che abbia anche il significato di “antico”: penso ad archivio, archeologia. Esatto: proprio perché il “principio” viene prima, è “antico”. Ma nel caso di oligarchia “archía” non significa né principio né antico. Proprio così: arché significa, infatti, anche “comando”. “Mono”, poi, si trova in molte altre parole.

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In monoteismo, ad esempio. In monaco, almeno presumo. Sì: monaco etimologicamente significa chi vive da solo. Ma non vivono in comunità i monaci? In Occidente – come sai – è prevalso il monachesimo cosiddetto cenobita (“koiné”, in greco significa “comune”). In Oriente, invece, dove si sono diffuse le prime forme di monachesimo, i monaci vivevano isolati, lontani dalla civiltà del benessere (diremmo noi oggi), facendo penitenza. Vivevano cioè da asceti. Un altro termine greco? Sì: “áskesis” significa “sforzo”. È un concetto che si trova anche nello jihád islamico (in arabo è maschile): si tratta di un combattimento interiore. “Mónos”, poi, oltre che nelle parole che abbiamo citato, si trova in molte altre. Come monologo, monopolio. Certo. Così anche “óligoi”. Vedi acqua oligominerale: no? Sicuramente. Come oligopolio. L’oligopolio, a differenza del monopolio (che si verifica quando un’unica impresa… monopolizza il mercato e, quindi, impone i prezzi che vuole), non indica il potere sul mercato di poche aziende (“óligoi” significa, appunto, “pochi”)? Anche il linguaggio economico, quindi, è di derivazione greca! Attendi un… attimo! Tutto, no, ma alcuni importanti termini, sì: la stessa parola “economia”. Si tratta di un termine che ha la stessa matrice di “ecologia”: “ôikos” in greco vuol dire “casa”, “ambiente”. L’economia, a differenza di “politica” (che – come sai – deriva da “pólis” = comunità), non ha a che fare con l’interesse pubblico, ma con quello “privato”, con… gli affari di casa. Torniamo un attimo al termine “ortografia”. Hai detto “attimo”: anche questo è un termine greco. Deriva da “átomos” che significa “indivisibile”: non è in qualche misura “non scomponibile” l’istante? Naturalmente, anche atomo ha lo stesso significato. Ma perché l’atomo sarebbe ciò che è indivisibile quando si sa che è divisibile in elettroni, neutroni e protoni? Lo sai bene che il termine “atomo” non è nato in laboratorio, ma nella mente di alcuni filosofi. Sono Leucippo e Democrito che, in base ad un ragionamento, hanno sostenuto che un corpo non può essere diviso all’infinito! Allora gli “atomi” – nel senso greco – sono proprio gli elettroni, i protoni e i neutroni! Certo. Una cosa curiosa: lo sai che anche tempio ha la stessa matrice? Che cosa c’entra con l’indivisibilità? “Tempio”, esattamente, deriva dal latino “templum” che, a sua volta, utilizza il verbo greco “témno” che vuol dire dividere, tagliare (il verbo che si trova nella parola “átomos”). Grazie, ma non ho ancora afferrato nulla: che cosa c’entrerebbe il tempio col verbo tagliare? Il tempio latino era lo spazio sacro che l’augure… tagliava (tracciava) col suo bastone in direzione dei quattro punti cardinali! Non avrei mai immaginato! Senti: che cosa intendevi dire quando volevi tornare alla parola “ortografia”? Che ce ne sono altre di parole con “orto”: no? Ad esempio, ortodossia. Indubbiamente: “órthos” significa “corretto”. Ortografia è quindi la corretta scrittura e ortodossia la dottrina (esattamente dóxa vuol dire “opinione”) corretta, mentre la dottrina non corretta viene definita “eterodossa” o “eretica”. Ma chi decide qual è la dottrina eterodossa? Per chi professa una dottrina, la sua è ortodossa e l’altra eterodossa! Hai tutt’altro che torto: almeno per quanto riguarda le religioni.

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Torniamo a pediatria: mi richiama pedagogia. Pediatra è il medico dei bambini (iatría significa “cura”) e il pedagogo? È chi insegna ai bambini. Ago vuol dire “conduco”: letteralmente, quindi, pedagogo è chi conduce i bambini. Un suffisso che si trova anche in demagogia. Il demagogo non è il politico che, grazie all’eloquenza e all’inganno, trascina il popolo dalla sua parte? Oggi, però, i demagoghi hanno a disposizione ben altri mezzi che la “parola”! Emanuele è letteralmente sorpreso: non avrebbe mai immaginato di usare un numero così vasto di parole greche, parole che, in ultima analisi – anche se numerosi composti sono stati coniati più tardi – risalgono a 2500 anni fa circa. Alessandra ha il piacere di condividere con Emanuele quello che sa. Non ostenta, comunque, alcuna superiorità: sa benissimo che il suo ragazzo ha parecchie carte da giocare, forse più delle sue. Emanuele, quello che abbiamo visto insieme, non è che una minima parte. Proviamo a effettuare qualche altra… navigazione. Abbiamo prima usato la parola “scuola”. Si tratta, anch’essa, di un termine greco. Sai che cosa significa? Che cosa? Riposo! Riposo? Ma la scuola, da sempre, è sinonimo di fatica, sacrificio! Ma è pur sempre (almeno era allora) uno svago rispetto alla fatica fisica, una distrazione. Anche fisica è un termine greco: “phýsis” vuol dire natura. Ma la natura non era vista come cosmo? Esatto: sai il significato etimologico di cosmo? So solo che i latino lo chiamavano “mundus”. Mundus è proprio un ricalco di kósmos: mundus non vuol dire “pulito”? E kósmos? Per associazione mi viene in mente cosmesi. Un’associazione esatta. Ma che cosa c’entra qui la bellezza? Più che la bellezza è l’ordine: kósmos, infatti, significa “ordine”. La natura era vista come il regno dell’ordine: un ordine così perfetto che i pitagorici lo consideravano di tipo “matematico”. L’origine di… “diarrea”? Parlando di “dì”, per associazione mi torna in mente “hēméra”. Non vi sono altre parole, oltre a emeroteca, con questo termine? Si può trovare come suffisso: pensa a effimero. Non è molto chiaro, ma dentro c’è hēméra: che cosa vuol dire effimero se non qualcosa che dura poco, dura lo spazio di un… giorno? Non ci sono, poi, degli insetti che si chiamano effimere perché durano proprio un giorno? Non si chiama, poi, effemeride, in astronomia, la tavola numerica che indica le variazioni che registrano i corpi celesti, giorno per giorno? Il suffisso di emeroteca, inoltre, si trova in una sfilza di parole: non solo biblioteca, ma anche discoteca, fototeca, pinacoteca, emoteca, paninoteca. “Théke” significa scatola, contenitore. Ti sembra che la paninoteca conservi i panini? Hai ragione: chi ha coniato la parola, ovviamente, o non sapeva l’origine greca o l’ha fatto semplicemente in analogi con discoteca… Utilizziamo termini greci che riguardano il corpo umano?

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Una quantità enorme. Uno dei termini che usiamo per indicare ciò che caratterizza il maschio non è fallo? Deriva da “phallós”. E come si dice corpo? “Sôma”. È un termine che ritroviamo in somatico, psico-somatico, somatizzare. Che cosa vuol dire somatizzare se non trasformare qualcosa di psichico (tensioni, stress) in qualcosa di organico, corporeo? La medicina è letteralmente zeppa di termini greci. Pensa ad una disfunzione che purtroppo ci capita ogni tanto: la diarrea. Etimologicamente significa “scorrere attraverso” (diá rêin). Un’espressione quanto mai azzeccata! Radice che è presente anche in rinorrea (secrezione dal naso) e otorrea (secrezione dall’orecchio). Pensa, per rimanere sempre nell’ambito del corpo umano, a cardiopatia, tachicardia, cardiogramma: tutti termini che hanno a che fare con “kardía” che significa “cuore”. Tachicardia mi richiama tachimetro. Ambedue, infatti, hanno a che fare con la velocità: “tachýs” vuol dire veloce. E metro, allora, significa misura? Certo: il termine è “métron”. Termine che si trova anche in geometria. Ma che cosa c’entra la terra con la geometria? Vedo che ormai ti stai orientando benissimo senza aver mai studiato il greco! Originariamente la geometria aveva un significato pratico: quello di misurare la terra. Secondo Erodoto, in Egitto nasceva dall’esigenza di misurare, per finalità di tipo fiscale, le variazioni di terra provocate dall’erosione del fiume Nilo. Anche termometro: so che “termo” (vedi anche termosifone) ha a che fare col caldo. Certo: “thérmos” vuol dire proprio caldo. Un termine che – come sai - noi usiamo ancora oggi così come era alle origini. Torniamo alle malattie. Pensa a tutte le parole che finiscono con “ite”: siamo sempre in presenza di “infiammazioni”. Gastrite, colite, epatite, otite, stomatite. Anche stomaco, allora. Ma la stomatite non ha che fare con la bocca? “Stóma” vuol dire proprio bocca. E lo stomaco non… imbocca ciò che esce dall’esofago? Non usiamo noi l’espressione “bocca dello stomaco”? Il termine pancreas (così chiamato perché sembra “tutto di carne”), poi, è rimasto integro. Ve ne sono, inoltre, molti altri. Ci provo: encefalo, esofago, sinapsi, spermatozoo. Sono esempi perfetti. Encefalo, ad esempio, vuol dire letteralmente “dentro la testa”. Conoscendo il latino, non hai fatto altro che individuare i termini che non hanno a che fare col tuo bagaglio lessicale di latino! Dico bene? Certo. Ma cosa c’entra lo “zoo” con lo spermatozoo? Zôion vuol dire “essere vivente” e spérma (spérmatos, al genitivo) significa “seme”: ecco la spiegazione del… mistero. Zôion vuol dire anche animale: da qui, come sai, lo zoo. La parentele tra liturgia e ergastolo Pensa ora alle denominazioni con cui chiamiamo i medici che possiedono una specializzazione. Ginecologo, odontoiatra, fisiatra, chirurgo. Alt! Chirurgo ha a che fare con chiromante? Qualcosa in comune c’è: le mani. “Chéir” (cheirós, al genitivo) vuol dire proprio “mano”: il chirurgo non opera con le mani e la chiromante non legge le mani? E il suffisso “urgo”? Deriva da “érgon” che significa lavoro, opera. E che cosa c’entra, allora, il lavoro con la liturgia? Mi sorprendi per la velocità con cui associ le parole! La liturgia non è l’insieme di atti (attività, … opere) pubblici destinati al culto?

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E il prefisso? Non riesco a intuirlo! In realtà è piuttosto nascosto: secondo alcuni deriva da “lêton” (stato); secondo altri da “laós” che vuol dire popolo. Da qui il termine laico. Capisco ora perché i giudici non togati della Corte di Assise sono chiamati “laici”. Perché? Perché sono sorteggiati tra i cittadini, tra il… popolo. Sei davvero una bomba! No, solo un po’ di… naso! Sai una curiosità? Il termine érgon si trova pure in… ergastolo! Si trattava di una casa di lavoro o per schiavi o per condannati ai… lavori forzati! Ogni parola ci apre davvero delle pagine di storia: belle o cattive che siano. Da eutanasia a vangelo Abbiamo parlato di vita, di malattie…. Parliamo anche di morte: anche qui non possiamo non ritrovare il greco. Eutanasia, ad esempio: non significa “morte dolce”? Più esattamente “buona morte”. “Êu” vuol dire bene e “thánatos” morte: non parla anche Freud di éros e thánatos per indicare gli impulsi originari di vita e di morte? Da “êu” immagino derivi anche eugenetica: la famigerata eugenetica nazista finalizzata a far nascere una razza pura! Eugenetica significa etimologicamente far nascere bene. Ma un conto è scegliere di non far nascere un embrione con una gravissima malattia ereditaria – ciò che è consentito oggi in alcuni paesi - e un conto creare una razza superiore… Ambedue le tipologie, però, costituiscono una manipolazione umana. Sono d’accordo. Sempre per associazione mi viene in mente Eugenio. Esatto: significa “ben nato”, di “buona razza”. Allora Eugenio Bennato significa “ben nato” due volte! Infatti. Anche Europa? Il termine – come forse sai – ha radici mitologiche. Europa era la figlia del re di Fenicia (Agenore) che Giove ha rapito e condotto a Creta sotto le sembianze di un toro: è da questa relazione che è nato Minosse. Ed è il nome che i geografi greci hanno dato, appunto, all’Europa ma senza precisarne i confini a est. Confini che sono imprecisi anche oggi: dal punto di vista geografico che cos’è l’Europa se non una propaggine del continente asiatico? Infatti. “Êu” – per tornare al nostro discorso - si trova pure in una parola che si riferisce al cuore del Nuovo Testamento. Vuoi dire il vangelo? Sì. Ma tu ora mi stai chiedendo troppo: non posso avere il fiuto laddove non vedo alcun indizio! Si tratta, infatti, di un termine nascosto. Ah, una… luce: sto pensando al latino Evangelium. Qui c’è. Esattamente: in greco significa “buona novella”, “buon annunzio”. La stessa parola chiesa – se vogliamo rimanere in ambito religioso – è di origine greca. Ma non deriva dal latino ecclesia? Sì, ma il latino, a sua volta deriva dal greco ek kaléo che significa “chiamata da”, assemblea, convocazione di un’assemblea. Non c’è davvero ambito in cui non troviamo il greco. La geometria, ad esempio, fa ricorso praticamente solo a termini greci. Non può essere diversamente: la geometria che studiamo a scuola, infatti, è quella euclidea!

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Certo. Penso – sempre per intuito – a poligono, pentagono, ipotenusa. Polýs vuol dire “molto”. Da qui politeismo, poliglotta, poligamia, polifonia, policromo. Questo “poli”, però, non va confuso, con un altro “poli” (da pólis) che significa “città, comunità”. Come metropoli, metropolitana. Emanuele, mi inginocchio! Sei veloce come un fulmine! Ma “metro” qui non significa “misura”. Infatti. Qui “metro” deriva da “mētēr” che vuol dire “madre”: la metropoli, quindi, significa “città-madre”. A volte il termine “pólis” è abbastanza scoperto (pensa a Napoli – in greco Neápolis - che significa letteralmente “nuova città”, a Tripoli, Sebastopoli), mentre a volte è nascosto: pensa alla città francese Antibes – letteralmente “di fronte alla città”. Hai visto che molti termini si ripetono a iosa. Pensa a “phônê” che vuol dire “voce, suono”. Telefono, microfono, cacofonia, sinfonia. Da sinagoga a idrogeno Ognuno, poi, di questi prefissi è, a sua volta, una parola-chiave. “Sýn” ad esempio, vuol dire “insieme”. Da qui simpatia. Sì: etimologicamente significa “soffrire con” (“páthos” = sofferenza), quindi condividere con. Mi viene in mente anche simposio: non deriva certo dal latino! Infatti: “pínein” significa “bere”. Simposio vuol dire letteralmente “bere insieme”. In latino il termine è tradotto con “convitum”. Anche sinagoga? Certo. Ha più o meno lo stesso significato di chiesa: letteralmente vuol dire “condurre insieme”. Il suffisso deriva dal verbo “ágein” che significa, appunto, “condurre”. Un significato analogo si trova in sinodo che, letteralmente, significa “via (“odós”) insieme”. Una parola, poi, che ha lo stesso suffisso di sinodo è esodo. Un altro termine, sicuramente è sincrono. “Crono” ha a che fare col tempo. In greco “tempo” è, appunto, “chrónos”. Da cui derivano cronometro, cronologia, cronotappa, anacronismo. Anche cronaca. Prova a pensare a un’altra parola-chiave. Logo (l’abbiamo già vista): penso a zoologo, astrologo, fisiologo, filologo, logoterapia, logorroico. Logorrea, quindi, è una sorta di… diarrea di parole. La matrice è la stessa: uno scorrere incontenibile di parole! Non sempre, però “lógos” ha lo stesso significato: nei primi tre termini significa “studioso” (esperto), negli altri vuol dire “linguaggio”. Il filologo non è lo studioso della lingua? Allora qui è “filo” che assume il significato di “studioso”. Filêin, infatti, significa “amare” Un verbo da cui provengono filosofo, filantropo, bibliofilo, idrofilo. Hai proprio il dizionario in testa! Filosofo è letteralmente amante del sapere, il filantropo amante degli uomini (non va frainteso, ovviamente, con omosessuale!), bibliofilo amante dei libri, idrofilo amante dell’acqua. Penso a delle piante idrofile. Infatti. Anche “idro” è una parola-chiave: vedi idraulico, idromassaggio, idrocefalo. Tutte parole che hanno a che fare con l’acqua. Che in greco è “hýdôr”. Ma che cosa c’entra l’idrogeno – che è un gas – con l’acqua?

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Idrogeno vuol dire letteralmente “generatore di acqua” (ti ricordi “eugenetica”?). Naturalmente c’è bisogno anche dell’ossigeno per arrivare a… H2O! Sai da dove deriva “prete”? Altre parole-chiave? Archía. Anche questa l’abbiamo già vista. Penso a diarchia (governo di due), arconte. “Archi” registra anche la variante “arci”. Vedi arcivescovo, arciprete. Vescovo e prete, però, non derivano dal greco: no? Derivano, sì: vescovo è una trasformazione di “epíscopos” che vuol dire sorvegliante, ispettore (epí = su; skópos = osservatore). Da qui il termine episcopio, la residenza del vescovo. Infatti. Epíscopos, ora che ci penso, è presente anche in spagnolo (obispo), in tedesco (Bishof), in inglese (bishop). Ma prete? Che cosa dici di un anziano che non vede da vicino? Che è… “Presbite”. La presbitia, infatti, è una disfunzione caratteristica dell’anziano. Prete deriva da presbýteros che significa “più anziano”. I preti, infatti, erano scelti tra i più… anziani della comunità. Un’altra parola-chiave è “tele”. Vedi telecomando, telespettatore, telegramma, teleriscaldamento, telescopio. Tutti termini che hanno a che fare con “lontano” “da lontano”: “têle”, infatti significa “lontano”, “a distanza”. Da Microsoft a microbo Per associazione penso a “scopio”: vedi microscopio. E “micro” (non ci vuole molto a intuirlo) vuol dire “piccolo”. Esatto. Il termine greco è “mikrós”. Da qui microcosmo, microcriminalità, microcefalo, microprocessore, microchip. Allora anche Microsoft! Certo. Per questo non dovrebbe essere pronunciato all’inglese! Anche microbo. Ma che cosa c’entra il suffisso “bo” ? Sta per “biós”. Che vuol dire vita. Ormai navighi proprio bene. Ti rendi conto tu stesso che non c’è ambito in cui non incontriamo il greco. Anche in un ambito che ti appassiona molto. Un fiore… d’oro! Quale? Il verde. Non sei un… pollice verde? Abbiamo parlato di eutanasia e per associazione mi viene in mente eucalipto. Non ho, però, una pallida idea sul significato di “calipto”. “Kalyptós” vuol dire “coperto”, quindi “ben coperto”. Capisco ora perché si chiama così. Perché? Perché il calice del fiore è ben coperto fino alla maturazione della corolla. Un composto di “filo” è filodendro. Che cosa significa il suffisso? “Déndron” vuol dire albero.

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Mi pare proprio un nome azzeccato: i filodendri (o, almeno, alcune specie di filodendri) hanno una struttura arborea. Sembra, quindi, che desiderino assomigliare – ecco l’amore! – agli alberi. Un composto di “déndron” è pure rododendro: l’albero delle… rose. La radice si trova pure in un termine anatomico: dentriti. Si tratta – come sai – dei prolungamenti delle cellule nervose così chiamate perché sono ramificate. Suppongo che sia greco crisantemo. “Anto” non vuol dire “fiore”? Lo so perché antologia vuol dire proprio florilegio, raccolta del fior fiore di testi “classici”. Esatto: il termine greco è “ánthos”. Ma… nel caso di antologia non troviamo nel suffisso nessuno dei significati che abbiamo incontrato. Infatti: logía in questo caso deriva da “légô” che vuol dire “raccogliere”. E da dove deriva il “cris” di crisantemo? Da “chrysós” che vuol dire “d’oro”. Per associazione mi viene in mente Crisostomo. Conoscendo adesso il termine “stóma”, il nome non può che avere il significato di “dalla bocca d’oro”! Infatti: un appellativo che gli è stato attribuito per la sua grande eloquenza. Una curiosità sul crisantemo che forse non conosci. È un fiore tanto bello (per il suo colore giallo-oro) che in Giappone è diventato il fiore nazionale. Anche oggi non sono pochi i giardini giapponesi in cui si coltivano esclusivamente crisantemi. Solo da noi questi fiori sono associati al ricordo dei nostri morti! Il termine “ánthos” lo troviamo anche in dianthus. E cosa sarebbe? Il nome tecnico di garofano. Si tratta, allora, del fiore di… Zeus: Diós, infatti, è il genitivo di Zeus. Immagino sia greco anche glicine: assomiglia troppo a molte altre parole che non hanno nulla a che fare col latino. Penso, ad esempio, a glicemia. Ambedue, infatti, derivano da “glykýs” che significa “dolce”. La glicemia, infatti, è la quantità di glucosio presente nel sangue. Quindi anche glucosio ha la stessa matrice. E il suffisso di glicemia? Deriva da “hâima” che vuol dire “sangue”. Come emoglobina, emorragia, emorroidi. Etimologicamente emorroidi sono vene soggette a emettere sangue. In campo medico i termini con “emo”o “ema” sono numerosissimi e indicano tutti la presenza di sangue: vedi, ad esempio, ematoma, emotorace Tornando ai fiori, un altro termine che presumo provenga dal greco è ciclamino: no? In greco “kýklos” vuol dire “cerchio”. Perché si chiama così, allora, il ciclamino? Sicuramente è per questo: gli steli, man mano che arriva il momento della maturazione, si avvolgono su se stessi prendendo forma di un cerchio. Il termine greco mi suggerisce anche bicicletta: anche qui ci sono dei cerchi (esattamente due). Naturalmente anche ciclico: non si tratta di un qualcosa che ritorna in continuazione come una ruota? Anche ciclone: pensiamo alla sua forma. Allora anche ciclostile. E pure… enciclopedia. Ma che cosa c’entra, nel caso di enciclopedia, il termine “ciclo”? Il suffisso di enciclopedia deriva da “paidéia” (che, a sua volta, deriva da pâis, paidós cioè bambino) che vuol dire educazione. Enciclopedia, quindi, significa letteralmente educazione ciclica, poi intesa come “complessiva”, oppure – come sostengono altri – una formazione che fa letteralmente il giro delle conoscenze. Così pure enciclica. Che vuol dire, appunto, … circolare.

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Curiosità sui nomi propri Vedi che patrimonio abbiamo. E non dimenticarti che anche il mio nome è greco: io sono… la tua protettrice! In che senso? Alessandra significa protettrice degli uomini! Allora anche Andrea è greco! Esatto: significa “virilità”. Deriva, infatti, dal greco “anêr” (andrós, al genitivo) che vuol dire “uomo maschio”. Così anche Evandro, Andromaca. Per associazione mi viene in mente androgino: chi ha gli attributi sia del maschio che della femmina. Vi sono, poi, i… misogini: quelli che odiano le donne, no? Infatti. Intuisci qualche altro nome proprio? Sicuramente Filippo: non deriva da ippica? Certo: il nome significa… Amante di cavalli. “Híppos”, infatti, significa proprio cavallo. Un altro nome è Sofia: la sapienza! Ormai sei più ferrato di me! Non esagerare: quello che ora so, lo devo solo a te! Ma che allievo, però! Vuoi che ti provi ancora un po’? Tieni presente che comincio ora ad orientarmi. Da pandemia a sindaco Sai da dove deriva “epidemia”? Troppo facile: da dêmos, cioè popolo: non siamo di fronte ad una patologia diffusa nel popolo? Oggi, parlando dello spettro della influenza aviaria, si parla spesso di… pandemia: un’epidemia che tocca “tutto il popolo”! E gerarchia? Si tratta del governo di… chi? Prova a pensare al fondamentalismo religioso secondo il quale è la casta sacerdotale che deve governare. Teocrazia? No. Si tratta di ierocrazia! Ierón significa “tempio”. La gerarchia è letteralmente l’insieme di coloro che dirigono le funzioni del tempio. Rimaniamo nell’ambito ecclesiastico: sai da dove deriva “parrocchia”? Non ho alcun indizio. A dire il vero la parola-chiave è un po’ nascosta: è la stessa parola che è presente in economia, ecologia. Ôikos? Sì. È proprio nascosta. Come è pressoché nascosta in… diocesi. Prova ora a pensare a “potabile”. Ma questa è una parola che deriva dal latino! La radice prima è greca. Ti ricordi (no?) che bere in greco è pínein? Ha quindi la stessa matrice di simposio (che abbiamo visto). Pensa che anche sindaco deriva dal greco: esattamente da “díkaios” che significa “giusto”. Il prefisso, naturalmente, è sýn che già conosci. Non potevo, certo, intuirlo! Intuisco, invece, che dallo stesso termine deriva… dicastero: no? Certo. Ma allora Dicastero della Giustizia è un’espressione impropria. Infatti. Le ultime curiosità? Sai (no?) che cosa significa Cristoforo? Qui basta il latino: portatore di Cristo.

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Ora, la stessa matrice la troviamo in una parola che ha a che fare con un funerale. Feretro? Proprio. Parlando di funerale, mi viene in mente cimitero. La base è komáo che vuol dire dormire. Il cimitero, allora, sarebbe un semplice dormitorio, un luogo dove si va a dormire. Almeno! Non è questa – di fatto – la concezione che ne hanno i cristiani? Per loro i morti non risorgeranno alla fine dei tempi? Non è un caso che la parola sia messa in uso dagli stessi scrittori cristiani. Se entriamo, poi, in un cimitero, troviamo ancora su alcune tombe le lettere α e ω. Che indicano… La data di nascita e quella di morte. Infatti. La stessa parola cena ha una matrice greca. A me pare un termine più latino che greco! Pensa a un termine che abbiamo già visto. Cenobita? Sì. Deriva da koiné che significa “comune”. Pensa che alcune lettere dell’alfabeto greco hanno assunto il significato di sostantivi. È il caso di delta, la classica forma a triangolo dello sbocco di un fiume nel mare. Anche gamma. E pure sigma? Di che si tratta? È un termine medico: si tratta di un tratto del colon che ha la forma della lettera sigma. Kalí Méra! Efharistó! Vuoi una chicca finale? L’inglese daughter (figlia) deriva dal greco thygátēr. Anche Scozia deriva dal greco: “skotía” significa tenebra. Troviamo il greco anche laddove non immagineremmo mai. Soddisfami una curiosità: vi sono molte differenze tra il greco classico e quello moderno? Non sono ferrata. So, comunque, che la pronuncia presenta delle variazioni: β, ad esempio, si pronuncia v; δ come il th inglese dolce; η (eta = e lunga) si pronuncia i. Allora il suono “b” e il suono “d” non esistono nel greco di oggi? Esistono. Per esprimere il suono “b”, all’inizio di parola, usano “mp” e per esprimere il suono “d”, sempre all’inizio di parola, usano “nt”. Anche i dittonghi si pronunciano in modo diverso: αι diventa e; αυ diventa av o af; così ευ si pronuncia ev o ef. Sono queste le varianti più significative. Lo sai (no?) quello che dicono qui per “grazie!”? L’ho già sentito: “efharistó!” Immagino che abbia la stessa matrice di eucaristia. Infatti: eucaristia significa letteralmente “ringraziamento”. Abbiamo già visto kalí méra. E buona sera? kalí spéra. Esatto. Per “dottore” dicono “yatrós”, per ospedale… Immagino nosocomio. Sì, noi stessi, che usiamo il termine di derivazione latina, non abbiamo dimenticato la parola greca. Oggi dicono “nosokomío”. Se in giro qui ad Atene vedi la scritta “xenodhohío”, che significato gli daresti? Immagino sia una locanda per stranieri. “Xeno” non significa straniero? Penso a xenofobi. Esattamente si tratta di “albergo”, una locanda per forestieri. E quale significato daresti al termine “aftokínito”? “Afto” – sulla base di quello che mi hai detto – sta per “auto”. E “kínito”? Mi richiama cinema. Sì. Cinema è un termine greco che significa movimento. Qualcosa, quindi, che si muove da sé:… automobile? Esatto. Convieni o no con me che sei un asso? Rimaniamo grosso modo in tema: che cosa significherebbe “podhílato”?

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Immagino che abbia a che fare con i piedi: penso a podismo. Più esattamente abbiamo a che fare con… pedalate: è la bicicletta. Efharistó, Alessandra! Ci mancherebbe: conosco ben poco il greco moderno. Giusto qualche espressione per farmi capire qui. Un fatto è certo: il greco moderno (come, del resto, tutte le lingue che oggi si parlano) è il risultato della contaminazione di diversi popoli. Romani, arabi. Anche veneziani. Ma anche italiani: vedi la conquista operata dal regime fascista. Ogni popolo ha, naturalmente, lasciato la sua impronta anche nella lingua. Sai che cosa significa il termine tedesco “Apotheke”? Senti: non vi è qualcosa che non abbiamo ancora chiarito? Noi abbiamo fatto una breve navigazione nel lessico greco che è rimasto nella lingua italiana. Ma noi stiamo cercando le radici europee! Tocca a te che hai una certa familiarità con le lingue moderne rintracciare la presenza dello stesso lessico anche in altre lingue. Io ci provo, ma sappi che il mio orticello è angusto: inglese, francese, tedesco e spagnolo. Sarebbe già molto trovare analogie tra lingue neo-latine e lingue anglosassoni! Io vado a ruota libera. Sei tu, però, che mi devi correggere nel caso scegliessi un termine che non derivasse dal greco. Okay. Abbiamo parlato di “stóma” da cui il termine “stomaco”. Ora in inglese è stomach, in francese estomac e in spagnolo estómago. E in tedesco? È l’unico che varia: Magen. Forse lo sai: tutti i sostantivi in tedesco iniziano con la lettera maiuscola. Sono numerosissime le parole come questa. Altri esempi? Cardiologo: è comune a tutte, ad eccezione, stavolta, dell’inglese (heart specialist). Dramma: l’unica variante è l’inglese play (oltre a play, tuttavia, in inglese vi è pure drama). Così margherita (daisy), panorama (vedi view), vangelo (vedi Gospel), simpatico (vedi nice; la radice greca torna nel termine anatomico). Nel caso di “storia” (dal greco “historía” che letteralmente significa “riferire ciò che si è visto”), invece, la variante è tedesca: Geschichte. Vuoi sapere una curiosità? Quale? Vi sono casi in cui non solo vi è un’unica variazione, ma questa variazione utilizza a sua volta un altro termine greco. Esempi che mi ricordo? Disastro (che in greco significa “cattiva stella”) in tedesco è… Katastrophe. Sempre in tedesco farmacia (parola di derivazione greca) è Apotheke che in greco significa ripostiglio. Sai che da “apothéke” deriva una parola italiana di uso comune? Non la immagino proprio! Bottega (bodega in spagnolo)! Come avrei potuto immaginarlo? Proseguiamo. Vi sono poi numerose parole che si trovano quasi identiche (cambia, naturalmente, la pronuncia) in tutte le lingue. Molte le parole che hanno a che fare col corpo e con le malattie: faringe, laringe, artrosi, autopsia, bronchite, eutanasia, fisoterapia, morfina (in tedesco è Morphium). Sentimenti: vedi, ad esempio angoscia (anguish in inglese, angoisse in francese, Angst in tedesco e angustia in spagnolo). Il mondo religioso: ad esempio monaco (monk in inglese, moine in francese, Mönch in tedesco e monje in spagnolo), cattolico, ortodosso, eresia, la stessa parola Bibbia, diavolo (devil in inglese, diable in francese, Teufel in tedesco, diablo in spagnolo). Immagino anche il linguaggio politico. Certo: vedi, ad esempio, democrazia. Il linguaggio filosofico.

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Senza dubbio: la filosofia è nata in Grecia e il suo linguaggio fondamentale è greco. Anche il mondo del teatro. Sì. Pensa che il termine tedesco per “commedia” è quello più vicino al lessico greco: Komödie (il greco è kõmõidía). Sai da dove deriva il termine russo “soviet”? Possiamo, allora, parlare di radici europee? Di sicuro il patrimonio lessicale greco (quello che tu mi hai insegnato) è ampiamente diffuso – anche se in misura diversa – in alcune lingue dell’Europa occidentale. Sottolineo alcune: delle altre non posso dire nulla perché non ne so nulla. Ho io qualche nozione di russo. Non me l’hai mai detto. Non ti creano una barriera i caratteri cirillici? No: si tratta, infatti, di caratteri che assomigliano molto all’alfabeto greco maiuscolo. Già qui, quindi, troviamo una presenza greca. I fratelli Cirillo e Metodio hanno adattato l’alfabeto greco (alfabeto, come sai, deriva dalle prime due lettere dell’alfabeto greco - α, β -) ai suoni della lingua locale. E che cosa sai oltre all’alfabeto? A dire il vero, al tempo dell’università, ho frequentato qualche lezione di russo. La conoscenza dei caratteri mi permette almeno di leggere. E di consultare dunque il dizionario. È quello che ho fatto, ad esempio, in questa circostanza. E che cosa hai trovato? Che la presenza di parole greche è considerevole. Ad esempio? Molti dei termini che abbiamo prima incontrato si trovano anche qui. In molti casi quello che varia è solo l’accento: vedi demokrátia, filosófia, anatómia, avtonómia (per autonomia), avtóbus, ortográfia, periód, gheológhia, gheogáfia, enciclopédia. In altri casi, invece, anche l’accento viene conservato: vedi planèta, poliklínika, protokól, ghimnástica, avtomóbil, kíno. Alt! Qual è l’etimologia di kíno (che – immagino – provenga dallo stesso termine tedesco)? Abbiamo già sfiorato l’argomento. Deriva dal greco “kinéô” che significa “metto in movimento”: il cinema non è un insieme di immagini in movimento? Non si studia, poi, all’interno della fisica, la cinematica? E l’etimologia di automobile? “Autós”, in greco, significa “da se stesso”. Da qui un’infinità di parole. La parola “automobile” è, comunque, costituita anche da un termine latino: letteralmente ciò che si muove da sé. Sono numerosissimi i casi del genere: altimetro, tassametro, bigamia, bicicletta… E pianeta? Deriva da “planân” che significa errare, deviare. I pianeti erano visti come “erranti” nell’orizzonte delle cosiddette stelle fisse. E policlinico? “Kliné” significa letto. A sua volta deriva dal verbo “klínein” che vuol dire inclinare, …essere adagiati, essere a letto, essere… ammalati. Il termine “poli”, poi, indicava in un primo momento la pólis (il policlinico era la clinica della città) mentre in un secondo tempo ha assunto il significato di polýs (la clinica dalle… “molte” specialità). Curiosa! Riprendiamo. Vi è pure il termine che i tedeschi usano per farmacia, termine che – come abbiamo già visto – è di origine greca: in russo è aptéka. Potrebbe, allora, essere derivato dal tedesco. Indubbiamente. Tra l’altro, sono numerosi i termini tedeschi: vedi, ad esempio, il russo kartófel (per patata). I popoli – l’abbiamo già detto - hanno continue contaminazioni. Pietro il Grande, poi,

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con la sua opera riformatrice, ha fatto entrare nella lingua russa un numero enorme di parole straniere. Anche italiane: vedi, in particolare, parole che hanno a che fare con la musica. Vi sono, poi, parole che hanno una grande affinità con termini greci: vedi “dom” che significa casa, “pit” che vuol dire bere. Potrebbero, però, non essere di derivazione greca, ma semplicemente affinità che potrebbero avere una matrice comune a monte. Infatti. Non manca, poi, il lessico religioso: evánghelie (per vangelo), epíscop (per vescovo). Una chicca finale: lo sai che il termine russo soviet deriva dal greco? Davvero? Pensa: deriva da sýmbolon che vuol dire assemblea. Curiosa, no?

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1.2. L’EUROPA E LA CIVILTÀ GRECA

“L’Europa spirituale ha un luogo di nascita [...] in una nazione. [...] Questa nazione è l’antica Grecia del VII e del VI secolo a.C.”

(Edmund Husserl, Crisi e rinascita della cultura europea, Marsilio, Venezia 1999, p. 56)

Un capitale lessicale imponente: non vi è alcun dubbio. Non vi, quindi, alcun dubbio che tra le radici dell’Europa (almeno del campione esaminato) vi siano quelle greche. Siamo qui, però, solo al livello linguistico. Si può dire altrettanto dei “valori”? Si può parlare di un modo di pensare greco che ha plasmato l’Europa? Una tappa, questa, di sicuro più impegnativa. Emanuele e Alessandra, comunque, ci provano. Ci provano, naturalmente, con gli strumenti che hanno a disposizione. Anche con le letture fresche che hanno effettuato. Il patrimonio culturale che i greci ci hanno lasciato è immenso. Ma si può sostenere che tale patrimonio, in qualche misura, ha forgiato lo “spirito europeo” come qualche studioso va affermando? La filosofia, ad esempio, non è un’invenzione del genio greco? E la filosofia non ha fornito le categorie culturali con cui leggiamo la realtà? Quali categorie? La filosofia greca è oggetto di studio, anche di ammirazione per le vette a cui è pervenuta, ma nient’altro: quale filosofo oggi pensa con le categorie greche? Come no? Non sono i filosofi che ci hanno insegnato a provare lo stupore di fronte al mondo, a vederlo come un “problema” da risolvere e a risolverlo andando ben oltre la sfera dei sensi, la sfera del concreto? Sii sincera: che cosa ne facciamo noi oggi dell’“essere” parmenideo, delle “Idee” platoniche, dell’ “Atto Puro” aristotelico? Siamo in presenza di elucubrazioni intellettuali, anche se sicuramente degne di rispetto. Sono stati, però, tentativi di dare una soluzione all’enigma-universo, di dare un senso al Tutto. Che cos’è oggi la Teoria del Tutto – una teoria scientifica – se non un tentativo di risolvere (con strumenti nuovi, naturalmente) un problema che hanno posto proprio i primi filosofi? Ma oggi la scienza si è liberata dai concetti astratti della filosofia greca. Oggi la scienza ha un suo linguaggio specifico: la matematica. 1.2.1 La rivoluzione scientifica: una svolta moderna o greca? Sai benissimo che sono sempre i primi filosofi (vedi i pitagorici) che hanno scoperto il linguaggio matematico della natura! Che cosa ha fatto il padre della scienza, il nostro Galileo, se non riprendere questa antichissima idea pitagorico-platonica? Ma oggi siamo lontani da questa ingenuità: la matematica non è il linguaggio della natura, ma un linguaggio – come tutti gli altri – costruito dall’uomo. Un linguaggio, dunque, artificiale, convenzionale. Anche questa è già un’idea greca. Naturale o artificiale, sta di fatto che il linguaggio della scienza è il linguaggio del misurabile, del quantificabile: la matematica, appunto. Linguaggio a cui si accede superando la sfera dei sensi, la sfera, appunto, del concreto. In che cosa consiste il salto di qualità della geometria greca rispetto a quella di altri popoli medio-orientali? Non era più finalizzata a risolvere problemi concreti (vedi la stessa etimologia che abbiamo visto), ma problemi astratti. Problemi, cioè, che si possono cogliere con… gli occhi della mente, della ragione. È questa la scoperta fondamentale dei greci! Un conto sono i problemi della geometria e un conto quelli della scienza. Questi ultimi sono concretissimi: eccome!

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Concretissimi? Il linguaggio della fisica – tu lo sai meglio di me – è tutto astratto: hai mai avuto a che fare, per caso, nella tua vita quotidiana, col… principio di inerzia? Senza la cultura greca non ci sarebbe la scienza. Ma la rivoluzione scientifica è nata nell’età moderna, non nella filosofia greca! Che cosa ha fatto Copernico se non rubare un’idea antichissima, di Aristarco di Samo? Lo sai bene che Aristarco di Samo non solo ha avuto la brillante idea secondo cui l’alternarsi del dì e della notte è dovuto alla rotazione della terra intorno a se stessa, ma ha ipotizzato lo stesso moto di rivoluzione della terra intorno al sole. E c’è di più: è arrivato a intuire che l’asse terrestre, intorno a cui ruota la terra, è inclinato! Si tratta di pure ipotesi, ipotesi del tutto inverificabili! Ipotesi che, tuttavia, hanno indicato la strada da percorrere agli scienziati successivi. Pensa che, ancora prima di Aristarco di Samo, Eraclite di Ponto si era già liberato dalla credenza nella sfera delle stelle fisse: se il movimento delle stelle è solo apparente – considerato che in realtà è la terra che ruota intorno a se stessa – allora perché non ritenere che l’universo sia infinito? Un fatto è certo: le intuizioni più importanti su cui la scienza si è fondata sono greche: vedi l’idea rivoluzionaria secondo cui la terra è sospesa nello spazio, la stessa forma sferica della terra (già nota nel V sec. a. C.), la distinzione tra le cosiddette qualità oggettive dei corpi e quelle soggettive. Eratostene, poi, non è arrivato a misurare il meridiano terrestre e ad usare quelli che secoli e secoli dopo verranno chiamati… assi cartesiani? Ipparco, infine, non ha scoperto perfino la precessione degli equinozi? Siamo sempre a livello di idee senza alcuna possibilità di verifica o di smentita. Siamo cioè ad un livello ancora pre-scientifico! E questo vale non solo per l’astronomia, ma anche per la medicina. È vero, ad esempio, che Erofilo di Calcedonia, nel III secolo a. C., ci ha offerto la prima descrizione della retina, dell’apparato digerente, del fegato, del cervello, scoprendo addirittura la distinzione tra nervi “sensori” e nervi “motori”, la distinzione tra arterie e vene e le ovaie (denominate da lui “testicoli femminili”), ma è anche vero che si tratta di una semplice descrizione che ha potuto fare sezionando i corpi. A dire il vero non aveva a disposizione solo cadaveri, ma anche condannati su cui poteva fare esperimenti in vivo. E, poi, esalti il mondo classico! Fare descrizioni non è ancora fare scienza. Di sicuro Erofilo di Calcedonia ha preparato il materiale per la scienza medica di oggi, introducendo anche una nomenclatura che ancora oggi usiamo: vedi “duodeno”. Cioè dodici dita! La sua misura, cioè. Non lo sapevo. Così possiamo dire che i greci hanno spianato la strada alla matematica moderna. Ma… lo zero non l’abbiamo importato dagli arabi? Sì, ma a loro volta gli arabi l’hanno importato dagli indiani e questi, a loro volta, dai matematici ellenistici. Tra l’altro, lo zero era già noto in Mesopotamia dal 300 a. C. Archimede è arrivato addirittura a rielaborare in modo razionale un sistema di numerazione, già presente nella matematica pre-babilonese, che equivale al metodo posizionale che usiamo noi. Ha introdotto, inoltre, la notazione esponenziale. A maggior ragione, allora, ci sentiamo grandemente debitori dei greci! La matematica, però, non è scienza. La matematica, però, è il linguaggio della scienza. Quello che è mancato ai greci è il metodo sperimentale. Pensa agli atomi: si tratta di concetti introdotti per risolvere dei paradossi teorici (vedi le acute provocazioni di Zenone). L’atomismo, quindi, è ben lontano dall’essere una teoria propriamente scientifica. Ha spianato, tuttavia, la strada alla scienza! E, poi, non è vero che il metodo sperimentale non era conosciuto in Grecia. Nella Grecia classica, no, ma nell’età ellenistica, sì: vedi gli studi di Lucio Russo che fa retrocedere di 2000 anni la nascita della scienza. Non è un caso che Galileo, considerato dalla tradizione come il padre della scienza, sia tornato ad Archimede senza riuscire, tuttavia (come nota il Russo), a utilizzare i raffinatissimi strumenti matematici del maestro antico.

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Ma gli scienziati greci erano teorici. Dov’era l’osservazione di tipo matematico? Dove l’elaborazione di un ipotesi, sempre di tipo quantitativo? Dove l’esperimento teso a verificare o a falsificare l’ipotesi in questione? Dove, infine, la formulazione di una legge, sempre col linguaggio della matematica? L’idea della sfericità della terra non era legata a precise osservazioni (vedi, ad esempio, quelle relative ad una nave in entrata o in uscita)? E l’esperimento del secchio d’acqua, attribuito per primo a Empedocle, non aveva già in nuce l’idea di forza centrifuga? Qui siamo sempre a livello di osservazioni di tipo qualitativo, non matematico! Okay, ma non puoi chiedere l’impossibile. Non era scientifico il principio di Archimede relativo ai liquidi che ancora oggi si studia a scuola? Non erano ancorati a una chiara teoria scientifica i famosi specchi ustori e le leve inventate da Archimede (addirittura una macchina con la quale un solo uomo era in grado di trainare in secco una nave in mare)? In Archimede c’erano tutti gli ingredienti della scienza: l’osservazione, la teoria, la matematica, la realizzazione di macchine sulla base delle teorie. Ma non c’è il vero e proprio esperimento di Galileo! Non ci sono le leggi! Galileo, forse, aveva uno straccio di prova a favore della teoria copernicana? Aveva, però, forti indizi. E nella fisica ha fatto fare un passo da gigante rispetto alla fisica di Archimede! Ricorrendo, tuttavia, all’espediente dei cosiddetti esperimenti mentali: pensa al principio della relatività galileiana. È questo il cuore della scienza che in Archimede non c’è. 1.2.2 I “valori” greci: parte integrante della cultura europea? Proviamo ad indagare il mondo dei valori. Non credi che, anche qui, ci sentiamo – almeno in parte – debitori della Grecia? Quali valori? Ti sembrano valori l’omosessualità (addirittura la pederastia), la schiavitù, l’esclusione della donna dalla politica, l’esposizione dei bambini con handicap o semplicemente gracili o perfino semplicemente perché erano di sesso femminile o illegittimi? È vero, ma nella nostra civilissima Europa la schiavitù non è stata abolita in tempi relativamente recenti? E le donne? È vero che, allora, il matrimonio consisteva in un contratto tra due uomini (il padre della sposa e lo sposo), ma… questo modello di matrimonio non è durato fino a pochi decenni fa? Lo sai quando le donne in Italia hanno conquistato il diritto di voto? Hai ragione. Però non possiamo certo considerare la Grecia come un modello di valori! La segregazione delle donne era, per caso, sostanzialmente diversa da quella che è presente ancora nel mondo musulmano? La “custodia”, poi, di cui erano oggetto le ragazze al fine di preservare la loro verginità prima del matrimonio non costituiva una vera e propria umiliazione del sesso… debole? È vero, ma non si tratta di un atteggiamento che in certe aree è ancora presente? Non persiste ancora oggi l’atroce pratica della infibulazione a danno di centinaia di milioni di donne? Hai poi parlato di bambini esposti. Che succede oggi? Non vengono ancora esposti – nel XXI secolo - i bambini indesiderati? Non vengono addirittura depositati perfino nei cassonetti delle immondizie o lasciati morire al freddo? Non scandalizziamoci, allora, dell’inciviltà dei greci! Va bene, ma dov’è, allora, il loro grado di civiltà? Ciò che di grande hanno fatto i filosofi greci è consistito nel fondare un’etica non su libri sacri, ma sulla ragione, un’etica… razionale: non è questa un’eredità che abbiamo recepito? Il primato dell’etica in Socrate L’emancipazione dell’etica dalla religione è di sicuro un fatto positivo, ma non c’è dubbio che i filosofi greci hanno costruito un feticcio – lo spirito – sull’altare del quale hanno sacrificato la gioia di vivere, i piaceri dei sensi. Condivido perfettamente il giudizio di Nietzsche!

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Se ti riferisci a Socrate, questi ha tutt’altro che negato i piaceri dei sensi! Quello che Socrate ci ha insegnato è il primato della ragione sugli istinti. In che cosa ci distingueremmo dagli animali, se dessimo libero sfogo ai nostri istinti (compresi gli istinti di aggressività)? Non si tratta di annullare gli istinti, ma di farne un uso “razionale”! Non si tratta di condannare i piaceri, ma di farne un uso… sapiente. Socrate ci ha insegnato la categoria del “bene”, qualcosa che va ben oltre l’“utile” personale. Non è un caso che abbia sostenuto con forza il dovere di non commettere mai ingiustizia, anche se si dovesse subire ingiustizia! Ma… non era un feticcio questo dovere? Non era, al contrario, un dovere vivere? E non era per lui un dovere continuare a vivere per allevare ed educare i suoi due figli ancora piccoli? Una scelta, questa, del tutto irresponsabile. Un comportamento che Freud avrebbe definito “masochista”! Macché masochista! Socrate è stato coerente fino in fondo: è questo masochismo? Non aveva sempre sostenuto che ciò che conta per l’uomo non è ciò che ha, ma ciò che è? Come avrebbe potuto rinnegare se stesso solo per paura della morte? La vita è un valore in sé! Socrate affermava che ciò che conta non è vivere, ma vivere bene. Ecco il primato dell’etica, dei valori sull’utile e sul tornaconto personale. Un primato che deve valere anche per la politica. Non ti sembra questo un insegnamento che ha un valore universale? Tieni presente, poi, che Socrate non si è suicidato: è stato condannato a morte! È lui che ha provocato i giudici popolari! Ed è lui che ha rifiutato qualsiasi alternativa: anche l’esilio. E non aveva ragione? Non avrebbe subito la stessa sorte in altri paesi? Chi provoca a pensare con la propria testa, diventa pericoloso. Questo in tutti i tempi. Un personaggio scomodo: questo è stato Socrate. Un personaggio che ha avuto il coraggio di sfidare i potenti, di stigmatizzare i demagoghi. Di tuonare anche contro il comportamento irrazionale della gente comune. Lui solo contro tutti. Se c’è un personaggio-simbolo dello spirito critico - che tanto ha segnato la storia degli europei rispetto alla storia di altri popoli - è proprio Socrate. Il dubbio metodico che ha contraddistinto l’Europa è una sua eredità. Ecco un altro feticcio: avete fatto di lui un Eroe, un Modello, un Gesù Cristo ante litteram. Ma Socrate è lontano mille miglia da Gesù Cristo. Vedi l’atteggiamento di fronte alle leggi. Altro che provocatore! Il tuo eroe era schiavo della legge, tanto schiavo che si è rifiutato di fuggire dal carcere. Socrate non ha insegnato il primato della legge, ma il primato della coscienza: è quest’ultima che lo ha spinto a non infrangere le leggi. Comunque, non mi convince: mi pare un personaggio troppo ambiguo e… tutt’altro che un modello! Di sicuro un personaggio non ordinario. Ce ne vorrebbero oggi di uomini come lui! Pensa al suo mettere in discussione tutte le certezze, alla sua ansia di ricerca che andava sempre… oltre. L’uomo artefice del suo destino Se il giudizio di Nietzsche non dovesse essere valido per Socrate, lo è sicuramente per il suo illustre discepolo: Platone. Che Platone abbia ucciso la vita, mi pare eccessivo. Ti ricordi il mito dell’auriga? È vero che a condurre i cavalli (le passioni) deve esserci la ragione, ma è anche vero che senza i cavalli, l’auriga non andrebbe da nessuna parte! Guidare non significa annullare, ma orientare, dirigere. L’uomo deve ragionare prima di prendere una decisione: sempre. E ragionare significa utilizzare le passioni in modo intelligente. Siamo sulla stessa sintonia del maestro! Non puoi negare, poi, che col mito di Er Platone ha posto con forza l’idea secondo cui è l’uomo che decide il suo destino, non viceversa. Non è questo un’eredità lasciata all’Europa e che condividiamo tutti? L’uomo è libero di scegliere il tipo di vita. È questo il fondamento dell’etica: l’uomo solo è responsabile delle sue azioni perché è lui che sceglie.

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Ma non è questo un altro feticcio? L’uomo è condizionato da mille fattori: genetici e ambientali. Certo, ma non è pericoloso scaricare le colpe delle azioni di una persona sui fattori genetici e sociali? Di questo passo non dovremmo chiudere i tribunali e giustificare ogni atto, anche il più disumano? Si troverà sempre qualche fattore che ha condizionato un criminale! Non volevo, certo, sostenere questo. Anche se condizionati, non possiamo negare la presenza in noi di un margine di libertà. Se no, cadrebbe tutto: responsabilità, meriti, colpe… Cadrebbe l’intera vita sociale! È proprio la libertà che ci distingue dalle bestie. È questa che ci consente di scegliere se vivere, appunto, come bestie o come uomini, se seguire gli istinti o i valori. C’è, tuttavia, il rischio di contrapporre i valori alle passioni, l’anima al corpo, lo spirito alla materia. Di fare, cioè, dell’“anima” proprio un feticcio. È vero, ma nella filosofia greca (se si eccettuano, in particolare, i cinici) si tende a porre l’accento sulla misura, sull’equilibrio, non sugli eccessi. Anche da parte dei cosiddetti materialisti. Non affermava Aristotele che la virtù sta nel mezzo? E non predicavano la giusta misura gli stessi epicurei? Il fine? Essere felici. Essere felici, qui, in questa vita. Altro che negazione della gioia di vivere! È solo il comportarsi bene che conduce alla vera felicità perché è solo realizzandosi come “uomini” che possiamo essere felici! L’esigenza platonica di coniugare il “sapere” e il “potere” Ammettiamo pure che l’etica greca abbia ancora qualcosa da insegnare a noi. Altrettanto, però, non potremmo affermare a proposito della politica. Come no? E la democrazia? Non siamo di fronte ad un modello che oggi si sta diffondendo in tutto il pianeta? Ne abbiamo già parlato: la nostra non ha nulla a che fare con la democrazia ateniese. Quello che si è realizzato ad Atene, oggi dovremmo chiamarla più propriamente… oligarchia. È il caso che la stessa parola “democrazia” nel suo significato positivo – dopo la fine infausta della democrazia ateniese – sia praticamente sparita per 2000 anni? Con tutti i limiti storici che aveva, era, tuttavia, ben altra cosa rispetto al governo dei Trenta Tiranni! Certo, ma è stata un governo di pochi, quei pochi che potevano permettersi di andare alle assemblee. Era pur sempre la forma di governo più avanzata del tempo. Anche se pochi, erano in numero di gran lunga maggiore rispetto al governo dei ricchi. Erano, comunque, i ricchi che manovravano le assemblee. Democrazia? Sarebbe meglio definirla… demagogia! Ma la demagogia è un rischio che c’è anche nelle nostre democrazie. Non puoi considerarla come un marchio negativo della democrazia ateniese. Lì il rischio era maggiore perché non vi era alcuna selezione della classe politica: le assemblee popolari – come si sa – sono facilmente manovrabili. Oggi, in una società dominata dalla telematica, non siamo di fronte ad un rischio ancora maggiore? La lezione della democrazia ateniese è questa: il potere politico non deriva dall’alto, ma dal basso, non ha nulla di sacro, ma ha a che fare con interessi collettivi, non ha nulla di assoluto, ma si basa sul semplice conteggio dei voti. Ti sembra poco? È un fatto, però, che Platone (ma già il suo maestro Socrate la pensava in modo analogo) disprezzava la democrazia ed ha teorizzato il governo dei filosofi. Il filosofi al potere: questo il suo slogan. Sicuramente Platone ha messo in luce l’esigenza di coniugare sapere e potere: non ti pare un’esigenza sacrosanta? Con una selezione utopistica della classe politica.

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Ma il criterio non era buono? La selezione avveniva in base al criterio delle attitudini, non delle raccomandazioni. È proprio questa l’utopia: chi e sulla base di quale criterio opera la selezione? Tutto il pensiero di Platone è utopico. Non è innaturale privare la classe dirigente della proprietà privata e, addirittura, della famiglia? In questo modo, però, Platone ha trovato una soluzione al problema, ancora oggi attualissimo, del conflitto di interessi. È un problema centrale della politica: come impedire che coloro che governano siano condizionati dai loro interessi privati? Platone – è vero – ha colto bene il problema, ma è la sua soluzione che non sta in piedi. Che cosa farebbe un governante dell’incasso della vendita delle sue aziende? Lo investirebbe in pacchetti azionari, diventando, quindi, ancora proprietario! Ciò che conta è separare la gestione dalla proprietà: non è la soluzione all’italiana? Al di là della soluzione, comunque, il merito di Platone è grande. Ed anche la comunione delle donne – pur nella paradossalità della provocazione – racchiude una grande idea: non ci deve essere alcun privilegio di sorta, neppure il privilegio di essere… figli di… Ognuno nella società deve svolgere un ruolo che corrisponde alle sue attitudini e non alla… copertura di papà. Non puoi estrapolare un’idea dal contesto. La concezione che Platone aveva della società era di tipo organicistico, vale a dire una concezione che è alla base di ogni totalitarismo. Quale totalitarismo? I lavoratori devono lavorare e basta. Non spetta a loro occuparsi di politica. Non spetta a loro controllare i governanti. Questi ultimi non devono rispondere a nessuno se non alla… ragione! Possono anche ricorrere alle menzogne in nome di quello che ritengono il bene generale. Che cosa sono i totalitarismi che, purtroppo, hanno preso piede nel XX secolo in Europa (dal fascismo allo stalinismo) se non varianti dello Stato platonico? Non puoi, comunque, negare che Platone abbia colto un altro grande problema con cui abbiamo a che fare ancora noi nelle nostre democrazie: come far sì che i governanti, eletti dai cittadini sulla base di interessi di parte (industriali, commercianti, operai…), vadano oltre l’utile delle varie corporazioni, scegliendo, appunto, l’interesse generale? Ma chi decide qual è questo interesse generale se non il popolo? Qui non si tratta di avere delle competenze di matematica, ma di sapere qual è il “bene” di un popolo. Ora chi può dire qual è il bene di un popolo se non il popolo stesso? Il popolo è sempre il popolo che ha condannato Socrate: volubile, manovrabile. Il problema si risolve non escludendo il popolo (chi si arrogherebbe questo potere?), ma creando tutte le condizioni perché il popolo maturi, conosca bene i problemi e impari a decidere senza farsi condizionare dalle varie lobbies. Sono d’accordo con te. Bisogna moltiplicare le occasioni di dibattito su problemi concreti. E a tutti i livelli. Bisogna educare i giovani – fin dalla scuola – ad assumersi le loro responsabilità di fronte ai problemi collettivi. Non si può pretendere, naturalmente, di raggiungere tutti. La democrazia, come governo del popolo (nel senso pieno del termine greco) è solo un modello. Un modello a cui dobbiamo tendere, ma conservando la nostra democrazia: la democrazia rappresentativa, fondata sul consenso elettorale. Comunque, un fatto è certo: nel mondo greco, non solo nella riflessione politica, ma anche nella stessa prassi della democrazia ateniese, l’individuo non esiste. Non esistono cioè quelli che noi chiamiamo diritti individuali. L’individuo è considerato solamente come polítes, come cioè parte di una comunità, in funzione della comunità. Il “cittadino” deve dare alla comunità il suo sangue in tempo di guerra e il suo tempo libero in tempo di pace e non ha alcuna protezione giuridica in quanto tale. Concordo con te: vedi il caso Socrate, vedi la durezza con cui venivano espulsi quelli che erano considerati i nemici della città, vedi la diffidenza che avevano nei confronti di personalità forti.

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Ecco perché io sottolineo con forza l’esigenza di non fare della Grecia una “icona”, un Mito. Quello che per noi europei è uno dei valori più importanti – la libertà – là non c’era. La libertà si identificava con la partecipazione al potere politico: tutto qui. Sarà il Cristianesimo che scoprirà il valore dell’individuo, di ogni individuo, di ogni “persona”. Il “liberalismo” è solo figlio del Cristianesimo. Del Cristianesimo? Ma se la Chiesa cattolica ha condannato la libertà di coscienza fino al XX secolo? Per ora fermiamoci qui: ne riparleremo in una delle prossime tappe.

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2. RADICI ROMANE

“La Repubblica romana ha continuato ad affascinare gli storici e a ossessionare l’inconscio collettivo. Fascino del successo, in primo luogo: i suoi legionari, generali, funzionari e coloni

hanno saputo conquistare, pacificare e unificare uno spazio gigantesco […] al cui interno la loro impronta ha rappresentato, essenzialmente, la matrice dell’Europa moderna”

(Claude Nicolet, Il cittadino, il politico in L’uomo nella storia Roma antica (a cura di Andrea Giardina), Editori Laterza, Roma-Bari 1993))

2.1 RADICI LINGUISTICHE

Da Atene a Roma: il viaggio (virtuale) alla ricerca delle radici europee continua. Alla ricerca, in primis, del retaggio linguistico che i Romani, nelle loro estese conquiste, hanno lasciato. Quale la misura di questo retaggio? Emanuele e Alessandra, questa volta, intraprendono la seconda tappa del viaggio ad armi pari: ambedue, infatti, hanno alle spalle studi di latino.

Radici curiose, a volte buffe: vedi “signorina”, “lieto”, “peccare”, “arrivare”. Qui, Alessandra, mi sembra di essere più a mio agio. Non ho bisogno, quindi, di nessuna maestra, di nessuno che ne sa di più (magis-tra). Un fatto è certo: il latino è penetrato profondamente nella nostra lingua, ma spesso il significato originario è andato perso. Ti farei, infatti, ridere se ti chiamassi “vecchierella”. Eppure, come sai, signorina, derivando da “senior”, significa proprio questo. Come mi faresti ridere se mi chiamassi “padrona di casa”: donna (domina) non deriva da “domus”? È un fatto, però, che sono le donne le padrone di casa! Purtroppo! Perché purtroppo? Se lo siamo, è perché abbiamo i numeri! Da domus, poi, deriva duomo, cioè… la casa di Dio. E anche domenica: il giorno del “padrone del mondo”. Così don che usiamo quando parliamo di un prete (termine che viene usato ampiamente anche nel Mezzogiorno a proposito di signori che preti non sono, come del resto nella lingua spagnola). Le lingue evolvono perché evolvono i popoli, evolvono le loro esigenze, evolve la loro cultura. Come sai, un ricco patrimonio lessicale affonda le radici nella civiltà contadina. Sai, ad esempio, da dove deriva la parola lieta? Dal latino “laetus”. E questo, a sua volta, da dove deriva? Non ho alcuna idea. Da… “laetamen”! Com’è possibile? È il letame (no?) che ingrassa e rende fertile la terra? “Laetus”, nel suo significato originario, significa appunto “grasso, florido”. Una terra fertile, quindi, diventa vivace: penso alla varietà dei frutti. Quindi… felice, no? Radicato nella civiltà contadina è pure cultura. Come sai, deriva da colere.

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Che vuol dire “coltivare la terra”: si è passati, quindi, dalla coltivazione della terra alla coltivazione dell’ … anima. La stessa evoluzione di cultura l’ha avuta il termine educazione: da coltivazione delle piante è diventata formazione della mente, dello spirito. A proposito di piante, sai da dove deriva il termine? Da planta. Okay, ma… planta? Si tratta di un termine che ha origine dal fatto che il contadino, dopo aver posto il seme nella terra, lo calcava con la… pianta (planta) del piede! Mi sembra un’origine curiosissima! E tu sai da dove deriva il verbo impedire? La domanda mi viene per associazione. Associazione col… piede? Hai intuito bene: “impedire” significa letteralmente ostacolare il piede (da pes, pedis). E… peccare? Per associazione mi viene spontaneo collegarlo allo stesso “piede”. Esatto: ho trovato la curiosità ne “Il cammino di Santiago” di Paulo Coelho. E che cosa c’entra il peccato col piede? L’evoluzione non è chiarissima. Il punto di partenza è il “piede difettoso”. Con un piede difettoso non riesci certo ad arrivare ad una meta! Infatti. Certo, ne è passata di strada dal significato originario! A proposito di radici contadine penso a egregio: egregio non è chi si distacca dal gregge (ex grege)? Mentre gregario è chi, invece, si confonde col gregge. Anche rivale ha un’origine singolare. Non può che derivare da “rivus”: rivale è chi divide con un’altra persona l’acqua di un ruscello. Infatti. Ma che rapporto vi è tra i due termini? Chi vive in campagna sa bene come molto spesso l’uso dell’acqua dello stesso fiume provoca liti. Ecco, allora, perché chi si affaccia sullo stesso corso d’acqua diventa un… rivale! Esatto. Da riva, sempre per associazione, passerei a… Arrivare. Un’origine curiosa, no? “Arrivare” vuol dire originariamente “venire a riva” (“ad ripam”) di un pescatore con la sua barca. Radici agricole ha anche il verbo deliberare. Che deriva da “libra” (bilancia): no? Sì: da qui, anche, la nostra vecchia… lira. In “deliberare” il “de” suggerisce l’idea di allontanamento. Letteralmente, infatti, “deliberare” significava togliere dalla bilancia ciò che si era pesato. Lo stesso significato di allontanamento si ha in “delirare”, uscire cioè dal solco, allontanarsi dal solco (“lira”). Radici contadine ha anche il termine fegato. In che senso? Ha, infatti, a che fare con i fichi. Che cosa c’entrano i fichi col fegato? Il latino ficatum significava “ingrassato con i fichi”. Che cosa era ingrassato coi fichi? Il fegato. Esattamente il fegato di alcuni animali (in particolare delle oche). Era una tradizione tra i greci ingrassare maiali e oche con pasti abbondanti di fichi. A che scopo? Con tale alimentazione non solo il fegato ingrassava, ma assumeva un sapore molto gradevole. Ma… che cosa c’entra questa tradizione greca col latino ficatum? Si tratta di un termine che ricalca esattamente il termine analogo che c’è nel greco (sykōtón): in greco fico è detto sýkon. Una curiosità: dove è andata a finire la parola che sta per fegato?

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È semplicemente caduta! In latino – come sai – si diceva iecur. Un’etimologia davvero originale! Le parentele più strane: dal francese “enfant” allo spagnolo “hablar”, da “cattivo” a “reception”. A questo punto ti propongo il gioco delle famiglie di parole. Sai, ad esempio, che cosa hanno in comune fanciullo e fato? Non mi… ispira niente il “fa”! Pensa a “infante”: non puoi non saperne l’origine! Penso all’omologo francese enfant. E l’origine latina? Rinunzio. Dal verbo “fari” che significa “parlare”, “dire”. Ma il… fanciullo parla: eccome! Fino a un anno circa, però, non parla affatto: ecco il significato originario di “infante” ed il significato del derivato “fanciullo”. E fato? A questo punto la risposta mi pare scontata: il fato è ciò che viene… detto. Il fato, infatti, veniva… annunciato. Un altro termine che ha la stessa matrice? Immagino favola. Infatti. Anche lo spagnolo hablar che vuol dire “parlare” (e l’analogo verbo portoghese falar). Una buona… famigliola, quindi. Anche “sidera” (stelle) si trova in buona compagnia: penso a considerare, desiderare, assiderare. Ma… che cosa c’entrano, in questi verbi, le stelle? C’entrano: considerare, infatti, originariamente significava “osservare le stelle”. E desiderare? Qui lo sguardo viene allontanato dalle stelle. Infatti. Non guardare più le stelle, in altri termini non veder più qualcosa che piace provoca una percezione di mancanza. E la mancanza provoca desiderio: no? È vero. E cosa c’entrano le stelle con l’assideramento di una persona? Secondo un’ipotesi il termine deriverebbe dalla convinzione comune secondo cui l’assideramento provenisse – di notte - dall’influsso delle stelle lontane. Ma questa è un’ipotesi fantasiosa! A dire il vero, ce n’è un’altra più convincente: sidus (sideris) ha anche il significato di stagione. E allora? Col rafforzativo “ad” ad sidera stava al posto di “stagione invernale”. Dato che stiamo parlando di cielo, mi viene in mente la parola nuvole. Sai che è imparentata con… nozze? Cioè? Prova a pensare alla sposa! Penso al velo. Infatti: le nuvole non velano il cielo? La matrice comune è “nubere” che significa, appunto, “velare”. Una famiglia numerosissima ha il… padre “cápere” che vuol dire “prendere”. Il verbo capire, ad esempio: capire non è… prendere, afferrare con la mente? Nella sua versione del perfetto “coepi”, poi, si trova in… Principe: non è colui che prende il primo posto? Pensa che nella famiglia vi è pure municipio. Perché mai?

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I municipi, nella Roma repubblicana, erano le città alleate che, in cambio del diritto di cittadinanza romana, prendevano con Roma degli impegni (“munia capere” = assumere impegni). Della stessa famiglia, poi, troviamo il… forcipe: non è qualcosa che si usa per… prendere? Forceps, in inglese, oltre a forcipe, non significa anche pinze? Perfino la parola inglese reception ha la stessa radice! Anche cattivo: il cattivo non è chi si è fatto prendere, catturare dal demonio? Qui, però, c’è già di mezzo il Cristianesimo! Un altro termine potrebbe essere concetto: non è qualcosa che si prende, afferra con l’intelligenza? Infatti. Sai quanta strada ha fatto il “ministro”? Una base comune si trova pure in bollire e nel biglietto. Quale? Prova a pensare al verbo “bollire”: da dove potrebbe derivare? Sicuramente da “bulla”, cioè bolla d’acqua: quando l’acqua bolle, non provoca bolle? Il primo passo l’hai fatto. Per cogliere il secondo passo, dovresti fare una capatina nelle stanze pontificie. So che i papi scrivevano le cosiddette bolle papali. Esatto. Si chiamavano così perché erano documenti che avevano un sigillo: nel latino medievale “bulla” era, appunto, il sigillo. Bulla, quindi, da sigillo di un documento è passato a significare il documento stesso, la lettera. E biglietto? Da “lettera” a “biglietto” il passo è breve: vi si arriva tramite il francese “bullette”. Da bulla, naturalmente deriva il… bollo. Ma anche bollettino: no? Certo. Così pure i… bulloni! Ne ha fatta di strada la… bolla d’acqua! Di strada ne ha fatta anche il… ministro. In che senso? Deriva da “minus” (meno): il ministro era il servitore. Da qui la stessa parola minestra: il piatto più importante che veniva… servito dal “ministro”. Da umile servitore, quindi, il ministro ha assunto una delle cariche più importanti di uno Stato surclassando di gran lunga il magister (da “magis”). Lo è diventato, però, facendo il servitore del re. Un servitore di rango! Un ruolo che dovrebbero avere anche i nostri ministri: non dovrebbero… servire l’unico autentico “sovrano” che è il popolo? Dovrebbero, ma è vero? Un’altra curiosità: lo sai che ospedale e ostilità hanno qualcosa in comune? Il latino “hospes” (che aveva la doppia accezione di offrire ospitalità e di usufruirne), infatti, aveva anche la forma di “hostis”. Lo so. Ambedue avevano, originariamente, lo stesso significato: quello di forestiero, straniero. È il significato che si trova, oltre che in ospedale, in osteria, ostello, hotel: luoghi, cioè, che accolgono i… forestieri. Naturalmente c’erano forestieri e forestieri: quelli amici e quelli che amici non erano. Da qui i due significati. Parente stretto è, ovviamente, hostess. Originariamente era solo una… ostessa, poi è passata di rango diventando negli Usa, prima, direttrice di albergo e, poi, appunto hostess! Parenti tra loro, poi, sono alibi e alieno. L’origine è, naturalmente, “alius” (altro): chi dichiara di avere l’alibi, non dichiara di essere stato in un luogo diverso (altro) da quello del delitto?

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Ancora più chiaro il legame tra “alieno” e alius. Da alius deriva anche alienazione. Un termine, quest’ultimo, che ha assunto un significato filosofico-sociologico, ma che all’origine ne aveva un altro molto diverso: si trattava, infatti… del trasferimento di proprietà da una persona ad un’altra. Siamo di fronte a un significato che è ancora presente nel linguaggio giuridico. Da un’origine analoga deriva anche adultero. Si tratta, infatti, di chi si mette con un’altra donna! Così pure il verbo adulterare: la cosa “adulterata” non si trasforma in qualcosa d’altro? Sai da dove derivano i termini “record”, “money”, “carnevale” e “bravo”? Anche il termine cuore (cor, cordis) ha una ricca famiglia. Cordiale, accorato. Anche coraggioso, discordia. Così pure cordoglio: non è col cuore che si esprime il proprio dolore ad una persona? Lo troviamo perfino in inglese. In quale parola? Pensa a record: non è qualcosa che merita di essere… ricordato? E cosa c’entra “ricordare” con “cuore”? Perché per gli antichi il cuore era la sede della memoria: ri-cordare, quindi, aveva il significato di rimettere nel cuore, cioè nella memoria. Anche “ludere” (giocare) è in buona compagnia. Vedi ludico. Ma anche illudere: non è giocare con i sentimenti altrui? Naturalmente anche deludere, alludere. Perfino ludibrio. Il gioco, bello o sporco, c’è sempre! Anche le monete hanno a che fare col latino. La stessa parola moneta: no? Certo: deriva da monēre, cioè ammonire. E che cosa c’entrano le monete con le ammonizioni? Moneta era riferito a Giunone: Juno Moneta, Giunone cioè Ammonitrice. Era la dea che proteggeva il denaro? No. Il nome è nato in modo puramente casuale quando, nei pressi del tempio dedicato a Giunone Ammonitrice, si è stabilita la zecca romana. Un’origine di sicuro curiosa! Si tratta di un termine che è rimasto anche in francese (monnais), spagnolo e romeno (moneda), in portoghese (moeda) e nello stesso inglese (vedi money). Anche denaro, immagino, deriva dal latino. Sì: voleva dire una moneta del valore di dieci assi (munnus denarius). Anche soldo. Questo lo so: era così chiamato perché… solido, massiccio. Parlando di soldi, mi viene in mente per associazione l’incanto, cioè la vendita pubblica. Sai perché si chiama così? Lo so: deriva da “inquantum”, cioè “in quantum”. Esatto. Costituiva la domanda “a quanto” (a quale prezzo)? Ricchissima è anche la famiglia di “sequi” (seguire): appartengono ad essa parole che forse neppure immagini. Ad esempio? Le… esequie! Il significato è chiarissimo. Anche ossequi. Questo è meno chiaro. “Ob”, in questo caso, significa “verso”: seguire, quindi, verso…. La stessa matrice è presente in secondo.

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Allora anche secondino. Certo. Anche esecuzione, persecuzione. Vi sono, poi, numerosissime altre curiosità. Sai, ad esempio, da dove deriva il termine carnevale? Di sicuro da “carnem”. Questo è certo, ma che cosa c’entra col carnevale? Il segreto sta sicuramente nel suffisso. Un suffisso che, però, è alquanto nascosto: carnevale deriva da “carnem levare”, togliere la carne. Ma non è il mercoledì delle ceneri, per la Chiesa, il giorno di magro e di digiuno, il giorno cioè che inaugura la quaresima? Sì: il martedì grasso, però, era il giorno propedeutico. Una denominazione a dir poco buffa. Quaresima, poi, si chiama così perché deriva da “quadragesima dies”, cioè quarantesimo giorno (in ricordo del giorno in cui Gesù ha terminato il digiuno nel deserto). Ce ne ho anch’io di curiosità. Sai da dove deriva la parola bravo, un termine che – come sai – viene usato anche dai francesi (con la loro pronuncia, però)? Immagino da “pravus”, malvagio. Non ti sembra un paradosso? Non del tutto: non hanno una valenza negativa i… bravi immortalati da Manzoni? La valenza negativa è presente anche in bravata. Non ti sembra, poi, curiosissima l’origine del termine digitale? Non può che derivare dal latino “digitus” (dito). Indubbiamente, ma prova a pensare al significato che diamo noi oggi al termine (orologio “digitale”, tv “digitale”). Si tratta di un significato che deriva dall’inglese digit. Che deriva anch’esso dal latino. Certo, ma l’inglese digit significa “cifra” (dallo 0 a 9). Ma qui non abbiamo ancora a che fare con le dita? Sicuramente gli antichi romani facevano i calcoli con le dita: del resto il numero romano V non sta a indicare una mano aperta, cioè cinque? Come il numero romano X sta a indicare due mani, vale a dire dieci! E da dove derivano i calcoli? Dovresti saperlo: gli antichi romani non facevano i conti anche con dei sassolini (“calculi”)? Per associazione mi vengono in mente i calcoli della colecisti e i calcoli renali! Anche strada – come sai – ha un’origine curiosa. Deriva da (via) “strata” che vuol dire “lastricata”. Termine che ritroviamo nell’inglese street. E nel tedesco Strasse. Più curiosa ancora, mi pare, l’origine di rotta (rotta di una nave, di un aereo): si tratta di (via) rupta, cioè di un varco che si è aperto in un bosco. Da qui il francese route. Il latino c’è, ma è nascosto: da mistress a test a inflation a… rien. Considerato che abbiamo già fatti non pochi cenni ad altre lingue europee, proviamo a inoltrarci un po’ di più. È la lingua inglese che sorprende: pensa che il 60% delle sue parole deriva dal latino! Mi sembra un’esagerazione! Prova a consultare un dizionario con questo specifico scopo e vi scoprirai una presenza del latino al di là di ogni immaginazione. Sono stati i Normanni che, dopo la battaglia di Hastings, hanno imposto l’utilizzo di parole francesi (come sai, si erano stanziati in… Normandia), parole cioè di origine latina. Spesso però la matrice latina è piuttosto nascosta. Pensa a Manchester, Rochester, Chesterfield, Lancaster. Cioè?

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In esse si trova il latino “castra” (accampamento): si tratta di città di origine militare. Così il suffisso “coln” sta per colonia: vedi Lincoln. Pensa, poi, a mister. Deriva da… magister. E così pure mistress e miss. Pensa a snob. Questa, però, è un’abbreviazione: l’espressione da cui deriva è “sine nobilitate”. Infatti. In altri casi, però, la presenza del latino è chiarissima: pensa a sponsor che deriva da un verbo che vuol dire promettere. Come gli sposi che si promettono un amore eterno. In questo caso, però, lo sponsor promette solo dei soldi. Ciò che spesso nasconde l’origina latina è la pronuncia inglese: pensa a come pronunciano gli Inglesi media, junior, major, status. Abbiamo ereditato dagli inglesi anche bonus e malus. Sono termini – come sai – che le nostre compagnie di assicurazione hanno rubato alle omologhe compagnie inglesi. Perché non i neutri bonum e malum? Probabilmente gli inglesi conoscono il latino meno di noi, ma noi, che siamo esterofili, afferriamo tutto dal mondo anglosassone come se fosse oro colato. In molti casi non sospettiamo neppure l’origine latina. Pensa a test. Da dove deriva? Da “testa”. Che in latino voleva dire vaso di argilla. Ma che poi ha assunto il significato di scatola cranica. Dal contenitore, poi, si è passati al contenuto: il cervello, l’intelligenza. Il test, infatti, intende misurare l’intelligenza di un individuo, la sua capacità di “inter-legere” (“raccogliere tra”), vale a dire scegliere con… intelligenza. Non ti sembra nascosta anche la radice latina di fan? No: non sono… fanatici i fan? Certo, l’origine è “fanum”, cioè tempio. Da qui il termine fanaticus (da cui “fan”). E da qui il termine profano: profano non è chi è… davanti al tempio, cioè fuori dal tempio, fuori dal sacro? Dall’inglese (esattamente dagli Stati Uniti) ci è prevenuto anche il termine inflazione. Che, naturalmente, deriva dal latino “inflare”, cioè gonfiare. Non è, però, il massimo della chiarezza: il gonfiamento di che cosa? A dire il vero, in inglese il termine inflation è talvolta accompagnato da un altro termine: price inflation, profit inflation, income inflation. Di origine latina è anche la parola lavatory (bagno). Si tratta, tuttavia, di un termine tardo: lavatorium. A proposito, sai da dove deriva la parola “lavabo”? Immagino dal futuro (prima persona singolare) del verbo latino lavare. Come mai il futuro? E che ne so? L’origine è religiosa. Anzi liturgica: il lavabo originariamente era la bacinella d’acqua in cui il sacerdote, durante la celebrazione della messa, lavava le mani. E il futuro? Deriva dal versetto di un salmo. È il caso di dire che il latino è talvolta nascosto anche in una lingua neo-latina come il francese. Ad esempio? Pensa a rien? Forse non riesci ad immaginare l’origine latina. Con un po’ di fantasia arriverei a… “rem”. Ma… che c’entra “cosa” con “niente”? Sei tutt’altro che fuori strada: si tratta proprio di “rem”. Naturalmente il termine latino ha perso il negativo “nec”. Ha, quindi, lo stesso significato dell’analogo termine inglese, nothing. Infatti: significa “nessuna cosa”.

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Anche il francese maison nasconde bene la sua origine latina. Cosa sai, i Romani usavano “casa” come equivalente di “capanna” e “domus” per le case di un certo prestigio. Non mi viene alcuna associazione. Si tratta di mansio (mansionis) che nel latino parlato ha assunto il significato di “alloggio”. Meno nascosta, invece, è la radice latina di molti toponimi: pensa ai nomi di località che hanno come suffisso “court” o “ville”. Da Fréjus a… dezmierda Il latino è indubbiamente presente anche in tedesco: no? Certo. Talvolta, però, è nascosto. Pensa alle località che hanno come suffisso weiler: si tratta di un termine che deriva dal latino “villa”. Vi sono dei termini che sono praticamente identici (ad eccezione della pronuncia) in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo. Pensa agli organi sessuali: pene e vagina. Anche i nomi dei mesi, che io sappia. Sì. Nei nomi dei mesi, tuttavia, vi è qualcosa che non quadra: perché settembre, ottobre, novembre e dicembre si chiamano così, pur essendo il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo mese dell’anno? Questo lo so. Perché anticamente era marzo che apriva l’anno. L’ultimo mese era febbraio. Era così chiamato perché, in tale mese, si chiudeva l’anno con riti di purificazione (da “februum” = mezzo di purificazione). E il significato di gennaio? Deriva da Ianuarius. Era il mese, cioè, dedicato a Giano bifronte, il dio che aveva una faccia rivolta al passato ed un’altra verso il futuro. L’origine di alcuni mesi è chiara: gli dei Marte, Maia e Giunone. E aprile? Era il mese che… apriva la natura. Sono luglio e agosto che sorprendono: come si può passare dagli dei al culto della personalità di due mortali come Giulio Cesare e Ottaviano Augusto? Non hai torto. Ma tu ne parli con la cultura di oggi. Cesare e Augusto sono rimasti imperituri anche nel nome di località: pensa a Cesarea (Israele), Cherbourg (Francia), Jerez (Spagna), Fréjus (Forum Julii) e pensa a Aosta, Famagosta (Cipro); in Saragozza, poi, si trovano sia Cesare che Augusto. Stavamo parlando dei termini che sono praticamente identici in tutte le lingue del nostro campione. Vedi termini filosofici come essenza, esistenza. Termini politici come repubblica, regno, principe (in tedesco è Prinz), provincia. Parole come famiglia, ordine, quoziente. In alcuni casi è solo l’inglese che ricorre al latino, mentre tutte le altre ricorrono al greco. Vedi pedagogico: in inglese è educational, in francese pédagogique, in tedesco pädagogisch, in spagnolo pedagógico. Succede che il tedesco segue il latino e l’inglese no: corpo è body in inglese e Körper in tedesco (in francese è corps e in spagnolo cuerpo). In molti casi, tuttavia, è il solo il tedesco che non ricorre al latino: vedi scienza (Wissenschaft), ragione (Verstand), società (Gesellschaft), spirito (Geist). In molti altri casi il latino è presente solo nelle lingue neo-latine: merda, ad esempio, che in francese fa merde, in spagnolo mierda. A proposito di… mierda, vuoi una curiosità? Ho letto in un libro che in rumeno accarezzare, vezzeggiare, coccolare è… dezmierda. Che schifo! Ma la mamma non pulisce il culetto del bambino con… amore? Una sorta, allora, di… carezza! Ma… due rumeni innamorati non si vergognano a usare tale verbo? Dipende dal loro grado di cultura. Rispetto, infatti, ad altre lingue – così, almeno, ho letto - nel rumeno non sono per nulla vivi dei derivati del latino merda. Chi conosce l’origine del verbo, lo evita ricorrendo ad un altro più… nobile.

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Riprendendo il discorso, immagino che anche il termine referendum sia entrato massicciamente nelle lingue europee. Non nel tedesco che fa Volksentscheid. Cesare, però, è universale: no? Lo si trova in Kaiser. A proposito, lo sai perché la “ae” (pronuncia “e”) di Caesar diventa in Kaiser “ai”? E perché, poi, la c da dolce diventa gutturale? La pronuncia che abbiamo studiato a scuola, come sai, è quella ecclesiastica. Nell’età classica, invece, la “ae” era proprio letta “ai” (così “oe” era letto “oi”). E così la c e la g avevano sempre un suono gutturale. Così pure la gn all’inizio di parola (si pronunciava ghn). È noto, inoltre, che la v si leggeva u. Penso a IVSTITIA. Esatto. E anche “ti” si pronunciava “ti”. Tornando a Cesare, lo sai che si trova pure nel russo czar. Ho letto che si trova pure nell’arabo: vedi (al-)kaisārōya che a sua volta deriva dal greco bizantino kaisāreia che vuol dire “palazzo del governatore”. Il latino, poi, è ampiamente presente nel russo. Pensa che in russo repubblica è proprio respública (alla latina). Così provinziia. Principe è prinkz. Così i mesi dell’anno: ti ricordi (o no) il moto decabrista del 1825? Non si trattava di un moto scoppiato a dicembre (dekábr, in russo)? L’equivalente del termine “dieci”, però (immagino), a sua volta deriva dal greco. Sì, ma il nome ricalca il latino. Come di origine latina sono mesi quali mart (marzo), mai (maggio), iun (giugno), iul (luglio), avgust (agosto). 2.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ ROMANA Senti, Alessandra: la presenza del latino nelle lingue europee è un dato di fatto. Ma anche qui è legittimo affermare ciò che ho sostenuto a proposito della lingua greca: un conto sono le radici linguistiche e un conto sono i valori e il modo di pensare dei Romani. Che cosa abbiamo noi in comune con gli antichi Romani? Non dirmi che questi hanno davvero contribuito a plasmare il cosiddetto “spirito europeo”! Hanno lasciato non solo il linguaggio, ma anche le leggi, le istituzioni. C’è uno “spirito romano” che è rimasto fino a noi. Quale spirito romano? Come si può parlare di “spirito romano” quando siamo di fronte ad una storia di almeno 1300 anni? L’“uomo romano” è solo uno stereotipo, una categoria astratta! Limitiamoci, allora, al periodo repubblicano. Non siamo in presenza di un’istituzione che è stata oggetto di grande ammirazione da parte di molti (non solo di Machiavelli)? Che cosa ha in comune la repubblica romana con la nostra? Quella era una repubblica chiaramente oligarchica! Ma era molto più generosa, nel concedere la cittadinanza, della stessa democrazia ateniese! Ecco perché Roma è sopravissuta così a lungo, mentre la democrazia ateniese è durata solo un secolo e mezzo! Nella pólis greca, poi, era solo l’assemblea a creare nuovi “cittadini”, mentre a Roma bastava l’iniziativa di un singolo padrone (dominus) a trasformare lo schiavo in cittadino (l’approvazione del magistrato era solo formale). E questo valeva anche sotto l’impero. Avere la cittadinanza non significava avere gli stessi diritti. Il possesso della cittadinanza non significava già l’uguaglianza di fronte alla legge? Uguaglianza in che cosa? Vedi il matrimonio, la famiglia, l’eredità, i delitti: tutti i cittadini, al di là delle distinzioni sociali, erano soggetti alle stesse leggi. 2.2.1 Uguaglianza dei cittadini: ma… quale? Quale uguaglianza di fronte ai delitti? Il diritto romano era classista: forse che i più ricchi venivano sottoposti a tortura e ai lavori forzati? forse che potevano fare ricorso in caso di pena di morte?

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È un dato di fatto, però, che gli imputati avevano diritto ad essere assistiti dall’avvocato: non è questa una grande eredità? Erano, poi previste, prima dell’emissione della sentenza, deposizioni sia orali che scritte. Però i testimoni-schiavi, per verificarne la loro veridicità, venivano sottoposti a tortura e gli imputati poveri erano spesso e volentieri giustiziati (vedi la crocifissione pubblica) o condannati a morire in pasto alle belve, mentre gli imputati ricchi venivano, al massimo, esiliati o deportati su un’isola. I senatori e i cavalieri, poi, non godevano del privilegio di essere giudicati dal senato stesso? Altro che uguaglianza di diritti! Perché mai ti scandalizza il privilegio dei senatori? I nostri parlamentari non hanno privilegi analoghi? E questo significa, forse, che non siamo in presenza di privilegi? E dove ci sono privilegi, lì non c’è uguaglianza. L’uguaglianza in senso pieno non c’è neppure oggi nei Paesi più civili. Pensa, poi, che a Roma non c’era una chiara distinzione di ruoli: ogni cittadino, a seconda delle circostanze, era soldato, contribuente ed elettore (ed eventualmente magistrato). Non esistevano caste sociali! Non è questo un grande insegnamento? Ma… chi erano i cavalieri? Non erano i più ricchi tra i ricchi? Sì, ma era proprio su loro che venivano scaricati gli oneri militari e fiscali: non è questo un principio di giustizia? Le imposte indirette, però, erano pagate da tutti. E, poi, i poveri che cosa contavano nelle assemblee? Contavano di meno perché pagavano meno imposte e perché erano meno coinvolti nella mobilitazione militare. Allora, non venire a dirmi che i diritti erano uguali! Lo sai bene, poi, che non erano chiamati a votare i singoli cittadini, ma le tribù e le centurie. Ora, quanto pesavano le centurie dei cavalieri? Rappresentavano da solo quasi la maggioranza! Non era, inoltre, una farsa il voto su un ordine del giorno? Non vi era, infatti, alcun dibattito, non vi era alcuna possibilità di emendare delle proposte, ma solo rispondere “sì” o “no”. Tra l’altro, con un voto orale, di fronte a tutti! Non puoi giudicare un passato così lontano con le categorie di oggi! È un dato di fatto che la società romana non solo era classista, ma anche schiavista. La stessa parola “famiglia” non ha un marchio schiavista? Non deriva, infatti, da “famuli”, cioè gli schiavi, i servitori? Era una famiglia allargata che comprendeva anche i servi. E per gli schiavi la famiglia costituiva anche un rifugio affettivo. Pensa che per un padre non vi era una distanza enorme tra un figlio ed uno schiavo: egli, infatti, aveva il potere di vendere un figlio e di adottare uno schiavo. Per forza: per lui quello che contava era solo la loro capacità lavorativa. Comunque, il figlio era destinato a diventare “cittadino”, mentre lo schiavo a rimanere “schiavo”. Lo schiavo non era considerato un semplice strumento di lavoro: le XII Tavole non dicevano che il responsabile di un danno doveva pagare un’indennità in denaro al danneggiato, anche se questi era schiavo? L’indennità, però, era doppia per uno libero. E, poi, una legge successiva non ha stabilito che l’indennità venisse pagata allo stesso padrone? Altro che rispetto per la dignità umana dello schiavo! Pensa a quanti schiavi sono stati emancipati! L’emancipazione, però, è avvenuta quando è diventata conveniente, quando, in seguito a trasformazione economiche, gli schiavi hanno avuto mansioni nuove. Non puoi chiedere l’impossibile: il messaggio liberatorio del Cristianesimo non era ancora arrivato! Pensa, inoltre, al genio latino che ha introdotto nelle istituzioni una serie di antidoti per prevenire qualsiasi forma di dittatura. Pensa all’apertura dimostrata dai patrizi nei confronti degli stessi plebei. Una volta avviata, cioè, la repubblica è cresciuta. Una strada che potremmo percorrere anche noi oggi.

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2.2.2 Il linguaggio politico: un’eredità solo linguistica? Ma i patrizi sono arrivati a concedere diritti ai plebei non per convinzione, ma semplicemente perché costretti: che cosa avrebbero potuto fare – al tempo della secessione aventiniana – senza di loro? La politica è l’arte del possibile, l’arte del compromesso ed essi sono arrivati ad un compromesso. E per via politica. Non è questa una lezione per l’oggi, per noi che spesso e volentieri ricorriamo alla forza militare? I Romani sono stati veri e propri maestri di politica. Quasi tutto il nostro linguaggio politico-istituzionale, tra l’altro, lo abbiamo ereditato da loro. Pensa a senato, comizi, preture, questure, candidati, plebisciti… Semplici parole. Che cosa c’è di comune tra il nostro senato e quello romano? Praticamente nulla: solo il fatto che per essere eletti senatori, è necessario esse un po’ più… anziani. Ma non è certo questa norma che serve a distinguere nettamente il Senato della Repubblica dalla Camera dei deputati! Era pur sempre – come oggi – un organismo di controllo e deliberativo. Anche la questura e la pretura erano istituzioni diverse dalle nostre. I pretori avevano un compito fondamentalmente giudiziario come oggi. Avevano anche il compito di governare le province. I questori, poi, erano deputati ad amministrare il denaro delle casse dello Stato, cioè facevano tutt’altro rispetto a quanto fanno oggi. Tu devi guardare la sostanza, non le variazioni di significato delle parole. Nessuno può mettere in dubbio che i Romani fossero dei veri e propri geni del diritto: un diritto che era comune a tutti i popoli dell’impero e che si fondava sui principi di equità e di pietà. Pietà? Ma i Romani erano tagliatori di teste! Ma questi erano i Celti! 2.2.3 I Romani: i pionieri della “globalizzazione”? I Romani non furono di meno: per loro tagliare le teste era una manifestazione di potenza! Che senso ha, allora, considerate queste differenze abissali, riconoscere nella civiltà latina una delle nostre matrici? I Romani erano una potenza economica e militare, una vera e propria macchina da guerra. Il loro fine? Conquistare, arraffare bottini… Oggi gli Usa non fanno altrettanto? Anche se ricorrono alla forza, è un fatto innegabile che stanno esportando la democrazia laddove esistevano spietate dittature! E tu li giustificheresti? La violenza crea solo violenza. Concordo con te. Va dato atto, però, ai Romani di avere civilizzato territori immensi (un territorio di oltre tre milioni di km quadrati che si estendeva dal Portogallo alle porte di Budapest e che comprendeva ampie porzioni dell’Asia e dell’Africa): hanno esportato la lingua, valori, istituzioni, tecniche tra cui, ad esempio, l’arte dell’architettura in cui i Romani erano maestri. Valori che erano di gran lunga più elevati rispetto a quelli dei popoli sottomessi. Non credi che noi europei, dopo decenni di duro lavoro, stiamo percorrendo le tappe che hanno percorso i Romani? Realizzare un grande mercato e unificarlo con una sola moneta. Chissà, forse un domani riusciremo anche noi ad abbattere le barriere linguistiche che dividono i popoli europei con una unica lingua! Mi auguro proprio di no: le lingue nazionali sono una grande ricchezza, un patrimonio inestimabile. Non devono, quindi, cedere il passo alla lingua dei conquistatori! Quali conquistatori? Non siamo noi che stiamo costruendo l’Europa? L’Europa nasce dal basso! Ma… la lingua inglese che oggi sta sempre più imperando non è la lingua del… nuovo impero romano, cioè gli Usa? Sono gli Usa che stanno conquistando il mondo, non solo con le armi, ma anche con l’imposizione dei loro modelli culturali, con la loro lingua! Se fosse così, ci sarebbe una ragione in più per cercare la nostra “identità” culturale: come potremmo evitare di essere fagocitati dai modelli statunitensi se non avessimo una nostra identità? C’è davvero questa identità europea? Per ora io non l’ho ancora trovata!

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3. RADICI GOTICHE E LONGOBARDE

“furono i barbari a fornire la materia umana di cui si è fatta l’Europa;

essi furono le gentes, in contrasto con l’imperium e con l’ecclesia, le fonti dell’elemento nazionale della vita europea.”

(C. H. Dawson, La nascita dell’Europa, Il Saggiatore, Milano 1969, p. 84)

Radici greche, radici latine. Ma le lingue europee ne hanno anche altre, forse meno… nobili. Sono i barbari che contaminano i popoli latini. Sono quindi i barbari che lasciano le loro tracce anche a livello linguistico. Emanuele e Alessandra si spostano idealmente prima a Ravenna (capitale del regno ostrogoto) e poi a Pavia (la sede dei re longobardi).

Lo sai che “harbour” (pensa a “Pearl harbour”) ha una radice gotica? Emanuele, come sai, siamo tutti dei meticci (così si usa dire di questi tempi). Non siamo solo figli dei Romani, ma anche dei barbari: siamo, per usare un termine brutale, dei bastardi. Ma vi è chi, per difendere una presunta “identità” culturale, rifiuta i “barbari” di oggi. Non è che allora fossero accolti bene (tutt’altro!). Sta di fatto che, a un certo punto, i Romani sono stati costretti a venire a patti con i barbari. Che quindi si sono integrati. È stato, addirittura, il re degli ostrogoti, Teodorico (circondato da uno staff che rappresentava il meglio della cultura umanistico-classica) a iniziare questa grande operazione culturale: non è un caso che ai Goti abbia dato i compiti militari ed abbia lasciato ai Romani quelli civili. Si è trattato, però, di un ambizioso progetto che è fallito! È vero. Un’operazione efficace, invece, è stata condotta dai monaci: sono loro che hanno svolto, con i loro monasteri, un grande lavoro teso proprio all’integrazione dei barbari. Da qui il meticciato. Un meticciato anche di carattere linguistico. I Goti, ad esempio, hanno lasciato non poche parole. Il nostro “hotel” – l’abbiamo già visto – deriva dal latino. Ma noi usiamo anche un altro termine per indicarlo, un termine che è di origine gotica. Albergo? Sì: deriva da “hari-berg” che vuol dire riparo dell’esercito. Siamo in presenza di un suffisso che è presente anche nella denominazione delle città. Mi viene in mente, in questo momento, Königsberg. Si tratta di un suffisso che, in questo caso, credo abbia il significato di “città”. “Berg”, in tedesco e in nederlandese, significa propriamente “montagna”: Königsberg, quindi, letteralmente, vuol dire “montagna del re”. Più diffuso il suffisso “burg” (bourg in francese e borough, boro, burgh e bury in inglese): vedi, ad esempio, Edinburgh. Si tratta, tuttavia, di un suffisso che è imparentato col latino medievale “burgus”. Un suffisso che è presente perfino in Russia: vedi San Pietroburgo. Torniamo ad “albergo”: sai che il termine è presente anche nell’inglese? In quale parola? Harbour che vuol dire porto (Pearl harbour significa il “porto delle perle”). Di origine gotica, poi, sono non pochi termini militari come elmo e guardia (dal gotico wardja che, a sua volta, deriva dal germanico warōn che vuol dire “prestare attenzione”). Secondo alcuni anche un termine che possiamo definire “politico” e che ha avuto un rilancio alla grande nell’era comunale col significato di “assemblea popolare”. Arengo?

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Certo: in gotico hrings significa letteralmente “cerchio”. Anche termini di uso corrente: vedi arredare, recare, schietto. Pure la parola astio (da Haifsts che vuol dire “litigio”) e l’analogo bega. Si tratta, comunque, di una presenza limitata nella nostra lingua. Di sicuro. Come è esigua la presenza di termini di origina visigota: pensa a nomi come Alfonso, Elvira, Ramona, Rodrigo, Gonzales, Rodriguez. Non è un caso che siano nomi tipicamente spagnoli: non hanno conquistato la Spagna i Visigoti? La parola “tette”? Un’eredità longobarda. Infatti. Più significative le tracce lasciate dai longobardi. Penso alle località che finiscono in “engo” (o in “ingen”, “ange”, “ing”, “enga” in altre lingue europee): Martinengo, Marengo, Offanengo. Così pure a località che hanno una denominazione in cui sono presenti i termini fara (o fère) e garda. Anche nomi propri come Federico, Umberto, Guglielmo. E anche altri che oggi non si usano più: Anselmo, Ildebrando, Bernardo (letteralmente “orso bruno”), Baldovino. Addirittura alcuni stessi cognomi quali Grimaldi, Pertini, Trotta, Sassi.

Anche parole di uso corrente? Sì. Vi sono termini che indicano delle parti del corpo quali anca, schiena, milza, stinco, guancia, ciuffo, zazzera. Chi l’avrebbe mai immaginato? Anche verbi che usiamo spesso: pensa a scherzare, russare, spaccare, spruzzare, aizzare, bramare, sghignazzare, piluccare, tuffare (in tedesco, poi, Taufe ha assunto il significato di “battesimo” - dal rito originario dell’immersione). Colori

quali bianco e bruno. Termini comuni quali panca, scaffale, stucco, palco, spranga. Perfino palla, ricco (da “rīhhi = potente), grinfia, sguattero (da “wahtari” = guardiano). Anche… tetta, bigotto, bussare, mucchio, mascalzone, riga, sterzo, benda, balcone, gruzzolo, zaino, brodo. Anche… magone (magān significa stomaco). Un numero considerevole. Termini che si ritrovano anche in altre lingue europee? Certo, ma in modo piuttosto limitato. Ad esempio, “milza” si trova, oltre all’italiano, solo in tedesco (Milz), se ci riferiamo – naturalmente - al campione linguistico che stiamo considerando; “anca” è presente in francese (hanche); “guancia” in tedesco (Wange); “schiena” è solo in italiano. Vi sono, infine, termini detti genericamente germanici che sono ampiamente diffusi. Pensa a guerra: il germanico “werrō” (confusione, discordia) ha sostituito presto il latino “bellum” e ha fatto ingresso in numerose lingue. Una diffusione analoga l’ha avuto il germanico saipōn (sapone): lo si trova non solo nelle lingue del nord Europa, ma anche in quelle mediterranee. Così i termini fiasco, pistola, filibustiere. Noi e i barbari Siamo o no dei meticci? Altro che avere solo natali nobili come i Greci e i Romani! Naturalmente si è trattato di influssi che hanno avuto un peso diverso. Certo. Siamo, comunque, in presenza di popoli che ci hanno lasciato delle tracce non solo sotto il profilo linguistico. Non è all’ordine del giorno oggi il problema – per la cui soluzione ha tanto lavorato Teodorico – dell’integrazione di popoli diversi? Gli Ostrogoti non hanno lasciato a Ravenna delle opere artistiche che ancora oggi ammiriamo? E i Longobardi? Che mi risulta, non avevano alcun interesse ad integrarsi. Non puoi, tuttavia, negare, che delle tracce le abbiano lasciate. Non è stato il loro arrivo che ha determinato la divisione politica dell’Italia, divisione che sarà ricomposta solo nel 1861? Ma questo è un fatto tutto italiano.

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Oltre a dividere politicamente l’Italia, i Longobardi hanno creato le premesse per la formazione del potere temporale dei papi (pensa alla donazione di Sutri del 728), evento che sicuramente ha avuto un respiro che è andato ben al di là dei confini del nostro stivale. Un maggior respiro l’hanno avuto sicuramente i bizantini: penso al Corpus Juris civilis di Giustiniano. È stato questo Corpus (riscoperto dopo secoli) una delle opere che più hanno segnato l’evoluzione non solo dell’Europa ma dell’intera umanità. La loro “liberazione” dell’Italia dagli Ostrogoti, però, ha avuto un costo - in termini di vite umane e di danni – pesantissimo per le nostre popolazioni: ben 18 anni di guerra tra le più cruenti. Come il costo – in termini sia di vite umane che di risorse finanziarie – delle guerre di Bush! I contesti sono molto diversi e, quindi, i confronti sono difficili da effettuare. È un fatto che i Bizantini hanno tassato gli italiani in modo massiccio ed hanno sottomesso, di fatto, lo stesso clero cattolico agli ordini di Bizanzio. Ordini che riguardavano anche scelte in materia religiosa: ricordo l’imposizione di distruggere – in tutto l’impero bizantino (comprese, quindi, le terre italiane sottomesse a Bizanzio) - le immagini sacre. Un’operazione che avrei condiviso anch’io! La gente, manipolata da monaci senza scrupoli, rischiava di scivolare nella superstizione. L’offensiva iconoclastica di cui è stato artefice lo stesso imperatore bizantino tendeva giustamente a spazzar vita l’accusa nei confronti del Cristianesimo – formulata proprio allora dai musulmani – di non essere rigorosamente monoteista.

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4. RADICI ARABE “oggi è dovere primario per noi Europei occidentali […]

riconoscere in pieno il nostro debito nei riguardi del mondo arabo e islamico.” (W. Montgomery Watt, L’Islàm e l’Europa medievale, Mondadori, Milano 1991, p. 121)

Radici nobili e radici meno nobili (quelle delle popolazioni “barbariche”). Ma l’Europa – o almeno alcune sue aree significative – è segnata anche da una cultura oggi molto “chiacchierata”: quella araba. È per la ricerca di tali radici che Alessandra e Emanuele intraprendono una nuova tappa del loro viaggio in Europa: la Spagna. È qui che la “presenza” degli Arabi è stata la più profonda e duratura. 4.1 RADICI LINGUISTICHE 4.000 parole nello spagnolo, diverse centinaia in inglese

È ora di affrontare il nostro debito con gli Arabi. A partire dal linguaggio: come sai, noi parliamo arabo molto più di quanto si immagini. Ma… gli Arabi non si sono limitati a conquistare la Spagna e la Sicilia? Carlo Martello li ha fermati a Poitiers: no? È vero. È lo spagnolo la lingua in cui gli Arabi hanno lasciato più tracce: si calcolano ben 4000 termini. Ma le tracce, anche se in misura di gran lunga minore, sono presenti anche in altre lingue: in inglese ve ne sono

alcune centinaia. Penso, ad esempio, ad admiral (una semplificazione di “amir al bahr” che significa “l’emiro del mare”). Si tratta di termini – immagino - legati alla navigazione. Non solo: anche termini legati, in generale, al mondo commerciale: pensa a dogana, magazzino, tariffa. Pensa pure a divano. Ma che cosa c’entra il “divano” col mondo commerciale? C’entra nel senso che è “dogana” (dīwān) che deriva da “divano”: questo perché negli uffici deputati al controllo delle merci vi erano scranni imbottiti e con cuscino, ma senza spalliera. Il termine “divano” è turco, ma è di derivazione persiana: in un primo momento significava “consiglio di stato”, poi… “sofà” dove si sedevano tali consiglieri, e infine il “libro” su cui venivano segnate le loro decisioni. Non avrei mai immaginato. Arabo è pure il termine simile ottomana, il noto divano alla turca: deriva dal nome del capostipite di una dinastia di califfi. La radice di “assassino”? Probabilmente non immagini neppure l’origine del termine assassino. Naturalmente, non c’entra nulla con i… sassi. Infatti. C’entra con la droga! Con la droga? Sì, con l’ascisc, l’erba famosa. Erano fumatori di hascisc? Esatto. Ma cosa c’entrano gli assassini con i fumatori di hascisc? Assassini erano una setta di musulmani.

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Che cosa faceva tale setta per meritarsi un tale epiteto? I suoi membri fumavano erba per esaltarsi e così uccidere, in questo stato, i cristiani. Ah! Arabi sono anche alcuni nomi di strumenti musicali. Pensando alla Spagna, mi viene in mente il termine nacchere. Sì, ma anche liuto, tamburo. Era Siviglia che produceva questi strumenti musicali (compresa la chitarra). Il fatto che i nomi di tali strumenti siano arabi fa supporre che siano arrivati tramite gli Arabi. Chitarra, però, deriva dal greco ed ha la stessa matrice di cetra. Anche lo zero è stato importato dagli Arabi. Infatti. Deriva dall’arabo “sifr” che vuol dire “vuoto”. E che cosa c’entra il “vuoto” con lo “zero”? C’entra: in un primo momento, proprio perché si era abituati a far uso solamente delle nove cifre, si teneva lo spazio libero, cioè… vuoto. “Zero” è il risultato di una serie di passaggi: la latinizzazione “zephirum” che è diventato, man mano, zefro e, finalmente… zero. Da sifr, indubbiamente, deriva anche “cifra”. Esatto: non è un caso che in alcune lingue europee il termine cifra (chiffre in francese, cipher in inglese, Ziffer in tedesco) indica tutti i dieci numeri. In inglese, poi, “cipher”, oltre a indicare le cifre, indica lo zero. Abbiamo parlato del termine “zero”. E il simbolo che usiamo? Probabilmente deriva dal termine greco “oudén” che significa nulla. Come abbiamo visto, già i matematici greci usavano lo zero che chiamavano, appunto, “nulla”. E il simbolo, allora? Pare derivi dall’iniziale di “oudén”. Parole arabe sono presenti – come è noto – nel linguaggio matematico-scientifico. Come algebra, alchimia, chimica. Sì. Sai da dove deriva alchimia? Da un termine (al – kēmīha) che significa “pietra filosofale”, la sostanza cioè in grado di trasformare i vili metalli in oro. A me risulta, invece, che “pietra filosofale” in arabo sia elisir. Anche. Deriva da al – iksīr ed è entrato in diverse lingue col significato di rimedio miracoloso. Sono noti, poi, alcuni termini astronomici come zenit, nadir. Ma anche numerosi termini che hanno a che fare con la nostra cucina: arancia, limone, albicocca, spinaci, carciofo, tamarindo, caraffa, sciroppo, zucchero, zafferano, alcool. Sai il significato originario di alcool? Come potrei saperlo? Il termine arabo significa polvere che serve a tingere le palpebre e le sopracciglia. Come avrei potuto immaginarlo? Arabi sono pure termini piuttosto diffusi: benzina, magazzino, cotone, ottone, gelsomino, scirocco, miraggio. Una curiosità: da dove deriva il termine “benzina”? L’origine è davvero curiosa: deriva dall’arabo lubān Giāwī, letteralmente incenso di Giava. Altri termini di origine araba sono ambra, azzurro, almanacco (dal significato, quest’ultimo, di calendario). Vi è poi un termine che richiama direttamente il saluto degli arabi. Salàm? Salàm significa “pace”. Nell’italiano si trova in salamelecco. Deriva dall’arabo che vuol dire “la pace sia con te”. Che mi risulta, anche il gioco degli scacchi. Esatto. A dire il vero il nome del gioco, in arabo, è di origine indiana, nome che si ritrova nello spagnolo ajedrez e nel portoghese scadrez. Nelle altre lingue europee il nome del gioco deriva dalla formula arabo-persiana che indica la chiusura del gioco: shâh mât, cioè “il re è morto” (vedi scacco matto in italiano e checkmate in inglese). L’obiettivo del gioco, infatti, è immobilizzare il “re” dell’avversario.

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Esatto. Dall’espressione francese che indica lo scacco matto (échec et mat), poi, è derivato l’inglese check (poi rientrato in Francia come chèque) col significato di assegno bancario. Immagino anche il Cancelliere dello… “Scacchiere” (come viene chiamato in Gran Bretagna il ministro delle Finanze o del Tesoro cui è affidata la sorveglianza della cassa dello Stato). Senza dubbio. Dall’arabo, poi, pare derivi il nostro “ragazzo” (un unicum – che mi risulta – nelle lingue europee occidentali): secondo la maggioranza degli studiosi deriverebbe da raqqās che nel Magreb significa corriere che porta la posta, viaggiatore, messaggero. Si tratta di termini che presumo siano quasi esclusivamente circoscritti alle lingue della penisola iberica e all’italiana (considerata la conquista della Sicilia). Numerosi termini, sì. In spagnolo – come già abbiamo detto - vi è un sacco di parole di derivazione araba. Anche nomi di fiumi: pensa a Guadalquivir (che letteralmente significa “il fiume grande”). Ma “guada” non deriva dal latino “vadum”? La radice sta nell’arabo wād che ha il significato di “fiume, valle”. Nota, poi, è la derivazione araba di Gibilterra: da ģebel Tārik (il monte di Tarik, il comandante che per primo ha iniziato la conquista della Spagna). In Spagna troviamo pure l’arabizzazione del latino. Pensa a Saragozza. L’origine latina è C(ae)sara(u)gusta, ma è diventata Saragozza (in spagnolo Zaragoza) tramite l’arabo Saraqusţa. Ancora oggi in Spagna la stessa parola che sta a indicare il sindaco e il giudice (alcalde) è araba. Molti termini di derivazione araba sono presenti in diverse lingue europee. Alcuni sono diffusissimi (pensa a scacchi, liuto, spinaci, albicocca, carciofo, arancia), altri più circoscritti (nel caso di “limone” non si trova il termine arabo in francese e in tedesco; nel caso di “dogana” l’arabo è presente , oltre che in italiano, in francese e in spagnolo). Anche quando il termine arabo è diffuso, però, è nelle lingue iberiche che si trova la parola più vicina all’originario: arancio, ad esempio, che in arabo-persiano è nāranğ diventa in spagnolo “naranja”, magazzino in spagnolo è almacén (arabo: al – mahzan). In altri casi, invece, la traccia araba è rimasta solo in italiano e in spagnolo: pensa a azzurro (azul in spagnolo: il persiano originario è lāžward). 4.2 L’EUROPA E LA CIVILTÀ ARABA

“Nel Medioevo, attraverso la Spagna e la Sicilia giunsero in Europa

le tecniche, le scienze, la filosofia che gli arabi avevano ereditato dai Greci, dagli Indiani, dai Persiani, dagli Egiziani, dagli Ebrei.

Questi apporti permisero all’Europa occidentale, che seppe assimilarli, adattarli, ricrearli e trovare in se stessa altre risorse,

di realizzare lo straordinario sviluppo che nel Medioevo le permise di superare la potenza e di eguagliare la civiltà

delle grandi aree politico-culturali cinese, indiana, musulmana e bizantina. (Jacques Le Goff, L’Europa medievale e il mondo moderno, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. 17-18)

Dallo zero alla carta

Il lascito degli Arabi sotto il profilo linguistico è decisamente significativo. A mio avviso, però, essi ci hanno dato molto di più: hanno contribuito in modo significativo alla formazione della civiltà europea! Non è anche grazie all’apporto degli Arabi che l’Europa saprà essere protagonista di uno sviluppo straordinario? Non stai esagerando? Abbiamo già parlato dello “zero”: la sua introduzione ha rappresentato una vera e propria rivoluzione. Senza lo zero e senza il valore posizionale dei numeri, la scienza non avrebbe

avuto i giganteschi progressi che ha registrato. Ma lo zero non è stata un’invenzione degli Arabi!

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È un dato di fatto, però, che sono gli Arabi che hanno colto i vantaggi del sistema indiano. E sono loro che ce l’hanno trasmesso. Sono sempre loro che hanno risolto operazioni complesse – già note ai greci – con la radice quadrata. Hanno posto le basi anche dell’algebra, no? Algebra è un nome arabo. Certo. E sai chi ha iniziato per primo? No. Un certo al – khwārizmī, noto come Algorismus. Da qui algoritmo. Sì. Un altro autore (Alhazen) ha risolto un’equazione di quarto grado ed è riuscito a calcolare il livello a cui arriva l’atmosfera terrestre. Che mi risulta, arabi sono stati anche grandi medici. Infatti: per non pochi secoli sono loro che hanno dominato in Europa nel campo della medicina, rubando il ruolo che prima avevano i cristiani. Ma… non hanno solo copiato dai greci? Hanno, sì, tradotto i testi dei grandi medici greci Galeno e Ippocrate, ma allo studio e alla traduzione dei classici hanno unito osservazioni acutissime in ambito clinico. Non è un caso che alcuni arabi abbiano eguagliato, in competenza, i più grandi medici greci. E non è un caso che il “Canone di Medicina” di Avicenna, tradotto in latino ne XII secolo, sia stato a lungo il principale testo usato in Europa nell’insegnamento della medicina. È grazie a tale traduzione, credo, che nel linguaggio medico si faccia ancora oggi largo uso di espressioni latine. Quanto è durato questo insegnamento? Fino al XVII secolo! Il “Canone di Medicina” di Avicenna è stato probabilmente il trattato medico più studiato in tutta la storia! Non si può misconoscere, quindi, il contributo degli Arabi. Contributo che sarebbe già grande se avessero solo salvato il patrimonio culturale greco: dalla matematica all’astronomia, dalla medicina alla filosofia. Hanno iniziato a salvarlo fin dal VII secolo. È successo in seguito alla conquista dell’Iraq: è qui che hanno iniziato a tradurre le opere greche già tradotte in siriaco, la lingua dotta usata nelle scuole cristiane. Siamo di fronte, quindi, a un caso analogo a quello dei Romani che, da conquistatori, sono stati conquistati dai vinti? Il confronto è forzato: gli arabi hanno saputo avvertire l’importanza della cultura greca, ma poi hanno imposto ovunque – pensa al nord Africa che era stata romanizzata – la loro lingua o, comunque, aspetti significativi della loro civiltà. Anche la religione. Anche questo è forzato. Quello che gli arabi hanno esportato, l’hanno fatto grazie alla loro capacità di conquista culturale: in Spagna e in Sicilia vi era una sorta di ammirazione per gli arabi. Per il loro livello culturale? Non solo. Erano ammirati come erano ammirati i colonizzatori europei dell’Ottocento e come potrebbero essere ammirati oggi gli statunitensi nelle aree che sono sotto la loro influenza. In che senso? Per la loro ricchezza materiale, i loro lussi, le loro tecniche. Pensa alla straordinaria capacità che gli arabi hanno dimostrato in Spagna nel settore dell’irrigazione. Come si spiegherebbe, altrimenti, l’esportazione in Europa, ben oltre la Spagna e la Sicilia, non solo del lessico, ma anche delle loro tecniche? Tutto questo – immagino – è avvenuto mediante i commerci. Indubbiamente. L’Europa importava dagli arabi beni di consumo: abbiamo già visto una sfilza di nomi relativi a tali beni. In cambio di che cosa? L’Europa esportava materie prime come il legno (necessario per la realizzazione delle navi) e il ferro. Ed esportava pure schiavi, per lo più prelevati dai popoli slavi. Ecco perché in diverse lingue moderne il termine che sta a indicare lo “schiavo” ha la radice nella parola “slavo”.

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“Slavo”, però, non significa – come spesso si dice – “schiavo”: deriva da una parola russa (slóvo) che vuol dire “parola”. Gli slavi sono, quindi, i “parlanti”. Sono loro che si sono così definiti in opposizione ai “muti”, appellativo con cui chiamavano i tedeschi perché, naturalmente, essi parlavano in modo comprensibile, mentre i tedeschi no. Come i greci che chiamavano “barbari” (cioè balbuzienti) i non greci. Esatto. Per tornare al nostro tema, diciamo che è stato il commercio – sia su terra che su mare - il principale veicolo della civiltà araba. Anche nella trasmissione di tecniche rivoluzionarie. Quali? Pensa alla carta. Ma la carta non l’hanno inventata i cinesi? Sì, ma sono sempre stati gli arabi che hanno avvertito i vantaggi di questa invenzione. Da qui la realizzazione di cartiere (a Baghdad già intorno al IX secolo). Cartiere che in Germania e in Italia sono arrivate solo nel XIV secolo! Pensa, poi, alla bussola. Ma non è stato un amalfitano, Flavio Gioia, a inventarla? Gioia ha solo perfezionato uno strumento che già era utilizzato dagli arabi. Che, a loro volta, avevano rubato il segreto ai cinesi? In questo caso sono i cinesi che hanno imparato dagli arabi. Gli arabi hanno offerto contributi in tutti gli ambiti. Anche nella stessa architettura. Alcune loro costruzioni sono ammirate ancora oggi: vedi la Grande Moschea di Cordova (con 11 navate ciascuna delle quali con 12 campate), il palazzo dell’Alhambra (così chiamato dal colore della pietra del palazzo: al – hamra = il rosso) a Granada, l’Alcazar di Siviglia, il convento di Monreale in Sicilia. Noi ci dimentichiamo spesso che sono state proprio le “tecniche” ad aver avuto un ruolo strategico nello sviluppo dell’Europa: la stessa scoperta di mondi nuovi – scoperta che ha consentito all’Europa stessa di “conquistarli” – non è stato possibile proprio grazie alle tecniche avanzate che possedeva nell’ambito della navigazione? Anche i Cinesi, però, le avevano. Non le hanno, però, utilizzate. Tornando agli Arabi, immagino che siano stati maestri anche in filosofia: no? Certo. Pensa ad Averroè, il grande commentatore di Aristotele: Tommaso d’Aquino – la cui filosofia è diventata per secoli “la filosofia” della Chiesa cattolica - gli è stato ampiamente debitore. Lo jihād islamico: l’equivalente del combattimento interiore di S. Paolo? Tu, però, hai abilmente glissato sulla religione. È un dato di fatto che tutti, in proposito, abbiamo un sacco di pregiudizi. Quali pregiudizi? Puoi, forse, negare la “guerra santa” come un tratto distintivo dell’Islàm? Non si tratta di guerra come la intendi tu. Il termine arabo jihād non ha nulla a che fare né con la guerra né col terrorismo. Come? E le tante guerre che hanno combattuto in nome di Allah? Questo è vero, ma non è questo il principale significato di jihād. Quello che spesso e volentieri viene chiamato “guerra santa” è un combattimento interiore, una lotta contro le passioni. Ha cioè un valore morale non dissimile da quello che è presente in S. Paolo. Come fai a dire una cosa del genere quando è noto che tra Islamismo e Cristianesimo vi è contrapposizione? Macché contrapposizione! L’Islamismo è figlio del Cristianesimo e dell’Ebraismo. Il Cristianesimo non è la conservazione e, nello stesso tempo, il superamento dell’Ebraismo? E l’Islamismo non è lo sviluppo lineare delle due grandi religioni precedenti? Come fai a parlare di sviluppo lineare se l’Islàm nega la divinità di Gesù Cristo? Per i musulmani Dio è uno solo: per questo ritengono che la loro sia la religione più pura.

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E Gesù Cristo? Un grande profeta di cui non rinnegano di fatto nulla. Il messaggio rivelato dall’arcangelo Gabriele a Maometto non è che la prosecuzione del messaggio di Cristo. Un messaggio di libertà dal peccato, di uguaglianza. Un messaggio che è un vero e proprio inno alla sacralità della vita. Quello che dici è l’esatto contrario di quello che hanno sempre fatto i musulmani nella storia: un lungo bagno di sangue, di massacri, di ferocia. E di quello che fanno oggi con il terrorismo. Tu confondi il messaggio religioso e la traduzione storica di questo messaggio: una traduzione che spesso non ha nulla a che vedere col testo sacro, come, del resto, è successo nella storia del Cristianesimo. I musulmani sono stati feroci, ma non meno feroci sono stati i cristiani: prova a leggere le fonti sul bagno di sangue che è stato perpetrato a Gerusalemme al tempo delle Crociate. È un fatto che i musulmani hanno combattuto e combattono tuttora in nome di Dio. Ma questa è una strumentalizzazione di Dio! Una strumentalizzazione che hanno operato anche i cristiani. Non puoi confondere l’esigua minoranza dei fondamentalisti islamici con la stragrande maggioranza dei musulmani che concepisce lo jihād come un combattimento interiore. Tu parli dei musulmani come se fossero un blocco monolitico. Niente affatto: l’Islàm è plurale come plurale è il Cristianesimo. Tutta la storia dell’Islamismo lo dimostra. Che cosa dici? Per i musulmani non ci possono essere diverse interpretazioni del Corano: questo, infatti, è nient’altro che un “dettato” di Dio e i musulmani devono solo impararlo parola per parola. Ecco perché il fondamentalismo è qualcosa di intrinseco alla stessa religione musulmana! Ma una lettura “letterale” dei Testi sacri c’è stata anche nella storia ebraica (anche oggi) e nella stessa storia del Cristianesimo. Solo che nel Cristianesimo questo approccio è stato superato, mentre è tutt’altro che superato nell’Islamismo: è questa la differenza sostanziale, differenza che rende pericoloso l’Islamismo e non il Cristianesimo. Si tratta di una differenza… storica: è già in atto, infatti, un processo – una sorta di “illuminismo” islamico – che prima o poi farà uscire la religione musulmana dalle secche del fondamentalismo. Ce lo auguriamo tutti. Ma intanto il terrorismo nel nome di Allah rappresenta sempre più una minaccia per l’Europa cristiana. Sappi, però, che le vittime del terrorismo dei fondamentalisti islamici non sono soltanto gli occidentali (chiamiamoli per comodità i “cristiani”), ma gli stessi musulmani: non sono state musulmane le 150.000 vittime del terrorismo islamico che in tempi piuttosto recenti ha colpito l’Algeria? Si tratta di una conferma della mia impostazione: i musulmani sono prigionieri della logica della lettura “letterale” e non possono sopportare che dei loro fratelli diano del Corano un’“interpretazione” (diversa). Comunque sia, siamo in presenza di un terrorismo che va combattuto in tutti i modi: anche con le armi. Ma il terrorismo non è figlio dell’Occidente, di quell’Occidente che ha sfruttato e continua a sfruttare il sud del mondo? Figlio dell’Occidente? Ma questa non è altro che la propaganda di bin Laden! Senti, io non ho alcuna intenzione di giustificare il terrorismo. È un fatto, però, che i fondamentalisti considerano gli Stati Uniti alla stregua di “Satana”. Ci sarà pure una ragione che sta dietro questo odio mortale: gli Usa non si sono sempre schierati da una parte contro un’altra (pensa all’appoggio che per decenni hanno dato allo Stato d’Israele) per un tornaconto economico? Ci sarà pure una ragione se in Iraq i terroristi vedono gli americani come degli occupanti! È questa l’unica cosa da fare: togliere le cause profonde in cui affondano le radici del terrorismo. Buonismo o forza militare? Questa è sempre la logica dei terroristi. La logica che ha portato a scendere a patti con loro. Pensa ai riscatti che abbiamo pagato noi italiani per la liberazione dei nostri ostaggi: milioni e milioni di

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euro che hanno finanziato altri massacri! Come è possibile pensare solo alla vita degli ostaggi e non anche alle decine e decine di persone destinate a morire con i soldi dei riscatti? Lo so bene che non si tratta di scelte facili: è un fatto, comunque, che nei nostri casi maggioranza e opposizione erano di comune accordo. Di comune accordo per salvare gli italiani. Ma… a quale costo? A costo di altri bagni di sangue. Ma il governo italiano deve pur tutelare, in primis, i suoi cittadini. Questa, comunque, è una situazione che è una diretta conseguenza della scelta che ha effettuato il governo italiano: la scelta di schierarsi a fianco degli occupanti americani. Occupanti? Ma tu hai letteralmente dimenticato il sanguinario Saddam Hussein! Al di là, comunque, della valutazione che si può dare sulla giustezza o meno della guerra contro l’Iraq, è un fatto che oggi sarebbe del tutto controproducente abbandonare un paese così martoriato in mano a pochi terroristi, per lo più stranieri (questi sì che sono occupanti!), finanziato dalle centrali del terrorismo internazionale. Col tuo buonismo arriviamo solo a effetti boomerang: abbiamo permesso alle varie moschee che si sono disseminate ovunque di diventare delle vere e proprie fabbriche di kamikaze! Non puoi, però, fare di tutta l’erba un fascio: vi sono moschee e moschee. Ci vuole durezza, quindi nei confronti degli incubatori di terroristi e ci vuole la mano tesa nei confronti della stragrande maggioranza dei musulmani che è lontanissima dal terrorismo. E non confondere, poi, il messaggio religioso dell’Islàm – che è un messaggio di liberazione – con le sue aberranti interpretazioni. La storia è fatta di uomini. E gli uomini leggono la stessa religione con le categorie del loro tempo che hanno a che fare spesso con interessi che sono ben lontani dalla religione. Questo vale per l’Islàm come vale per altre religioni. Con questo approccio, però, arriveresti a giustificare tutto. Anche la loro poligamia. La stessa imposizione del velo alle donne. Perfino la pratica disumana dell’infibulazione. Non ho alcuna intenzione di giustificarli. È un fatto, tuttavia, che non si tratta di istituti e di pratiche tout court dell’Islamismo: la poligamia è presente anche nell’Ebraismo, ma se ne parla solo come se fosse esclusiva dell’Islamismo; il velo è imposto in aree culturali le più diverse; l’infibulazione, poi, ha radici antichissime (vedi il periodo dei faraoni dell’Egitto), è del tutto assente nel Corano ed è praticata perfino in comunità cristiane. Dobbiamo liberarci – lo ripeto dai tanti pregiudizi – che ci inculcano i mass media interessati. È vero o no che l’Occidente (in primis l’Europa) non si ama? Vedo che continui a dimostrare una grande apertura verso una cultura molto diversa dalla nostra. Ma noi dobbiamo difendere la nostra “identità” cristiana. Ha ragione il papa Ratzinger: l’Occidente si ama così poco da mettere sullo stesso livello il suo ricco patrimonio occidentale e civiltà che – almeno in concreto - rispettano ben poco la dignità umana. Siamo di fronte ad un relativismo nefasto, a quella che sempre il papa definisce la “dittatura del relativismo”. Macché dittatura del relativismo! Rispettare le diversità non significa affatto rinunciare ai valori occidentali. Ciò che conta è che noi non li imponiamo agli altri. A maggior ragione con la forza delle armi! Del resto noi stessi europei abbiamo alle spalle periodi di “fondamentalismo cristiano”. Io, comunque, sono convinto che Islamismo e Cristianesimo abbiano molto in comune. Intellettuali islamici arrivano a sostenere che l’Islàm più autentico è quello praticato dai cristiani nell’Occidente e che i fedeli di Allah non devono fare altro che percorrere la stessa strada percorsa dai cristiani occidentali, scoprendo la stessa “laicità dello Stato”. Nella situazione drammatica che stiamo vivendo noi dopo l’11 settembre e dopo gli attentati di Londra, non stai, forse, volando nel regno dell’Utopia? Non vedo alternative. Invece che guardarsi in cagnesco, cristiani e musulmani dovrebbero collaborare strettamente per fronteggiare i grandi mali del nostro tempo: in primis il consumismo materialista. Per una nuova guerra santa?

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Nel senso originario, sì: combattiamo insieme per l’affermazione dell’uomo, della sacralità della vita (di ogni vita). Una sorta di crociata contro la schiavitù dell’“avere” in nome della libertà dell’ “essere”. È in questa logica che potremo affrontare, senza tabù, il problema dell’ingresso nell’Unione europea della Turchia.

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5. RADICI EBRAICHE

“Dio vi prende iniziativa dei combattimenti, degli spostamenti, degli stratagemmi, non avendo scrupoli a modificare le leggi della natura e le forze cosmiche per concedere la vittoria a questo popolo numericamente insignificante.”

(Georges Minois, La Chiesa e la guerra, Edizioni Dedalo, Bari 2003, p. 12)

5.1 Il Signore degli eserciti: un Essere molto simile al Dio dei kamikaze islamici? È ora di affrontare le radici cristiane, come pure il tormentone che ha diviso non solo l’Italia, ma l’intera Europa sull’opportunità di inserire il riferimento alle “radici cristiane” nel Trattato costituzionale europeo. Ma come parlare delle radici cristiane senza affrontare il debito che l’Europa ha nei confronti dell’Ebraismo? Da qui lo spostamento di Alessandra e Emanuele sul monte Sinai.

È qui, sul monte Sinai, che sono le radici del Cristianesimo. Radici? Ma… se per secoli e secoli i cristiani hanno marchiato gli Ebrei con l’infamante accusa non solo di essere “deicidi”, ma di continuare in questo orrendo delitto con la profanazione delle ostie consacrate? Un errore colossale di cui la Chiesa cattolica, per fortuna, ha chiesto perdono. Il discorso, però, che volevo fare non è questo. Quello che voglio dire è che il Cristianesimo è nato proprio nel solco

dell’Ebraismo. Okay per il punto di vista storico, ma… sotto il profilo dottrinale, tra Cristianesimo ed Ebraismo non vi è un abisso insuperabile? Quale abisso? La rivelazione di Cristo che cos’è stata se non la prosecuzione della Rivelazione di Dio al popolo ebraico? Quale “Rivelazione”? È mai possibile che lo stesso Dio si sia rivelato prima come il Dio degli eserciti, il Dio che scatena guerre e poi come il Dio dell’Amore, il Dio che muore in croce per redimere l’umanità? Pensare a una prosecuzione mi pare letteralmente folle. Ma Dio ha parlato al popolo ebraico col linguaggio di quest’ultimo e col linguaggio del tempo. È Dio che ha parlato al popolo ebraico o è il popolo ebraico che si è costruito un Dio su misura, un Dio potente, capace di proteggerlo contro tutti i suoi nemici? Ma tu parli dal punto di vista di un non credente. Anche prescindendo da questo, non puoi negare che ci troviamo di fronte alla figura di un Dio che è molto più vicina al Dio dei kamikaze islamici che al Dio del Cristianesimo! Non troviamo nel Vecchio Testamento il primo esempio di “guerra totale”, di una guerra che fa ricorso addirittura alle… armi biologiche (pensa alle dieci piaghe d’Egitto)? Tu leggi la Bibbia alla lettera. Nel Vecchio Testamento – è vero – si narra di numerose guerre in cui Dio è schierato dalla parte del popolo ebraico, ma non è affatto scontato che si tratti di vere guerre, di guerre cioè che si sono storicamente verificate! Vi sono esegeti che oggi conferiscono loro un valore puramente simbolico. E quale sarebbe? Saremmo di fronte non a guerre a colpi di armi, ma a… combattimenti interiori. Saremmo sullo stesso piano dello… jihād islamico! Certo: che cos’è lo jihād islamico se non la ripresa del motivo del combattimento interiore di matrice ebraico-cristiana?

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Ma… se le guerre narrate dal vecchio Testamento hanno un valore puramente simbolico, con quale criterio potete distinguere ciò che è stato veramente “rivelato” da ciò che, invece, è frutto di “interpretazioni” umane? 5.2 Le leggi del monte Sinai: norme che hanno permeato la cultura europea? Qui stiamo scivolando ancora lontano dal discorso che qui ci interessa: la religione ebraica, prescindendo dal punto di vista della “fede”, è o non è una “radice europea”? Non è nella cultura ebraica (chiamiamola pure così) che troviamo il monoteismo? Non è nella cultura ebraica che troviamo un Dio-Persona? Non è qui, sul Sinai, che sono scaturite le norme morali (i dieci comandamenti) che ancora oggi sono alla base della nostra civiltà europea? Senti: che cosa ha in comune il Dio cristiano col Dio vendicativo, giustiziere del Vecchio Testamento, un Dio che arriva addirittura a dominare le forze della natura (pensa alla traversata del mar Rosso) pur di salvare il suo popolo? Ma qui torni ad una lettura… letterale della Bibbia! Ma, allora, quale Dio si è rivelato al popolo ebraico? Vi sono interpreti che sostengono che Dio, in alcuni testi biblici, appare come una figura ambigua, una figura insieme divina e diabolica! Anche questo è un discorso che ci allontana dal nostro percorso. Al di là delle interpretazioni del Dio del Vecchio testamento, al di là addirittura dell’intervento o no di Dio, è un fatto che le Tavole di Mosè hanno un valore che va ben oltre il popolo ebraico e che ha inciso profondamente sulla nostra cultura europea e poi occidentale! Non concordi? Umane o divine, le leggi di Mosè non sono ancora oggi dei paletti invalicabili dal punto di vista morale? Gesù Cristo non le ha per nulla spazzate via, ma solo integrate. Ma… si tratta pur sempre di leggi storiche: che senso avrebbe, ad esempio, il comandamento che prescrive di non rubare all’interno di un contesto storico in cui la proprietà privata non esistesse? Questa è un’ipotesi astratta! È un fatto che la storia dell’Europa è una storia di… possidenti e di nullatenenti, di appropriazioni, di conquiste. Non è il tuo Cristianesimo che sostiene che la terra è di Dio e che Dio l’ha messa a disposizione di tutti? Questa è l’interpretazione di cristiani utopisti, di cristiani che hanno flirtato a lungo con idee socialiste! Macché flirt col socialismo! Che valore avrebbe il comandamento “non rubare” in una società in cui l’80% delle risorse fosse posseduto dal 20% della popolazione mondiale? Questa è una… trappola: tu alludi alla situazione attuale. Certo. Ora, tale comandamento non giustificherebbe l’infame ingiustizia perpetrata da pochi a danno di molti? Ma… chi sei tu? Un no global? Ritieni, forse, che il grande problema dell’ingiustizia si possa risolvere con la licenza di rubare? Ti sembra un caso che tutte le legislazioni del mondo – che io sappia – abbiano recepito il comandamento di Mosè sancendo il furto come un “reato”? È proprio recependo i comandamenti che i popoli (anche non europei) hanno costruito delle organizzazioni sociali più… civili, più capaci di controllare le pulsioni sessuali e aggressive presenti nell’uomo. Perfino degli accesi anti-clericali come Voltaire hanno riconosciuto la funzione estremamente positiva della religione. Non lo voglio negare. 5.3 Eredità linguistica Sicuramente i valori ebraici sono pervenuti in Europa mediante il Cristianesimo. Ma le radici ebraiche non possiamo negarle. Radici che troviamo anche nel linguaggio. Sai che il tuo stesso nome è ebraico? Davvero? E che cosa significherebbe?

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Dio con noi! Siamo in presenza di un suffisso (che deriva da El = Dio) che è presente anche in altri nomi, come, ad esempio, Daniele (“Dio ha giudicato”), Raffaele (“Dio ha guarito”), Michele (“chi come Dio?”), Gabriele (“Dio è forte”). Nomi, poi, diffusi sono Maria (dall’ebraico Maryām che, a sua volta, pare derivi da un termine egizio che significa “amare”), Giuseppe (“Dio aggiunga” altri figli), Elisabetta (“promessa di Dio”), Marta (in aramaico “signora”), Maddalena (dal villaggio palestinese di Magdala), Matteo (“dono di Dio”). Sono nomi che si trovano nella Bibbia e che hanno fatto prima il giro dell’Europa e poi del mondo. Vi è, inoltre, un numero significativo di parole che la cultura ebraica ci ha lasciato. Pensa alla festa degli Ebrei. Il sabato. Esatto. È un termine che troviamo in numerose lingue europee: anche nel greco moderno (sávato) e nel russo (subbóta). Vi sono, infine, altri termini che, anche se originariamente circoscritti in ambito liturgico, sono poi diventati patrimonio comune: pensa ad alleluia (usatissimo, ad esempio, negli spirituals dei neri americani), osanna, amen, satana, rabbino, manna, mammona.

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6. RADICI INDOEUROPEE “Le lingue del gruppo indoeuropeo

sono parlate da circa la metà dell’umanità.” (Michel Malerbe, I linguaggi dell’umanità, Sugarco Edizioni, Milano 1984)

Radici greche, romane, gotiche, longobarde, arabe, ebraiche. Radici che, anche se in misura molto diversa, hanno contribuito in modo significativo a costruire – lo si può affermare anche se con una certa enfasi – lo zoccolo duro dell’Europa. Ma l’unità europea, sotto il profilo linguistico, non è dato, per certi versi, da un ceppo comune a più lingue? È per affrontare tale interrogativo che Alessandra e Emanuele cercano di addentrarsi nel ceppo indoeuropeo spostandosi idealmente verso l’Europa orientale, l’India e l’Iran. Sono perfettamente consapevoli, tuttavia, di avere a disposizione ben pochi strumenti per intraprendere una tale impresa. Da qui una certa resistenza. 6.1 Un filo diretto tra Europa, India e Iran Nessuno di noi ha la competenza in questo campo. Tu che hai fatto gli studi classici sarai, però, avvantaggiata. Ma quale vantaggio? Qui abbiamo a che fare con circa 200 lingue che spaziano anche molto lontano: dall’India all’Iran. Io qualcosa ho letto, ma so ben poco. Mi riferisco alle parentele. Pensa a “fratello”. In tedesco è Bruder e in inglese brother. E in russo brat’. In hindi è “bhrata”. Come vedi vi è una somiglianza incredibile. È il caso anche di sorella: sister in inglese, Schwester in tedesco Siestrá in russo. Più trasparente ancora il significato di “nuovo”: new in inglese Neue in tedesco Nuevo in spagnolo e… now in persiano, nav nelle lingue dell’India settentrionale. Ugualmente chiaro il termine “giorno”. In latino dies, in inglese day. Dall’inglese poi si passa facilmente al tedesco Tag. In spagnolo, poi, è dia e dien (pronuncia “diegn”) in russo. Ma la stessa matrice si trova anche in hindi (vedi “din”). E l’italiano come mai va per suo conto? Non proprio: giorno deriva da diurnus e, quindi, ha la medesima matrice. Può sembrare strano, ma anche “stella” e “astro” hanno una stretta parentela. Stella è di sicuro affine al francese étoile, ma… che rapporto vi è con “astro”? In armeno stella è asdgh: non trovi parentele con il francese astre, l’inglese star, il tedesco Sterne? 6.2 La parentela tra “orfano” e “robot” Vi sono, poi, delle parentele curiosissime. Pensa che orfano deriva dalla matrice indoeuropea orbhos che ha assunto in latino (orbus) il significato di “privato di” e di “cieco”. Pensa che la parola robot (di derivazione ceca) ha la stessa matrice: o meglio direttamente proviene dal russo rabota che vuol dire “lavoro”. Ma che rapporto vi è tra “orfano” e “lavoro”? Erano gli orfani che venivano condannati ai lavori domestici più faticosi. La stessa matrice è presente nel termine che in tedesco indica il lavoro. Arbeit. Esatto. Una parentela strettissima vi è, infine, tra i numeri. Pensa, ad esempio a due: deux in francese, dva in russo, dio nel greco moderno, two in inglese, zwei (anche zwo) in tedesco

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E nel bengali troviamo doi: come si fa a non pensare a un ceppo comune? Naturalmente, non possiamo vedere nel ceppo indoeuropeo il fondamento comune dell’Europa. Questo non solo perché le lingue indoeuropee si estendono ben oltre l’Europa, ma anche perché dovremmo escludere dall’Europa popolazioni che sono considerate a pieno titolo europee: l’ungherese, il finlandese e l’estone, ad esempio, non hanno nulla a che fare con il ceppo indoeuropeo, come non hanno nulla a che fare con tale ceppo le lingue turche. Anche sotto questo profilo, come vedi, i tuoi amici turchi sono fuori dalla nostra tradizione. Questa è una provocazione bella e buona! E, allora, gli ungheresi, i finlandesi e gli estoni? Ma questi Paesi hanno altre carte che la Turchia non ha. Ne riparleremo a tempo opportuno e poi vedrai.

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7. RADICI CRISTIANE

“[…] la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto è proprio dovuta a questo fatto,

il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli ‘anticlericali’

non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo” (Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 162)

“La cristianità europea è, come il Confucianesimo e l’Islam,

una categoria storica che contiene tutto e il contrario di tutto, quindi non è una categoria utilizzabile per definirne l’identità.”

Molto meglio i princìpi di libertà, di uguaglianza e fraternità che [...] in Europa si sono affermati con la rivoluzione francese,

non grazie alle Chiese, ma fuori e contro di esse” (Umberto Galimberti, Gli antenati fatti su misura.

Quando l’identità diventa razzismo in “La Repubblica”, 29 giugno 2004, p. 41)) 7.1 L’uguaglianza di diritti: un valore cristiano? È il momento, finalmente, di affrontare direttamente le radici cristiane.

Ti propongo di spostarci idealmente a Gerusalemme. È davvero un paradosso cercare le radici europee al di fuori dell’Europa! Questo ti dice che cercare un’identità europea è fare violenza alla storia. Quale violenza? Anche se provengono dall’Oriente, i valori cristiani non hanno poi caratterizzato l’Europa? Un’identità, quindi, che ci è stata portata – possiamo dirlo col linguaggio di oggi – da extracomunitari! Il meticciato è solo all’origine: il Cristianesimo, arrivato a Roma, si è poi diffuso in tutta Europa e dall’Europa nel

mondo, mentre non è per nulla fiorito nella sua terra di origine. È l’Europa che è diventata cristiana, non la Palestina. Che l’Europa abbia le radici cristiane mi sembra incontestabile: no? Che il Cristianesimo abbia vinto, sì, ma la sua vittoria non ha nulla a che vedere col messaggio cristiano. Come no? Che cos’è che ha conquistato le masse diseredate? Non è stato un messaggio di libertà, di uguaglianza, di fratellanza? Ma questi sono i principi immortali della Rivoluzione francese! Principi che sono profondamente radicati nel Cristianesimo! Sono questi i valori che hanno contagiato milioni e milioni di uomini. Ma tu sei un’idealista: senza il potere politico di Costantino e Teodosio il Cristianesimo sarebbe rimasto una setta tra le sette. Su questo non c’è alcun dubbio. Non stai stravolgendo la realtà storica? Non era l’amore che praticavano le prime comunità cristiane a contagiare i pagani? I cristiani non predicavano solo un messaggio straordinario, ma ne erano anche dei testimoni. La loro testimonianza, tuttavia, senza Costantino, avrebbe contagiato ben poche persone. Insisti, ma il Cristianesimo è stato una forza dirompente. Una forza dirompente come può essere la forza che oggi aggrega i kamikaze musulmani! Ma… non stai delirando? I cristiani parlavano di liberazione, di redenzione, i kamikaze seminano solo morte. Il fanatismo, però, è comune. Un fanatismo che li portava al martirio.

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Macché fanatici! Erano perseguitati. Chiama le cose col loro nome: erano dei veri eroi, coerenti fino alla morte. Una persona che crede a dei valori, non deve mai rinnegarli, anche a costo della vita! Ma è tipico dei fanatici rifiutare qualsiasi compromesso: loro sono il “Bene”, mentre gli altri sono il “Male”. Tu insisti, ma io non vedo alcun fanatismo. I primi cristiani erano uomini che avevano il coraggio di denunciare un sistema sociale e politico iniquo e la blasfema divinizzazione dell’imperatore (di un uomo, cioè): altro che fanatici! È fanatico oggi chi ha il coraggio di stigmatizzare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in nome dell’uguale dignità di ogni uomo? Un conto è credere in valori umani e un conto è credere di avere Dio dalla propria parte: è questa credenza che ha sempre generato fanatismo. Credere di essere portatori di valori rivelati da Dio è tipico di tutte le grandi religioni. E la fede di per sé non genera fanatismo: forse che Giovanni Paolo II o Madre Teresa di Calcutta erano intolleranti? Non dire fesserie! La fede cristiana dei primi secoli non aveva proprio nulla del fanatismo che esploderà nei secoli successivi. Una fede che era testimonianza di amore fraterno: un amore che supera in modo abissale la legge del taglione, ogni barriera etnica, ogni discriminazione tra ricchi e poveri. Gli schiavi, però, rimanevano schiavi: non è S. Paolo che li invitava ad ubbidire ai loro padroni? Ma il messaggio di liberazione di Gesù Cristo non riguardava i ceppi di questa terra: tutti, anche gli schiavi, sono figli di Dio e tutti, anche gli schiavi, possono meritarsi la salvezza eterna. Non è questa un’uguaglianza più profonda di quella terrena? Ma non è un’uguaglianza di diritti! Che consolazione può avere uno schiavo nello sperare un’uguaglianza nell’altra vita? L’uguaglianza cristiana non ha nulla a che vedere con l’uguaglianza che poi sarà uno dei valori fondanti dell’Europa. Però ne è il fondamento! L’uguaglianza di diritti non è fondata sulla fede cristiana secondo cui ogni uomo – anche lo schiavo – è fatto ad immagine e somiglianza di Dio ed ha, di conseguenza, una dignità infinita? Si tratta di un’uguaglianza del tutto astratta. La stessa gerarchia della Chiesa cattolica non era l’incarnazione della disuguaglianza degli uomini all’interno della stessa comunità dei credenti? Ma nei primi secoli non c’era questa gerarchia. Non vi era neppure una netta separazione tra “sacerdoti” e “laici”. La Chiesa era costituita da tante comunità di base i cui pastori erano eletti tra gli anziani (ti ricordi il greco “presbiteri” da cui, poi, “preti”?) di più elevata moralità. C’erano, sì, i vescovi, ma questi sovrintendevano (si chiamavano “episcopi” per questo) più comunità locali. Il papa non c’era. Questo è il modello che sarà ripreso dai protestanti, ma che la Chiesa cattolica ha tradito. Lascia stare i tradimenti! È vero o no che la Chiesa cristiana dei primi secoli, la più vicina alla fonte, ha incarnato valori che poi avrebbero fatto il giro dell’Europa ed ha realizzato un tipo di organizzazione sociale che potremmo chiamare benissimo “democratica”, modello che nel XX secolo sarebbe diventata la formula vincente dei paesi più civili? L’esperimento, però, è durato ben poco, se tieni presente la storia bimillenaria della Chiesa. Poi questa si è gerarchizzata. Anzi… monarchizzata! Era, comunque, necessaria la figura di un’autorità che assicurasse una lettura autentica della Parola di Dio: chi, altrimenti, avrebbe potuto condannare le false interpretazioni del messaggio evangelico? Perché false? Vi è forse qualcuno dei mortali che ha la prerogativa di avere un contatto privilegiato con Dio e di conoscere il senso autentico della sua Parola? Non sono tutti uguali i credenti? Uguali di fronte a Dio, ma nella Chiesa – come in qualsiasi altra società – devono pure esistere dei ruoli diversi: deve pur esistere, ad esempio, chi (un individuo o un’assemblea) abbia il compito di custodire l’ortodossia!

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Chi e in base a quale parametro? Hanno ragione i protestanti: non vi deve essere alcuna distinzione tra “sacerdoti” e “laici”, tra “gerarchia” e “popolo”, tra “pastori” e “gregge”; nessuno che abbia il potere di condannare altri per eresia. I tuoi protestanti non erano meno intolleranti dei cattolici! E poi, se la Chiesa, rispetto ai primi secoli, ha costruito un muro tra sacerdoti e laici, questo è avvenuto perché la Chiesa, convertendo i barbari, si è… barbarizzata, facendo propria, tra l’altro, la loro concezione classista della società. Un Cristianesimo “platonico” non esiste. 7.2 Quale Cristianesimo? Se non esiste un Cristianesimo platonico, allora si può ben dire che non esiste neppure il Cristianesimo tout court: ad esistere in concreto non sono interpretazioni storiche del Cristianesimo? Come, allora, parlare di radici cristiane dell’Europa? Quali radici? L’interpretazione democratica della chiesa o la sua interpretazione gerarchica (addirittura monarchica)? Non possiamo valutare la Chiesa sulla base di parametri politici. È vero che anch’io sono caduto in questo errore, ma dobbiamo sforzarci a vedere la Chiesa non come un’istituzione “umana”, ma “divina”, non come noi vorremmo che fosse, ma come Gesù stesso l’ha voluta. E come puoi sapere quello che Gesù Cristo ha voluto? In tutte le epoche i cristiani hanno creduto di interpretare il genuino messaggio evangelico! Dobbiamo saper guardare ai diversi contesti storici: un conto, ad esempio, è essere all’opposizione dell’impero romano ed essere perseguitati da questo e un conto è avere responsabilità di governo; un conto è gestire piccole comunità e un conto una moltitudine, tanto più di… extracomunitari; un conto è la scelta degli apostoli di mettere tutto in comune ed un conto gestire un patrimonio ingente a favore delle folle diseredate. Tutto, allora, è storico. È con la svolta di Costantino che la Chiesa, da perseguitata, si trasforma in classe dominante che benedice il Potere e che arriva addirittura a benedire le guerre del potere.

Ma che cosa avrebbero potuto fare i cristiani, dopo un lungo periodo di persecuzioni? Non era legittimo vedere nel Potere “amico” uno strumento di affermazione della Parola di Dio? La Chiesa deve fiutare i tempi nuovi. Li ha fiutati come li fiuta anche oggi. La Chiesa, in tempi recenti, non ha colto il ruolo strategico, nella nuova società tecnologica, di Internet? Potere politico e Internet sono degli strumenti: perché dovrebbero essere visti come “male” se aiutano i cristiani a far trionfare la Parola di Dio? È lo stesso S. Paolo ad affermare che ogni potere viene da Dio!

Questo è fondamentalismo! Oggi non fate che denunciare il fondamentalismo islamico e fate bene, ma i primi fondamentalisti siete stati voi: avete voluto imporre il modello cristiano a tutta la società, allo stesso potere politico. È quello che vogliono oggi i fondamentalisti di Allah! Ma allora la società era tutta religiosa (compresi i sovrani e gli imperatori): non vi era, quindi, nessuna imposizione! E poi non dimenticare che la Chiesa cattolica si è tenuta ben lontana – anche se non sempre – dalla teocrazia che invece caratterizzava l’Oriente ortodosso. Come, nessuna imposizione? Come è diventata cristiana l’Europa? Non certo dal basso! Si è passati dai sovrani ai sudditi! Era l’unico modo per conquistare i sudditi! Come sarebbe stato, infatti, possibile convertire i tanti popoli barbari senza convertire i loro capi? E come si sono convertiti questi capi? Non sono stati convinti che il Dio dei cristiani era più potente degli altri dèi? È così che è nata l’Europa cristiana! Non dimentichiamo poi la violenza perpetrata! Che cosa ha fatto Carlo Magno nelle terre dei Sassoni? Ha diffuso, è vero, il Cristianesimo, ma… a quali costi? Non è stata, poi, una vera e propria crociata la conversione dei Paesi baltici tra il XII e il XIII secolo?

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Tu vedi solo una faccia della realtà. È vero che la Chiesa ha puntato abilmente sui sovrani per diffondere il Cristianesimo, ma è anche vero che la vera evangelizzazione è stata effettuata dal basso. Pensa al ruolo determinante dei monaci: il loro ruolo straordinario è stato determinante nella formazione dell’Europa cristiana. Non sono stati i monasteri – sparsi in vari paesi – dei veri e propri centri di integrazione per gli extracomunitari del tempo, dei centri economici che hanno distribuito ricchezza, in particolare per la povera gente? Non hanno avuto, questi, il grande merito di conservare una parte significativa del preziosissimo patrimonio classico? L’Europa non sarebbe quella che è senza di loro! E dove sono arrivati i monaci – sia occidentali che orientali – non hanno portato cultura pur nel rispetto delle tradizioni locali? Non sono loro che hanno creato una intellighenzia di formazione sia romana che cristiana? Non sono loro che hanno valorizzato il lavoro, molto prima dei protestanti? Che cosa sarebbe un grande paese come la Russia senza il ruolo svolto dai due fratelli Cirillo e Metodio? Non sono “cirillici” i caratteri che ancora oggi sono presenti in alcune lingue dell’Europa orientale? Non sono state, poi, le traduzioni di testi sacri le prime manifestazioni di non poche lingue nazionali (dall’anglosassone al gallico, dallo slavo meridionale al tedesco antico, dal fiammingo al gaelico scozzese)? La cultura “europea” è nata come cultura cristiana: su questo non vi è dubbio. È un caso che gli ebrei, i musulmani e i normanni che pure erano presenti nello spazio geografico dell’Europa, fossero considerati come veri e propri “stranieri” non solo dal punto di vista politico, ma soprattutto spirituale? È un caso che l’Europa medievale si chiamasse “Cristianità”? Va bene, ma il problema è sempre lo stesso: quale Cristianesimo? Il Cristianesimo delle Crociate? Il Cristianesimo dei papi-amanti che per un trentennio, nel X secolo, sono stati in balia di due donne dissolute quali sono state Teodora e Marozia (nel periodo della cosiddetta “pornocrazia romana”)? Questo è vetero-anticlericalismo! La chiesa è costituita da uomini e gli uomini sbagliano: anche i papi. E, poi, che senso ha, in un’indagine sulle radici dell’Europa, andare a spulciare alcuni singoli episodi dei secoli passati? 7.3 Le Crociate e… la crociata di Bush Alcuni singoli episodi? La storia della chiesa è costellata da singoli episodi del genere! C’è bisogno di scomodare figure troppo celebri quali Bonifacio VIII e quel … play boy di Allessandro VI che ebbe una decina di figli da donne diverse e che ostentava con orgoglio l’amante? Le Crociate, poi, sono state un episodio insignificante? È insignificante che un papa come Urbano II abbia invitato i cristiani a combattere contro un “popolo abominevole” e a votarsi “al sacrificio come un’ostia vivente, santa a gradita a Dio”, sicuri di avere una gloria imperitura nel regno dei cieli? Non è mostruoso che i crociati usassero un crocifisso… double face, crocifisso da far baciare ai musulmani caduti prigionieri e, nello stesso tempo, pugnale col quale sgozzarli se si fossero rifiutati di convertirsi al Cristianesimo? Devi guardare al contesto del tempo: i musulmani rappresentavano una minaccia reale per l’Europa. Perché, allora, non scatenare contro di loro la violenza che i cristiani si scaricavano tra loro? Perché non salvaguardare l’“identità” cristiana” contro la barbarie? Che cosa ha fatto recentemente Gorge W. Bush? Non ha lanciato una crociata analoga contro il terrorismo islamico? Che cosa c’è di male a combattere una causa giusta? Ma Urbano II l’ha caricata di un valore “religioso”: ha strumentalizzato Dio, ha fatto della crociata una guerra voluta da Dio! Come la mettiamo con il Dio dell’Amore? Ecco perché insisto: quale Cristianesimo? Il Cristianesimo di quel fomentatore di odio teologico quale è stato S. Bernardo? Non era lui che sosteneva che uccidere un nemico per Cristo era guadagnarlo a Cristo stesso? Quanti massacri si sono perpetrati in nome di Dio! C’è bisogno di ricordare lo sgozzamento di tremila ugonotti (strage di S. Bartolomeo) da parte di cattolici? C’è bisogno di ricordare l’appoggio del clero francese a tutte le aggressioni, anche le più vergognose, condotte da Luigi XIV? Va bene stigmatizzare oggi gli imam che fanno l’apologia dello jihād, ma non possiamo dimenticare che a

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inneggiare alla guerra santa sono stati anche papi e vescovi per poi intonare, a vittoria conseguita, un solenne Te Deum di ringraziamento! Tu insisti. Vi è stata, è vero, una violenza “sacra”, ma non dimenticarti che le categorie culturali del tempo erano quelle “religiose”. È un caso che i protestanti condividessero la stessa cultura (una cultura che potremmo definire “manichea”)? Attento a non vedere la chiesa come una sorta di comunità avulsa dalla storia! È proprio questo che ti sto dicendo da un po’: la chiesa è solo “storica”, come “storiche” sono le interpretazioni del Cristianesimo. Ma non si tratta di “interpretazioni”! Il messaggio evangelico è chiaro: è quello il Cristianesimo. Sono gli uomini “storici”, poi, che, tentati dal male, dalla volontà di quieto vivere, dalla loro alleanza con il Potere, l’hanno messo sotto i piedi arrivando a strumentalizzare Dio ai fini del tutto meschini. Non dimenticare che spesso è stato il Potere politico a strumentalizzare la religione. La storia del Cristianesimo, poi, non è fatta solo di tradimenti del vangelo. È un caso che, nel XX secolo, col Concilio Vaticano II, la chiesa abbia fatto piazza pulita di tale strumentalizzazione? È un caso che Giovanni Paolo II abbia tuonato con forza contro la tentazione di giustificare le guerre come “guerre religiose”? Oggi, semmai, sono altri, non gli uomini di Chiesa, che sposano l’ideologia della guerra santa! 7.4 Le chiese cristiane: storiche fabbriche di odio teologico? Tu alludi a Bush, ma la sua cultura è figlia di quelle fabbriche di odio teologico che sono state le chiese cristiane! Fabbriche di odio e, nello stesso tempo, di terrore religioso: è vero o no che, fino a tempi piuttosto recenti, predicatori cristiani, spesso e volentieri hanno presentato Dio e l’inferno con un linguaggio terroristico, quasi che il Dio dell’Amore fosse solo un implacabile Vendicatore? È vero o no che un peccato dello “spirito” com’è quello “originale” (avente come oggetto la conoscenza del bene e del male) è diventato, grazie anche a S. Agostino, un peccato “carnale”? È vero o no che la sessualità è diventata il prototipo del peccato (peccato ben rappresentato dalla donna nuda morsa dal serpente che dal timpano della chiesa di Moissac ammonisce tremendamente i fedeli)? Non generalizzare! Bisogna tener conto dei tempi duri di allora, del livello culturale, dell’esigenza di scuotere con efficacia i credenti al fine di convincerli ad abbandonare le vie del peccato. E poi dobbiamo vedere anche gli effetti positivi che alla lunga la Chiesa ha prodotto con tale impostazione: la forte attenzione ai peccati commessi – peccati che dovevano essere “confessati” a un sacerdote – non ha costretto i credenti a guardare dentro se stessi e quindi a fare autocritica? E questo habitus a guardare dentro se stessi non ha portato alla lunga alla nascita della stessa psicoanalisi di Freud?

Ora sei tu che stai esagerando! Come minimo dobbiamo dire che un contributo l’ha dato in tal senso. Comunque sia, oggi i tempi sono cambiati e quello che tu chiami il “linguaggio terroristico” è sparito. Chi evoca oggi con toni apocalittici, col linguaggio del terrore, Dio e le pene dell’inferno? Per fortuna! Come, per fortuna, sono spariti gli scandalosi tribunali dell’Inquisizione che hanno acceso roghi un po’ ovunque in Europa, in barba alla libertà di coscienza che è uno dei valori fondanti l’Europa! Tu fai presto a parlare oggi di libertà: si tratta di un “valore” che è costato sangue, guerre! Prova a metterti dal punto di vista di chi è convinto di avere in mano non una “verità” umana, ma la “Verità assoluta rivelata da Dio”! È il punto di vista che hanno ancora oggi i musulmani. E i cristiani, no? L’intolleranza non è intrinseca a tutte le religioni

sedicenti “rivelate”? La storia delle chiese cristiane non è la storia della caccia agli “eretici”? Non è

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la storia di massacri da parte di cristiani contro altri cristiani ugualmente convinti di possedere la “Verità assoluta”? Non è scandaloso che siano stati condannati al rogo cristiani che hanno avuto il coraggio di tornare alla povertà evangelica, di mettere in comune i loro averi, di vivere di preghiera e di carità? Chi non ricorda le guerre di religione, guerre combattute in nome di Dio contro altri cristiani? Non è stato Gregorio XVI, in tempi relativamente recenti, a sostenere che è un “delirio” il diritto alla libertà di coscienza? Come si fa a parlare di radici cristiane d’Europa e far finta di non ricordare quanto a lungo è stata combattuta dai cristiani la libertà di coscienza? Nessuno vuole dimenticarlo. Tieni, però, presente che tale libertà di coscienza è stata combattuta anche dai protestanti: pensa al rogo acceso a Ginevra da Calvino contro il medico anti-trinitario Miguel Serveto! Non dimenticare, inoltre, che anche il diritto romano contemplava la condanna al rogo per il crimine di lesa maestà. Ora, nella nuova logica “cristiana”, l’eresia non costituiva un crimine di lesa maestà nei confronti di Dio? Ma questa è una logica aberrante: non sono proprio i cristiani che hanno stigmatizzato le iniquità dell’impero romano? D’accordo, ma qui non era un uomo (imperatore) che veniva tradito, ma lo stesso Dio: essi non avevano dubbi. E, poi, i catari contro cui si è tanto scaricata la furia della Chiesa, non costituivano un pericolo reale per l’intera società? La loro condanna del matrimonio (e la loro conseguente considerazione dei rapporti sessuali non mirati alla procreazione come meno colpevoli) non rappresentava un vero e proprio sovvertimento della società civile? E poi, prova a pensare come sarebbe diventata l’Europa se avessero vinto i catari? Teocratica, fondamentalista! Okay, ma la Chiesa cattolica è ricorsa a mezzi immorali! E, poi, perché mai degli asceti dovevano essere pericolosi? Loro non erano solo asceti, ma condannavano come male qualsiasi rapporto finalizzato alla procreazione: la loro, quindi, era di fatto un’istigazione a sovvertire la società. E per questo meritavano di essere arsi vivi a centinaia? A Bagnolo, presso Verona, ne hanno bruciato addirittura duemila in un sol giorno! In alcuni casi gli eretici sono stati sepolti vivi. Si è arrivati perfino a riesumare cadaveri per poi arderli in pubblico. Tu ragioni sempre con la cultura di oggi. Gli eretici non erano visti solo come colpevoli di lesa maestà, ma anche come delle “volpi” che devastavano la vigna del Signore! Erano, dunque, pericolosissimi: da qui la necessità di prendere nei loro confronti delle misure drastiche. Non possiamo poi dimenticare – contro un certo anti-clericalismo anacronistico – che i Tribunali dell’Inquisizione seguivano con scrupolo procedure rispettose dell’imputato. Tanto rispettose che lo torturavano prima di emettere la condanna. La tortura era finalizzata alla confessione: era, quindi, a fin di bene. E, poi, tutto quanto veniva confessato sotto tortura doveva essere confermato successivamente. Si ricorreva alla tortura, inoltre, come extrema ratio, quando sulla base di prove e testimonianze vi era il fondato sospetto che si trattava di colpevolezza e non vi erano alternative al chiaro accertamento della verità. E vi si ricorreva solo in seguito ad una sentenza preliminare appellabile: se l’imputato riferiva, ad esempio, di avere malattie o difetti tali da non consentirgli di sopportare la tortura, aveva il diritto di avere una visita medica. La pena di morte, infine, era riservata solo agli impenitenti e ai cosiddetti relapsi, a coloro cioè che, una volta fatta la confessione, la ritrattavano e ricadevano in errore. Quanto erano umani! Non fare l’ironia! Gli stessi impenitenti avevano ancora la possibilità di pentirsi in extremis, davanti al rogo e quindi di salvarsi la vita purché avessero denunciato i loro complici. È davvero ingiusto dipingere gli inquisitori come degli implacabili sanguinari! Erano inquisitori, sì, ma rispettavano le regole e, nel dubbio, sentenziavano a favore del reo. Le pene inflitte, tra l’altro, per lo più non avevano come esito la morte: si andava per lo più dalla confisca dei beni alle pene pecuniarie passibili di essere convertite in pellegrinaggi ed alla flagellazione. Non mancava, naturalmente, la cella buia del carcere.

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Certo. Ma c’era anche un carcere più soft che consentiva non solo di muoversi, ma anche di lavorare, perfino di avere delle licenze in occasioni speciali. Nei casi estremi della condanna al rogo, la morte, talvolta, veniva alleviata grazie allo strangolamento del condannato prima che fosse arso. Davvero molto umani! Erano tanto umani gli inquisitori, tanto scrupolosi che, talvolta, rischiavano la vita: la gente, infatti, non li perdonava quando dimostravano un atteggiamento favorevole all’imputato. Ricordati, poi, che la tortura faceva parte della prassi del diritto romano ed era ampiamente usata nei tribunali civili fino al ‘700! Ma il Cristianesimo – lo ripeto – non ha subito preso le distanze dal mondo romano? Sì, ma la Chiesa – te lo ripeto anch’io – è fatta da uomini che vivono nel loro tempo. E non dici una parola sulle migliaia di roghi accesi in Europa contro le cosiddette “streghe”? Dici in Europa: si tratta, infatti, di un isterismo collettivo che ha coinvolto sia cattolici che protestanti. E ricordati che i laici e i protestanti hanno bruciato più streghe della Chiesa cattolica! E l’antisemitismo fomentato dall’odio fanatico dei cristiani? Non è mostruoso condannare un intero popolo come “deicida” (quando lo stesso Gesù era ebreo, come ebrea era Maria ed ebrei erano i discepoli e la maggior parte della primitiva comunità cristiana)? Non è mostruoso mandare al rogo il rabbino di Roma – al tempo di Bonifacio VIII – con l’accusa “voi continuate a chiudere gli occhi alla vera fede”? Non è mostruoso dichiarare da parte di un Papa (Paolo IV) che gli ebrei sono condannati alla schiavitù eterna per propria colpa? E non è scandaloso che sia stato un papa a costruire il primo lager religioso (contro gli ebrei di Roma) e siano stati dei gesuiti a creare delle vere e proprie cliniche teologiche specializzate a fare il lavaggio del cervello agli ebrei? Fino a Giovanni XXIII, infine, la liturgia del venerdì santo non recitava “perfidi ebrei”? Te lo ripeto fino alla nausea: non puoi e non devi generalizzare! Abbiamo avuto, sì, episodi in cui sono stati coinvolti singoli esponenti del clero (anche singoli papi), ma, nel complesso, la Chiesa non ha mai incoraggiato i famigerati pogrom, le aggressioni collettive agli ebrei. E, poi, la Chiesa cattolica non ha chiesto ripetutamente perdono – col grande papa Giovanni Paolo II – per le colpe commesse nei secoli passati? Non ti sembra, questo, un gesto che riscatta le umane miserie degli uomini di Chiesa? Non è segno di grandezza avere il coraggio di denunciare al mondo le proprie colpe? Ma… come possono crimini, massacri, violazioni sistematiche della dignità umana essere riscattati da qualche discorso di un papa? Si può dimenticare, poi, lo scontro tra la Chiesa e la scienza? La Chiesa – vedi in primis il processo a Galileo – ha ostacolato in tutti i modi lo sviluppo della scienza, di quel sapere cioè che davvero segnerà profondamente l’anima europea. La scienza, cioè, non si è sviluppata grazie al cristianesimo, ma contro! Perché contro? La religione non ha competenza in ambito scientifico. Questa è proprio la lezione di Galileo che la Chiesa ha fatto propria solo in tempi recenti: a lungo la Chiesa è stata una vera e proprio istituzione reazionaria! Anche in questo devi storicizzare, cercare di entrare nella cultura del tempo: da un lato la Chiesa aveva – così credeva – il monopolio della Verità rivelata - , dall’altro c’era un uomo presuntuoso che, pur non avendo in mano una prova, osava rifiutare la Parola di Dio! Ma lo sai bene che la Chiesa era dalla parte del torto! Questo lo puoi dire adesso. Galileo aveva in mano una serie di indizi importanti. Ma non prove! E, comunque, la Chiesa oggi ha riabilitato Galileo e ha fatto il mea culpa. Dopo secoli, però. E, comunque sia, un dato è certo: se la scienza si è sviluppata, si è sviluppata emancipandosi dalla Chiesa, liberandosi dalla sua tutela, laicizzandosi! È questa la cultura – cultura laica – che si è affermata in Europa! Prendendo, però, le distanze da Dio. Fede e scienza devono procedere parallele: come la religione non ha competenze in fatto di scienza, così la scienza non può permettersi di negare Dio. Anzi, direi di più: perché la religione non dovrebbe dire la sua quando la scienza dovesse negare i valori

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dell’uomo? Così vedo il futuro dell’Europa: un’Europa in cui scienza e fede, dopo secoli di conflitto, giungano a cooperare tra loro. A favore dell’uomo, di ogni uomo. Perché mai la scienza dovrebbe essere ingabbiata da paletti cristiani? Gli scienziati vivono in una comunità di “cittadini” e sono questi – tramite gli organismi liberamente eletti da loro – gli unici autorizzati a tracciare dei vincoli morali tesi a evitare che la scienza sia usata non “per”, ma “contro” l’uomo! 7.5 Libertà di coscienza: un valore cristiano o anti-cristiano? Riprendiamo il tema della libertà di coscienza. Non si tratta – te lo ripeto - di una libertà che i cristiani hanno sistematicamente violato? È vero, ma non puoi negare che anche tale libertà ha radici cristiane. Come, radici cristiane? Sì. La libertà si fonda sull’“individuo”, sulla sua dignità. Ora, non è il messaggio evangelico che predica il valore di ogni “individuo” e che si rivolge non al “cittadino” (come la religione romana), ma ad ogni “individuo”? Non è ognuno di noi – nella logica cristiana - il frutto di un progetto di amore di Dio? Non siamo tutti (proprio tutti) “uguali” in quanto siamo figli dello stesso Padre? Non sono i cristiani dei primi secoli che hanno rivendicato con forza l’autonomia della loro coscienza anche contro lo stesso Stato? Che cos’era la disubbidienza allo Stato se non l’affermazione del primato della coscienza sullo stesso Stato? E poi il concetto moderno di “individuo” non ha avuto come matrice la cultura cristiana dei puritani e, in generale, di tutte le sette dissidenti? Non sono loro che hanno teorizzato il primato della coscienza contro ogni autorità, sia religiosa che statale? È qui che troviamo l’origine della libertà di coscienza che è la fonte di ogni libertà: un’origine, quindi, cristiana. Ai fini della nostra ricerca non ha alcuna importanza che non sia “cattolica”. Sono i protestanti che hanno scoperto il valore del “pluralismo”: sono loro che, col “libero esame”, hanno pluralizzato il Cristianesimo. I protestanti, è vero, hanno fatto saltare in aria l’impianto gerarchizzato della Chiesa cattolica, hanno creato una molteplicità di sette, ma è anche vero che non erano meno intolleranti dei cattolici: l’abbiamo già visto. È vero. È solo in seguito alle guerre di religione – guerre fanatiche (fanatiche perché condotte “in nome di Dio”) – che sono maturati i valori della tolleranza e della libertà di coscienza. Non è stato facile per chi era convinto di essere l’interprete autentico della Parola di Dio. C’è voluta l’esplosione del fondamentalismo perché si scoprisse il valore dell’“altro”, la libertà di coscienza di ciascuno. Un valore che – ripeto – è radicato profondamente nel Cristianesimo. Attenzione, però, a non giustificare il fondamentalismo quasi che fosse una fase necessaria del cammino di una religione! Lungi da me dal giustificarlo. È un fatto storico, tuttavia, che in Europa il valore della libertà è scaturito proprio grazie a questa fase. E non è escluso che il mondo islamico segua il medesimo percorso. Tu credi davvero che il fondamentalismo islamico di oggi abbia radici religiose? Dimmi: ci sarebbe la crociata contro l’Occidente – a colpi di attentati terroristici – se i paesi arabi non avessero subito ingiustizie da tale Occidente? Ma anche il nostro fondamentalismo – quello che per fortuna abbiamo alle spalle – era mescolato a motivi che non avevano niente a che vedere col messaggio evangelico. Torniamo al nostro Leitmotiv: la chiesa è costituita da uomini che sono “compromessi” con la storia, non da angeli. Ma se guardiamo ai “valori” che hanno costituito la cultura europea, non possiamo negarne la matrice cristiana. Non solo i valori “liberali”, ma anche quelli “democratici” e “socialisti”. Non sono i calvinisti che, recuperando il modello dei primi secoli, hanno costruito un modello di chiesa di tipo “democratico”? Non sono loro che, rifiutando ogni forma di gerarchia ecclesiastica, hanno creato comunità in cui gli stessi pastori venivano eletti dalla base? La “democrazia” moderna nasce qui: sul terreno del Cristianesimo. Non è un caso che i puritani abbiano costruito

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nell’America del Nord un modello di democrazia che ancora oggi è il più… democratico. E il socialismo non ha le stesse radici? Non erano cristiani i diggers che, durante la Rivoluzione inglese del ‘600, predicavano – i vangeli alla mano – un’uguaglianza non solo politica, ma “sociale”? Non sono stati numerosi i cristiani (spesso perseguitati) che hanno visto nei vangeli un messaggio di liberazione totale dell’uomo (e non solo spirituale), che, in nome del messaggio evangelico, hanno gridato che la terra è di Dio e che Dio l’ha data a tutti, non a pochi ricchi? E… last but not least, non è all’interno della stessa Chiesa cattolica che è maturato il concetto di “persona”, uno dei concetti-chiave che sono alla base dell’Europa? Un concetto-chiave, ma anche uno dei concetti più equivoci: pensa al dibattito che da secoli, ma soprattutto in tempi a noi più vicini, ha riguardato il problema “embrione-persona”. Non è un caso che molti, anche cattolici, preferiscano accantonare tale concetto quando si discutono delicate problematiche bioetiche. Al di là del problema relativo alla natura ontologica dell’embrione, il concetto di “persona” è fondamentale per definire la dignità di ogni uomo: l’uomo (ogni uomo, anche il più debole, anche chi ha un handicap grave) non è solo “individuo”, ma è anche “persona”! Funziona così tanto tale concetto che vi sono studiosi che arrivano a negare l’equazione uomo=persona: secondo loro vi sono uomini che non sono persone e vi sono persone che non sono uomini. Ma queste sono pure follie di qualche intellettuale da strapazzo. Come? Come si fa a definire “persona” un uomo in stato vegetativo permanente? E come non si fa a chiamare “persona” uno scimpanzè (o gorilla) che presenta le classiche qualità mentali di una persona umana? Queste sono aberrazioni! Quali aberrazioni? Siamo in presenza di conseguenze logiche della stessa definizione “cristiana” di “persona”! Non siamo cioè in presenza, nel caso di uno scimpanzè o di un gorilla (si pensi alla celebre “Koko”), di un “individuo dotato di natura razionale”? Ora, come si potrebbe chiamare “persona” un uomo che ha il supporto biologico delle sue qualità razionali completamente spappolato? Ma l’uomo non è solo corpo! Qui, però, entriamo in un ambito in cui non vi è nulla di verificabile. 7.6 “Cristiani” o “cittadini”? È solo con la Rivoluzione francese, con la sua cultura anti-clericale (proprio anti-cristiana), che si è usciti dall’astrattezza dei concetti cristiani. È qui che i diritti sono diventati concreti: i diritti dell’“uomo” e del “cittadino”. Senza la Rivoluzione francese come avrebbero potuto camminare in Europa i valori di libertà e di uguaglianza e come sarebbero nati i “cittadini”? Sono valori che sono cresciuti in un clima culturale che ha preso le distanze dal fanatismo dei cristiani (di tutte le sette)! Valori cresciuti sul terreno della raison contro ogni “fede” giudicata intrinsecamente intollerante. Non è, poi, nella Rivoluzione francese che sono stati scritti i “diritti” dell’uomo e del cittadino? Ma tali diritti hanno come cornice l’uguaglianza degli uomini, uguaglianza che fa parte del messaggio evangelico: è un caso che nella Rivoluzione americana, figlia del puritanesimo cristiano, questo quadro evangelico sia ben presente? L’uguaglianza cristiana è qualcosa di astratto: che valore avrebbe, se non fosse concretizzata in diritti? Come astratto è il valore della dignità umana: non è utilizzato – anche nel nostro tempo – sia da parte di chi condanna l’aborto che da coloro che lo difendono? Ma sono stati i cristiani americani a dare concretezza, per primi, a questi valori! Sulla base, però, di valori “laici” che provenivano dalla Francia! Macché valori laici di derivazione francese! Erano valori che appartenevano alla storia del puritanesimo americano!

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Senti: come la mettiamo con la “laicità dello Stato”? Ha, forse, qualcosa da spartire con le teocrazie medievali e con la stessa affermazione di S. Paolo secondo cui ogni potere viene da Dio? Potrebbe sembrare un paradosso, ma anche la laicità dello Stato è un valore che affonda le radici nel Cristianesimo: non sono i puritani (sempre loro) che, avendo interiorizzato il rapporto con Dio, hanno posto con forza la separazione tra la sfera religiosa (che appartiene alla coscienza dell’individuo) e la sfera dello Stato? E non sono loro che hanno giustificato tale separazione facendo diretto appello alle parole di Gesù Cristo “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”? Siamo sempre alle solite. Tu vedi nel messaggio religioso ogni valore. Ma sei tu l’interprete autentico di tale messaggio? Come mai autorevoli cristiani – papi stessi, assemblee conciliari – hanno dato di esso ben altre interpretazioni? L’hanno tutti “strumentalizzato”? Ma chi può dirlo? Non è la chiesa cattolica di oggi che, dopo la “purificazione della memoria”, testimonia non solo con le parole, ma anche con le opere il “primato della persona”, la difesa di ogni individuo umano, anche il più indifeso? Non è la Chiesa cattolica che si batte con forza contro lo sfruttamento dell’uomo, a favore degli ultimi della terra? Non è la Chiesa cattolica che si batte contro il nuovo idolo del consumismo, contro la schiavitù dell’edonismo? Non è la Chiesa cattolica che si batte, addirittura – sfidando la stessa opinione pubblica ormai pagana – in difesa dello stesso embrione umano e contro ogni manipolazione genetica? Non lo metto in dubbio. Ma il discorso è un altro: considerato che la chiesa non ha sempre avuto tali posizioni (neppure sull’aborto che è un problema antichissimo), in che misura siamo di fronte all’interpretazione “autentica” del messaggio evangelico? Tu insisti nel parlare di “radici cristiane”, ma io domando in continuazione: “quale” Cristianesimo? I cristiani sono ancora divisi in cattolici, ortodossi e protestanti (nonostante gli sforzi in senso unitario effettuati da Giovanni Paolo II) e sono divisi anche sui grandi problemi etici del nostro tempo. Anche su quelli delicatissimi di bioetica. In alcuni casi, addirittura, vi è più vicinanza tra la chiesa cattolica e l’Islamismo che tra la chiesa cattolica e quelle protestanti. E, poi, chi può escludere che un domani la stessa chiesa cattolica, in tempi e climi culturali diversi, possa ancora cambiare e chiedere perdono per chi ha chiesto perdono? 7.7 Good-bye! Grüβ Gott! Spasibo! Ma le “radici cristiane” rimangono. È questo l’oggetto della nostra ricerca. L’Europa, oggi, è, per molti aspetti, su posizioni anti-cristiane, ma le sue radici cristiane non si possono negare. Si negherebbe la stessa storia dell’Europa. Le chiese cristiane, nel bene e nel male (anche nel male – lo ammetto -) l’hanno segnata profondamente. Alle… radici. Non dimenticare, poi, che i cristiani non hanno solo unificato l’Europa sotto il profilo religioso-culturale, ma anche dal punto di vista linguistico: l’aver diffuso in tutta Europa il latino (un po’ come l’inglese di oggi) non è stato un fattore determinante dell’unificazione? Quale latino? Un latino morto, un latino “da cucina” affermavano gli umanisti! Un latino da casta. Altro che fattore unificante! Una lingua che ha diviso ancora di più gli uomini “sacri” dai poveri “laici”. Anche se lingua dei “chierici”, è un dato di fatto che il latino, comunque, ha messo in comunicazione uomini che parlavano le lingue “nazionali” più diverse. L’Europa è nata anche in questo modo: senza il latino medievale (pur contaminato) quale base linguistica comune, come avrebbero potuto i cosiddetti “clerici vagantes” muoversi da un’università all’altra e mettersi in contatto con uomini di cultura di altri paesi? Questo è vero, ma non devi esagerare la diffusione di questa lingua “universale”: nel mondo slavo, infatti, un ruolo di prim’ordine l’ha esercitato l’antico bulgaro che è diventato anche la lingua liturgica della Russia. Okay. Al di là, comunque, del latino ecclesiastico occidentale e dell’antico bulgaro, è un dato di fatto che il Cristianesimo ha lasciato tracce indelebili nelle lingue europee. Non mi riferisco solo

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ad una serie di termini greci che sono entrati in circolazione in Europa grazie alla Chiesa (da “Cristo” a “angeli”, dalla stessa parola chiesa a vescovi, preti, diaconi), ma anche a termini che sono entrati nel linguaggio civile. Ti riferisci a domenica? Certo. Le lingue anglo-sassoni, però, hanno conservato l’antica denominazione di “giorno del sole” (Sunday, Sonntag), come hanno conservato l’antica denominazione anche per il sabato (giorno di Saturno). Esatto. Ma il “giorno del Signore” lo troviamo in tutte le lingue neo-latine. Lo troviamo pure nel greco moderno (kyriakí). Sai una cosa che mi ha sorpreso? Che cosa? Nel greco moderno i nomi di tutti i giorni della settimana (a parte il sabato) seguono la scansione della liturgia cristiana: dopo il “giorno del Signore” (che è la prima feria), vi è la “seconda” (dheftéra - lunedì), la “terza” (tríti - martedì), la “quarta” (tetárti - mercoledì), la “quinta” (pémpti - giovedì). Per indicare il venerdì, poi, dicono paraskeví: parasceve, come saprai, era una festa ebraica che significa “preparazione” (essendo il sabato un giorno di riposo assoluto, di venerdì si preparavano i cibi e tutto quanto sarebbe servito; nella liturgia cristiana la denominazione di “parasceve” – Feria VI in Parasceve - si riferisce solo al venerdì santo). Una scansione analoga a quella greca si trova nel portoghese: l’unica differenza è rappresentata dal venerdì. E domenica? Ha la stessa matrice del nostro “domenica”: domingo. A proposito di “domenica” sai come viene chiamata in russo? Fa eccezione rispetto al greco? Il giorno del Signore è reso ancor più chiaro: voskresenie. Che vuol dire? Resurrezione: più chiaro di così! Non mancano, poi, espressioni di saluto di indubbia matrice religiosa che si trovano in diverse lingue. Alludi a addio, adiòs, adieu? Anche al greco moderno adio. Vi sono, poi, espressioni in cui la parola “Dio” è più nascosta”: pensa all’inglese good-bye. Qui lo specialista sei tu! Mi… spiazzi: qui c’è good, non God! Si tratta di un’abbreviazione deformata di “God be with you”. Chi l’avrebbe immaginato? Per associazione mi viene in mente il saluto tedesco Grüβ Gott! (letteralmente “Dio ti saluti!”). E Gott lo troviamo anche nell’espressione tedesca che sta per “magari”: wollte Gott (un’espressione che ritroviamo in inglese would to God). Quando una persona ha lo starnuto, poi, gli inglesi non usano l’espressione God bless you? A me, invece, viene in mente “grazie” in russo: sai come si dice? Lo so perché l’ho sentito in alcuni film: spasibo. Ma cosa c’entra con la matrice religiosa? C’entra: spasibo significa letteralmente “Dio salvi” (“bog” in russo significa “dio”). Sterminato, poi, è il numero di località dedicate a santi. Alcuni esempi? Saint-Malo, Saint-Tropez, Mont Saint-Michel (in Francia), Petropavelovsk (la città dei santi Pietro e Paolo, in Russia), Santander (sant’Andrea, in Spagna), Santiago (San Giacomo, passato dalla Spagna al Cile), Santorin (santa Irene, in Grecia). Non mancano, anche se sono meno diffusi, nomi di località dedicate a Dio: vedi Göteborg (in Svezia) e Villedieu (in Francia). Di matrice religiosa sono anche München (in Germania) e Moutiers (in Francia) che ricordano dei monasteri. Non parliamo, infine, delle migliaia e migliaia di chiese e cattedrali che sono disseminate in tutta Europa (e che talvolta hanno segnato anche il nome della località: pensa a Dunkerque, in Francia, che contiene proprio la parola “chiesa” – in tedesco “Kierke” e in inglese “church”). Radici cristiane sono presenti perfino nel lessico dei fiori (non quello tecnico, ma popolare). Tu lo sai bene perché il pollice verde sei tu.

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Mi vengono in mente i capelli di prete (ma anche di vescovo e di papa). A proposito di preti, pensa che in Trentino il frutto del mirtillo rosso è chiamato “cojoni de pret”. Come sono brutali! Ricordo la passiflora (il fiore della passione). Perché si chiama così? Fa riferimento a una leggenda secondo la quale Gesù ha lasciato cadere su una pianticella che era ai piedi della croce una goccia di sangue. La pianticella, poi, ha sparso il seme che ha dato origine, appunto, al fiore della passione. Sono stati diversi i nomi che, con la diffusione del Cristianesimo, hanno subito una trasformazione: ad esempio i capelli di Venere sono diventati cheveux de Notre-Dame, come la scarpetta di Venere si è trasformata in francese in pantoufle de Notre-Dame, in tedesco in Marienschuh. So che espressioni analoghe ci sono anche in portoghese e in ungherese. La Madonna è ampiamente presente nel lessico dei fiori: penso al mantello della Madonna, al tedesco Mariengläschen (bicchierino di Maria). È presente pure Gesù Cristo: vedi la spina di Cristo. Ed è presente, per opposto, anche il diavolo: vedi l’erba del diavolo. Sai come viene chiamata una pianticella puzzolente, l’assafetida? Immagino sia riferita al diavolo. Merda del diavolo, espressione che deriva dalla denominazione medievale “stercus diaboli”. L’espressione è presente anche in tedesco: Teufesdreck. Non dimentichiamo, poi, i numerosi nomi di santi: vedi, ad esempio, il fiore di santa Caterina. Nomi di santi che troviamo anche in patologie come il fuoco di sant’Antonio (o di sant’Anna). Come vedi, solo un cieco può negare le radici cristiane dell’Europa. Ed è per questo che è stato un colossale errore non averle riconosciute solennemente nel Trattato costituzionale. Macché errore! È stata fatta, invece, la scelta più saggia. Più saggia perché richiamarle avrebbe in qualche misura velato la laicità dello Stato moderno. 7.8 La religione: un fatto “privato” o anche “pubblico”? Perché mai? La costituzione americana non è stata la madre di tutte le costituzioni? Ora, non è imbevuta di riferimenti squisitamente religiosi? Gli americani non hanno avuto per nulla vergogna a richiamare solennemente le loro origini. Ma noi europei non siamo figli dei “puritani” d’America, ma della Rivoluzione francese. È grazie alla cultura laica della Rivoluzione francese che noi europei abbiamo costruito lo Stato sul fondamento dei “cittadini” e non dei “cristiani”! È questo, in ultima analisi, il concetto laico dello Stato: uno Stato che non ha nulla a che vedere con la religione perché rappresenta tutti i cittadini e non solo i credenti. In questo modo si relega la religione alla sfera privata. La religione non è solo un fatto privato! Non è un caso che siano proprio i “puritani” americani che abbiano fatto di Dio il fondamento dello Stato! E del dollaro! Dio l’hanno inciso perfino sulla loro moneta! Perché ti scandalizzi? Perché Dio non dovrebbe essere l’anima anche della vita economica? Ma sono proprio gli americani che hanno fatto del dollaro un “dio”! Ma gli americani hanno stravolto le buone intenzioni dei puritani! Qui, comunque, il problema è un altro: un conto è la società americana del ‘700 e un conto quella di oggi. A quale americano oggi verrebbe in mente – in una società completamente cambiata rispetto al ‘700 – di inserire nella Costituzione (un documento ufficiale che riguarda tutti i cittadini, credenti o non) dei riferimenti religiosi? Un fatto è certo: a nessuno oggi viene in mente di togliere quei riferimenti. Non solo: spesso e volentieri i politici americani (Bush in testa) fanno esplicito riferimento a Dio ed ai valori religiosi. Lo sappiamo che spesso e volentieri Bush strumentalizza Dio ai suoi fini politici. Perché vuoi fare il processo alle intenzioni? Bush è profondamente religioso e non se ne vergogna in pubblico di esserlo: anzi!

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Lo fa perché sa di interpretare l’opinione dei suoi elettori. Lo fa, quindi, a fini elettorali. Dio deve stare fuori dalla politica! La politica ha a che fare col “cittadino”: non sei tu che mi ha insegnato l’origine greca? Tornando al nostro discorso, la scelta di non inserire le radici cristiane nel Trattato costituzionale è stata saggia anche per un’altra ragione. Quale mai? Perché è politicamente inopportuna: come si può pensare di costruire una casa comune degli europei cominciando a discriminare tra cristiani e non cristiani? Pensa ai milioni di musulmani presenti in Europa! Pensa ai 70 milioni di turchi che potrebbero entrare nei prossimi anni in Europa? Non sarebbero cittadini di serie B in quanto privi del… sangue blu dei cristiani? Ma quale discriminazione? Il richiamo alle origini cristiane avrebbe rappresentato un impegno morale a costruire un’Europa fondata sul valore della dignità di ogni uomo: altro che discriminazione! Un valore, questo, che tra l’altro è presente nello stesso Islamismo! E i non credenti (non solo atei ma anche agnostici)? Non sarebbero diventati loro – seguendo la tua logica – i cittadini di serie B? Perché mai? Forse che la legge morale kantiana secondo cui dobbiamo considerare l’uomo sempre come fine e mai come mezzo discriminerebbe gli atei e gli agnostici? La morale kantiana – anche se di matrice cristiana – è laica! Allora, lasciamo da parte la religione e parliamo esclusivamente in termini di “diritti” umani, quei diritti, appunto, che la Rivoluzione francese ha diffuso prima in Europa, poi nel mondo. La fine di un viaggio e un altro da intraprendere Un viaggio lungo, ma appassionante, alla ricerca delle “radici” europee. Un viaggio “oggettivo”? Sicuramente no: è letteralmente impossibile osservare in modo neutro, senza alcun pre-giudizio, senza “punti di vista”. Un viaggio esaustivo? Neppure: solo dei flash, qua e là. Alessandra ed Emanuele sono, comunque, soddisfatti: hanno provato ad andare oltre le schermaglie giornalistiche, a scavare più in profondità. L’hanno fatto con passione e con onestà intellettuale. Sono soddisfatti perché si sono trovati di fronte, nel loro zig-zagare, una quantità impressionante di… sorprese linguistiche che li hanno intrigati, incuriositi. Sono soddisfatti perché hanno scoperto un livello di “meticciato” a livello linguistico che non avrebbero mai immaginato. Ma, al di là di tali contaminazioni linguistiche, hanno trovato un’“identità” europea in termini di valori e di modi di pensare? Alessandra ed Emanuele l’hanno cercata a lungo, ma senza arrivare a risultati condivisi. Su questo terreno, anzi, si sono confrontati in modo serrato, addirittura scontrati con durezza. Ritengono, tuttavia, di avere avuto un guadagno tutt’altro che modesto: hanno avuto l’opportunità, proprio grazie al confronto-scontro, di prendere consapevolezza che i problemi sono sempre più “complessi” di quanto appaiono nell’immediato. Certo, su molti punti sono rimasti distanti: Alessandra ha posto l’accento sulla “continuità”, mentre Emanuele, al contrario, sulla “discontinuità”. Alessandra, in particolare, pur essendo molto critica nei confronti di una certa tradizione cristiana, si è sforzata di cogliere nel Cristianesimo la “rivoluzione” che ha segnato profondamente la storia europea, mentre Emanuele ha individuato tale “rivoluzione” nella cultura illuministica e in quell’evento epocale che è stata la Rivoluzione francese. Nessuno dei due, comunque, nega – anche se da una prospettiva diversa – un meticciato anche a livello di valori e di modi di pensare, un meticciato frutto delle contaminazioni di varie ondate di… extracomunitari. Un viaggio lungo, ma ora sono solo a metà strada: hanno tentato di esplorare le “radici”. A questo punto devono intraprendere un altro tratto di strada insieme, di sicuro più impegnativo, alla ricerca dell’Europa che ancora non c’è:

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� è utopistico creare un’Europa che non sia semplicemente un “mercato”? � è utopistico realizzare una federazione politica europea con una sua “identità”, con

una sua “specificità” che la distingua in modo chiaro dal “modello Usa”? Piero Carelli

([email protected])

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