VIA DELLA SETA

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  • Cammino anche allora lungo,insidioso, sospeso alle guerrecontinue, alle scorrerie e alle incursioni dei nomadi e dei pirati, e che richiedeva,in chi vi si avventurasse,quellaccortezza e quellardimento di cui leco ancora giungee non di rado commemorante la generosit o la perizia dei capi-carovana.

    Giuseppe Tucci

  • stretti del sistema militare della dinastia Ming nel Gansu e nelQinghai. Nella Suzhou illustrata si legge: Il sistema di difesanel Gansu comprendeva lantica contea di Jiuquan, una locali-t cinese dimportanza strategica [...], mentre i territori oltre ilpasso Jiayu erano considerati al di fuori di esso. In altre paro-le, verso la met della dinastia Ming il confine occidentale fusegnato proprio dal passo Jiayu e pertanto lo spazio rappre-sentato nellAtlante dei territori e dei popoli delle Regioni Occi-dentali significativamente quello a occidente. Anche la Cartadel Paesaggio mongolo comincia dal passo Jiayu e, come nellaSuzhou illustrata, a oriente del passo non vi alcunch.

    Confrontando le tre mappe, risalta come tutte muovanodal passo Jiayu e rappresentino la stessa area geografica, de-nominata Regioni Occidentali nelle due menzionate opere si-lografiche. A buon ragione, possono essere definite carte dipaesaggio e quindi diverse da quelle disegnate secondo laltro

    fino a Lumi. A detta dello studioso giapponese Unno Kazuta-ka lAtlante e commento risalirebbe allottavo anno (1529) delregno Jiajing.

    Nel 2009 fui invitato dal professor Poo Muchou allAcade-mia Sinica di Taiwan e, visitando il Museo di Palazzo di Taipei,mi imbattei in unedizione a colori depoca Ming dellAtlantedei territori e dei popoli delle Regioni Occidentali e in un esem-plare manoscritto, anchesso depoca Ming, del Commento aiterritori e ai popoli delle Regioni Occidentali. Tali due esemplarifurono inclusi da un ignoto erudito depoca Ming nelledizionea colori dellAtlante e commento del distretto militare del Gan-su (Gansu zhenzhanshou tule), datata fra il ventitreesimo e ilventiquattresimo anno (1544-45) del regno Jiajing. Oltre al-lAtlante dei territori e dei popoli delle Regioni Occidentali, il vo-lume comprende anche lopera intitolata Suzhou illustrata(Suzhou tushuo) e altre mappe commentate sui quattordici di-

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    Per citt e terre sconfinate

    Carta del Paesaggio mongoloDipinto a inchiostro e a colori su seta; h. 59 x 3.120 cmPrima met del XVI secolo; collezione privataBeijing, Repubblica Popolare CineseIn mostra, n. 77

    salente alla met della dinastia Ming. Per tecnica di composi-zione, la Carta del Paesaggio mongolo fu dipinta secondo i ca-noni di questultimo metodo e come paesaggio si distendedal passo Jiayu, nellattuale provincia del Gansu, fino a Tian-fang, lodierna Mecca in Arabia Saudita.

    Appena dopo lacquisto, la Carta del Paesaggio mongolofu studiata stilisticamente e in modo preliminare da Fu Xi-nian, direttore della Commissione Nazionale per lIdentifica-zione dei Reperti Culturali. Questi la dat a unepoca prece-dente o coincidente con la met della dinastia Ming. Fu nelfebbraio 2002 che Yi Suhao, amministratore delegato dellacasa daste, mi offr lopportunit di intraprenderne lo studiosistematico. La datazione proposta da Fu Xinian sostanzial-mente corretta, bench muovendo da altri elementi testualipossa ancor pi essere precisata, tanto da spingersi sino alperiodo fra il terzo e il diciottesimo anno del regno Jiajing(1522-66), ossia tra il 1524 e il 1539. Allinizio della dinastiaMing il confine occidentale della Cina correva lungo il fiumeTarim e la catena montuosa del Tianshan, nella provincia del-lo Xinjiang. Considerato che il passo Jiayu si situa come la lo-calit pi orientale della Carta del Paesaggio mongolo, plau-sibile supporre che sia stata dipinta dopo il 1524, quando ciolimpero Ming arretr dalle Regioni Occidentali fino a quelpasso. Inoltre, sulla Carta del Paesaggio mongolo non compa-re Yongxinghou dun, oggi considerata la prima torre di segna-lazione della Grande Muraglia ed edificata nel 1539 con un al-tro complesso di torri di segnalazione a ovest del passo Jiayu.Inoltre, tale torre menzionata sia in unopera coeva al regnoJiajing, intitolata Bianzheng kao e composta da Zhang Yu, sianei Nuovi annali di Suzhou (Suzhou xinzhi), pubblicati nel pe-riodo Qianlong (1736-95) della dinastia Qing. verosimilecredere che la Carta del Paesaggio mongolo sia stata dise-gnata prima della stessa costruzione della torre.

    La scoperta poi di due riproduzioni silografiche della Car-ta del Paesaggio mongolo, risalenti allepoca Jiajing della di-nastia Ming ha suscitato in me non poco stupore e soddisfa-zione. Circostanza questa che induce a ritenere lesemplareesistente della Carta del Paesaggio mongolo mutilo, giacchrappresenta solo lo spazio dal passo Jiayu alla Mecca, mentrele due silografie in questione includono anche quello dallaMecca a Istanbul.

    La prima opera, intitolata Atlante dei territori e dei popolidelle Regioni Occidentali (Xiyu tudi renwu tu) e inclusa negliAnnali della provincia dello Shaanxi (Shaanxi tongzhi), redattida Ma Li, corredata di un singolare Commento ai territori eai popoli delle Regioni Occidentali (Xiyu tudi renwu le).LAtlante fu pubblicato nel ventunesimo anno del regno Jia-jing, vale a dire nel 1542, e rappresenta i territori dal passoJiayu a Lumi, capitale dellImpero Romano dOriente, ossialodierna Istanbul nella Turchia occidentale.

    La seconda opera, intitolata Atlante e commento delleRegioni Occidentali (Xiyu tule), fa parte delle Quattro guarni-gioni dello Shaanxi illustrate da anonimo (Shaanxi sizhen tu-shuo). Pubblicata nel quarantaquattresimo anno (1616) delregno Wanli, rappresenta la stessa area dellAtlante dei terri-tori e dei popoli delle Regioni Occidentali, cio dal passo Jiayu

    La Carta del Paesaggio mongolo (Menggu shanshui ditu), recentemente scoperta in Giappone, un ro-

    tolo dipinto a inchiostro e colori su seta, lungo ben oltre 31metri e ricco di 211 toponimi cinesi in gran parte traslittera-zioni dal mongolo, persiano, sogdiano, arabo, armeno, toca-rio, greco ecc. Lo stile pittorico risale alla tradizione cosiddet-ta del paesaggio blu e verde e in ispecie alla scuola Wumen,fiorita verso la met della dinastia Ming (1368-1644).

    Acquistata nel 2002 dalla casa daste Beijing Sungari Inter-national Auction Co. in Giappone, dove era giunta negli anniventi del secolo passato, la Carta del Paesaggio mongolo fu cu-stodita nel museo privato Fujii Yurinkan, stimata come unesemplare della pittura di paesaggio di epoca Qing (1644-1911).

    Denominata genericamente pittura di paesaggio Qing equindi non ben identificata, la Carta del Paesaggio mongolonon fu mai messa allasta. Sul verso del rotolo si conserva an-cora una stampiglia cartacea e manoscritta recante Shang-youtang, nome di una casa editrice attiva nel periodo delle di-nastie Ming e Qing e inizialmente nella provincia dello Zhejiang.Alla casa editrice si deve sia il gi menzionato titolo Menggushanshui ditu che una sorta di segnatura o numero di serie442, espresso secondo il tradizionale sistema di numerazioneqianziwen. Lo stile calligrafico della nota recata dalla stampigliarinvia a un periodo tra la fine della dinastia Qing e linizio del-lepoca repubblicana. Purtroppo, e con un certo stupore, man-cano sia il colofon che il sigillo, solitamente parti essenziali didipinti e carte geografiche tradizionali cinesi.

    Durante due recenti missioni in Giappone (2004 e 2006),ho avuto modo di incontrare in pi occasioni vari studiosigiapponesi e nessuno sembrava informato dellesistenza del-la Carta del Paesaggio mongolo, tanto che forse sono il primoa studiarla.

    Nellantica Cina, erano diffusi due metodi per disegnarele carte geografiche. Il primo, noto come calcolare miglia perdisegnare quadrati, quello usato ad esempio per la Carta diGuangyu (Guangyu tu), disegnata da Luo Hongxian, geografodepoca Ming.

    Il secondo, invece, detto paesaggio ed esemplar-mente attestato dalla Carta Hefang yilan (Hefang yilan tu), ri-

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    scontornare

  • La citt di Turfanlungo la carovanierasettentrionale della Via della Seta (Xinjiang),particolare della Carta del Paesaggio mongolo,rotolo dipinto a inchiostroe colori su seta, primamet del XVI secolo.Pechino, collezioneprivata

    Citt e territori delXinjiang nord-orientaleparticolare della Carta del Paesaggio mongolo,rotolo dipinto a inchiostroe colori su seta, primamet del XVI secolo.Pechino, collezioneprivata

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  • Per situare la Mecca, citt santa dellIslam, al centro delmondo, le carte islamiche erano in genere disegnate con il sudverso lalto, mentre quelle cinesi dello stesso periodo in sensocontrario. Ci per dire che lautore della Carta del Paesaggiomongolo pu aver usato alcune carte islamiche, pur ignorandouna tale palese discrepanza.

    Cos come larchitettura cinese appare assimilata a quellaeuropea nelle rappresentazioni cartografiche di epoca medioe-vale, nella Carta del Paesaggio mongolo Samarcanda assai si-mile nel disegno a una citt depoca Ming. Le torri della cintamuraria somigliano a quelle della citt di Pingyao delle dinastieMing e Qing nella provincia dello Shanxi e immagino che anchela foggia dellosservatorio della Carta del Paesaggio mongolosia la copia di un osservatorio depoca Ming. Qualora fosse co-s, lattuale ricostruzione dellosservatorio nel sito di Zhougong-miao a Dengfeng, nella provincia dello Henan, potrebbe non es-sere appropriata. Losservatorio di Dengfeng fu costruito nel1276 dal famoso architetto Guo Shoujing per ordine dello stes-so Kubilai Khan e continu a svolgere la piena attivit financhenel periodo Ming. Attualmente ne restano solo le fondamenta eci che si vede stato ricostruito a mo di piattaforma in mura-tura dotata di due vani per conservare diversi strumenti dos-servazione.

    Lin Meicun

    agli stessi fenben oppure che il primo abbia utilizzato il di-pinto di Qiu Ying come esemplare.

    Un altro particolare della Carta del Paesaggio mongoloattrae lattenzione dellosservatore e al contempo dello stu-dioso di storia della scienza. Nel XIII secolo, la citt centro-asiatica di Samarcanda divenne uno dei pi rinomati centridi osservazione astronomica. Yelu Chucai e Qiu Chuji la visi-tarono rispettivamente nel 1220 e nel 1221, al seguito diGengis Khan impegnato a sua volta nella conquista delle ter-re dOccidente.

    Dopo la fondazione della dinastia Ming, limpero timuridesi afferm soprattutto in Asia centrale, elevando proprio Sa-marcanda a propria capitale. Artefice di tale potenza fu Timur(Tamerlano), che per improvvisamente nel 1405. A un suo ni-pote, Ulugh Beg, particolarmente dedito alla scienza e assurtoal trono nel 1420, si attribuisce ledificazione di un grande esontuoso osservatorio, posto a nord di Samarcanda.

    Nella Carta del Paesaggio mongolo, losservatorio di UlughBeg posto a sud di Samarcanda ed denominato Wangxinglou, letteralmente Torre per mirare le stelle. La posizione pe-r non quella corretta, tant che secondo lAtlante dei terri-tori e dei popoli delle Regioni Occidentali e il relativo Commen-to, entrambi gi menzionati, la Torre per mirare le stelle do-vrebbe invece trovarsi a nord di Samarcanda.

    Lanalisi stilistica avvalora ulteriormente la datazione delXVI secolo, collocando la Carta del Paesaggio mongolo nellatradizione della pittura di paesaggio blu e verde, in particolaredella scuola Wumen, gi menzionata. La maniera in cui sonodipinte le montagne assai simile allo stile dellanonimo Coloridautunno del villaggio di pescatori (Yu zhuang qiuse) della di-nastia Yuan, conservato nel Museo di Palazzo di Taipei. Fu lascuola Wumen a ereditare gran parte della tradizione della pit-tura di paesaggio blu e verde dellepoca mongola. Il fondato-re della scuola, Shen Zhou, dipinse allet di 83 anni un pae-saggio intitolato Fiori cadenti (Luohua tu), opera con cui la Car-ta del Paesaggio mongolo condivide varie somiglianze.

    Altra somiglianza ricorre tra la raffigurazione del passo Jia-yu allinizio della Carta del Paesaggio mongolo e uno scorcio delrotolo Tornando dal fiume Fen (Gui Fen tu), conservato nel Mu-seo di Palazzo di Pechino e opera di Qiu Ying, morto, secondoShan Guoqiang dello stesso Museo, nel 1552, trentunesimo an-no del regno Jiajing. Stupisce trovarsi dinanzi allo stesso moti-vo: un padiglione a valle, un fiume che scorre sinuoso lungo illato sinistro della collina e un ponte che lo attraversa.

    Spesso la pittura tradizionale cinese traeva motivi e ispi-razione dai cosiddetti fenben, antichi abbozzi conservati co-me veri e propri esemplari. Non si pu escludere che lautoredella Carta del Paesaggio mongolo e Qiu Ying abbiano attinto

    metodo tradizionale, ossia calcolare miglia per disegnare qua-drati. Non solo, ma ricorrono somiglianze nella toponomasti-ca, come ad esempio per indicare le tombe musulmane (hui-hui mu) e la Grande Oasi (da caotan).

    Sono analogie che rinviano a una probabile origine comu-ne, tant che, stando cos le cose, la Carta del Paesaggio mon-golo appare mutila della sezione dalla Mecca a Istanbul e per-tanto quanto resta delloriginale, privo dunque di un quarto. probabile che la Carta del Paesaggio mongolo fosse in originelunga almeno 40 metri e tale supposizione spiegherebbe lamancanza del colofon e del sigillo, forse recati proprio dallaparte mancante. In mancanza del colofon, si ignora pertanto iltitolo originale e quello attuale, ossia Carta del Paesaggio mon-golo, attribuibile, come gi detto, alla mano di un ignoto dellacasa editrice Shangyoutang.

    Si noti inoltre che verso la met della dinastia Ming il termi-ne mongolo ricorreva per indicare i due eredi dei quattro gran-di khanati dellimpero mongolo, vale a dire le trib mongole equelle sari-uigure del Khanato gdei e i Timuridi, e pertanto lospazio rappresentato dalla Carta del Paesaggio mongolo pro-prio quello dei Mongoli depoca Ming. Il titolo del rotolo, ossiaCarta del Paesaggio mongolo, potrebbe allora essere quello ori-ginale, essendo assai improbabile che lipotetico mercante ocollezionista ne potesse attribuire uno cos pertinente.

    A occidente del passoJiayu (provincia delGansu): le tombemusulmane (huihui mu)e la Grande Oasi (dacaotan); il passo di Jiayu,situato nel lembooccidentale dellaprovincia del Gansu,particolare della Carta del Paesaggio mongolo,rotolo dipinto a inchiostroe colori su seta, primamet del XVI secolo.Pechino, collezioneprivata

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  • La mappa del mondo dellimpero mongolo

    Un importantissimo documento grafico che ci permettedi comprendere la conoscenza del mondo della Cina mongo-la, rimane, per i casi della storia, in Giappone. Le vicende dellasua trasmissione sono assai complicate, ma una notevolequantit di dettagli stata chiarita negli ultimi anni da ungruppo di storici delluniversit statale di Kyoto che ha in Su-giyama Masaaki uno dei pi valenti specialisti di storia dellaCina del periodo mongolo il principale animatore. La cartaqui riprodotta dalloriginale su seta di 150 x 160 cm, si trovaattualmente nella biblioteca dellUniversit Ryu\koku di Kyoto.Essa il risultato della combinazione di pi tradizioni carto-grafiche precedenti e lanalisi dei toponimi e di altri elementifa ritenere rifletta pi o meno la situazione tra il 1320 e il1330, circa mezzo secolo dopo lepoca in cui Marco Poloavrebbe messo piede nel regno di Catai.

    Il titolo echeggia termini largamente usati sotto limperomongolo: Carta delle terre in unica estensione e delle capitalidelle dinastie del passato (Hunyi jiangli lidai guodu zhi tu). Lacarta, infatti, non fotografa solo il presente, ma si proietta in-dietro lungo lasse temporale riportando i nomi e la colloca-zione geografica delle capitali precedenti, a ricordare in chia-ve comparativa la vastit del dominio dei sovrani del tempo.In altre parole, qui leredit della tradizione cinese coniugataallunit raggiunta da unarea vastissima sotto legida dellim-pero mongolo, quando sfere culturali diverse superarono laframmentazione delle epoche precedenti per entrare in co-municazione tra loro. La mappa raffigura luniverso terrestrepercepito a cavallo tra il XIII e il XIV secolo con al centro la Ci-na, comprendendo i continenti asiatico, africano e europeo.LAfrica, in particolare, appare straordinariamente dettagliata,mentre allEuropa riservato uno spazio lontano ed estremo,che contiene per con chiarezza i nomi delle principali citt eregioni del vecchio continente, trascritti in caratteri cinesi, atestimonianza dei contatti diretti o indiretti con il mondo me-dievale. Stupisce solo lIndia, visibilmente ridotta a una nonentit, forse il frutto intenzionale del pregiudizio dei compila-tori di questa versione della carta, i quali avrebbero alterato

    loriginale. Imbevuti di idee confuciane, costoro probabilmen-te vedevano nel buddhismo (che aveva elaborato appuntouna tradizione di rappresentazione del cosmo con al centro ilsubcontinente indiano) un fattore di corruzione della tradi-zione cinese.

    Quello che appare fuori proporzione, invece, la penisolacoreana. Non a caso, per. La carta che possediamo oggi ilfrutto della combinazione di mappe cinesi pi antiche messeinsieme nel 1402 (e quindi spesso citata con il titolo abbrevia-to in pronunzia coreana: kangnido), agli inizi della nuova dina-stia Joseon (1392-1897), certamente per accrescere il presti-gio dellepoca nel rinnovato rapporto con limpero cinese deiMing (1368-1644), anchesso da poco sulla scena. La Cina,quindi, certamente al centro del mondo, come nelle rappre-sentazioni canoniche dellepoca appena conclusa, ma il so-vrano coreano ha il dovere di presentare il proprio regno neldettaglio come parte importante di un pi generale ecumenemondiale. Per spiegare la presenza in Giappone di questacarta (e di altre tre versioni, pi tarde ma altrettanto interes-santi) oltre che il collezionismo del Novecento nello spaziocoloniale del continente asiatico dobbiamo richiamare allamente le avventure militari dei generali di Toyotomi Hideyoshi(1537-98) in Corea nel corso del XVI secolo, unepoca nellaquale la conoscenza del mondo derivata da questo filone car-tografico cinese si incontra in Giappone con quella europea dimercanti e missionari presenti nellarcipelago. Di nuovo, co-me sotto i Mongoli, ma in forme diverse, Oriente e Occidentesono a stretto contatto. Non per la prima volta, tuttavia. LEu-ropa, lAfrica e le altre parti dellAsia erano ben presenti nel-limmaginario del mondo culturale cinese gi da qualche cen-tinaio di anni.

    Su queste rappresentazioni del mondo di epoca mongolalopera di sintesi pi importante quella della giovane stu-diosa giapponese Miya Noriko, Mongoru teikoku ga unda se-kaizu (La carta del mondo che ha prodotto limpero mongo-lo), Tokyo 2007.

    Silvio Vita

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    Carta delle terre in unicaestensione e delle capitalidelle dinastie del passato(Hunyi jiangli lidai guodu zhi tu). Kyoto, BibliotecadellUniversit Ryu\koku

  • Palmira e la scultura a soggetto funerario

    Rilievo funerario con busto femminile frontale e figura di fanciullo stanteiscrizioni in aramaicoPietra calcarea, tracce di colore nero e rosso e doratura; h. 52 x 46 cmPalmira (Siria), III secolo d.C.Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci,Roma, inv. 6011/6827In mostra, n. 1

    Sul lato anteriore della lastra sono raffigurati un bustofemminile frontale e, a sinistra, in secondo piano e di dimen-sioni ridotte, un fanciullo stante.

    Il personaggio femminile indossa chitone (tunica), hima-tion (mantello), velo, turbante con diadema e numerosi gio-ielli, di tradizione sia occidentale sia orientale. Il fanciullo recaun grappolo duva e un volatile, indossa labito di tradizionepartica una tunica manicata, con galloni colorati in rosso,pantaloni a sbuffo e calzari ai piedi. Le iscrizioni aramaichealla sinistra dei personaggi madre e figlio offrono nome epatronimico di entrambi:

    BTMLKW BT ML H>BLBTMLKW figlia di ML ahim

    H>YRN BR QRD H>BLH>YRN figlio di QRD ahim

    La scultura palmirena a soggetto funerario si sviluppa dalI al III secolo d.C. e presenta una sostanziale unit formale. Lepareti degli ipogei funerari erano campite da spazi verticali,occupati da loculi chiusi da lastre scolpite con la raffigurazio-ne dei defunti, accompagnati dal lusso della vita terrena co-me rappresentato dal decorativismo degli artisti.

    Pur nella ricchezza degli elementi tipologici e iconograficidi derivazione ellenistica (abbigliamento, gioielli, posizionedella mano al volto) e romana (adozione del rilievo funerario inbusto) lesperienza occidentale sembra, comunque, fermarsiin superficie. Il naturalismo ellenistico appare superato da unaconcezione artistica differente che privilegia il simbolismo sulrealismo della composizione. Nella frontalit di presentazionecara allarte partica, la costruzione della figura rimane astrat-ta, cos come il trattamento schematico delle figure immobili,solo accostate sulla superficie secondo un concetto gerarchi-co, con gli sguardi fissi allinfinito delleternit. Lastrazione e ilsimbolismo dellarte partica rappresenteranno una delle pifeconde eredit della cultura orientale che larte palmirenatrasmetter al mondo tardo-antico.

    Paola Piacentini

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    Palmira: la citt carovaniera nel deserto

    Palmira, gi menzionata nei testi del II millennio e chiamatanellAntico Testamento Tadmor (palma) nel deserto, deve la suaimportanza alla posizione strategica: situata in unoasi sul mar-gine occidentale del deserto siriano, la citt un antico centrocommerciale nevralgico tra Mesopotamia e Mediterraneo. Congeniale intraprendenza i Palmireni permisero alle carovane, al-lontanandosi dal fiume Eufrate, di fare sosta nel deserto per rag-giungere cos pi direttamente i principali porti sulle coste medi-terranee. Fiorenti gi sotto i Seleucidi, durante limpero roma-no che le carovane di Palmira, grazie alla protezione di Roma,controllano le principali vie commerciali tra Oriente e Occidente.La vitalit di questi scambi dimostrata dalle merci ricercate:dallIndia pietre preziose, avorio, corallo, coloranti e, naturalmen-te, spezie. Ma Palmira , soprattutto, il maggiore centro di impor-tazione di preziosi tessuti di eccezionale qualit per decorazionee policromia; tra questi spicca la seta, importata dalla Cina maanche tessuta da filati importati localmente, a cui si aggiungonole pregiate lane policrome, tra cui laulica porpora equiparabileper importanza solo alloro, e i fini tessuti in cotone dallIndia.

    La ricchezza economica ricavata dalla rete commerciale re-se possibile a partire dal I secolo a.C. il finanziamento di progettiarchitettonici caratterizzati da uno straordinario apparato de-corativo. Uno dei primissimi edifici il Tempio di Bel, la cui dedi-ca del 45 d.C. Tuttavia, secondo i pi recenti studi, la realizza-zione dei complessi sacri di Bel, Baalshamin, Nabu, Allat e, pro-babilmente, Arsu ha gi inizio nella seconda met del I secoloa.C. In questo stesso momento loasi commerciale comincia lasua trasformazione in un imponente centro urbano. Poco si co-nosce dellimpianto abitativo, che attualmente oggetto di im-portanti scavi archeologici dellUniversit Statale di Milano nelquartiere di sud-ovest. Nel settore ovest si data alla prima etimperiale la Via Colonnata, ampia 22 metri, che sfocia in unapiazza ovale: si tratta del suggestivo ingresso monumentale do-ve convergono le carovane che arrivavano a Palmira. La GrandeVia Colonnata, probabilmente gi tra i primi edifici della cittimperiale, fu sottoposta ad ampia ristrutturazione in et seve-riana e si chiude a est con larco severiano a tre fornici. Annessa

    allimpero da Traiano, Palmira fu visitata nel 129 d.C. dallimpe-ratore Adriano che la proclama citt libera: al II secolo d.C. ap-partengono lAgor, il Teatro, le piccole terme. Dopo la breve in-dipendenza con Zenobia nel 268 e la riconquista da parte di Au-reliano nel 272, la citt viene tra il 293 e 303 fortificata con mu-ra per iniziativa di Diocleziano per difenderla dai Sasanidi.

    Marco Galli

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    Palmira, incisioneottocentesca raffigurantela grande Via Colonnata

    Palmira, la grande Via Colonnata

  • Forse la prima epigrafe cristianain siriaco...

    Epitafio AmidenseTerracotta; h. 36,5 x 31 cmDiyarbakir (antica Amida, Turchia), 9 settembre 759 d.C.Musei Vaticani, Citt del Vaticano, inv. 31640In mostra, n. 5

    I dati circa la provenienza ultima del cosiddetto epitafioamidense sono ancora parzialmente inverificabili. Giandome-nico Spinola, attingendo allinventario del Museo Lateranense(sezione Lapidario Cristiano), n. 275, notula datata al 10 di-cembre 1929 (e verosimilmente attribuibile allarcheologoOrazio Marucchi, o ad un suo stretto collaboratore), la dicerinvenuta nel 1858 e donata dallArcivescovo di Damasco Cle-mente David ovvero Giuseppe David (Yu \suf Da\wud [Dau\d],Mossul 1829-Damasco 1890) nel 1889 (forse passata per ilMuseo Borgiano di Propaganda Fide). Ove per vero la reperi-sce a colpo sicuro Ignazio Guidi (1844-1935), che ne scrive nel1896 e che afferma inoltre quel reperto provenire da una chie-sa di Diyarbakr (lantica Amida).

    Lepigrafe scritta sopra una tegola, intonacata con una sot-tile sinopia di calce. Quel manufatto laterizio, ricavato da materia-le di spoglio, fu probabilmente adibito a chiusura di una sepolturaparietale. Il testo vergato in inchiostro nero da mano semi-culta.

    Liscrizione, perhaps the first Christian Epitaph in Syriac(nel giudizio di Andrew Palmer), datata al 9 di e\lu\l dellanno1071 di Alessandro (o dei Seleucidi), corrispondente al 9 di set-tembre dellanno giuliano 759 principiando lanno seleucidecol mese di ottobre. Vi si legge della dipartita da questo mondodi tal Maryam, figlia di Lazzaro figlio di Petronio, nonch figlia diPatricia (Patri \qya\) figlia di Candidato (Qandi \[da]t>us). Lono-mastica latina in bocca aramaica non deve stupire: la dedican-te si dichiara originaria di Dara, ovvero lAnastasiopoli bizanti-na (il cui sito archeologico oggi contiguo al villaggio turco diOguz, a met strada fra Mardin e Nisibi), ove da secoli risiede-vano i discendenti di unantica guarnigione romanizzata, postaa difesa della frontiera romano-sasanide. Il caso vuole che luni-ca iscrizione greca nota proveniente da Dara si tratta in realtdi una bilingue greco-aramaica, databile al II secolo d.C., oggiconservata presso lArkeoloji Mzesi di Diyarbakr segnalatada ultimo nel repertorio delle Iscrizioni dello Estremo OrienteGreco (per cura di Filippo Canali de Rossi), rimandi a un milieudi evidente ascendenza latina: Il dedicante, Antonius Domitia-nus, era forse un nativo ritornato a casa dopo anni di serviziomilitare, fornito di nome e cittadinanza romana [].

    Delio Vania Proverbio

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    Tur AbdinLa montagna degli adoratori

    Crocevia di popoli, culture e religioni, lungo le linee di con-fine dei grandi imperi dellantichit, il Tur Abdin, un altipianosituato ai confini sud-orientali dellattuale Turchia, conside-rato il cuore storico del cristianesimo siriaco. come incasto-nato fra le due citt che furono i centri principali di irradiazio-ne di questa antica tradizione cristiana. A ovest, Edessa (oggiSanliurfa), centro propulsore di quel cristianesimo che ne as-sunse la lingua vale a dire quella variet di aramaico notacon il nome di siriaco dando vita a una nuova e fecondissi-ma espressione di cristianesimo semitico. A sud, Nisibi (oggiNusaybin), prima sede della scuola teologica diretta da san-tEfrem, divenuta in seguito la prestigiosa accademia dellaChiesa dei Persiani.

    Alle spalle delle due grandi e fertili citt della pianura, unentroterra montagnoso e recondito, costellato di piccole citta-dine, villaggi e insediamenti monastici, dai quali laltipianoprende il nome: Tur Abdin (montagna degli adoratori) con ilmonte Izla (o Izlo, nella pronuncia siro-occidentale), nella suaparte pi meridionale, sulle cui pendici fiorirono due dei pi il-lustri insediamenti monastici siriaci: quello di Mar Awgin, chedetiene il primato dellantichit (IV secolo), e quello di MarAbraham di Kashkar (586), al quale da ascrivere la riformamonastica di pi ampio respiro che la tradizione siriaca abbiamai conosciuto. Fino alle distruzioni del XIV secolo, per manodelle orde di Tamerlano, larea contava poco meno di un centi-naio di centri monastici. Molti di questi centri sono ancor oggivisibili, in rovina o appena restaurati. Alcuni sono ancora abita-ti da pochi, ma alacri, monaci e monache: Mor Gabriel, DeirZafaran, Mor Yaqub e Mor Malke.

    La collocazione di questo lembo di terra, luogo reconditoma appena a ridosso di grandi vie di comunicazione e di lineedi frontiera, ne ha fatto uno spazio di incontro e di scontro fraculture, popoli, religioni o anche espressioni di una medesimafede (confessioni cristiane diverse) che ne hanno forgiato quelvolto particolarissimo, ancora oggi ricco e assai peculiare.

    Sabino Chial, monaco di Bose

    Complesso monasticorupestre disteso amonte del monastero di Deir Zafaran, a pochichilometri da Mardin.Tur Abdin, Turchia sud-orientale

    Monastero di Mar Awgin,fondato secondo latradizione allinizio del IVsecolo d.C. Scorcio dellacappella dedicata a SantaMaria. Tur Abdin, Turchiasud-orientale

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  • Ctesifonte

    Dopo la conquista della Mesopotamia (141 a.C.) i sovraniarsacidi scelgono come nuova sede un villaggio sulla rivaorientale del fiume Tigri, di fronte alla capitale ellenisticaSeleucia. Esso diviene presto importante centro ammini-strativo della Babilonia e terminale del commercio attraver-so il Golfo Persico e lungo la Via della Seta. Citt reale deiParti, Ctesifonte continuer a fiorire, nonostante le ripetuteincursioni romane, fino alla caduta della dinastia arsacide.Sotto i successivi sovrani sasanidi, qui incoronati a partireda Ardashir I (226 d.C.), mantiene il suo status di capitaledinverno fino alla conquista araba. Le ricerche topografichee gli scavi intrapresi nellarea dallinizio del secolo scorso daspedizioni tedesche, americane, italiane, irachene limitatise paragonati allimmensa estensione delle rovine nonhanno ancora permesso di comprendere a pieno la com-plessit di questarea metropolitana, chiamata dagli Arabial-Mada \in (le citt). Rimane incerta la stessa localizzazionedella Ctesifonte partica, sotto la citt circolare di Kokhe o inunarea limitrofa.

    Pi ricche le informazioni sulla capitale sasanide che con-sta di agglomerati distinti lungo le rive del Tigri. Nel 230 Arda-shir I fonda la bella Veh Ardashir (Kokhe) cinta da massiccemura in crudo a torri semicircolari. Gli scavi italiani riportaro-no alla luce i quartieri artigianali sud-ovest con isolati irrego-lari e vie sulle quali si affacciano botteghe. Nelle case piestese il nucleo consta di un cortile o di un iva\n affacciato sudi uno spazio aperto rettangolare. Ancora allepoca sasanidesi attribuisce un edificio in mattoni cotti, interpretato comechiesa, con tre absidi e navate decorate da stucchi.

    Il cuore della Ctesifonte sasanide era il monumentaleTaq-i Kisra (arco di Cosroe), verosimilmente eretto da CosroeI (531-578). Oggi rimane met della sua facciata a nicchie esemipilastri, ai lati del poderoso iva\n con gigantesca volta se-miellittica di 37 metri di altezza: era la sala del trono, un tem-po splendente di mosaici e tappeti, aperta sul cortile centraledi un enorme complesso cui appartenevano anche bagni egrandi aule adorne di stucchi con motivi geometrici, scene

    venatorie, busti reali. Nellarea a nord (Umm Zatir, Maridh)sorgevano le residenze signorili, decorate da stucchi e pittu-re, con il settore monumentale incentrato sulliva\n.

    Dopo la conquista araba la citt non fu abbandonata, an-che se le fonti ricordano lo smantellamento della reggia e ilriutilizzo dei mattoni cotti nella costruzione della nuova capi-tale Baghdad.

    Carlo Lippolis

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    1226-1227: i Mongoliconquistano Tifl \s

    I Mongoli conquistano Tifl \s (1226-1227)Cartaceo; h. 22,5 x 16,6 cmAlqo \s] (nei pressi del Monastero di Rabban Ho\rmi \zd, Iraq), 1820Biblioteca Apostolica Vaticana, Citt del Vaticano, Vat. sir. 653In mostra, n. 6

    tale della Georgia) nel 623 dellgira (febbraio 1226 - febbraio1227). Di questo inno (inedito) il ms. Vat. sir. 653 sembra es-sere lunico testimone noto.

    Ff. 213r-218v: I Mongoli, provenienti da Arbela, saccheg-giano Qaramleyss (villaggio oggi prevalentemente caldeo aest di Mossul, in piena Ba\ Nu\hadra) nellanno 1547 di Ales-sandro (ottobre 1235 - ottobre 1236).

    Delio Vania Proverbio

    Come si evince dalla lettura del colofone f. 190v: []Questo libro giunge ora al suo compimento nel mese bene-detto di iyya \r [maggio], il giorno 15, feria secunda, nellanno2132 dei greci, (corrispondente all) anno 1820 di Nostro Signo-re, (corrispondente all) anno 1235 degli arabi. stato scrittonel borgo benedetto di Alqo\s], villaggio del profeta Nah>u\m, si-tuato nei pressi del monastero di Rabban Ho\rmi \zd il Persiano[] il presente codice proviene dal cuore stesso della Meso-potamia nestoriana (e poi caldea): il ridente villaggio di Alqo\s],adagiato sui primi contrafforti della Montagna Bianca(G]abal al-Abyad>) limine settentrionale della piana di Ninive,prossimo alla frontiera storica fra Bizantini e Sasanidi algiorno doggi lultimo baluardo interamente cristiano in terracurda. Sovrastato dal celeberrimo monastero di RabbanHo\rmi \zd (fondato nel VII secolo) e con questultimo sede delPatriarca nestoriano fra il 1554 e il 1804, stato il pi impor-tante centro di copia e diffusione del libro manoscritto pressola Chiesa caldea.

    Lerudito vescovo Addai Scher (Adday S] i \r, 1867-1915), ti-tolare della diocesi caldea di Siirt (nella Turchia sud-orientale,a met strada fra il T>ur Abdi \n e il lago Van), lo reper e com-puls presso la biblioteca della Chiesa di Ma\r I \s]o\yab in Mos-sul. Gli eccidi anticristiani perpetrati in Anatolia sullo scorciodel secolo XIX e i primi lustri del XX (lo stesso Scher per permano curda nel giugno del 1915), e i torbidi che ne seguirono,non hanno tuttavia impedito la sopravvivenza di quel mano-scritto, pervenuto nel sicuro usbergo della Biblioteca Vatica-na. Esso, per lemblematicit della sua vicenda e per i testiche veicola, autorevole testimone di antiche e meno antichedevastazioni, in quel crocevia di popoli e confessioni che fu laBa \ Nu\hadra, la piana di Ninive.

    Fra i testi di cui latore, si segnala un plesso di componi-menti poetici dellinnografo nestoriano G \warg \s Wa\rda\ (seco-lo XIII), originario di Arbela (lodierna Erbil, capitale del Kurdistaniraqeno), che fu testimone oculare dellinvasione mongola.

    Ff. 95r-98v: I Mongoli invadono il Be\t _Garma\y (la transpo-tamia irachena fra Tigri e Piccolo Zab, ai confini con la Persia)nellanno 1536 di Alessandro (ottobre 1224 - ottobre 1225).

    Ff. 98v-103r: I Mongoli conquistano Tifl \s (lodierna capi-

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    Mappa schematicadellarea di Al-Mada \in,con la localizzazione delle diverse citt fondatein epoca antica

    La grande voltasulliva \n centrale,Taq Kisra

  • Taq-e Bostan

    Posto nellIran occidentale lungo la principale direttriceche collegava la Mesopotamia allAsia centrale, Taq-e Bostancostituisce uno dei pochi siti al di fuori del Fars in cui i Sasani-di abbiano lasciato dei rilievi rupestri. Si tratta di un luogosimbolo della regalit sasanide e insieme attestazione dellaeleganza delle seterie persiane.

    Tre sono i complessi di rilievi, che utilizzano una pareterocciosa dalla quale scaturisce una fonte.

    Il pi antico un rilievo della fine del IV secolo d.C. cheraffigura Ardashir II che riceve lanello simbolo della FortunaRegale da un personaggio identificabile con il re Shapur II ocon la divinit Ohrmazd. Sotto i piedi dei due disteso un ter-zo personaggio, forse limperatore romano Giuliano, mentre ildio Mithra alle spalle del re.

    A ovest di tale rilievo scavato un piccolo iva\n, ovvero unambiente coperto con volta a botte e completamente apertosu un lato. Nella parete di fondo sono raffigurati in rilievo fian-co a fianco i due re Shapur II e Shapur III, identificati da unaiscrizione in medio-persiano.

    Allestremit occidentale della falesia un grande iva\n rupe-stre che presenta una decorazione sia allinterno sia sulla fac-ciata esterna e costituisce una testimonianza dellarchitetturaufficiale sasanide. La facciata presenta una decorazione a rilievobasso in cui lispirazione bizantina traspare nelle lesene a motivivegetali e nelle due vittorie alate che convergono verso il som-mo dellarco delliva\n, mentre il coronamento superiore ripete ilmotivo di tradizione iranica dei merli a gradoni. Le due pareti la-terali dellambiente presentano ciascuna un pannello decorato arilievo basso con scene di caccia, rispettivamente al cervo e alcinghiale. Si tratta della riproduzione in pietra delle pitture chenei palazzi abbellivano i luoghi di rappresentanza, in origine rico-perte di colori vivaci al pari di quelli visibili su un rilievo aggiuntoin epoca Qajar (XVIII secolo). La parete di fondo dellambientepresenta invece due veri e propri rilievi scultorei con figure di-sposte su due registri. In basso una maestosa statua di cava-liere con elmo che copre il volto e lunga lancia, montato su uncavallo dal ricco paludamento, visto di tre quarti/profilo a de-

    Taq-e Bostan, GrandeIva \n, pannello a rilievosulla parete di destra:scena di caccia reale al cervo, VII secolo d.C.

    Taq-e Bostan, GrandeIva \n, rilievo sasanide sulla parete di fondo: il re Cosroe II (?) ricevelinvestitura dalledivinit Ohrmazd e Ana\hid, VII secolo d.C.

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    Le monete: a immagine della regalit sasanide

    1. Drahm, Shapur I (240-270/72)Argento; g 4,00Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 1957In mostra, n. 16

    2. Drahm, Peroz I (459-484)Argento; g 4,38Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 844In mostra, n. 18

    3. Drahm, Cosroe II (590-628)Argento; g 4,15Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 493In mostra, n. 22

    grande importanza ebbe la dracma in argento, unit di riferi-mento. La principale innovazione si osserva nella caratteristi-ca forma piatta e sottile del tondello, forma che si accentusotto Cosroe I (531-579).

    Limmagine e liscrizione sulle monete comunicano lessen-za della regalit sasanide e lo stretto rapporto tra stato e chiesa.Il repertorio iconografico reca usualmente sul dritto il busto delre volto a destra e sul rovescio un altare del fuoco zoroastrianoaffiancato, a partire da Shapur I (240-270/72), da due figurestanti. Lo khwarnah, uno dei simboli della gloria reale, espres-so dalle elaborate corone, identificative di ciascun sovrano,composte da un diadema arricchito da elementi teofori associa-ti alla religione zoroastriana, da un copricapo e dal korymbos, al-ta acconciatura di capelli coperta da un drappo di tessuto.

    Sul rovescio la rappresentazione dellaltare su cui arde ilfuoco sacro continua la tradizione achemenide poi conserva-tasi nella monetazione dei re del Fars.

    A partire da Kavad I (484, 488-496, 499-531 d.C.) docu-mentata laggiunta di simboli astrali (sole, crescente lunare estella), uso che continuer nelle serie arabo-sasanidi.

    Tutte le leggende sono in medio-persiano. Lo schema ge-nerale reca nel III secolo sul dritto il nome del re, presentato co-me mazdeo, inizialmente Re dei Re dellIran poi Re dei RedellIran e del non-Iran. A partire dal V secolo la legenda si ri-durr al nome del re associato a epiteti diversi riferiti, general-mente, allaccrescimento dello Splendore regale (khwarnah).Le leggende sul rovescio recano il nome del re con lespressio-ne per a\dur, il fuoco sacro, a volte con lindicazione abbrevia-ta della zecca, che diverr canonica solo con Peroz I (457/459-84), e a partire da Kavad I con lanno di regno del sovrano.

    Paola Piacentini

    I Sasanidi ereditarono dai Parti il sistema ponderale attico,introdotto in Oriente da Alessandro Magno. Il sistema era basa-to sulla dracma (drahm) in argento di circa 4 g: tale valore fumantenuto pressoch invariato nel peso e nel titolo fino alle ulti-me coniazioni, favorendo la diffusione fino in Cina e la fama in-ternazionale. Vennero anche coniati lemidracma, lobolo e la te-tradracma o statere come unit di peso superiore alla dracma.

    La prima grande riforma del sistema monetario, che ri-flette sul piano ideologico il nuovo assetto politico ma anchelesigenza di una rivitalizzazione del sistema monetale eredi-tato dai Parti, risale ad Ardashir I (224-239/40). Se durante ilsuo regno vennero battute, probabilmente come emissionispeciali, anche monete in oro (de\na \r), sconosciute al sistemamonetario partico ma note nel mondo romano (aureus),

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    stra. Al di sopra, su una sorta di baldacchino sorretto da semico-lonne con capitelli a decorazione vegetale, una scena di inve-stitura divina: al centro e in dimensioni maggiori il re, che lacomplessa corona suggerisce di identificare con Cosroe II o conArdashir III (VII secolo d.C.), riceve dal dio Ohrmazd alla sua sini-stra lanello vittato simbolo della Fortuna Regale, mentre allasua destra la dea Anahid lo benedice porgendogli un secondoanello vittato e versando acqua da una brocca. Sorprendono laplasticit del rilievo e la morbidezza del modellato, che si avvici-nano a una resa naturalistica come mai prima di allora nel rilievosasanide. I panneggi sono voluminosi e morbidi e recano in det-taglio sottile i motivi decorativi dei tessuti, al punto da costituireuna delle migliori testimonianze dellarte tessile sasanide.

    Pierfrancesco Callieri

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    uniformare i fondinigrigi

  • Merv

    La citt di Merv fu nellantichit uno dei pi importantipunti di scambio culturale e politico, nonch luogo dimmensovalore strategico lungo la Via della Seta nel cuore del desertodel Karakum. Sorge presso lattuale centro urbano di Bayram-Ali, nel vasto conoide alluvionale del fiume Murghab nel Tur-kmenistan meridionale. I suoi resti sorgono ancora maestosi amuta testimonianza dellantico splendore e compongono lequattro successivi fasi edilizie senza soluzione di continuit aformare uno dei pi grandi comprensori archeologici del mon-do: la cittadella pre-achemenide di Erk Kala; la citt bassa diGyaur Kala, che costituisce la metropoli ellenistica e sasanide;la citt abbaside/selgiuchide di Sultan Kala, a ovest del prece-dente insediamento di Merv; il pi piccolo centro timuride diAbdullah Khan Kala, eretto poco pi a sud. Dal 1999 Merv parte del patrimonio dellumanit dellUNESCO.

    Nel XII secolo la citt raggiunse la sua massima espan-sione. Capitale del mondo iranico orientale, fu chiamata ma-dre del mondo dai geografi arabi. Nel 1221 fu invasa da ToluiKhan, figlio di Gengis Khan capo dei Mongoli, e inizi la suadecadenza. Nel 1380 Merv fu inclusa nei possedimenti di Ta-merlano, fondatore della dinastia timuride, e nel 1787 venneconquistata dallemiro di Bukhara, che sette anni dopo la ra-se ancora al suolo e ridusse la sua antica grandezza a unalanda desolata. Nel 1883 Merv sub loccupazione russa chene stravolse lassetto originario.

    Nellantichit loasi di Merv era rinomata in tutto lOrienteper la sua fertilit, dove venivano coltivati cereali e frutta inabbondanza, come anche riso e cotone. Testimonianze ar-cheologiche attestano inoltre lallevamento dei bachi da seta.Essendo situata in una regione irrigua al centro del deserto,Merv era un punto di sosta naturale per i viaggiatori che dal-lIran si dirigevano verso lAsia centrale. Merv era alla con-giunzione dei due principali tratti della Via della Seta: quellanordovest-sudest verso Herat e Balkh (fino allIndo e oltre) equella sudovest-nordest da Tus e Nishapur fino a Bukhara eSamarcanda.

    Barbara Cerasetti

    La fortezza di Kiz KalaGrande, Merv(Turkmenistan)

    Samarcanda

    Alla base del glorioso passato di Samarcanda sono senzadubbio gli splendidi monumenti dellet Timuride, che ancoraoggi, pur se pesantemente restaurati, stupiscono per lo splen-dore dellarchitettura e delle sue decorazioni. Poco si sa invecedella Maracanda di Alessandro Magno, una delle citt pi im-portanti e affascinanti dellintera Asia centrale, meglio cono-sciuta come Afrasiab dal nome del famoso eroe dellepos ira-nico, e che oggi si presenta come unenorme distesa di argillacruda di oltre 200 ettari a nord-est dellattuale centro urbano.Questo luogo stato per secoli il cuore pulsante degli scambicommerciali tra Oriente e Occidente, sopravvivendo alla con-quista araba dellVIII secolo ma non a quella, ben pi deva-stante, delle truppe mongole di Gengis Khan nel 1220.

    Famosa fin dallantichit come crocevia dei commerci tralAsia e il Mediterraneo, Samarcanda era, ed tuttora, riccasoprattutto per lagricoltura: le condizioni climatiche, lab-bondanza di acqua e il suolo fertile rendono infatti questareauna delle pi produttive dellAsia centrale e di tutto il mondoantico. Lo sviluppo dellagricoltura nelle pianure alluvionalilungo il medio corso dello Zeravshan e lallevamento nellasteppa circostante creano una base economica e sociale cheha nei ba\zar della citt e dei villaggi sparsi nel territorio il co-mune denominatore e punto dincontro tra il mondo degliagricoltori sedentari della pianura e quello dei nomadi alleva-tori della steppa.

    La storia di Samarcanda oggi integrata dallo studio del-le molteplici relazioni che legano il grande centro con il suoentroterra; cos ad esempio avviene per le ricerche avviatedallUniversit di Bologna e dallIstituto Italiano per lAfrica elOriente in collaborazione con lIstituto di Archeologia del-lAccademia delle Scienze dellUzbekistan, che hanno illumi-nato le dinamiche insediamentali e le trasformazioni avvenu-te nel corso dei secoli nelloasi di Samarcanda.

    Nellarea di Samarcanda sono stati censiti oltre mille sitiarcheologici, la maggior parte dei quali databili ai periodi ku-shana (II secolo a.C. - II secolo d.C.) e sogdiano-altomedieva-le (V-VIII secolo d.C.), nei quali lintenso sfruttamento agrico-

    lo era reso possibile da una fitta rete di canali per lirrigazio-ne, primo tra tutti il canale Dargom.

    In base alla localizzazione dei siti e alla loro divisione cro-nologica, inoltre possibile ipotizzare che vi fossero due prin-cipali rotte locali della Via della Seta che collegavano il medioZeravshan con la valle del Kashkadarya a sud.

    Simone Mantellini

    Ricostruzione dellacitt di Samarcanda(Uzbekistan) risalente al 1449, fine della dinastiaTimuride (G. Albertini e A. Augenti, 2001)

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  • 107106

    Samarcanda: la piazzadel Registan, cuore dellacitt medievale.Da sinistra a destra: la madrasa di Ulugh Beg,la madrasa di Tilla-Kari e la madrasa di Sher-Dor

  • Ghazni

    La citt di Ghazni, nellAfghanistan centro-orientale, conlavvento della dinastia dei Ghaznavidi, alla fine del X secolo,divenne una delle pi ricche citt dellAsia, importante capitaledi un regno che, sotto Mahmud, si estendeva dallIran centro-settentrionale allIndia nord-occidentale. Durante i circa duesecoli di regno di questa dinastia la citt, dominata da unim-ponente cittadella, rappresent un importante centro di cultu-ra e commerci. Le fonti ci informano sulla fervente attivit ar-chitettonica promossa dai Ghaznavidi e forniscono dettagliatedescrizioni di palazzi sultaniali, moschee la pi celebre dellequali ricordata con il nome di Sposa del Cielo scuole cora-niche, biblioteche, acquedotti e giardini, di cui si ricorda so-prattutto il Giardino di Smeraldo.

    Nel 1149 un violento incendio provocato da un potente sul-tano del Ghur distrusse la citt, che fu ricostruita e scelta co-me propria capitale da uno dei suoi successori, Muizz al-din.La definitiva devastazione della citt data invece al 1221, con ilpassaggio delle orde mongole.

    Oggi, dellantico splendore della Ghazni di epoca ghazna-vide restano solo scarsissime testimonianze: il fusto inferiorea sezione stellare di due minareti in laterizio e alcune tombe inmarmo di cui le pi famose, nonch le pi antiche, apparten-gono a Sebuktekin fondatore della dinastia ghaznavide(morto nel 997) e a suo figlio Mahmud (morto nel 1030). Leiscrizioni dei due minareti celebrano, rispettivamente, i sultaniMasu\d III (morto nel 1115) e suo figlio Bahram Shah. Gli scavicondotti dalla Missione Archeologica Italiana dellIsMEO in Af-ghanistan tra il 1957 e il 1962 hanno portato alla luce i resti diun palazzo sultaniale tardo-ghaznavide (1112) e una dimora didignitari di corte (la casa dei lustri, fine XII-inizi XIII secolo),entrambi costruiti in mattone crudo. Il palazzo, attribuito alsultano Masu \d III, aveva un impianto tipicamente iranico conquattro iva\n disposti assialmente intorno a unampia corterettangolare (42 x 20 m); liva\n meridionale consentiva lac-cesso alla sala del trono cupolata, accanto alla quale eranoubicati gli appartamenti privati. Una sala di preghiera ipostilaoccupava larea nord-occidentale. La decorazione di questo

    palazzo era sontuosa, affidata al marmo soprattutto per lazoccolatura dei muri e a grandi pannelli in laterizio scolpito,spesso arricchiti con inserti in stucco. Tutti gli elementi di de-corazione architettonica erano in origine dipinti in policromia.

    La Missione italiana condusse numerose prospezioni nel-lintera area della citt dove furono rinvenuti mausolei (ziyarat),tombe e molti elementi di decorazione architettonica, unici su-perstiti, questi ultimi, degli antichi monumenti ghaznavidi eghuridi. Gli archeologi italiani studiarono anche il passato prei-slamico della citt, portando alla luce a Tapa Sardar un impor-tante santuario buddhista (II-IX secolo d.C.).

    Roberta Giunta

    Ghazni: Minareto di Masu\d III

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    Impronte di sigillo: le cretule di Kafir Kala (Sogdiana)

    1. Cretula con impronta di sigillo ovale recante busto maschile di profilo a destraTerra cruda; h. 2,3 x 1,8 cmSigillo: Battriana; III-IV secolo

    2. Cretula con impronta di sigillo circolare recante busto regale di fronteTerra cruda; h. 3,7 x 3,7 cmSigillo: Battriana; IV-V secolo

    3. Cretula con impronta di sigillo ovale recante due cervidi di profilo a destraTerra cruda; h. 2,5 x 2 cmSigillo: Iran orientale; VI-VII (?)

    Istituto di Archeologia, SamarcandaScavi della Missione archeologica italo-uzbeka

    La fase principale di epoca sogdiana-altomedievale vieneseguita da una fase successiva di epoca islamica (VIII-X secolod.C.). Da questi scavi proviene leccezionale rinvenimento dioltre 500 cretule, piccoli grumi di argilla cruda utilizzati per si-gillare documenti amministrativi e corrispondenze private erecanti le impronte dei sigilli che vi erano stati impressi. Lecretule erano sparse su un pavimento, databile dai frammenticeramici al VII secolo d.C., coperto da uno spesso strato di tra-vi lignee bruciate, cenere e carboni, interpretabile come il ri-sultato di un evento traumatico, forse un incendio avvenutodurante la conquista araba di Samarcanda nel 712 d.C. Le cre-tule portano impronte di sigilli diversi tra loro per iconografia estile, appartenenti ad un arco cronologico di lunga durata, benanteriore al contesto di rinvenimento: il nucleo pi abbondan-te di impronte porta sigillature di principi nomadi databili tra ilIV ed il VI secolo d.C.

    La presenza di un numero cos cospicuo di cretule indicala presenza di un importante archivio amministrativo, e diconseguenza un ruolo di primo piano per Kafir Kala nel pano-rama politico-sociale della Samarcanda altomedievale, damettere in relazione sia con il controllo delle rotte locali dellaVia della Seta lungo lasse sud-nord, sia allo sfruttamentoagricolo del comparto meridionale delloasi di Samarcandaampiamente irrigato dal Dargom.

    Simone Mantellini

    Il complesso archeologico di Kafir Kala (dallarabo for-tezza degli infedeli) uno dei monumenti storico-archeolo-gici pi importanti della regione di Samarcanda, che si esten-de per oltre 20 ettari sulla sponda sinistra del Dargom, 11,5chilometri a sud-est di Afrasiab.

    Linsediamento di Kafir Kala risulta articolato in diverseparti: al centro si trova la cittadella, circondata da un fossatoche la separa dal quartiere residenziale (shahristan); ad ovest,un secondo fossato separa lo shahristan da quello che vienecomunemente considerato il rabat, ovvero la sede delle trup-pe militari predisposte al controllo dellinsediamento. A suddel complesso, allesterno delle mura, si trovava una grandenecropoli mentre ad est vi era un importante quartiere artigia-nale con numerose fornaci per la produzione ceramica. I primiscavi sistematici risalgono agli inizi degli anni novanta e prose-guono tuttora ad opera di una missione italo-uzbeka, concen-trati nel torrione dellangolo nord-ovest: qui sono venuti allaluce strutture architettoniche e reperti di eccezionale valore,come calzari in pelle, stoviglie e posate in legno, frammenti diceramica e di stucchi decorati.

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  • Una traccia del Palazzo di Masu\d III, sultano di Ghazni

    Lastra di zoccolaturaMarmo; h 73,5 x 57 cmGhazni (Afghanistan), palazzo di Masu\d III (1099-1115)Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 8414Scavi Missione archeologica italiana dellIsMEO, deposito IsIAOIn mostra, n. 34

    La lapide proviene da Ghazni in Afghanistan, dal palazzodel sultano ghaznavide Masu\d III (1099-1115), portato alla lu-ce dalla missione archeologica italiana dellIsMEO negli anni1957-1968. La lastra faceva parte della zoccolatura in marmoscolpito di una delle profonde nicchie che circondano i quat-tro lati del cortile centrale del palazzo. Era collocata di frontealla nicchia XXI della facciata meridionale del cortile il cui iva\ncentrale dava accesso alla sala del trono.

    Il pannello suddiviso in tre fasce orizzontali in cui sicombinano in modo esemplare tre elementi cardini dellarteislamica: configurazioni geometriche, arabesco (elementi ve-getali stilizzati) e calligrafia. La fascia centrale decorata conun motivo di derivazione architettonica che consiste in dueserie di archi trilobati che sintersecano racchiudendo tralcidi palmette bilobate e trilobate disposte in maniera specula-re. Mentre nel registro inferiore si sviluppano due tralci in-trecciati con foglie arabescate, in quello superiore troviamouna superba calligrafia eseguita in cufico fiorito. Liscrizionedel pannello in lingua araba e riporta la professione di fedeBi-smi lla\hi ar-Rahma\ni ar-Rahi \mi (Nel nome di Dio, Clemen-te, Misericordioso), la formula con cui si aprono le sure del Co-rano e tutti i testi islamici pi importanti. In passato si ritenutoerroneamente che questa iscrizione abbia fatto parte del testo,lungo c. 250 m, che si dipanava lungo le quattro facciate del cor-tile, con un poema in lode ai sultani ghaznavidi ed alla magnifi-cenza del palazzo stesso. Le dimensioni differenti delle lastreche riportano il poema smentiscono per tale supposizione.

    Manca purtroppo il quarto importante elemento dellarteislamica: il colore. La ricca policromia che completava il pan-nello , infatti, andata persa. Sappiamo per, dalle minutetracce di colore rimaste qua e l su altre lastre della stessadecorazione, che il pigmento usato per le iscrizioni era blu dilapislazzuli, mentre il fondo che circondava le lettere era dicolor carminio. Secondo U. Scerrato si trattava di bolo rosso,usato come preparazione per ricevere la doratura, in mododa ottenere un aspetto somigliante a un manoscritto.

    Michael Jung

    Ispirandosi ai vasai di Nicea,lodierna Iznik

    Piatto (tondino)Maiolica; diam. 25,5 cmIznik (Turchia); secondo quarto XVI secolo d.C.Museo Nazionale del Bargello, Firenze, inv. 2066 MaiolicheIn mostra, n. 46

    Il motivo che occupa il centro e la testa, ripetendosi conregolare sequenza, si dispone con svolgimento spiraliformein sottili tralci fitomorfi pervasi da minute foglie e fiori in mo-nocromia azzurra sul bianco candido dello smalto.

    Lorigine del motivo, in passato ricondotto al CornodOro, stato recentemente riconosciuta nellantica citt diNicea, lodierna Iznik, ovvero il centro pi importante per laproduzione vascolare turca fra XV e XVII secolo. Ad oggi luni-co esemplare datato del gruppo una bottiglia conservata alBritish Museum che riporta la data 1529.

    stato quindi proposto di definire la tipologia come stile aspirale, o tughrakesh, per sottolineare il puntuale confrontocon la cifra del Sultano utilizzata per siglare gli editti; si ipotiz-za che proprio il tughra di Solimano I il Magnifico (r. 1520-66)abbia fornito il modello ai vasai.

    In effetti per il motivo fitomorfo a spirale si riscontra ancheprecedentemente quale elemento decorativo su preziose stoffe,come per esempio lo scialle che avvolge le spalle del SultanoHusayn Mirza nella pagina dipinta di un album di fine XV-inizioXVI secolo (Harvard Univerity Art Museum, inv. 1958-59).

    Indubbi sono i rimandi agli schemi decorativi delle porcel-lane cinesi del XV secolo prodotte espressamente per i mer-cati islamici, confermati dai piatti di Iznik della fine XV-inizioXVI secolo che riprendono in modo puntuale i motivi cinesi inblue and white.

    Questa classe ceramica fu molto apprezzata anche in Ita-lia, come testimoniano un piatto conservato al Museo dArteMedievale e Moderna di Arezzo e una brocca del Museo Civi-co di Bologna.

    Degna di nota la stretta relazione fra la morfologia diquesto piatto e la coeva produzione dellItalia centro-setten-trionale, dove il tondino la forma pi utilizzata per le maioli-che figurate dagli inizi del Cinquecento e per buona met delsecolo, che sembra aver influenzato la produzione ottomana.

    Ma verso la met del Cinquecento sono i vasai di Genovae Venezia a imitare i prodotti di Iznik, adottando il naturali-smo calligrafico di gusto orientale per simulare i raffinati pro-dotti dimportazione.

    Marino Marini

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  • Swat

    Al viaggiatore che arrivi nello Swat, nellodierno Pakistannord-occidentale, si offrir un paesaggio luminoso, aperto, incui bellezza della natura e piacevolezza del clima formanouna cosa sola con la storia. La profusione di resti archeologiciraccontano un passato culturale ricco e complesso: i legamicon la civilt dellIndo e il passaggio di genti saka nella proto-storia; leffimera conquista di Alessandro Magno nel 327 a.C.;lentrata nellorbita dellimpero Maurya nel III secolo a.C., deiSaka-Parti nel I secolo a.C., e via via dei Kushana, dei Sasani-di, degli Eftaliti, degli Shahi; insieme, la grande ondata diespansione del buddhismo a partire dal III secolo a.C. con iMaurya; la penetrazione, o la risorgenza, di culti brahmaniciin epoca tardo-antica; la conquista islamica dei Ghaznavidiallinizio dellXI secolo e, infine, la completa adesione allIslamtra il XV e il XVI secolo con larrivo delle popolazioni pashtun,che costituiscono la maggior parte dellodierna popolazione.

    Il panorama di oggi somiglia ancora a quello di cui leggia-mo in fonti antiche, siano esse indiane, greche, cinesi, tibeta-ne. Lantico nome della regione, Uddiyana, significa del restogiardino, e cos lo Swat doveva apparire, un giardino, a chiarrivasse dalle aspre montagne del Nord o dalle assolate pia-nure del Sud. In molti, specie in epoca pre-medievale, passa-vano attraverso lo Swat, che costituiva non soltanto uno deipi importanti corridoi di comunicazione tra lIndia, lAfghani-stan, il Tibet e la Cina, ma era anche noto come una delle piimportanti terre sacre del buddhismo.

    La ricchezza dello Swat ha sempre gravitato intorno aquesti due poli, luno di carattere economico, collegato allevie di comunicazione e ai grandi traffici commerciali, laltro(sia pure non scindibile dal primo) di carattere religioso. Se ilegami della regione con le origini del buddhismo sono fittizi,creati a posteriori da una letteratura agiografica che ambien-tava nello Swat episodi miracolosi ed edificanti della vita delBuddha storico, lo splendore e la quantit delle sue fondazio-ni religiose e della loro decorazione scultorea e pittorica (que-stultima in gran parte perduta) dovevano ampiamente ali-mentarne la fama.

    Tuttavia, la storia culturale dello Swat non si esaurisce inquesto aspetto. Altri orizzonti economici, religiosi e culturali siriferiscono a genti dardiche, le stesse che opposero fiera resi-stenza contro linvasione macedone del 327 a.C. e che conti-nuarono, spesso nei coni dombra delle grandi religioni ufficia-li, a coltivare un sostrato religioso mai sopito, mai completa-mente estirpato n dal buddhismo prima, n dallIslam in se-guito, che oggi sopravvive nelle aree kafire dellHindukush mache ha anche costituito il terreno di coltura per quella forma dibuddhismo magico-esoterico esportato in Tibet nellVIII secolodal grande maestro Padmasambhava, nativo dello Swat.

    Molto di quello che oggi conosciamo dello Swat si devealla ricerca archeologica, che, dopo le prime esplorazioni diSir Marc Aurel Stein, nel 1926, acquist un carattere sistema-tico solo nel 1955, con le ricognizioni di Giuseppe Tucci, e lafondazione nel 1956 della Missione Archeologica dellIstitutoItaliano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO), oggi IsIAO.Da allora la ricerca si svolta con continuit, portando alla lu-ce abitati pre- e protostorici (Katelai, Loebanr, Bir-kot-ghwan-dai, Ghaligai, Gogdara, Aligrama) e di epoca storica (Ude-gram, Barama, Bir-kot-ghwandai), grandi insediamenti reli-giosi buddhisti (Butkara I, Saidu Sharif, Panr), brahmanici(tempio visnuita di Bir-kot-ghwandai), islamici (moscheaghaznavide di Udegram) e un gran numero di monumentirupestri, sia buddhisti (sculture su roccia di epoca tardo-anti-ca), sia riferibili al sostrato dardico/kafiro di cui sopra si dice-va. Tutte queste testimonianze confluiscono nel progetto dimappatura archeologica della valle dello Swat (AMSV),espressione di quel concetto inclusivo di archeologia territo-riale che ha caratterizzato, fin dallesordio, le attivit dellaMissione Archeologica Italiana.

    Anna Filigenzi

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    Swat: larea sacrabuddhistica di SaiduSharif I

    Swat, valle del Jambil:rilievo rupestreraffigurante un Buddha e un Bodhisattva

  • Monete: loro e il bronzo dei Kushana

    1. Doppio d \na\r, Wima Kadphises (110-127?)Oro; g 15,86Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 438In mostra, n. 48

    2. D \na\r, Huvis>ka (150-188?)Oro; g 8,02 Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 439In mostra, n. 51

    3. D \na\r, Va\sudeva I (188-222?)Oro; g 7,96 Museo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 442In mostra, n. 53

    kushana si distinsero anche per la rappresentazione sul rectodel sovrano in abiti centroasiatici e sul verso di una divinit.

    Il gruppo di monete kushana in esposizione comprendeconii in oro e bronzo di Wima Kadphises: sul recto limmagi-ne del re sacrificante dinanzi a un altare o seduto su un bassotrono e sul verso la rappresentazione di S:iva accompagnatodal toro Nandi. Su queste emissioni continua a essere utiliz-zato il modello di legenda monetaria elaborato dai Greci dIn-dia, con liscrizione in greco sul recto e in pracrito sul verso.

    Particolare menzione merita una moneta in oro di Kanis>ka(127-150?), il cui dominio rappresent lapogeo della potenzakushana. Sul recto il sovrano sacrificante dinanzi a un altare esul verso S:iva a quattro braccia, indicato nella iscrizione con ilnome di Oes]o. Il modello di legenda rappresenta una novitintrodotta da Kanis>ka: le iscrizioni sono ora in lingua battriana,scritta con caratteri greci. Deve essere inoltre ricordato che ilpantheon monetario di Kanis>ka molto vario: oltre allindianoS:iva, forse qui assimilato a una divinit iranica del vento, essocomprende deit iraniche, come Nana, Mioro, Mao, Pharro eArdoxs]o, greche come Helios e Selene e infine il Buddha stesso.

    Tra le monete in esposizione figurano inoltre alcune in oro diHuvis>ka (150-188?): sul recto il busto del sovrano, sul versoArdoxs]o, la divinit della fortuna con una cornucopia, o Mao, ladivinit iranica della luna. La monetazione di Huvis>ka segue ilmodello di Kanis>ka, ma si distingue per il busto del re emergen-te da rocce o nuvole tipologia dellepoca di Wima Kadphises.

    Anche Va \sudeva I (188-222?) sceglie di ispirarsi alla mo-netazione di Wima Kadphises: a parte rare eccezioni, come visibile nellesemplare in esposizione lunica divinit raffigu-rata sul verso delle sue monete appare S:iva, qui con il triden-te dinanzi al toro Nandi.

    Laura Giuliano

    La monetazione kushana da un lato il riflesso dellam-biente cosmopolita che caratterizzava i territori di frontiera,dallaltro dellinteresse commerciale e politico manifestatoper il mondo romano.

    Dopo una prima fase testimoniata nel regno di KujulaKadphises (c. 30-80 d.C.), ispirata alla pi antica moneta-zione del Nord-Ovest indiano e in parte alla numismatica ro-mana, Wima Kadphises (110-127) attu una vera e propriariforma monetaria. Ispirandosi probabimente alle emissioniromane, egli adott un modello monetario basato sul bime-tallismo oro/bronzo che sostituiva il bimetallismo argen-to/bronzo di origine greca. La scelta di introdurre loro nellamonetazione era nuova per lIndia e indicava la volont difavorire i traffici internazionali e le relazioni con Roma.

    Da questo momento in poi, inoltre, le monete dei sovrani

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    Buddha che nasce

    Segmento di fregio figurato curvilineo su due registri: nascita del Buddha, oroscopo (?) e scena di offertaScisto verde; h. 18 x 36 cmArte del Gandhara; seconda met I-II secoloSaidu Sharif I (Swat, Pakistan), AS (2), stu\pa 38, lato estMissione archeologica italiana dellIsMEO in Pakistan,inv. S 418; deposito IsIAOMuseo Nazionale dArte Orientale Giuseppe Tucci, Roma, inv. 4107In mostra, n. 59

    cumdeambulazione dello stu\pa. Seguendo questo percorsoprocessionale, il fedele contemplava le varie scene raffigurantigli episodi della vita del Buddha, nel tentativo di ripercorrere nel-lo spazio della propria coscienza il cammino spirituale rappre-sentato dalla vita esemplare del Maestro e con lintento di susci-tare il risveglio attraverso la riproposizione costante del rito.

    Il segmento di fregio figurato esposto, probabilmenteparte della decorazione di uno stu\pa dellarea sacra di SaiduSharif, presenta sul registro inferiore la scena della nascita diSiddha\rtha e una parte di quella delloroscopo (?), separatida una semicolonna con capitello gandharico-corinzio. Lungoil registro superiore una rappresentazione di genere conti-nua, con scena di offerta in cui compaiono personaggi in co-stume centroasiatico. La nascita del Buddha su questo rilievoviene raffigurata ponendo al centro la regina Ma\ya\dev\ in pie-di sotto ad un albero di s :a\la, con la mano destra sollevata astringerne un ramo, sorretta da unancella. Accanto alla don-na rappresentato il dio Indra, re degli dei, con la tiara e le ve-sti principesche, in posizione leggermente reclinata e con lemani portate avanti e coperte da un panno, pronto ad acco-gliere il piccolo Siddha\rtha, visibile per met mentre esce dalfianco destro della madre. Allevento assistono una figuramaschile nel gesto della venerazione e a destra una figurafemminile seduta con lattributo di una palma, identificabilenella dea della citt.

    Laura Giuliano

    Larte del Gandhara , soprattutto durante la prima fasedel suo sviluppo, unarte narrativa. Vi sono raffigurati gli even-ti della vita del Buddha storico e delle sue esistenze anteriori(ja\taka) narrati nelle fonti letterarie buddhistiche o espressio-ne di una parallela tradizione orale.

    Posti generalmente in successione continua a decorare lepareti circolari degli stu\pa, il monumento buddhista destinatoad accogliere le reliquie dellIlluminato, i rilievi costituivano ilsupporto figurativo per la meditazione durante il rito della cir-

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    uniformare i fondinigrigi