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Capitolo XXIXi licenziamenti individuali

Sezione I

dimissioni del lavoratore e risoluzione del rapporto per mutuo consenso

di Michele Piccari

il presente lavoro ha per oggetto il recesso del lavoratore ed il recesso per mutuo consenso. accanto alle tradizionali tematiche connesse alla natura di atto unila-terale recettizio a forma libera (e perciò ad es., i problemi legati all’accertamento dei fatti in giudizio qualora le parti deducano l’una l’estinzione del rapporto per dimissioni per fatti concludenti, l’altra per licenziamento orale), viene posta parti-colare attenzione alle rilevanti novità derivanti dall’introduzione della disciplina in tema di convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale di cui alla legge n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero). tale normativa rappresenta infatti una assoluta novità, per ambito di applicazione ed effetti sul rapporto di lavoro. L’efficacia delle dimissioni o della volontà espressa dal lavoratore nella risoluzione consensuale è infatti condizionata alla convalida delle stesse secondo una delle procedure previ-ste dalla legge n. 92/2012. la procedura prevede una serie di adempimenti a carico delle parti, con conseguenze anche gravose in caso di inosservanza delle dispo-sizioni, ed è inoltre prevista la facoltà di revoca delle dimissioni (o della volontà risolutoria manifestata nella risoluzione consensuale) da parte del lavoratore, con ovvie ricadute, in termini problematici, in tema di inquadramento delle dimissioni quale atto unilaterale recettizio.

RifeRimenti noRmativi: artt. 428, 1335, 1352, 1359, 1360, 1427,1372, 2118, 2119, 2549; legge 10 settembre 2003, n. 276; legge 17 ottobre 2007, n. 188; legge 28 giugno 2012, n. 92; legge 9 agosto 2013, n. 99; d.l. 28 giugno 2013, n. 76; d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

SommaRio: 1. Dimissioni del lavoratore e risoluzione del rapporto per mutuo consenso. – 1.1. Dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. – 1.2. Procedimento di con-valida di cui alla legge n. 92/2012.

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Parte III. Costituzione, svolgimento ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato

1. Dimissioni del lavoratore e risoluzione del rapporto per mutuo consenso

1.1. Dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro

Il legislatore del 1942 aveva com’è noto posto sullo stesso piano il recesso del datore di lavoro e quello del lavoratore1.

L’art. 2118 c.c. infatti dispone che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti”.

Qualora peraltro il recedente non abbia concesso i termini di preavviso, lo stesso sarà obbligato a corrispondere alla controparte “un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso” (art. 2118, comma 2, c.c.).

Il successivo art. 2119 c.c., nella stessa ottica paritaria, prevede che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”2.

Successivamente però, il potere di recesso del datore di lavoro è stato, come si vedrà funditus nei paragrafi che seguono, progressivamente circoscritto, limitato e regolato dalla legislazione speciale, nell’ottica di tutela del contraente debole-lavoratore3.

Diversamente, le dimissioni del lavoratore sono rimaste disciplinate, sino all’in-troduzione della legge n. 92/2012, e fatta eccezione per la breve esperienza della legge n. 188/20074, soltanto dalle norme del codice civile poc’anzi richiamate.

1 “Atti unilaterali di recesso sia in caso di licenziamento intimato dal datore di lavoro, che di dimis-sioni rassegnate dal lavoratore”; così, anche da ultimo cfr. Cass. 30 novembre 2012, n. 21512.

2 La nozione di giusta causa sottesa all’esercizio delle dimissioni non coincide con quella di cui all’es-ercizio del potere di licenziamento. “Se per il licenziamento può parlarsi di una giusta causa che è elemento costitutivo del potere di recedere, lo stesso non può dirsi in relazione alle dimissioni: per queste ultime esiste una piena libertà di recessoo rispetto alla quale l’esistenza di una giusta causa assolve alla sola fun-zione di spostare l’onere economico del preavviso”. In tal senso, Donini, Giusta causa di dimissioni tra inadempimento datoriale e comportamento concludente del lavoratore, in Riv. it. dir. lav., 2012, 3, 657.

3 In senso analogo, G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori, Torino, 2013, 358-359, secondo cui “nel codice il licenziamento e le dimissioni ricevono una disciplina identica, mentre la normativa successiva ha preso atto della disparità di potere contrattuale delle parti e ha limitato progressivamente l’esercizio del potere di licenziamento”.

4 La legge n. 188/2007, che aveva introdotto “disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonché del prestatore d’opera e della prestatrice d’opera”. In sostanza detta normativa, abrogata dall’art. 39, comma 10, lett. i), d.l. n. 112/2008, prevedeva che la lettera di dimissioni volontarie, volta a dichiarare l’intenzione di recedere dal

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XXIX. I licenziamenti individuali

È possibile in ogni caso affermare che “la decisione di dimettersi è, pertanto, libera ed insindacabile, fatta salva l’ipotesi in cui il lavoratore si sia impegnato, con un patto ad hoc, ad una durata minima del rapporto”5.

In tal senso, quale atto unilaterale recettizio, ed in omaggio al principio della libertà delle forme, le dimissioni sono considerate “atto unilaterale a forma libera, che acquista efficacia nel momento in cui viene a conoscenza della parte alla quale è diretto”6.

Da ciò ne consegue la piena validità ed efficacia di dimissioni rassegnate in forma orale, pur potendo poi residuare incertezze in merito all’accertamento dei fatti circa l’estinzione del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza sia di merito che di legittimità si è più volte trovata a do-ver affrontare il controverso tema della prova circa un fatto qualificato come dimissioni orali o per fatti concludenti da parte del lavoratore, e come preteso licenziamento verbale da parte del datore di lavoro.

In tali casi, “ove l’attuazione del rapporto di lavoro sia cessata in assenza di atti formali di licenziamento o di dimissioni e in presenza di contrapposte tesi circa la causale di detta cessazione, il giudice di merito deve, ai fini dell’accertamento del fatto, prestare particolare attenzione (indagandone la rilevanza sostanziale e probatoria nel caso concreto) anche agli eventuali episodi consistenti nell’offerta delle prestazioni da parte del lavoratore e nel rifiuto o mancata accettazione delle stesse da parte del datore di lavoro”7.

L’onus probandi, di tutta evidenza, nella fattispecie concreta soprarichiamata sarà diversamente distribuito.

contratto di lavoro, dovesse essere presentata dalla lavoratrice, dal lavoratore, nonché dal prestatore d’ope-ra e dalla prestatrice d’opera, pena la sua nullità, su appositi moduli predisposti e resi disponibili gratuita-mente dalle direzioni provinciali del lavoro e dagli uffici comunali, nonché dai centri per l’impiego (art. 1).

5 Del Punta, Diritto del lavoro, Milano, 2012, 562.6 In tal senso Cass. 23 aprile 2004, n. 7735; v. anche Cass. 1° ottobre 2012, n. 16656, “le dimissioni

del lavoratore costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo”. Conf. Cass. 25 febbraio 1998, n. 2048 secondo la quale, le dimissioni sono atto a forma li-bera, salvo che “per esse non sia stata convenzionalmente pattuita, individualmente, ovvero ad opera della fonte collettiva, la forma scritta”. In tale fattispecie peraltro, trattasi forma ad substantiam, in quanto si presume che la forma sia voluta per la validità dell’atto di dimissioni, a norma del disposto dell’art. 1352 cod. civ. (applicabile anche agli atti unilaterali), con la conseguenza che le dimissioni rassegnate oral-mente, anziché per iscritto come richiesto dalla contrattazione collettiva applicabile, non possono essere considerate valide per difetto della forma richiesta ad substantiam. Così Cass. 9 agosto 2012, n. 14343.

7 In tal senso, Cass. 14 gennaio 2013, n. 700, secondo cui “pertanto l’accertamento sull’effettiva modalità della cessazione del rapporto è devoluta sostanzialmente ad un giudizio di fatto compiuto dal giudice del merito”.

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Parte III. Costituzione, svolgimento ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato

Infatti, qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia vale-re in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento, chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni fino alla riammissione in servizio, mentre il datore di lavoro, proponendo un’eccezione in senso stretto, deduca la sussistenza invece di dimissioni del lavoratore, sarà il lavoratore a dover provare l’esistenza del rapporto di lavoro e la sua estromissione, mentre ricadrà sul datore di lavoro l’onere di provare i fatti su cui si fonda la sua eccezione8.

La cessazione del rapporto di lavoro può peraltro derivare, oltre che dalle dimissioni rassegnate dal lavoratore e dal licenziamento intimato dal datore di lavoro (atti unilaterali), anche dalla comune volontà dei contraenti, ossia per ri-soluzione consensuale.

Infatti, com’è noto, il contratto “non può essere sciolto che per mutuo consen-so” (art. 1372, comma 1, c.c.).

Anche la risoluzione consensuale non necessita di particolari oneri di forma scritta, essendo valida ed efficace anche se conclusa in forma orale o per com-portamento concludente, pur le necessarie cautele in ordine all’accertamento dei fatti costitutivi9.

1.2. Procedimento di convalida di cui alla legge n. 92/2012

Peraltro il legislatore del 2012 (c.d. Riforma Fornero), nella preoccupazione di porre fine al deprecabile fenomeno delle cd dimissioni in bianco (ed in mi-sura minore per conferire certezza alle situazioni di recesso in forma orale), ha

8 In tal senso, ex multis Cass. 1° ottobre 2012, n. 16656. Sviluppa ulteriormente il ragionamento in tema di ripartizione dell’onere della prova Cass. 10 settembre 2012, n. 15103 secondo cui “conseguen-temente, in mancanza di prova delle dimissioni, l’onere della prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento (prescritta ex lege a pena di nullità) resta a carico del datore di lavoro, in quanto nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore riguarda esclu-sivamente la cessazione del rapporto lavorativo, mentre la prova sulla controdeduzione del datore di lavoro - avente valore di una eccezione - ricade sull’eccipiente- datore di lavoro ex art. 2697 cod. civ.”.

9 Cfr. Cass. 14 febbraio 2013, n. 3672, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusio-ne dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - “una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso”. Conf. Cass. 22 luglio 2013, n. 17784, secondo cui “è quindi necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo”.

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introdotto uno specifico procedimento, disciplinato dall’art. 4, commi 17-23bis, legge n. 92/201210.

Per dimissioni in bianco si intende “una pratica assai diffusa, consistente nel far firmare al lavoratore o alla lavoratrice le proprie dimissioni in anticipo, al momento dell’assunzio-ne. Dimissioni che poi saranno completate, riempiendo il foglio con la data desiderata a fronte di una malattia, un infortunio, un comportamento sgradito, o - caso più diffuso - una gravidanza”11.

La reale finalità della disciplina che si va ad esporre è peraltro esplicitata al comma 18 che pone come obiettivi “accertare la veridicità della data e la autenti-cità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto” (art. 4, comma 18).

Da precisare peraltro che l’ambito di applicazione della normativa in esame, ad onta del tenore letterale, che si riferisce alle “dimissioni”, è stato esteso, in vir-tù del comma 23-bis all’art. 4, legge n. 92/2012 (disposizione introdotta dall’art. 7, comma 5, lett. d), n. 1, d.l. n. 76/2013, conv. con mod. nella legge n. 99/2013), ben al di là del lavoro subordinato.

La norma richiamata, infatti, prevede che la disciplina in tema di convalida delle dimissioni (rectius in tal caso: recesso) e della risoluzione consensuale si applichi in quanto compatibile, anche ai collaboratori coordinati e continua-tivi, eventualmente a progetto (artt. 61 e ss., d.lgs. n. 276/2003), nonché agli associati in partecipazione con apporto di lavoro (art. 2549, comma 2, c.c.).

In sostanza, per tornare all’analisi dell’istituto, l’efficacia delle dimissioni e del-la risoluzione consensuale del rapporto è ora sospensivamente condizionata alla convalida che il lavoratore può effettuare presso la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) o presso il Centro per l’Impiego territorialmente competente, od ancora pres-so sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (comma 17)12.

In altri termini, “fino a che l’interessato non convalida (in sede amministrativa o sindacale) le sue dimissioni (o la risoluzione consensuale), il rapporto di lavoro non si risolve (dunque, almeno giuridicamente, continua a tutti gli effetti)”13.

10 Stessa finalità aveva avuto la disciplina introdotta con la legge n. 188/2007, poco dopo abrogata, come accennato supra. Peraltro, la ricomprensione anche della risoluzione consensuale nella disciplina in commento rappresenta una assoluta novità. L’abrogata legge n. 188/2007, infatti, limitava il suo ambito di applicazione alle dimissioni.

11 Giardetti, Mercato del lavoro: cosa cambia, Milano, 2012, 77.12 Cfr. Circ. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 18/2012 che ha riconosciuto le sedi

sindacali quali sedi qualificate, nonché Accordo 3 agosto 2012, Confindustria, CGIL, CISL e UIL che hanno attivato le sedi sindacali, in applicazione del comma 17 sopracitato.

13 Ballestrero-De Simone, Diritto del lavoro, Torino, 2012, 483.

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Parte III. Costituzione, svolgimento ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato

In tale ottica, anche rispetto alla richiamata esperienza della legge n. 188/2007, la novità è rappresentata dalla previsione di un procedimento per la convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale.

Novità non in termini assoluti, atteso che, com’è noto, era già previsto il meccanismo della convalida per le dimissioni comunicate dalla lavoratrice in gravidanza.

Infatti, l’art. 55, comma 4, d.lgs. n. 151/2001, così come sostituito dall’art. 4, comma 16, legge n. 92/2012, dispone che “la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il pe-riodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento … devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali competente per territorio”.

In alternativa alla procedura di convalida presso le c.d. sedi protette di cui all’art. 4, comma 17, è prevista la facoltà di conferire efficacia alle dimissioni o alla risoluzione consensuale anche mediante sottoscrizione da parte del lavora-tore di specifica “dichiarazione” apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, quella ossia effettuata ai sensi della legge n. 264/1949 (comma 18)14.

Da rilevarsi sul punto che, non essendo stata fornita alcuna indicazione da parte del legislatore in merito al contenuto della dichiarazione stessa, “ciò lascia presagire arbitri interpretativi circa in contenuti della dichiarazio-ne”, auspicandosi perciò la predisposizione di “un modello di dichiarazione unificato”15.

Lo stesso comma 18, prevede la possibilità di emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che individui ulteriori mo-dalità semplificate per accertare la veridicità della data e la autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni o risoluzione consensuale.

14 In ottica sistematica peraltro, lo schema previsto dal legislatore del 2012 costituisce deroga ai prin-cipi generali in tema di diritto comune dei contratti, atteso che ai sensi dell’art. 1355 c.c. la condizione sospensiva il cui avveramento dipenda dalla “mera volontà” della controparte (condizione meramente potestativa) è nulla.

15 Caragnano, Caruso, La nuova disciplina delle dimissioni in bianco, in Magnani, Tiraboschi (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Milano, 2012, 336. Cfr. con posizione critica rispetto alla procedura di cui al comma 18, Ballestrero-De Simone, op. cit., 484, secondo cui “la legge non dice che la ricevuta sottoscritta debba essere inviata all’Ufficio competente, e nessun controllo amministrativo è previsto. Occorre inoltre domandarsi se il lavoratore, solo di fronte al datore di lavoro che ha già comunicato la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, privo dell’assistenza della pubblica amministrazione o del sindacato, sia davvero in grado di rifiutare di sottoscrivere la dichiarazione che gli viene richiesta”.

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Per perfezionare la procedura, nell’ipotesi in cui la convalida o la sottoscrizio-ne della dichiarazione non siano avvenute contestualmente alla comunicazione di dimissioni o di risoluzione consensuale, il datore di lavoro deve “trasmettere”, alla lavoratrice o al lavoratore, entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale, una comunicazione, in forma scritta, contenente l’invito ... a presentarsi presso le sedi di cui al comma 17 (sedi pro-tette) o ad “apporre la predetta sottoscrizione” in calce alla ricevuta di cui al comma 18 (arg. comb. disposto commi 19 e 22).

In tale aspetto risiede una delle differenze più evidenti rispetto alla disciplina di cui alla abrogata legge n. 188/2007.

La legge n. 188, infatti, pur condividendo, com’è noto, la medesima finalità di repressione della piaga delle dimissioni in bianco, si era limitata a disciplina-re la conseguenza, in termini di nullità, della mancata adozione delle stesse su specifici moduli, senza peraltro prevedere specifici obblighi di facere in capo al datore di lavoro.

La legge n. 92/2012, diversamente, appesantisce indubbiamente la posizione del datore di lavoro, aggravato di un onere di attivazione per la convocazione del lavoratore inerte, presso le sedi protette o a rendere la sottoscrizione in calce alla dichiarazione di cessazione del rapporto.

In termini di costi di gestione del rapporto di lavoro, ciò rappresenta indubbia-mente un peggioramento rispetto all’assetto precedente, anche alla luce di quanto precisato subito oltre16.

In tal senso infatti, la violazione da parte del datore di lavoro di tale onere, os-sia la conseguenza del mancato invio dell’invito entro il termine sopraindicato, appare particolarmente grave, determinando l’effetto secondo cui “le dimissioni” (e qui il mero refuso derivante dal mancato riferimento anche alla risoluzione consensuale sembra evidente) “si considerano definitivamente prive di effetto”17.

Precisa poi il comma 20 che la comunicazione contenente l’invito si considera “valida-mente effettuata quando è recapitata al domicilio della lavoratrice o del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dalla lavoratrice o dal

16 Preoccupazioni in termini di “aggravamento degli adempimenti burocratici che incombono su en-trambi i soggetti del rapporto” sono espresse da Caragnano, Caruso, La nuova disciplina delle dimissioni in bianco, cit., 336. Secondo gli Autori appare peraltro singolare tale maggiore carico burocratico in “controtendenza sia rispetto all’attuale rilancio della semplificazione amministrativa, sia con riferimento all’intento, dichiarato nella relazione illustrativa del disegno di legge, di contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, introducendo modalità semplificate rispetto a quelle già previste dalla legge n. 188 del 2007”.

17 Forse consci dell’aggravamento imposto al datore di lavoro, ecco il motivo per cui al comma 18, in alternativa ai due procedimenti equivalenti, è prevista la possibilità dell’emanazione di un decreto di natura non regolamentare per la individuazione di “ulteriori modalità semplificate”.

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lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata alla lavoratrice o al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta”.

Da condividere peraltro l’opinione di chi ritiene che “per escludere l’incertezza derivante della sospensione degli effetti di dimissioni o risoluzione consensuale fino a convalida o conferma il datore di lavoro previdente si adopererà per una sostanziale contestualità”18.

D’altra parte, anche l’inerzia del lavoratore è sanzionata atteso che qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderisca, entro il termine anch’esso perentorio di sette giorni dalla ricezione, all’invito a presentarsi presso le sedi di cui al comma 17 o a sottoscrivere la dichiarazione di cui al comma 18, “il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva” (comma 19).

La previsione ora richiamata di cui al comma 19 appare conforme ai principi generali in tema di diritto dei contratti, atteso che “la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa” (art. 1359 c.c.).

Deve peraltro ritenersi, pur nel silenzio del legislatore, che nell’ipotesi di avveramento della condizione sospensiva, in applicazione della disposizione di cui all’art. 1360 c.c., gli effetti dell’avveramento della condizione debbano retroagire al momento della comunica-zione delle dimissioni o della risoluzione consensuale.

Ulteriore novità derivante dalla introduzione del procedimento in esame, che pone più di una perplessità anche in ottica sistematica, è l’istituto della revoca delle dimissioni o del consenso prestato alla risoluzione consensuale.

Dispone infatti l’art. 4, comma 21, legge n. 92/2012 che nei sette (7) giorni entro i quali il lavoratore ha l’obbligo di convalidare le dimissioni o la risoluzione consensuale mediante presentazione presso le sedi protette o con la sottoscrizione della dichiarazione di cui al comma 18, lo stesso lavoratore ha “facoltà di revo-care le dimissioni o la risoluzione consensuale”.

Viene meno, pertanto la natura delle dimissioni quale atto unilaterale recet-tizio, che produce effetto nel momento in cui viene comunicato al destinatario, secondo le norme contenute nell’art. 1335 c.c.19.

Trattasi pertanto di atto revocabile, seppur entro il termine massimo indicato dal comma 21 e soprarichiamato.

E non sarebbe neppure questo l’aspetto più critico, quanto piuttosto il com-binato disposto con le successive disposizioni contenute nel comma 21, secondo cui tale revoca, stante il tenore letterale della norma in commento, può avvenire

18 Vallebona, La Riforma del Lavoro 2012, Torino, 2012, 79.19 “In deroga al diritto comune che non ammette la revoca unilaterale di atti negoziali”; Vallebona,

op. cit., 80.

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anche in forma orale (“la revoca può essere comunicata in forma scritta”), e che “il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca” (cfr. comma 21).

In tale ottica, “poiché la forma scritta della revoca è prevista solo come even-tuale, potrebbe risultare non facile stabilire con certezza la data della ricezione di una comunicazione avvenuta solo oralmente”20.

L’esito della prova del fatto “comunicazione orale della revoca delle dimissio-ni” può avere, in una controversia giudiziaria, esiti drammatici per entrambe le parti in causa: implica l’accertamento della persistenza o meno di un rapporto di lavoro anche a distanza di molto tempo, con buona pace della certezza del diritto.

D’altra parte, come detto il tenore letterale della norma in commento, ad avvi-so di chi scrive, non può consentire altre interpretazioni, come quelle secondo cui il “può” sarebbe riferito alla facoltà di comunicare in sé, piuttosto che alla forma richiesta per la comunicazione stessa21.

E comunque al di là della criticità suesposta, è opportuno richiamare l’atten-zione sul meccanismo della revoca.

Potendo, come detto, la revoca avvenire oralmente (es. per telefono) o ad-dirittura per fatti concludenti (es. lavoratore che si presenta spontaneamente presso la sede di lavoro offrendo le proprie energie psico-fisiche), ed atteso che alla comunicazione della revoca è connesso il fatto che il rapporto di lavoro “torna ad avere corso normale” (circa la atecnicità dell’espressione appare inu-tile soffermarsi), il datore di lavoro poco attento potrebbe trovarsi esposto a richieste economiche anche ingenti in relazione ad un rapporto che riteneva da tempo esaurito.

È inoltre previsto che “per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione non sia stata svolta, il prestatore non matura alcun diritto retributivo” (comma 21).

Alla revoca del recesso, ed è logica conseguenza, conseguono le cessazione di ogni effetto delle eventuali pattuizioni e esso connesse e l’obbligo in capo al lavoratore di resti-tuire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse (cfr. ancora comma 21).

La pratica attuazione del procedimento in esame potrebbe peraltro avere un effetto deflattivo sul contenzioso relativo all’annullamento delle dimissioni per vizi del consenso ai sensi degli artt. 1427 ss. e 428 c.c.22.

20 Ballestrero-De Simone, op. cit., 484.21 In tale ottica Vallebona, op. cit., 80 secondo cui “la revoca deve avvenire per iscritto, dovendosi

riferire il ‘può’ non alla forma, ma alla facoltà di revoca, altrimenti si introdurrebbe un’assurda incertezza (ad es. la revoca per telefono) in un intervento legislativo diretto a far certezza”.

22 In tema di dimissioni e vizi del consenso v., da ultimo, Cass. 16 gennaio 2013, n. 878 e giurisprudenza ivi indicata.

Page 11: Utet Giuridica - Diritto e processo del lavoro e della ... · 5 Del Punta, Diritto del lavoro, Milano, 2012, 562. ... il datore di lavoro, proponendo un’eccezione in senso stretto,

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Parte III. Costituzione, svolgimento ed estinzione del rapporto di lavoro subordinato

L’esperimento della procedura di cui agli art. 4, commi 17-23, legge n. 92/2012 dovrebbe consentire di evitare in radice le ipotesi più macroscopiche di coartazione della libera volontà del lavoratore in ordine alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Non appare però allo stato possibile prevedere il totale esaurimento del rela-tivo contenzioso.

Non è possibile infatti escludere a priori, in conseguenza dell’introduzione del procedimento ex art. 4, la possibilità di una azione, coltivata dal lavorato-re, di annullamento delle dimissioni o del consenso prestato alla risoluzione consensuale.

Né infatti la convalida resa presso le sedi protette, né tanto meno una firma ap-posta su di un modulo destinato ad i centri per l’impiego possono certo sottrarre al Giudice il potere di accertare, su domanda del lavoratore, l’assenza di even-tuali vizi del consenso, tra i quali, come ipotesi più diffusa, quella della violenza morale per indurre il lavoratore alle dimissioni in alternativa al licenziamento per pretese gravi inadempienze del lavoratore stesso23.

A presidio di tutta la disciplina ora esposta, il comma 23 prevede che “salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simulare le dimissioni o la ri-soluzione consensuale del rapporto, è punito con la sanzione amministrativa da euro 5000 a euro 30000”24.

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Caragnano, Caruso, La nuova disciplina delle dimissioni in bianco, in Magnani, TirabosChi (a cura di), La nuova riforma del lavoro, Milano, 2012; Donini, Giusta causa di dimissioni tra inadempimento datoriale e comportamento concludente del lavoratore, in Riv. it. dir. lav., 2012; giarDeTTi, Mercato del lavoro: cosa cambia, Milano, 2012; Vallebona, La Riforma del Lavoro 2012, Torino, 2012.

23 v. sul punto Del Punta, op. cit., 564: “in questo tipo di controversie, la giurisprudenza tende a ritenere le dimissioni non viziate nel caso in cui, se quel lavoratore fosse stato licenziato per gli stessi fatti che lo hanno portato alle dimissioni, quel licenziamento sarebbe stato legittimo. Ciò a meno che le dimissioni siano state estorte con modalità particolarmente contrarie a buona fede, nel qual caso gli estremi della violenza morale sono ravvisabili in ogni caso”.

24 V. Vallebona, op. cit., 80, secondo cui la legge, “per essere più realista del re” ha previsto la sanzione amministrativa, peraltro esclusa in presenza di fatti di reato. “Tuttavia proprio la nuova disciplina appare idonea ad evitare ogni abuso, dovendosi ritenere tale la realizzazione abusiva dell’effetto estintivo ormai non più conseguibile con il foglio firmato in bianco senza data, occorrendo la convalida o conferma rimessa alla libera scelta del lavoratore”.