Urlo numero 1

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1 L’urlo Liceo Viorio Emanuele II Napoli, via San Sebasano, 51 Art.21 “Tu hanno dirio di manifestare liberamente il pro - prio pensiero con la parola, lo scrio e ogni altro mezzo di diffusione.” Editoriale (Vincenzo Fusco IIB ) Si è chiu- sa la prima fase della trattativa tra il governo Tsipras e la troika (ora chiamata “le istituzio- ni”) per la ristrutturazione del debito greco e il possibile superamento delle politiche di auste- rity. Non sappiamo ancora come il processo avviato nel mese di febbraio si concluderà e quindi è prematuro tracciare un bilancio defini- tivo. Si è chiusa la prima fase della trattativa tra il governo Tsipras e la troika (ora chiamata “le istituzioni”) per la ristrutturazione del debi- to greco e il possibile superamento delle politi- che di austerity. Non sappiamo ancora come il processo avviato nel mese di febbraio si con- cluderà e quindi è prematuro tracciare un bilan- cio definitivo. Ma alcune considerazioni posso- no essere avanzate già da ora. La successione degli eventi Cominciamo con i fatti. Perché un minimo di informazione è necessaria, per capire di che stiamo parlando. Il 4 febbraio 2015 la Bce decide di non accetta- re più come garanzia “collaterale” i titoli di stato greci per fornire la liquidità necessaria al sistema creditizio greco al fine di far fronte alle normali operazioni bancarie. Di fatto, un drastico taglio alla liquidità greca che Polica Normava CLILA.Buonaiuto Raid al Galiani: democrazia? - L.Pica Ciamarra Austerità in Portogallo: cause ed effe - N.Dieng Odio mosso da amore - A.Capasso Aualità Palesna, terra nullius - V.Papaleo Aviste siriane - R.Granata Il virtuale che distrugge il sociale -A.Capasso L’insulso fecismo del manuale - R.Marrone Napoli cià aperta? - M.Cavallo Oum et negoum L’arte della felicità - S.Gemma La solitudine dei numeri primi - S.Napolitano Direori: Grafica: Eleonora Banelli Alessandra Centore Vincenzo Fusco Lorenzo Pica Ciamarra Claudia Sarracino

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Secondo numero del giornale d'istituto del Liceo Ginnasio Vittorio Emanuele II di Napoli "L'Urlo"

Transcript of Urlo numero 1

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L’urlo

Liceo Vi�orio Emanuele II

Napoli, via San Sebas�ano, 51 Art.21 “Tu� hanno diri�o di

manifestare liberamente il pro-

prio pensiero con la parola, lo

scri�o e ogni altro mezzo di

diffusione.”

Editoriale (Vincenzo Fusco IIB ) — Si è chiu-

sa la prima fase della trattativa tra il governo

Tsipras e la troika (ora chiamata “le istituzio-

ni”) per la ristrutturazione del debito greco e il

possibile superamento delle politiche di auste-

rity. Non sappiamo ancora come il processo

avviato nel mese di febbraio si concluderà e

quindi è prematuro tracciare un bilancio defini-

tivo. Si è chiusa la prima fase della trattativa

tra il governo Tsipras e la troika (ora chiamata

“le istituzioni”) per la ristrutturazione del debi-

to greco e il possibile superamento delle politi-

che di austerity. Non sappiamo ancora come il

processo avviato nel mese di febbraio si con-

cluderà e quindi è prematuro tracciare un bilan-

cio definitivo. Ma alcune considerazioni posso-

no essere avanzate già da ora.

La successione degli eventi

Cominciamo con i fatti. Perché un minimo di

informazione è necessaria, per capire di che

stiamo parlando.

Il 4 febbraio 2015 la Bce decide di non accetta-

re più come garanzia “collaterale” i titoli di

stato greci per fornire la liquidità necessaria al

sistema creditizio greco al fine di far fronte

alle normali operazioni bancarie. Di fatto, un

drastico taglio alla liquidità greca che

Poli�ca

Norma�va CLIL—A.Buonaiuto

Raid al Galiani: democrazia? - L.Pica Ciamarra

Austerità in Portogallo: cause ed effe" - N.Dieng

Odio mosso da amore - A.Capasso

Aualità

Pales�na, terra nullius - V.Papaleo

A"viste siriane - R.Granata

Il virtuale che distrugge il sociale -A.Capasso

L’insulso fe�cismo del manuale - R.Marrone

Napoli ci,à aperta? - M.Cavallo

O�um et nego�um

L’arte della felicità - S.Gemma

La solitudine dei numeri primi - S.Napolitano

Direori: Grafica:

Eleonora Ba"nelli Alessandra Centore

Vincenzo Fusco Lorenzo Pica Ciamarra

Claudia Sarracino

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incentiva la fuga di capitali all’estero. Di fat-

to, un atto di terrorismo economico per con-

dizionare la trattativa che si sarebbe aperta

da lì a poco. Il governo greco inizia così la

trattativa con una pistola puntata alla tempia.

L’11 febbraio si svolge la riunione straordi-

naria dell’Eurogruppo sulla Grecia. Il gover-

no Tsipras presenta la proposta di rinegozia-

zione del debito greco. Le proposte del mini-

stro delle Finanze greco Veroufakis si basa-

no principalmente su due punti:

a. riesame delle scadenze delle rate del debi-

to, allungandole e chiedendo per i primi anni

(si parla sino al 2020) una moratoria al paga-

mento degli interessi per consentire che i

soldi risparmiati possano essere finalizzati

alla crescita economica, intervenendo così

sul denominatore del rapporto debito/pil.

b. scambiare gli attuali titoli di stato con due

tipi di nuovi bond (di fatto degli swap): il

primo indicizzato alla effettiva crescita eco-

nomica greca, da scambiare con i crediti ero-

gati dai paesi e dalle istituzioni europee. In

questo caso il pagamento delle cedole o del

capitale viene subordinato alla crescita del

Pil o al calo della disoccupazione. Il secondo

è invece costituito da titoli di stato di durata

perpetua che servirebbero a sostituire quelli

detenuti dalla Bce, con il passato piano anti-

crisi SMP (Securities Markets Programme).

Si tratta di titoli che pagano una cedola

all’anno e non vengono mai rimborsati aven-

do scadenza infinita.

Il 16 febbraio, nuova riunione dell’Euro-

gruppo. I ministri europei chiedono ad Atene

di estendere il programma di salvataggio,

ponendo di fatto un ultimatum in linea con i

diktat precedenti. La Grecia non solo rifiuta

ma rilancia, chiedendo una “proroga di 4

mesi per discutere un nuovo accordo”.

Il livello di scontro si alza e i paesi euro-

pei, nessuno escluso (compresi Italia e

Francia), ripropongono la validità della po-

litica di austerità. La possibilità che la Gre-

cia possa essere indotta a uscire dall’Euro

si fa concreta.

19-20 febbraio: i ministri delle finanze

dell’Eurogruppo raggiungono un accordo

di fondo su un testo di compromesso per

l’estensione del programma di aiuti alla

Grecia per quattro mesi, chiedendo in cam-

bio che la Grecia proponga una serie di mi-

sure concrete che la troika dovrà approva-

re.

23 febbraio: rispettando i tempi concessi,

poco prima di mezzanotte il governo greco

presenta alla Commissione Europea e al

Fmi le misure che intende adottare nei

prossimi 4 mesi. La reazione sembra essere

positiva, con parere positivo dell’Euro-

gruppo ma qualche perplessità della Bce e

del FMI.

Qualcosa di nuovo sotto il sole europeo?

Questa la mera cronaca. Si ridiscuterà tra

quattro mesi. Ciò significa che nulla è

cambiato? Niente affatto:

1. Per la prima volta da quando le politiche

di austerity sono diventate insindacabili in

Europa (“there is no alternative”), un paese

si conquista il diritto a trattare. Non è una

questione solo formale, a prescindere poi

dal risultato che potrà ottenere. Si è messo

in discussione il “principio di autorità”

dell’oligarchia finanziaria di commissaria-

re un paese ed imporgli una politica econo-

mica neoliberista: principio fino ad oggi

indiscutibile. Non è certo autodetermina-

zione, come la trattativa ha ben evidenzia-

to, ma viene rotto un tabù. Sul piano sim-

bolico, è un risultato importante e non è un

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caso che, per evitare questa eventualità, nel

corso della trattativa, l’Eurogruppo abbia

cercato di impedire che tale primo obiettivo

venisse raggiunto, mettendo la Grecia di

fronte all’aut-aut di uscire o rimanere

nell’Euro. In questo caso chi ha bleffato è

stato proprio l’Eurogruppo, che non poteva

permettersi il default della Grecia, pena no-

tevoli perdite non solo per le banche tede-

sche e francesi (che detengono buona parte

del debito greco) ma anche per la BCE, che

avrebbe visto ridursi le proprie riserve di li-

quidità.

2. Al riguardo non stupisce affatto la reazio-

ne negativa e stizzita di Spagna, Portogallo e

Irlanda, i cui governi negli ultimi anni hanno

accettato, senza colpo ferire, le misure dra-

coniane imposte dalla troika con tutti gli ef-

fetti di miseria sociale che hanno comporta-

to. Come poter giustificare oggi quella su-

balternità e passività ai diktat europei che,

oltre ogni ragionevole dubbio, hanno evi-

denziato la complicità e la collusione che

tali governi hanno intrapreso con gli interes-

si delle oligarchie finanziarie europee?

3. Il rischio di un “effetto domino” diventa

così uno spettro che si aggira negli uffici di

Bruxelles e Francoforte. Un effetto domino

che non è quello orchestrato dalla specula-

zione finanziaria ma, all’inverso, dalla pos-

sibilità che sia possibile mettere una zeppa

agli ingranaggi della governance neoliberista

dell’Europa. A patto, tuttavia, che l’esem-

pio greco, venga seguito daaltri paesi euro-

pei. Sappiamo tutti che a ottobre si svolge-

ranno le elezioni politiche in Spagna, pre-

cedute dal test delle elezioni amministrative.

Abbiamo già sottolineato che il peso specifi-

co della Spagna è ben superiore di quello

della Grecia e per questo da qui a ottobre ne

vedremo delle belle.

E’ facile prevedere che si svilupperà una

canea mediatica e un gioco di ricatti per

impedire a tutti i costi che la Spagna possa

seguire l’esempio della Grecia.

4. In questo gioco simbolico, in Italia, sen-

za che nessuno se ne sia accorto, tale canea

ha già cominciato ad attivarsi. Nell’ultimo

mese, con un ritmo alquanto sospetto, sono

stati dati in pasto all’opinione pubblica una

serie di dati economici che portano ad

un’unica conclusione: grazie all’operato

del governo Renzi e alle sue

“riforme” (sarebbe meglio chiamarle

“controriforme”), la recessione economica

è improvvisamente terminata. Il Centro

Studi Confindustria (maggior sponsor del

governo) ha solennemente predetto che nel

2015 il PIl crescerà del 2,1% nel 2015 e

del 2,5% nel 2016! Una stima tre volte su-

periore a quella del Fmi! La Confcommer-

cio afferma che, dopo 5 anni, gli occupati

(non i posti di lavoro) sono aumentati

nell’ultimo trimestre di 59.000 unità (di cui

due terzi nel settore della vendita ambulan-

te!). La stessa Banca Centrale Italiana, pur

in modo più moderato, corregge al rialzo le

stime di crescita, un misero + 0,5% nel

2015 rispetto al + 0,4% di novembre 2014,

ma un più rassicurante + 1,1% nel 2016.

Viene spiegato che è la conseguenza degli

effetti benefici del Job Act e del decreto

sulla liberalizzazione dell’energia. Sulla

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4

base di queste previsioni euforiche (del tutto

in contrasto con quelle dell’Eurostat e del

Fmi – ma nessuno ne parla), proprio pochi

giorni fa, l’Ocse ha

affermato, per bocca del suo segretario ge-

nerale Angel Gurrìa, che la riduzione della

rigidità del lavoro, grazie al Job Act, può

“determinare un incremento del Pil pari al

6% nei prossimi 10 anni”. Insomma, la si-

tuazione economica volge al bello, senza

dover mettere in discussione le politiche

d’austerity, anzi confermandone le validità.

Le riforme attuate in questi mesi dal gover-

no Renzi – occorre ricordarlo – ricalcano

perfettamente quelle auspicate dalla famosa

lettera segreta del 5 agosto 2011 di Trichet e

Draghi al fu governo Berlusconi come con-

dizione per la riduzione del debito pubblico.

In altre parole: a parole, Renzi e Padoan si

dicono solidali con la Grecia ma nei fatti so-

no i più fedeli alleati della Merkel e di

Schauble.

L’importanza del tempo

Sul piano sostanziale, possiamo aggiungere

altre osservazioni:

a. Le misure che la Grecia, in piena autono-

mia e non sotto dettatura del memorandum,

intende adottare nei prossimi 4 mesi per po-

ter usufruire dell’allungamento dei tempi per

ridiscutere il piano di risanamento del debito

dovrebbero recuperare circa 7 miliardi di

euro, così suddivisi : 2,5 miliardi dall’intro-

duzione di una tassa patrimoniale per i ric-

chi; 2,3 miliardi dalla lotta all’evasione fi-

scale e alla corruzione, 2,2 miliardi dalla ri-

duzione della burocrazia statale, dal contrab-

bando di benzina e sigarette e dal recupero

crediti da parte dell’amministrazione pubblica.

Le principali richieste dell’Eurogruppo, già

precedentemente inserite nel memorandum,

vengono rigettate: aumento dell’Iva, licenzia-

menti pubblici, riduzione delle pensioni. Sep-

pur in modo limitato, alcuni punti del program-

ma di Salonicco (il programma su cui Syriza

aveva imbastito la vincente campagna elettora-

le) vengono confermati: tredicesima sulle pen-

sione sotto i 700 euro, graduale introduzione di

un salario minimo (invece che immediata),

blocco dei licenziamenti, accesso gratuito per e

famiglie povere a servizi di pubblica utilità,

come luce e gas, l’introduzione di un voucher

alimentare per chi è nullatenente. Riguardo il

tema delle privatizzazioni – forse il più spino-

so per gli interessi della troika -, ci si avvia a

un compromesso: i piani di privatizzazione,

già avviati (tramite bandi di vendita e di acqui-

sizioni) non vengono toccati, quelli annunciati

dal precedente governo ma non ancora avviati

sono soggetti a ridiscussione.

b. Considerando gli stretti margini di manovra

e il poco tempo a disposizione, si tratta di un

compromesso che possiamo realisticamente

definire ragionevole. E’ comprensibile che es-

so abbia lasciato l’amaro in bozza ad alcuni

componenti della dirigenza di Syriza, a partire

dalla presa di posizione di Manolis Glezos,

icona della resistenza greca nonché, appunto,

membro del comitato centrale del partito di

Tsipras. Ma sappiamo anche che la politica è

la scienza del possibile, non dei desiderata.

Tuttavia, riteniamo che discutere esclusiva-

mente il merito di questo compromesso sia

fuorviante. Per due motivi. Il primo è che le

misure proposte sono assai aleatorie.

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Occorrerà effettivamente verificare se il get-

tito ipotizzato si realizzerà effettivamente.

Ma ciò conta poco. Ciò che conta – e questo

è il secondo motivo – è che, come giusta-

mente sottolineato da Sandro Mezzadra da

un punto di vista politico, si guadagna

“tempo”. Ed è proprio il “tempo” che finora

è mancato alla Grecia. Si tratta di un aspetto

nevralgico e allo stesso tempo sostanziale.

Nel capitalismo biocognitivo, l’unità tempo-

rale che viene imposta dalla logica della va-

lorizzazione finanziaria, anche quando ha a

che fare con decisioni di politica economica,

è quella del brevissimo termine: sono i tem-

pi dettati della speculazione finanziaria e del

divenire rendita del profitto. Riuscire a scar-

dinare questa logica è condizione necessaria

(anche se può non essere sufficiente) per im-

porre un’altra logica di azione economica,

non supina alle esigenze delle oligarchie fi-

nanziarie.

E’ un passaggio assai fastidioso, come im-

plicitamente conferma l’infame titolo di La

Repubblica del 23 febbraio scorso, non a ca-

so fotocopia di quello de Il Giornale. Si vuo-

le confermare, a tutti i costi, che non c’è al-

ternativa all’austerity, come viene ribadito

anche il 25 febbraio dal quotidiano

“renziano” .

Le difficoltà geopolitiche dell’Europa

Ma c’è dell’altro, a dimostrazione di come la

situazione sia allo stesso tempo complessa,

delicata e in movimento, al punto da sconsi-

gliare di prendere posizioni drastiche. Ci ri-

feriamo, soprattutto, a due aspetti. Il primo

ha che fare con i contatti che il nuovo mini-

stro degli esteri greco ha avviato con la Rus-

sia e con la Cina. I viaggi fatti a Mosca e a

Pechino– anche se poco sottolineati dalla

servizievole stampa nostrana – hanno avuto

a che fare con la possibilità di accedere

a fonti di finanziamento extra-europei e extra-

Fmi per evitare il default greco: una sorta di

possibile piano B nel caso la trattativa con

l’Eurogruppo fosse naufragata o possa fallire

in futuro. Non sappiamo quale sia la possibile

contropartita. Ma considerando le problemati-

che che sta vivendola Russia in seguito al calo

del prezzo dei prodotti energetici, alle sanzioni

europee per la questione ucraina e alla fuga di

capitali verso gli Usa in seguito alla svaluta-

zione del rublo e sapendo degli interessi cinesi

per garantirsi una supremazia della logistica

del trasporto marittimo nel Mediterraneo (la

via meridionale della seta), possiamo ben im-

maginare quale sia la posta in gioco. E’ quindi

sicuro che l’oligarchia europea (e men che me-

no quella Usa) non veda di buon occhio una

possibile ingerenza di tal fatta nei propri affari

interni.

Il secondo aspetto, correlato al primo, riguarda

la definizione degli assetti geopolitici dell’Eu-

ropa: da un lato, impegnata nelle trattive per

definire l’accordo Transatlantic Trade and In-

vestment Partnership (TTIP), agognato dagli

Usa per ricostituire un’area di egemonia eco-

nomica “occidentale” in grado di sottrarre

l’Europa (ed in primis la Germania) alle chi-

mere orientali (Russia, ma soprattutto Cina) ,

dall’altro, la necessità di ribadire , tramite il

ruolo della Nato, una coesione interna in fun-

zione di controllo dell’espansionismo del fon-

damentalismo islamico, non tanto dal punto

religioso ma piuttosto come elemento di desta-

bilizzazione nel medio-oriente, già fortemente

minato dalle primavere arabe (seppur con gli

esiti che conosciamo).

Non è un caso che nella prima fase della tratta-

tiva dell’Eurogruppo con la Grecia

(l’ultimatum posto nella riunione del 16 feb-

braio) si sanciva come punto centrale il divie-

to per la Grecia di intraprendere “iniziative

unilaterali”, avvertimento rientrato -

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6

almeno fin ora - in seguito alle assicurazioni

della Grecia di non uscire dalla Nato, ma in

futuro non del tutto scongiurato.

E allora?

Stiamo vivendo – lo ripetiamo – un momen-

to molto delicato per i futuri assetti europei.

L’oligarchia europea conferma ancora una

volta di avere il fiato corto. La decisione

della Bce di “istituzionalizzare” il Quantiti-

ve Easing rischia di essere il classico

“pannicello caldo”, incapace di risolvere le

questioni aperte.

E’ doveroso quindi porsi la domanda se le

oligarchie europee oggi dominanti siano più

un elemento di destabilizzazione che di

equilibrio, seppur di stampo neoliberista. E’

evidente che una simile situazione non può

continuare. Le politiche di austerity hanno

mostrato tutta la loro inefficacia nel ridurre

“ufficialmente” i debiti pubblici. Hanno avu-

to, invece, pieno successo, nel favorire un

enorme trasferimento di reddito e di ricchez-

za dalle fasce più povere a un élite di poco

più dell’1% della popolazione.

Paradossalmente, è la stessa speculazione

finanziaria a indicarlo. Nelle ultime settima-

ne, nonostante la fuga di capitali dalla Gre-

cia ma grazie all’incremento dei tassi d’inte-

resse a valori oltre il 20%, gli hedge fund

hanno compiuto massicci investimenti sui

titoli greci e non a caso gli indici di borsa

principali sono saliti dopo l’accordo con

l’Eurogruppo. A nessuno conviene il default

greco, perché non ha senso strozzare la galli-

na dalla uova d’oro. Varoufakis lo sa. Oltre

a ciò occorre considerare la possibilità con-

creta di sperimentare una moneta comple-

mentare in Grecia, in grado di attutire la

possibile crisi di liquidità, anche se la Bce,

dopo aver aumentato le risorse del fondo di

ultima istanza: Emergency Liquidity Assistan-

ce (ELA), ha anche dichiarato che se le trattati-

ve con l’Eurogruppo vanno in porto, è disposta

a ritornare sui suoi passi e a accettare come

garanzia “collaterale” i titoli di stato greci per

fornire la liquidità necessaria al sistema credi-

tizio greco. E sono proprio queste considera-

zione che stimolano l’idea di immaginare l’i-

stituzione di un circuito finanziario alternativo,

in grado di essere autonomo dai diktat dell’oli-

garchia finanziaria: una sorta di istituzione fi-

nanziaria del comune. Ma questa è un’altra

storia, su cui ritorneremo a partire dalla prossi-

ma pubblicazione degli atti del convegno sulla

“Moneta del comune”, che si è svolto nello

scorso giugno a Milano.

Finito il primo round, vi è ora il tempo per pro-

vare ad attuare la “rottamazione” dell’attuale

governance europea e la destrutturazione dei

governi nazionali neoliberisti (a partire da

quello italiano). Compito sicuramente arduo

ma non emendabile ma soprattutto ineludibile

se vogliamo ancora sperare in un futuro uma-

no, a partire dal prossimo appuntamento del 18

marzo a Francoforte sotto le finestre della nuo-

va Eurotower. Un primo punto di partenza a

cui ne devono seguire altri. Abbiamo tempo,

stavolta!

Vincenzo Fusco IIB

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7

Un'altra pioggia acida si abbatte sulla scuola

italiana: preannunciata dall’ ex ministro Gel-

mini per divulgare e “potenziare” l’uso della

lingua inglese, si diffonde in Italia la norma-

tiva CLIL ( Content and Language Integra-

ted Learning) che prevede all’ultimo anno

dei licei e degli istituti l’insegnamento di

una materia didattica in lingua inglese. Il

professore di Storia e Filosofia o di Matema-

tica e Fisica si immedesima professore di

Inglese traducendo almeno il 50% del pro-

gramma previsto in Consiglio di Classe. Pre-

sentata la proposta nel 2012, è stata attuata a

partire dal 2014. Al principio la certificazio-

ne richiesta per l’abilitazione all’insegna-

mento in Inglese era il C1 e la formazione

specifica in CLIL ottenuta con la partecipa-

zione ai “promessi corsi di formazione” del

MIUR. Ma ritardo dopo ritardo il MIUR si è

visto obbligato a ridimensionare i livelli di

competenza: da C1 a B2 e per coloro che

frequentano i corsi attivati dal MIUR è ne-

cessario anche solo il B1, una certificazione

che si ottiene facilmente alla fine del biennio

di un qualsivoglia liceo. - Diventano operati-

ve le norme inserite nei Regolamenti di rior-

dino (DPR 88 e 89/2010) che prevedono

l'obbligo, nel quinto anno, di insegnare una

disciplina non linguistica (DNL) in lingua

straniera secondo la metodologia CLIL-

queste le indicazioni fornite dal MIUR per

l’anno 2014/2015.

Ma le sorprese non finiscono qui: il metodo

CLIL verrà applicato anche all’esame di sta-

to, in particolare:

a) SECONDA PROVA SCRITTA: qualora la

DNL veicolata in lingua straniera costituisca

materia oggetto della seconda prova scritta,

essa non potrà essere svolta in lingua straniera

tenuto conto che si tratta di prova nazionale

b) TERZA PROVA SCRITTA: la tipologia

della prova e i contenuti dovranno essere coe-

renti per la parte relativa alla DNL in lingua

straniera con il documento del Consiglio di

classe redatto ai sensi dell'art. 5 comma 2 del

DPR 323/98

c) PROVA ORALE: la DNL in lingua stranie-

ra potrà essere oggetto del colloquio solo nel

caso in cui il docente che ha impartito l'inse-

gnamento sia membro interno della commis-

sione.

Ebbene se l’obiettivo del CLIL è mettere alla

pari gli alunni italiani con i compagni europei,

perché far sì che un professore che per tutta la

vita si è dedicato alla Filosofia o alla Fisica

possa insegnare Inglese di punto in bianco?

Non ci sarà da meravigliarsi se poi durante la

spiegazione del pensiero di Nietzsche scappa

la risatina dall’alunno che fin da piccolo ha

studiato inglese privatamente e mette in ridico-

lo il povero professore che per forza maggiore

e per non farsi sostituire da un altro professore

decide di buttarsi nell’avventura CLIL.

Una buona scuola la fanno gli studenti interes-

sati e i professori che insegnano con passione e

dedizione, la fanno il dialogo e il ragionamen-

to, il confronto e il dibattito, la serietà di uno

studente e la dignità di un professore. Una

buona scuola non ha bisogno di inventarsi pro-

fessioni.

Alessandra Buonaiuto IE

POLITICA Normativa CLIL: nasce una nuova professione

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Raid al Galiani: democrazia?

“Raid al Galiani, pugno duro sugli studenti”,

intitola La Repubblica del 17 gennaio rife-

rendosi alle sanzioni disciplinari imposte

dalla Dirigente Scolastica Armida Filippelli,

in seguito alla vandalizzazione dell’istituto

tecnico-economico Ferdinando Galiani du-

rante l’occupazione studentesca. La preside

ha deciso di sospendere 70 studenti per cin-

que giorni, obbligare i rappresentanti di clas-

se alle dimissioni e, oltre ad aver sospeso

per 15 giorni e ad aver messo 5 in condotta

ai rappresentanti d’istituto, ha imposto loro

anche di dimettersi e di non ricandidarsi, il

tutto poiché gli alunni “sono stati irresponsa-

bili, vanno educati al rispetto dei beni comu-

ni”. La Dirigente Scolastica sostiene comun-

que di essere “profondamente democratica”

e di non aver infatti denunciato nessuno stu-

dente. Di democrazia, però, c’è n’è ben po-

ca. Quando il Galiani è stato distrutto, si so-

no subito accusati gli studenti, come se l’oc-

cupazione fosse una condizione necessaria e

sufficiente alla vandalizzazione e alla razzia.

La cosa non è affatto scontata. Nei primi

mesi dell’anno scolastico molte scuole di

Napoli e provincia sono state distrutte o sac-

cheggiate senza alcuna occupazione: il liceo

Morante, il liceo Sbordone, l’Istituto Com-

prensivo Errico - Pascoli, l’Istituto Kant, il

liceo polispecialistico Alfonso Maria de’ Li-

guori, il liceo Labriola e il liceo Galileo Ga-

lilei, per citarne solo alcuni. Come si può

quindi sostenere che il saccheggio c’è stato

solo a causa dell’occupazione? Oltretutto è

la stessa preside ad ammettere che i danni

sono stati provocati da esterni, e che gli

alunni hanno una mera “responsabilità mo-

rale”. La preside sostiene di essere stata de-

mocratica poiché non ha denunciato nessuno

studente per aver impedito lo studio agli al-

tri.

Tuttavia non denunciare un reato è un altro

reato, detto “omessa denuncia da parte di pub-

blico ufficiale”. Se il reato c’è stato, la preside

sarebbe dovuta andare a denunciare gli studen-

ti che hanno occupato (in quanto studenti, e

non rappresentanti) per “interruzione di pub-

blico servizio” (art. 340 c.p) e avrebbe dovuto

attendere la decisione del giudice. Ma se la

preside non ha denunciato, bisogna supporre

che il reato non ci sia stato: cosa giustifica al-

lora parole e sanzioni così violente? Secondo

la Filippelli, si legge nell’intervista, i rappre-

sentanti “non rappresentano nessuno”. Direi

che, però, questa considerazione dovrebbe

spettare non al preside, ma a coloro che hanno

scelto di essere rappresentati da quei compa-

gni, e che li hanno democraticamente eletti. La

democratica Filippelli ha imposto però ai rap-

presentanti di dimettersi. Ma il dirigente di isti-

tuto ha facoltà di destituire la componente stu-

dentesca? Forse no, se la preside ha deciso non

di destituirli ma di obbligarli a dimettersi e a

non ricandidarsi. A questo punto, portando

all’estremo la questione, sorge una domanda:

siamo sicuri che la professoressa Armida Filip-

pelli non sia a rischio per due reati, ossia

“omessa denuncia da parte di pubblico ufficia-

le” (art. 361 c.p) e “minaccia” (art.612 c.p.), in

quanto in un primo momento non ha denuncia-

to coloro che era convinta stessero commetten-

do un reato, e in un secondo momento li ha

“minacciati di un ingiusto danno” (ingiusto,

poiché né nel regolamento di istituto, né in

nessun documento è sancito che il preside

Page 9: Urlo numero 1

9

possa destituire, o obbligare alle dimissioni,

i rappresentanti degli studenti)? Tutto questo

è forse un paradosso, che però fa di certo

intendere quanto sia al limite del giusto –

oltre che della responsabile funzione demo-

cratica - la posizione della dirigente del Ga-

liani. Il fatto che l’accaduto sia passato sotto

silenzio fa capire che questo non è un evento

a sé, ma è espressione di una diffusa volontà

che mira a eliminare l’attività critica degli

studenti e dei professori. Non bisogna infatti

dimenticare la violenta campagna stampa

contro le occupazioni che abbiamo letto su

quasi tutti i giornali e il fatto ad esempio che

l’assemblea dei presidi durante la quale si è

deciso di “colpire i collettivi” è stata svolta a

Napoli nella sede del maggior partito di go-

verno, governo autore del progetto “La buo-

na scuola” già discusso su queste pagine

(vedi l’intervista alla prof. Raiola nel nume-

ro precedente) e impegnato ora in una rifor-

ma della pubblica amministrazione dove

all’ordine del giorno è l ‘estensione anche al

comparto pubblico delle norme che rendono

possibili i licenziamenti. Questo significa

che anche i professori che manifestano pare-

ri e opinioni diversi da quelli che il sistema

chiede potranno essere facilmente intimiditi

grazie all’arma del licenziamento?

Lorenzo Pica Ciamarra IVA

Dopo la vittoria di “Syriza” in Grecia, e in at-

tesa delle elezioni in Spagna per le quali si pre-

vede una forte affermazione di “Podemos”, nel

resto d’Europa la sinistra radicale tenta di spe-

rimentare nuove forme di lotta e di opposizio-

ne alle politiche di austerità imposte dalla

Troika. L’intervista che segue offre un panora-

ma della situazione portoghese.

Qual è la situazione politica attuale in Porto-

gallo?

Il Portogallo attraversa una profondissima crisi

economica senza precedenti.

La crisi economica che flagella il Portogallo è

la crisi del modello politico.

La crisi dell’economia è anche la crisi della

politica, la crisi politica è anche la crisi della

democrazia. Il dibattito su questa crisi e le ri-

sposte che sono necessarie per affrontarlo sono

egemonicamente situate in un campo ideologi-

co abbastanza attaccato dalla produzione di un

inevitabile discorso relativo all’austerità, il

quale alcune volte tende a dimenticare e/o a

relegare in un secondo piano gli altri possibili

strumenti di analisi, capaci di influenzare il di-

battito politico relativo alle varie facce e alle

varie conseguenze di questa crisi. Tenta di fare

questo la sinistra portoghese, dalla social-

democrazia alla sinistra radicale, passando per

i sindacati e per i movimenti sociali. Essa però

si trova in difficoltà, non è abbastanza forte per

imporre un contro-movimento pronto ad aprire

un nuovo discorso sulla situazione di crisi e

sulle risposte politiche necessarie. Il tacito la-

scito della social-democrazia alle politiche di

austerità, l’incapacità della sinistra radicale nel

porre alternative credibili, la liturgia dei movi-

menti sociali tradizionali, portano ad una diffi-

cile riconfigurazione dello spazio politico di

sinistra.

Austerità in Portogallo: cause ed

effetti

Page 10: Urlo numero 1

10

Per questo la sinistra in Portogallo è fram-

mentata.

Cos’è e come nasce il “Bloco De Esquer-

da”?

Il “Bloco De Esquerda” nasce nel 1999, por-

tando in parlamento la prima volta che par-

tecipò alle elezioni due deputati. Nel 2009,

arriva ad essere la terza forza politica del

Portogallo con il 16% dei voti. Nel 2011 do-

po aver perso metà dei suoi parlamentari, ha

avuto un crollo improvviso. Attualmente, il

“Bloco” ha 8 deputati nel parlamento nazio-

nale e centinaia nelle municipalità.

Quale rapporto ha il “Bloco De Esquerda”

con partiti europei come “Syriza” e

“Podemos”?

Il “Bloco” mantiene una stretta relazione

con “Syriza”. Dal 2009 le relazioni tra il

“Bloco” e “Syriza” avvengono attraverso

scambi istituzionali e rispettivi scambi di

esperienze e collaborazioni.

Il “Bloco” è stesso gruppo parlamentare eu-

ropeo di “Syriza” e organizza varie iniziati-

ve con la partecipazione delle rispettive diri-

genze. Il “Bloco” partecipa in varie iniziati-

ve organizzate da “Syriza” e viceversa. La

relazione con “Podemos” è simile a quella

con “Syriza”, con lo stesso orientamento

strategico nella costruzione di convergenze

programmate a livello europeo, come faccia-

mo con i “Rosso-Verdi” danesi, Il “Die

Link” tedesco, e con il “Front Gaùche” fran-

cese.

Intervista a Mamadou Ba – Bloco De

Esquerda Lisbona.

Nicola Dieng IVE

Odio mosso da amore

“ma tu fai la cosa giusta

te l'ha detto quel calore

che ti brucia in petto è

odio mosso da amore

da amore guagliò”

Dalla canzone “Curre

curre guagliò” dei 99

Posse ho avuto l’idea

per il mio secondo arti-

colo su questo giornalino d’istituto. Non sono

un frequentatore assiduo di centri sociali e ma-

nifestazioni di protesta organizzate periodica-

mente (in maniera più frequente nell’autunno

caldo) né credo di avere una coscienza politica

alquanto affermata, ma l’idea di cambiamento,

in qualsiasi modo questo possa essere attuato,

a partire dal dialogo, mi riguarda e mi coinvol-

ge in particolare se riferito al sistema scolasti-

co e all’istruzione che negli ultimi anni è ber-

saglio prediletto degli organi di potere decisio-

nale.

Sono sempre più convinto, perché a poco a po-

co sempre più vicino alla realtà dei collettivi,

dell’importanza dello scendere in piazza in pri-

mis, del creare aggregazione e scambio di idee

e nell’interrogarsi individualmente nell’intento

di prendere una posizione nella realtà concreta

che ci circonda. Manifestare, esclusivamente

in maniera pacifica, è un modo non solo per far

sentire la propria voce, come tutti ormai sap-

piamo, ma anche per opporsi, tentare di contra-

stare, intraprendere una lotta nei confronti di

chi sta in alto e che fa i propri comodi senza

tener conto della nostra esistenza. Questa è una

lotta dettata da odio, che è però un odio co-

struttivo, perché mosso da amore verso se stes-

si e verso l’altro, per il meglio per se stessi e

per l’altro.

Gli studenti che prendono parte ai cortei fanno

leva sulla propria individualità per spalleggiare

Page 11: Urlo numero 1

11

quella degli altri e creare un gruppo attivo e consapevole, ben diverso dalla massa che si spoglia

dell’individualità dei singoli

lasciandosi governare dall’odio che a quel punto diviene irrazionale.

Non mancano però episodi in cui a prendere il sopravvento è la foga, l’euforia che spinge a

compiere gesti che vanno al di là delle ragioni e degli ideali alla base dei movimenti. Si verifi-

cano drammi dettati da un’incomprensione di fondo tra manifestanti e forze dell’ordine, tra giu-

stizia e potere, tra violenza e, appunto, odio mosso da amore. Drammi che non sono ignorati

affatto, anzi acquistano un valore esemplare non indifferente e di cui viene fata memoria per

arricchire e riempire il pozzo di collettività e intraprendenza di noi giovani socialmente impe-

gnati. Non a caso l’auletta autogestita del Vittorio Emanuele II, chiaro strumento di coesione e

coordinamento interno per gli studenti, è stata chiamata “Carlo Giuliani” in riferimento agli av-

venimenti di Genova 2001 in occasione del G8, quando durante una delle manifestazioni di dis-

senso dei movimenti no-global e di associazioni pacifiste seguita da scontri con le forze dell’or-

dine perse la vita questo ragazzo.

Alessandro Capasso IIIF

ATTUALITA’

Palestina, terra nullius

Ultimamente si sta sentendo molto parlare

di Palestina, della guerra in Palestina, dei

“terroristi” in Palestina. Capire esattamente

cosa stia accadendo non è facile, soprattut-

to perché i mezzi di comunicazione più dif-

fusi, come i telegiornali, non forniscono

informazioni sulle origini del conflitto ma

si limitano a riportare notizie parziali che

danno una visione distorta della realtà. Il

conflitto israelo-palestinese infatti non si

limita all’offensiva Margine Protettivo del

luglio 2014, ma ha radici ben più profonde.

Il 1948 è l’anno della proclamazione dello

Stato d’Israele, stato frutto dell’ideologia

sionista. Il sionismo è un movimento politi-

co nato agli inizi del millenovecento il cui

scopo è l’istituzione di uno stato di soli

ebrei.

Un ramo del sionismo, detto “territorialismo”,

voleva anche un luogo fisico per raccogliere

tutti gli ebrei del mondo, una patria. E quale

luogo migliore della Palestina, la “Terra pro-

messa”, la regione che, secondo la Bibbia, fu

promessa da Dio ai discendenti di Abramo,

gli ebrei? D’altronde i sionisti sostenevano

che la Palestina fosse “una terra senza popolo

per un popolo senza terra”, una terra nullius.

In realtà, la Palestina non era un deserto: il

popolo c’era. Era formato per la maggior par-

te da arabi musulmani, ma anche ebrei e cri-

stiani. L’idea di base per la fondazione del

nuovo stato, quindi, era la negazione dell’esi-

stenza del popolo palestinese. Il 1948 è allora

anche l’anno della Nakba, “la catastrofe”: la

cacciata di oltre settecentomila palestinesi

dalla loro terra, con annessa distruzione delle

Page 12: Urlo numero 1

12

loro case; chi riusciva a fuggire diventava

profugo, chi non riusciva o chi si ribellava

veniva ucciso. Sulle rovine dei villaggi fu-

rono costruiti insediamenti coloniali per gli

ebrei che sarebbero dovuti andare ad abita-

re quelle terre. Gli accordi internazionali

prevedevano la creazione dello Stato d’I-

sraele sul 55 per cento del territorio palesti-

nese, eppure Israele occupò ben più del 55

per cento. Ma la comunità internazionale,

pur a conoscenza di questa pulizia etnica,

non si oppose minimamente al volere di

Israele a causa dell’ancora caldo tema

dell’antisemitismo e dell’Olocausto.

Il peccato originale dello Stato d’Israele è

dunque quello di essersi insediato in un ter-

ritorio già abitato cacciando i nativi, con un

atteggiamento fin troppo simile a quello

delle colonizzazioni passate che oggi tanto

condanniamo, senza contare la sua ideolo-

gia nazista di pretendere uno stato di un’u-

nica etnia. Ma ancora oggi sono molti gli

stati che finanziano le guerre d’Israele e

nascondono i suoi crimini, soffermandosi

solo sulle reazioni del popolo palestinese.

Reazioni violente - d’altra parte è abbastan-

za difficile rispondere con fiorellini e gesti

di affetto a chi ti distrugge casa - che trop-

po spesso non vengono contestualizzate dai

media e appaiono insensate, ma che non

sono assolutamente paragonabili alla vio-

lenza con cui Israele continua ad occupare

e colonizzare territori con armi di una po-

tenza ben superiore a quelle palestinesi. Fa-

mosa la prima Intifada, in cui i palestinesi

hanno combattuto con semplici pietre lo

sproporzionato esercito israeliano.

Attualmente i territori rimasti palestinesi

sono solo Gerusalemme est, la striscia di

Gaza e la Cisgiordania, ma anch’essi sono

soggetti alle repressioni di Israele. Da dopo

l’ultima offensiva, Margine Protettivo, in

cui hanno perso la vita oltre duemila palestinesi

fra cui almeno cinquecento bambini e settanta-

due israeliani, sembra si stia muovendo qualco-

sa nella comunità internazionale: alcuni paesi

hanno riconosciuto l’esistenza dello stato pale-

stinese e hanno condannato le azioni di Israele.

Ma sono comunque ancora pochi gli stati che

appoggiano la causa palestinese. Il 31 dicembre

la risoluzione proposta all’ONU dal presidente

della Giordania, che prevedeva il ritiro dell’e-

sercito israeliano dai territori occupati entro il

2017 e un accordo di pace entro dodici mesi, è

stata bocciata con i due voti contrari di Stati

Uniti e Australia e cinque astensioni.

Mentre la comunità internazionale si prende

tempo e cerca di non infastidire troppo gli inte-

ressi di Israele, la vita nei territori palestinesi

continua, e non è facile. In occasione della sua

mostra fotografica presso il laboratorio occupa-

to SKA, ho potuto fare alcune domande a Rosa

Schiano, attivista dell’International Solidarity

Movement, per comprendere meglio le condi-

zioni di vita del popolo palestinese.

Qual è la situazione attuale nei territori palesti-

nesi? Dopo la fine dell’operazione Margine

Protettivo sono comunque tanti gli abusi israe-

liani nei territori occupati, e tante iniziano a es-

sere anche le ribellioni palestinesi. Potrebbe

essere l’inizio della terza Intifada?

La situazione è molto peggiorata dopo l’ultima

offensiva, Margine Protettivo. Interi quartieri di

Gaza sono stati sventrati, alcuni villaggi non

esistono più. A causa dell’assedio il materiale

da costruzione non può entrare, quindi la rico-

struzione non riesce a partire e ci sono ancora

almeno ventimila sfollati raccolti nelle diverse

scuole della striscia o nelle case delle famiglie

che li accolgono. Per la prima volta si sta veri-

ficando il fenomeno dell’immigrazione: centi-

naia di palestinesi sono scappati attraverso i

pochi tunnel che ancora esistono tra Gaza e

Israele oppure imbarcandosi. Un barcone con

Page 13: Urlo numero 1

13

cinquecento palestinesi a bordo che cerca-

vano di raggiungere la Sicilia è affondato,e

in quell’occasione ho perso anche delle

persone che conoscevo. Il popolo palestine-

se è da sempre un popolo resistente e deter-

minato, il fatto che abbiano preso la deci-

sione di affrontare un pericolo per fuggire

mostra il livello di esasperazione a cui sono

giunti. La parte orientale di Gerusalemme,

che è quella riconosciuta internazionalmen-

te come palestinese, è costantemente sotto

attacco da parte dei coloni israeliani; questa

è una chiara violazione del diritto interna-

zionale. Ultimamente si stanno verificando

aggressioni su cittadini o soldati israeliani

da parte di singoli palestinesi; sono gesti

estremi che mostrano la sofferenza in cui

vivono queste persone e che vi è una situa-

zione che sta per esplodere. Si parla di ter-

za Intifada, ma è difficile che si realizzi nel

momento che continua a esserci coopera-

zione fra la polizia palestinese e i militari

israeliani. C’è una repressione anche da

parte della polizia palestinese che vuole

evitare lo scoppio di un’Intifada. Tutti

identificano questi gesti di singoli come

Hamas. In realtà qual è il ruolo di Hamas in

questo momento? E quali sono i rapporti

con il governo della Cisgiordania?

Hamas è un movimento islamico, un parti-

to, così come esistono le altre organizza-

zione come Fatah e il fronte popolare della

liberazione della Palestina. I media fanno

questo gioco qui: attribuiscono le aggres-

sioni ad Hamas, ma forniscono una situa-

zione distorta di quella che è la reale situa-

zione. Ad esempio l’attentato nella sinago-

ga a Gerusalemme è stato realizzato non

da Hamas ma da due ragazzi del fronte.

Prima dello scoppio dell’ultima offensiva

si era raggiunto un accordo di unità nazio-

nale con il governo della Cisgiordania,

Fatah. Da dopo il rapimento dei due israeliani,

poi ritrovati morti, tutto è crollato. Ci sarebbero

dovute essere anche le elezioni palestinesi ma

pare che tutto avvenga affinché non ci siano né

queste né nessun processo democratico che

porti a un nuovo governo palestinese.

Perché la maggior parte dei paesi del mondo

rimane indifferente alle azioni criminose di

Israele?

Perché ci sono degli interessi economici troppo

forti. Ci sono accordi di cooperazione militare,

culturale, scientifica tra Israele e molti paesi

occidentali tra cui anche l’Italia. Gli interessi

economici sono più importanti delle vite uma-

ne.

Secondo il tuo punto di vista, quale può essere

la soluzione del conflitto?

Si parla tanto della soluzione dei due stati ma

attualmente questa soluzione non è possibile. Io

penso che l’unica soluzione di uno stato demo-

cratico in cui convivano tutti, arabi, ebrei, cri-

stiani come era all’inizio. Un unico stato demo-

cratico in cui vivere tutti in pace.

Virginia Papaleo VB

Page 14: Urlo numero 1

14

Attiviste siriane

Sembrava che questo 2015 fosse iniziato

nel peggiore dei modi per il nostro Paese,

che ha dovuto affrontare le terribili perdite

subite in seguito al naufragio del Norman

Atlantic ed assistere inerte alla richiesta

d’aiuto delle giovanissime Greta Ramelli e

Vanessa Marzullo, studentesse lombarde

che avevano deciso di prender parte al pro-

getto “Horryaty”, al fine di portare aiuto,

insieme ad altri organi di volontariato, in

Siria, terra martoriata dalla guerra.

Ma quella che avrebbe dovuto rappresenta-

re una “missione di pace” si è trasformata

in un incubo per le due ragazze, le quali

sono state rapite e tenute prigioniere per

circa cinque mesi, usate come merce di

scambio dal fronte Al Nusra, alleato di Al

Quaida, uno dei maggiori esponenti terrori-

stici del Medio-oriente.

Ricordiamo ancora i loro volti distrutti dal

terrore e dalla paura, avvolti da uno chador

nero, che imploravano aiuto al proprio Pae-

se nell’ultimo atto di un 2014 da dimenti-

care, dichiarando di essere in pericolo e

suscitando l’apprensione delle famiglie e di

tutti gli italiani. E chi avrebbe mai pensato

che, a distanza di così poco tempo, mentre

la Farnesina, ancora impegnata sul fronte

Marò in India, era occupata a risolvere

“l’ennesimo problema causato dai musul-

mani”, la Francia avrebbe dovuto affronta-

re quel nemico che porta il nome di TER-

RORISMO, un tornado devastante che in

poche ore ha spazzato via secoli di lotte per

i diritti inalienabili dell’uomo ed ha lette-

ralmente lacerato i principi fondamentali su

cui è fondata la maggior parte delle Costi-

tuzioni europee. Le prime pagine delle te-

state giornalistiche occidentali si è dedica-

ta, mostrando tutto il suo patriottismo, allo

scempio che si è consumato in quel

terribile 7 gennaio a Parigi e che ha riversato i

suoi effetti malefici su tutto il mondo, e nel

frattempo Al Nusra, in virtù della sua massima

riservatezza, ha concesso alle giovani attiviste

la libertà, con tanto di tweet su Al Jazeera.

Non è mancata la telefonata del Presidente del

Consiglio, il quale, dopo aver-erroneamente-

elogiato l’Italia per lo STRAORDINARIO la-

voro compiuto nel Mediterraneo-e aggiungerei

soprattutto tempestivo, dato che, effettivamen-

te, sarebbe potuta andar peggio, ma coi tempi

che corrono meglio vedere il bicchiere mezzo

pieno, anche se l’acqua è salata-ha voluto co-

municare alle famiglie Marzullo e Ramelli che

le loro figlie sarebbero tornate a casa sane e

salve, sottolineando il fatto che il nostro Paese

avrebbe superato l’accaduto con l’integrità che

lo caratterizza, senza sborsare neanche un sol-

do. Ma le convinzioni del nostro Premier e del-

la maggior parte del popolo italiano sono state

sgretolate da un articolo pubblicato sul giornale

“Il Fatto Quotidiano”, in cui sono state rese

pubbliche alcune intercettazioni che testimonia-

no l’esistenza di profondi legami tra le due cro-

cerossine italiane e alcuni gruppi molto vicini

ai jihadisti siriani.

Dalle stesse intercettazioni risulta che il nostro

Paese, ormai abituato a sotterrare i soldi dei

contribuenti in un esteso “orto dei miracoli”,

abbia versato circa 10 milioni di euro per libe-

rare le ragazze, le quali sono state elogiate co-

me eroine nazionali e dopo poche ore, in segui-

to alle indagini del ROS, accusate senza pudo-

re.

Alcuni hanno avanzato anche l’ipotesi truffa,

ritenendo una sceneggiata i cinque mesi di pri-

gionia affrontati dalle lombarde, una scusa per

spillare altri quattrini ad un Paese che già navi-

ga nell’oro.

Insomma, i motivi che hanno spinto due stu-

dentesse poco più che ventenni ad intraprende-

re una tale missione ci saranno per sempre

Page 15: Urlo numero 1

15

oscuri, come del resto le cause che spingo-

no-nonostante tutto-alcuni ragazzi italiani

ad entrare a far parte dell’ISIS et simila,

tuttavia risulta evidente dagli ultimi accadi-

menti l’incommensurabile debolezza del

nostro Stato, un’insignificante pedina nelle

mani del fato, disposta a versare

“mazzette” sottobanco pur di salvare l’ono-

re, o almeno quel poco che ne resta.

E ora inizia a diffondersi il terrore di un

nuovo attacco, in seguito anche alle dichia-

razioni dell’ISIS, che afferma

“Conquisteremo la vostra Roma, faremo a

pezzi le vostre croci, ridurremo in schiavitù

le vostre donne”

riferendosi-secondo alcuni- all’intero Occi-

dente cristiano.

Non sono mancate polemiche sull’attentato

del 7 gennaio né tantomeno sulla liberazio-

ne delle attiviste italiane, polemiche non

del tutto infondate, che hanno fatto luce sul

possibile trionfo dei partiti di estrema de-

stra in seguito ad un evento simile. Purtrop-

po non possiamo stabilire se si verifiche-

ranno altri attentati o meno, altri rapimenti-

pseudo missioni di volontariato, ma non

c’è di che preoccuparsi: l’Italia sarà sempre

pronta a fronteggiare qualsiasi tipo di situa-

zione…..COI NOSTRI SOLDI!

Raffaella Granata IF

Il virtuale che distrugge il sociale

“Questi media che chiamiamo social sono tut-

to fuorché sociali, quando accendiamo il com-

puter e chiudiamo la porta. Comunità, solida-

rietà, spirito di gruppo... Ma quando ti allontani

da questa illusione, ti svegli e vedi un mondo di

confusione. Un mondo in cui siamo schiavi del-

la tecnologia che abbiamo creato. Un mondo di

interessi personali, selfie, autocelebrazione, di

parole sistemate per far brillare le nostre vite,

in cui tutti condividiamo le nostre parti miglio-

ri, lasciando fuori l’emozione. Editiamo, esage-

riamo, ricerchiamo adulazione, fingiamo di non

notare l’isolamento sociale. Stare soli non è un

problema, leggiamo un libro, dipingiamo, fac-

ciamo esercizi, così saremo produttivi, presenti,

non riservati e reclusi. Siate svegli e attenti,

spendendo bene il vostro tempo. Quando siete

in pubblico e vi sentite soli, mani dietro la testa

e lontani dal telefono! Non fissate il menù o la

lista dei contatti, apritevi all’altro, imparate a

coesistere! Non sopporto il silenzio dei treni di

pendolari, nessuno parla per paura di sembrare

matto. Esplorate i dintorni, approfittate della

giornata, basta solo un incontro per fare la dif-

ferenza e creare il vostro futuro! Questo però

non può accadere, se siete troppo impegnati a

guardare in basso, non vedrete le opportunità

che perdete. Abbiamo una vita limitata, un cer-

to numero di giorni. Non passate la vita intrap-

polati nella rete, i risultati saranno solo rim-

pianti. In questo mondo digitale, in cui ci vedo-

no ma non ci sentono, parliamo digitando, leg-

giamo chattando, passiamo ore insieme senza

guardarci negli occhi. Non arrendetevi a questa

vita, date amore alla gente, non i vostri “mi pia-

ce”, disconnettetevi dal bisogno di essere ascol-

tati e definiti, uscite nel mondo, lasciate a casa

le distrazioni. Non guardate il telefono, spegne-

te il display. Vivete la vita vera…“

Siamo circondati da bambini che fin dalla

Page 16: Urlo numero 1

16

nascita ci vedono vivere come robot e pen-

sano sia normale. Non sarai il miglior pa-

dre del mondo se non sai intrattenere un

bambino senza un iPad. Smartphone e ta-

blet determinano l’isolamento sociale a

partire già dall’infanzia; ora i parchi sono

silenziosi, è impressionante, non ci sono

bambini, le altalene non dondolano, non si

salta la corda, non si gioca a campana, non

si costruiscono case sugli alberi.

Nove ragazzi su dieci sono connessi gran

parte della giornata e chattano con amici e

conoscenti coltivando le proprie relazioni

sociali dietro lo schermo di un computer o

di un contatto whatsapp. La tecnologia che

avanza permette ormai di guardarsi negli

occhi anche a chilometri e chilometri di di-

stanza, anche se di mezzo vi è l’oceano,

tramite videochiamate con l’uso di una

webcam, ma io sono del parere che il tra-

monto visto insieme dalla spiaggia abbia

un altro sapore e che le parole sussurrate

all’orecchio facciano più rumore di quelle

urlate attraverso un microfono o digitate

sulla qwerty che ormai tutti abbiamo stam-

pata in testa.

Al di là dei danni alla memoria e alla vista

che l’uso spregiudicato di strumenti tecno-

logici può causare, vi sono problemi presi

poco in considerazione e che riguardano la

quotidianità di noi ragazzi che quasi osses-

sionati dal virtuale trasportiamo esperienze

e sentimenti in un mondo che è tutt’altro

che reale. La sola idea di dover rendere

pubblici su blog o pagine Facebook le vi-

cende vissute in quei pochi momenti che

siamo immersi (a forza) nel piano della

realtà in un certo senso sminuisce quanto di

produttivo nasce da tale momenti e che do-

vrebbe riguardare interamente i giorni, le

settimane, gli anni di vita.

Di certo non va sottovalutato quanto la

tecnologia e la rete, consequenziale a questa,

hanno portato di buono, i vantaggi che derivano

indubbiamente dal poter restare in contatto con

persone dall’altra parte del mondo, ma è impor-

tante distinguere chiaramente tale tipo di rela-

zioni dalle relazioni “in carne ed ossa” a pochi

centimetri di distanza, in uno stesso ambiente,

che può davvero evidenziare la propria capacità

di rapportarsi col mondo, con gli altri, capacità

indispensabili ai fini di una vita sociale sana,

concreta e attiva.

Il nostro futuro dipende dalla voglia di uscire e

liberarsi dal virtuale, dalla voglia di rimboccar-

si le maniche e darsi da fare per superare le

proprie paure e i propri limiti, spesso inconsa-

pevoli, nell’incontrare l’altro.

Alessandro Capasso, IIIF

Page 17: Urlo numero 1

17

L’insulso feticismo del manuale

Lo studio ha oramai perso ogni carattere

critico; è divenuto un pappagalleggiare pe-

dissequamente il “verbo” del libro di testo,

un mero nozionismo privo di cognizione di

causa. Un approccio allo studio, questo,

che non solo è scevro di effettivo valore

formativo ma che sta anche portando alla

“santificazione” del manuale, ossia a una

sterile quanto anticritica e quasi religiosa

subordinazione di chi studia all’autorità di

chi degli Autori è soltanto interprete.

Il “feticismo del manuale” e l’attaccamento

morboso alla “paginetta” assegnata rispon-

dono a una precisa volontà di controllo e

standardizzazione della conoscenza: con-

corrono a sopire l’intuitività, la capacità di

analisi e di critica; a spegnere quella curio-

sitas ulissiaca che ci spingerebbe a varcare

le Colonne d’Ercole del sapere precostitui-

to — a superare, cioè, i limiti conoscitivi

che il “paragrafo” ci impone — nel tentati-

vo di andare al di là del superficiale eruditi-

smo.

A fronte della caleidoscopica polisemicità

dello scibile, il manuale propone un model-

lo di conoscenza limitato e univoco, una

visione interpretativa chiaramente unilate-

rale che spesso viene intesa come indiscuti-

bile dogma da assimilare: “studiare” dal

manuale senza criticità significa compiere

un vuoto esercizio mnemonico, alienante e

infecondo, privo di alcuna valenza nello

sviluppo individuale (se non addirittura

controproducente).

E’ dunque necessario, parafrasando un giu-

dizio di Paolo Rossi, “mettere da parte il

manuale” per “cominciare a lavorare diret-

tamente sulle fonti”, a riflettere sui testi

senza la mediazione dei “fiumi d’inchio-

stro” versati dalla critica; solo in questo

modo, ossia sviluppando uno spirito

critico, unito alle facoltà di comprendere, ana-

lizzare e interpretare autonomamente, possiamo

portare a termine il nostro “folle volo” verso la

“canoscenza” e la maturazione individuale.

Ma oramai — ed è questo il paradosso — la

lettura dei (pochi) riferimenti testuali antologiz-

zati nei manuali scolastici appare sempre più

spesso cosa collaterale e secondaria rispetto al-

lo “studio” dei paragrafi dedicati all’interpreta-

zione critica; qual è il senso? Sarebbe come

pretendere di giudicare la bontà di una frittura

mai assaggiata, di cui si conosce soltanto la de-

scrizione altrui … sarebbe come parlare di aria

fritta. Io, dal canto mio, la frittura l’ho mangia-

ta. E vi posso assicurare che è buonissima.

Raffaele Marrone III E

Page 18: Urlo numero 1

18

Napoli città aperta?

Napoli. Città di sole,mare,pizza,mandolino

e “ammore”.

Napoli. Città cosmopolita, multicultura-

le ,antirazzista.

Napoli. Napoli. Napoli. Già il suo nome ti

riempie la bocca. Ti riempie la bocca e l’a-

nimo di fierezza e contentezza. Ma può ca-

pitare,spesso, che ti faccia “piglià collera”.

E uno dice “perché?”.

Perché, purtroppo,Napoli non è solo que-

sto. Si nasconde dietro la bella facciata

dell’Erasmusland, della mostra di Andy

Warhol,dei ristoranti cinesi. Si nasconde

per scappare allo spettro dell’omofobia e

alla sempre più presente xenofobia.

Antirazzismo e xenofobia: due parole total-

mente in antitesi. Come è possibile acco-

starle? E’ possibile purtroppo nella società

attuale:si è divisi tra tolleranti e chiusi,due

fazioni (come guelfi e ghibellini) che sono

sempre pronte a farsi guerra,a menare

‘mazzate’.

L’emblema della “lotta” è la sentenza

emessa dalla magistratura napoletana: 10

anni di reclusione per i 3 uomini che, nel

giugno del 2009 a piazza Belli-

ni,circondarono e picchiarono un ragazzo,

incolpato soltanto di

essere gay.

I capi d’accusa sono “motivi futili e abiet-

ti” per sopperire ad una inesistente legge

contro l’omofobia.

“Ma fa nulla,c’arrangiamme l’importante è

che quelli se ne vanno a Poggioreale,poi

alla legge Renzi provvede”-sempre prima o

poi.

Ottobre 2014,un concentramento di poche

decine di persone si riunisce a via Scarlatti

per protestare contro le unioni civili. Il con-

centramento si dichiara apolitico

e aconfessionale.

Il concentramento si identifica nel nome Senti-

nelle in Piedi (dal web poi ribattezzato Femme-

nielli in piedi). Il concentramento è difeso da

uomini in divisa ma è attaccato da gente del

quartiere e dai “delinquenti” dei centri sociali. I

“dissidenti”

attaccano a “male parole” e con il lancio di

palloncini -non propriamente palloncini- e con

qualche uovo. Numerose testate di informazio-

ne virtuale hanno intervistato le sentinelle che

dichiarano molto

limpidamente: “Adamo ed Eva erano un uomo

e una donna”.Beh,viva l’aconfessionalismo. Le

stesse testate poi intervistano la controparte,

l’altro schieramento ideologico,quelli vestiti di

rosso, quelli che sono stati

accusati di non lasciare libertà di espressione e

pensiero a quei poveri venti o trenta bigotti che

lottano per il futuro di tutti i bambini del mon-

do civile. Perché se un bambino non avesse una

mamma e un papà, un maschio e femmina che

gli insegnano come campare, poi crescerebbe

malato, avrebbe una visione distorta della vita e

della società in cui si trova. Perché giustamente

loro si fanno promotori dei diritti dei bambini:

tanto basta mandare 1 euro al mese ai bimbi in

Africa o fare il 5X1000 alla chiesa cattolica af-

finché

ci si possa sentire tutti buoni benefattori.

I ragazzi dei collettivi,la comunità gay della

città,gli uomini e le donne dei comitati sociali

Page 19: Urlo numero 1

19

si sono dichiarati a toni estremamente forti

per esprimere il proprio dissenso a questa

protesta e hanno riconosciuto dietro le Sen-

tinelle una nuova forza di estrema de-

stra,per l’appunto Forza Nuova (e senza

voler trascendere in amenità e offese gra-

tuite,questi si sono poi dimostrati propria-

mente fascisti).

Novembre 2014, piazza Dante. Domenica

sera. Aggressione fisica a due ragaz-

zi,colpevoli di un bacio. Due punti di sutu-

ra al Pellegrini, denuncia in caserma Pa-

stregno e poi a casa.

Dopo poco più di una settimana il centro

storico si mobilità “pecché mò bbasta”: fla-

shmob per i due ragazzi.

Lo battezzano “kiss me day”: etero e omo-

sessuali sono liberi di baciarsi davanti a te-

lecamere e macchine

fotografiche perché siamo in un mondo li-

bero e tutti esigiamo di vivere LIBERI.

Mara Cavallo IC

Otium et negotium

L’arte della felicità

“Venite qui a confidarmi le cose che sono im-

portanti per voi, a raccontarmi le vostre storie, i

vostri drammi e poi ve ne andate. E allora io

dico: ma chi cazzo siete, anime dannate, fanta-

smi? Mi avete preso per il vostro specchio? Vi

siete chiesti chi cazzo sono io? Ditemi, che me

ne frega a me delle vostre storie se poi ognuno

se ne va per i cazzi suoi?

Vaffanculo. Vaffanculo a quelli che si sfogano

con me e poi di me non gliene frega un cazzo

[…] e poi mi venite a fare discorsi sull’umanità

malata … voi siete l’umanità malata!”.

Doveva sfogarsi, Sergio.

Da troppo tempo porta a spasso nel suo taxi

storie che non sono le sue. Ascolta, dà consigli,

ma soprattutto: ascolt a.

Storie singolari, storie poco conosciute, ma sto-

rie di persone che, alla fine, questa felicità o

perlomeno un barlume di questa felicità l’han-

no trovato. Hanno saputo fare di questa felicità

un’arte, la propria arte.

E Sergio? Che ne ha fatto della sua felicità? E’

sfumata nei clacson assordanti di una Napoli

chiassosa , sporca, sommersa da musica e im-

mondizia, oppure c’è ancora?

La risposta è nei suoi occhi blu come il mare,

occhi profondi, occhi che non mentono, occhi

che nascondono.

Felicità era chiacchierare con zio Luciano,

ascoltare le sue storie, imparare da lui ad addo-

mesticare i ricordi, fantasticare sul segreto per

ottenerla quella felicità e poi sentirsi ripetere da

troppi anni: “… ma se te lo dicessi non sarebbe

un segreto”, quando invece zio Luciano ne

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sapeva quanto lui.

Felicità era suonare con il fratello Alfredo,

era far scivolare quelle dita lungo i tasti del

pianoforte e lasciare i clacson , le parole,

tutto il resto del mondo semplicemente

“fuori”. Era litigare con lui, crescere insie-

me a lui, sbatterci la testa perché in fondo

erano uguali, erano (come si definiranno da

soli) “vasi comunicanti”, legati sia nel bene

che nel male.

E poi la malattia, la scelta di Alfredo di

partire e di passare gli anni che gli restava-

no da vivere lontano, in Tibet, da monaco

buddista, di lasciare la musica e di lasciare

Sergio, per cercare di vivere quel presente

che gli restava. Non temeva la morte, erano

gli altri che la temevano per lui. Alfredo

non pensava “sto per morire”, ma si ripete-

va “sono stato vivo” e questo faceva la dif-

ferenza.

Ma Sergio era troppo arrabbiato. Come un

Danny Boodman T.D. Lemon Novecento si

ostinava a non voler affrontare il mondo e

ad essere “se stesso” solo sulla sua nave,

così Sergio era ancorato a quella gabbia

dorata che era diventato il suo taxi: si era

convinto di non voler camminare più con i

suoi piedi. Era diventato un “involucro”;

conservava gioie, dolori, aspettative e lacri-

me altrui, mentre sotterrava le sue sotto i

sedili, altrove. Ormai era pieno zeppo della

“realtà che non si scostava neanche di un

centimetro dai discorsi della gente, ma so-

prattutto di questi discorsi che non sposta-

vano neanche di un centimetro la realtà” e

che sarebbero stati soltanto altra immondi-

zia da aggiungere ad una città alla deriva.

Era questa l’umanità malata.

Film d’animazione, capolavoro ed esordio

di Alessandro Rak e vincitore degli Euro-

pean Film Awards , “l’arte della felicità” è

una poesia fatta “cartone”, una poesia che

si rispecchia nelle

canzoni, nello scena-

rio, nei personaggi.

Da una cantante tor-

mentata che non tro-

va la sua strada, ad

un “collezionista in-

callito” di cose vec-

chie e buttate che,

stanco del consumi-

smo, ha fatto del ri-

ciclo un’arte, ad

un’anziana donna un

po’ sboccata e con il grande fardello di essere

cresciuta senza affetti fraterni, alla grande per-

sonalità di uno speaker radiofonico enigmatico

e tristemente realista …

Tutti si sono rifugiati in quel taxi un po’ sgan-

gherato. Ma la musica, l’arte, l’amore, la pas-

sione erano” fuori” e questo

Sergio, dopo tante frenate brusche,l’ha capito

perché, citando lo speaker: “.. finché i musicisti

non scendono dal taxi, finché i poeti servono ai

tavoli, finché gli uomini migliori lavorano al

soldo di quelli peggiori... la strada corre dritta

verso l'Apocalisse!". E lui quell’Apocalisse l’a-

veva sfiorata, il taxi era stato la prigione della

sua anima, ma l’anima non può essere rinchiu-

sa. L’infelicità, la morte, colgono all’improvvi-

so. Doveva smetterla di vivere bloccato nel

passato con il rimorso di quello che sarebbe po-

tuto essere e non voler affrontare il futuro per

l’ansia di quello che sarà: Sergio, come

l’umanità, aveva soltanto bisogno di parcheg-

giare, di smettere di girare e di ritrovare la mu-

sica più bella, quella che aveva dentro. “Un

pensiero felice vale come un pensiero triste. La

tristezza te la danno per poco, ma pure la felici-

tà non costa nulla. Allora, tu che scegli?”.

Sara Gemma IIA

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La solitudine dei numeri primi

E' prevalentemente attraverso il romanzo

che il lettore si sente coinvolto e partecipe

di una realtà che spesso coincide con la

propria, o che, quantomeno, si avvicina

molto ad essa; dunque, è attribuibile a que-

sta caratteristica il notevole successo che

tale genere letterario ha riscosso negli anni

e continua a riscuotere: il lettore si imme-

desima nei personaggi e ne vive le vicissi-

tudini, riflettendo su temi ed aspetti di tipo

sociale o psicologico. Ed è sul tema dell'in-

comunicabiltà che si sofferma Paolo Gior-

dano ne "La solitudine dei numeri primi",

partendo dal piano dell'intimità e quindi

attraverso l'introspezione psicologica, per

poi arrivare ad analizzarne, seppur implici-

tamente, le cause e le conseguenze a livel-

lo sociale. I due protagonisti, un uomo e

una donna, ripercorrono le varie tappe della

loro vita, dall'infanzia all'età adulta, pas-

sando per un'adolescenza travagliata che li

plasma e segna fortemente e ne condiziona

le scelte di vita. Lui, un matematico prigio-

niero di un dogmatismo "rischioso", che lo

porta, addirittura, ad attribuire alle proprie

vicende personali proprietà e fenomeni ma-

tematici - basti pensare al titolo del roman-

zo - e lei, ancora in cerca di se stessa e del-

le proprie capacità; dunque, da una parte la

certezza scientifica ed un'apparente irremo-

vibilità d'animo, dall'altra l'evidente insicu-

rezza di una giovane donna che ancora non

ha trovato il proprio posto nella società.

Seppure tanto diversi, i due, conosciutisi in

giovanissima età, paiono legati da un senti-

mento forte che, tuttavia, non riesce mai ad

unirli veramente.

Proprio come numeri primi, non riescono

mai a toccarsi, sempre vicini eppure inter-

vallati da altri numeri: le circostanze mosse

dal fato, le esigenze lavorative e le scelte

personali li vedono

avvicinarsi ed allon-

tanarsi in continua-

zione, originando un

gioco di passioni e

tormenti che pare

non concludersi

nemmeno alla fine

del romanzo, crean-

do nel lettore un

senso di indetermi-

natezza ed incom-

piutezza. L'impossi-

bile, o quantomeno ostacolata, comunicazione

fra i due protagonisti è stata percepita dalla cri-

tica come lo specchio di una società che va

sempre troppo di fretta e non si preoccupa più

della vera comunicazione fatta di rapporti ge-

nuini: dunque, in una realtà, quella contempo-

ranea, in cui gli sviluppati mezzi di comunica-

zione continuano a migliorare la vita di ogni

giorno, ci si chiede se tale condizione di giova-

mento non sia, in realtà, un'arma a doppio ta-

glio che vede l'emergere di una comunicazione

sempre più frammentaria, scordinata ed incom-

pleta, deleteria nei confronti di un sistema di

rapporti più concreto e tradizionale.

Il romanzo, che ha determinato il successo del

giovane scrittore Paolo Giordano, si pone, dun-

que, come l'interpretazione e l'analisi di un

aspetto caratterizzante della realtà odierna, vi-

sto attraverso le sensazioni, le emozioni ed i

sentimenti di due giovani in cui è facile imme-

desimarsi e con cui il lettore crea subito un for-

te legame; romanzo, quindi, che senz'altro spie-

ga il crescente consenso da parte del pubblico

nei confronti di tale genere letterario, un pub-

blico che ha voglia di scoprire e di scoprirsi,

che esige situazioni ed immagini reali, corri-

spondenti alla realtà che ci circonda e che fa di

noi proprio ciò che siamo.

Sara Rosa Napolitano III B

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Le perle di Guttalax

Durante una spiegazione di matematica:

Prof: “non so più in che lingua devo spiegarvi queste cose… in Turchese per caso?!”

Un prof. parlando con un alunno:

Prof: “ecco: ti riporto l’esempio di un altro mio alunno che, non per fare nomi, ma si

chiama Simone come te.”

Una prof. rimprovera l’alunno:

Prof: “tu crei campi di ignorantità!”

Un prof. si rivolge alla classe:

Prof: “ragazzi in questa classe mi sento impotente…”

Durante un rimprovero alla classe:

Prof: “io qui non sto ad insegnarvi la leggenda di Romolo e Remolo!”

Durante l’ora di educazione fisica:

Prof: “sollevate la coscia, che si chiama davvero coscia e non è un termine napoleta-

no!”

NOTA DELLA GRAFICA:

Il numero è stato preparato dai grafici della redazione dell’Urlo in un tempo record di

quattro ore. Ci scusiamo pertanto per l’eventuale presenza di errori di impaginazione o

per una non gradevolezza all’occhio. Faremo di certo di meglio per il prossimo numero

Alessandra Centore

Lorenzo Pica Ciamarra

Claudia Sarracino