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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI
“M.FANNO”
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA
PROVA FINALE
“I COSTI DI AGENZIA DEL DEBITO E LE SCELTE DI STRUTTURA
FINANZIARIA DELLE AZIENDE”
RELATORE:
CH.MO PROF. Amedeo Pugliese
LAUREANDA: Ilenia Caleffi
MATRICOLA N. 1089989
ANNO ACCADEMICO 2016 –2017
2
INDICE - SOMMARIO
INTRODUZIONE .................................................................................................................... 3
CAPITOLO I. I COSTI DI AGENZIA NELLA DETERMINAZIONE DELLA
STRUTTURA FINANZIARIA……………………..………………………………………..5
1.1. L’affermazione dell’agency theory .................................................................................. 5
1.2. Le asimmetrie informative e l’opportunismo delle parti ................................................. 8
1.2.1.Azzardo morale .......................................................................................................... 9
1.2.2. Selezione avversa .................................................................................................... 10
1.3. Le determinanti della scelta della struttura finanziaria .................................................. 12
1.3.1. I Benefici fiscali e costi del dissesto ....................................................................... 13
1.3.2. I Costi di agenzia di equity e debito ........................................................................ 13
CAPITOLO II. I MODELLI DI CORPORATE GOVERNANCE E IL TRADE-OFF
EQUITY-DEBT ...................................................................................................................... 16
2.1. Il Contesto di riferimento ............................................................................................... 16
2.2. I Modelli di governance banco-centrico e mercato-centrico ......................................... 18
CAPITOLO III. I COSTI DI AGENZIA DEL DEBITO E POSSIBILI RIMEDI ......... 23
3.1. I costi di agenzia del debito ........................................................................................... 23
3.1.1. Asset substitution .................................................................................................... 24
3.1.2. Debt overhang ......................................................................................................... 29
3.2. Le possibili soluzioni al problema del monitoraggio del debito .................................... 32
CONCLUSIONI……………………………………………………..…………………..…..35
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................... 37
3
INTRODUZIONE
Ci sono numerose teorie che tentano di spiegare la struttura finanziaria di un’impresa, nessuna
di esse da sola giunge ad una risposta ma tutte contribuiscono a spiegarne qualche aspetto. In
questo lavoro, ho voluto volgere la mia attenzione su di una teoria in particolare, cioè la teoria
dell’agenzia, ed in particolare sul contributo di questa alle scelte di struttura finanziaria delle
aziende.
Il rapporto di agenzia è quello che si instaura tra due soggetti, nel quale uno (principale)
obbliga l’altro (agente) a ricoprire per suo conto una data mansione.
Esistono due principali rapporti di agenzia all’interno dell’azienda, quelli tra azionisti e
managers e quelli tra managers e creditori. Il primo sarà presente maggiormente in aziende
con un azionariato diffuso in cui quindi la proprietà è frammentata in un gran numero di
azionisti di piccole dimensioni. Il secondo è presente nelle aziende che utilizzano in misura
maggiore il debito per finanziarsi, in questi casi, gli interessi di azionisti e managers, tendono
ad allinearsi e il rapporto opportunistico che pesa per la maggiore per le scelte di struttura
finanziaria è quello tra managers/azionisti e creditori.
Per arrivare a questo problema comincerò nel capitolo 1 parlando dell’affermazione della
teoria dell’agenzia. Perché ci sia un problema di opportunismo all’interno di un rapporto di
agenzia è necessario prima di tutto che gli interessi dei due soggetti siano divergenti e poi che
ci siano delle asimmetrie informative tra i due. Nel primo capitolo quindi, mi concentrerò
anche su di quest’ultimo aspetto, spiegando e facendo qualche esempio sui due fenomeni
principali causati dalle asimmetrie informative e quindi azzardo morale e selezione avversa.
Attraverso un esempio di selezione avversa arriverò a spiegare una prima teoria sulla struttura
finanziaria, cioè la teoria dell’ordine di scelta. Successivamente farò una piccola introduzione
su di un’altra teoria ritenuta molto importante, cioè quella del trade-off tra i benefici fiscali
del debito e i costi del dissesto che un eccessivo debito comporta e per finire parlerò
dell’influenza della teoria dell’agenzia nelle scelte di politica finanziaria. Mi limiterò a parlare
dei costi di agenzia di equity e debito, senza scendere nel dettaglio e rimanderò al capitolo 3
per un migliore approfondimento e qualche esempio di questi ultimi.
Oltre alle teorie sulla struttura finanziaria, ci sono altri fattori legati ai sentieri di sviluppo
storico e alle caratteristiche dell’azienda che ne influenzano la struttura finanziaria. Questo è
il tema su di cui concentrerò la mia attenzione nel secondo capitolo. Vedremo che, in
generale, in Italia il tasso d’indebitamento è più elevato. Il sistema italiano è un sistema
prettamente banco-centrico, è ragionevole quindi pensare che si manifestino maggiormente
4
problemi nel rapporto tra managers e creditori piuttosto che tra managers e azionisti. Questo è
uno dei motivi per cui in questo lavoro, parlando dei costi di agenzia, mi sono voluta
concentrare maggiormente sui costi di agenzia del debito rispetto a quelli “classici”.
Nel capitolo 3 infatti parlerò dei principali costi di agenzia del debito, che si possono
riassumere in due fenomeni: asset substitution e debt overhang. Il primo fa riferimento alla
possibilità che il debito porti i manager a scegliere alternative di investimento più rischiose
ma non necessariamente più remunerative, mentre il secondo è il problema opposto, cioè del
rischio che il debito porti a rinunciare ad alternative di investimento profittevoli, e il motivo è
che i benefici ricadrebbero solo sui creditori e non anche sugli azionisti.
Chiuderò il capitolo proponendo qualche soluzione al problema di un debito eccessivo e dei
costi di agenzia che esso comporta.
5
CAPITOLO I. I COSTI DI AGENZIA NELLA DETERMINAZIONE
DELLA STRUTTURA FINANZIARIA
1.1. L’affermazione dell’agency theory
La letteratura è solita attribuire l’emergere della teoria dell’agenzia a Berle e Means e al loro
libro “The modern corporation and Private Property” (1932); ci fu un altro autore però che,
prima di loro individuò il problema della separazione tra proprietà e controllo. Già in “The
Wealth of Nations” infatti, Adam Smith si mostra consapevole di questo problema. Nella sua
opera sostiene che i dirigenti di società, una volta chiamati a gestire il denaro di altre persone,
non si dedicheranno a tale attività con la stessa “anxious vigilance” con cui agirebbero gli
stessi soggetti nell’amministrazione del proprio denaro. Nella gestione di tali attività, afferma,
negligenza e sprechi saranno sempre presenti.1 Questa, la prima evidenza in letteratura della
presa di coscienza riguardo al tema dell’opportunismo nei comportamenti dei soggetti
chiamati ad agire nell’interesse di qualcun altro.
Come già anticipato, questo stesso tema fu poi ripreso ed ampliato da Berle e Means. I due
autori, affascinati dal fenomeno della grande impresa che ritenevano “rivoluzionario nei suoi
effetti”2 condussero uno studio sulle più grandi aziende statunitensi del tempo e dimostrarono
come la proprietà azionaria fosse sempre più frammentata tra i vari azionisti. Indagarono poi
sulle conseguenze della separazione tra proprietà e controllo ed arrivarono alla conclusione
che quando le imprese crescono di dimensione e il numero degli azionisti aumenta, il
guadagno per i dirigenti deriva più dalla loro qualifica di dirigenti che dagli utili che gli
spettano per il loro investimento in capitale nell’azienda. Con le parole degli autori: “the
owners most emphatically will not be served by a profit seeking controlling group”3, (cioè, i
proprietari verranno “serviti” da un gruppo di controllo che non ricerca la massimizzazione
dell’utile per l’azienda, in poche parole; gli interessi di direttori e manager divergono da quelli
dei proprietari).
Altro importante contributo ci viene dato da Coase nel suo articolo “the nature of the firm”
(1937) in cui la sua concezione dell’azienda come “boundle of contracts” pone le basi per due
1 “The directors of such companies (…) being the managers rather of other people’s money than of their own, it cannot well be expected that they should watch over it with the same anxious vigilance with which the partners in a private copartnery frequently watch over their own. (…) Negligence and profusion, therefore, must always prevail, more or less, in the management of the affairs of such a company.” Smith, 1776. The Wealth of Nations, p. 700 2 Berle, Means,1932. The modern Corporation and private property, P. 3 3 Berle, Means, op. cit. P. 114
6
importanti teorie: la Agency Theory e la Property Right Theory (Parbonetti, 2006). Oltre alla
concezione dell’impresa come nesso di contratti, ci sono altri due assunti, che saranno poi alla
base della teoria dell’agenzia, su cui l’autore volge la sua attenzione. Il primo è l’incertezza o,
se vogliamo, la razionalità limitata dei soggetti; Coase (1937), riprendendo le parole di Frank
H. Knight ci presenta due situazioni differenti e ci spiega quello che succederebbe in presenza
e in assenza di incertezza. Riferendosi ad un sistema privo di incertezza afferma che per ogni
individuo in possesso di una perfetta conoscenza della situazione “there would be no occasion
for anything of the nature of responsible management or control of productive activity. Even
marketing transactions in any realistic sense would not be found. The flow of raw materials
and productive services to the consumer would be entirely automatic”4 Sempre in questa
situazione si immagina poi che ogni lavoratore faccia quello che c’è da fare nel momento in
cui bisogna farlo in una sorta di ‘pre-established harmony’”. Poi Coase fa riferimento alla
presenza di incertezza e a quello che cambia riguardo allo svolgimento delle attività; “With
the introduction of uncertainty-the fact of ignorance and the necessity of acting upon opinion
rather than knowledge- […] the actual execution of activity, becomes in a real sense a
secondary part of life; the primary problem or function is deciding what to do and how to do
it.”5 Altro assunto che viene trattato da Coase e che pone le basi per uno studio più
approfondito del fenomeno dell’agenzia è quello della relazione tra “Master and servant” o tra
“datore di lavoro e dipendente”. Coase sottolinea i due punti che secondo lui sono essenziali
in questo rapporto cioè che il dipendente deve essere disposto a prestare servizio al capo e che
il capo ha il diritto di controllare l’operato del dipendente personalmente o tramite l’aiuto di
un altro agente.
Numerosi altri autori si sono poi occupati di questo tema, si distacca però il contributo di
Jensen e Meckling (1976) a cui si deve l’elaborazione della definizione della relazione di
agenzia che usiamo ancora oggi. Secondo le loro parole, il rapporto di agenzia è “un contratto
in base al quale una o più persone (il principale) obbliga un’altra persona (l’agente) a ricoprire
per suo conto una data mansione, che implica una delega di potere all’agente”6. La
definizione è molto generale e comprende qualsiasi situazione in cui una persona delega
un’azione ad un’altra, i due autori però, nell’elaborazione di questa teoria fanno esplicito
riferimento al rapporto che si instaura tra top management e proprietari, siano essi azionisti o
creditori, di un’organizzazione.
4 Knigt “Risk, uncertainty and profit” In Coase, 1937. The nature of the firm. P. 399 5 Knigt, In Coase, op. cit. 6 “a contract under which one or more person (the principal/s), engage another person (the agent) to perform some service on their behalf, which involves delegating some decision-making authority to the agent” Jensen, Meckling, 1976. “Agency cost and the theory of the firm”, p. 308
7
Tra queste due classi di soggetti esiste una divergenza di interessi e, come in tutti i casi in cui
gli interessi di chi delega sono divergenti da quelli del delegato, è molto probabile che si
arriverà a situazioni sub-ottimali; usando le parole dei due autori; “se supponiamo che
entrambe le parti tentino di massimizzare la propria funzione di utilità, c’è buona probabilità
di credere che l’agente non si comporterà sempre nell’interesse del principale.”7
Il principale problema diventa quindi quello di indurre l’agente, cioè il manager, ad agire
nell’interesse del preponente, l’azionista. Per fare ciò, gli azionisti metteranno in atto una
serie di azioni che possono andare dalla semplice sorveglianza sull’operato dei manager fino
ad arrivare ad un sistema di incentivi che possa limitare l’effetto di comportamenti
opportunistici. Tutte queste azioni rappresentano dei costi che vengono appunto definiti da
Jensen e Meckling (1976) i costi di agenzia e sono la somma di:
1. Costi di sorveglianza, che comprendono oltre all’osservazione dei comportamenti
dell’agente anche tutti gli sforzi da parte del principale per controllare l’operato dell’agente
mediante incentivi e compensazioni.
2. Costi di obbligazione (bonding cost) che vengono sostenuti dall’agente per garantire
che non metterà in atto comportamenti che possano danneggiare il principale e per
rassicurarlo che se questo dovesse succedere, la sua perdita (del principale) verrà compensata.
3. Perdita residua; cioè la differenza tra il valore dell’impresa che si avrebbe se l’agente
si comportasse veramente in modo da massimizzare l’utilità per il principale e il valore
dell’impresa che si determina in seguito all’effettivo comportamento messo in atto
dall’agente.
Un altro motivo per cui il lavoro di Jensen e Meckling è importante è che questi autori fanno
una prima e importante distinzione tra due tipologie di costi di agenzia, quelli dell’equity, o
del capitale proprio, e quelli del debito, dedicando una parte del loro lavoro a spiegarne le
caratteristiche e le differenze.
Questo loro approfondimento diventerà una fonte importante per i successivi studi relativi alla
scelta della struttura finanziaria in base alla teoria del trade-off, secondo cui, in presenza di un
mercato di capitali non perfetto (non vale quindi il teorema di Modigliani e Miller8) è
necessario trovare il livello di indebitamento ottimale che corrisponde al punto che eguaglia i
benefici marginali del debito ai costi marginali.
Vengono infatti inclusi i costi di agenzia del debito e i costi di agenzia dell’equity
nell’equazione della teoria del trade-off originaria che bilanciava solamente i benefici
7 Jensen, Meckling, op. cit. 8 Teorema che afferma l’irrilevanza della struttura finanziaria nella determinazione del valore dell’impresa.
8
finanziari del debito derivanti dallo scudo fiscale degli interessi con i costi del dissesto
finanziario connessi al debito.
1.2. Le asimmetrie informative e l’opportunismo delle parti
La teoria economica tradizionale assume che tutti i soggetti siano dotati di razionalità
assoluta9, che siano in possesso delle stesse informazioni e che queste siano complete. Sulla
base di queste ipotesi si pensava che i soggetti, in possesso della sola informazione del prezzo,
mossi dall’opportunismo personale ricercassero la massimizzazione del loro benessere e che
di conseguenza, il raggiungimento del benessere personale avrebbe portato a massimizzare
anche il benessere di tutta la società.
L’ipotesi di informazione completa era anche alla base di un’altra teoria, quella di Modigliani
Miller sull’irrilevanza della struttura finanziaria. Sappiamo ora che solo in un mondo ideale
sarebbe possibile arrivare ad avere informazioni complete e simmetriche tra i vari soggetti,
infatti la realtà si caratterizza per la presenza di asimmetrie informative (come già accennato),
cioè delle differenze nelle informazioni che hanno a disposizione gli individui, in particolare
nelle transazioni organizzative o di mercato.
Ad esempio, nel momento in cui una persona richiede un prestito, essa è a disposizione di più
informazioni riguardo alla sua reale possibilità di poterlo ripagare rispetto a chi, questo
prestito, lo deve concedere. Esempio analogo può riguardare un’azienda che desidera
finanziarsi tramite debito e che è con molta probabilità in possesso di informazioni più
dettagliate rispetto alla banca che deve concederglielo. I manager di un’azienda sono più
informati riguardo al suo andamento e ai suoi flussi di cassa futuri rispetto agli azionisti, i
clienti che sottoscrivono un’assicurazione sono più consapevoli del loro rischio di avere un
incidente rispetto alle compagnie assicurative, e gli esempi potrebbero seguire, in quanto la
presenza di asimmetrie informative riguarda tutte le transazioni economiche.
Per quanto concerne il rapporto di agenzia, le asimmetrie informative sono a favore
dell’agente (il manager) che dispone solitamente di più informazioni rispetto al principale (il
proprietario, che sia azionista o che sia creditore dell’azienda). Il soggetto che dispone di più
9 A tal riguardo un nuovo filone di studi, quello della finanza comportamentale, afferma che alcuni fenomeni finanziari si possano spiegare con il fatto che gli agenti economici non agiscano con razionalità assoluta ma che vengono fatti trasportare dagli avvenimenti, diventa importante il market timing nella definizione della struttura finanziaria; “a periodi di euforia nei mercati borsistici corrisponde un maggior numero di emissioni azionarie (aumento dell’equity e riduzione del leverage); e, viceversa, a periodi di “orso” in Borsa corrisponde un maggior numero di operazioni di riacquisto di azioni (riduzione dell’equity e aumento del leverage).” Maurizio la Rocca, 2005. “Corporate governance, struttura del capitale e valore.”
9
informazioni è avvantaggiato però colui che ne ha meno, ne è consapevole e in base a questo
orienta i suoi comportamenti.
Le asimmetrie informative possono essere quindi fonte di comportamenti opportunistici da
parte del soggetto più informato; esse infatti vengono utilizzate dai manager a loro vantaggio
generando due problemi: la selezione avversa (opportunismo ex ante) e l’azzardo morale
(opportunismo ex post).
1.2.1. Azzardo morale
L’azzardo morale è il comportamento opportunistico che viene messo in atto ex-post cioè una
volta che il contratto tra due parti è già stato concluso. L’asimmetria informativa può essere
come può non essere presente nel momento di stipulazione del contratto ma di sicuro si
manifesterà successivamente. Perché sia possibile ricorrere all’azzardo morale infatti, è
necessario che una parte possa compiere azioni senza che l’altra parte ne venga a conoscenza
oppure possa accedere ad informazioni che l’altro soggetto non ha.
Il fenomeno del Moral Hazard è facilmente riscontrabile in ambito assicurativo. Ad esempio
una persona potrebbe sottoscrivere una polizza e, successivamente recarsi da sé un danno in
modo da poter così ricevere il denaro da parte della compagnia assicurativa. Una possibile
soluzione al problema potrebbe essere quella di fornire solo contratti di assicurazione parziale,
così l’assicurato avrà un incentivo per utilizzare una maggiore prudenza in modo da evitare
l’incidente (Arnott, Stiglitz, 1991).10
Un altro esempio di una situazione in cui si potrebbe verificare il fenomeno dell’azzardo
morale potrebbe essere quello di un’azienda che richiede un finanziamento ad una banca per
la realizzazione di un progetto. L’azienda illustra il progetto alla banca nella maniera migliore
possibile rendendola partecipe dei rendimenti attesi e del rischio specifico dell’investimento.
La banca accetta ed eroga il finanziamento scegliendo il tasso di interesse che ritiene più
opportuno solo che poi l’azienda utilizza quel denaro per finanziare altri progetti con un
rischio specifico molto più elevato. Questo comportamento opportunistico messo in atto
dall’azienda ex-post è conseguenza del fatto che c’è una certa difficoltà da parte della banca
nel controllare come vengano utilizzati di preciso i suoi investimenti. La soluzione a questo
problema potrebbe essere quella di condurre un lavoro di monitoraggio sui finanziamenti che
questa eroga, una soluzione che però ovviamente porta dei costi.
10 “One way the market responds to moral hazard is to provide only partial insurance, since then individuals still have some incentive to take care to avoid the accident”, Arnott, Stiglitz,1991. “Moral Hazard and Nonmarket Institutions: Dysfunctional Crowding Out of Peer Monitoring?”, p. 179-190
10
1.2.2. Selezione avversa
Anche il fenomeno della selezione avversa deriva da un problema di asimmetria informativa
solo che a differenza dell’azzardo morale, la selezione avversa è il comportamento
opportunistico messo in atto dal soggetto nella fase iniziale di stipulazione del contratto. La
selezione avversa presuppone che l’asimmetria informativa sia già presente nel momento di
stipulazione del contratto.
Un esempio importante che si può fare per spiegare l’opportunismo ex-ante che generano le
asimmetrie informative è quello del mercato delle auto usate, illustrato da Akerlof (1970) e da
lui definito come l’esempio che cattura l’essenza del problema. Akerlof sostiene che esistano
due tipi di auto, le auto di buona qualità e le auto di cattiva qualità. Per quanto riguarda le auto
nuove, c’è una probabilità pari a q che l’auto sia buona e una probabilità pari a (1-q) che
l’auto sia un bidone. Con riferimento alle auto nuove, né il venditore né l’acquirente sono a
conoscenza della reale qualità della macchina. Quando il venditore però vende un’auto usata,
ha avuto modo di testarla per un determinato periodo di tempo e quindi sa se quell’auto è di
buona qualità oppure un bidone. Si viene a formare in questo caso un’asimmetria informativa
perché il venditore si trova nella condizione di sapere ex-ante com’è l’auto mentre
l’acquirente no. Per il soggetto in possesso di un’auto di cattiva qualità, sarebbe conveniente
liberarsene e venderla, e avrebbe tutti i motivi per farlo. Per questo motivo, l’acquirente è
indotto a pensare che il desiderio di vendere l’auto derivi dal fatto che questa sia di cattiva
qualità e questa situazione crea una mancanza di un mercato per le auto usate di buona
qualità.
Questo stesso esempio può valere anche per le aziende che desiderano finanziare dei progetti
di investimento (che sia tramite azioni o che sia tramite debito). Quando un’azienda decide di
voler finanziare un progetto, gli imprenditori o i manager sono consapevoli della qualità del
loro progetto mentre coloro che sono chiamati a doverlo finanziare non hanno a disposizione
abbastanza informazioni per valutarne la qualità. Per questo motivo, (come nell’esempio delle
macchine usate di Akerlof) i possibili futuri azionisti/creditori dell’azienda, tenderanno a
pensare che i progetti che gli vengono proposti dagli imprenditori/manager siano dei bidoni e
saranno disposti a pagare un prezzo molto basso per il loro finanziamento (gli azionisti
richiederanno uno sconto sul prezzo delle azioni e le banche applicheranno un tasso
d’interesse più alto che rispecchi il rischio). Di conseguenza potrebbe essere difficile trovare
il modo di finanziare progetti che siano meritevoli e redditivi. Per finanziare questi
investimenti c’è bisogno che le informazioni tra managers e futuri creditori o futuri azionisti
siano più allineate possibile. Un modo in cui i managers potrebbero arrivare a questo risultato,
11
potrebbe essere quello di lanciare delle campagne informative, fare delle dichiarazioni
riguardanti le prospettive future dell’azienda oppure, visto che “i fatti contano più delle
parole”, intraprendere azioni che non si sarebbero intraprese se non si fosse certi che
l’investimento fosse davvero un buon investimento (Berk, DeMarzo, 2015). A questo scopo,
managers e attuali proprietari dell’azienda (cioè coloro che possiedono le informazioni più
complete riguardo al progetto che si desidera intraprendere) potrebbero finanziare i nuovi
investimenti con il loro denaro (ad esempio gli utili non distribuiti) in modo da mandare un
chiaro segnale che l’investimento è meritevole. La dimostrazione della volontà di investire,
potrà quindi dare un tangibile segnale favorevole a possibili creditori e possibili azionisti che
da quel momento potrebbero essere più propensi a prestare denaro all’azienda o a comprarne
le sue azioni (Brealey, Leland, Pyle, 1977, p. 371-372)
L’idea che i managers preferiscano utilizzare per i loro finanziamenti, prima le riserve di utili,
poi il debito e solo successivamente l’emissione di azioni è chiamata ipotesi dell’ordine di
scelta (pecking order hypothesis) ed è stata proposta in primo luogo da Myers (1984)11.
Questo specifico ordine è quello che dovrebbe minimizzare i costi derivanti
dall’opportunismo ex-ante o selezione avversa.
Il motivo per cui la prima scelta di finanziamento ricada sugli utili non distribuiti lo abbiamo
già giustificato precedentemente ed era già conosciuto da Myers. In assenza di riserve di utili,
l’azienda cercherà di finanziarsi attraverso fondi esterni, cioè il debito bancario oppure prestiti
obbligazionari ed emissione di nuove azioni. Myers afferma che il finanziamento tramite
debito è preferibile rispetto a quello tramite azioni in quanto il primo è più sicuro.12 Il ricorso
al capitale azionario invece avviene solamente nel caso in cui il livello di indebitamento è tale
che i costi di agenzia associati ad un ulteriore indebitamento siano maggiori dello sconto da
applicare sui nuovi titoli azionari.13 (come avevamo già detto, l’emissione di nuove azioni per
finanziarsi fa pensare agli investitori che queste azioni siano dei “bidoni” quindi il prezzo
viene scontato)
Per esempio, per un’impresa che ha già un livello di indebitamento molto alto, l’ottenimento
di altri fondi tramite il debito potrebbe essere troppo costoso per via dei costi legati ai
Covenants (vincoli contrattuali che limitano la discrezionalità futura dell’impresa in termini di
investimenti/dividendi e scelte operative e finanziarie) associati a questo tipo di
11 Myers, 1984 “The Capital Structure Puzzle”, p. 575-592 12 “If the firm does seek external funds, it is better off issuing debt than equity securities. The general rule is, "Issue safe securities before risky ones." Myers, op. cit. 13 “you will refuse to buy equity unless the firm has already exhausted its debt capacity- that is unless the firm has issued so much debt already that it would face substantial additional costs in issuing more” Myers, op. cit.
12
finanziamento. “Quindi, quanto maggiore è il livello di rischiosità dell’impresa, tanto
maggiore è la probabilità di scendere nell’ordine gerarchico” (Fabbri, 1999).
Ad ogni modo, dal momento della prima formulazione della teoria dell’ordine di scelta, si
contano numerosi studi che tentano di spiegare se e quando questa descrive gli effettivi
comportamenti adottati dai manager nella scelta della struttura finanziaria, questi studi non
sono ancora giunti però ad un accordo comune. Ad esempio viene dimostrato che le imprese
possono emettere azioni anche quando hanno possibilità di finanziarsi con il debito e non
seguono così strettamente l’ipotesi dell’ordine di scelta. (Leary, Roberts, 2010)
Un altro esempio, forse più semplice, di opportunismo ex-ante che si potrebbe presentare nel
rapporto tra attuali azionisti e potenziale manager, consiste nel nascondimento di informazioni
o nella fornitura di informazioni erronee da parte del manager riguardo alle proprie
competenze e capacità con l’obiettivo di farsi assumere. Il rischio che ovviamente ne deriva è
di una mala gestione dell’azienda che soprattutto in un primo momento può rimanere nascosta
agli azionisti per la difficoltà di controllo sull’operato dei manager.
Questi esempi ci mostrano come le asimmetrie informative, e in questo caso la selezione
avversa, giochino un ruolo chiave nel rapporto tra attuali azionisti dell’azienda e i potenziali
manager ma giochino un ruolo altrettanto importante anche nel rapporto tra manager e futuri
azionisti o possibili concessori di debito andando quindi ad incidere nella determinazione
della struttura finanziaria.
1.3. Le determinanti della scelta della struttura finanziaria
La teoria della struttura finanziaria comincia con il lavoro seminale di Modigliani e Miller del
1958. Loro sostenevano che il valore di un’impresa non dipende dalla sua struttura del
capitale, questa assunzione però è vera solo nel caso in cui si parli di mercati dei capitali
perfetti cioè senza asimmetrie informative, senza imposte, senza costi di dissesto e senza costi
di agenzia. Tutte queste variabili che rendono il mercato dei capitali non perfetto sono anche
le variabili che influenzano maggiormente la scelta della struttura finanziaria.
La teoria che prende in considerazione l’asimmetria informativa è la teoria dell’ordine di
scelta (che abbiamo già introdotto, parlando del problema della selezione avversa) mentre le
teorie che si concentrano su imposte, costi del dissesto e costi di agenzia sono le teorie del
13
trade-off. Queste ultime tentano di definire quale sia la struttura ottimale del capitale
analizzando i vantaggi e gli svantaggi che derivano dal debito14.
1.3.1. I Benefici fiscali e costi del dissesto
I primi studi si sono concentrati esclusivamente del trade-off tra debito e equity riguardanti i
benefici fiscali che apporta il debito e i costi del dissesto finanziario connessi ad un’eccessiva
leva finanziaria. Le imposte che devono pagare le aziende, sono sugli utili calcolati dopo aver
pagato gli interessi passivi connessi al debito. Ne consegue che maggiore sarà il livello
dell’indebitamento, maggiori saranno gli interessi passivi e minore sarà il peso delle imposte.
Questo minore peso delle imposte associato alla deducibilità degli interessi viene chiamato
scudo fiscale degli interessi e fa in modo di aumentare il valore dell’azienda. Se per ipotesi
infatti non ci fossero costi di dissesto, la struttura finanziaria ottimale potrebbe essere
composta da solo debito (Miller, 1988). Tenendo però conto dell’esistenza dei costi del
dissesto, bisogna trovare il giusto trade-off che bilanci i benefici fiscali con i costi del
fallimento e settare il corrispondente livello di indebitamento.
Possiamo dire quindi che la struttura finanziaria migliore è quella che massimizza il valore
dell’azienda ma osserviamo delle deviazioni da questo principio se gli interessi dei managers
non coincidono con quelli dei proprietari, entrano in gioco da questo punto di vista i costi di
agenzia.
1.3.2. I Costi di agenzia di equity e debito
Nella formula del trade-off bisogna tenere conto quindi anche dei costi di agenzia. Come
abbiamo già accennato, Jensen e Meckling (1976) hanno identificato due tipi di conflitti. Il
primo è il conflitto tra azionisti e managers e sorge perché i manager che sono quelli chiamati
a prendere le decisioni, non detengono la totale proprietà dell’azienda. Di conseguenza, non
gli viene assegnato tutto il risultato positivo proveniente dalle loro decisioni ma ne sopportano
lo sforzo (Harris, Raviv, 1991). Per fare un esempio: se i manager di una società detengono il
100% delle azioni di quella società e si finanziano interamente con debito, ogni decisione che
prendono che fa aumentare il valore dell’azienda, fa aumentare nella stessa misura anche il
valore delle loro partecipazioni. Se invece questi manager detengono solo il 30% delle
partecipazioni di quell’azienda e il restante 70 % è posseduto dagli azionisti, ogni decisione
che prenderanno che farà aumentare il valore dell’azienda farà aumentare anche il valore delle
14Harris, Raviv, 1991. “The Theory of Capital Structure”. I due autori fanno una rassegna dei principali studi riguardanti I fattori che determinano la struttura finanziaria e ne sintetizzano i risultati in questo lavoro.
14
loro azioni ma in misura minore perché ne detengono solo una percentuale. Gran parte del
profitto derivante dalle loro decisioni verrà affidato agli azionisti. Analogamente per i costi
dei benefit aziendali, i managers che detengono tutta la proprietà si guarderanno bene dallo
sprecare risorse per l’utilizzo di benefit quali il jet aziendale, la limousine, un ufficio elegante
e costoso. Mentre, manager che detengono solo una parte della proprietà, potrebbero
approfittare di questi lussi visto che gran parte del loro costo verrà pagato dagli azionisti. Più
grande è la percentuale di equity detenuta dai managers, più quest’inefficienza sarà ridotta.
Inoltre, come dimostrato da Jensen in un altro suo noto lavoro del 1986, siccome il debito
obbliga al pagamento di interessi periodici, questo riduce l’ammontare di “free cash flow”
disponibili al management che potrebbero essere usati per finanziare progetti con un ritorno
atteso basso o per far fronte alle spese in benefit menzionate qui sopra. Questi esempi appena
illustrati, sono alcuni dei benefici che si traggono dall’utilizzo del finanziamento con debito, e
si vanno a sommare ai costi di agenzia dell’equity insieme ai costi di monitoraggio e
sorveglianza.
Da queste considerazioni, qualcuno potrebbe pensare che finanziarsi solo tramite debito sia la
cosa migliore, però bisogna prendere in considerazione anche i numerosi costi di agenzia che
il debito comporta.
A tale riguardo, l’altro conflitto individuato da Jensen e Meckling (1976) è quello che si
presenta tra i detentori di capitale di debito e gli azionisti ed è causato dal fatto che il
finanziamento tramite debito incentiva gli azionisti ad investire in modo sub-ottimale. La
ragione è semplice ed è molto simile alla ragione che spinge i manager ad investire in modo
non ottimale e a sprecare risorse nel caso in cui la proprietà dell’azienda sia diffusa. La
contrazione di debito presuppone che, se i ritorni attesi di un determinato investimento sono
elevati, coloro che ne beneficeranno maggiormente saranno i proprietari delle azioni e non i
creditori dell’azienda. Ma se quell’investimento non va a buon fine, a causa della
responsabilità limitata, coloro che ne sopporteranno i costi saranno interamente i possessori di
capitale di debito e non gli azionisti. La responsabilità limitata gioca un ruolo importante in
questo caso perché in caso di insolvenza i creditori non possono rivalersi sul patrimonio
personale dei singoli soci. Gli azionisti saranno quindi portati ad effettuare investimenti
caratterizzati da un’alta percentuale di rischio scommettendo a tutti gli effetti con i soldi dei
creditori (Berk, DeMarzo). Questo problema appena enunciato è uno dei costi di agenzia del
debito ed è conosciuto con il nome di asset substitution (di cui avrò modo di parlare più
dettagliatamente nel capitolo 3).
Anche in questo caso dunque, nella determinazione della struttura finanziaria bisogna
considerare il trade-off tra costi e benefici che il finanziamento tramite debito comporta, nei
15
rapporti di agenzia. Bisogna considerare cioè i costi di agenzia che derivano dal rapporto tra
managers e azionisti e i costi di agenzia che derivano dal rapporto tra managers e creditori. La
struttura di capitale finale non sarà mai costituita interamente da debito o interamente da
equity ma sarà in un punto intermedio tra i due.
Possiamo quindi dire che, per raggiungere l’obiettivo primario di un’impresa, cioè quello
della creazione di valore, una parte fondamentale è quella della predisposizione di una
struttura finanziaria ottimale che spinga il management alla realizzazione dei giusti
investimenti senza incorrere in comportamenti opportunistici.
Per concludere, le diverse teorie sulla struttura del capitale finora enunciate (teoria dell’ordine
di scelta, teoria del trade off tra benefici fiscali del debito e costi d’insolvenza, e tra costi di
agenzia di equity e debito) non sono esclusive. Nessuna di queste teorie riesce a spiegare da
sola la struttura del capitale ma vanno anzi considerate insieme perché ognuna di esse ne
spiega qualche aspetto. Come dicono Fama e French15 (2005):
“it is probably time to stop running empirical horse races between them as stand-alone stories
for capital structures. Perhaps it is best to regard the two models as stable mates, with each
having elements of truth that help explain some aspects of financing decisions.”
15 Fama, French, 2005. “Financing decisions: who issues stock?”, p. 549-582
16
CAPITOLO II. I MODELLI DI CORPORATE GOVERNANCE E IL
TRADE-OFF EQUITY-DEBT
La prima parte di questo capitolo, ha ad oggetto le variabili del contesto di riferimento in cui
si ritrova l’impresa. Prenderò in considerazione le differenze settoriali, le differenze nelle
caratteristiche specifiche di ogni azienda e le differenze legate al contesto geografico dovute a
percorsi di sviluppo diversi per ogni paese.
Ho deciso di parlare di queste variabili perché esse sono da considerare congiuntamente alle
teorie sulle politiche finanziarie citate nel primo capitolo e definiscono in linea di massima
quali sono le caratteristiche delle aziende che preferiscono adottare una governance bank-
based piuttosto che una equity-based.
Nella seconda parte del capitolo mi soffermo a descrivere questi due modelli.
Come avremo modo di vedere nelle prossime pagine, seppur negli ultimi tempi si stia
tentando di attenuare le differenze tra uno e l’altro modello, nel nostro paese (sia per motivi
legati alle caratteristiche delle PMI italiane, sia per motivi legati a diversi percorsi storici di
sviluppo) sono presenti soprattutto imprese banco-centriche. Questo è uno dei motivi per cui,
parlando dei costi di agenzia nel capitolo 3, mi concentrerò essenzialmente sui costi di
agenzia del debito, presenti in misura maggiore nei modelli banco-centrici rispetto a quelli
mercato-centrici.
2.1. Il Contesto di riferimento
La letteratura suggerisce che non esiste una teoria che spieghi da sola le scelte di struttura
finanziaria di un’azienda. Possiamo dire anche che non esiste nemmeno una struttura di
capitale ottimale, univoca e uguale per tutte le aziende. Il motivo di questa affermazione è che
i diversi costi e benefici del debito (teoria del trade-off) e il diverso peso dei costi di agenzia,
possono variare a seconda delle caratteristiche dell’impresa. I fattori che influenzano la
diversità delle imprese si dividono in tre categorie (Tunisini, Pencarelli, Ferrucci, 2014):
1. Fattori industry specific
2. Fattori firm specific
3. Fattori context specific
I fattori industry specific si riferiscono principalmente al settore all’interno del quale l’azienda
opera. L’appartenenza ad un determinato settore piuttosto che ad un altro, comporta
differenze nel livello di concentrazione, nell’intensità della concorrenza, nelle
regolamentazioni, nel peso delle attività di ricerca e sviluppo e anche nella determinazione
17
della struttura finanziaria. Le aziende che appartengono allo stesso settore, condividendo le
stesse caratteristiche economico finanziarie, tenderanno ad adottare politiche di finanziamento
simili che rispecchino vantaggi e svantaggi del debito associati a quel settore (La Rocca,
2005).
Nei settori caratterizzati da una minore stabilità, maggiore variabilità dei flussi di cassa, e
minori risorse materiali investite nell’azienda (ad esempio settori high-tech, settore
farmaceutico, settore cosmetico, settore delle biotecnologie), il rapporto d’indebitamento è
molto basso. Mentre, nei settori con flussi di cassa meno variabili e maggiori investimenti in
asset tangibili che potranno fungere da collateral (settori low tech, settore tessile,
dell’acciaio), c’è un maggiore ricorso all’indebitamento per finanziarsi(La Rocca, 2005 e
Berk, De Marzo, 2015).
Più in particolare, ci sono una serie di fattori firm specific che aiutano a spiegare il livello di
leverage ottimale, alcuni di essi sono collegati alle caratteristiche che contraddistinguono i
diversi settori e, si possono spiegare attraverso le teorie di struttura di capitale di cui abbiamo
già parlato. Questi fattori sono (La Rocca, 2005 e Berk, De Marzo, 2015):
• Dimensione aziendale18; Più un’azienda è grande di dimensioni più si associa ad un
minore rischio operativo e ad una minore probabilità di fallimento (teoria del trade-
off). La dimensione aziendale è collegata quindi positivamente al grado di
indebitamento.
• Peso degli investimenti in ricerca e sviluppo e pubblicità; Le imprese che hanno costi
elevati di ricerca e sviluppo mantengono un basso livello di indebitamento.
Probabilmente questo dipende dal fatto che le aziende che dedicano più risorse alla
R&S, stanno investendo in asset intangibili su cui i creditori non si possono rivalere e
questo determinerebbe dei maggiori costi di fallimento.
• Cash flow; se i flussi di cassa sono limitati, l’impresa non necessiterà di molto debito
per sfruttare lo scudo fiscale (teoria del trade-off) e i manager non avranno un
18 Della relazione positiva tra aumento della dimensione e aumento dell’indebitamento si trova un riscontro negli studi di Titman e Wessels (1988), Friend e Lang (1988), Rajan e Zingales (1995) e Sapienza (1997) (Citati in La Rocca, 2005, p.112). Però è anche vero il contrario, cioè che a dimensioni molto piccole possa essere associato un leverage maggiore. Questo vale soprattutto per le PMI italiane, che pur essendo di piccole dimensioni si caratterizzano per livelli d’indebitamento relativamente alti. Il motivo è che nel finanziamento delle PMI intervengono una serie di fattori caratteristici del contesto Italiano nel quale queste imprese si sono sviluppate. Questi fattori “si traducono generalmente nell’adozione di schemi di preferenza verso modelli di proprietà chiusi da parte dei piccoli imprenditori e nell’assegnazione di un ruolo marginale alla funzione finanziaria per il cui presidio non vengono destinate risorse umane con le competenze adatte a gestire in modo efficiente ed efficace le operazioni finanziarie di reperimento e di impiego dei fondi.” (Tunisini et al., 2014, p. 337)
18
eccessivo cash flow da utilizzare per le loro decisioni di spesa. Se invece i flussi di
cassa sono elevati e sono stabili, lo scudo fiscale e i benefici di incentivo del debito
sono maggiori.
• Rischiosità d’impresa; più l’impresa è rischiosa più il livello di indebitamento sarà
minore vista la maggiore probabilità di fallimento.
• Immobilizzazioni materiali; la presenza di molti asset tangibili e poche
immobilizzazioni immateriali all’interno dell’impresa farà sì che i costi del
dissesto/fallimento siano minori perché i creditori si potranno rivalere su di questi
beni in caso di fallimento, liquidando l’attivo quasi al suo valore pieno. La presenza
di immobilizzazioni materiali è una garanzia nel momento in cui si contrae un debito
(teoria dell’agenzia).
Dopo aver parlato dei fattori industry specific e firm specific, non rimane altro che parlare dei
fattori context specific. A questa ultima categoria appartengono i fattori legati al contesto di
riferimento in cui si ritrova l’azienda. “le imprese operano all’interno di specifici sistemi
politico-istituzionali e normativi nonché nell’ambito, tra l’altro, di dati sistemi finanziari e
tecnologici, generando connotati specifici di nazionalità.” (Tunisini et. al., 2014). Così ad
esempio, il ruolo centrale del mercato azionario è una caratteristica molto importante del
capitalismo anglosassone, oppure la presenza di tante piccole imprese la cui proprietà è
riconducibile ad un nucleo familiare è una delle caratteristiche che contraddistingue il nostro
paese.
Sulla base di quanto appena detto ci potranno essere aziende la cui loro struttura ottimale
presenta un più o un meno elevato livello di indebitamento.
2.2. I Modelli di governance banco-centrico e mercato-centrico
Premessa essenziale del finanziamento delle aziende è quella del raccoglimento dei capitali e
quindi quella della mobilitazione del risparmio. Il sistema economico si caratterizza per la
presenza di due classi di soggetti; coloro che hanno una sovrabbondanza di risorse e coloro
invece che sono in deficit e ne necessitano. I primi soggetti sono i risparmiatori mentre i
secondi sono le aziende. Il capitale prodotto attraverso il lavoro o frutto di altre rendite, viene
trasferito dai primi ai secondi che lo utilizzeranno per i loro investimenti. Se questi
investimenti sono redditivi, si creerà nuova ricchezza, che sarà un beneficio non solo per
l’azienda ma per tutta l’economia in generale.
19
Il processo di raccolta di capitali può avvenire in due modi. Il primo è attraverso le banche. I
soggetti in surplus economico, possono riporre il loro denaro in banca, trasferendone la
proprietà21 all’istituto di credito. Le banche poi, mediante operazioni di impiego, erogano
fondi a chi ne fa richiesta per la gestione della propria attività economica o per finanziare
spese di consumo o per investimenti, soggetti quindi che possono essere sia aziende che
privati. Le banche diventando creditrici nei confronti di questi soggetti definiti affiliati e
richiedono il pagamento di interessi. L’intermediazione bancaria è resa possibile dalla
cosiddetta trasformazione delle scadenze, le banche fanno coincidere le scadenze dei depositi
che hanno mediamente una durata più breve con quelle degli impieghi che solitamente sono a
medio-lungo termine. Questo è possibile perché non tutti i depositanti verranno a richiedere la
restituzione della somma nello stesso momento, quindi parte della raccolta può essere usata
per prestiti a lungo termine.
Senza l’attività di intermediazione delle banche sarebbe molto più difficile questa
mobilitazione del risparmio perché sarebbe difficile per entrambe le parti sia trovare il
soggetto giusto a cui rivolgersi e sia organizzare un modo per far coincidere le scadenze.
L’intermediazione bancaria, inoltre, garantisce una maggiore diversificazione del rischio per i
risparmiatori rispetto a quella che avrebbero se prestassero il loro denaro solo ad un’azienda.
Laddove il sistema di raccolta di fondi da parte delle imprese avvenga prevalentemente
attraverso l’intermediazione della banca, le aziende tenderanno ad essere organizzate sotto
forma di società di capitali a proprietà concentrata cioè società in cui l’imprenditore stesso è
direttamente o indirettamente l’azionista di controllo (Tagliamonte,2010). Oltre ad essere
concentrata, la proprietà dell’impresa si caratterizza anche per essere piuttosto stabile, questo
è dettato dal fatto che la banca vuole che l’impresa rimanga sotto la gestione
dell’imprenditore da lei selezionato.
Uno dei vantaggi della concentrazione della proprietà è che non si presenteranno costi di
agenzia (quelli classici tra managers e azionisti), la proprietà ed il controllo sono nelle mani
dello stesso soggetto (o dello stesso gruppo di soggetti), ed essendo gli utili, il principale
guadagno dei proprietari dell’impresa, questi si comporteranno in modo tale da massimizzarli.
Un altro vantaggio è la maggiore reattività di risposta e la velocità nel prendere le decisioni.
Ci sono però anche degli svantaggi derivanti da una struttura finanziaria bank-based e quindi
più indebitata. Uno di questi è la scarsa dotazione di mezzi propri determinata dalla “bassa
attitudine dell’impresa a fronteggiare eventuali fabbisogni incrementali di fondi tramite il
21 Codice Civile, art. 1834 “Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l'osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi.”
20
ricordo a ulteriori strumenti di debito, anche perché ampiamente utilizzati entro i limiti
fisiologici di funzionamento dell’azienda e nell’ambito dei livelli di affidamento accordati dal
sistema bancario”. (Tunisini et. al., 2014, p.335)
Un classico esempio di modello banco-centrico è quello delle piccole e medie imprese
italiane. L’indebitamento delle PMI dipende da molti fattori. Storicamente i mercati finanziari
italiani si presentavano poco sviluppati ed era difficile per i risparmiatori trovare strumenti
che gli consentissero di finanziare le imprese direttamente attraverso il capitale di rischio23.
Inoltre le banche sono sempre state generose con le imprese italiane e, “la nostra disciplina
tributaria ha tradizionalmente avvantaggiato gli strumenti di debito piuttosto che quelli di
capitale di rischio.” (Tunisini et. al., 2014, p.338) Un altro motivo può essere legato al fatto
che le PMI italiane operano principalmente in settori tradizionali, quindi caratterizzati da un
basso livello di spese per attività di R&S, per la prevalenza di investimenti in asset tangibili
rispetto a quelli intangibili, e flussi di cassa sono stabili. Inoltre le PMI italiane nascono per
restare piccole quindi non hanno bisogno di ingenti investimenti, questo favorisce ancora di
più la preferenza del debito sul capitale di rischio. Oltre che dalla dimensione e dalla scarsa
propensione delle imprese a crescere, la quotazione nel mercato azionario è frenata anche
dall’avversione dell’imprenditore ad aprire il capitale ad investitori esterni, e dai costi, sia
diretti che indiretti, che l’accesso al mercato azionario comporta. Questi costi possono essere i
costi per il servizio di collocamento e garanzia dei titoli emessi oppure gli oneri connessi con
gli obblighi di trasparenza (Cesarini, Gobbi, 2016).
Tornando al processo di raccolta di capitali, l’altro per l’appunto è attraverso il mercato
azionario. Questa forma di raccolta si è sviluppata a partire dai mercati anglo-americani e
viene detta forma di raccolta diretta, perché non si avvale dell’intermediazione della banca.
Sono le imprese che si rivolgono direttamente ai mercati azionari emettendo titoli che
rappresentano una quota parte del capitale sociale dell’impresa e provando a venderli così da
finanziarsi.
Gli investitori che comprano questi titoli, diventano soci dell’azienda e come tali, avranno,
oltre che il diritto di voto, anche il diritto di partecipare agli utili dell’azienda in misura
proporzionale alla quota posseduta. I dividendi però non sempre vengono distribuiti, anzi, se
c’è bisogno di fare un investimento, sono spesso la prima opzione di scelta per finanziarlo
(secondo la teoria del pecking order di cui abbiamo già parlato). A differenza del canale
bancario quindi, gli investitori che utilizzano i loro capitali per comprare titoli in borsa si
23 Negli ultimi tempi le cose stanno cambiando e si sta assistendo ad una maggiore apertura verso il finanziamento attraverso capitale di rischio anche in Italia.
21
aspettano un guadagno che non è però sicuro ma solo eventuale. Oltre dalla riscossione degli
utili, i possessori di azioni potrebbero trarne un guadagno rivendendo quel titolo nel mercato
secondario24 ad un prezzo superiore rispetto a quello per cui l’hanno comprato, realizzando
così una plusvalenza. Questo è possibile in quanto le azioni sono titoli a reddito variabile. Il
loro valore di mercato oscilla di giorno in giorno in borsa ed è dato dall’incontro tra domanda
e offerta.
Ad esempio, se la domanda supera l’offerta, il prezzo delle azioni salirà, questo farà diminuire
la domanda fino a che domanda e offerta si incontreranno in un nuovo punto di equilibrio.
Questo aumento del prezzo delle azioni viene chiamato apprezzamento. Esempio contrario è
quello del deprezzamento, che sarebbe il calare del prezzo dei titoli causato da un’eccessiva
offerta rispetto alla domanda. La prevalenza di domanda o offerta è influenzata dalle
informazioni riguardanti la profittabilità dell’azienda o del settore in cui opera, o dagli
andamenti politici ed economici.
Le imprese che si rivolgono principalmente al mercato azionario per trovare i loro finanziatori
sono chiamate public companies e fanno parte delle imprese mercato centriche (market-
based). Si presentano come delle strutture societarie in cui la proprietà azionaria è
frammentata in un gran numero di azionisti di piccole dimensioni. Questi ultimi sono i
proprietari dell’azienda, cioè coloro che poi riceveranno sulla base della quota da loro
posseduta, parte del profitto. Essi non sono però anche i soggetti che prenderanno le decisioni
in quanto non possiedono le conoscenze necessarie e, anche se le possedessero, non sarebbe
conveniente per loro attivarsi per la gestione ed il controllo dell’impresa visto e considerato
che, per gli sforzi sostenuti, riceverebbero solo una piccola percentuale dei benefici che ne
trarrebbero. Il compito di gestione e controllo dell’impresa viene perciò delegato ai managers,
ed è da questa separazione tra proprietà e controllo che nasce il problema dell’agenzia
classico, cioè quello tra i manager e gli azionisti.
Ricapitolando; i sistemi finanziari fondati sui mercati sono caratterizzati da molti investitori
interessati essenzialmente al ritorno di un utile, da cui ne consegue che i costi di agenzia
dell’equity saranno maggiori. Inoltre si basano su mercati che impongono dei più severi
obblighi di informativa. Invece, i sistemi finanziari basati sulle banche si contraddistinguono
per il ruolo centrale delle banche che, oltre a fornire i fondi, si dedicano pure alla consulenza.
“L’intreccio banca-impresa comporta bassa trasparenza informativa con il pubblico, mentre il
24 Il mercato primario è dove sono negoziati i titoli di nuova emissione mentre il mercato secondario è quello dove vengono scambiati i titoli già in circolazione
22
controllo dei manager avviene ex ante […] con il rischio di collusione tra banca e
management [e quindi maggiori costi di agenzia del debito]” (Tunisini et. al. 2014)
Oggigiorno la differenza tra i due sistemi non è più così rimarcata infatti si sono sviluppate
forme ibride di raccolta dei capitali che coniugano caratteristiche del primo e del secondo
modello. Ad esempio, una modalità di finanziamento intermedia tra il prestito bancario e
l’offerta pubblica di azioni potrebbe essere il private placement. Le imprese che utilizzano
questa modalità di finanziamento sono principalmente imprese di medie dimensioni che non
si sono potute rivolgere al mercato dei capitali perché troppo piccole o poco trasparenti,
quindi si rivolgono agli investitori istituzionali in quanto dotati di maggiori risorse finanziarie
e migliori competenze per valutare e gestire il rischio (Branzoli, Guazzarotti, 2015). Un’altra
alternativa potrebbe essere quella di finanziarsi tramite strumenti ibridi che sono titoli che
stanno a metà strada tra il debito ed il capitale di rischio.
Un esempio sono le obbligazioni (bond) convertibili che sono degli strumenti di debito che
danno la possibilità alla scadenza di trasformarsi in azioni. Esiste una grande varietà di questi
strumenti di debito e le loro caratteristiche possono essere diverse per ogni emissione.
Tuttavia si caratterizzano per avere solitamente una lunga durata (alcuni sono pure perpetui),
per la possibilità di pagare cedole differite e per il maggior rischio rispetto alle obbligazioni
normali (in caso di fallimento, vengono soddisfatti prima gli obbligazionisti poi i titolari di
questi bond convertibili e infine gli azionisti).Il vantaggio di queste modalità di finanziamento
intermedie risiede nel fatto che esse non appesantiscono il rapporto di indebitamento né da un
lato né dall’altro. Come infatti abbiamo già visto, entrambi gli estremi portano a dei costi, se
si utilizza principalmente il canale mercato centrico ci sarà il rischio di un’eccessiva
polverizzazione della proprietà e di comportamenti opportunistici da parte dei manager
mentre se si fa riferimento solo al canale banco centrico si incorre in difficoltà nel
reperimento di fondi e in costi di agenzia del debito.
23
CAPITOLO III. I COSTI DI AGENZIA DEL DEBITO E POSSIBILI
RIMEDI
I problemi di agenzia sono connessi alla necessità di finanziamento da parte dell’impresa,
specie nell’ipotesi in cui la proprietà ricorra a risorse esterne (sia finanziarie, ma anche
manageriali). Se prendiamo come esempio un’azienda finanziata con solo capitale proprio e
appartenente per il 100% ad una sola persona che è anche quella che prende le decisioni, non
ci sarà alcun tipo di frizione perché il soggetto proprietario sarà colui che farà le sue scelte e si
prenderà carico dei risultati. È estremamente difficile nella realtà che una persona abbia a
disposizione da sola del capitale necessario per sfruttare tutte le opportunità di crescita di
un’azienda e anche se così fosse, è ragionevole pensare che essa preferisca diversificare il
rischio ricercando al di fuori altri tipi di finanziamento. I costi di agenzia di cui abbiamo già
parlato nel capitolo 1, costi di monitoraggio, costi di assicurazione (bonding cost) e costi
residuali sono quindi dei costi collegati alle diverse modalità di finanziamento; equity e
debito. Abbiamo già parlato brevemente dei costi di agenzia “classici”, cioè quelli causati dal
finanziamento con capitale di rischio, in questo paragrafo ci concentreremo invece sui costi di
agenzia del debito.
3.1. I costi di agenzia del debito
Il debito, come sappiamo ha un costo diretto che viene misurato dal tasso di interesse. Il tasso
d’interesse però, non è l’unico costo del debito perché sono presenti anche i costi di agenzia.
Questi ultimi sono dei costi indiretti e sono pertanto molto più difficili da stimare. Sono costi
di agenzia perché si presenta un rapporto principale-agente tra i manager e il finanziatore. In
questo caso il manager/azionista sarà l’agente che avendo assunto del capitale di debito dal
finanziatore (principale) dovrebbe impegnarsi per restituirlo entro i tempi prestabiliti e
pagando gli interessi. Però, a causa di una divergenza di interessi e per la natura
opportunistica dei soggetti economici, l’agente (manager) potrebbe mettere in atto
comportamenti volti alla massimizzazione dei suoi interessi e non di quelli del finanziatore.
Abbiamo già introdotto questo problema nel capitolo 1 parlando del trade-off tra i costi di
agenzia di equity e debito. Abbiamo fatto l’esempio di un’azienda finanziata solo con equity e
dei costi di agenzia che questo comporta, e ci siamo chiesti se non si potesse ricorrere al
finanziamento solo tramite debito per risolvere il problema. La risposta che ci siamo dati è
stata; no, perché per quanto il debito possa, attraverso una maggior concentrazione della
24
proprietà, allineare gli interessi di managers e azionisti26, contrarne un ammontare eccessivo
può risultare dannoso perché può portare a problemi quali l’assunzione di un eccessivo rischio
(problema dell’asset substitution) oppure può portare a problemi di sotto-investimento (debt
overhang). Quindi i manager potrebbero prendere decisioni che siano favorevoli per gli
azionisti ma sfavorevoli sia per i creditori che per il valore totale dell’impresa. (Berk,
DeMarzo, 2015)
3.1.1. Asset substitution
La parola asset substitution vuol dire letteralmente sostituzione degli asset e si riferisce a
situazioni in cui le attività attualmente possedute dell’impresa vengono sostituite con altre
attività, potenzialmente più remunerative ma anche più rischiose.
Prendiamo ad esempio un’azienda che ha contratto un debito eccessivo la cui scadenza è il
31/12. I manager dell’azienda sono consapevoli dell’eccessiva rischiosità del debito e del
rischio di non poterlo estinguere perché i flussi di cassa attesi dell’azienda per quell’anno
sono di un ammontare inferiore a quelli necessari per ripagare il debito in scadenza. Mettiamo
caso che si presenti un’opportunità di investimento molto rischiosa che, in caso di esito
positivo, darebbe modo all’azienda di ripagare i suoi debiti e darebbe anche una
remunerazione agli azionisti ma in caso negativo, porterebbe a dei flussi di cassa di gran
lunga inferiori a quelli attesi con l’attuale progetto privo di rischio. Risulta chiaro che i
finanziatori che si aspettano che gli venga restituito il capitale che hanno prestato,
preferirebbero che l’impresa seguisse con il progetto attuale. Per i proprietari dell’azienda
invece è più conveniente rischiare il tutto per tutto, perché, sia in caso che il nuovo progetto
sia un insuccesso, sia in caso che continuino con il progetto attuale privo di rischio, essi non
ne trarrebbero alcun vantaggio e l’azienda risulterebbe insolvente. Invece nel caso in cui il
nuovo progetto risulti un successo gli azionisti oltre che salvare l’impresa riuscirebbero anche
a portare a casa un guadagno.
Jensen e Meckling (1976) affermano che la situazione sarebbe diversa se il finanziamento non
fosse stato fatto attraverso debito. Infatti dicono che, se un manager può scegliere tra due
progetti che si caratterizzano per avere la stessa covarianza ma una diversa varianza27, se il
26 Gli azionisti originari della società detengono proprietà e controllo e quindi avranno un forte interesse a fare il meglio per l’impresa 27“The distributions differ only by their variances with σ²1< σ²2: The systematic or covariance risk of each of the distributions, ß , in the Sharpe (1964) - Lintner (1965) capital asset pricing model, is assumed to be identical (I due progetti hanno quindi lo stesso rischio sistematico ma un diverso rischio specifico ). Assuming that asset prices are determined according to the capital asset pricing model, the preceding assumptions imply that the total market value of each of these distributions is identical, and we represent this value by V.” Jensen, Meckling (1976)
25
costo dei due progetti è lo stesso e, se non è finanziato tramite debito, per il manager sarà del
tutto indifferente la scelta tra uno e l’altro progetto28.
Tuttavia, se prima di scegliere quale dei due progetti intraprendere, il manager riuscisse a
emettere debito, non sarebbe più indifferente per lui la scelta tra uno e l’altro progetto anche
se entrambi presentano lo stesso VAN e quindi non modificherebbero il valore totale
dell’impresa. Il motivo è che emettendo debito con la promessa di investire nel progetto con
un rischio specifico minore e poi invece investire nel progetto con rischio specifico maggiore,
fa sì che si manifesti un trasferimento di ricchezza dai creditori agli azionisti29.
Per comprendere meglio il motivo di questo trasferimento di ricchezza possiamo partire da
una considerazione sul modello di Black e Scholes (1973) per la determinazione dei prezzi
delle opzioni call europee30. I due autori sostengono che possiamo vedere gli azionisti come
dei detentori di un’opzione call su tutti gli asset dell’impresa. Infatti, seppur l’azienda sia
finanziata con debito, gli azionisti hanno la possibilità di ricomprare l’intera proprietà al
momento della scadenza del finanziamento, semplicemente ripagando il debito31. Il prezzo del
debito corrisponderà al prezzo di esercizio dell’opzione call.
Per arrivare poi al cuore del problema del trasferimento di ricchezza tra stockholders e
bondholders, Jensen e Meckling scelgono di presentare due casi, il primo riguardante due
progetti alternativi con lo stesso valore atteso, che non vanno quindi a modificare il valore
dell’attivo per l’azienda e il secondo in cui il problema dell’asset substitution va a causare un
effettivo costo distruggendo valore per l’impresa. Per rendere ancora più chiaro il concetto
farò un esempio numerico di entrambi i casi proposti.
Nel primo caso si considerano due progetti che hanno lo stesso rischio sistematico ma una
diversa varianza. Mettiamo ad esempio che il progetto 1 abbia una varianza minore del
progetto 2 e sia quindi meno rischioso.
σ²1< σ²2
28 Questo perché avendo i due progetti lo stesso rischio sistematico, quindi lo stesso ß, il rischio specifico che è diverso per i due progetti si può annullare semplicemente attraverso la diversificazione. Alla fine il valore degli asset calcolato con il Capital Asset Pricing Model è lo stesso sia che il manager propenda per uno che per l’altro progetto di investimento. 29 “by promising to take the low variance project, selling bonds and then taking the high variance project, he can transfer wealth from the (naive) bondholders to himself as equity holder” Jensen, Meckling (1976) p. 335 30 Le opzioni call europee sono degli strumenti finanziari derivati che danno la possibilità all’acquirente di queste azioni di acquistare un determinato titolo “sottostante”, ad un prezzo determinato e in un momento determinato (i possessori di queste azioni call possono esercitare l’opzione solo alla scadenza del contratto). 31 “the stockholders have the equivalent of an option on their company's assets. In effect, the bond holders own the company's assets, but they have given options to the stockholders to buy the assets back.” Black, Scholes (1973, p. 649-650) The Pricing of Options and Corporate Liabilities
26
Quando la varianza aumenta, anche il valore del capitale proprio aumenta. Essendo il valore
totale dell’azienda (V) pari alla somma tra capitale di debito (che chiameremo B) e capitale
proprio (che chiameremo S), la situazione sarà questa: V=B+S. Abbiamo detto che i progetti 1
e 2 hanno la stessa covarianza e quindi non vanno a modificare V, avendo però diversa
varianza, σ²1< σ²2, ne consegue che il valore delle azioni nei due casi sarà diverso, e anche il
valore del debito sarà diverso.
B1= V-S1 > B2= V-S2
Più specificatamente, il valore delle azioni aumenterà scegliendo il progetto numero due, e
quindi S1< S2, mentre il valore del debito diminuirà, B1>B2 (Merton 1973,1974 in Jensen,
Meckling, 1976).
Volendo fare un esempio numerico potremmo considerare un’impresa che può scegliere se
investire tra due diversi progetti. Supponiamo, che il progetto numero uno sia meno rischioso
e che il valore di mercato delle attività dell’impresa nel caso in cui si scelga questo progetto
sia, con probabilità 95% pari a 104 e con probabilità 5% pari a 24. Il progetto numero due
invece ha il 50% di possibilità di avere successo e il 50% di possibilità di fallire ed è quindi
più rischioso. Nel primo caso porterebbe ad un valore dell’attivo di 180€, mentre nel secondo
caso solo di 20€. Il valore atteso del progetto 1 può essere così calcolato: 104*95% + 24*5%
=100€, mentre quello del progetto 2 sarà 180 * 50% + 20 * 50% = 100€. Il valore atteso
complessivo dell’azienda, che chiameremo V, sarà quindi lo stesso sia in caso che si scelga
uno o l’altro progetto.
Supponiamo che il debito già contratto da parte dell’impresa e con scadenza a fine anno sia di
80€. Nel caso in cui l’azienda scelga il progetto 1, meno rischioso, con probabilità 95%
avrebbe a disposizione 104€ di cui 80 da restituire ai creditori e 24 potenzialmente
distribuibili tra i vari azionisti mentre con probabilità 5% si ritroverebbe con soli 24€ che
andrebbero a rimborsare i creditori. Nel caso in cui i manager scelgano di intraprendere il
progetto numero 2, si potrebbero presentare due situazioni diverse. La prima; il progetto
risulta avere successo e paga 180€, 80 che andranno a rimborsare il debito e ben 100 agli
azionisti. La seconda; il progetto non ha successo e paga solo 20€, che sarebbero insufficienti
anche per ripagare il debito contratto, l’impresa quindi fallirebbe. Nel caso venga scelto il
progetto 1, il valore atteso per gli azionisti sarebbe 24*95%=22,8 , mentre il valore atteso per
i creditori sarebbe 80*95%+24*5%= 77,2 . Nel caso in cui venga scelto il progetto 2, il valore
atteso per le due classi di stakeholders cambia. Per i creditori sarebbe 80 * 50% + 20 * 50% =
50 (quindi diminuirebbe di 27,2 rispetto al progetto 1) mentre per gli azionisti sarebbe 100 *
27
50% = 50 (quindi aumenterebbe di 27,2). Riassumo tutto in una tabella per rendere più chiaro
il concetto.
Progetto 1 Progetto 2 Variazione
Successo Insuccesso V. atteso Successo Insuccesso V. atteso
Valore impresa 104 24 100 180 20 100 0
Debito 80 24 77,2 80 20 50 -27,2
Equity 24 0 22,8 100 0 50 +27,2
Tornando alla formula menzionata precedentemente, e sostituendoci le grandezze utilizzate
nell’esempio numerico, il valore dell’impresa, V, è uguale nei due casi e pari a 100, B1 sarà
77,2, S1 sarà 22,8, B2 sarà 50 e S2 sarà 50. La formula risulta quindi verificata.
77,2=100-22,8 > 50=100-50
Quindi se il manager emette debito per 80€, e dopo aver venduto i bond, sceglie il progetto 1,
le sue azioni avranno un valore atteso di 22,8€. Se invece sceglie il progetto 2, le sue azioni
avranno un valore atteso di 50€. Il trasferimento di benessere dai finanziatori agli azionisti è
pari a 27,2€. Per i bondholders, è difficile controllare quale dei progetti effettivamente
intraprenderà l’impresa quindi, anticipando l’opportunismo dei manager i finanziatori saranno
disposti a finanziare solo 50€.
Anche nel caso in cui i due progetti abbiano un diverso peso per il valore dell’impresa,
potrebbe capitare che gli azionisti, sempre per il problema dell’asset substitution, scelgano
una strategia che vada effettivamente a distruggere valore causando un vero costo. Per fare un
altro esempio, supponiamo che questa volta l’azienda contragga un debito di 50€ e nel caso
del progetto 1, risk-free, il valore di mercato delle sue attività sia di 70€ totali. Nel caso si
intraprenda il progetto 2, si ha il 50% di probabilità che vada tutto bene e quindi il valore di
mercato dell’attivo aumenti fino a 95 oppure in caso contrario sarà di 40. Riassumo anche
questo esempio in una tabella.
Progetto 1 Progetto 2 Variazione
Valore atteso Successo Insuccesso Valore atteso
Valore impresa 70 95 40 67,5 -2,5
Debito 50 50 40 45 -5
Capitale proprio 20 45 0 22,5 +2,5
28
In questo caso, come possiamo vedere, il valore atteso dell’attivo sarebbe minore per il
progetto 2 rispetto al progetto 1. Quindi se l’impresa non fosse finanziata tramite debito e gli
azionisti dovessero scegliere tra i due i due progetti, sceglierebbero senza dubbio il primo
perché non va ad intaccare il valore dell’attivo; avendo però contratto un debito i manager
sono incentivati ad intraprendere il secondo perché aumenta il valore delle azioni. Ancora una
volta, i finanziatori percependo l’intenzione dei manager di intraprendere il progetto 2, non
presteranno più di 45€, che è il loro valore atteso nel caso di investimento nel progetto 2. La
perdita di valore di V1-V2, in questo esempio di 2,5€ è l’ammontare dei costi di agenzia
associati alla “perdita residua” e sono generati dagli sforzi profusi per raccogliere i fondi
necessari per l’investimento32 (i fondi che non si sono riusciti a raccogliere tramite il debito,
visto che i debitori non presteranno 50 ma solo 45).
Mi dedico ora ad un ultimo esempio, strutturato in modo diverso, così da cogliere gli effetti
sul ROE (visto che in questo indice si possono vedere gli esiti della leva finanziaria) in due
scenari di investimento diversi. L’ipotesi che sta sotto al concetto di leva finanziaria è che
conviene indebitarsi per guadagnare di più. Si prendono a prestito capitali per poi investirli
cercando di ottenere un rendimento maggiore del tasso di interesse richiesto dal prestatore,
quindi, il rendimento del capitale investito (ROI) deve essere maggiore del costo del debito
finanziario.
Immaginiamo che un’azienda sia finanziata con 80€ Equity e 100€ Debito. I manager hanno a
disposizione due scelte di investimento che corrispondono a due progetti che hanno entrambi
un costo di 180€. Il costo del debito è del 10% quindi l’azienda dovrà pagare 10€ di interessi
annui. I due progetti alternativi hanno i seguenti ritorni attesi:
Progetto 1: Successo 40€ - Insuccesso 8€
Progetto 2: Successo 36€ - Insuccesso 12€
Nell’ipotesi in cui si investa nel progetto 1, si potrebbero presentare queste due situazioni:
Successo: 40 – 10 = 30. ROE = 30/80= 0.375
Insuccesso: 8 – 10 = -2. ROE = -2/80=-0,025
Nell’ipotesi in cui si investa nel progetto 2, queste altre:
Successo: 36 -10 = 26 ROE=26/80=0,325
Insuccesso: 12 -10 = 2 ROE=2/80=0,025
32 “This wealth loss, V1 – Y2 is the “residual loss” portion of what we have defined as agency costs and it is generated by the cooperation required to raise the funds to make the investment.” Jensen, Meckling, 1976
29
Per la banca sarebbe più conveniente il secondo progetto perché sia in caso di successo e sia
in caso di fallimento, sarebbe ripagata dei suoi debiti. Per gli azionisti sarebbe più
conveniente il primo perché in caso di successo otterrebbero un guadagno maggiore (il ROE è
di 37,5% anziché di 32,5%), mentre in caso di fallimento, il ROE sarebbe negativo e quindi il
guadagno per gli azionisti è 0. Ciò significa che gli interessi di azionisti e banche divergono
rispetto agli investimenti da scegliere.
3.1.2. Debt overhang
I costi del debito funzionano un po’ come una tassa, riducendo i fondi disponibili del
mutuatario (Haldane, 2010). Come il fenomeno delle tasse troppo alte può dissuadere una
persona dal lavorare, il fenomeno del debito troppo alto può dissuadere un’impresa
dall’investire. Questo effetto della tassazione viene dimostrato dalla curva di Laffer, che
evidenzia come al di là di un certo punto nella curva rappresentato dal punto di massimo, un
ulteriore aumento delle aliquote d’imposta anziché aumentare il gettito, lo fa diminuire. Lo
stesso si può applicare per il debito. Se il livello di indebitamento è eccessivamente alto, il
peso dei costi del debito può incentivare i debitori a non ripagarlo33 (Haldane, 2010).
Ci sono situazioni in cui, l’eccesso del debito, rispetto al totale del passivo, può portare al
problema del debt overhang (per l’appunto il sovrastare del debito), questo problema consiste
nel rifiuto da parte dell’impresa di investimenti profittevoli in quanto il guadagno andrebbe
più a favore dei creditori che degli azionisti, viene infatti chiamato anche problema del sotto-
investimento (underinvestment). Questo costo di agenzia viene formalizzato per la prima
volta da Myers (1977). Nella sua trattazione, parte dal presupposto che il valore di mercato di
un’impresa è costituito dalla somma dei flussi attesi dei suoi “asset in place”, e dal valore
attuale delle possibili opportunità di crescita date da futuri investimenti. La decisione di
intraprendere o meno questi nuovi investimenti può dipendere dal modo in cui l’azienda è
attualmente finanziata.
Ad esempio, supponiamo che un’impresa abbia contratto un prestito di 11000€ e che gli asset
in place portino ad un flusso di cassa di soli 10000€ e che quindi non bastino per ripagare il
debito in scadenza. Si presenta al management un’opportunità per un progetto di investimento
che costa 1000€ e ne paga 1800€ a fine anno, senza rischio34. Se supponiamo che l’impresa
33 “The same applies to debt. There is a debt Laffer curve. If a debt overhang is sufficiently severe, the interest burden weakens debtor incentives to repay.” Haldane, 2010. 34 L’esempio è estremamente semplificato ma può essere utile per capire le dinamiche del problema.
30
non possa contrarre ulteriore debito e non possa nemmeno emettere nuove azioni, il prezzo
dell’investimento sarebbe a capo degli attuali shareholders, che dovrebbero sopportare un
esborso di 1000€ in cambio di un ritorno di 800€. Chiaramente l’investimento sarebbe
profittevole per l’azienda perché le permetterebbe di ripagare i suoi debiti ma essendo un
costo per gli azionisti, i manager non lo intraprenderanno.
Gli studiosi Bhattacharya, e Faure-Grimaud (2010) utilizzano un esempio più complesso per
parlare del problema e arrivare poi alla spiegazione di come la rinegoziazione del debito, unita
magari anche ad un contratto di equity-debt swap, può risolverlo.
Essi prendono ad esempio un’azienda i cui asset in place all’anno T2, porterebbero ad un cash
flow di 90€ con probabilità 50% oppure di 130€ con stessa probabilità. Ipotizzano poi che il
debito contratto sia di 110€ e che ci sia la possibilità alla data T1, di intraprendere un
investimento con costo 10€, totalmente a carico egli attuali azionisti che paga un ammontare
pari a 10 ≤ 𝑌 ≤ 2035.
Se Y è maggiore di 10, che è il costo attuale del progetto, sarebbe sempre conveniente
investire, ma come avremo modo di vedere con questo esempio, non è condizione sufficiente,
che Y sia maggiore di 10 se ci troviamo in una situazione di debt overhang.
Riprendendo l’esempio precedente, se supponiamo che Y=12, il ritorno atteso dagli azionisti
sarebbe:
Se investe36: 0,5*(130-110+12) + 0,5*0 -10= 6
Se non investe: 0,5*(130-110) + 0,5*0= 10
Essendo il valore degli azionisti maggiore nel caso in cui non si investa, questi sceglieranno di
non investire pure se il progetto ha VAN positivo.
Fintanto che Y sarà minore di 20, gli azionisti otterranno un guadagno solo nel caso in cui i
cash flow siano di 130€. Infatti se i cash flow fossero di 90€, per ripagare il debito di 110€,
sarebbe necessario un ritorno atteso per l’investimento di almeno 20€ che però andrebbero
tutti a rimborsare i bondholders. Solo se il ritorno atteso fosse superiore a 20€, ne
beneficerebbero anche gli azionisti. Possiamo dire quindi che per Y compreso tra 10 e 20,
l’investimento non verrà intrapreso, non per il VAN (che è positivo) ma per il problema del
debt overhang.
Dal punto di vista della banca, se l’impresa non investe c’è il 50% di possibilità che gli venga
rimborsato l’intero debito (110€) e il 50% di possibilità che gli vengano rimborsati solo 90€.
35 Esempio tratto da “The debt hangover, Renegotiation with noncontractible investment”, Sudipto Bhattacharya, Antoine Faure-Grimaud, In Economics Letters, Volume 70, Issue 3, 2001, P. 413-419, 36 Nel caso in cui si verificasse il cash flow di 90, il ritorno atteso dell’investimento (12€) non sarebbe nemmeno sufficiente per rimborsare il debito e quindi non ci sarebbe alcun guadagno per gli azionisti. Per questo motivo, con probabilità del 50% il guadagno degli azionisti è 0.
31
Il valore atteso è di 100€. Dopo questa considerazione la banca potrebbe pensare ad una
rinegoziazione del debito, fino a 100€, a patto però che l’impresa investa nel progetto. Sia per
la banca, che per gli azionisti, in entrambi i casi (sia nel caso in cui il debito sia di 110 e
l’impresa non investa e sia nel caso in cui la banca rinegozi il debito portandolo a 100€ e
l’impresa investa) il risultato atteso sarebbe lo stesso.
Se però dopo aver rinegoziato il debito la banca non imponesse, o non potesse imporre, questa
condizione all’impresa, i suoi azionisti avrebbero un ritorno atteso di 15€ (anziché di 10) non
investendo e quindi potrebbero essere incentivati a non investire nel caso in cui Y si prospetti
essere minore di 15. La rinegoziazione del debito è chiaramente svantaggiosa per la banca
perché se, dopo averla concessa, l’impresa non investe, il ritorno atteso della banca si
abbasserà ulteriormente a 95€. Tuttavia, i finanziatori potrebbero ritrovarsi costretti ad
abbassare il livello del debito a causa dei comportamenti opportunistici dei manager che
potrebbero minacciare di liquidare gli asset aziendali in modo da abbassare ulteriormente
l’entità del patrimonio su cui si potrebbero rivalere i creditori (Pontani, 2007). Dal momento
che in caso di fallimento, gli asset aziendali verrebbero liquidati per soddisfare i creditori, in
situazioni estreme di debt overhang, gli azionisti sono incentivati a prelevare quanto più
contante possibile dall’azienda prima che venga aperta la procedura fallimentare.
I due autori Bhattacharya, e Faure-Grimaud poi indagano sulla possibilità di includere degli
accordi di debt-equity swaps, cioè degli accordi con il quale vengono offerte alle banche delle
azioni così da ridurre ulteriormente il debito. I creditori come abbiamo visto prima, non
ridurrebbero il debito sotto a 100 perché questa è la loro utilità massima attesa, a meno che
non abbiano remunerazioni in altro modo, in questo caso appunto con equity. I due autori
dimostrano che con una riduzione del debito fino a 90€, si abbasserebbe anche il valore della
Y al di sotto del quale gli azionisti non investirebbero, di conseguenza l’investimento con
VAN positivo può essere intrapreso anche con un valore di Y minore andando ad attutire il
fenomeno del debt overhang. Bhattacharya, e Faure-Grimaud infine, investigano anche sugli
effetti delle obbligazioni warrant dimostrando che queste riuscirebbero a portare il valore
della Y ancora più in basso. Con il solo accordo di debt-equity swap, il valore di Y al di sotto
del quale l’impresa non investirebbe è 14,14 mentre emettendo obbligazioni warrant questo
valore si abbasserebbe a 13,33.
“When the investment policy is non-verifiable, renegotiating the debt claim D to a
combination of reduced debt plus other ‘common’ claims for the old creditors, such as equity
and warrants, can do better vis a` vis investment choices (by old equityholders) than a simple
32
debt reduction, but such claims need not result in first best investment choices.”
(Bhattacharya, Faure-Grimaud, 2001)
3.2. Le possibili soluzioni al problema del monitoraggio del debito
Innanzitutto, la soluzione più ovvia ed evidente per risolvere il problema dei costi legati
all’assunzione di un eccessivo debito è quella di ricercare un altro modo per finanziarsi.
Ad esempio, come segnalato nel capitolo 2, il caso italiano è caratterizzato da una grande
dipendenza del canale bancario, “Il peso dei prestiti sul passivo, le modalità delle relazioni
banca-impresa, le forme tecniche rendono il modello strutturalmente debole, inadatto a
sostenere lo sviluppo a medio-lungo termine e le imprese ad alta intensità di innovazione”
(Forestieri, 2014). Per questi motivi diventa necessaria un’incentivazione in favore dello
sviluppo del mercato dei capitali di rischio.
Per quanto riguarda le PMI si cerca di incentivare il ricorso al mercato azionario attraverso un
segmento di mercato creato appositamente per queste aziende (AIM Italia), con minori
requisiti di ammissione. “AIM Italia, oltre che rappresentare per le imprese un’alternativa
meno onerosa e più semplificata ai mercati regolamentati, potrebbe essere la via per rilanciare
il mercato azionario italiano, attraendo la componente più numerosa del tessuto
imprenditoriale e favorendo gli impieghi degli investitori specializzati nell’investimento nel
capitale proprio delle PMI (fondi di private equity37 e venture capital)” (Tunisini et al., 2014).
Negli ultimi anni, poi, con l’avvento delle nuove tecnologie e la migliorazione dei sistemi di
ICT (Information and communication technology) si è assistito alla nascita di un nuovo canale
di finanziamento; le piattaforme di prestito collettivo, o crowdfunding. Attraverso questo
nuovo metodo, le imprese hanno la possibilità di accedere a capitali di rischio direttamente
attraverso una piattaforma on-line facendo appello ad un elevato numero di possibili
investitori (crowd). Per le imprese è possibile quindi raggiungere diverse categorie di
finanziatori, da quelli che sono disposti a finanziarle senza volere niente in cambio (donation-
based crowdfunding) a quelli che scelgono di partecipano al capitale dell’impresa confidando
nella distribuzione di utili (equity-based crowfunding), a quelli che sottoscrivono un contratto
di debito (lending-based crowdfunding).
Inoltre, sono adesso molto più sviluppati i cosiddetti strumenti finanziari ibridi. Questi
strumenti hanno la caratteristica di stare a metà tra il capitale di debito e le azioni e quindi non
37 Come abbiamo già accennato nel secondo capitolo, questi sono una modalità di finanziamento intermedia tra il prestito bancario e l’offerta pubblica di azioni
33
appesantiscono il livello del leverage come farebbero delle semplici obbligazioni. Fanno parte
di questi strumenti ibridi, le obbligazioni convertibili e le obbligazioni warrant che, come
abbiamo visto nel paragrafo precedente, possono limitare il fenomeno del debt overhang.
Abbiamo visto alcune modalità attraverso la quale si può controllare il debito affinché non
raggiunga una percentuale troppo alta rispetto al capitale proprio, in questo modo, si possono
mitigare in modo indiretto i costi di agenzia del debito. Ci sono però anche alcune soluzioni
proposte dalla letteratura per alleviare direttamente questo problema.
I due soggetti principale e agente, agiscono entrambi in modo da massimizzare la loro utilità
causando comportamenti opportunistici. La consapevolezza di questo problema porta
entrambe le parti ad implementare delle misure per ridurre l’opportunismo che sono le attività
di monitoring e di bonding. Questi sistemi necessariamente comportano un costo, che come
abbiamo visto va a sommarsi ai costi di agenzia, il costo però sarebbe maggiore se questi
sistemi non venissero implementati.
Fanno parte delle attività di “monitoring” i covenant legati al contratto di debito e i costi di
sorveglianza da parte del finanziatore per verificare che le condizioni imposte dai covenant
siano rispettate.
I covenant possono essere di vari tipi; possono essere delle restrizioni che riguardano il
rispetto di alcuni limiti minimi o massimi degli indici di bilancio, delle restrizioni che
impongono particolari obblighi informativi e di trasparenza, oppure possono essere covenant
“restrittivi” che limitano alcuni comportamenti dei managers, quali ad esempio la
distribuzione di dividendi eccessivi o alcuni tipi di investimenti, oppure covenant “negativi”
che vietano altri tipi di azioni che potrebbero esporre gli obbligazionisti a delle perdite. I
creditori controlleranno l’operato dell’azienda dopo l’imposizione di questi limiti e, nel caso
in cui essa non dovesse rispettarli, potranno agire richiedendo il rimborso anticipato del debito
o rinegoziandolo (Bazzana, 2007).
Tipici esempi di attività di “bonding” sono invece quelle azioni intraprese dal debitore con
l’obiettivo di dimostrare la capacità della propria azienda di far fronte al debito e al
pagamento di interessi. Alcuni esempi di bonding possono riguardare la predisposizione di
report, la pubblicazione periodica del rendiconto finanziario o la comunicazione di previsioni
sul futuro dell’azienda38. L’allineamento dell’informazione tra due soggetti dovrebbe aiutare a
38 Nel caso di informazioni molto generali riguardo alle aspettative sui risultati dell’azienda, ci potrebbero essere scetticismi da parte dei futuri investitori. Riguardo però a dati precisi e documenti contabili, c’è maggiore probabilità che siano veritieri in quanto sono previste pene molto severe per le false comunicazioni
34
ridurre i costi di agenzia visto che questi sono causati dalle informazioni incomplete e dalle
asimmetrie informative (di cui abbiamo già parlato nel primo capitolo).
Tra le proposte su come limitare i costi di agenzia del debito, infine, troviamo anche quella di
concedere debiti che siano a breve piuttosto che a lungo periodo. Questa proposta deriva dagli
studi di Myers (1977) che indaga sul rapporto tra durata del debito e il finanziamento del
fabbisogno aziendale. Egli sostiene che, un abbreviamento nella durata del debito che faccia
in modo che le scadenze per le opzioni di investimento siano successive alla scadenza del
debito, possa ridurre il problema del debt overhang. L’emissione di nuovo debito in
concomitanza con la decisione di intraprendere un nuovo progetto di investimento, farà in
modo che i guadagni di questo investimento vadano prima agli azionisti che ai finanziatori.
Tuttavia, come dimostrato da Johnson (2003)39 è vero che un debito a breve può attenuare il
problema del debt overhang ma è anche vero che questo comporta altri costi, come il costo
per il rischio di liquidità. L’impresa dovrebbe pagare il debito e rifinanziarsi molto più spesso
con il rischio di non riuscire a far fronte puntualmente alle sue obbligazioni e quindi un
maggior rischio di dissesto.
sociali che possono arrivare anche alla reclusione. (Art. 2621 Codice Civile per quanto riguarda la legge Italiana, per le aziende quotate a NYSE vale il Sarbanes-Oxley Act, legge emanata nel 2002 dal governo degli USA che, tra le altre cose, aumenta gli obblighi informativi e le pene per il falso in bilancio.) 39 “Short debt maturity also increases liquidity risk, however, which negatively affects leverage. The results suggest that firms trade off the cost of underinvestment problems against the cost of increased liquidity risk when choosing short debt maturity.” Debt Maturity and the Effects of Growth Opportunities and Liquidity Risk on Leverage, Shane A. Johnson, Review of Financial Studies, 2003, p. 234
35
CONCLUSIONI
La proposta di questo lavoro, era quella di provare a spiegare il modo attraverso il quale i
costi di agenzia del debito influiscono sulle scelte di struttura finanziaria delle aziende.
Quando sentiamo parlare di costi di agenzia nelle imprese, il primo rapporto principale-agente
che ci viene in mente è quello che si crea tra gli azionisti e managers. Questo rapporto è
caratteristico delle imprese ad azionariato diffuso o public companies, che sono strutture
societarie che per far fronte a necessità economiche sempre maggiori, hanno venduto quote
della società sul mercato dei capitali. In questo tipo di imprese, il controllo è nelle mani di
manager che non detengono la proprietà del capitale, e per questo motivo c’è un conflitto di
interessi tra chi deve prendere le decisioni e i soggetti sui quali benefici e costi di queste
decisioni ricadranno.
Questo conflitto di interesse comporta dei costi, per questo motivo si potrebbe essere portati a
pensare che il debito sia un’alternativa di finanziamento migliore. Tra l’altro abbiamo anche
visto che la teoria dell’ordine di scelta consiglia, dopo l’utilizzo degli utili non distribuiti, di
preferire il debito al mercato azionario per finanziarsi.
Ci sono delle aziende che infatti non utilizzano il ricorso al mercato di capitali, ma il debito.
Abbiamo visto che il finanziamento attraverso uno piuttosto che l’altro canale può differire
per una serie di ragioni che vanno dalle caratteristiche del settore in cui quelle aziende
operano, alle caratteristiche del contesto geografico in cui si ritrovano. Ad esempio, rispetto
alle altre aziende estere, le imprese del nostro paese, soprattutto le PMI, per fattori storici e
legati alla cultura aziendale presentano un maggior ricorso alla leva finanziaria.
In queste aziende, a causa di una concentrazione della proprietà, tenderanno ad affievolirsi i
conflitti di interesse tra managers e azionisti, a favore di un altro tipo di conflitto che si può
delineare come un conflitto di agenzia, quello tra creditori e managers.
I costi che derivano da questo rapporto sono i costi di agenzia del debito, su di cui si
concentra questo lavoro, ed è anche a causa di questi costi che non viene consigliato il
finanziamento esclusivamente tramite debito.
L’idea iniziale era quella di concentrarsi principalmente sui costi di agenzia del debito in
quanto, come già detto, la situazione italiana aveva strutturalmente una conformazione bank-
based, e successivamente spiegare come questi costi influissero nelle scelte di indebitamento
delle imprese. Questo presuppone però che l’influenza dei costi di agenzia sulla struttura
finanziaria avvenga solo una volta che la struttura finanziaria sia stata già stata definita.
36
Quindi, prima di arrivare a situazioni di indebitamento eccessive, anzi, già nelle fasi iniziali di
redazione del business plan, quando ancora l’azienda è in fase di creazione, bisognerebbe
tenere a mente tutte le variabili che in questo elaborato ho nominato, dalla teoria del trade-off,
a quella del pecking order, fino ad arrivare al trade-off su costi di agenzia di equity e debito su
di cui mi sono concentrata maggiormente, cercando di limitare decisioni prese in fretta e
dettate solo dal fatto che “quel soggetto è disponibile a prestarmi dei soldi”.
Tra le soluzioni proposte infatti, una era quella di affidarsi a strumenti di finanziamento
intermedi, i cosiddetti “titoli ibridi”, che non andassero a pesare troppo né da un lato né
dall’altro e che quindi, potrebbero essere molto utili.
Di ricerche in questo campo se ne potrebbero fare ancora molte. Oltre al fatto che non si è
ancora giunti ad una spiegazione per il raggiungimento di una struttura finanziaria ottimale,
sempre che questo sia possibile, sarebbe interessante fare anche qualche maggior
approfondimento sull’effetto delle attività di “bonding” in relazione ai costi di agenzia del
debito cioè se e in che misura, migliori informazioni e una maggiore trasparenza da parte
delle aziende nei confronti degli istituti di credito possano aiutare alla riduzione di questi costi
e quindi se i regolamenti sempre più restrittivi in tale materia siano veramente utili a tale
scopo40.
40 Numero di parole: 13930
37
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