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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI FERRARA FACOLT ` A DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Triennale in MATEMATICA MODELLI MATEMATICI PER LA CRESCITA TUMORALE Relatore: Chiar.mo Prof. Josef Eschgf ¨ aller Laureanda: Giulia Giantesio Anno Accademico 2006-2007

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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI FERRARA

FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE ENATURALI

Corso di Laurea Triennale in

MATEMATICA

MODELLI MATEMATICIPER LA CRESCITA TUMORALE

Relatore:

Chiar.mo Prof.Josef Eschgfaller

Laureanda:

Giulia Giantesio

Anno Accademico 2006-2007

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Indice

Introduzione 3

I. CELLULE STAMINALI TUMORALI

1. Ematopoiesi dei leucociti 5

2. La leucemia mieloide cronica 7

3. Cellule staminali tumorali 11

4. Biologia generale dei tumori 14

5. Alcune implicazioni 20

II. L’ESPONENZIALE MATRICIALE

6. Funzioni di matrici ed esponenziale matriciale 21

7. Il polinomio minimale di una matrice 25

8. Matrici che soddisfano un’equazione quadratica 30

9. Formule che utilizzano serie ipergeometriche 34

10. Interpolazione di Hermite 46

11. La formula spettrale di Sylvester-Buchheim 57

12. Matrici che soddisfano un’equazione cubica 61

13. L’algoritmo di Parlett-Koc per matrici triangolari 64

14. La rappresentazione di Wronski-Vandermonde 74

15. Metodi di Runge-Kutta 80

III. FUNZIONI DI CRESCITA

16. La distribuzione esponenziale 82

17. Dinamica della leucemia mieloide cronica 84

18. Funzioni di crescita 88

19. Differenziazione numerica 103

Bibliografia 108

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Introduzione

Questa tesi contiene alcuni strumenti matematici utili per descrive-re la dinamica dei processi tumorali e per valutare gli effetti di unaterapia.

La ricerca sul cancro e attualmente incentrata sull’analisi dei mec-canismi coinvolti nella genesi e nella crescita di tumori al fine di svi-luppare nuovi approcci terapeutici e di prolungare la vita del paziente.

Percio, prima di iniziare la trattazione matematica, abbiamo dedi-cato i primi cinque capitoli alla spiegazione e descrizione medica dialcuni termini e processi biologici inerenti ai fenomeni tumorali.

Nella parte biomatematica contenuta negli ultimi quattro capito-li, ci proponiamo di analizzare alcuni dei recenti modelli matematiciriguardanti la dinamica tumorale. In particolare nel capitolo 17 de-scriveremo il modello sviluppato da Franziska Michor e colleghi perla dinamica della leucemia mieloide cronica; mentre nel capitolo 18caratterizzeremo, a partire dal modello logistico e dall’equazione diGompertz, alcune classi di funzioni di crescita in parte nuove insie-me ad alcune tecniche elementari, ma possibilmente piuttosto utili, diadattamento terapeutico. Questa idea viene ulteriormente elaboratanell’ultimo capitolo in cui presentiamo un metodo di interpolazione edifferenziazione numerica basato sull’interpolazione di Hermite che sipresta all’analisi e al controllo delle funzioni di crescita.

La parte matematica centrale della tesi e dedicata allo studio dellafunzione esponenziale matriciale. Questo e dovuto da un lato al fattoche molti modelli della biomatematica si fondano su sistemi di equa-zioni differenziali ordinarie lineari a coefficienti costanti, quindi dellaforma X = AX che possiede la soluzione X(t) = X(0)eAt.

Dall’altro lato, l’esponenziale matriciale appare in molti campi dellamatematica pura e applicata. Il calcolo di eAt e anche oggi un argo-mento attuale dell’analisi numerica, sia per la ricerca di formule es-plicite a cui anche nella tesi abbiamo dato molto spazio, sia per alcunirisvolti teorici. I lavori citati in bibliografia (ad esempio Apostol, Da-vies/Higham, Higham [S], Moler/Van Loan) mostrano l’interesse deimatematici per questo tema.

Dopo aver definito, nel capitolo 6, le funzioni matriciali e l’esponen-ziale matriciale nel campo complesso, si passa nel settimo capitolo allostudio delle proprieta dei polinomi minimale e caratteristico di matriciquadrate. Grazie a questi polinomi, si riescono a dimostrare nel capi-tolo 8 le prime formule per il calcolo di eAt per una matrice A chesoddisfa un’equazione quadratica. Nel successivo capitolo, partendodall’interpolazione di Lagrange deriviamo alcuni legami con le serieipergeometriche che forse possono essere approfondite.

Nel capitolo 10, si definisce il polinomio d’interpolazione di Hermitee si dimostra un semplice algoritmo ricorsivo per il suo calcolo. Inoltredefiniamo uno schema alle differenze molto utile per il calcolo di que-sto polinomio d’interpolazione. Il polinomio di Hermite sara utilizzato

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per ricavare formule esplicite per l’esponenziale di una matrice neisuccessivi due capitoli e, nell’ultimo capitolo, per lo studio di funzio-ni di crescita tumorali. Infatti, tramite l’interpolazione di Hermite, nelcapitolo 11 si dimostra la fondamentale formula spettrale di Sylvester-Buchheim. Nel capitolo 12 troviamo cosı formule esplicite per il calcolodell’esponenziale di una matrice che soddisfa un’equazione cubica.

Il tredicesimo capitolo e dedicato all’algoritmo di Parlett-Koc, moltoefficace per il calcolo dell’esponenziale di una matrice triangolare (ma-trici triangolari inferiori appaiono spesso nei modelli compartimentalidella biomatematica).

Il capitolo 14 e dedicato alla classica rappresentazione di Wronski-Vandermonde, mentre il capitolo 15 contiene una breve introduzioneal metodo di Runge-Kutta, che sara usato nelle sperimentazioni nu-meriche.

Nonostante gli immensi sforzi degli ultimi decenni il cancro rima-ne uno dei piu terribili nemici dell’uomo. Cio e naturalmente dovutoal fatto che la malattia e legata ai segreti piu profondi della vita; esi-stono pero anche critiche all’organizzazione della lotta contro il can-cro. Talvolta ad esempio si ha l’impressione che la ricerca sia troppoconcentrata nelle grandi istituzioni e che nuove idee o nuovi farmacifacciano fatica ad aver successo (cfr. Leaf, Moss e, per la situazioneitaliana, De Filippis Russo). Cosı ad esempio solo una minima partedella ricerca e rivolta allo studio delle metastasi, uno degli aspetti piutemuti del cancro! E forse anche trascurata, misurata con l’enormeportata del problema, la prevenzione, benche an ounce of prevention

is worth a pound of cure, come cita Paul Talalay dall’almanacco diBenjamin Franklin di 250 anni fa. Il capitolo introduttivo del libro diPelengaris/Khan contiene un’esposizione moderna dello stato attualedella ricerca sul cancro.

Per un’esposizione degli aspetti statistici ed epidemiologici apparsinel 2007 rimandiamo all’articolo di Hayat/Howlader/Reichman/Edwards.

Molti dei piu attuali modelli matematici in oncologia sono descrittinel libro di Wodarz/Komarova, per un analisi della crescita e progres-sione tumorale con gli strumenti della fisica matematica indichiamoSherratt/Chaplain e la raccolta di articoli pubblicati a cura di LuigiPreziosi.

L’immensa importanza umana del problema dovrebbe indurre piumatematici a dedicarsi ad esso e a non ignorarlo, o perche si ritieneche non si possa fare nulla oppure che i modelli che si potrebbero svi-luppare siano irrilevanti perche troppo elementari per un matematicodi professione. Infatti anche modelli elementari possono essere mol-to utili per lo studio della malattia, per l’ottimizzazione di strategiedi terapia, per il disegno di nuovi farmaci. Quindi i matematici nondovrebbero ignorare il campo medico, ma al contrario farsi coraggio enon averne paura: molto puo fare la matematica!

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I. CELLULE STAMINALI TUMORALI

1. Ematopoiesi dei leucociti

Nota 1.1. L’ematopoiesi e il processo di formazione, differenziazione e

maturazione delle cellule del sangue e degli altri elementi formati nel

sangue. Il processo dell’ematopoiesi non e ancora del tutto capito. Essoinizia con una cellula staminale pluripotente che da origine a cascate

separate di cellule. Questa cellula staminale emopoietica e rara, circa

una in 20 milioni di cellule che si trovano nel midollo osseo, un organo

sparso estremamente prezioso e delicato, che e responsabile della pro-duzione, della differenziazione e della crescita delle cellule del sangue.

Il midollo osseo e situato esclusivamente nelle ossa dello scheletro e in

eta giovanile e essenzialmente midollo osseo rosso che piu tardi vie-

ne progressivamente sostituito da quello giallo, dovuto a un aumentonelle cellule adipose e una riduzione degli elementi emopoietici. Le

cellule staminali hanno la capacita di autorinnovarsi.

La differenziazione cellulare avviene tramite progenitori separati

per ogni linea cellulare che hanno una capacita ristretta di sviluppar-

si. L’esistenza di cellule progenitrici separate puo essere dimostrata

nelle culture in vitro. Progenitrici molto giovani si trovano nelle cul-ture a lungo termine dello stroma, un tessuto connettivo fibroso del

midollo osseo.

Il midollo osseo e anche il sito principale dell’origine dei linfociti, che

si differenziano da cellule staminali linfoidi. Un uomo adulto possiede

circa 1012 linfociti, di cui 10

9 muoiono ogni giorno e vengono sotituiti

dal sistema emopoietico.

I granulociti derivano dalla differenziazione di apposite progenitrici

(CFU-GM), mentre i megakariociti sono gigantesche cellule di circa

100 µm di diametro con un grande nucleo contente alcuni nucleoli.

Il midollo osseo forma un ambiente favorevole per la sopravviven-

za, la crescita e lo sviluppo delle cellule staminali. E composto dallecellulle stromali e da una rete microvascolare. Le cellule stromali in-

cludono adipociti, fibroblasti, cellule endoteliali, macrofagi e molecole

extracellulari secrete da esse come il collagene, le glicoproteine e gli-

cosaminoglicani per formare una matrice extracellulare.

Il componente ematopoietico, o parenchima, del midollo osseo con-

siste di un gran numero di cellule formate del sangue a vari stadidi sviluppo, differenziazione e crescita, colmando gli spazi tra gli ele-

menti dei componenti vascolari. Le cellule reticolari del midollo osseo

sopportano gli elementi ematopoietici e sintetizzano le fibre reticolari.

Nota 1.2. L’ematopoiesi inizia con la divisione delle cellule staminali

nella quale una cellula figlia rimpiazza la cellula staminale e l’altrae assegnata alla differenziazione; quali cascate di cellule sono scelte

per la differenziazione dipende sia dal cambiamento sia dai segnali

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esterni ricevuti dalle cellule progenitori.

Riassumiamo le fasi principali dell’ematopoiesi nella seguante ta-

bella, seguendo Hoffbrand/Moss/Pettit. In essa mancano molti stadiintermedi; la derivazione delle cellule, deducibili della linea CFU-M

sembra che non sia certa. Le abbreviazioni BFU e CFU, comunemente

usate, significano burst forming unit e colony forming unit.

cellule staminali emopoietiche pluripotenti (CFU-GEMML)

progenitrici mieloidi miste (CFU-GEMM) staminali linfoidi

BFU-E BFU-Meg CFU-GM linfociti adattivi

CFU-E CFU-Meg

eritroblasti megacariociti CFU-M CFU-G

T

eritrociti piastrine monociti dendr. eos. bas. neutr. NK helper citotoss. B

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2. La leucemia mieloide cronica

Nota 2.1. Seguiamo in questo capitolo, nella parte generale, soprattut-to il libro di Castoldi/Liso. Alcuni dati qualitativi sono presi da Pois-singer/Regierer.

La leucemia mieloide cronica (LMC, in inglese CML) e un disordi-ne ematopoietico provocato da una trasformazione neoplastica dellacellula staminale pluripotente. Questa malattia corrisponde a circa il15% delle leucemie e puo svilupparsi ad ogni eta, piu frequentementecomunque tra i 40 e i 60 anni. La diagnosi della LMC e difficile cosıcome la terapia (allo stato attuale infatti le leucemie croniche sono piudifficili da curare delle leucemie acute, cfr. Hoffbrand/Moss/Pettit, pag.174). La LMC si contraddistingue per una presenza caratteristica delcromosoma Philadelphia (Ph).

Non sembra pero chiaro se si tratta di una lesione dovuta alla pro-gressione della malattia che appare a partire dalla fase cronica, oppu-re se, come altri espirimenti sembrano indicare, la presenza del cro-mosoma Philadelphia sia un fattore che puo provocare la LMC.

Si distinguono quattro fasi della malattia: una fase iniziale a decorsolento, in cui la leucemia e spesso asintomatica e in cui possono passareda 2 a 10 anni dall’inizio biologico della malattia alla diagnosi che ingenere avviene nella successiva fase cronica in cui si osservano spe-cifiche anomalie cromosomali e molecolari. Questa fase normalmentee sintomatica: leucocitosi elevata, splenomegalia (nel 75% dei pazi-enti), epatomegalia (nel 50%), tensione addominale, ipermetabolismocon perdita di peso e astenia; si osserva una forte proliferazione delleCFU-GM e CFU-G (cfr. la tabella nella nota 1.2) e un soprannumerosempre piu marcato delle cellule Ph+ (in cui cioe e presente il cromo-soma Philadelphia). Una fibrosi midollare rappresenta un elementoprognostico sfavorevole. Nella fase accelerata (descritta piu dettaglia-tamente a pag. 219 del libro di Castoldi/Liso) si notano un accentuarsidei sintomi e nuove anomalie cromosomiche, mentre la terapia diven-ta sempre piu difficile. La fase blastica terminale dura circa 6 mesi eporta nel 90% dei casi alla morte del paziente. Solo in relativamentepochi casi e possibile un ritorno alla fase cronica.

Una delle cause piu probabili della LMC e l’esposizione a radiazioniionizzanti; come osservano Castoldi e Liso, prima dell’introduzione diappositi sistemi di protezione, l’incidenza della LMC nei medici radio-logi era nove volte superiore rispetto alla popolazione normale, mentreun anologo aumento della LMC si e osservato nei sopravvissuti allebombe di Hiroshima e Nagasaki.

Alcune varianti della LMC sono la leucemia mieloide cronica Ph−(si trova prevalentemente nei soggetti maschili anziani e ha un tempodi sopravvivenza minore), la LMC giovanile, la leucemia eosinofilicae neutrofilica e la leucemia mielomonocitica cronica. Nella LMC Ph−si e dimostrata la presenza di una variante dell’accoppiamento BCR-ABL molto simile dal punto di vista funzionale a quello classico.

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Nota 2.2. Il cromosoma Ph deriva da una reciproca combinazione tra icromosomi 9 e 22, in cui una parte del proto-oncogene c-ABL si muoveverso il gene BCR del cromosoma 22 e una parte del cromosoma 22si muove verso il cromosoma 9. Questa 9;22-traslocazione si trova incirca il 95% dei casi della LMC ed e descritta molto schematicamentenella figura.

9

22 = Ph

Dalla traslocazione nasce un nuovo gene BCR-ABL che codifica peruna fosfoproteina di grandezza 210 kD, mentre l’ABL normale produ-ce una proteina di 145kD. La proteina patologica ha un’attivita tirosi-nochinasica maggiore di quella della proteina normale.

Come osservano gli autori citati, la fosfoproteina anomala puo fos-forizzare molti substrati, attivando cosı una cascata di segnali di tras-duzione i quali a loro volta regolano crescita e differenziazione dellecellule.

Alcuni dettagli in piu sui siti di rottura nei cromosomi 9 e 22 sitrovano in Macdonald/Ford/Casson, pagg. 178-181, un’esposizione piucompleta in Deininger/Goldman/Melo.

Mutazioni nel gene BCR-ABL che possono portare a resistenza sonodiscusse in Chu/. . ./Bhatia.

Nota 2.3. Per curare la leucemia mielode cronica si possono sceglierediverse strade, come la chemioterapia ad esempio con il busulfano, unalchilante mielodepressivo che miglora notevolmente il grado emato-logico e quindi anche la quantita della vita dei pazienti, ma non riescea ritardare la crisi blastica, il trattamento con l’interferone α (usatodi solito dopo o in combinazione con la chemioterapia) e il trapiantoallogeno di midollo osseo tanto efficace quanto rischioso, in quanto iltrattamento riesce a curare la malattia nel 50% dei casi, ma puo esserefatale (con una mortalita che arriva al 25%) ed e comunque proponibilesolo nel 15% circa dei pazienti, ma di solito da alcuni anni si preferisceper la sua efficacia e la buona tollerabilita il trattamento con imatinib.

La terapia dovrebbe iniziare il piu presto possibile.

Se pero il trapianto e possibile, secondo Deininger, pag. 180, biso-gna spiegare al paziente che l’imatinib non riesce ad eliminare com-pletamente la leucemia, che la terapia dovra durare tutta la vita eche esiste il rischio di un’improvvisa apparizione di cloni resistenti eprogressione in fase blastica.

Tutti i trattamenti sono efficaci solo nella fase cronica; sembra chenon esista una terapia nella fase blastica anche se talvolta alte dosidi imatinib riescono a indurre un ritorno alla fase cronica (cfr. Castol-di/Liso, pag. 224).

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Nota 2.4. L’introduzione di inibitori dell’attivita tirosinochinasica harivoluzionato la terapia della leucemia mieloide cronica (Castoldi/Liso,pag. 222).

L’imatinib e una droga usata nel trattamento di diversi tipi di tumo-ri che viene utilizzata anche in alcuni tumori del cervello e in rari tu-mori gastrointestinali. L’imatinib, chiamato anche STI571 (STI=signaltransduction inhibitor) e, come prodotto commerciale della Novartis,Gleevec o Glivec, e un inibitore della BCR/ABL tirosino proteina china-si che agisce mediante un blocco dell’ATP, la molecola che governa ladinamica energetica della cellula. E stato identificato alla fine del 1990e, negli Stati Uniti, e stato approvato come trattamento per la LMC,proprio per la sua efficacia. L’imatinib e una 2-fenilaminopirimidinala cui formula e rappresentata nella figura.

Una dose di 400 mg al giorno e capace di produrre una remissioneematologica completa in quasi tutti i pazienti riducendo fortemente ilnumero delle cellule tumorali nel midollo osseo. Purtroppo questa re-missione e soltanto temporanea. Infatti, molti tumori sviluppano resi-stenza alla droga. In alcuni casi la resistenza coinvolge l’amplificazionedel gene BCR-ABL, mentre in altri i cambiamenti rendono questa pro-teina meno sensibile agli inibitori.

Gli effetti tossici dell’imatinib riguardano il fegato, l’apparato ga-stroenterico e il sistema nervoso, provocando esantemi, ritenzione diliquidi, tensioni muscolari e nausea.

La terapia puo provocare neutropenia e trombocitopenia che talvol-ta costringe a una riduzione della dose.

La LMC generalmente mostra una buona reazione all’imatinib so-prattutto nella fase cronica e riesce a prolungare la sopravvivenza deipazienti.

Per piu dettagli si cfr. Hoffbrand/Moss/Pettit, pagg. 177-179, e Dei-ninger/Buchdunger/Druker.

Osservazione 2.5. Due nuovi farmaci, il dasatinib (BMS-354825, svi-

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luppato dalla Bristol-Myers-Squibb) e l’AMN107 sembrano poter com-petere con l’imatinib; cfr. Shah/. . ./Sawyers, Weisberg/. . ./Griffin eO’Hare/Corbin/Druker. Si tratta ancora di inibitori della tirosinochina-si BCR-ABL promettenti soprattutto nella possibilita di superare i fe-nomeni di resistenza. Nonostante cio sembra che anche queste nuovesostanze non siano in grado di eliminare completamente le cellule sta-minali tumorali; gli autori citati prospettano quindi l’utilizzo di uncocktail di inibitori per evitare la formazione di classi resistenti.

Nel lavoro di Rea/. . ./Rousselot e descritto uno studio clinico su unaterapia combinata in cui l’imatinib viene somministrato a una dosedoppia (800 mg al giorno) rispetto a quella normale.

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3. Cellule staminali tumorali

Nota 3.1. La scoperta di cellule staminali tumorali ha rivoluziona-to gli studi sulla carcinogenesi e promette di aprire nuove vie per lachemioterapia tumorale. Si tratta attualmente di uno dei campi piuattivi della ricerca sul cancro; seguiamo in questo capitolo soprattuttoi lavori di Dean/Fojo/Bates e Rea/. . ./Weisman.

Le cellule staminali sono definite come quelle cellule che hannol’abilita di perpetuarsi attraverso l’autorinnovamento; da esse discen-dono le cellule mature dei vari tessuti attraverso diversi stadi di diffe-renziazione. Le cellule staminali sono rare ed e molto difficile poterleidentificare, mentre la loro origine e ancora sconosciuta.

Probabilmente anche tra le cellule staminali esiste una gerarchiache va da cellule che possono produrre qualsiasi tipo di cellula e sonochiamate pluripotenti a cellule staminali piu specializzate.

Il tempo di duplicazione delle cellule staminali e relativamente lun-go rispetto a quello dei progenitori.

Durante la divisione da una cellula staminale nascono due cellulefiglie: una del tutto uguale alla cellula madre, la seconda destinata adiventare progenitrice di una linea cellulare tissutale specifica che sievolve attraverso la differenziazione cellulare.

Nota 3.2. Le cellule staminali sono alla base di molti meccanismi diriparazione dei tessuti, inoltre la loro capacita di divisione e autorin-novamento e cruciale per il mantenimento di un giusto stato di equi-librio (omeostasi) degli organi; infatti un organo sano mantiene unnormale equilibrio controllando le diverse cellule per riparare lesioniall’organo.

Siccome le cellule di molti organi vengono continuamente rinnovate,cio richiede un preciso meccanismo di proliferazione e distruzione chein piu deve essere in grado di reagire in modo appropriato a situazioninuove in seguito a traumi o particolari esigenze fisiologiche.

Per conservare le loro caratteristiche biologiche e per garantire eregolare la divisione cellulare asimmetrica descritta nella nota 3.1, lecellule staminali hanno bisogno di un microambiente stabile e favo-revole che prende il nome di nicchia staminale, descritto ad esempioin Fuchs/Tumbar/Guasch, Schulz, pagg. 185-191 e Clarke/Fuller. Nelcaso delle cellule staminali tumorali probabilmente e decisivo se esseriescono a trovare o crearsi un tale ambiente favorevole.

Nota 3.3. Si puo supporre che ci siano parallele tra le cellule stami-nali normali e quelle tumorali: che abbiano quindi meccanismi similiche regolano l’autorinnovamento attraverso una gerarchia di cellulesempre piu specializzate. La grande massa delle cellule tumorali de-riverebbe dalle cellule staminali tumorali, che risultano cosı decisiveper la progressione della malattia.

Il ruolo delicato delle cellule staminali normali nel mantenimentodell’omeostasi e i complessi meccanismi di riparazione di cui dispon-

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gono le rende probabilmente spesso il bersaglio degli eventi che con-ducono a una trasformazione maligna.

In questo senso un tumore puo essere visto come un organo aberran-te governato da un compartimento di cellule staminali trasformate lequali, fino a quando non sono completamente eradicate, continuano adessere in grado di rigenerare il tumore.

Una caratteristica importante per le strategie di terapia e che lecellule staminali sia normali che tumorali dispongono di meccanismidi protezione piu efficaci delle cellule specializzate (ad esempio nellecellule staminali sono spesso fortemente espressi i geni per sistemidi trasporto con cui la cellula riesce a liberarsi di sostanze tossiche equindi anche di farmaci tumorali) e sono quindi molto piu resistenti al-la chemioterapia che quindi spesso riesce (come abbiamo visto nel casodella leucemia mieloida cronica) ad eliminare la grande massa del-le cellule tumorali, ma non e in grado di distruggere il compartimentostaminale. Nelle cellule staminali tumorali molto probabilmente si ag-giungono mutazioni patologiche che possono a loro volta causare unamaggiore resistenza.

Nota 3.4. Cellule staminali tumorali sono state identificate per la pri-ma volta in alcuni tipi di leucemia nel 1997, mentre nel 2003 sonostate trovate cellule staminali in tumori al seno (cfr. Dick, al-Hajj/. . ./Clarke) e ancora piu recentemente in tumori del cervello, delle ossae in teratocarcinomi. Nel 2007 sono state isolate per la prima voltacellule staminali del tumore del pancreas.

Osservazione 3.5. I biologi non sono sicuri ancora di come le cellu-le staminali (normali o tumorali) acquisiscono le loro caratteristicheparticolari.

Si e visto comunque recentemente, quando si sono isolate celullestaminali tumorali, che esse costituiscono solo una piccolissima partedell’intera massa del tumore e che ne bastano poche per generare unnuovo cancro, mentre la maggior parte delle cellule tumorali non ne ein grado.

In base a queste considerazioni Kathryn Packman ha sviluppato unnuovo modello del cancro che differisce sostanzialmente dal vecchio:

Vecchio modello:

(1) Tutte le cellule del tumore possono formare nuovi tumori.

(2) Crescita sregolata attribuita a eventi genetici.

(3) Cancro e un malessere proliferativo.

Nuovo modello:

(1) Solo poche cellule del cancro possono formare nuovi tumori.

(2) Crescita sregolata attribuita a difetti nei meccanismi nel rinno-vo delle cellule staminali.

(3) Cancro e un disordine delle cellule staminali.

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Un tentativo di definire cellule staminali pretumorali capaci di un’evoluzionesia benigna che maligna che potrebbero essere i precursori delle cellu-le staminali tumorali si trova in un recente lavoro di Chen/. . ./Gao.

Osservazione 3.6. Il concetto di cellula staminale tumorale aprirasicuramente nuove strade per la terapia.

Analizzando infatti le caratteristiche particolari di queste cellule sipossono sviluppare farmaci che attaccano specificamente le cellule chehanno quelle proprieta.

Allo stato attuale comunque bisogna aggiungere che in alcuni tu-mori (ad esempio del rene, del pancreas, del colon) la chemioterapianon riesce a ridurre in modo decisivo nemmeno il numero delle celluletumorali comuni.

Osservazione 3.7. Molti scienziati pensano che anche le mutazioni diun tumore risalgano spesso a cellule staminali tumorali che talvolta,in accordo con le loro proprieta biologiche, possono rimanere quiescen-ti per molti anni e causare metastasi ritardate; cfr. Bordlein.

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4. Biologia generale dei tumori

Nota 4.1. Nell’organizzazione generale di questo capitolo seguiamo

l’articolo di Hanahan/Weinberg.

Il cancro e una malattia che ha origine da cambiamenti nel genoma.

Le mutazioni piu facilmente identificabili riguardano gli oncogeni e igeni soppressori della crescita.

Hanahan e Weinberg prospettano per il futuro una nuova imposta-

zione delle ricerche sul cancro che si spera che potra diventare unascienza logica che cerca di capire la malattia individuandone un picco-

lo numero di principi astratti.

In questo processo di messa a punto dei concetti fondamentali forseanche il matematico puo avere il suo ruolo, contribuendo con metodi

analitici (come in questa tesi) o statistici classici oppure importando

nella ricerca medica strumenti della matematica pura come le reti diPetri o la teoria dei sistemi.

Nel seguito spiegheremo le regole che governano la trasformazione

di cellule normali umane in maligne, mentre vedremo che il cancro eun processo a piu tappe tipicamente associate a specifiche alterazioni

genetiche.

Il problema del cancro non e comunque difficile solo per la nume-

rosita dei fattori e processi coinvolti, ma anche perche non si tratta

di una singola malattia, ma di un’intera classe di malattie spesso con

caratteristiche biologiche molto diverse.

Esse hanno in comune uno sregolamento della cooperazione bilan-

ciata tra i fattori che stimolano la crescita dei tessuti e i fattori che

controllano e limitano la crescita. Quando i geni che producono questifattori subiscono mutazioni, nel primo caso possono diventare onco-

geni e provocare una crescita incontrollata; se i geni soppressori sono

mutati, essi a loro volta non sono piu in grado di regolare la crescita edi impedire la successiva trasformazione maligna.

Questo meccanismo spiega anche perche in genere e sufficiente la

mutazione di un solo allele per attivare un oncogene, mentre affinchel’azione di un sopressore venga compromessa la mutazione deve ri-

guardare entrambi gli alleli (per questa ragione persone in cui per un

difetto genetico solo uno dei due alleli soppressori funziona bene, sonoparticolarmente a rischio di perdere questa protezione).

Per un’esposizione piu approfondita delle conoscenze attuali su on-

cogeni e geni soppressori rimandiamo ai libri di Macdonald/Ford/Cassone Pelengaris/Khan che contengono anche capitoli su alcuni degli altri

temi che adesso toccheremo molto brevemente (apoptosi, telomeri, in-

stabilita genetica, angiogenesi, ciclo cellulare).

Nota 4.2. Molti tipi di cancro sono noti nel genere umano; qui di se-

guito riportiamo alcuni dati del 2006 riguardanti gli USA, presi dalla

tabella del NCI.

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Nuovi casi stimati nel 2006 Morti stimate nel 2006

uomini donne uomini donne

Cavita orali e faringe 20.180 10.810 5.050 2.380

Esofago 11.260 3.290 10.730 3.040

Stomaco 13.400 8.880 6.690 4.740

Colon e retto 72.800 75.810 27.870 27.300

Fegato e dotti biliari 12.600 5.910 10.840 5.360

Pancreas 17.150 16.580 16.090 16.210

Laringe 7.700 1.810 2.950 790

Polmone e bronchi 92.700 81.770 90.330 72.130

Melanoma della pelle 34.260 27.930 5.020 2.890

Seno 1.720 212.920 460 40.970

Cervice (utero) 9.710 3.700

Endometrio (utero) 41.200 7.350

Ovaie 20.180 15.310

Prostata 234.460 27.350

Testicoli 8.250 370

Vescica urinaria 44.690 16.730 8.990 4.070

Rene e bacini renali 24.650 14.240 8.130 4.710

Cervello e altri nervi 10.730 8.090 7.260 5.560

Tiroide 7.590 22.590 630 870

Linfoma Hodgkin 4.190 3.610 770 720

Linfoma non-Hodgkin 30.680 28.190 10.000 8.840

Mieloma 9.250 7.320 5.680 5.630

Leucemia 20.000 15.070 12.470 9.810

Trasformiamo la tabella in diagrammi a trapezio, in cui il lato superio-re si riferisce agli uomini, il lato inferiore alle donne, mentre la parte

scura corrisponde alla mortalita.

bocca e faringe esofago stomaco colon e retto

fegato pancreas laringe polmoni

prostata

mammella

cervice dell’utero corpo dell’utero ovaia testicoli

vescica urinaria rene sistema nervoso tiroide melanoma

Hodgkin linfomi non-Hodgkin mieloma leucemie

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Nota 4.3. Esistono notevoli differenze tra i vari paesi. I seguenti bipro-fili corrispondono alla tabella a pag. 3 in Schulz; sono indicate le mor-

talita per alcune forme di tumore secondo zone geografiche. Dall’alto

in basso: Europa occidentale, Nordamerica, Sudamerica, Cina, Africa,media mondiale.

stomaco colon

fegato polmoni

prostata seno

cervice dell’utero

Nota 4.4. Le cellule cancerose sono caratterizzate da un difetto nei

circuiti regolatori che governano la proliferazione e l’omeostasi dellecellule normali.

Si conoscono piu di 100 tipi diversi di cancro e numerosi sottotipi.Nonostante questa complessita si possono evidenziare sei alterazioni

essenziali nella fisiologia cellulare, probabilmente presenti in tutti i

tipi di cancro.

• Autosufficienza rispetto ai segnali di crescita.

• Insensibilita ai segnali che limitano la crescita.

• Capacita di evitare la morte programmata (apoptosi).

• Capacita illimitata di autoreplicazione.

• Angiogenesi tumorale.

• Invasione dei tessuti vicini e formazione di metastasi.

Nota 4.5. Autosufficienza nei segnali di crescita.

Le cellule normali necessitano di un segnale di crescita mitogenicoprima di passare da uno stato di quiescenza a uno di proliferazione.

Questi segnali sono accolti dalle cellule tramite recettori specifici, i

quali trasmettono il segnale all’interno. Nell’assenza di questi segnali

cellule normali non possono proliferare.

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Molti oncogeni agiscono imitando questi segnali, cosicche la cellulacancerosa diventa indipendente dagli stimoli provenienti dall’ambiente.

Piu specificamente, per realizzare questa indipendenza si osservanotre diverse strategie: l’alterazione dei segnali di crescita extracellula-

ri, l’alterazione dei trasduttori transcellulari di questi segnali oppure

dei circuiti intracellulari che traducono questi segnali in risposte pro-

liferative.

Nei tessuti normali, le cellule sono stimolate a crescere da quelle

vicine o da segnali sistemici e infatti anche nei tumori si osserva, oltre

all’autosufficenza, che si stabiliscono dei meccanismi di cooperazionetra le cellule (cancerose e non), e spesso le cellule tumorali acquisi-

scono l’abilita di cooptare i loro normali vicini inducendoli a rilasciare

segnali necessari per la crescita tumorale.

Nota 4.6. Insensibilita ai segnali che limitano la crescita.

Nei tessuti normali, una varieta di segnali antiproliferativi agisce per

mantenere le cellule in quiescenza proliferativa e garantire l’omeostasi

nei tessuti; questi segnali includono sia inibitori solubili sia inibitoriimmobilizzati nella matrice extracellulare e sulla superficie di cellule

vicine.

Anche questi segnali inibitori agiscono attraverso un sistema di ri-cettori trasmembrana associati a circuiti a cascata all’interno delle

cellule.

Questi stimoli possono bloccare la proliferazione attraverso due mec-

canismi distinti: o le cellule escono dal ciclo di proliferazione entrando

in uno stato di quiescenza da cui possono successivamente rientrare in

un ciclo, oppure perdono definitivamente la capacita di proliferazionepassando a uno stato postmitotico differenziato.

Le cellule del cancro allo stato iniziale devono quindi eliminare o

evadere questi segnali, ad esempio attraverso mutazioni che compro-mettono i geni responsabili della produzione della molecola associata

ai segnali inibitori.

Molti dei meccanismi che le cellule tumorali utilizzano a questo sco-

po sono pero ancora sconosciuti.

Nota 4.7. Capacita di evitare la morte programmata (apoptosi).

L’abilita della popolazione cellulare tumorale di espandersi non e de-terminata solo dalla rata di proliferazione ma anche dalla resistenza

alla morte programmata (apoptosi) presente seppur in forma latente,

in quasi tutte le cellule del corpo umano. Il programma apoptico si ba-

sa su due componenti: i sensori, attraverso i quali la cellula percepiscel’ambiente interno ed esterno rivelando condizioni che determinano se

la cellula deve continuare a vivere oppure morire, e gli effettori, ad es-

empio la proteina p53, che a sua volta causa il rilascio di citocromo C,un potente catalizzatore dell’apoptosi, e le caspasi che in un meccanis-

mo a cascata completano il programma di distruzione.

La resistenza all’apoptosi puo essere acquisita dalle cellule del can-

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cro in piu modi, tra cui forse il piu importante e la soppressione dellaproteina p53.

Viceversa alcune delle terapie piu moderne cercano di indurre lecellule tumorali all’apoptosi.

Nota 4.8. Capacita illimitata di autoreplicarsi.

Cellule in culture hanno un potenziale finito di replicarsi, infatti dopo

essersi duplicate un certo numero di volte smettono di crescere.

Al contrario, molte cellule tumorali che si propagano nelle culture

sembrano essere immortali, e da questo si deduce che la capacita illi-

mitata di riprodursi e un fenotipo che si acquisisce durante la progres-sione tumorale in vivo e ed e essenziale per capire lo stato maligno di

crescita.

Queste osservazioni suggeriscono che, a un certo punto dell’evolu-zione tumorale, la popolazione premaligna delle cellule raggiunge il

numero consentito di duplicazioni e puo completare la strada verso il

cancro solo superando questo limite e acquisendo un potenziale illimi-tato di replicazione.

Cio potrebbe avvenire attraverso la conservazione (in questo conte-

sto patologica perche favorisce il cancro) delle estremita dei cromoso-mi (i telomeri) i quali dopo ogni divisione cellulare fisiologica vengono

accorciati (di circa 50-100 coppie di basi) comportando, dopo un certo

numero di replicazioni, l’incapacita della cellula di dividersi ancora.

Nota 4.9. Angiogenesi tumorale.

Le cellule del nostro corpo hanno bisogno di nutrimento e ossigeno

forniti nei tessuti dei vasi sanguigni. Cio vale anche per le cellule can-

cerose. Queste pero inizialmente non sono in grado di stimolare la cre-scita di nuovi vasi sanguigni e devono acquisire questa capacita prima

che un tumore solido si possa espandere. Cio avviene attraverso mec-

canismi complessi di regolazione attualmente molto studiati anche dai

biomatematici.

Nota 4.10. Invasione dei tessuti vicini e formazione di metastasi.

Molti tumori sono in grado di invadere i tessuti adiacenti, e da es-

si possono distaccarsi cellule capaci di raggiungere siti anche lontanidove talvolta riescono a formare nuove colonie.

Questi insediamenti distanti di cellule tumorali (metastasi) sono la

causa del 90% delle morti di cancro.

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, oggi si pensa che non

tutte le cellule tumorali siano capaci di rigenerare il tumore in un altro

sito, ma soltanto le cellule staminali tumorali e sottoclassi particolaridi queste.

Invasione e metastasi sono processi estremamente complessi e soloparzialmente compresi.

I meccanismi sono probabilmente piuttosto simili e legati a modifi-

che dei livelli di espressione di alcune molecole responsabili delle in-

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terazioni tra le cellule: molecole di adesione cellula-cellula (soprattut-to alcune immoglubine e cadherine); le integrine, che legano le cellule

alla matrice extracellulare; le proteasi extracellulari. Queste ultime,

capaci di distruggere le barriere tissutali, spesso non vengono prodot-te dalle cellule tumorali, ma da cellule stromali e infiammatorie che

in qualche modo hanno iniziato a collaborare con le cellule maligne.

Osservazione 4.11. Instabilita genetica.

Le sei alterazioni fisiologiche fondamentali che abbiamo elencato (de-scritti molto piu dettagliatamente nel lavoro di Hanahan/Weinberg)

sono a loro volta connesse con cambiamenti a livello genetico che si

esprimono spesso in una spiccata instabilita genetica delle cellule tu-

morali.

Nota 4.12. Non abbiamo potuto toccare in questa tesi un altro capitolo

estremamente importante della ricerca sul cancro, la regolazione dellefasi di ciclo cellulare. Se da un lato esso si presenta particolarmente

bene a un approccio matematico (ad esempio nell’ambito delle reti di

Petri o della teoria dei sistemi), probabilmente mancano ancora co-noscenze precise dei componenti del ciclo per poter formulare modelli

matematici biologicamente corretti.

Una discussione della biologia dei tumori dal punto di vista del cic-lo cellulare si trova nella parte conclusiva del libro di Morgan e nel

quarto capitolo di Pelengaris/Khan.

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5. Alcune implicazioni

Nota 5.1. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la crescita di

molti tumori e governata da un compartimento di cellule staminalitumorali. Solo eliminando questo compartimento si puo arrivare a una

terapia definitiva.

Il recente lavoro di Dingli/Michor descrive questi aspetti dal punto

di vista quantitativo, utilizzando un modello a quattro compartimenti

della forma

x0 = x0 · [ϕ(x0 + y0) − ax0]

x1 = αx0 − bx1

y0 = y0 · [ψ(x0 + y0) − cy0]

y1 = βy0 − dy1

in cui x0 denota il numero delle cellule staminali sane, x1 il numero

delle cellule differenziate sane, mentre y0 si riferisce alle cellule sta-

minali tumorali, y1 alle cellule tumorali differenziate. Le funzioni ϕ e

ψ sono funzioni decrescenti che esprimono un legame competitivo trai due compartimenti staminali.

Il modello dimostra poi piuttosto bene come il tumore non possa

essere eradicato se la terapia non e in grado di distruggere il compar-timento staminale. Siccome le cellule staminali tumorali sono partico-

larmente suscettibili a mutazioni che possono portare a una sempre

maggiore resistenza, si dovrebbe cercare di eliminare il compartimen-to staminale il piu presto possibile, nel caso della LMC ad esempio con

l’interferone α. E quindi importante sviluppare terapie che riescano

ad aggredire selettivamente le cellule staminali tumorali e allo stesso

tempo incidano il meno possibile sul compartimento staminale sano.

Punish the parent not the progeny e quindi il titolo del lavoro di El-

rick e colleghi che fornisce una visione dal punto di vista medico deifattori biologici coinvolti e delle strategie terapeutiche che si potreb-

bero considerare.

Nota 5.2. Alcuni aspetti matematici generali della formulazione di

modelli per la resistenza sono discussi nell’articolo di Wodarz/Komarova,gli aspetti medici corrispondenti nel caso della cura della LMC in Dei-

ninger/Druker e Bhatia/. . ./Forman.

Un modello stocastico della resistenza alla chemioterapia tumoralee presentato nel lavoro di Komarova.

Il problema della resistenza e comunque molto complesso dal punto

di vista biologico. L’azione di farmaci che incidono sul ciclo cellularepuo essa stessa produrre la resistenza, se il farmaco ferma il ciclo in

una fase dove la cellula successivamente non e piu suscettibile alla

terapia, ad esempio tramite altri farmaci che vengono somministratiin combinazione oppure perche la cellula non raggiunge il punto in cui

possa entrare in azione il p53. Questi aspetti sono discussi nell’articolo

di Shah/Schwartz.

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II. L’ESPONENZIALE MATRICIALE

6. Funzioni di matrici ed esponenziale matriciale

Situazione 6.1. Sia A ∈ Cnn e sia σ(A) lo spettro di A, cioe l’insieme

dei suoi autovalori.

Come sempre, per un anello commutativo K denotiamo con Knm l’insieme

delle matrici ad n righe ed m colonne con coefficienti in K. δ sia la ma-

trice identitica in Knn .

Definizione 6.2. Per un polinomio f = a0 + a1x + ... + arxr ∈ C[x]

definiamo f(A) :=

r∑

k=0

akAk. Naturalmente A0 := δ.

Osservazione 6.3. Sia ϕ =f

gcon f, g ∈ C[x] una funzione razionale

per cui g(λ) 6= 0 per ogni λ ∈ σ(A).

Allora la matrice ϕ(A) := (g(A))−1f(A) risulta ben definita.

Dimostrazione. La matrice ϕ(A) e ben definita in quanto sono bendefinite f(A) e g(A), secondo la definizione precedente, ed e possibile

invertire g(A) in quanto si e supposto g(λ) 6= 0 per ogni λ ∈ σ(A).

Osservazione 6.4. Siano Ω un dominio di C ed f : Ω → C una funzione

analitica. Γ sia una curva di Jordan in Ω che contiene σ(A) al suo

interno. Allora si puo definire

f(A) :=1

2πi

Γf(z)(zδ − A)−1 dz

Si puo dimostrare che questa matrice e ben definita e non dipende

da Γ. Per i coefficienti essa significa

(f(A))jk :=1

2πi

Γf(z)((zδ − A)−1)jk dz

per ogni j,k.

Se z0 e un punto di Ω in cui f e rappresentata dalla serie di potenze

f(z) =∞∑

k=0

ak(z − z0)k, si puo dimostrare che f(A) =

∞∑

k=0

ak(A − z0δ)k.

Definizione 6.5. L’esponenziale

eA :=

∞∑

k=0

1

k!Ak

e definito per ogni A ∈ Cnn.

Nel teorema 6.6 riportiamo alcuni utili enunciati sulle proprietadell’esponenziale di una matrice.

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Teorema 6.6.

(1) Per ogni T ∈ GL(n, C) si ha eT−1AT = T−1eAT.

(2) Sia B ∈ Cnn e AB = BA. Allora eA+B = eAeB = eBeA.

(3) (eA)−1 = e−A, quindi eA e sempre una matrice invertibile.

(4) Se λ1, ..., λn sono gli autovalori di A, allora eλ1 , ..., eλn sono gli

autovalori di eA. La moltiplicita degli autovalori di A e maggio-re o uguale a quella di eA, in quanto puo accadere che λj 6= λk,

ma eλj = eλk .

(5) det(eA) = etrA.

Dimostrazione. Huppert, pagg. 269-283, Arnold, pagg. 115 sgg., Amann,

pagg. 167-183.

Nota 6.7. L’equazione differenziale x = Ax (in cui si cerca una fun-

zione x : R → Cn) per ogni dato iniziale x(0) = x0 ammette un’unica

soluzione x = ©t

etAx0.

Cio implica l’enunciato analogo per l’equazione differenziale matri-

ciale X = AX, in cui si cerca una funzione X : R → Cnn. Per ogni

k infatti, questa corrisponde a un’equazione Xk = AXk con soluzioneXk = ©

tetAXk(0) e cio significa proprio che X = ©

tetAX(0).

In particolare, l’unica soluzione del problema

X = AX con X(0) = δ e X = etA.

Definizione 6.8. Per λ ∈ C ed m ∈ N+1 definiamo le caselle di JordanJm(λ) ∈ C

mm nel modo seguente:

J1(λ) := (λ)

J2(λ) :=

(

λ 10 λ

)

J3(λ) :=

λ 1 00 λ 10 0 λ

. . .

Jm(λ) :=

λ 1 0 . . . 00 λ 1 . . . 0

. . . . . . . . . . . . . . .

0 0 . . . λ 10 0 0 0 λ

Se poniamo Nm := Jm(0), abbiamo Jm(λ) = λδ + Nm.

Osservazione 6.9. N ∈ Cnn sia una matrice nilpotente, cioe tale che

esiste r ∈ N con N r = 0. Allora la matrice δ − N e invertibile e si ha

(δ − N)−1 =r−1∑

k=0

Nk

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Dimostrazione.

(δ−N)

r−1∑

k=0

Nk = δ+N+N2+. . .+N r−1−(N+N2+. . .+N r−1+N r) = δ

Proposizione 6.10. Siano z, λ ∈ C ed m ≥ 1. Se z 6= λ, allora

(zδ − Jm(λ))−1 = ((z − λ)δ − Nm)−1 =

m−1∑

k=0

Nkm

(z − λ)k+1

Dimostrazione. Segue dall’osservazione 6.9 usando che Nmm = 0.

Proposizione 6.11. Siano λ ∈ C ed Ω un dominio di C con λ ∈ C.f : Ω → C sia una funzione analitica e Γ una curva di Jordan in Ω che

contiene λ al suo interno. Allora

f(Jm(λ)) =

m−1∑

k=0

f (k)(λ)

k!Nk

m =

=

f(λ) f ′(λ)f ′′(λ)

2!. . .

f (m−1)(λ)

(m − 1)!

0 f(λ) f ′(λ) . . .f (m−2)(λ)

(m − 2)!

. . . . . . . . . . . . . . .

0 0 0 . . . f(λ)

Dimostrazione.

f(Jm(λ))6.4=

1

2πi

Γf(z)(zδ − Jm(λ))−1 dz

6.10=

1

2πi

Γf(z)

m−1∑

k=0

Nkm

(z − λ)k+1dz

=m−1∑

k=0

Nkm

1

2πi

Γ

f(z)

(z − λ)k+1dz

=

m−1∑

k=0

Nkm

fk(λ)

k!

= δf(λ) + Nmf ′(λ) + N2m

f ′′(λ)

2!+ . . .

e si ottiene ovviamente la matrice dell’enunciato.

Nella dimostrazione abbiamo usato la nota formula

f (n)(z) =n!

2πi

k

ϕ(ζ)

(ζ − z)n+1dζ

che si trova ad esempio in Knopp, pag. 64.

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Definizione 6.12. Siano M1, . . . ,Ms matrici quadratiche, non neces-sariamente della stessa dimensione. Allora con M1⊕. . .⊕Ms denotiamo

la matrice

M =

M1 0 . . . 00 M2 . . . 0

0 . . .. . . 0

0 . . . . . . Ms

Diciamo allora che M e somma diretta delle matrici Mj .

Teorema 6.13 (teorema della forma normale di Jordan). Esiste

T ∈ GL(n, C) tale che A = T−1MT , dove M e somma diretta di caselledi Jordan.

Dimostrazione. Ad esempio Huppert, pagg. 23-26, Mondini, pagg.60-67.

Osservazione 6.14. Siano f come nell’osservazione 6.4 e T ∈ GL(n, C).Allora f(T−1AT ) = f(A).

Percio in principio si puo usare la proposizione 6.11 per calcolare

f(A); nella pratica pero la forma normale di Jordan presenta notevolidifficolta algoritmiche e numeriche.

Dimostrazione. Immediato dalla formula integrale oppure dallo svi-luppo in serie di potenze di f .

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7. Il polinomio minimale di una matrice

Situazione 7.1. Sia A ∈ Cnn.

Lemma 7.2. U sia un’algebra su C con elemento neutro 1U .

Per f = a0xn + a1x

n+1 + · · · + an ∈ C[x] ed u ∈ U poniamo

f(u) := a0un + a1u

n+1 + · · · + an1U .

Allora per ogni u ∈ U , l’applicazione ©f

f(u) : C[x] → U e un omomor-

fismo di C-algebre.

Abbiamo quindi f(1) = 1U e, per f, g ∈ C[x] e α ∈ C, le relazioni

(f + g)(u) = f(u) + g(u)

(αf)(u) = αf(u)

(f · g)(u) = f(u) · g(u)

Nel seguito useremo questi risultati per U = Cnn.

Dimostrazione. Dimostriamo solo l’ultima relazione, in quanto le

altre sono evidenti.

Siano f = a0xn + a1x

n+1 + · · · + an, g = b0xm + b1x

m+1 + · · · + bm ed

h := f · g. Allora h =

n+m∑

k=0

ckxk con ck =

k∑

j=0

ajbn−j per ogni k.

Ma questi sono proprio i coefficienti che si ottengono raccogliendoi coefficienti delle potenze di x con lo stesso esponente nel prodotto

espanso (a0xn +a1x

n−1 + · · ·+an)(b0xm + b1x

m−1 + · · ·+ bm) ed e quindi

chiaro che, sostituendo x con u, si ottiene proprio h(u) =

n+m∑

k=0

ckuk.

Corollario 7.3. Siano λ1, . . . , λn ∈ C ed f = (x − λ1) · · · (x − λn).

Allora f(A) = (A − λ1δ) · · · (A − λnδ).

Definizione 7.4. Se calcoliamo l’espressione det(xδ − A) =: PA in

C[x], otteniamo un polinomio monico in C[x] che si chiama il polinomiocaratteristico di A.

Definizione 7.5. Sia B ∈ Cnn. Le matrici A e B si dicono simili, se

esiste T ∈ GL(n,U) tale che B = T−1AT .

Proposizione 7.6. Matrici simili hanno lo stesso polinomio caratteri-stico.

Dimostrazione. Segue immediatamente dalla definizione.

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Teorema 7.7. Sia λ ∈ C. Le condizioni (1) e (2) sono equivalenti tradi loro e, quando n ≥ 2, equivalenti alla (3):

(1) λ e un autovalore di A.

(2) λ e radice del polinomio caratteristico di A : PA(λ) = 0.

(3) Esiste una matrice B ∈ Cn−1

n−1tale che A e simile a una matrice

della forma

(

λ ∗0 B

)

. In questo caso PA = (x − λ) · PB .

Dimostrazione. Corsi di geometria oppure Koecher, pag.234.

Proposizione 7.8. I sia un ideale ( possibilmente improprio) di C[x].Se I 6= 0, esiste un unico polinomio monico p ∈ C[x] che genera I.

Il grado di p e il piu piccolo grado di un polinomio non nullo conte-

nuto in I.

Dimostrazione. Corso di algebra.

Definizione 7.9. C[A] := f(A) | f ∈ C[x].

E immediato che C[A] e una sotto-C-algebra di Cnn.

Lemma 7.10. Esiste un polinomio f ∈ C[x] con f 6= 0 ed f(A) = 0.

Dimostrazione. Siccome C[A] e un sottospazio vettoriale di Cnn, sicu-

ramente dimC Cnn ≤ n2 =: s. Cio significa che le s+1 matrici δ,A,A2, . . . , As

sono linearmente dipendenti, percio esistono a0, a1, . . . , as ∈ C nontutti nulli, tali che a0δ + a1A + a2A

2 + . . . + asAs = 0. Se poniamo

f := a0 + a1x + . . . + asxs abbiamo trovato un polinomio f 6= 0 con

f(A) = 0.

Definizione 7.11. Dal lemma 7.2 e immediato che l’insieme

f ∈ C[x] | f(A) = 0 e un ideale (possibilmente improprio) di C[x].

Dal lemma 7.10 sappiamo che questo ideale e 6= 0, quindi per la pro-

posizione 7.8 esiste un unico polinomio monico MA ∈ C[x] che genera

questo ideale.

Per ogni f ∈ C[x] si ha quindif(A) = 0 se e solo se esiste g ∈ C[x] con

f = g · MA. Il grado di MA e allo stesso tempo il piu piccolo grado diun polinomio 6= 0 che annulla A.

MA si chiama il polinomio minimale di A. Per definizione MA 6= 0.

Corollario 7.12. m sia il grado di MA. Allora:

(1) Le matrici δ,A,A2, ..., Am−1 formano una base di C[A].

(2) dimC C[A] = m.

Dimostrazione. Dal lemma 7.10 sappiamo che MA 6= 0, quindi MA

e della forma MA = xm + a1xm−1 + . . . + am.

Abbiamo percio Am = −a1Am−1 − . . . − amδ e cio implica che

δ,A,A2, . . . , Am−1 generano lo spazio vettoriale C[A].

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Se queste matrici fossero linearmente dipendenti, ad esempiob0δ+b1A+ . . .+bm−1A

m−1 = 0 con i coefficienti bj non tutti nulli, allora

con g := b0 + b1x+ . . .+ bm−1xm−1 avremmo trovato un polinomio g 6= 0

con g(A) = 0 e grado minore di m, in contraddizione alla prop.7.8.

Proposizione 7.13. A e invertibile se e solo se MA(0) 6= 0.

In tal caso A−1 ∈ C[A].

Dimostrazione. Sia di nuovo MA = xm + a1xm−1 + . . . + am. Allora

Am + a1Am−1 + . . . + am−1A = −amδ e quindi AB = −amδ con

B := Am−1 + a1Am−2 + . . . + am−1δ. Per il corollario 7.12 B 6= 0.

Si noti che MA(0) = am.

(1) Sia A invertibile.

Allora −amA−1 = B 6= 0 e quindi am 6= 0.

(2) Sia am 6= 0.

Allora A−1 = −1

amB ∈ C[A].

Esempio 7.14. Assumiamo di sapere che MA = x3 + 2x + 5. Allora

−5δ = A3 + 2A, ovvero A(A2 + 2δ) = −5δ

e quindi

A−1 = −1

5(A2 + 2δ) ∈ C[A].

Corollario 7.15. A sia invertibile. Allora esiste f ∈ C[x] con

f(A) = δ ed f(0) = 0 .

Dimostrazione. Per la proposizione 7.13 esiste g ∈ C[x] con

A−1 = g(A). Percio A · g(A) = δ e se poniamo f = x · g, allora f(A) = δ

ed f(0) = 0.

Esempio 7.16. Nell’esempio 7.14 possiamo porre

f = −1

5x(x2 + 2) = −

1

5(x3 + 2).

Infatti allora f(0) = 0 ed f(A) = −1

5(A3 + 2A) = −

1

5(−5δ) = δ.

Osservazione 7.17. Siano f ∈ C[x] e T ∈ GL(n, C).

Allora f(T−1AT ) = f(A).

Dimostrazione. E sufficiente osservare che (T−1AT )k = T−1AkT per

ogni k ∈ N.

Corollario 7.18. Sia, anche, B ∈ Cnn. Se le matrici A e B sono simili,

allora MA = MB .

Lemma 7.19. Siano λ ∈ C e v ∈ Cn tali che Av = λv. Per ogni f ∈ C[x]

allora f(A)v = f(λ)v.

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Dimostrazione. Infatti l’ipotesi implica Akv = λkv per ogni k ∈ N.Per linearita si ottiene l’enunciato.

Teorema 7.20. Per λ ∈ C sono equivalenti:

(1) λ e autovalore di A.

(2) λ e radice del polinomio caratteristico di A : PA(λ) = 0 .

(3) λ e radice del polinomio minimale di A : MA(λ) = 0.

Dimostrazione.

(1) ⇐⇒ (2): Teorema 7.7.

(1) ⇒ (3) : λ sia un autovalore di A. Allora esiste v ∈ Cn \ 0 tale che

Av = λv. Dal lemma 7.9 segue che MA(λ)v = MA(A)v = 0 e quindiMA(λ) = 0 perche v 6= 0.

(3) ⇒ (1) : Sia MA(λ) = 0. Allora esiste f ∈ C[x] tale cheMA = (x − λ)f . Siccome f 6= 0 e grado f < gradoMA, la minimalita

di MA implica f(A) 6= 0. Percio esiste un vettore w ∈ Cn tale che

v := f(A)w 6= 0.

Usando il lemma 7.2 abbiamo adesso

Av − λv = Af(A)w − λf(A)w = (A − λδ)f(A)w = MA(A)w = 0.

Siccome v 6= 0, cio mostra che λ e un autovalore di A.

Corollario 7.21. Sia f ∈ C[x] con f(A) = 0. Allora f(λ) = 0 per ogni

autovalore λ di A .

Teorema 7.22 (teorema di Cayley-Hamilton). PA(A) = 0.

Dimostrazione. Corsi di geometria oppure Mondini, pagg. 68-70.

Corollario 7.23. Il polinomio minimale MA divide il polinomio carat-teristico PA.

Nota 7.24. Dal teorema 7.20 e dal corollario 7.23 vediamo che, se ilpolinomio caratteristico di A possiede la forma

PA = (x − λ1)n1 · · · (x − λs)

ns

con i λk distinti e gli esponenti nk ≥ 1, allora il polinomio minimale

MA e della forma

MA = (x − λ1)m1 · · · (x − λs)

ms

con 1 ≤ mk ≤ nk per ogni k.

Se n non e troppo grande e se gli autovalori λk sono noti con le lo-ro molteplicita nk (come accade nel caso di una matrice triangolare),

possiamo cosı trovare il polinomio minimale tra i polinomi della forma

(x − λ1)r1 · · · (x − λs)

rs con 1 ≤ rk ≤ nk per ogni k, partendo con

r1 = . . . = rs = 1 e aumentando gli esponenti, fino a quando troviamoun polinomio che annulla A.

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Assumiamo ad esempio che PA = (x − λ)3(x − µ)2(x − ν) con λ, µ, ν

distinti.

Allora proviamo, in questo ordine, i sei polinomi

f1 = (x − λ)(x − µ)(x − ν)

f2 = (x − λ)2(x − µ)(x − ν)

f3 = (x − λ)(x − µ)2(x − ν)

f4 = (x − λ)3(x − µ)(x − ν)

f5 = (x − λ)2(x − µ)2(x − ν)

f6 = (x − λ)3(x − µ)2(x − ν)

fino a quando fj(A) = 0. Possiamo eseguire l’algoritmo formando in

successione

B1 = (A − λδ)(A − µδ)(A − νδ)

B2 = B1(A − λδ)

B3 = B1(A − µδ)

B4 = B2(A − λδ)

B5 = B2(A − µδ)

B6 = B5(A − λδ)

fino a quando Bj = 0.

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8. Matrici che soddisfano una equazione quadratica

Situazione 8.1. Sia A ∈ Cnn. Quando non e indicato diversamente,

λ, µ ∈ C e t ∈ R.

Definizione 8.2. Diciamo che A soddisfa un’equazione quadratica, se

esiste un polinomio f ∈ C[x] di grado ≤ 2 tale che f(A) = 0.

Possiamo assumere che f abbia una delle seguenti forme:

f = x − λ

f = (x − λ)2

f = (x − λ)(x − µ)

con λ 6= µ.

Osservazione 8.3.

(1) Sia A− λδ = 0. Allora A = λδ e x − λ e il polinomio minimale di

A. In questo caso etA = eλtδ.

(2) Sia (A − λδ)(A − µδ) = 0, ma A − λδ 6= 0 e A − µδ 6= 0.

Allora (x − λ)(x − µ) e il polinomio minimale di A.

Lemma 8.4. Con Q := A − λδ sia Q2 = 0. Allora AQ = λQ.

Dimostrazione. Abbiamo 0 = Q2 = (A − λδ)Q = AQ − λQ.

Proposizione 8.5. Sia (A − λδ)2 = 0. Allora

eAt = eλt(δ + t(A − λδ)).

Dimostrazione. Siano Q := A − λδ e X := eλt(δ + tQ). E sufficiente

dimostrare che X(0) = δ e che X soddisfa l’equazione differenziale

X = AX.

(1) X(0) = δ.

(2) X = λeλt(δ + tQ) + eλtQ = eλt[λδ + λtQ + Q] = eλt(A + λtQ)

AX = eλt(A + tAQ)8.4= eλt(A + λtQ).

Si noti che l’enunciato e banalmente vero anche quando A − λδ = 0.

Un’altra dimostrazione verra data nella proposizione 9.2.

Osservazione 8.6. Sia (A − λδ)2 = 0, ma A 6= λδ. Allora (x − λ)2 e

evidentemente il polinomio minimale di A, e siccome le radici di MA

coincidono con le radici di PA, necessariamente PA = (x − λ)n.

Nota 8.7. Il polinomio caratteristico di una matrice 2 × 2

A =

(

a b

c d

)

e x2 − (a + d)x + ad − bc.

Dal teorema 7.20 segue che la matrice soddisfa l’equazione

(A−λδ)2 = 0 se e solo se λ e radice doppia del polinomio caratteristico.

Per la proposizione 8.5 abbiamo in questo caso

30

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eAt =

(

1 00 1

)

eλt +

(

a − λ b

c d − λ

)

teλt.

Si noti che PA possiede una radice doppia se e solo se il discriminante

(a + d)2 − 4(ad − bc) = (a − d)2 + 4bc si annulla. In tal caso λ =a + d

2.

Esempio 8.8. Sia A =

(

14 9−4 2

)

. Allora PA = x2 − 16x + 64 = (x − 8)2.

Inoltre A 6= 8δ. Per la proposizione 8.5 abbiamo:

etA =

(

1 00 1

)

e8t +

(

6 9−4 −6

)

te8t = e8t

(

1 + 6t 9t−4t 1 − 6t

)

Esempio 8.9. Sia A =

(

λ b

0 λ

)

. Allora

etA =

(

1 00 1

)

eλt + teλt

(

0 b

0 0

)

=

(

eλt bteλt

0 eλt

)

Esempio 8.10. Siano A =

21 5 2−72 −17 −818 5 5

e Q := A−3δ =

18 5 2−72 −20 −818 5 2

.

Allora Q2 = 0 e dalla proposizione 8.5 abbiamo

etA = e3t

1 0 00 1 00 0 1

+te3t

18 5 2−72 −20 −818 5 2

= e3t

1 + 18t 5t 2t−72t 1 − 20t −8t18t 5t 1 + 2t

Lemma 8.11. Sia (A − λδ)(A − µδ) = 0 con λ 6= µ.

Se poniamo P :=A − µδ

λ − µe Q :=

A − λδ

µ − λ, allora AP = λP e AQ = µQ.

Dimostrazione. A soddisfa l’equazione A2 = (λ + µ)A − λµδ. Percio

AP =1

λ − µ(A2−µA) =

1

λ − µ[(λ+µ)A−λµδ−µA] = λ

A − µδ

λ − µ= λP,

e nello stesso modo (per simmetria) AQ = µQ.

Proposizione 8.12. Sia (A − λδ)(A − µδ) = 0 con λ 6= µ. Allora

etA =A − µδ

λ − µeλt +

A − λδ

µ − λeµt

Dimostrazione. Con P :=A − µδ

λ − µe Q :=

A − λδ

µ − λ, poniamo

X := Peλt + Qeµt. Di nuovo e sufficiente dimostrare che X(0) = δ e cheX soddisfa l’equazione differenziale X = AX.

(1) X(0) = P + Q =1

λ − µ(A − µδ − A + λδ) = δ .

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(2) X = λPeλt + µQeµt, mentre AX = APeλt + AQeµtX.

Per il lemma 8.11 abbiamo AP = λP e AQ = µQ e cio implica

che veramente X = AX.

Nota 8.13. A =

(

a b

c d

)

sia una matrice quadratica con gli autovalori

λ e µ. Se λ 6= µ, dalla proposizione 8.12 abbiamo

etA =1

λ − µ

(

a − µ b

c d − µ

)

eλt +1

µ − λ

(

a − λ b

c d − λ

)

eµt.

Esempio 8.14. Sia A =

(

33 124−8 −30

)

. Il polinomio caratteristico di A

e x2 − 3x + 2 = (x − 2)(x − 1). Dalla nota 8.13 otteniamo

eAt =

(

32 124−8 −31

)

e2t −

(

31 124−8 −32

)

et

Esempio 8.15. Sia A =

(

λ b

0 µ

)

con λ 6= µ. Allora

etA =1

λ − µ

(

λ − µ b

0 0

)

eλt+1

µ − λ

(

0 b

0 µ − λ

)

eµt =

(

eλt bλ−µ

(eλt − eµt)

0 eµt

)

Esempio 8.16. Siano b ∈ C e A :=

(

0 b

−b 0

)

.

Allora etA =

(

cos bt sin bt

− sin bt cos bt

)

.

Dimostrazione. Si vede direttamente che la formula e vera per

b = 0. Sia b 6= 0. Il polinomio caratteristico di A e x2+b2 e gli autovaloridi A sono ib e −ib. Applicando la nota 8.13 con λ = ib e µ = −ib abbiamo

etA =1

2bi

[(

ib b

−b ib

)

eibt +

(

ib −b

b ib

)

e−ibt

]

=

=1

2i

[(

i 1−1 i

)

eibt +

(

i −11 i

)

e−ibt

]

=

=1

2i

(

ieibt + ie−ibt eibt − e−ibt

−eibt + e−ibt ieibt + ie−ibt

)

=

(

cos bt sin bt

− sin bt cos bt

)

Esempio 8.17. Siano b ∈ C e A :=

(

0 b

b 0

)

.

Allora etA =

(

cosh bt sinh bt

sinh bt cosh bt

)

.

Dimostrazione. Si vede direttamente che la formula e vera per

b = 0. Sia b 6= 0. Il polinomio caratteristico di A e x2−b2 e gli autovalori

di A sono b e −b. Applicando la nota 8.13 con λ = b e µ = −b abbiamo

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etA =1

2b

[(

b b

b b

)

ebt −

(

−b b

b −b

)

e−bt

]

=1

2

[(

1 11 1

)

ebt +

(

1 −1−1 1

)

e−bt

]

=

=1

2

(

ebt + e−bt ebt − e−bt

ebt − e−bt ebt + e−bt

)

=

(

cosh bt sinh bt

sinh bt cosh bt

)

Osservazione 8.18.

(1) Il polinomio minimale di A e della forma (x − λ)(x − µ) con

λ 6= µ se e solo se la forma normale di Jordan di A e una matricediagonale con gli autovalori λ e µ.

(2) Il polinomio minimale di A e della forma (x−λ)2 se e solo se nella

forma normale di Jordan gli elementi della diagonale principa-

le sono tutti uguali a λ e appare almeno una casella di Jordandi dimensione 2 e nessuna casella di Jordan di dimensione su-

periore.

33

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9. Formule che utilizzano serie ipergeometriche

Situazione 9.1. A ∈ Cnn. Quando non indicato diversamente, λ, µ ∈ C

e t ∈ R.

Proposizione 9.2. Sia (A − λδ)m = 0 per qualche m ≥ 1. Allora

etA = eλtm−1∑

k=0

tk

k!(A − λδ)k

Dimostrazione. Ricordando che (A−λδ)m = 0 e quindi (A−λδ)k = 0per ogni k ≥ m, si ha che:

eAt = etλδet(A−λδ) = eλt∞∑

k=0

tk

k!(A − λδ)k = eλt

m−1∑

k=0

tk

k!(A − λδ)k

Questa formula, che generalizza la proposizione 8.5, segue diretta-mente dallo sviluppo in serie di potenze dell’esponenziale. Infatti, sic-come le matrici tλδ e t(A − λδ) commutano, dal teorema 6.6 (2) otte-niamo l’enunciato.

Corollario 9.3. Gli autovalori di A siano tutti uguali a λ. Allora

etA = eλtn−1∑

k=0

tk

k!(A − λδ)k

Esempio 9.4. Sia A =

3 5 22 9 3−5 −19 −6

. Allora (A − 2δ)3 = 0 e dalla

proposizione 9.2 abbiamo

(A − 2δ)3 =

1 5 22 7 3−5 −19 −8

1 5 22 7 3−5 −19 −8

1 5 22 7 3−5 −19 −8

=

1 2 11 2 1−3 −6 −3

=

0 0 00 0 00 0 0

Dalla proposizione 9.2 abbiamo quindi

etA = e2t(δ + t(A − 2δ) +t2

2(A − 2δ)2)

= e2t

1 0 00 1 00 0 1

+ t

1 5 22 7 3−5 −19 −8

+t2

2

1 2 11 2 1−3 −6 −3

= e2t

1 + t + t2

2 5t + t2 2t + t2

2

2t + t2

2 1 + 7t + t2 3t + t2

2

−5t − 3t2

2 −19t − 3t2 1 − 8t − 3t2

2

34

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Esempio 9.5. Sia A =

λ b c0 λ f0 0 λ

. Allora

(A − λδ) =

0 b c0 0 f0 0 0

, (A − λδ)2 =

0 0 bf0 0 00 0 0

e

(A − λδ)3 =

0 0 00 0 00 0 0

= 0

per cui dalla proposizione 9.2 abbiamo

etA = eλt

1 0 00 1 00 0 1

+ t

0 b c0 0 f0 0 0

+t2

2

0 0 bf0 0 00 0 0

= eλt

1 tb tc + t2

2 bf

0 1 tf

0 0 1

.

Definizione 9.6. I numeri complessi λ1, ..., λn siano tutti distinti.

Definiamo allora

Lk :=(x − λ1) . . . (x − λk) . . . (x − λn)

(λk − λ1) . . . (λk − λk) . . . (λk − λn)

per k = 1, ..., n (nel caso banale n = 1 abbiamo solo L1 = 1).

Il simbolo indica che un termine deve essere tralasciato. I po-linomi Lk si chiamano polinomi di Lagrange determinati dai puntid’ascissa (talvolta detti nodi) λ1, ..., λn.

Ogni polinomio Lk e di grado n − 1 e sostituendo x con λj vediamoche

Lk(λj) =

1 per j = k

0 per j 6= k

Osservazione 9.7. Nella situazione della definizione 9.6 siano datinumeri complessi y1, ..., yn. Allora esiste un unico polinomio f ∈ C[x]

di grado ≤ n − 1 che nei nodi λk assume i valori yk. Si ha f =

n∑

j=1

yjLj.

Dimostrazione.

n∑

j=1

yjLj(λk) =

n∑

j=1

yjδjk = yk.

L’unicita segue dall’ipotesi che i λk siano tutti distinti.

Lemma 9.8. Nella situazione della definizione 9.6 si ha

L1 + . . . + Ln = 1.

35

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Dimostrazione. Se nell’osservazione 9.7 poniamo yk = 1 per ogni k,vediamo che L1 + . . . + Lk e l’unico polinomio di grado ≤ n − 1 chenei nodi λk assume il valore 1. Ma questo polinomio e il polinomiocostante 1.

Lemma 9.9. Gli autovalori λ1, . . . , λn di A siano tutti distinti. For-miamo i polinomi di Lagrange Lk come nella definizione 9.6. Allora

ALk(A) = λLk(A) per k = 1, . . . , n.

Dimostrazione. Per il teorema di Cayley Hamilton (teorema 7.22) eil lemma 7.2 abbiamo (A − λ1δ) · · · (A − λnδ) = 0.

Ancora per il lemma 7.2 si ha

(A − λkδ)Lk(A) =(A − λkδ)(A − λ1δ) · · · (A − λkδ) · · · (A − λnδ)

(λ1 − λk) · · · (λk − λk) · · · (λk − λn)= 0

e quindi ALk(A) = λLk(A).

Proposizione 9.10. Gli autovalori λ1, . . . , λn della matrice A siano

tutti distinti. Formiamo i polinomi di Lagrange Lk come nella defini-

zione 9.6. Allora

etA =

n∑

k=1

eλktLk(A)

Dimostrazione. Sia X :=

n∑

k=1

eλktLk(A). Verifichiamo che X(0) = δ e

che X soddisfa l’equazione differenziale X = AX.

(1) X(0) =n∑

k=1

Lk(A) = δ.

Qui abbiamo usato di nuovo il lemma 7.2: Sia f = L1 + · · ·+ Ln.Dal lemma 9.8 sappiamo che f = 1; per il lemma 7.2 abbiamo

percio

n∑

k=1

Lk(A) = f(A) = δ.

(2) X =n∑

k=1

λkeλktLk(A)

AX =

n∑

k=1

eλktALk(A)9.9=

n∑

k=1

λkeλktLk(A) = X .

Definizione 9.11. Per z ∈ C ed n ∈ N definiamo la potenza crescente

z[n] :=

z(z + 1) · · · (z + n − 1) per n ≥ 1

1 per n = 0

z[n] si chiama spesso anche il fattoriale superiore.

Si noti che z[n] 6= 0 per ogni n, se −z 6∈ N.

Definizione 9.12. Per α1, . . . , αs, β1, . . . , βt ∈ C con −βj 6∈ N per ogni jdefiniamo la serie ipergeometrica

36

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F

(α1 . . . αs

β1 . . . βt

):=

∞∑

n=0

α[n]1 · · ·α[n]

s

β[n]1 · · · β[n]

t

∈ C[[x]]

Posizioni vuote possono essere indicate con 2, ad esempio

F

(α 2

β 1

)=

∞∑

n=0

α[n]

β[n]1[n], F

(2 . . . 2β1 . . . βt

)=

∞∑

n=0

1

β[n]1 · · · β[n]

t

.

Per le proprieta combinatorie delle serie ipergeometriche rimandiamoa Graham/Knuth/Patashnik e Petkovsek/Wilf/Zeilberger, per le pro-prieta analitiche a Whittaker/Watson e Andrews/Askey/Roy.

Tralasciamo nel seguito considerazioni di convergenza, quasi sem-pre evidenti.

Nota 9.13. Siano α1, . . . , αs, β1, . . . , βt ∈ C con −βj 6∈ N per ogni j.

Allora i cofficienti ak :=α

[k]1 · · ·α[k]

s

β[k]1 · · · β[k]

t

di xk nella serie F

(α1 . . . αs

β1 . . . βt

)sod-

disfano le seguenti relazioni:

a0 = 1,

ak+1

ak=

(k + α1) · · · (k + αs)

(k + β1) · · · (k + βt)

per ogni k ∈ N.

Se e viceversa data una serie formale

∞∑

k=0

akxk i cui coefficienti sod-

disfano queste relazioni, essa coincide con F

(α1 . . . αs

β1 . . . βt

).

Dimostrazione. Corso di Laboratorio di programmazione 2006/07.

Proposizione 9.14. Nelle ipotesi della definizione 9.12 sia γ ∈ C con

−γ 6∈ N. Allora

F

(α1 . . . αsγβ1 . . . βtγ

)= F

(α1 . . . αs

β1 . . . βt

).

Lemma 9.15. V sia uno spazio vettoriale su C e a1, . . . , ar ∈ C. Assu-

miamo che ar 6= 0. Consideriamo un’equazione alle differenze

vk+r + a1vk+r−1 + . . . + arvk = 0 (∗)

in cui si cercano i valori vk ∈ V per k ≥ r, mentre i valori iniziali

v0, . . . , vr−1 siano dati. Sia

xr + a1xr−1 + . . . + ar = (x − α1)

m1 · · · (x − αs)ms

con αi 6= αj per i 6= j. Allora l’equazione (∗) possiede la soluzione

vk = (X10 + kX11 + . . . + km1−1X1,m1−1)αk1

+ . . . + (Xs0 + kXs1 + . . . + kms−1Xs,ms−1)αks

37

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con i coefficienti Xij ∈ V univocamente determinati dalle condizioniiniziali.

Si noti che l’ipotesi ar 6= 0 implica αi 6= 0 per ogni i.

Dimostrazione. Elaydi, pag. 77, Huppert, pagg. 284-288, Meschkow-ski, pagg. 14-15.

Osservazione 9.16. La condizione ar 6= 0 nel lemma 9.15 non e es-senziale nella risoluzione di un’equazione alle differenze. Consideria-mo ad esempio un’equazione della forma vk+2 + a1vk+1 = 0. Allora ilvalore iniziale v0 non influisce sul proseguimento della successione, eponendo wk := vk+1 l’equazione si riduce a

wk+1 + a1wk = 0

con w0 = v1. Bisogna pero controllare la condizione ar 6= 0 prima diapplicare la formula del lemma 9.15.

Definizione 9.17. Siano m, j ∈ N. Allora definiamo la serie formale

ejm :=

∞∑

k=0

m!

(k + m)!kjxk

Osservazione 9.18.

(1) e00 = ex.

(2) e0m =m!

xm

(

ex −m−1∑

k=0

xk

k!

)

per m ∈ N + 1.

Dimostrazione. Per m ∈ N + 1 abbiamo

e0m =∞∑

k=0

m!

(k + m)!xk =

m!

xm

∞∑

k=0

xk+m

(k + m)!=

m!

xm

[ex −

m−1∑

k=0

xk

k!

]

Lemma 9.19. Per ogni j ∈ N + 1 vale la formula di ricorsione

ej0 = x

j−1∑

i=0

(j − 1

i

)ei0

Dimostrazione. j > 0 implica 0j = 0, per cui

ej0 =

∞∑

k=0

kj

k!xk =

∞∑

k=0

(k + 1)j

k!xk+1 = x

∞∑

k=0

(k + 1)j−1

k!xk =

= x

∞∑

k=0

xk

k!

j−1∑

i=0

(j − 1

i

)ki = x

j−1∑

i=0

(j − 1

i

) ∞∑

k=0

ki

k!xk =

= x

j−1∑

i=0

(j − 1

i

)ei0

Definizione 9.20. Per n, k ∈ N sia S(n, k) il numero delle partizioni diun insieme con n elementi in k classi di equivalenza. I numeri S(n, k)

38

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sono detti numeri di Stirling di seconda specie. E chiaro che S(n, k) =0 per k > n.

Nota 9.21. Per n, k ∈ N valgono le seguenti formule:

(1) S(n + 1, k + 1) =

n∑

j=0

(nj

)S(j, k).

(2) S(n, k) =1

k!

k∑

j=0

(−1)k−j

(kj

)jn.

(3) S(n + 1, k + 1) = S(n, k) + (k + 1) · S(n, k + 1).

Possiamo cosı compilare la seguente tabella:

S(n, k) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 01 0 1 1 1 1 1 1 1 1 12 0 0 1 3 7 15 31 63 127 2553 0 0 0 1 6 25 90 301 966 30254 0 0 0 0 1 10 65 350 1701 77705 0 0 0 0 0 1 15 140 1050 69516 0 0 0 0 0 0 1 21 266 26467 0 0 0 0 0 0 0 1 28 4628 0 0 0 0 0 0 0 0 1 36

Dimostrazione. Jacobs, pagg. 253-256, Halder/Heise, pagg. 56-59.Le formule sono elencate anche in Knuth, pagg. 65-67.

Teorema 9.22. Per j ∈ N si ha ej0 = exj∑

k=0

S(j, k)xk.

Dimostrazione. Dimostriamo l’enunciato per induzione su j.

Osserviamo prima che in tutte le sommatorie possiamo sommare da

0 ad ∞, perche

(nk

)= S(n, k) = 0 per k > n.

j = 0: Sappiamo dall’osservazione 9.18 che e00 = ex. D’altra parte

S(0, 0) = 1 e quindi

0∑

k=0

S(0, k)xk = 1.

j → j + 1 :

ej+1,09.19= x

∞∑

i=0

(ji

)ei0

ind.= x

∞∑

i=0

(ji

)ex

∞∑

k=0

S(i, k)xk =

= ex∞∑

k=0

xk+1∞∑

i=0

(ji

)S(i, k) =

= ex∞∑

k=0

S(j + 1, k + 1)xk+1 = ex∞∑

k=0

S(j + 1, k)xk

39

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L’ultima uguaglianza vale perche S(j + 1, 0) = 0, come si vede ad es-empio nella tabella della nota 9.21.

Osservazione 9.23. Abbiamo quindi

e00 = ex

e10 = xex

e20 = (x + x2)ex

e30 = (x + 3x2 + x3)ex

e40 = (x + 7x2 + 6x3 + x4)ex

ecc.

Lemma 9.24.

e0m = F

(2

m + 1

)

ejm =x

m + 1F

2 . . . 2 2

1 . . . 1︸ ︷︷ ︸j volte

m + 2

per ogni m ∈ N e ogni j ∈ N + 1.

Dimostrazione.

(1) e0m =

∞∑

k=0

m!

(k + m)!xk.

Sia ak :=m!

(k + m)!. Allora a0 = 1 ed ak+1/ak =

(k + m)!

(k + m + 1)!=

1

k + m + 1,

per cui e0m = F

(2

m + 1

).

(2) Sia j > 0. Allora

ejm =∞∑

k=0

m!

(k + m)!kjxk =

∞∑

k=0

m!

(k + 1 + m)!(k + 1)jxk+1 =

=x

m + 1

∞∑

k=0

(m + 1)!

(k + m + 1)!(k + 1)jxk

Sia ak :=(m + 1)!

(k + m + 1)!(k + 1)j .

Allora a0 = 1 ed ak+1/ak =(k + 2)j(k + 1 + m)!

(k + 2 + m)!(k + 1)j=

(k + 2)j

(k + 1)j(k + m + 2),

per cui ejm =x

m + 1F

2 . . . 2 2

1 . . . 1︸ ︷︷ ︸j volte

m + 2

.

Lemma 9.25. Siano b1, . . . , br ∈ C ed A ∈ Cnn. Allora in Cn

n l’equazionealle differenze

Mk+r = b1Mk+r−1 + . . . + brMr = 0

40

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con le condizioni iniziali M0 = δ,M1 = A, . . . ,Mr−1 = Ar−1 possiede(evidentemente) una soluzione ©

kMk univocamente determinata. Sia

m ∈ N tale che Am+r = b1Am+r−1 + . . . + brA

m. Allora Am+k = MkAm

per ogni k ∈ N.

Dimostrazione. Dimostriamo l’enunciato per induzione su k.

(1) Per k < r abbiamo MkAm = AkAm = Am+k.

(2) Sia j ≥ 0 e l’enunciato sia vero per ogni k < r + j. Allora

Am+r+j = b1Am+r+j−1 + . . . + brA

m+j = b1Mr+j−1Am + . . . + brMjA

m

= (b1Mr+j−1 + . . . + brMj)Am = Mr+jA

m.

Nota 9.26. Siano m ∈ N e g ∈ C[x] tali che Amg(A) = 0, ad esempiog = xr + a1x

r−1 + . . . + ar = (x−α1)m1 · · · (x−αs)

ms con ar 6= 0 e quindiαi 6= 0 per ogni i. Gli αi siano tutti distinti e mi ≥ 1 per ogni i.

Le ipotesi implicano la relazione

Am+r + a1Am+r−1 + . . . + arA

m = 0

Applicando il lemma 9.15 possiamo trovare matrici Mk della forma

Mk = (X10 + kX11 + . . . + km1−1X1,m1−1)αk1

+ . . . + (Xs0 + kXs1 + . . . + kms−1Xs,ms−1)αks

che soddisfano l’equazione alle differenze

Mk+r + a1Mk+r−1 + . . . + arMk = 0

con i coefficienti Xij ∈ Cnn univocamente determinati dalle condizioni

iniziali M0 = δ,M1 = A, . . . ,Mr−1 = Ar−1.

Per il lemma 9.25 abbiamo

Am+k = MkAm =

s∑

i=1

αki

mi−1∑

j=0

kjXij

Am

per ogni k ∈ N.

Teorema 9.27. Nelle ipotesi e con le notazioni della nota 9.26 abbiamo

etA =m∑

k=0

Ck(tA)k

k!

con Ck = δ per k < m e

Cm =s∑

i=1

mi−1∑

j=0

Xijejm(αit)

=

s∑

i=1

[Xi0F

(2

m + 1

)(αit) +

αit

m + 1

mi−1∑

j=1

XijF

(2 . . . 2 2

1 . . . 1 m + 2

)(αit)

]

41

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Dimostrazione. Sia R :=

∞∑

k=m

(tA)k

k!. Allora etA =

m−1∑

k=0

(tA)k

k!+ R.

Inoltre

R =

∞∑

k=0

(tA)k+m

(k + m)!=

∞∑

k=0

tk+m

(k + m)!

s∑

i=1

αki

mi−1∑

j=0

kjXijAm =

=

∞∑

k=0

tkm!

(k + m)!

s∑

i=1

αki

mi−1∑

j=0

kjXij

︸ ︷︷ ︸=:M

(tA)m

m!

Percio

M =

s∑

i=1

mi−1∑

j=0

Xij

∞∑

k=0

m!

(k + m)!kj(αit)

k

L’enunciato segue dal lemma 9.24.

Corollario 9.28. Nelle ipotesi e con le notazioni della nota 9.26 assu-

miamo inoltre m = 0. Allora

etA =

s∑

i=1

mj−1∑

j=0

Xijej0(αjt) =

s∑

i=1

eαitmi−1∑

j=0

Xij

j∑

k=0

S(j, k)(αit)k

Si noti che un’equazione di questa forma vale sicuramente se gli auto-

valori di A sono tutti diversi da zero, cioe se la matrice A e invertibile.

Osservazione 9.29. Sia λ ∈ C (non necessariamente un autovaloredi A). Allora etA = eλtet(A−λδ).

Dimostrazione. Gia visto nella dimostrazione della proposizione 9.4.

Proposizione 9.30 (formula di Apostol). Siano m ≥ 1 ed

(A − λδ)m(A − µδ) = 0 con λ 6= µ. Allora

etA = eλt

[m−1∑

k=0

tk

k!(A − λδ)k +

1

(µ − λ)m

(e(µ−λ)t −

m−1∑

k=0

(µ − λ)ktk

k!

)(A − λδ)m

]

Dimostrazione. Sia B := A − λδ. Allora A − µδ = B − (µ − λ)δ.Ponendo α1 := µ − λ, abbiamo Bm(B − α1δ) = 0, ovvero Bm+1 = α1B

m

e quindi Bm+k = α1kBm per ogni k ∈ N. Inoltre α1 6= 0.

Se nella nota 9.26 sostituiamo A con B, abbiamo X10 = δ ed

etB =

m−1∑

k=0

(tB)k

k!+ e0m(α1t)

(tB)m

m!

Per l’osservazione 9.18 pero

e0m(α1t)(tB)m

m!=

m!

(α1t)m

[

eα1t −m−1∑

k=0

(α1t)k

k!

](tB)m

m!=

1

αm1

(

eα1t −m−1∑

k=0

(α1t)k

k!

)

Bm

42

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Per l’osservazione 9.29 infine etA = eλtetB .

Proposizione 9.31. Siano m ≥ 1 ed (A−λδ)m(A−µδ)2 = 0 con λ 6= µ.

Allora

etA = eλt

[m−1∑

k=0

tk

k!(A − λδ)k + M(A − λδ)m

]

con

M =1

(µ − λ)m

[

e(µ−λ)t −m−1∑

k=0

(µ − λ)ktk

k!

]

+tm+1

(m + 1)!F

(2 2

m + 2 1

)((µ − λ)t) · (A − µδ)

Dimostrazione. Poniamo ancora B := A − λδ ed α1 = µ − λ. AlloraB − α1δ = A − µδ e per ipotesi Bm(B − α1δ)

2 = 0 con α1 6= 0.

Abbiamo percio Bm+2 − 2α1Bm+1 + α2

1Bm = 0 e quindi

Bm+k+2 − 2α1Bm+k+1 + α2

1Bm+k = 0 per ogni k ∈ N.

Dalla nota 9.26 sappiamo che esistono matrici Mk della formaMk = (X10 + kX11)α

k1 con M0 = δ, M1 = B e tali che

Bm+k = αk1(X10 + kX11)B

m.

Dalle condizioni iniziali abbiamo δ = X10 e B = (X10 + X11)α1, per

cui X11 =B − α1δ

α1. Dal teorema 9.27, con B al posto di A, otteniamo

quindi

etB =m−1∑

k=0

(tB)k

k!+ R

con

R = [X10e0m(α1t) + X11e1m(α1t)] ·tmBm

m!

= e0m(α1t)tmBm

m!+

1

α1(B − α1δ)e1m(α1t) ·

tmBm

m!

Usando l’osservazione 9.18 e il lemma 9.24 abbiamo

e0m(α1t)tmBm

m!=

m!

(α1t)m

[eα1t −

m−1∑

k=0

(α1t)k

k!

]tmBm

m!

=1

αm1

[eα1t −

m−1∑

k=0

(α1t)k

k!

]Bm

1

α1e1m(α1t)

tmBm

m!=

1

α1

α1t

m + 1F

(2 2

1 m + 2

)(α1t) ·

tmBm

m!

=tm+1

(m + 1)!F

(2 2

m + 2 1

)(α1t) · Bm

Cio implica il risultato.

43

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Lemma 9.32. Siano λ ∈ C, −λ 6∈ N e Jλ la funzione di Bessel di primaspecie di ordine λ. Allora

Jλ(x) =1

λ!

(x

2

)λF

(2 2

λ + 1 1

)(−x2/4)

dove λ! = Γ(λ + 1).

Dimostrazione. Andrews/Askey/Roy, pag. 200.

Lemma 9.33 (seconda trasformazione di Kummer). Sia a ∈ C e

1 − 2a 6∈ N. Allora anche1

2− a 6∈ N e si ha

F

(a 2

2a 1

)= ex/2F

(2 2

a + 12 1

)(x2/4)

Dimostrazione. Corso di Laboratorio di programmazione 2005/06.

Nota 9.34. Dai lemmi 9.32 e 9.33 otteniamo

F

(2 2

4 1

)= ex/2F

(2 2

5/2 1

)(x2/4) = ex/2F

(2 2

32 + 1 1

)(−(ix)2/4)

= ex/2

(3

2

)!

(2

ix

)3/2

J3/2(ix) =3

2ex/2√π(ix)−3/2J3/2(ix)

Secondo Abramowitz, pagg. 437-438, e Bowman, pag. 95, si ha

J3/2 =

√2

πx

(sin x

x− cos x

)

Questa formula puo essere applicata nel caso B2(B − αδ)2 = 0 conα 6= 0 della proposizione 9.31.

Con m = 2, B = A − λδ e α = µ − λ abbiamo

etB =

1∑

k=0

tk

k!Bk + MBm = δ + tB + MB2

con

M =1

α2

[

eαt −1∑

k=0

αktk

k!

]

+t3

3!F

(2 2

4 1

)(αt) · (B − αδ)

=1

α2(eαt − 1 − αt) +

t3

6

3

2e

αt

2

√π(iαt)−

3

2 J3/2(iαt)(B − αδ)

=1

α2(eαt − 1 − αt) +

t3

4e

αt

2

√π(iαt)−

3

2

√2

πiαt

(sin(iαt)

iαt− cos(iαt)

)(B − αδ)

=1

α2(eαt − 1 − αt) −

√1

8

t

α2e

αt

2

(sin(iαt) − iαt cos(iαt)

iαt

)(B − αδ)

=1

α2(eαt − 1 − αt) − 1

2√

2

1

iα3e

αt

2 (i sinh(iαt) − iαt cosh(iαt))(B − αδ)

44

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=1

α2(eαt − 1 − αt) − 1

2√

2

1

α3e

αt

2

(eαt − e−αt

2− αt

eαt + e−αt

2

)(B − αδ)

=1

α2(eαt − 1 − αt) − 1

4√

2

1

α3[e

3αt

2 (1 − αt) − e−αt

2 (1 + αt)](B − αδ)

45

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10. Interpolazione di Hermite

Situazione 10.1. Siano λ1, . . . , λs ∈ C tutti distinti ed m1, . . . ,ms ∈ N + 1.Sia m := m1 + . . . + ms.

Lemma 10.2. Siano f ∈ C[x], α ∈ C e p ∈ N. Allora α e uno zero dimolteplicita (esatta) p di f se e solo se f (j)(α) = 0 per ogni j = 0, . . . , p−1ed f (p)(α) 6= 0.

Dimostrazione. Corso di Algebra oppure Scheja/Storch, pag. 109.

Corollario 10.3. Sia f ∈ C[x] un polinomio di grado < m tale che per

ogni k = 1, . . . , s si abbia f (j)(λk) = 0 per ogni j = 0, . . . ,mk − 1. Allora

f = 0.

Dimostrazione. Per il lemma 12.4 f e un multiplo di (x−λ1)m1 . . . (x− λs)

ms

e quindi di un polinomio di grado ≥ m. Cio e possibile solo se f = 0.

Teorema 10.4. Per ogni k = 1, . . . , s ed ogni j = 0, . . . ,mk − 1 sia dato

un numero vij ∈ C. Allora esiste esattamente un polinomio H ∈ C[x]

di grado < m tale che per ogni k = 1, . . . , s si abbia H(j)(λk) = vkj perogni j = 0, . . . ,mk − 1.

Dimostrazione. Sia W := f ∈ C[x] | grad f < m. Allora W e unospazio vettoriale su C e dim W = m. Consideriamo l’applicazioneϕ : W → C

m data da:

ϕ(f) := (f (0)(λ1), . . . , f(m1−1)(λ1), . . . , f

(0)(λs), . . . , f(ms−1)(λs))

Quest’applicazione e evidentemente lineare e per il corollario 10.3 an-che iniettiva. Pero dimW = m = dimC

m, per cui ϕ e anche suriettiva.Inoltre v := (v10, . . . , v1,m1−1, . . . , vs0, . . . , vs,ms−1) ∈ C

m e vediamo cheesiste H ∈ W con ϕ(H) = v.

Definizione 10.5. Il polinomio H nella proposizione 10.7 si chiama ilpolinomio di interpolazione di Hermite rispetto al problema di inter-polazione dato.

Per indicare i parametri del problema di interpolazione, denotiamoH con

H[λ1 : (v10, . . . , v1,m1−1), . . . , λs : (vs0, . . . , vs,ms−1)]

Abbreviando vk := (vk0, . . . , vk,mk−1) per ogni k, possiamo anche scrive-re H = H[λ1 : v1, . . . , λs : vs]. Talvolta, in algoritmi ricorsivi, ammetti-amo anche che uno dei vettori vk sia il vettore vuoto, cioe che vk = (),ponendo in tal caso

H[λ1 : v1, . . . , λs : vs] := H[λ1 : v1, . . . , λk−1 : vk−1, λk+1 : vk+1, . . . , λs : vs].

Per vk = (vk0, . . . , vkt) con t > 0 poniamo infine v−k := (vk0, . . . , vk,t−1).

Osservazione 10.6. Diamo adesso due dimostrazioni costruttive delteorema 10.4. Nella prima, basata sul teorema cinese del resto, seguia-

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mo Gathen/Gerhard, pagg. 102-105 e 111-113, nella seconda esponia-mo, in modo leggermente modificato, lo schema alle differenze che sitrova in Stoer, pagg. 44-47, e Deuflhard/Hohmann, pagg. 207-211.

Lemma 10.7 (teorema cinese dei resti). A sia un anello euclideo ed

a1, . . . , as ∈ A tali che mcd(ai, aj) = 1 per ogni i 6= j.

Sia bi := a1 · · · ai · · · as (con la notazione introdotta nella definizio-

ne 9.6) per ogni i. Per ogni i allora mcd(ai, bi) = 1 e quindi esistono

elementi αi, βi ∈ A tali che αiai + βibi = 1. Si noti che cio impli-

ca le congruenze (βibi = 1, in A/ai), mentre e chiaro che (βibi = 0,in A/aj) per j 6= i perche in tal caso bi = a1 · · · ai · · · aj · · · as (oppure

bi = a1 · · · aj · · · ai · · · as) e un multiplo di aj.

Siano adesso dati c1, . . . , cs ∈ A. Se poniamo c := β1b1c1 + . . .+βsbscs,allora (c = ci, in A/ai) per ogni i = 1, . . . , s.

Non e difficile (e per noi irrilevante) dimostrare che c e univocamentedeterminato dal modulo a1 · · · as.

Osservazione 10.8. Sia H ∈ C[x] come nel teorema 10.4. Allora Hpossiede per ogni k = 1, . . . , s uno sviluppo di Taylor

H = H(λk) + H ′(λk)(x − λk) + . . . +H(mk−1)(λk)

(mk − 1)!(x − λk)

mk−1 + . . . =

= vk0 + vk1(x − λk) + . . . +vk,mk−1

(mk − 1)!(x − λk)

mk−1

︸ ︷︷ ︸=:Hk

+ . . .

e quindi

(H = Hk, in C[x]/(x − λk)mk−1) (*)

Siccome i polinomi (x − λi)mi sono a due a due relativamente primi,

dal lemma 10.8 vediamo che H e univocamente determinato dalle re-lazioni (*).

Osservazione 10.9. Dal punto di vista numerico forse piu trasparen-te e la tecnica del calcolo delle differenze che esponiamo adesso.

Lemma 10.10. Nelle ipotesi e con le notazioni della definizione 10.5siano i 6= l e

F := H[λ1 : v1, . . . , λi : v−i , . . . , λs : vs]

G := H[λ1 : v1, . . . , λl : v−l , . . . , λs : vs]

Allora

H =x − λi

λl − λi

F +x − λl

λi − λl

G

Dimostrazione. Possiamo assumere i = 1, l = 2.

Usiamo l’unicita dei polinomi d’interpolazione di Hermite stabilitanel teorema 10.4. Per ipotesi abbiamo

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H(j)(λk) = vkj

F (j)(λk) = ukj

G(j)(λk) = wkj

per k = 1, . . . , s e j = 0, . . . ,mk − 1 con

ukj = vkj tranne che per k = 1, j = m1 − 1 e

wkj = vkj tranne che per k = 2, j = m2 − 1.

Ponendo A := (x − λ1)F,B := (x − λ2)G ed

L :=1

λ2 − λ1A +

1

λ1 − λ2B

abbiamo che L ha lo stesso grado di H ed e quindi sufficiente dimo-strare che L e soluzione del problema d’interpolazione corrispondentead H.

Con j e k come prima, per la regola di Leibniz abbiamo

A(j) = (x − λ1)F(j) + jF (j−1)

e similmente

B(j) = (x − λ2)G(j) + jG(j−1)

dove il secondo sommando in entrambi i casi si annulla per j = 0.Percio

A(j)(λk) = (λk − λ1)F(j)(λk) + jF (j−1)(λk) = (λk − λ1)ukj + juk,j−1

B(j)(λk) = (λk − λ2)G(j)(λk) + jG(j−1)(λk) = (λk − λ2)wkj + jwk,j−1

cosicche

L(j)(λk) =1

λ2 − λ1[(λk − λ1)ukj − (λk − λ2)wkj + j(uk,j−1 − wk,j−1)]

(1) Sia k ≥ 3. Allora ukj = wkj = vkj per ogni j e quindi

L(j)(λk) =1

λ2 − λ1[λ2 − λ1]vkj = vkj

(2) Per k = 1 abbiamo

L(j)(λ1) =1

λ2 − λ1[(λ2 − λ1)w1j + j(u1,j−1 − w1,j−1)]

= w1j + j(u1,j−1 − w1,j−1)

Pero w1j = v1j , mentre, essendo j − 1 < m1 − 1, ancheu1,j−1 = w1,j−1 = v1,j−1 per j > 0, mentre il sommando multiplo

di j si annulla per j = 0. Cio mostra che L(j)(λ1) = v1j .

(3) Nello stesso modo si vede che L(j)(λ2) = v2j per ogni j.

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Osservazione 10.11. Per s=1 il polinomio di interpolazione di Hermi-te coincide con lo sviluppo di Taylor:

H[λ1 : (v10, . . . , v1,m1−1)] =

m1−1∑

j=0

v1j

(x − λ1)j

j!

Dimostrazione. Chiaro.

Nota 10.12. Otteniamo cosı un semplice algoritmo ricorsivo per il cal-colo del polinomio di interpolazione di Hermite:

Per s = 1 utilizziamo il lemma 10.11, altrimenti riduciamo il gradodel problema mediante il lemma 10.10.

Soprattutto nei conti a mano si puo accorciare l’algoritmo utilizzan-do che H[λ1 : (v10), . . . , λs : (vs0)] = v10L1 + . . . + vs0Ls nella notazionedella osservazione 9.7.

Esempio 10.13. Calcoliamo H := H[1 : (3), 2 : (7, 1)].

Abbiamo

H =x − 1

2 − 1F +

x − 2

1 − 2G = (x − 1)F − (x − 2)G

con

F = H[2 : (7, 1)] = 7 + (x − 2) = x + 5

G = H[1 : (3), 2 : (7)] =x − 1

2 − 17 +

x − 2

1 − 23 = 7(x − 1) − 3(x − 2) = 4x − 1

e quindi

H = (x − 1)(x + 5) − (x − 2)(4x − 1) = −3x2 + 13x − 7

Verifica: H ′ = −6x + 13

H(1) = −3 + 13 − 7 = 3

H(2) = −12 + 26 − 7 = 7

H ′(2) = −12 + 13 = 1

Esempio 10.14. Calcoliamo H := H[1 : (3, 4), 0 : (6, 2, 10)].

Abbiamo H =x − 1

0 − 1F +

x

1G = (1 − x)F + xG con

F = H[1 : (3), 0 : (6, 2, 10)] =x − 1

0 − 1F1 +

x

1G1 = (1 − x)F1 + xG1

F1 = H[0 : (6, 2, 10)] = 6 + 2x +10

2x2 = 6 + 2x + 5x2

G1 = H[1 : (3), 0 : (6, 2)] = (1 − x)F2 + xG2

F2 = H[0 : (6, 2)] = 6 + 2x

G2 = H[1 : (3), 0 : (6)] = 6(1 − x) + 3x = 6 − 3x

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G = H[1 : (3, 4), 0 : (6, 2)] = (1 − x)F3 + xG3

F3 = H[1 : (3), 0 : (6, 2)] = G1

G3 = H[1 : (3, 4), 0 : (6)] = (1 − x)F4 + xG4

F4 = H[1 : (3), 0 : (6)] = G2

G4 = H[1 : (3, 4)] = 3 + 4(x − 1) = 4x − 1

per cui

G3 = (1 − x)F4 + xG4 = (1 − x)G2 + xG4

= (1 − x)(6 − 3x) + x(4x − 1)

= 7x2 − 10x + 6

G1 = (1 − x)F2 + xG2

= (1 − x)(6 + 2x) + x(6 − 3x) = −5x2 + 2x + 6

G = (1 − x)F3 + xG3 = (1 − x)G1 + xG3

= (1 − x)(−5x2 + 2x + 6) + x(7x2 − 10x + 6)

= 12x3 − 17x2 + 2x + 6

F = (1 − x)F1 + xG1

= (1 − x)(6 + 2x + 5x2) + x(−5x2 + 2x + 6)

= −10x3 + 5x2 + 2x + 6

H = (1 − x)F + xG

= (1 − x)(−10x3 + 5x2 + 2x + 6) + x(12x3 − 17x2 + 2x + 6)

= 22x4 − 32x3 + 5x2 + 2x + 6

Verifica: H ′ = 88x3 − 96x2 + 10x + 12,H ′′ = 264x2 − 192x + 10

H(1) = 22 − 32 + 5 + 2 + 6 = 3

H ′(1) = 88 − 96 + 10 + 2

H(0) = 6

H ′(0) = 2

H ′′(0) = 10

Nota 10.15. Possiamo realizzare l’algoritmo indicato nella nota 10.12in Python mediante le seguenti funzioni che utilizzano il modulo swi-

ginac.

Swiginac e un modulo che aggancia Python a Ginac, una libreria dicalcolo simbolico.

Tra le funzioni che possono essere utilizzate dopo avere importatoquesto modulo (con from swiginac import * ) menzioniamo aus.Var

che utilizziamo qui di seguito e che permette di attribuire il caratteredi variabile a una stringa che contiene il nome della variabile.

aus.Var(’x’,hermite)

def Copiadiz (a):

return dict([(x,copy.copy(a[x])) for x in a.keys()])

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def Hermite (A):

L=A.keys(); alfa=L[0]

if len(L)==1: return Taylor(alfa,A[alfa])

beta=L[1]; A1=Copiadiz(A); A2=Copiadiz(A)

v1=A1[alfa]; v1.pop(); v2=A2[beta]; v2.pop()

if not v1: del A1[alfa]

if not v2: del A2[beta]

f=(x-alfa)*Hermite(A1); g=(x-beta)*Hermite(A2)

h=(f-g)/float(beta-alfa); return h

# Lista dei coefficienti di (x-alfa) in f.

def Lista (f,alfa=0):

g=f.series(x==alfa,f.degree(x)+1)

h=g.subs(x==x+alfa)

return [h.coeff(x,i) for i in xrange(h.degree(x)+1)]

def Taylor (alfa,v):

f=0+0*x; p=1.0

for j,vj in enumerate(v):

f=f+vj*p/mat.Fatt(j); p*=(x-alfa)

return f

Otteniamo i risultati degli esempi 10.13 e 10.14 con

print hermite.Lista(hermite.Hermite(1:[3], 2:[7,1]))

# [-7.0, 13.0, -3.0]

print hermite.Lista(hermite.Hermite(1:[3,4], 0:[6,2,10]))

# [6.0, 2.0, 5.0, -32.0, 22.0]

Definizione 10.16. Nelle ipotesi e con le notazioni della definizione10.5 denotiamo con ∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs] il coefficiente della potenzamassimale formale, cioe di xm−1, in H[λ1 : v1, . . . , λs : vs].

Scegliamo questa notazione perche questi coefficienti corrispondonoa uno schema alle differenze che deriva dal lemma 10.10, come vedre-mo adesso.

Elenchiamo inoltre le condizioni

H(0)(λ1) = v10,

. . . ,

H(m1−1)(λ1) = v1,m1−1,

H(0)(λ2) = v20,

. . .

nell’ordine indicato e denotiamo, per i = 0, . . . ,m − 1, conH[λ1 : v1, . . . , λs : vs][i] il polinomio di interpolazione di Hermite checorrisponde alle prime i + 1 condizioni; in modo analogo sia definito∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][i].

In particolare H[λ1 : v1, . . . , λs : vs][0] = ∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][0] = v10.

Definiamo poi (α1, . . . , αm) := (λ1, . . . , λ1︸ ︷︷ ︸m1

, . . . , λs, . . . , λs︸ ︷︷ ︸ms

) ed infine

(x − α)[0] := 1

(x − α)[1] := x − α1

(x − α)[i] := (x − α1) · · · (x − αi)

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per i = 1, . . . ,m.

Proposizione 10.17. Nelle ipotesi e con le notazioni della nota 10.16

si hanno le seguenti relazioni:

(1) Se i 6= l, allora

∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs] =

∆[λ1 : v1, . . . , λi : v−i , . . . , λs : vs] − ∆[λ1 : v1, . . . , λl : v−l , . . . , λs : vs]

λl − λi

(2) ∆[λ1 : v1] =v1,m1−1

(m1 − 1)!.

Dimostrazione. Cio segue direttamente dal lemma 10.10 e dall’osservazione10.11.

Teorema 10.18. Con le notazioni della definizione 10.16 vale

H[λ1 : v1, . . . , λs : vs] =

m−1∑

i=0

∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][i](x − α)[i]

Dimostrazione. Induzione su m.

m = 1:

H(λ1 : (v10)) = v10

∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][0] = v10

(x − α)[0] = 1

m − 1 → m:

Per definizione H = H[λ1 : v1, . . . , λs : vs] = ∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][m−1]

(x − α)[m−1] + f , dove f e un polinomio di grado < m − 1, perche il

coefficiente di xm−1 in H coincide con il coefficiente di (x − α)[m−1] e∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs] = ∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][m−1].

Per il lemma 10.2 pero g := ∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][m−1] soddisfa le con-

dizioni g(j)(λk) = 0 per k = 1, . . . , s e j = 0, . . . ,ms − 1 tranne l’ultima,se le elenchiamo nello stesso ordine come le condizioni originali chedeterminano H.

Ma cio significa che f = H − g = H[λ1 : v1, . . . , λs : v−s ] e quindi, perinduzione,

H = ∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][m−1] +

m−2∑

i=0

∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][i](x − α)[i]

Esempio 10.19. Calcoliamo H := H[1 : (3), 2 : (7, 1)], gia calcolatonell’esempio 10.13, con il metodo del teorema 10.18.

Abbiamo

H = ∆[1 : (3)]+∆[1 : (3), 2 : (7)](x−1)+∆[1 : (3), 2 : (7, 1)](x−1)(x−2)

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con

∆[1 : (3)] = 3

∆[1 : (3), 2 : (7)] =∆[2 : (7)] − ∆[1 : (3)]

2 − 1= 7 − 3 = 4

∆[1 : (3), 2 : (7, 1)] =∆[2 : (7, 1)] − ∆[1 : (3), 2 : (7)]

2 − 1= 1 − 4 = −3

Quindi

H = 3 + 4(x − 1) − 3(x − 1)(x − 2) = −3x2 + 13x − 7.

Esempio 10.20. Calcoliamo H := H[0 : (6, 2, 10), 1 : (3, 4)], gia calcola-to nell’esempio 10.14, con il metodo del teorema 10.18.

Abbiamo

H =∆[0 : (6)] + ∆[0 : (6, 2)]x + ∆[0 : (6, 2, 10)]x2

+ ∆[0 : (6, 2, 10), 1 : (3)]x3 + ∆[0 : (6, 2, 10), 1 : (3, 4)]x3(x − 1)

con

∆[0 : (6)] = 6

∆[0 : (6, 2)] = 2

∆[0 : (6, 2, 10)] = 5

∆[0 : (6, 2, 10), 1 : (3)] = ∆[0 : (6, 2), 1 : (3)] − ∆[0 : (6, 2, 10)]

= ∆[0 : (6), 1 : (3)] − ∆[0 : (6, 2)] − 5

= 3 − 6 − 2 − 5 = −10

∆[0 : (6, 2, 10), 1 : (3, 4)] = ∆[0 : (6, 2), 1 : (3, 4)] − ∆[0 : (6, 2, 10), 1 : (3)]

= A + 10

con

A = ∆[0 : (6), 1 : (3, 4)] − ∆[0 : (6, 2), 1 : (3)]

= ∆[1 : (3, 4)] − ∆[0 : (6), 1 : (3)] + 5 = 4 − (∆[1 : (3)] − ∆[0 : (6)]) + 5

= 4 − (3 − 6) + 5 = 12

per cui

H = 6 + 2x + 5x2 − 10x3 + 22x3(x − 1) = 22x4 − 32x3 + 5x2 + 2x + 6

Nota 10.21. I calcoli che utilizziamo nel teorema 10.18 possono esseresemplificati mediante il seguente schema alle differenze che illustria-mo per il caso

H = H[λ1 : (v10, v11, v12), λ2 : (v20), λ3 : (v30, v31), λ4 : (v40, v41)].

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λ1 : (v10, v11, v12)

v10

[λ1] v11

v10 [λ1]v12

2

[λ1] v11 [λ1, λ2]diff.

λ2 − λ1

v10 [λ1, λ2]diff.

λ2 − λ1

[λ1, λ3]diff.

λ3 − λ1

λ2 : (v20) [λ1, λ2]v20 − v10

λ2 − λ1

[λ1, λ3]diff.

λ3 − λ1

[λ1, λ3]diff.

λ3 − λ1

v20 [λ1, λ3]diff.

λ3 − λ1

[λ1, λ3]diff.

λ3 − λ1

[λ1, λ4]diff.

λ4 − λ1

λ3 : (v30, v31) [λ2, λ3]v30 − v20

λ3 − λ2

[λ1, λ3]diff.

λ3 − λ1

[λ1, λ4]diff.

λ4 − λ1

[λ1, λ4]diff.

λ4 − λ1

v30 [λ2, λ3]diff.

λ3 − λ2

[λ1, λ4]diff.

λ4 − λ1

[λ1, λ4]diff.

λ4 − λ1

[λ3] v31 [λ2, λ4]diff.

λ4 − λ2

[λ1, λ4]diff.

λ4 − λ1

v30 [λ3, λ4]diff.

λ4 − λ3

[λ2, λ4]diff.

λ4 − λ2

λ4 : (v40, v41) [λ3, λ4]v40 − v30

λ4 − λ3

[λ3, λ4]diff.

λ4 − λ3

v40 [λ3, λ4]diff.

λ4 − λ3

[λ4] v41

v40

Le parentesi sono o della forma [λk], seguite in tal caso davkj

j!, dove

j e il numero della colonna nello schema, oppure della forma [λi, λl]

e seguite allora dadiff.

λl − λi

, dove nel numeratore si trova la differenza

dei termini separati, nella colonna precedente, dalla parentesi quadra.

E chiaro che nella diagonale superiore otteniamo i coefficienti∆[λ1 : v1, . . . , λs : vs][i].

Esempio 10.22. Calcoliamo H = H[0 : (−1,−2), 1 : (0, 10, 40)](cfr. Stoer, pag.47).

0 : (−1,−2)

−1

[0] −2

−1 [0, 1] 3

1 : (0, 10, 40) [0, 1] 1 [0, 1] 6

0 [0, 1] 9 [0, 1] 5

[1] 10 [0, 1] 11

0 [1] 20

[1] 10

0

Quindi

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H = −1 − 2x + 3x2 + 6x2(x − 1) + 5x2(x − 1)2.

Esempio 10.23. CalcoliamoH = H[1 : (2, 5, 6), 2 : (11), 3 : (0,−27), 4 : (−37, 158)].

1 : (2, 5, 6)

2

[1] 5

2 [1] 3

[1] 5 [1, 2] 1

2 [1, 2] 4 [1, 3] −4

2 : (11) [1, 2] 9 [1, 3] −7 [1, 3] 3

11 [1, 3] −10 [1, 3] 2 [1, 4] −1

3 : (0,−27) [2, 3] −11 [1, 3] −3 [1, 4] 0 [1, 4] 4

0 [2, 3] −16 [1, 4] 2 [1, 4] 11

[3] −27 [2, 4] 3 [1, 4] 33

0 [3, 4] −10 [2, 4] 101

4 : (−37, 158) [3, 4] −37 [3, 4] 205

−37 [3, 4] 195

[4] 158

−37

Abbiamo cosı

H =2 + 5(x − 1) + 3(x − 1)2 + (x − 1)3 − 4(x − 1)3(x − 2)+

+ 3(x − 1)3(x − 2)(x − 3) − (x − 1)3(x − 2)(x − 3)2+

+ 4(x − 1)3(x − 2)(x − 3)2(x − 4)

Esempio 10.24. Per λ1 6= λ2 calcoliamo H = H[λ1 : (1, 0, 0), λ2 : (0, 0)].

λ1 : (1, 0, 0)

1

[λ1] 0

1 [λ1] 0

[λ1] 0 [λ1, λ2] −1

(λ2 − λ1)3

1 [λ1, λ2] −1

(λ2 − λ1)2[λ1, λ2]

3

(λ2 − λ1)4

λ2 : (0, 0) [λ1, λ2] −1

λ2 − λ1[λ1, λ2]

2

(λ2 − λ1)3

0 [λ1, λ2]1

(λ2 − λ1)2

[λ2] 0

0

55

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Abbiamo quindi

H = 1 −

(x − λ1

λ2 − λ1

)3

+3(x − λ1)

3(x − λ2)

(λ2 − λ1)4

Definizione 10.25. Per k = 1, . . . , s e j = 0, . . . ,mk − 1 definiamo Hkj

come la soluzione del problema di interpolazione

H(α)kj (λβ) = δkβδα

j

per β = 1, . . . , s ed α = 0, . . . ,mβ − 1. Abbiamo quindi

H10 = H(λ1 : (1, 0, . . . , 0), . . .)

H11 = H(λ1 : (0, 1, . . . , 0), . . .)

H12 = H(λ1 : (0, 0, 1, . . . , 0), . . .)

. . .

H20 = H(λ1 : (0, . . . , 0), λ2 : (1, 0, . . . , 0), . . .)

H21 = H(λ1 : (0, . . . , 0), λ2 : (0, 1, 0, . . . , 0), . . .)

. . . .

I polinomi Hkj sono detti polinomi di interpolazione fondamentali di

Hermite.

Nell’esempio 10.24 abbiamo calcolato H10 per m1 = 3, m2 = 2.

Proposizione 10.26. Nella situazione della definizione 10.25 siano

adesso dati numeri complessi vkj per k = 1, . . . , s e j = 0, . . . ,mk − 1.

Sia H := H[λ1 : v1, . . . , λs : vs]. Allora

H =s∑

k=1

ms−1∑

j=0

vkjHkj.

Dimostrazione. Per β = 1, . . . , s ed α = 0, . . . ,mβ − 1 abbiamo

H(α)(λβ) =

s∑

k=1

ms−1∑

i=0

vkjH(α)kj (λβ) =

s∑

k=1

ms−1∑

i=0

vkjδkβδαj = vβα

Siccome grado Hkj < m per ogni k e j, H deve essere il polinomiod’interpolazione di Hermite cercato.

Nota 10.27. Nel seguito, useremo l’interpolazione di Hermite sia perottenere formule esplicite per l’esponenziale di una matrice (capitoli11 e 12) sia per lo studio delle funzioni di crescita di tumori.

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11. La formula spettrale di Sylvester-Buchheim

Situazione 11.1. Siano A ∈ Cnn ed MA = (x−λ1)

m1 · · · (x−λs)ms con i

λk tutti distinti ed mk ≥ 1 per ogni k. Siano m := m1 + . . . + ms e t ∈ R.

Teorema 11.2. Ω sia un dominio di C che contiene lo spettro σ(A) ed

f, g : Ω → C due funzioni analitiche. Assumiamo che per ognik = 1, . . . , s si abbia f (j)(λk) = g(j)(λk) per ogni j = 0, . . . ,mk − 1.

Allora f(A) = g(A).

Dimostrazione. Forst/Hoffmann, pag. 335, Cullen, pagg. 263-264,

Horn/Johnson, pagg. 396-397. Cfr. Gantmacher, pagg. 122-123, e From-mer/Simoncini.

Corollario 11.3. Sia g ∈ C[x] un polinomio tale che per ognik = 1, . . . , s si abbia tjetλk = g(j)(λk) per ogni j = 0, . . . ,mk − 1.

Allora etA = g(A).

Dimostrazione. Cio segue dal teorema 11.2 se poniamo f(z) := etz .

Infatti allora f (j)(z) = tjetz .

Osservazione 11.4. Dal corollario 11.3 otteniamo una nuova dimo-

strazione della proposizione 9.22. Se infatti (A − λδ)m = 0, possiamo

assumere che MA = (x − λ)m. Se poniamo g = etλm−1∑

k=0

tj

j!(x − λ)j , dal

corollario 11.3 segue etA = g(A), in accordo con la proposizione 9.2.

Vediamo adesso come questa semplice osservazione puo essere ge-

neralizzata nel caso generale tramite la teoria del polinomio di inter-polazione di Hermite.

Osservazione 11.5. Sia mk = 1 per ogni k = 1, . . . , s. In tal ca-so m = n. Se scegliamo vk0 = etλk nella proposizione 10.7, H coin-

cide necessariamente con il polinomio di interpolazione di Lagrangen∑

k=1

eλktLk(A) e dal corollario 10.3 otteniamo

etA =

n∑

k=1

eλktLk(A)

in accordo con la proposizione 9.10.

Proposizione 11.6 (formula spettrale di Sylvester-Buchheim).

Ω sia un dominio di C che contiene lo spettro σ(A) ed f : Ω → C una

funzione analitica. Allora

f(A) =

s∑

k=1

mk−1∑

j=0

f (j)(λk)Hkj(A).

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Dimostrazione. Se poniamo vkj = f (j)(λk) ed H := H[λ1 : v1, . . . , λs :vs], dal teorema 11.2 abbiamo f(A) = H(A). L’enunciato segue dalla

prop. 10.26.

Corollario 11.7. etA =

s∑

k=1

mk−1∑

j=0

tjetλkHkj(A).

Osservazione 11.8. Sia p ∈ C[x] \ 0 con p(A) = 0. Allora

p = (x − λ1)r1 · · · (x − λs)

rs(x − λs+1)rs+1 · · · (x − λv)

rv

con v ≥ s, λs+1, . . . , λv ∈ C ed r1 ≥ m1, . . . , rs ≥ ms.

Se formiamo i polinomi di interpolazione fondamentali di Hermite

Hkj rispetto a questo sistema di valori, allora si ha ancora

etA =

v∑

k=1

mk−1∑

j=0

tjetλkHkj(A). In verita quasi sempre ci si puo limitare al

caso v = s e del teorema 11.6, applicato agli Hkj, si vede che Hkj(A) = 0per k = 1, . . . , s e j ≥ mk. Possiamo in particolare applicare questo

ragionamento quando p = PA. Cfr. Forst/Hoffmann, pag.335.

Esempio 11.9. Sia A =

0 1 04 3 −41 2 −1

. Allora PA = MA = x(x − 1)2.

H10 = H[0 : (1), 1 : (0, 0)]

H20 = H[0 : (0), 1 : (1, 0)]

H21 = H[0 : (0), 1 : (0, 1)]

Questi polinomi fondamentali si calcolano facilmente con il metododella nota 10.21 che applichiamo in uno schema unico in cui separiamo

con punto e virgola i termini corrispondenti a indici diversi:

0 : (1); (0); (0)

1; 0; 0

1 : (0, 0); (1, 0); (0, 1) [0, 1] −1; 1; 0

0; 1; 0 [0, 1] 1;−1; 1

[1] 0; 0; 1

0; 1; 0

Abbiamo cosı

H10 = 1 − x + x(x − 1) = (x − 1)2

H20 = x − x(x − 1) = x(2 − x)

H21 = x(x − 1)

Per il corollario 11.7 abbiamo

etA = H10(A) + etH20(A) + tetH21(A)

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dove

H10(A) = (A − δ)2 =

−1 1 04 2 −41 2 −2

2

=

5 1 −40 0 05 1 −4

H20(A) = A(2δ − A) =

0 1 04 3 −41 2 −1

2 −1 0−4 −1 4−1 −2 3

=

−4 −1 40 1 0−5 −1 5

H21(A) = A(A − δ) =

0 1 04 3 −41 2 −1

−1 1 04 2 −41 2 −2

=

4 2 −44 2 −46 3 −6

cosicche

etA =

5 1 −40 0 05 1 −4

+

−4 −1 40 1 0−5 −1 5

et +

4 2 −44 2 −46 3 −6

tet

Cfr. Forst/Hoffmann, pag.341.

Esempio 11.10. Sia MA = x2(x − 1)3(x − 2). Calcoliamo etA.

Per il corollario 11.7 abbiamo:

etA = H10(A)+tH11(A)+etH20(A)+tetH21(A)+t2etH22(A)+e2tH30(A)

Calcoliamo con lo schema:

H10 = H[0 : (1, 0); 1 : (0, 0, 0); 2 : (0)]

H11 = H[0 : (0, 1); 1 : (0, 0, 0); 2 : (0)]

H20 = H[0 : (0, 0); 1 : (1, 0, 0); 2 : (0)]

H21 = H[0 : (0, 0); 1 : (0, 1, 0); 2 : (0)]

H22 = H[0 : (0, 0); 1 : (0, 0, 1); 2 : (0)]

H30 = H[0 : (0, 0); 1 : (0, 0, 0); 2 : (1)]

0 : (1, 0); (0, 1); (0, 0); (0, 0); (0, 0); (0, 0)

1; 0; 0; 0; 0; 0

[0] 0; 1; 0; 0; 0; 0

1; 0; 0; 0; 0; 0 [0, 1]

1 : (0, 0, 0); (0, 0, 0); (1, 0, 0); (0, 1, 0); (0, 0, 1); (0, 0, 0) [0, 1] −1; 0; 1; 0; 0; 0

0; 0; 1; 0; 0; 0 [0, 1]

[1] 0; 0; 0; 1; 0; 0

0; 0; 1; 0; 0; 0 [1]

[1] 0; 0; 0; 1; 0; 0

0; 0; 1; 0; 0; 0 [1, 2]

2 : (0); (0); (0); (0); (0); (1) [1, 2] 0; 0;−1; 0; 0; 1

0; 0; 0; 0; 0; 1

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−1;−1; 1; 0; 0; 0

[0, 1] 2; 1;−2; 1; 0; 0

1; 0;−1; 1; 0; 0 [1, 2] −3;−1; 3;−2; 1

2; 0

[0, 1] −1; 0; 1;−1; 1

2; 0 [0, 2] 7

4; 1

2;−2; 1;− 1

2; 1

4

0; 0; 0; 0; 1

2; 0 [0, 2] 1

2; 0;−1; 0;− 1

2; 1

2

[1, 2] 0; 0;−1;−1;− 1

2; 1

0; 0;−1;−1; 0; 1

Dunque

H10 = 1 − x2 + 2x2(x − 1) − 3x2(x − 1)2 +7

4x2(x − 1)3

H11 = x − x2 + x2(x − 1) − x2(x − 1)2 +1

2(x − 1)3

H20 = x2 − 2x2(x − 1) + 3x2(x − 1)2 − 2x2(x − 1)3

H21 = x2(x − 1) − 2x2(x − 1)2 + x2(x − 1)3

H22 =1

2x2(x − 1)2 −

1

2x2(x − 1)3

H30 =1

4x2(x − 1)3

Percio

etA =δ − A2 + 2A2(A − δ) − 3A2(A − δ)2 +7

4A2(A − δ)3+

+ t[A − A2 + A2(A − δ) − A2(A − δ)2 +1

2A2(A − δ)3]+

+ et[A2 − 2A2(A − δ) + 3A2(A − δ)2 − 2A2(A − δ)3]+

+ tet[A2(A − δ) − 2A2(A − δ)2 + A2(A − δ)3]+

+ t2et[1

2A2(A − δ)2 −

1

2A2(A − δ)3] + e2t 1

4A2(A − δ)3

=(A − δ)(−δ − A +27

4A2 −

1

2A3 +

7

4A4) + tA(A − δ)(−δ +

5

2A − 2A2 +

1

2A3)

+ tet(A − δ)A2(4δ − 4A + A2) + t2et 1

2A2(A − δ)(2δ − A)+

+ e2t 1

4A2(A − δ)3

Osservazione 11.11. Quando gli autovalori di A non sono noti, pos-

sono essere usate formule algebriche di ricorrenza al posto della rap-

presentazione spettrale, come esposto nel lavoro di Verde Star citatoin bibliografia.

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12. Matrici che soddisfano un’equazione cubica

Situazione 12.1. Siano A ∈ Cnn, λ, µ, ν ∈ C ed m ∈ N + 1. Ω sia un

dominio di C che contiene la spettro σ(A) ed f : Ω → C una funzioneanalitica. t ∈ R.

Nota 12.2. Sia MA = (x − λ)m. Allora

f(A) =

m−1∑

j=0

f (j)(λ)

j!(A − λδ)j

etA = eλtm−1∑

j=0

tj

j!(A − λδ)j

Dimostrazione. La seconda formula e in accordo con la proposizione

9.2 e con il corollario 11.3.

Essa e anche una conseguenza immediata del teorema 11.2. Dall’osservazione

11.4 abbiamo

H1j =f (j)(λ)

j!

e quindi

H =

m−1∑

j=0

f (j)(λ)

j!(x − λ)j

dal teorema 11.2.

Per f(z) = etz otteniamo la rappresentazione di etA; cfr. corollario

11.3.

Nota 12.3. Sia MA = (x − λ)(x − µ) con λ 6= µ. Allora

f(A) =f(λ)

λ − µ(A − µδ) +

f(µ)

µ − λ(A − λδ)

etA =eλt

λ − µ(A − µδ) +

eµt

µ − λ(A − λδ)

Dimostrazione. La seconda formula segue dalla prima ed e in accor-do con la proposizione 8.12.

Per dimostrare la prima formula dal teorema 11.2 calcoliamo

H10 = H[λ : (1), µ : (0)]

H20 = H[λ : (0), µ : (1)]

Usiamo lo schema:

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λ : (1); (0)

1; 0

µ : (0); (1) [λ, µ] −1

λ − µ;

1

(µ − λ)

0; 1

Per cui

H10 = 1 −x − λ

µ − λ=

x − µ

λ − µ

H20 =x − λ

µ − λ

cosicche

H = f(λ)x − µ

λ − µ+ f(µ)

x − λ

µ − λ

Nota 12.4. Sia MA = (x − λ)2(x − µ) con λ 6= µ. Allora

f(A) = f(λ)δ + f ′(λ)(A − λδ) +

[

f(µ) − f(λ)

(µ − λ)2−

f ′(λ)

µ − λ

]

(A − λδ)2

etA = eλtδ + teλt(A − λδ) +

[

eµt − eλt

(µ − λ)2+

teλt

µ − λ

]

(A − λδ)2

Dimostrazione. La seconda formula segue dalla prima e potrebbe

essere ricondotta alla proposizione 9.2; cfr. Cheng/Yau, pag. 150.

Per utilizzare il teorema 11.2 calcoliamo

H10 = H[λ : (1, 0);µ : (0)]

H11 = H[λ : (0, 1);µ : (0)]

H20 = H[λ : (0, 0);µ : (1)]

tramite lo schema della nota 9.27.

λ : (1, 0); (0, 1); (0, 0)

1; 0; 0

[λ] 0; 1; 0

1; 0; 0 [λ, µ] −1

(µ − λ)2;

1

λ − µ;

1

(µ − λ)2

µ : (0); (0); (1) [λ, µ]1

λ − µ; 0;

1

µ − λ

0; 0; 1

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da cui

H10 = 1 −(x − λ)2

(µ − λ)2

H11 = (x − λ) −(x − λ)2

(µ − λ)

H20 =

(

x − λ

µ − λ

)2

e quindi

H = f(λ) + f ′(λ)(x − λ) +

[

f(µ) − f(λ)

(µ − λ)2−

f ′(λ)

µ − λ

]

(x − λ)2

Nota 12.5. Sia MA = (x− λ)(x − µ)(x − ν) con λ, µ, ν distinti tra loro.

Allora

f(A) =f(λ)(A − µδ)(A − νδ)

(λ − µ)(λ − ν)+ f(µ)

(A − λδ)(A − νδ)

(µ − λ)(µ − ν)

+ f(ν)(A − λδ)(A − µδ)

(ν − λ)(ν − µ)

etA =eλt (A − µδ)(A − νδ)

(λ − µ)(λ − ν)+ eµt (A − λδ)(A − νδ)

(µ − λ)(µ − ν)

+ eνt (A − λδ)(A − µδ)

(ν − λ)(ν − µ)

Dimostrazione. Queste formule seguono direttamente dall’osservazione

11.5.

Osservazione 12.6. In Cheng/Yau gli autovalori di matrici 3 × 3 e

4 × 4 sono calcolati in termini dei coefficienti di A; in questo modo si

ottengono formule per etA che in tal caso dipendono dai coefficienti.

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13. L’algoritmo di Parlett-Koc per matrici triangolari

Situazione 13.1. A ∈ Cnn sia una matrice triangolare inferiore, cioe

una matrice della forma

A =

λ1 0 0 ... 0a21 λ2 0 ... 0a31 a32 λ3 ... 0... ... ... ... ...

an1 an2 an3 ... λn

E noto che PA = (x−λ1) · · · (x−λn). Ω sia un dominio di C che contienelo spettro di A ed f : Ω → C una funzione analitica.

Nota 13.2. Sia M ∈ Cnn. Allora esiste una matrice unitaria T tale che

L := T−1MT e triangolare inferiore (decomposizione di Schur, cfr. Go-lub/Van Loan, pag. 192, o Cullen, pagg. 166-174) e siccomef(M) = Tf(L)T−1 per l’osservazione 6.14 (nell’ipotesi anche qui chef sia una funzione analitica definita in un dominio che contiene lospettro di M ), e sufficiente saper calcolare funzioni di matrici triango-lari. L’uso della decomposizione di Schur per funzioni di matrici nontriangolari rappresenta infatti lo stato dell’arte nel calcolo di funzionimatriciali (Higham [F], pagg. 12-13).

In molti problemi medici inoltre appaiono sistemi di equazioni diffe-renziali ordinarie a cascata, tipici per modelli compartimentali lineari,in cui quindi dobbiamo calcolare l’esponenziale di una matrice trian-golare inferiore.

Modelli simili sono utilizzati nella teoria dei reattori nucleari; cfr.Attaya.

Osservazione 13.3. Sia 1 ≤ m < n. Allora possiamo sempre scrivere

A =

(B 0C D

)con B ∈ C

mm, D ∈ C

n−mn−m, C ∈ C

n−mm con B e D ancora

triangolari inferiori. Si ha inoltre

f(A) =

(f(B) 0X f(D)

)

con una matrice X ∈ Cn−mm .

Dimostrazione. Solo l’ultima affermazione non e evidente. Una di-mostrazione si trova in Van Loan, pagg. 7-9, Golub/Van Loan, pag.383.

Osservazione 13.4 (algoritmo di Parlett-Koc). Con A,B,C,D,X

come nella proposizione 13.3 poniamo F := f(A),M := f(B), N :=

f(D), cosicche F =

(M 0X N

). Assumiamo inoltre che σ(B)∩σ(D) = ∅,

cioe che B e D non abbiano autovalori in comune. Allora

AF =

(BM 0

CM + DX DN

)FA =

(MB 0

XB + NC ND

)

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Dallo sviluppo di f in serie di potenze e evidente che AF = FA e quindi(o per la stessa ragione) BM = MB e DN = ND. InoltreCM + DX = XB + NC.

In un algoritmo ricorsivo possiamo assumere di aver gia calcolatoM ed N ; percio la matrice E := NC −CM e nota e dobbiamo risolverein X l’equazione DX − XB = E.

Questa equazione, detta di Sylvester, possiede molte altre applica-zioni. Nella soluzione dell’equazione di Sylvester abbiamo bisogno del-la condizione che σ(B) ∩ σ(D) = ∅. Siccome nella decomposizione diSchur si puo prescrivere l’ordine in cui gli autovalori appaiono nelladiagonale principale, possiamo applicare una trasformazione di Schuranche nel nostro caso in cui A e gia triangolare, per raggruppare auto-valori uguali in blocchi adiacenti. L’algoritmo di Parlett-Koc si fermapercio quando rimangono da calcolare solo matrici della forma f(L),dove gli autovalori di L sono tutti uguali; in tal caso f(L) puo esserecalcolata con la formula di Taylor (corollario 12.2) .

Proposizione 13.5. Siano B ∈ Cmm e D ∈ C

rr. Allora l’applicazione

©X

DX − XB : Crm → C

rm e biettiva se e solo se σ(B) ∩ σ(D) = ∅.

In tal caso quindi per ogni matrice E ∈ Cnm esiste un’unica soluzione

X dell’equazione di Sylvester DX − XB = E.

Dimostrazione. Horn/Johnson, pagg. 268-270.

Osservazione 13.6. L’equazione DX − BX = E puo essere consi-derata come un sistema lineare nelle mr incognite Xi

j e puo esserequindi risolta con il metodo di eliminazione di Gauss. La simmetriadell’equazione permette pero di formulare algoritmi piu efficienti, an-che se, nel caso generale, piuttosto complicati; cfr. Bartels/Stewart eda Kirrinnis.

Come vedremo adesso, gli algoritmi si semplificano notevolmentenel caso di matrici triangolari; cfr. Golub/Van Loan, pagg. 242-243.

Nota 13.7. Siano B ∈ Cmm,D ∈ C

rr, E ∈ C

rm. La matrice B sia triango-

lare inferiore. Sia σ(D)∩σ(B) = ∅. Cio significa che la matrice D−Bkk e

invertibile per ogni k = 1, . . . ,m. L’unica soluzione X dell’equazione diSylvester DX −XB = E puo essere trovata con il seguente algoritmo.

(1) Per le singole colonne DX − XB = E significa che

DXk − XBk = Ek per ogni k. Pero

XBk =

m∑

j=1

XjBjk

1=

m∑

j=k

XjBjk = Bk

kXk + Bk+1

k Xk+1 + . . . + Bmk Xm

dove in1= sfruttiamo l’ipotesi che B sia triangolare inferiore e

che quindi Bjk = 0 per j < k.

(2) Da cio otteniamo

(D − Bkkδ)Xk = Ek + Bk+1

k Xk+1 + . . . + Bmk Xm

per k < m, mentre per k = m abbiamo (D − Bmm)Xm = Em.

65

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(3) Per ipotesi le matrici D −Bkk sono tutte invertibili e quindi pos-

siamo risolvere successivamente

(D − Bmmδ)Xm = Em

(D − Bm−1m−1

δ)Xm−1 = Em−1 + Bmm−1Xm

(D − Bm−2m−2

δ)Xm−2 = Em−2 + Bm−1m−2

Xm−1 + Bmm−2Xm

. . .

ottenendo cosı tutte le colonne di X.

Esempio 13.8. Illustriamo l’algoritmo dell’osservazione 13.7 nel casodell’equazione DX − XB = E con

D =

(6 02 4

), B =

1 0 04 3 07 5 2

, E =

(4 6 81 2 5

)

Osserviamo che σ(D)∩σ(B) = ∅ perche σ(D) = 6, 4 e σ(B) = 1, 3, 2.L’equazione da risolvere ammette un’unica soluzione che otteniamodalle relazioni:

(D − Bkkδ)Xk = Ek + Bk+1

k Xk+1 + . . . + Bmk Xm

Osserviamo che X ∈ R23. Per k = 3 si ha:

(D − B33δ)X3 = E3((

6 02 4

)−

(2 00 2

))X3 =

(85

)

(4 02 2

)X3 =

(85

)

(4 02 2

)−1

=1

8

(2 0−2 4

)=

1

40

−1

4

1

2

X3 =

1

40

−1

4

1

2

(

85

)=

(21

2

)

Per k = 2 si ha:

(D − B22δ)X2 = E2 + B3

2X3((6 02 4

)−

(3 00 3

))X2 =

(62

)+ 5

(21

2

)

(3 02 1

)X2 =

(16

2 + 5

2

)

(3 02 1

)−1

=1

3

(1 0−2 3

)=

1

30

−2

31

X2 =

(1

30

−2

31

)(169

2

)=

16

3

−37

6

66

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Per k = 1 abbiamo

(D − B11δ)X1 = E1 + B2

1X2 + B31X3

(5 02 3

)X1 =

4 + 64

3+ 14

1 − 148

6+ 7

2

(5 02 3

)−1

=1

15

(3 0−2 5

)=

1

50

− 2

15

1

3

X1 =

1

50

− 2

15

1

3

118

3

−121

6

=

118

15

−1077

90

Quindi

X =

118

15

16

32

−1077

90−37

6

1

2

Osservazione 13.9. Essendo in possesso di un algoritmo per la ri-soluzione dell’equazione di Sylvester, possiamo utilizzare il metododell’osservazione 13.4 per calcolare l’esponenziale di una matrice.

Esempio 13.10. Calcoliamo etA per A =

3 0 02 5 06 1 2

.

Osserviamo che n = 3 e prendiamo m = 1. Allora B =(3),

M = etB =(e3t), D ∈ R

22 e D =

(5 01 2

).

Dunque dobbiamo determinare N = etD.

Chiamiamo A = D =

(5 01 2

)allora

B =(5), M =

(e5t), D =

(2), N =

(e2t), allora C =

(1).

Dunque F =

(e5t 0

X e2t

).

Poiche σ(D) ∩ σ(B) = ∅, X e data da:

(D − B11)X = (NC − CM)1

(2 − 5)X = e2t − e5t

X =e5t − e2t

3

Quindi abbiamo trovato N e precisamente si ha:

N = etD = F =

e5t 0e5t − e2t

3e2t

67

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Dunque dobbiamo determinare X, ricordando che A =

(B 0C D

)con

B =(3), C =

(26

), D =

(5 01 2

)e F =

(M 0X N

)con M =

(e3t),

N =

e5t 0e5t − e2t

3e2t

e X da determinare.

Calcoliamo

E = NC − CM =

e5t 0e5t − e2t

3e2t

(

26

)−

(26

)(e3t)

=

(2e5t

2

3(e5t − e2t) + 6e2t

)−

(2e3t

6e3t

)=

2(e5t − e3t)

2

3e5t +

16

3e2t − 6e3t

Per determinare X dobbiamo risolvere l’equazione DX − XB = E.Questa ammette un unica soluzione perche σ(D) ∩ σ(B) = ∅, infattiσ(D) = 5, 2 e σ(B) = 3.

La soluzione X e determinata dalle relazioni

(D − Bkkδ)Xk = Ek + Bk+1

k Xk+1 + . . . + Bmk Xm

Osserviamo che X ∈ R21. Dunque

(D − B11δ)X1 = E1

((5 01 2

)−

(3 00 3

))X1 =

(2(e5t − e3t)

2(1

3e5t + 8

3e2t − 3e3t)

)

(2 01 −1

)X1 =

(2(e5t − e3t)

2(1

3e5t + 8

3e2t − 3e3t)

)

(2 01 −1

)−1

= −1

2

(−1 0−1 2

)

X = X1 = −1

2

(−1 0−1 2

)(2(e5t − e3t)

2(1

3e5t + 8

3e2t − 3e3t)

)=

(e5t − e3t

1

3e5t + 5e3t − 16

3e2t

)

Quindi

etA =

e3t 0 0

e5t − e3t e5t 0

1

3e5t + 5e3t − 16

3e2t e5t

−e2t

3e2t

Osserviamo che gli autovalori di A sono tutti distinti, in quanto σ(A) =3, 5, 2, quindi per calcolare etA possiamo utilizzare anche la proposi-zione 9.10. Quindi

etA =

n∑

k=1

eλktLk(A)

68

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con gli Lk come nella definizione 9.6.

Dunque, se poniamo λ1 := 3, λ2 := 5, λ3 := 2, abbiamo

L1(A) =1

(−2)(−1)

−2 0 02 0 06 1 −3

1 0 02 3 06 1 0

= −

1

2

−2 0 02 0 0

−10 0 0

=

1 0 0−1 0 05 0 0

L2(A) =1

(2)(3)

0 0 02 2 06 1 −1

1 0 02 3 06 1 0

=

1

6

0 0 06 6 02 2 0

=

0 0 01 1 01

3

1

30

L3(A) =1

(−1)(−3)

−2 0 02 0 06 1 −3

0 0 02 2 06 1 −1

=

1

3

0 0 00 0 0

−16 −1 3

=

0 0 00 0 0

−16

3

−1

31

e quindi

etA = e3t

1 0 0−1 0 05 0 0

+ e5t

0 0 01 1 01

3

1

30

+ e2t

0 0 00 0 0

−16

3

−1

31

=

e3t 0 0

e5t − e3t e5t 0

1

3e5t + 5e3t − 16

3e2t e5t − e2t

3e2t

in accordo con quanto ottenuto con il primo metodo.

Esempio 13.11. Calcoliamo etA dove A =

3 0 0 02 5 0 06 1 2 04 1 3 1

.

Osserviamo che A ∈ R44 (dunque n = 4) e prendiamo m = 2, quindi

B,C,D,M,N,X ∈ R22. Dunque

A =

(B 0C D

), F =

(M 0X N

)

con

B =

(3 02 5

), C =

(6 14 1

),D =

(2 03 1

).

Poiche (B − 3δ)(B − 5δ) = 0 e (D − 2δ)(D − δ) = 0 calcoliamoM = f(B) = eBt e N = f(D) = eDt con la proposizione 8.12, quindi

M = eBt =B − 5δ

3 − 5e3t +

B − 3δ

5 − 3e5t = −

1

2

(−2 02 0

)e3t +

1

2

(0 02 2

)e5t =

(e3t 0

e5t − e3t e5t

)

N = eDt =D − δ

2 − 1e2t +

D − 2δ

1 − 2et =

(1 03 0

)e2t −

(0 03 −1

)et =

(e2t 0

3(e2t − et) et

)

69

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Dobbiamo determinare X come soluzione dell’equazione di SylvesterDX − XB = E con E = NC − CM .

X esiste ed e unica poiche σ(D) ∩ σ(B) = ∅, infatti σ(D) = 2, 1 eσ(B) = 3, 5.

Le colonne di X sono date dalle relazioni

(D − Bkkδ)Xk = Ek + Bk+1

k Xk+1 + . . . + Bmk Xm

Calcoliamo E:

E = NC − CM =

(e2t 0

3(e2t − et) et

)(6 14 1

)−

(6 14 1

)(e3t 0

e5t − e3t e5t

)

=

(6e2t e2t

18(e2t − et) + 4et 3(e2t − et) + et

)−

(6e3t + e5t − e3t e5t

4e3t + e5t − e3t e5t

)

=

(−e5t − 5e3t + 6e2t e2t − e5t

18e2t − 14et − 3e3t − e5t 3e2t − 2et − e5t

)

Ora determiniamo le colonne di X:

Per k = 2 si ha:

(D − B22δ)X2 = E2

((2 03 1

)−

(5 00 5

))X2 =

(e2t − e5t

3e2t − 2et − e5t

)

(−3 03 −4

)X2 =

(e2t − e5t

3e2t − 2et − e5t

)

(−3 03 −4

)−1

=1

12

(−4 0−3 −3

)

X2 =1

12

(−4 0−3 −3

)(e2t − e5t

3e2t − 2et − e5t

)

=1

12

(4e5t − 4e2t

−3e2t + 3e5t − 9e2t + 6et + 3e5t

)

=1

12

(4(e5t − e2t)

6(e5t − 2e2t + et)

)

Per k = 1 si ha:

(D − B11δ)X1 = E1 + B2

1X2

((2 03 1

)−

(3 00 3

))X1 =

(6e2t − e5t − 5e3t

18e2t − 14et − 3e3t − e5t

)+ 2

1

3(e5t − e2t)

1

2(e5t − 2e2t + et)

70

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(−1 03 −2

)X1 =

6e2t − e5t − 5e3t + 2

3(e5t − e2t)

18e2t − 14et − 3e3t − e5t + e5t − 2e2t + et

(−1 03 −2

)−1

=1

2

(−2 0−3 −1

)

X1 =1

2

(−2 0−3 −1

)

16

3e2t − 1

3e5t − 5e3t

16e2t − 13et − 3e3t

=1

2

−32

3e2t + 2

3e5t + 10e3t

−16e2t + e5t + 15e3t − 16e2t + 13et + 3e3t

Quindi

etA = F =

e3t 0 0 0

e5t − e3t e5t 0 0

−16

3e2t + 1

3e5t + 5e3t 1

3e5t − 1

3e2t e2t 0

−16e2t + 1

2e5t + 9e3t + 13

2et 1

2e5t − e2t + 1

2et 3e2t − 3et et

Esempio 13.12. Calcoliamo etA per A =

1 0 0 03 1 0 04 5 2 03 7 1 2

.

Osserviamo che A ∈ R44 (dunque n = 4) e prendiamo m = 2, quindi

B,C,D,M,N,X ∈ R22. Dunque

A =

(B 0C D

), F =

(M 0X N

)

con

B =

(1 03 1

), C =

(4 53 7

),D =

(2 01 2

).

Per calcolare M e N utilizziamo la proprosizione 8.5 poiche (B−δ)2 = 0e (D − 2δ)2 = 0. Abbiamo quindi

M = etB = et

((1 00 1

)+ t

(0 03 0

))=

(et 0

3tet et

)

N = etD = et

((1 00 1

)+ t

(0 01 0

))=

(et 0tet et

)

Ora dobbiamo determinare X come soluzione dell’equazione di Sylve-ster DX − XB = E con E = NC − CM .

X esiste ed e unica poiche σ(D) ∩ σ(B) = ∅, infatti σ(D) = 2 eσ(B) = 1.

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Le colonne di X sono date dalle relazioni

(D − Bkkδ)Xk = Ek + Bk+1

k Xk+1 + . . . + Bmk Xm

Calcoliamo E:

E = NC − CM =

(et 0tet et

)(4 53 7

)−

(4 53 7

)(et 0

3tet et

)

=

(4et 5et

4tet + 3et 5tet + 7et

)−

(4et + 15tet 5et

3et + 21tet 7et

)

=

(−15tet 0−17tet 5tet

)

Ora determiniamo le colonne di X:

Per k = 2 si ha:

(D − B22δ)X2 = E2

((2 01 2

)−

(1 00 1

))X2 =

(0

5tet

)

(1 01 1

)X2 =

(0

5tet

)

(1 01 1

)−1

= 1

(1 0−1 1

)

X2 =

(1 0−1 1

)(0

5tet

)=

(0

5tet

)

Per k = 1 si ha

(D − B11δ)X1 = E1 + B2

1X2

((2 01 2

)−

(1 00 1

))X1 =

(−15tet

−17tet

)+ 3

(0

5tet

)

(1 01 1

)X1 =

(−15tet

−2tet

)

X1 =

(1 0−1 1

)(−15tet

−2tet

)=

(−15tet

13tet

)

Quindi

etA = F =

et 0 0 0

3tet et 0 0

−15tet 0 et 0

13tet 5tet tet et

72

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Osservazione 13.13. Una trattazione molto dettagliata dei probleminumerici che si presentano negli algoritmi che abbiamo esposto in que-sto capitolo si trova in Davies/Higham. Cfr. anche Koc e, per versioniparallele, Bakkaloglu/Erciyes/Koc e Koc/Bakkaloglu.

73

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14. La rappresentazione di Wronski-Vandermonde

Situazione 14.1. Sia A ∈ Cnn. t ∈ R, talvolta una variabile. Denotiamo

con D l’operazione di derivazione rispetto a t.

g = (x − λ1)m1 · · · (x − λs)

ms = xm + b1xm−1 + . . . + bm ∈ C[x] sia un

polinomio con g(A) = 0, non necessariamente il polinomio minimale oil polinomio caratteristico di A. I valori λ1, . . . , λs siano tutti distinti e

naturalmente m1, . . . ,ms ≥ 1.

Osserviamo che m = grado g = m1 + . . . + ms. Infine sia r ∈ N + 1.

Nota 14.2. La relazione DetA = AetA implica g(D)etA = g(A)etA = 0.

I coefficienti di etA sono quindi zeri dell’operatore differenziale g(D).Questa osservazione sta alla base di una rappresentazione molto es-

plicita di etA tramite l’inversa di una matrice (confluente) di Vander-

monde.

Seguiamo Harris/Fillmore/Smith e Luther/Rost.

Definizione 14.3. Denotiamo con S lo spazio delle soluzioni dell’equazionedifferenziale dell’operatore g(D), per cui

S = y ∈ Cm(R, C) | g(D)y = 0

= y ∈ Cm(R, C) | y(m) + b1y(m−1) + . . . + bmy = 0

E noto che S e uno spazio vettoriale su C di dimensione m e che ogni

v = (v1, . . . , vm−1) ∈ Cm esiste un’unica soluzione y ∈ S che soddisfa le

condizioni iniziali y(0) = v0, y′(0) = v1, . . . , y

(m−1)(0) = vm−1.

Definizione 14.4. Siano y1, . . . , yr ∈ Cm(R, C). Allora per ogni t ∈ R

possiamo formare la matrice

W [y; t] := Wm[y; t] =

y1(t) . . . yr(t)y′1(t) . . . y′r(t). . . . . . . . .

y(m−1)1 (t) . . . y

(m−1)r (t)

detta matrice Wroskiana del sistema y1, . . . , yr. Nella letteratura que-sta matrice viene spesso considerata solo nel caso r = m; in tal caso la

matrice e quadrata. Si noti che m e fissato e uguale al grado di g.

Proposizione 14.5. Siano y1, . . . , ym ∈ S. Allora sono equivalenti:

(1) y1, . . . , ym e una base di S.

(2) Le funzioni y1, . . . , ym sono linearmente indipendenti su C.

(3) W [y; t] e invertibile per ogni t ∈ R.

(4) W [y; 0] e invertibile.

Dimostrazione. Corsi di analisi oppure ad esempio Amann, pag.

207, Knobloch/Kappel, pag. 28; per il caso reale Arnold, pagg. 210-212,Heuser, pagg. 249-253.

74

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Corollario 14.6. Da quanto osservato nella definizione 14.3, per ognimatrice costante M ∈ C

mr esiste un unico sistema z1, . . . , zr ∈ S tale che

W [z; 0] = M . Questo sistema e una base di S se e solo se M e quadrata e

invertibile. In particolare otteniamo una base χ1, . . . , χm di S chiedendoche W [χ; 0] = δ. Questa base si chiama la base principale di S.

Nota 14.7. Sia y1, . . . , ym una base di S e z1, . . . , zr ∈ S. Allora per ogni

j = 1, . . . , r esiste una rappresentazione della forma zj =

m∑

i=1

yiTij con

i coefficienti T ij ∈ C i quali insieme costituiscono una matrice T ∈ C

mr

che ci permette di scrivere (z1 . . . zr) = (y1 . . . ym)T .

Derivando piu volte questa equazione otteniamo

z1 . . . zr

z′1 . . . z′r. . . . . . . . .

z(m−1)1 . . . z

(m−1)r

=

y1 . . . ym

y′1 . . . y′m. . . . . . . . .

y(m)1 . . . ym

m

T

e quindi, per ogni t ∈ R,

W [z; t] = W [y; t]T

La matrice costante T si calcola da W [z; 0] = W [y; 0]T ovvero

T = W [y; 0]−1W [z; 0]

cosicche W [z; t] = W [y; t]W [y; 0]−1W [z; 0].

Se anche z1, . . . , zm e una base di S, possiamo scrivere

W [z; t]W [z; 0]−1 = W [y; t]W [y; 0]−1

Questa matrice non dipende quindi dalla base y1, . . . , ym ed e uguale a

W [χ; t], dove come nel corollario 14.6, con χ denotiamo la base princi-

pale di S.

Corollario 14.8. Siano z1, . . . , zr ∈ S. Allora

(z1 . . . zr) = (χ1 . . . χm)W [z; 0].

Proposizione 14.9. Sia y1, . . . , ym una base di S. Allora la base prin-

cipale di S possiede la rappresentazione

(χ1 . . . χm) = (y1 . . . ym)W [y; 0]−1

Dimostrazione. Per la nota 14.7 abbiamo (χ1 . . . χm) = (y1 . . . ym)Tcon T = W [y; 0]−1W [χ; 0] = W [y; 0]−1.

Lemma 14.10. Siano z1, . . . , zn i coefficienti della i-esima riga di ©t

etA.

Allora W [z; 0] e la matrice in cui, per ogni k = 1, . . . ,m, la k-esima rigae uguale alla i-esima riga di Ak−1.

Se, per distinguerli dagli esponenti delle potenze, usiamo indici su-

periori i come indici di riga, abbiamo quindi

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W [z; 0] = W [©t(etA)i; 0] =

δi

Ai

(A2)i

. . .

(Am−1)i

Dimostrazione. Per ipotesi le funzioni z1, . . . , zn formano la i-esima

riga di ©t

etA =: X. Pero DX = AX e percio DkX = AkX per

k = 0, . . . ,m − 1. Inoltre X(0) = δ, e quindi DkX(0) = Ak.

Considerando per ogni k solo la i-esima riga, otteniamo W [z; 0], e cio

mostra l’enunciato.

Esempio 14.11. Sia A =

(

6 20−1 −3

)

. Possiamo prendere

g = PA = (x − 1)(x − 2).

Per la nota 8.13

etA = −(A − 2δ)et + (A − δ)e2t =

(

5e2t − 4et 20(e2t − et)et − e2t 5et − 4e2t

)

=: X

Con le notazioni del lemma 14.10 abbiamo allora

W [X1; t] =

(

5e2t − 4et 20(e2t − et)10e2t − 4et 20(2e2t − et)

)

e quindi

W [X1; 0] =

(

1 06 20

)

=

(

δ1

A1

)

e similmente

W [X2; t] =

(

et − e2t 5et − 4e2t

et − 2e2t 5et − 8e2t

)

cosicche

W [X2; 0] =

(

0 1−1 −3

)

=

(

δ2

A2

)

in accordo con il lemma 14.10.

Teorema 14.12. etA = χ1(t)δ + χ2(t)A + χ3(t)A2 + . . . + χm(t)Am−1.

Dimostrazione. Con le notazioni del lemma 14.10, ponendo sempre

X := ©t

etA, consideriamo la i-esima riga di etA

Xi = (χ1 . . . χm)

δi

Ai

. . .

(A(m−1))i

e cio significa proprio che

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Xij = (χ1 . . . χm)

δij

Aij

. . .

(A(m−1))ij

per ogni j = 1, . . . ,m, cioe

Xij = χ1δ

ij + χ2A

ij + . . . + χm(Am−1)

ij

Siccome questa rappresentazione vale per ogni i, j, otteniamo l’enunciato.

Osservazione 14.13. Per il teorema 14.12 per calcolare etA e suffi-

ciente trovare una base y1, . . . , ym ∈ S, da cui con la proposizione 14.9

troviamo la base principale che possiamo utilizzare per rappresentareetA come combinazione lineare di δ,A,A2, . . . , Am−1.

Definizione 14.14. Per k = 1, . . . , s e j ∈ N sia ekj := ©t

tjeλkt. Possia-

mo allora formare il vettore riga e∗ := (e1, . . . , em) in cui sono elencati,

in questo ordine, le funzioni

e10, e11, . . . , e1,m1−1, . . . , es0, es1, . . . , es,ms−1

L’asterisco serve solo per evitare la confusione con il numero e. e∗ si

chiama la base esponenziale (o base esponenziale naturale) di S.

Proposizione 14.15. e∗ e una base di S.

Dimostrazione. Corsi di analisi oppure ad esempio Walter, pag. 137.

L’enunciato puo essere anche dedotto dal corollario 11.7.

Definizione 14.16. Per z ∈ C e p ∈ N definiamo la potenza decrescente

z[p] :=

z(z − 1) · · · (z − p + 1) per p ≥ 1

1 per p = 0

Si noti che z[p] = 0 per z ∈ N e z < p.

Lemma 14.17. Per k = 1, . . . , s ed l, j ∈ N vale

Dlekj(0) = l[j]λl−jk =

djλlk

dλjk

Dimostrazione. Induzione su j.

j = 0: ek0 = eλkt e Dlek0 = λlke

λkt, per cui

Dlek0(0) = λlk = l[0]λ

l−0k .

j → j + 1: ek,j+1(t) = tekj(t).

Per la regola di Leibniz abbiamo Dlek,j+1(t) = tDlekj(t)+ lDl−1ekj(t),per cui

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Dlek,j+1(0) = lDl−1ekj(0)ind.= l(l − 1)[j]λ

l−1−jk = l[j+1]λ

l−(j+1)k

Osservazione 14.18. La Wronskiana nell’origine W [e∗; 0] si ottienequindi concatenando verso destra le matrici

1 0 0 . . . 0

λk 1 0 . . . 0

λ2k 2λk 2 . . . 0

λ3k 3λ2

k 6λk . . . 0

. . . . . . . . . . . . . . .

λm−1k (m − 1)λm−2

k (m − 1)(m − 2)λm−3k . . . . . .

Per g = (x − λ)2(x − µ)4 si ha ad esempio

W [e∗; 0] =

1 0 1 0 0 0

λ 1 µ 1 0 0

λ2 2λ µ2 2µ 2 0

λ3 3λ2 µ3 3µ2 6µ 6

λ4 4λ3 µ4 4µ3 12µ2 24µ

λ5 5λ4 µ5 5µ4 20µ3 60µ2

Osservazione 14.19. Per la proposizione 14.9 abbiamo

(χ1 · · ·χm) = (e1 · · · em)W [e∗; 0]−1

La rappresentazione di Wronski-Vandermonde riconduce quindi il cal-

colo di etA al calcolo della matrice W [e∗; 0]−1. La complessita numericadei piu recenti algoritmi per il calcolo di questa inversa e discussa

molto dettagliatamente in Luther/Rost.

Esempio 14.20. Calcoliamo etA per A =

0 1 00 0 112 −16 7

mediante il

teorema 14.12. Prendiamo g := PA = (x − 2)2(x − 3).

Abbiamo allora

W [e∗; 0] =

1 0 12 1 34 4 9

e W [e∗; 0]−1 =

−3 4 −1−6 5 −14 −4 1

Per l’osservazione 14.19, con e1(t) = e2t, e2(t) = te2t, e3(t) = e3t, abbia-mo

(χ1χ2χ3) = (e1e2e3)

−3 4 −1−6 5 −14 −4 1

78

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χ1(t) = −3e2t − 6te2t + 4e3t

χ2(t) = 4e2t + 5te2t − 4e3t

χ3(t) = −e2t − te2t + e3t

Inoltre

A2 =

0 0 112 −16 784 −100 33

cosicche possiamo calcolare

etA =χ1δ + χ2A + χ3A2

=(−3e2t − 6te2t + 4e3t

1 0 00 1 00 0 1

+

+ (4e2t + 5te2t − 4e3t)

0 1 00 0 112 −16 7

+

+ (−e2t − te2t + e3t)

0 0 112 −16 784 −100 33

=

−3e2t − 6te2t + 4e3t 4e2t + 5te2t − 4e3t −e2t − te2t + e3t

−12e2t − 12te2t + 12e3t 13e2t + 10te2t − 12e3t −3e2t − 2te2t + 3e3t

−36e2t − 24te2t + 36e3t 36e2t + 20te2t − 36e3t −8e2t − 4te2t + 9e3t

in accordo con i conti in Harris/Fillmore/Smith, pagg. 699-700.

Osservazione 14.21. Nelle applicazioni ingegneristiche gli aspetti

numerici nel calcolo di etA sono spesso molto importanti; essi sono trat-

tati ad esempio in Frommer/Simoncini, Higham [S], Moler/Van Loan.

Un recente pacchetto di software per il calcolo dell’esponenziale matri-ciale (Expokit) e presentato, con una discussione dei problemi numeri-

ci in Sidje. Nella biomatematica la precisione numerica e spesso meno

prioritaria ed e quasi sempre possibile utilizzare le formule espliciteche abbiamo discusso.

79

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15. Metodi di Runge-Kutta

Definizione 15.1. Data l’equazione differenziale autonoma x = f(x)il metodo classico di Runge-Kutta del quart’ordine e dato da

xn+1 = xn + h · ϕ(xn, h)

con

v0 = f(x)

v1 = f(x + hv0/2)

v2 = f(x + hv1/2)

v3 = f(x + hv2)

ϕ(x, h) =(v0 + 2v1 + 2v2 + v3)

6

Questo schema e valido in piu dimensioni. Cfr. Heuser, pagg. 56 e 526.

Nota 15.2. Definiamo in Python un classe vettore (di dimensione arbi-traria) e un’unica funzione per la realizzazione dell’algoritmo di Runge-Kutta della definizione 15.1 .

# matematica.py

class vettore:

def_init_(A,*u):A.coeff=map(float,u);A.n=len(u)

def_add_(A,B):

return vettore(*[x+y for x,y in zip(A.coeff,B.coeff)])

def_div_(A,t):return vettore(*[x/t for x in A.coeff])

def_mul_(A,t):return vettore(*[t*x for x in A.coeff])

def_rmul_(A,t):return A*t

def stringa (A,v=2,m=2,f=None):

return ’ ’.join(map(lambda i; A.stringacoeff(i,v,m,f),xrange(A.n)))

def stringacoeff(A,i,v=2,m=2,f=None):

y=A.coeff[i]

if callable(f): y=f(y)

return ’%*.*f’ %(v+m+1,m,y)

# Passo singolo in Runge-Kutta per sistemi non autonomi.

# *u e **par sono parametri addizionali di f.

# Uso: x=Rungekutta(x,t,f,h,*u,**par)

def Rungekutta2 (x,t,f,h,*u,**par):

hd2=h/2; v0=f(x,t,*u,**par); v1=f(x+hd2*v0,t+hd2,*u,**par)

v2=f(x+hd2*v1,t+hd2,*u,**par); v3=f(x+h*v2,t+h,*u,**par)

return x+h*(v0+2*v1+2*v2+v3)/6

Esempio 15.3. Verifichiamo, in modo molto generico, la validita del

metodo di Runge-Kutta nel calcolo di etA per A =

(

33 124−8 −30

)

.

Nell’esempio 8.14 abbiamo calcolato

80

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etA =

(

32 124−8 −31

)

e2t−

(

31 124−8 −32

)

et

=

(

32e2t − 31et 124e2t − 124et

−8e2t + 8et −31e2t + 32et

)

Con x =

(

31

)

abbiamo etAx =

(

220e2t − 217et

55e2t + 56et

)

.

Per confrontare i valori calcolati direttamente tramite questa for-mula per etA e i valori forniti dal metodo di Runge-Kutta per0 ≤ t ≤ 4.75 utilizziamo la seguente funzione:

# p1503.py

import math

from matematica import *

def rk():

def f(x):

(u,v)=x.coeff; return vettore(*[33*u+124*v,-8*u-30*v])

def etA(x,t):

(u,v)=x.coeff; p=math.exp(2*t);q=math.exp(t)

return vettore(*[220*p-217*q,-55*p+56*q])

x=vettore(*[3,1]);h=0.001;Y=[]

for n in xrange(5001);Y.append(x);x=Rungekutta(x,f,h)

for k in xrange(20):

j=250*k;t=j*h;x=Y[j]

(u,v)=x.coeff;(ue,ve)=etA(x,t).coeff

print ’%.2f %14.4f%14.4f %14.4f%14.4f’ %(t,u,ue,v,ve)

L’output mostra una perfetta concordanza di valori.

t

0.00 3.0000 3.0000 1.0000 1.0000

0.25 84.0852 84.0852 -18.7742 -18.77420.50 240.2495 240.2495 -57.1771 -57.17710.75 526.5826 526.5826 -127.9409 -127.9409

1.00 1035.7252 1035.7252 -254.1743 -254.17431.25 1922.7442 1922.7442 -474.5780 -474.5780

1.50 3446.2916 3446.2916 -853.7299 -853.72991.75 6036.6507 6036.6507 -1499.0921 -1499.0921

2.00 10408.1678 10408.1678 -2589.1111 -2589.11112.25 17744.9302 17744.9302 -4419.6290 -4419.62902.50 30007.2938 30007.2938 -7480.5041 -7480.5041

2.75 50437.7740 50437.7740 -12582.0689 -12582.06893.00 84395.7731 84395.7731 -21063.7936 -21063.7936

3.25 140734.6555 140734.6555 -35138.5308 -35138.53083.50 234073.2418 234073.2418 -58460.3584 -58460.35843.75 388542.2564 388542.2564 -97061.1522 -97061.1522

4.00 643962.9586 643962.9586 -160895.1929 -160895.19294.25 1066036.2704 1066036.2704 -266386.3831 -266386.3831

4.50 1763144.7466 1763144.7466 -440628.6567 -440628.65674.75 2914058.1128 2914058.1128 -728312.2557 -728312.2557

Possiamo quindi, nelle sperimentazioni numeriche, usare il metodo diRunge-Kutta. Le formule esplicite per l’esponenziale matriciale sonoinvece importanti nella teoria, per la comprensione della struttura diun’equazione differenziale ordinaria lineare a coefficienti costanti ecome fonte di esempi didattici.

81

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III. FUNZIONI DI CRESCITA

16. La distribuzione esponenziale

Definizione 16.1. Diciamo che una variabile casuale X possiede una

distribuzione esponenziale, se la sua funzione di distribuzione e della

forma:

p(X ≤ t) =

1 − e−λt per t ≥ 0

0 per t < 0

La densita di una tale distribuzione e data da

©t

λe−λt per t ≥ 0

0 per t < 0

Situazione 16.2. Consideriamo una popolazione di cellule che cresco-

no secondo la legge n(t) = n(0)e−λt con λ > 0. Sia m(t) il numero dellecellulle che muoiono entro un tempo minore di t.

Allora n(t) + m(t) = n(0). Poniamo m(t) = 0 per n < 0, e quindim(t) = n(0)(1 − e−λt).

m/n(0) e percio una distribuzione esponenziale.

Nota 16.3. Sia v := m′. Allora

m(t) = m(0) +

t∫

0

v(s) ds

per ogni t ≥ 0. D’altra parte m(0) = 0, perche n(t)+m(t) = n(0), quindi

m(t) =

t∫

0

v(s) ds

per ogni t ≥ 0 oppure, piu in generale,

t2∫

t1

v(s) ds = m(t2) − m(t1)

per ogni 0 ≤ t1 ≤ t2. L’integrale a sinistra e percio uguale al numero

delle cellule che muoiono nell’intervallo di tempo (t1, t2]. Grazie alla

continuita di m, possiamo anche usare l’intervallo chiuso [t1, t2].

Possiamo, dunque, considerare 1n(0)

t2

t1v(s) ds come la probabilita

che una cellula muoia nell’intervallo [t1, t2], cioe che la durata di vi-

ta di una cellula appartenga all’intervallo [t1, t2].

Cio implica che la media µ della distribuzione esponenziale puo es-

sere interpretata come la durata di vita media delle cellule della no-

stra popolazione.

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Osservazione 16.4. La media

µ =

∞∫

0

te−λt dt =1

λ

puo essere calcolata con l’integrazione per parti oppure, in modo piuelegante, riconducendoci alla funzione gamma; in questo modo possia-

mo, piu in generale, calcolare prima i momenti

MXk =

∞∫

0

tkλe−λt dt

di una variabile casuale con distribuzione esponenziale e poi calcolareµ = MXk. Infatti, se si opera una sostituzione ponendo λt = s e si

ricorda che Γ(z) =∫

0 e−ttz−1 dt e che Γ(n + 1) = n!, si ottiene

MXk =

∞∫

0

e−λttkλdt =

∞∫

0

λ( s

λ

)k e−s

λds

=1

λk

∞∫

0

ske−s ds =Γ(k + 1)

λk=

k!

λk

e quindi, in particolare, µ = MX =1

λ.

Possiamo anche trovare la varianza:

σ2 = MX2 − (MX)2 =2

λ2−

1

λ2=

1

λ2

Nota 16.5. La distribuzione esponenziale viene usata spesso per mo-

dellare il decadimento radioattivo, la caduta di meteoriti, gli incidentiaerei, gli intervalli nell’arrivo di clienti a uno sportello, la lunghez-

za di conversazioni telefoniche, la durata di vita di meccanismi la cui

media di servizio non dipende dall’usura. Infatti la distribuzione espo-

nenziale possiede una proprieta caratteristica, che non e posseduta danessun’altra distribuzione probabilita : ossia non ha memoria. Questo

fenomeno e spiegato ad esempio in Dall’Aglio, pagg. 83-84.

Osservazione 16.6. Il tempo di dimezzamento log 2λ

puo essere consi-

derato come la mediana della distribuzione esponenziale.

Osservazione 16.7. La mancanza di memoria, quando riferita alladurata di vita, puo essere considerata naturale quando la morte di un

individuo dipende da fattori esterni. Assumiamo, ad esempio, che una

persona passeggi in una strada da alcune ore e che ora sopraggiunga

un amico. La probabilita che nei prossimi 10 minuti un vaso cada daun balcone e colpisca la prima persona e uguale alla probabilita che

colpisca l’amico appena arrivato.

Nello stesso modo possiamo assumere che la morte di una cellulla

sia causata da segnali presenti nel tessuto che possono raggiungere la

cellula indipendentemente dalla sua eta.

83

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17. Dinamica della leucemia mieloide cronica

Nota 17.1. Nonostante il successo dell’inibitore della tirosina chinasi

ABL imatinib nella leucemia mieloide cronica (LMC), resta da capirese l’imatinib puo sterminare le cellule staminali leucemiche e come

avviene la ricaduta dovuta alla resistenza all’imatinib, causata da una

mutazione nel dominio dell’ABL chinasi.

In un approccio matematico, Michor e colleghi hanno trovato un

modello compartimentale a quattro compartimenti, basato sulla co-

noscenza biologica della differenzazione emopoietica, che permette dispiegare la risposta alla cura con imatinib in 169 pazienti. Presenti-

amo in questo capitolo le idee salienti di questo modello.

La LMC rappresenta il primo esempio di cancro umano nel qualeuna terapia fondata su bersagli molecolari ha trovato un successo cli-

nico concreto e spesso drammatico. In molti pazienti pero l’imatinib,

nonostante porti al declino delle cellule leucemiche, non riesce ad eli-minare completamente la malattia. Gli studi sul midollo osseo hanno

mostrato che le cellule residue fanno parte del compartimento delle

cellule leucemiche staminali, e ci si chiede se l’imatinib sia in grado

di danneggiare la proliferazione delle cellule staminali leucemiche. Siosserva inoltre che in molti pazienti si sviluppa una resistenza, dovuta

probabilmente a mutazioni nel dominio del chinasi ABL, responsabile

circa del 80% dei casi in cui il trattamento fallisce. Certe volte, sembrainvece che la resistenza sia presente gia prima della terapia.

Gli autori citati costruiscono un modello matematico che descrive i

quattro livelli gerarchici della differenziazione nel sistema emopoie-tico: le cellule staminali danno luogo ai progenitori, da cui derivano

cellule differenziate, le quali si trasformano a loro volta in cellule diffe-

renziate terminali. Questa gerarchia e valida sia per le cellule normaliche per quelle leucemiche. Tra tutte, solo le cellule staminali leucemi-

che hanno una capacita infinita di autorinnovarsi.

L’oncogene BCR-ABL e presente in tutte le cellule leucemiche; siosserva un’espansione lenta delle cellule staminali leucemiche e

un’accelerazione della rata in cui esse producono progenitori e cellule

differenziate.

Osservazione 17.2. Una legge di crescita esponenziale si traduce in

un grafico lineare, se l’ordinata e rappresentata in scala logaritmica.

Consideriamo infatti di nuovo una popolazione descritta dalla legge

n(t) = n(0)e−λt con λ > 0.

84

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-

6

log10

n(t)

t

Come nella figura usiamo il logaritmo in base 10 di n(t). Ponendo

y(t) = log(n(t)) abbiamo

y(t) = log10 n(0) − λt log10 e = y(0) − λt log10 e

Il grafico e quindi una retta con pendenza −λ log10 e =−λ

log 10

Dati due valori y(t1) e y(t2) con t1 6= t2 possiamo calcolare λ da

λ =y(t1) − y(t2)

t2 − t1log 10 ≃ 2.3

y(t1) − y(t2)

t2 − t1

Nota 17.3. Nella figura a pag. 1267 in Michor/Hughes/. . . /Nowak sono

rappresentati i livelli di trascritti BCR-ABL (rilevati con PCR quan-titativa in tempo reale) nel sangue di 5 pazienti a, b, c, d, e. I valori su

scala logaritmica evidenziano due segmenti di retta che corrispondono

alla seguente tabella che otteniamo tramite misurazione diretta sulla

figura:

y(0) t1 y(t1) t2 y(t2)

a 1.8 90 −0.3 355 −0.8b 2.3 180 0.1 360 −0.5c 2.2 85 0 355 −0.65d 2.5 90 0.9 360 0.1e 2.4 180 −0.3 360 −0.7

Con il metodo dell’osservazione 17.2 otteniamo il parametro λ = λ1

dal primo tratto lineare nel grafico del paziente a, con λ1 = 2.190·2.3 ≃ 0.054,

il parametro λ2 del secondo tratto con λ2 = 0.5265

· 2.3 ≃ 0.004. Possiamo

in questo modo calcolare λ1 e λ2 per tutti e cinque i parametri:

λ1 λ2 (log 2)/λ1 (log 2)/λ2 1/λ1 1/λ2

a 0.054 0.004 13 173 19 250b 0.028 0.0077 25 90 36 130c 0.06 0.0055 12 126 17 182d 0.04 0.0068 17 102 25 147e 0.035 0.005 20 139 29 200

85

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in buon accordo con i valori indicati nel lavoro.

n(t) in questo caso puo essere considerato una buona stima per il

numero delle cellule leucemiche terminali durante un trattamento conimatinib.

Nella terza e nella quarta colonna della seconda tabella sono indica-

ti i tempi di dimezzamentolog2

λdel tratto relativo al segmento lineare

corrispondente a λ.

Come si vede si ha nel primo tratto una rapida diminuzione del-

le cellule leucemiche terminali, mentre nel secondo tratto il tempo

di dimezzamento si alza di molto e si ha quindi una forte riduzione

dell’effetto della terapia. Alla stessa osservazione portano i valori me-di 1/λ calcolati nelle ultime due colonne.

Nell’interpretazione di Michor e colleghi e di Abbott/Michor, tenendoconto del fatto che le cellule leucemiche terminali hanno una durata di

vita di solo un giorno, il primo segmento e determinato dalla vita me-

dia (sotto terapia con imatinib) delle cellule leucemiche differenziate,

e il secondo della vita media dei progenitori leucemici.

Le cellule leucemiche differenziate hanno una vita media di

1/0.05 = 20 giorni. Al raggiungimento della stabilita, il numero dellecellule differenziate leucemiche e il numero dei progenitori decrescono

alla stessa velocita .

I progenitori invece hanno una vita media di1

0.008= 125 giorni.

Nota 17.4. Quando la terapia con imatinib viene interrotta si osservaun rapido ripristino della proliferazione tumorale che ritorna ai livelli

prima della terapia; cio dimostra che l’imatinib non distrugge le cellule

staminali leucemiche.

Cio e evidenziato dal seguente modello che si trova in Abbott/Michor

e Michor/Hughes/. . . /Nowak.

Consideriamo il sistema

y0 = 0.005y0

y1 = αy0 − 0.008y1

y2 = βy1 − 0.05y2

y3 = 100y2 − y3

in cui y0 corrisponde al numero delle cellule leucemiche staminali,y1 alle cellule leucemiche progenitrici, y2 alle cellule leucemiche diffe-

renziate e y3 alle cellule leucemiche terminali.

I parametri α e β cambiano a seconda che venga effettuata una te-rapia (con imatinib) o no. In presenza di terapia α = 0.016, β = 0.013,

mentra in assenza di terapia si ha α = 1.6, β = 10. Usiamo i valori

inziali y0(0) = 105.4, y1(0) = 107.7, y2(0) = 1010, y3(0) = 1012.

Con una tecnica simile a quella usata nell’esempio 15.3 otteniamo

prima i valori dei logaritmi in base 10 di y0(t), y1(t), y2(t), y3(t) per

0 ≤ t ≤ 5000 in presenza di terapia:

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t y0 y1 y2 y3

0 5.400 7.700 10.000 12.000

20 5.443 7.631 9.567 11.589

40 5.487 7.563 9.134 11.156

60 5.530 7.495 8.705 10.727

80 5.574 7.427 8.281 10.303

100 5.617 7.360 7.871 9.892

120 5.661 7.293 7.488 9.507

140 5.704 7.227 7.155 9.170

160 5.747 7.162 6.892 8.904

180 5.791 7.099 6.705 8.712

200 5.834 7.037 6.576 8.581

220 5.878 6.978 6.483 8.487

240 5.921 6.921 6.409 8.412

260 5.965 6.867 6.346 8.349

280 6.008 6.817 6.289 8.292

300 6.051 6.771 6.238 8.240

320 6.095 6.731 6.192 8.194

340 6.138 6.697 6.151 8.153

360 6.182 6.669 6.116 8.118

380 6.225 6.648 6.089 8.090

400 6.269 6.635 6.068 8.068

420 6.312 6.629 6.054 8.054

440 6.355 6.630 6.048 8.048

460 6.399 6.637 6.048 8.048

480 6.442 6.651 6.056 8.055

Interrompiamo adesso la terapia dopo 400 giorni. Vediamo allora un

rapido ripristino del numero delle cellule leucemiche:

t y0 y1 y2 y3

0 5.400 7.700 10.000 12.000

20 5.443 7.631 9.567 11.589

40 5.487 7.563 9.134 11.156

60 5.530 7.495 8.705 10.727

80 5.574 7.427 8.281 10.303

100 5.617 7.360 7.871 9.892

120 5.661 7.293 7.488 9.507

140 5.704 7.227 7.155 9.170

160 5.747 7.162 6.892 8.904

180 5.791 7.099 6.705 8.712

200 5.834 7.037 6.576 8.581

220 5.878 6.978 6.483 8.487

240 5.921 6.921 6.409 8.412

260 5.965 6.867 6.346 8.349

280 6.008 6.817 6.289 8.292

300 6.051 6.771 6.238 8.240

320 6.095 6.731 6.192 8.194

340 6.138 6.697 6.151 8.153

360 6.182 6.669 6.116 8.118

380 6.225 6.648 6.089 8.090

400 6.269 6.635 6.068 8.068

420 6.312 7.789 9.680 11.645

440 6.355 8.065 10.133 12.117

460 6.399 8.230 10.374 12.364

480 6.442 8.348 10.532 12.525

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18. Funzioni di crescita

Nota 18.1. Consideriamo un’equazione differenziale in una dimensio-ne della forma

x =

m∑

k=1

λkFk(ak1x+ bk1, . . . , akmkx+ bkmk

)

Se effettuiamo trasformazioni affini della variabile indipendente t odella variabile dipendente x, otteniamo ancora un’equazione differen-ziale della stessa forma. Piu precisamente:

(1) Siano ε, θ ∈ R con ε 6= 0. Ponendo z(t) := x(εt + θ) abbiamo

z(t) = εx(εt+ θ)

=

m∑

k=1

ελkFk(ak1x(εt + θ) + bk1, . . . , akmx(εt + θ) + bkmk)

=m∑

k=1

ελkFk(ak1z(t) + bk1, . . . , akmz(t) + bkmk)

(2) Siano α, β ∈ R con α 6= 0. Ponendo z := αx+ β abbiamo

z = αx

=

m∑

k=1

αλkFk(ak1z − β

α+ bk1, . . . , akm

z − β

α+ bkmk

)

=

m∑

k=1

λkFk(ak1z + bk1, . . . , akmz + bkmk)

con

λk = αλk

akj = akj/α

bkj = bkj − akj/α

Esempio 18.2. Consideriamo un’equazione differenziale della forma

x = λf(ax+ b) + µg(cx+ d)

Con z = αx+ β con α, β ∈ R ed α 6= 0 abbiamo

z = αx = αλf(az − β

α+ b)+αµg(c

z − β

α+ d) = αf(az+ b)+ µg(cz+ d)

con

λ = αλ

a = a/α

b = b− aβ/α

µ = αµ

c = c/α

d = d− cβ/α

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Definizione 18.3. Generalizzando la situazione della nota 18.1 consi-deriamo una famiglia di equazioni differenziali della forma

x = G(x, a1, . . . , as)

Per α, β, ε, θ ∈ R con α, ε 6= 0 poniamo z(t) := αx(εt + θ) + β. Allora

z(t) = αεx(εt+θ) = αεG(x(εt+θ), a1, . . . , as) = αεG

(

z(t) − β

α, a1, . . . , as

)

Diciamo percio che la famiglia e invariante rispetto a trasformazioni

affini se esistono applicazioni ϕ1, . . . , ϕs tali che (nell’insieme sempresottointeso dei parametri che vogliamo considerare) per ogni α, β, ε ∈R con α, ε 6= 0 ed ogni z ∈ R si abbia

αεG(

z−βα , a1, . . . , as

)

= G(z, ϕ1(a1, . . . , as, α, β, ε), . . . , ϕs(a1, . . . , as, α, β, ε))

Si vede che il parametro θ non appare nella formula di trasformazione;possiamo percio supporre θ = 0.

Esempio 18.4. Come nell’esempio 18.2 sia

G(x, λ, a, b, µ, c, d) = λf(ax+ b) + µg(cx+ d)

Allora

αεG

(

z − β

α, λ, a, b, µ, c, d

)

= αελf

(

az − β

α+ b

)

+ αεµg

(

cz − β

α+ d

)

= G(z, αελ, a/α, b − aβ/α, αεµ, c/α, d − cβ/α)

Proposizione 18.5. Siano a, b, k, x0 ∈ R con a, b > 0 e 0 < x0−k < ea/b.Allora la soluzione dell’equazione di Gompertz

x = (x− k) · [a− b log(x− k)]

e data da

x(t) = k + ea/b+[log(x0−k)−a/b]e−bt

La soluzione per x(0) = x0 ammette come asintoto inferiore la retta

x = k, come asintoto superiore la retta x = k + ea/b e possiede un flessoin t = 1

b log(ab − log(x0 − k)). Il valore di x nel punto di flesso e uguale a

k + ea/b−1.

Dimostrazione. Baiocato, pagg. 14-23.

Osservazione 18.6. Consideriamo piu in generale la famiglia di equa-zioni

x = (x− k1) · [a− b log(x− k2)]

con a, b, k1, k2 ∈ R. Si tratta di un caso speciale della nota 18.1, quindila famiglia deve essere invariante rispetto a trasformazioni affini. Cal-coliamo piu esplicitamente la formula di trasformazioni (per α > 0):

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Con G(x, a, b, k1, k2) = (x− k1) · [a− b log(x− k2)] abbiamo

αεG(z − β

α, a, b, k1, k2) = αε ·

(

z − β

α− k1

)

·[

a− b log

(

z − β

α− k2

)]

= αε ·(

z − β

α− k1

)

·[

a− b log1

α− b log(z − β − αk2)

]

= (z − β − k1α) · ε · [a+ b logα− b log(z − β − αk2)]

= G(z, εa + εb log α, εb, αk1 + β, αk2 + β)

Osservazione 18.7. Per l’equazione di Gompertz dalla proposizione18.5 con

G(x, a, b, k) = (x− k) · [a− b log(x− k)]

abbiamo in particolare

αεG(z − β

α, a, b, k) = G(z, εa + εb log α, εb, αk + β)

Questa formula di trasformazione (per α > 0) puo essere anche utiliz-zata per ricavare la soluzione dell’equazione indicata senza dimostra-zione nella proposizione 18.5.

Supponendo b 6= 0, possiamo infatti determinare α, β, ε in modo taleche

εa+ εb log α = 0

εb = 1

αk + β = 0

ponendo

ε = 1/b, α = e−a/b, β = −kα

cosicche l’equazione si riduce a z = −z log z.

Il parametro θ non interviene direttamente e puo essere posto ugua-le a 0.

L’equazione z = −z log z puo essere risolta con separazione dellevariabili:

dz

z log z= −dt

e quindi

log log z(t) = −t+ c

da cui log z(t) = e−t+c e z(t) = ee−t+c

.

Tornando indietro troviamo facilmente la soluzione.

Nota 18.8. Esaminiamo il comportamento rispetto a trasformazioniaffini dell’equazione logistica

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x = a(x− k) − b(x− k)2

o, piu in generale, dell’equazione

x = a(x− k1) − b(x− k2)2

Con G(x, a, b, k1, k2) = a(x− k1) − b(x− k2)2 abbiamo

αεG

(

z − β

α, a, b, k1, k2

)

= αεa

(

z − β

α− k1

)

− αεb

(

z − β

α− k2

)2

= εa(z − β − αk1) − εb

α(z − β − αk2)

2

= G(z, εa, εb/α, αk1 + β, αk2 + β)

Nel caso dell’equazione logistica possiamo porre

G(x, a, b, k) = a(x− k) − b(x− k)2

con la legge di trasformazione

αεG

(

z − β

α, a, b, k

)

= G(z, εa, εb/α, αk + β).

Si vede che l’equazione logistica non e invariante rispetto a trasforma-zioni affini se chiediamo k = 0. Cio significa che nell’adattamento deiparametri di una curva logistica a una serie di dati bisogna variarenon solo a e b, ma anche k.

Per una discussione dell’equazione logistica si veda ad esempio Ca-pelo, pagg. 39-58.

Nota 18.9. L’equazione di Gompertz viene spesso utilizzata per mo-dellare la crescita di tumori solidi (cfr. Wheldon, pagg. 66-78, De Vi-ta/Hellman/Rosenberg, pag. 338).

Tipicamente nella crescita di un tumore si osserva una relazionenon lineare tra t e log x(t). Questo implica uno schema di crescita de-celerato nel quale il tempo di raddoppio si allunga mentre il tumoreaumenta in grandezza.

Questo schema e consistente con la conoscenza biologica della cresci-ta del tumore: infatti, i tumori piu voluminosi contengono meno cellulecapaci di dividersi rispetto ai tumori piu piccoli.

L’equazione di Gompertz puo essere interpretata in diversi modi:uno e di immaginarla come la crescita di una popolazione con accres-cimento esponenziale, la cui rata di crescita diminuisce pero esponen-zialmente con il tempo.

In verita la rata specifica di crescita non dovrebbe essere una fun-zione del tempo ma dovrebbe dipendere da altre variabili biologiche esolo indirettamente dal tempo.

Cio porta a modelli pero molto piu difficili.

Il limite asintotico N∞ deve essere pensato come un’astrazione ma-tematica piu che un’entita fisica significativa, quindi ogni valore di

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N∞ potrebbe sembrare possibile. Nella pratica pero si ottengono va-lori molti vicini per una specie data. Questa osservazione semplificaconsiderevolmente la modellizzazione dei tumori tramite la curva diGompertz. Piu dettagli si trovano nel libro di Wheldon.

Quasi tutti i dati che i ricercatori hanno a disposizione si riferisconoalla fase osservabile di crescita e nonostante sia conveniente riferirei parametri di Gompertz a una singola cellula, da cui il tumore traeorigine, questo non significa che il modello fornisca una descrizionedella crescita del tumore nelle regioni dove i dati non sono accessibi-li. Potrebbe addirittura essere che la curva di Gompertz non forniscaun’accurata rappresentazione all’inizio del tumore.

Considerazioni biologiche suggeriscono anche che una fase di rallen-tamento dovrebbe servire solo per tumori piu voluminosi e cio e con-fermato da testimonianze sperimentali provenienti dallo studio dellarelazione tra numero di cellule tumorali trapiantate in una cavia e iltempo del tumore per diventare visibili (periodo latente).

La conseguenza di questi risultati e la crescita del tumore da piudi una cellula deve essere considerata in due fasi: una prima fase dicrescita esponenziale durante il periodo di incubazione e una secondafase di Gompertz durante la fase osservabile.

In un altro approccio, soprattutto nello studio del tasso di accresci-mento del cancro al seno, si e cercato di introdurre una componentestocastica nel modello di Gompertz. Non e facile pero utilizzare questimodelli complicati nella pratica clinica.

Nota 18.10. Come gia osservato, il modello di Gompertz e noto in par-ticolare nella descrizione della crescita di tumori al seno. In questocaso da un lato il modello si adatta spesso molto bene, d’altra partepero in questi tumori si osservano frequentemente periodi piuttostolunghi in cui la crescita sembra ferma e questo comportamento nonpuo essere imitato dall’equazione di Gompertz.

Critiche piuttosto consistenti del modello di Gompertz si trovano inalcuni lavori di Retsky (Retsky [L], Retsky [G]).

Viene cosı imputato al modello di Gompertz l’ambizione di voler es-sere una legge generale, confortata pero da relativamente pochi es-empi. Inoltre, la crescita dei tumoti e eterogenea, quindi si dovrebbepoter disporre di una famiglia di funzioni con parametri flessibili.

Non raramente si osserva inoltre uno stato temporaneo di quiete,possibilita non contemplata dal modello di Gompertz.

Il modello e stato invece proposto e difeso da Larry Norton (cfr. Nor-ton, Schmidt).

In un lavoro piu recente, Norton ha cercato di giustificare il modellodi Gompertz, basandosi su concetti della geometria frattale, che secon-do questo autore governa le irregolarita dei tessuti tumorali.

Per la descrizione dei tessuti tumorali bisogna utilizzare equazioniin piu dimensioni oppure, ad esempio per tenere conto dell’angiogenesitumorale, equazioni differenziali parziali.

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Si cfr. la breve discussione in Wodarz/Komarova, pagg. 182-184.

Nota 18.11. Un’interessante famiglia di equazioni non autonome che

contengono termini della forma1

1 + t2viene proposta in Tabatabai/

Williams/Bursac. Elenchiamo brevemente alcuni di questi modelli.

Modello A:

x =1

Mx(M − x)

(

Mβ +θ√

1 + t2

)

con β un parametro che rappresenta la rata di crescita, θ un parametroe M costante che rappresenta la capacita massima di popolazione.

La soluzione e

x(t) =M

1 + αe(−Mβt−θ arsinh t)con α =

M − x0

x0e(Mβt0+θ arsinh t0)

Modello B:

x = αβγx2tγ−1 tanh

[

M − x

αx

]

con β, γ parametri e γ > 0. La soluzione e

x(t) =M

1 + α arsinh(e−Mβtγ )con α =

M − x0

x0 arsinh(e−Mβtγ0 )

Modello C:

x = (M − x)

(

βγtγ−1 +θ√

1 + θ2t2

)

con β, γ, θ parametri. La soluzione e

x(t) = M − αe−βtγ−arsinh(θt) con α = (M − x0)e

βt0γ+arsinh(θt0)

A e B hanno un parametro in piu del modello logistico e di Gompertz,ma il primo e piu flessibile; mentre C ha la stessa flessibilita di A mapresenta un parametro in piu.

Osservazione 18.12. Una buona discussione delle difficolta che sipresentano nella modellizzazione della crescita tumorale si trova nellavoro di Bajzer/Marusic/Vuk, in cui gli autori osservano tra l’altro chespesso i modelli basati su considerazioni teoriche biologiche corrispon-dono poco ai dati sperimentali.

Osservazione 18.13. Una delle ragioni per la popolarita del modellodi Gompertz (e forse la ragione perche, nonostante le critiche, spessocorrisponde bene alla realta) e che, se alla rata di crescita x/(x − k)sottraiamo una costante c, ad esempio relativa all’effetto di una te-rapia, l’equazione differenziale che si ottiene e sempre un’equazione

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di Gompertz. Infatti invece di x = (x − k)[a − b log(x − k)] abbiamosemplicemente x = (x− k)[a− c− b log(x− k)].

Questa osservazione, naturalmente ovvia, puo essere utilizzata percalibrare una chemioterapia tramite un modello di Gompertz; cfr. Whel-don, pagg. 166-167.

Nota 18.14. Un’altra sorprendente proprieta dell’equazione di Gom-pertz (che in realta pero, come vedremo, vale in un contesto molto piugenerale) e che mediante sottrazione di un termine c− dt dalla rata dicrescita si ottiene una soluzione esponenziale. Questa proprieta e notacome legge di Norton e Simon.

Assumiamo che senza terapia il tumore sia descritto dall’equazionedi Gompertz

x = (x− k) · [a− b log(x− k)]

Per ogni p,w ∈ R possiamo allora trovare costanti c, d in modo tale chex(t) = k + pe−wt sia una soluzione dell’equazione modificata

x = (x− k) · [a− b log(x− k) − c− dt]

Naturalmente allora x(0) = k + p.

Abbiamo infatti

x = −wpe−wt = −w(x− k)

log(x− k) = log p− wt

Deve quindi valere

(x− k)[a− b log p+ bwt− c− dt] = −w(x− k)

da cui

c = a− b log p+ w

d = bw

Si noti che per p = 1 si ha c = a+ w e d = bw.

Esempio 18.15. La crescita senza terapia sia descritta dall’equazione

x = (x− 1) · [1 − 0.2 log(x− 1)]

Dalla nota 18.14, vogliamo determinare c e d in modo tale chex = 1 + e−t/2 sia soluzione dell’equazione modificata

x = (x− 1) · [1 − 0.2 log(x− 1) − c− dt]

Osservando che allora p = 1, w = 0.5, dobbiamo porre

c = a− b log p+ w = 1 − 0.2 + 0.5 = 1.3 e d = 0.2 · 0.5 = 1.

Come si verifica facilmente le funzioni x(t) = 1 + e−t/2 soddisfa ef-fettivamente l’equazione

94

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x = (x− 1) · [1 − 0.2 log(x− 1) − 1.3 − 0.1t], cioe

x = (x− 1) · [−0.3 − 0.2 log(x− 1) − 0.1t]

Osservazione 18.16. E immediato che nella nota 18.14 la formadell’equazione modificata e invariante rispetto a trasformazioni affi-ni.

Ponendo G(x, t, a, b, k, c, d) = (x− k)[a− b log(x− k) − c− dt] ez(t) = αx(εt + θ) + β, s = εt+ θ con α > 0 ed ε 6= 0, abbiamo infatti

z(t) = αx(s)ε = αε

(

z − β

α− k

)[

a− b log

(

z − β

α− k

)

− c− ds

]

= (z − β − kα)[εa − εb log α− b log(z − β − kα) − εc− εd(εt + θ)]

= G(z(t), t, εa + εb log α, εb, αk + β, εc + εdθ, ε2d)

In verita per la differenza a− c si potrebbe usare un unico parametro.

Nota 18.17. L’idea della nota 18.14 puo essere generalizzata nel modoseguente.

Siano I un intervallo aperto di R, ψ : I → R un’applicazione edx una soluzione dell’equazione differenziale x = ψ(t) · [x(t) − k] peruna costante k. Sia r un’altra funzione definita sull’insieme dei valoridi x e ϕ(t) := r(x(t) − k) − ψ(t) per ogni t ∈ I. Allora x e soluzionedell’equazione differenziale

x = (x(t) − k) · [r(x(t) − k) − ϕ(t)]

che in forma abbreviata puo essere scritta come

x = (x− k) · [r(x− k) − ϕ(t)]

Chiamiamo ϕ(t) la funzione di terapia del contesto considerato.

Matematicamente cio e del tutto ovvio (si tratta semplicemente diuna decomposizione a = a − b + b), ma nella pratica questa osserva-zione permette di descrivere un compito di modellizzazione di crescitatumorale e terapia in due fasi:

(1) In un primo momento troviamo un’equazione differenzialez = z · r(z) che descrive la crescita senza terapia.

(2) Poi cerchiamo una funzione ragionevole x = x(t) che dovrebbedescrivere la crescita del tumore sotto terapia, cercando x inmodo che soddisfi un’equazione x(t) = ψ(t)x(t).

(3) ϕ(t) = r(x(t)) − ψ(t) descrive allora l’effetto che la terapia deverealizzare.

Osservazione 18.18. Risolviamo il problema dell’esempio 18.15 conla tecnica della nota 18.17.

La crescita senza terapia e descritta dall’equazionez = z · (1 − 0.2 log z) e vogliamo ottenere x(t) = pe−wt come crescitasotto terapia. Abbiamo

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x(t) = −pwe−wt = −wx, quindi ψ(t) = −w, percio

ϕ(t) = 1 − 0.2 log(x(t)) +w = 1 + w − 0.2(wt − log p).

Esempio 18.19. La crescita senza terapia sia descritta dall’equazionez = z · (1 − 0.2 log z).

(1) x(t) = te−wt sia la crescita sotto terapia che vogliamo ottenere.Abbiamo

x(t) = e−wt − wte−wt =

(

1

t− w

)

x

cosicche possiamo applicare la nota 18.17 con

ψ(t) =1

t− w

Poniamo percio

ϕ(t) = 1 − 0.2 log(x(t)) − 1

t+ w =

t− 1

t+ w + 0.2(wt − log t).

(2) Se invece x(t) = (1 + t)e−wt e la crescita sotto terapia che vog-liamo ottenere, abbiamo

x(t) = e−wt−w(1+ t)e−wt =

(

1

1 + t− w

)

x, cosicche possiamo

applicare la nota 18.17 con

ψ(t) =1

1 + t− w

Poniamo percio

ϕ(t) = 1−0.2 log(x(t))− 1

1 + t+w =

t

1 + t+w+0.2(wt−log(1+t)).

Esempio 18.20. La crescita senza terapia sia descritta dall’equazionez = z · (1 − tanh z).

Assumiamo che vogliamo ottenere che sotto terapia la crescita siax(t) = e−wt. Abbiamo

r(z) = 1 − tanh z e x(t) = −we−wt = −wx(t),

cosicche con ψ(t) = −w poniamo ϕ(t) = 1 − tanh e−wt +w.

Osservazione 18.21. La chemioterapia antitumorale e spesso moltogravosa per il paziente. Cio implica tra l’altro che il corpo necessita,in alcuni regimi, di periodi di riposo tra un trattamento e l’altro. Que-ste pause favoriscono anche le cellule tumorali e quindi il medico puochiedersi se non sia possibile sostituire la terapia intensiva con lungheinterruzioni con una terapia continua meno impegnativa.

Riportiamo da Norton [T], pagg. 371 e 374:

”Questo modello concettuale suggerı che si potrebbe avere una chemiote-

rapia piu efficiente aumentando la dose, ad esempio somministrando il

trattamento piu spesso . . . . L’idea e che minimizzando la ricrescita del

cancro nei periodi senza trattamento, si potrebbe riuscire ad aumentare

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la distribuzione di cellule tumorali realizzando cosı un benefico terapeuti-

co maggiore. Cio e stato dimostrato in modelli sperimentali e, da Gianni

Bonadonna e coll., anche per tumori umani al seno.

Lo studio del modello di Gompertz ha cosı portato a una migliore chemio-

terapia.”

Osservazione 18.22. Lo stesso procedimento della nota 18.17 si puousare anche nel caso di un’equazione non autonoma z = z ·r(z, t). Datauna soluzione x di x = ψ(t)x e sufficiente porre ϕ(t) := r(x(t), t) − ψ(t)affinche x diventi soluzione anche di x = z · [r(z, t) − ϕ(t)].

Equazioni della forma x = x · f(x, t) sono talvolta dette equazioni diKolmogorov. Quando non sono autonome, esse descrivono la crescitadi una popolzione in un ambiente che varia nel tempo; cfr. Redhef-fer/Vance.

Osservazione 18.23. Un’esposizione molto utile delle piu importantifunzioni di crescita e dei loro grafici si trova nell’articolo di Tsoularis,da cui riprendiamo alcuni dei prossimi esempi.

Nota 18.24. L’equazione di Turner:

x = x · axβ(1−γ) ·(

1 −(x

v

)β)γ

per a, β, γ, v > 0 e γ < 1 + 1β . Essa per β = γ = 1 si riconduce

all’equazione logistica x = x · a(

1 − x

v

)

.

Esempio 18.25. Blumberg ha proposto l’equazione di crescita

x = x · axα(

1 − x

v

per a, α, v, γ > 0. Questa equazione si riduce all’equazione logistica perα = 0, γ = 1.

L’equazione di Blumberg ammette una soluzione esplicita solo peralcuni valori dei parametri.

Esempio 18.26. Anche l’equazione di Richards e molto simile all’equazionelogistica:

x = x · a(

1 −(x

v

)β)

Essa ammette soluzione esplicita

x(t) =v

(

1 − e−βat(

1 − x(0)

v

)

−β)1/β

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Esempio 18.27. L’equazione generalizzata di Gompertz ha la forma

x = x · a(

log xv

per γ, v > 0.

Osservazione 18.28. Come nella nota 18.17 siano I un intervalloaperto di R e ψ : I → R un’applicazione. ψ sia continua. Allora lesoluzioni dell’equazione differenziale x = ψ(t)x(t) sono esattamente lefunzioni delle forma

x = ©tae

tR

t0

ψ(s) ds

con a ∈ R e t0 ∈ I; la funzione indicata e l’unica soluzione se si pone lacondizione iniziale x(t0) = a.

Cio e ben noto e si dimostra facilmente con la tecnica di separazionedelle variabili; cfr. Heuser, pag. 60.

Nota 18.29. Se nell’osservazione 18.28 poniamo

g(t) :=t∫

t0

ψ(s) ds, abbiamo g(t) = ψ(t) e x(t) = aeg(t).

Se viceversa x e una funzione che vogliamo utilizzare come funzionedi crescita, possiamo assumere che x(t) > 0 per ogni t ∈ I e quindipossiamo porre x(t) = elog x(t). Siccome si assume che x sia differen-ziabile, anche la funzione g := ©

tlog x(t) e differenziabile. Abbiamo

ancora x(t) = eg(t) e quindi x(t) = g(t)eg(t) = g(t)x(t).

Cio mostra che la tecnica della nota 18.17 e del tutto generale e puoin pratica essere applicata a tutte le funzioni di crescita.

Osserviamo infine che la funzione x(t) = k+aeg(t) soddisfa l’equazionedifferenziale x = g(t)·(x−k). La funzione di terapia ha quindi la formaϕ(t) = r(aeg(t)) − g(t).

Esempio 18.30. La crescita di un tumore senza terapia (o sotto unaterapia coadiuvante) sia descritta da un’equazione x = x · r(x). As-sumiamo che vogliamo ottenere che sotto la terapia la crescita sia

x(t) =1

1 + t. Allora x(t) =

−1

(1 + t)2=

−1

1 + tx(t), cosicche la funzione di

terapia nella nota 18.17 deve avere la forma ϕ(t) = r

(

1

1 + t

)

+1

1 + t.

(1) Sia ad esempio r(x) = 1 − log(x). Allora ϕ(t) = log(1 + t) +2 + t

1 + t.

L’aumento di terapia richiesto secondo il modello di Norton-Simon equindi relativamente modesto e forse tollerabile, soprattutto se modi-fichiamo le equazioni tramite parametri adatti.

(2) Sia r(x) = 1 − x (equazione logistica). Allora

ϕ(t) = 1 − 1

1 + t+

1

1 + t= 1.

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Nota 18.31. I due modelli matematici piu popolari per la crescita ditumori sono il modello logistico e il modello di Gompertz, su i qualiesistono molti nuovi lavori (oltre ai lavori di Norton gia citati ad esem-pio Spratt/ . . . /Weber e Cooke/Witten). Come finora studiamo modellidella forma x = f(x) e analizziamo le funzioni f in dipendenza deiparametri in esse contenuti. Alcuni dei modelli che presentiamo sonoforse nuovi, almeno nel contesto biomatematico. I grafici che seguonosi riferiscono a modelli della forma x = f(x, b) con b = 0.2, 0.5, 0.8 pert ∈ [0, 4].

L’inserto piccolo in alto a sinistra rappresenta ogni volta le funzioni©xf(x), la figura piu grande e il grafico delle soluzioni ©

tx(t).

Quando vogliamo adattare queste funzioni a dati concreti, dobbia-mo naturalmente tener conto delle proprieta di invarianza discussaall’inizio del capitolo.

b = 0.2 b = 0.5 b = 0.8

x = x · (1 − bx)x = x/b

x = x · (1 − b log(x))

x = xe1/b

x = x · (1 − b arsinh x)x = x sinh(1/b)

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b = 0.2 b = 0.5 b = 0.8

x = arsinh x · (1 − bx)x = x/b

x = arsinh x · (1 − b log(x))

x = xe1/b

x =g(x)

artanhx

g(x) = e−

1.8 + b2 + (artanhx+ 0.9)2/b2

2

Nei tumori in vitro si osserva spesso all’inizio una crescita esponenzia-le; in vivo invece l’accrescimento e in molti casi all’inizio molto lento,perche il tessuto riesce a controllare il nido tumorale. La seconda delleultime tre figure mostra come si puo modellare questo tipo di crescita.

b = 0.2 b = 0.5 b = 0.8

x = 3x(1 − x)5 + 16bx2(1 − x)2

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b = 0.2 b = 0.5 b = 0.8

x = 3x5(1 − x) + 16bx2(1 − x)2

x = 10x5(1 − x) + (3.5 + 7b)√x(1 − x)9

x = e−b−x · e−e−b−x

x = artanh(2x− 1)

x =1

1 + (artanh(2x− 1) + 1 − b)2

x =1

1 + 4(artanh(2x− 1) − 1 + b)2

101

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b = 0.2 b = 0.5 b = 0.8

x = sin2(4πx) + 1.5bx(1 − x)

102

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19. Differenziazione numerica

Nota 19.1. Il problema della differenziazione numerica e difficile e in

un certo senso non risolubile nel caso generale.

Consideriamo ad esempio, per n ∈ N + 1, le funzioni g := ©xx ed

f := ©xx +

1

nsinn2x. Per n grande, le due funzioni sono quasi indi-

stinguibili (e lo diventano quindi numericamente se abbiamo a dispo-

sizione solo valori approssimati), ma la prima ha dappertutto derivatauguale a 1, mentre f ′(x) = 1+n cos(n2x) assume valori altissimi vicino

ad ogni x.

A cio si aggiungono problemi di instabilita numerica per i qualirimandiamo alla letteratura, ad es. Heath, pagg. 365-368, Quartero-

ni/Sacco/Saleri, pagg. 121-129, Stoer, pagg. 122-126, Ross, pagg. 119-

122, Hanke/Scherzer e Groetsch.

Osservazione 19.2. Per punti d’appoggio equidistanti xk = kh una

delle formule piu popolari e data da

y′k =yk−2 − 8yk−1 + 8yk+1 − yk+2

12h

(cfr. Bronstein/Semendjajev, pag. 768).

Osservazione 19.3. Se da un lato nello studio delle curve di crescita

biologiche le esigenze numeriche sono notevolmente minori di quan-

to accada che in problemi tecnici, si hanno invece raramente puntid’appoggio equidistanti. Si usa spesso, come faremo noi, un polinomio

di interpolazione (nel d’intorno di ogni punto) e si sceglie come appros-

simazione della derivata la derivata di quel polinomio.

Nota 19.4. Per m ∈ N + 2 siano dati m coppie (ξ1, η1), . . . , (ξm, ηm) di

numeri reali con le ascisse ξj tutte distinte. Introduciamo le seguenti

notazioni:

(1) I := 1, . . . ,m, ∂iI := I \ i, ∂ijI := I \ i, j per i, j ∈ I.

(2) Per x ∈ R siano Pi(x) :=∏

j∈∂iI

(x− ξj), Pij :=∏

k∈∂ijI

(x− ξk).

Il polinomio di interpolazione di Lagrange L per il quale L(ξi) = ηi per

ogni i ∈ I puo allora essere scritto nella forma

L(x) =∑

i∈I

ηiPi(x)

Pi(ξi)

ed ha derivata

L′(x) =∑

i∈I

ηiP ′

i (x)

Pi(ξi)

Adesso Pi(x) = (x− ξ1) . . . (x− ξi) . . . (x− ξm) e quindi

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P ′

i (x) =∑

j∈∂iI

k∈∂ijI

(x− ξk) =∑

j∈∂iI

Pij(x)

cosicche

L′(x) =∑

i∈I

ηi

Pi(ξi)

j∈∂iI

Pij(x)

Nota 19.5. Per n ∈ N+3 siano adesso date n+1 coppie (x0, y0), . . . , (xn, yn)di numeri reali con x0 < x1 < . . . < xn.

Sia k ∈ 0, . . . , n.

(1) Consideriamo prima il caso che 0 ≤ k − 2 e k + 2 ≤ n.

Allora per (ξ1, η1) := (xk−2, yk−2), . . . , (ξ5, η5) := (xk+2, yk+2) cal-

coliamo y′k := L′(xk) con il metodo della nota 19.4.

(2) Per k = 1 usiamo (ξ1, η1) := (x0, y0), . . . , (ξ4, η4) := (x3, y3) e po-

niamo y′1 := L′(x1).

(3) Per k = 0 usiamo (ξ1, η1) := (x0, y0), (ξ2, η2) := (x1, y1) e

(ξ3, η3) := (x2, y2) e poniamo y′0 := L′(x0).

In modo analogo calcoliamo y′n−1 ed y′n.

Osservazione 19.6. Nella situazione della nota 19.5 possiamo adesso

usare la differenziazione numerica per un’interpolazione localizzatadei dati.

Calcoliamo prima gli y′k. Poi per ogni coppia di punti con ascisseadiacenti troviamo il polinomio di interpolazione di Hermite hk per le

condizioni

hk(xk) = yk

h′k(xk) = y′k

hk(xk+1) = yk+1

h′k(xk+1) = y′k+1

e interpoliamo la curva nell’intervallo [xk, xk+1] con hk.

Con lo schema alle differenze della nota 10.21 e posto θ :=1

xk+1 − xk

,

v := yk+1 − yk si trova

hk =yk + y′k(x− xk) + (vθ − y′k)θ(x− xk)2

+ (y′k+1 − 2vθ + y′k)θ2(x− xk)

2(x− xk+1)

dove θ e v naturalmente dipendono da k. Lo schema alle differenze

diventa infatti

xk : (yk, y′

k)

yk

[xk] y′

k

yk [xk, xk+1] (vθ − y′

k)θ

xk+1 : (yk+1, y′

k+1) [xk, xk+1] vθ [xk, xk+1] (y′

k+1− 2vθ + y′

k)θ2

104

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yk+1 [xk, xk+1] (y′

k+1− vθ)θ

[xk+1] y′

k+1

yk+1

Nota 19.7. Siano adesso dati punti xk = x(tk) di una curva di cres-

cita con t0 < t1 < . . . < tn. Anche gli xk siano tutti distinti (affinchel’algoritmo dia buoni risultati numerici, si presuppone che

x0 < . . . < xn, come accade normalmente in una curva di crescita).

(1) Calcoliamo le derivate numeriche xk, trovando cosı la curva di

interpolazione F con F (tk) = xk.

(2) Nella nostra ipotesi possiamo pero anche calcolare i tk come fun-

zioni degli xk e considerare quindi anche xk come funzioni di xk. Conil metodo dell’osservazione 19.7 la curva d’interpolazione f di questi

dati soddisfa quindi (numericamente) x(t) ≃ f(x(t)).

In questo modo abbiamo ottenuto due funzioni F ed f con x(t) ≃ F (t)ed x(t) ≃ f(x(t)) per ogni t.

Osservazione 19.8. Per poter confrontare le curve in modo migliore,

le ascisse nella nota 19.7 verranno normalizzate a [0, 4], le ordinate a[0, 1].

Esempio 19.9. Denotiamo qui con lt la lista dei valori dati di t, con

lx la lista dei valori di x.

con

lt = [0, 0.3, 1, 1.5, 2.1, 2.9, 3.3, 4]

lx = [0.1, 0.3, 0.5, 0.6, 0.65, 0.7, 0.86, 1]

con

105

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lt = [1, 2.2, 2.8, 3, 3.6, 4.5, 6.5, 7.1, 7.6, 9, 10]

lx = [0.5, 2.5, 4, 4.3, 4.6, 5.4, 5.7, 6, 6.4, 6.8, 7]

Osservazione 19.10. Si possono immaginare due tipi di applicazionialle funzioni di terapia:

(1) Il medico propone una terapia e il matematico puo verificarnel’effetto: calcoliamo f come nella nota 19.7, poi con Runge-Kutta risol-

viamo l’equazione differenziale

z = z(t) ·

[

f(z(t))

z(t)− ϕ(t)

]

= f(z(t)) − z(t)ϕ(t)

(2) Sia viceversa data ψ, allora poniamo

ϕ(t) =f(x(t))

x(t)− ψ(t).

La nostra tecnica permette di studiare anche il caso che la terapia

inizia in t1; cio potrebbe essere molto interessante.

Osservazione 19.11. Spesso per un singolo paziente e difficile otte-

nere molti dati; assumiamo di avere invece 200 pazienti con pochi dati

per ogni singolo paziente. Per eliminare i dati estremi, calcoliamo pri-

ma le oscillazioni

max(x) − min(x)

max(t) − min(t)

ed eliminiamo i 10 parametri con

le oscillazioni maggiori e i 10 con le oscillazioni minori. Dagli altri con

il metodo della media slittante x0 =x0 + . . .+ xs

6,

x1 =x0 + . . .+ x6

7, . . . , xk =

xk−5 + . . . + xk + . . . + xk+5

11, . . . otteniamo

una serie di dati che spesso soddisfa le condizioni nella nota 19.7.

Esempio 19.12. Nelle figure seguenti la linea a tratti denota la cre-

scita tumorale senza terapia, la linea solida piu spessa la crescita inseguito a terapia; la linea solida sottile la funzione di terapia.

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