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Università della Terza Età Cinisello Balsamo Storia dell’Arte Contemporanea a.a. 2017 – 2018 Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti

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Università della Terza Età Cinisello Balsamo Storia dell’Arte Contemporanea a.a. 2017 – 2018 Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti

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1. Der Blaue Reiter: l’altro volto dell’arte

tedesca

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Der Blaue Reiter, in italiano “ll cavaliere azzurro”, fu un movimento artistico nato da un esperimento editoriale condotto da due artisti, Vasilij Kandinskij e

Franz Marc, entrambi non particolarmente amati o noti all’epoca della sua nascita.

I due volevano pubblicare insieme un volume in cui delineare una panoramica delle ultime tendenze dell'arte contemporanea e che al contempo

rappresentasse la dichiarazione di fede in una nuova arte che aspirava a fare ritorno alle fonti di ispirazione fondamentali, elementari ed essenziali.

“Trovammo il nome ‘Der Blaue Reiter’ davanti a una tazza di caffè sotto il pergolato di Sindelsdorf: tutti e due amavamo il blu. A Marc piacevano i cavalli, a me i cavalieri. Cosi il nome venne fuori da solo. E ci gustammo

ancora di più il fantastico caffè di Maria Marc." In questo passaggio, tratto dai suoi illuminanti ricordi relativi alla nascita del

movimento, pubblicati sulla rivista d’arte «Das Kunstblatt» nel 1930, Kandinskij riflette su un progetto che aveva avuto avvio in circostanze

tutt’altro che promettenti, in una situazione, anzi, estremamente difficile.

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Ma le sue parole non tradiscono nulla dell’ambiziosa visione originariamente associata all’immagine di un cavaliere azzurro.

Il pittore, infatti, identificava questa figura con un santo cavaliere, quel San Giorgio spesso presente nei dipinti iconici della sua nativa Russia, che con la lancia sgomina un feroce drago e che perciò rappresenta un simbolo della battaglia

cristiana contro il male, i miscredenti e i pagani. Per Kandinskij abbracciare questo soggetto era un atto

simbolico: l’eroe (l’artista, spiritualmente inteso) libera la società dalle catene del materialismo, mette fine al suo declino culturale e conduce in un nuovo paradiso: in quest’ottica Der Blaue Reiter diventa l’incarnazione della liberazione e della salvezza di tutto il

mondo che, secondo quanto credeva Kandinskij, erano inscindibilmente legate alle mitiche forze dell’Oriente e alla

“santa Russia”, sua patria.

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Anche per Marc l’almanacco Der Blaue Reiter — con questo nome sarebbe divenuto noto il volume dei due artisti — doveva assumere un tono entusiastico e

messianico. Egli infatti desiderava “proclamare il fatto che dappertutto in Europa stanno nascendo nuove forze” e “indicare tutti i luoghi di origine di queste cose nuove”. L’idea centrale

del Blaue Reiter si era sviluppata a partire dalla “consapevolezza della segreta connessione di tutte

le nuove produzioni artistiche” in cui il movimento doveva rappresentare “la chiamata all’adunanza di tutti gli artisti della nuova era che risveglia i profani all’ascolto”.

Queste parole dell’artista danno voce al pathos e all’afflato di una nuova partenza, alla dedizione per un obiettivo comune e alla fiducia nell’esistenza di una comunità di

artisti che agissero a livello internazionale. Naturalmente si trattava più di utopia che di realtà: infatti quando infine l’almanacco

del Blaue Reiter e la relativa mostra, dopo tanta fatica, videro la luce, le prime reazioni furono negative, se non addirittura ostili.

L’accoglienza favorevole fu molto limitata: soltanto una ristretta cerchia di artisti, critici, collezionisti e direttori di musei espresse solidarietà nei confronti dei loro

obiettivi. Quella che oggi è vista come una conquista pionieristica compiuta da parte di un piccolo gruppo, la nascita dell’arte moderna tedesca, all’epoca fu considerata un

evento marginale, senza influenza duratura sulla cultura della Germania guglielmina.

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Le opere dei pittori del Blaue Reiter sono oggi visibili nei principali musei del mondo,

ma gran parte è esposta nella Stadtische Galerie im Lenbachhaus, il museo civico di

Monaco, la città in cui a dispetto della resistenza dei benpensanti vissero e lavorarono molti membri del gruppo.

È grazie alla generosità di Gabriele Munter (1877-1962) – artista, compagna di Kandinskij e cofondatrice del movimento – che questo museo ospita oggi la

pin grande collezione al mondo di opere legate alla storia del gruppo.

Infatti nel 1957, in occasione del suo ottantesimo compleanno, la pittrice donò al museo la sua intera collezione privata, composta da oltre 300

acquerelli, fogli a tempera e disegni, 29 album di bozzetti, oltre 250 studi e progetti,

dipinti su vetro, stampe, opere in altri materiali, 25 dei quadri da lei realizzati e tutte le opere in suo possesso dei colleghi del Blaue Reiter e soprattutto più

di 90 dipinti a olio che Kandinskij era stato costretto a lasciare a Murnau quando era emigrato a Mosca.

Con questo “tesoro”, il Lenbachhaus si trasformo — praticamente dal giorno alla notte — nella più importante collezione di opere collegate al Blaue Reiter.

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Gabriele Munter, Donna pensosa, 1917, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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Il dipinto mostra la modella in un interno che sembra claustrofobicamente chiuso, tagliato dal formato orizzontale in modo che la nostra visione risulta

ristretta soltanto alla figura. La donna, a ridosso del bordo del quadro, è dipinta a mezzobusto, seduta in posa pensosa, meditativa. Alle sue spalle vi è

una sorta di natura morta, un tavolo su cui è posata una composizione floreale, delle mele e una lampada che appare

stranamente instabile. Elementi della natura morta — i fiori blu, per esempio — si fondono con la retrostante imbottitura verde di una poltrona e con le

tende, dalle striature rosa opaco e rosso di fronte alla finestra cieca, per formare un’unita compositiva compatta.

L’angolo inferiore, pero, introduce anche i concetti di sbarre, isolamento e occultamento.

A differenza del corpo, ampiamente stilizzato, il suo capo e dipinto nei minimi particolari ed è ulteriormente enfatizzato dai fiori che

spuntano alle sue spalle. La condizione ermetica della stanza in cui e collocata si riflette sul volto della donna, intrappolato nel circolo dei suoi pensieri,

rinchiuso nel carcere della sua mente. L’atmosfera malinconica, cupa, del quadro è veicolata anche e soprattutto

dalla gamma cromatica di rossi scuri, verdi e grigi, colori che sono stati miscelati con il nero.

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Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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Quando, nel 1896, Vasilij Kandinskij decise di studiare pittura a Monaco, volse le spalle a una carriera accademica molto promettente: egli infatti aveva studiato legge ed

economia nazionale nella nativa Mosca e gli era stato offerto un posto all’università di Dorpat. Il suo vero interesse però era l’arte, una sfera che aveva potuto indagare

soltanto come appassionato nel tempo libero. In seguito lo stesso artista avrebbe individuato due eventi decisivi che lo

spinsero a prendere la decisione di diventare artista: uno fu la sinestesia che a quanto pare sperimentò durante un’esecuzione dell’opera Lohengrin di Richard Wagner, l’altro fu lo shock di realizzare, mentre osservava un dipinto della serie dei Covoni di Clande

Monet, che il soggetto figurativo non era indispensabile per una più profonda esperienza dell’arte.

Kandinskij fu uno dei primi artisti a portare alla sua logica conclusione la via verso

l’astrazione; in primo luogo, però, intraprese il difficile percorso educativo seguito da tutti i giovani artisti, che all’epoca consisteva in un ben definito corso di studi.

Prima frequentò la scuola d’arte privata diretta da Anton Aibe, dove conobbe Alexej von Jawlensky e Marianne von Werefkin.

Nel 1900, dopo essere stato inizialmente rifiutato, Kandinskij fu accettato all’Accademia di Monaco dove si iscrisse al corso tenuto dallo stimatissimo e già noto

Franz von Stuck.

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August von Heckel ,L'arrivo di Lohengrin nella navicella condotta da un cigno, per la sala da pranzo del castello di Neuschwanstein, Monaco

Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi

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Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910 circa, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Qui l’artista non si presenta come una padrona di casa premurosa e una compagna subordinata, bensì come il fulcro

radioso, sicuro di sé, della scena artistica monacense. In un gesto spontaneo, forse imperioso, ha girato il capo di tre quarti per guardare lo spettatore, e sembra fissarlo con sguardo demoniaco dagli occhi rossi con i puntini neri in luogo di pupille.

Anche in virtù delle labbra piene, ugualmente di un rosso vermiglio, ma leggermente diverso da quello degli

occhi, al volto è attribuita un’espressione ambivalente, a meta tra l’amarezza rassegnata e una superiorità che non e solo intellettuale.

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Franz von Stuck, Il peccato, 1893, olio su tela, Neue Pinakothek, Monaco

Franz Von Stuck, Il peccato, 1908, Galleria d'Arte Moderna E. Restivo, Palermo

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Come molti artisti della sua generazione Kandinskij non riuscì a trovare niente di suo interesse nel polveroso programma accademico: infatti anziché ritrarre

dal vivo i modelli in classe, preferiva dipingere liberamente in campagna, eseguendo piccoli studi a olio in stile postimpressionista in cui le spesse

pennellate di colore, anziché descrivere l’oggetto, lo parafrasavano e miravano a rappresentare i colori.

Per ampliare la propria cerchia di conoscenze e acquisire maggiore influenza sulla scena artistica internazionale fondò nel 1901, insieme agli amici del

gruppo di cabaret Die Elf Scharfrichter (Gli undici boia), Phalanx una piccola associazione espositiva privata con annessa una scuola di pittura.

Tra questo momento e il 1904, Kandinskij organizzò dodici importanti esposizioni di artisti di fama internazionale, anche se non unanimemente

apprezzate – ad esempio nel corso della settima mostra del gruppo, vennero esposti per la prima volta in Germania le opere di Claude Monet.

Nel 1902 Kandinskij conobbe Gabriele Munter, una delle molte studentesse che – non potendo essere ammesse alle accademie – proseguivano gli studi in scuole d’arte private. Nel corso delle loro escursioni pittoriche, tra i due

nacque un profondo legame e Munter divenne la compagna e musa dell’artista russo.

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Nonostante il grande lavoro fatto per portare a Monaco nomi interessanti, Phalanx ebbe vita breve.

In seguito alla chiusura della scuola di pittura, nel 1904 anche l’associazione fu costretta a sciogliersi e così Kandinskij e Munter intrapresero una lunga serie di viaggi che li portò nei Paesi Bassi, a Berlino, Odessa, Parigi e Tunisi. Nel corso dei prolungati soggiorni a Parigi e Berlino il pittore ebbe modo di rafforzare i contatti con altri circoli dell’avanguardia, compresi gli artisti del Salon des Indépendants, i berlinesi della Secessione e gli espressionisti della

Brucke (a Dresda nel 1906). Nella primavera del 1908, la coppia fece ritorno a Monaco e si trasferì in un

appartamento al 36 di Ainmillerstrasse.

In una delle escursioni in campagna nei dintorni di Monaco, la coppia scoprì la piccola cittadina di Murnau, ai piedi delle Alpi Bavaresi, sede di un mercato. Affascinati dalle case dai colori vivaci e dal contesto pittoresco, nella distesa

del Murnauer Moos con i monti che si levavano sullo fondo, i due artisti decisero di fermarsi a dipingere en plein air come gli impressionisti e

convinsero Marianne von Werefkin e Alexei Jawlensky a unirsi a loro: ebbe così inizio una serie di escursioni pittoriche fruttuose e di scambi stimolanti

che rappresentò una svolta nell’opera di tutti e quattro gli artisti.

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I dipinti realizzati a Murnau da Kandinskij, così come quelli di Munter e Jawlensky, sono caratterizzati da cromatismi fortemente luminosi e ricchi di

contrasti, in cui il colore è sempre più lontano da quello del modello naturale e va assumendo vita autonoma: in questo modo la composizione si

concentra su un piccolo numero di forme, rappresentate come bidimensionali, e al contempo vengono omessi tutti i particolari non necessari

per l’effetto complessivo veicolato dal colore. Nel 1911 Munter seppe riassumere concisamente questo

sviluppo nel suo diario: “Laggiù, dopo un breve periodo tormentato, riuscii a spiccare un grande salto: passai dal copiare dalla natura, più o meno come gli

impressionisti, a sentire il contenuto, ad astrarre, a ricavarne un estratto”.

[Probabilmente fu soprattutto Jawlensky a indirizzare gli altri verso un’interpretazione sempre più astratta della natura circostante e verso un uso

più libero del colore: egli infatti nel corso dei suoi viaggi e dei soggiorni a Parigi e in Provenza nei primi anni del Novecento era venuto in contatto con i Nabis, da cui aveva derivato il concetto di “sintesi” che si traduceva all’interno

del quadro nell’impressione suscitata dalla natura sull’artista.]

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Munter, in particolare, adottò la tecnica del cloisonnisme in cui gli oggetti del quadro erano ridotti a pochi piani circondati ciascuno da una linea nera.

Ma l’artista trovo un’altra importante fonte di ispirazione nell’arte popolare bavarese, soprattutto nella pittura su vetro: la presenza di sottili contorni neri e la combinazione

di piani di colore omogenei nei quadri di Munter e Kandinskij risalenti a questo periodo, e anche nei loro dipinti su vetro, si può ascrivere proprio all’influenza dell’arte

popolare locale.

L’esperienza a Murnau fu talmente importante e segnante che nell’agosto del 1909 la coppia decise di eleggere definitivamente il paesino a loro luogo di residenza,

acquistando una villetta che sorgeva alla sua estremità occidentale. La casa venne arredata con mobili realizzati da entrambi e Kandinskij la decorò

secondo uno stile che combinava le sue idee con i motivi tratti dall’arte popolare della regione.

Una collezione unica di dipinti su vetro e sculture religiose in legno tipici della regione si accumulo rapidamente sulle mensole e le pareti: lo stesso artista russo

si dedicò allo studio delle tecniche di pittura su vetro e imparò a combinarne le tipiche forme semplificate con colori chiari e puri.

Questo porto, dal 1911 in poi, a una maggiore presenza di temi religiosi nel suo lavoro, talvolta fusi con elementi del folclore russo.

L’artista continuò a estraniare sempre di più i suoi soggetti, rendendo più oscura la loro origine e la loro essenza e ponendoli all'interno di un contesto astratto di forme e

colori fluttuanti.

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Casa di Kandinskij e Munter a Murnau

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Gabriele Munter, La casa russa, 1931, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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Gabriele Munter, Interno della casa russa, 1909, olio su tela, Munter – Haus, Murnau

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Il tempo trascorso a Murnau e gli importanti dipinti realizzati in quel luogo diede agli artisti l’idea di esporre in pubblico le loro opere, cosi innovative a livello di forma dell’espressione, ma dal momento che l’accesso al circuito

espositivo ufficiale restava sotto il rigoroso controllo di critici e censori – che avrebbero

certamente rigettato le loro opere – essi avevano bisogno di trovare una nuova società espositiva.

Cosi il 22 gennaio 1909 fu iscritta nel registro delle società la Neue

Kunstlervereinigung Munchen (Nuova Associazione di Artisti di Monaco, d’ora in poi NKVM). Insieme ai membri del già citato circolo artistico di Murnau, l’associazione comprendeva Adolf Erbsloh, Alexander Kanoldt,

l’artista del suono Oscar Wittenstein, più numerosi collezionisti, cui si unirono nel corso dell’anno diversi altri artisti, come Karl Hofer , Erma Bossi (nata a

Pula, nei pressi di Trieste) il francese Pierre Girieud, il neoimpressionista Paul Baum e i russi Vladimir Bekhteyev e Moishe Kogan .

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Lo scopo dichiarato dell’NKVM inizialmente consisteva solo nell’organizzare mostre

d’arte in Germania e all’estero, ma nel giro di breve tempo Kandinskij scrisse una dichiarazione inaugurale che egli diffuse come circolare e che venne

stampata nel primo catalogo dell’associazione: “ […] Il nostro punto di partenza è la convinzione che, oltre alle impressioni che riceve dal mondo

esterno, dalla natura, un artista accumuli continuamente esperienze nel suo mondo interno. Noi cerchiamo forme artistiche in grado di esprimere la

compenetrazione di tutte queste esperienze [...] — in sostanza, una sintesi artistica. Secondo noi si tratta di una soluzione che oggi, una volta di più,

unisce nello spirito un crescente numero di artisti.” I criteri decisivi erano la distinzione tra impressioni esterne ed esperienze

interne, che insieme confluiscono nell’opera d’arte, e l’aspirazione alla semplificazione della forma e alla concentrazione sull’essenziale “per poter

esprimere con veemenza solo ciò che e necessario”, come aggiunse Kandinskij nella sua circolare.

Il fatto che questo fosse il minimo comune denominatore dell’NKVM è chiarito anche all’eterogeneità di stili dei suoi membri, come rivelo la prima mostra dell’associazione, che si tenne alla Galerie Thannhauser dall’1 al 15

dicembre 1909.

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Alla mostra erano esposte 128 opere di un vasto numero di artisti: la reazione del pubblico di Monaco e della maggior parte dei critici andava dalla celata

disapprovazione al veemente sdegno. Dopo la pessima accoglienza della mostra a Monaco, l’esposizione fu

allestita in diverse città tedesche, dove guadagnò i primi consensi in Renania. La più importante, però, fu la seconda mostra dell’Associazione, che si tenne nel settembre

1910, sempre nella galleria Thannhauser. In questa occasione furono invitati a partecipare vari artisti parigini, compresi Georges Braque, André Derain, Kees van Dongen, Henri Le Fauconnier, Pablo Picasso, Georges

Rouault, Maurice de Vlaminck e David e Vladimir Burliuk.

Il catalogo della mostra comprendeva oltre a testi di Le Fauconnier, dei fratelli Burliuk, di Odilon Redon e Georges Rouault, anche un articolo di Kandinskij.

Questo testo è rivelatore, perché vi è esposta per la prima volta la distanza di quest’ultimo rispetto agli altri artisti: l’opposizione tra impressione oggettiva della natura e sentimento soggettivo va a dar vita, nel suo pensiero, a una collisione tra

spirituale e materiale. Dipingere divenne “parlare di ciò che è nascosto attraverso ciò che è nascosto”.

Kandinskij perciò si lasciò alle spalle il tipo di espressione artistica sviluppato a Murnau e condiviso dai suoi colleghi, e mosse verso un’astrazione gravida di significati

spirituali.

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Anche questa seconda mostra dell’NKVM suscitò reazioni violente ed estremamente negative da parte dei critici locali, che spinsero un giovane

pittore di Monaco a prendere le difese di opere e artisti: si trattava di Franz Marc, già visitatore entusiasta della prima mostra.

In risposta all’incomprensione dei critici e del pubblico, Marc sostenne la “spiritualizzazione” del soggetto e “ l’interiorità totalmente spiritualizzata e

smaterializzata”, che apprezzò in particolare nelle opere di Kandinskij. L’artista, dopo aver studiato nell’Accademia di Belle Arti, si era specializzato

nel campo della pittura di animali: con una sempre maggiore stilizzazione dei soggetti e l’uso di colori sempre pin intensi, egli voleva rendere visibile la vita

“interiore” degli animali e la loro relazione armoniosa con il mondo, attraverso un trattamento ritmico della linea e numerosi contrasti cromatici.

Il sostegno agli obiettivi dell’NKVM presto lo portò a conoscere Kandinskij: cominciò così una delle più fruttuose amicizie tra artisti del XX secolo, che

avrebbe portato alla nascita della redazione del Blaue Reiter.

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L’anno 1911 portò il cambiamento decisivo: il 2 gennaio Arnold Schonberg tenne il primo concerto di un nuovo genere di musica, poi definita atonale. Kandinskij

vide nella nuova musica un’evoluzione che corrispondeva al suo concetto di “spiritualizzazione” in pittura e cercò di approfondire questo parallelo in una fitta corrispondenza con il compositore – questo scambio epistolare spinse il pittore a

elaborare una teoria sul suono del colore, pubblicata nel 1911 nel volume Lo spirituale nell’arte.

Anche Marc percepiva questa connessione nascosta tra musica e pittura, e ne discusse nelle lettere a Maria Franck, la sua compagna, e all’amico pittore August

Macke.

Fu l’inizio della fine dell’NKVM. Infatti le forze conservatrici dell’associazione, guidate da Adolf Erbsloh e

Alexander Kanoldt, si scontrarono con i membri progressisti in cerca di nuove vie, come Kandinskij, Marc e Munter.

I conflitti all’interno del gruppo furono sempre più accesi e, sebbene avessero come pretesto ragioni futili (come ad esempio l’arredamento della loro nuova

sede), in realtà riguardavano questioni artistiche: pittori come Erbsloh e Kanoldt, ancora legati al naturalismo, cominciarono a prendere le distanze dalle istanze

sullo “spirituale nell’arte”.

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Membri del Blaue Reiter sul balcone dell’appartamento di Kandinskij a Monaco. Da sinistra a destra: Maria e Franz Marc, Bernhard Koeler sen., Heinrich Campendonck, Thomas von Hartmann e seduto Vasilij Kandinskij

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Le cose precipitarono all’inizio del dicembre 1911, quando il comitato incaricato della selezione delle opere per la futura mostra dell’NKVM rifiutò

Composizione V di Kandinskij perché eccedeva le dimensioni consentite. Munter, Marc, e naturalmente anche Kandinskij, lasciarono immediatamente l’associazione: in realtà i due artisti non furono esclusi dall’élite degli artisti contemporanei, poiché già dal giugno dello stesso anno stavano lavorando

insieme al progetto di una pubblicazione più ampia dedicata alla scena dell’arte contemporanea. Ribattezzandosi “i redattori del

Blaue Reiter”, avevano anche già compiuto alcuni passi preliminari, come contattare l’editore Piper e altri artisti, compreso August Macke, amico di Marc che promuoveva forme che “quasi a scherno dell’estetica europea parlano ovunque un linguaggio elevato” e che di fatto si riconnettevano

direttamente con le forme delle sculture delle “culture primitive”.

In generale i tre artisti che inizialmente collaborarono alla redazione dell’Almanacco condividevano l’idea di abbattere le vecchie barriere che

separavano l’arte con la A maiuscola europea da quella popolare, “inferiore”, e dalle forme di espressione artistica adottate da popoli extraeuropei, per poter giungere al cuore comune della vera arte.

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Vasilij Kandinskij, Progetto finale per la copertina dell’Almanacco Der Blaue Reiter, 1911, acquerello, inchiostro e matita, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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Vasilij Kandinskij, Il cavaliere (San Giorgio), 1914 – 1915, olio su cartoncino, Galleria Tret’jakov, Mosca

Vasilij Kandinskij, San Giorgio II, 1911, olio su cartoncino, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo

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Vasilij Kandinskij, Il cavaliere azzurro, 1903, olio su tela, collezione privata, Zurigo

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Vasilij Kandinskij, Progetto per la copertina dell’Almanacco Der Blaue Reiter, 1911, acquerello e matita, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Vasilij Kandinskij, Progetto per la copertina dell’Almanacco Der Blaue Reiter, 1911, pennello per calligrafia, acquerello e bianco opaco, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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L’Almanacco si configurò così come una vera e propria pubblicazione teorica, in cui trovarono posto tre saggi di Marc – il primo, intitolato Beni spirituali, deplorava la

generale mancanza di interesse per le nuove idee, il secondo I ‘selvaggi’ di Germania aveva come argomento l’arte e la poetica dei fauves e il terzo dal titolo Due quadri

metteva a confronto l’arte romantica con la produzione dell’amico russo – ma anche numerosi saggi di Kandinskij come ad esempio Sulla composizione teatrale e ll suono

giallo.

Grazie al generoso supporto finanziario del mecenate Bernhard Koehler, l’almanacco Der Blaue Reiter fu illustrato da moltissimo materiale visivo, con opere di tutte le

epoche e provenienti da ogni parte del mondo tese a supportare la tesi dell’arte genuina.

In quest’ottica il lettore era invitato a esaminare le opere degli artisti del neo movimento accanto a riproduzioni del Ritratto del dottor Gachet di Vincent van Gogh,

il Ritratto di Elsa Kupfer di Oskar Kokoschka, La danza e La musica di Henri Matisse, la cubista Donna con chitarra di Picasso e a osservare infine il San Giovanni di

El Greco, insieme a pitture su vetro, oggetti d’arte di culture non europee ed era percio lasciato a domandarsi che cosa avrebbe dovuto significare tale miscela.

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Il messaggio era duplice: da una parte, gli artisti del Blaue Reiter volevano trarre supporto dalle precedenti tradizioni per i

loro esperimenti moderni con la forma, mentre dall’altra volevano far esplodere la nozione

convenzionale di stile per rivelare il “genuino” nell’arte di tutte le epoche e nazioni.

Anche grazie alla grafica e all’impaginazione estremamente moderne e accattivanti dell’almanacco, veniva cosi spianata la

strada verso il pluralismo dell’arte moderna del XX secolo e verso l’abbattimento delle barriere tra singole discipline, in previsione della fine dell’arte europea come storia di stili.

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La prima mostra del Blaue Reiter si tenne dal18 dicembre 1911 al 1 gennaio 1912 al primo piano della Galerie Thannhauser di Monaco, in contemporanea

con la terza mostra dell’NKVM, che date le circostanze non attirò alcun interesse.

La mostra comprendeva circa 50 opere dei pittori Albert Bloch, David e Vladimir Burliuk, Heinrich Campendonk, Robert Delaunay, Elisabeth Epstein,

Eugen von Kahler, Vasil Kandinskij, August Macke, Franz Marc, Gabriele Munter, lean Bloé Niestlé, Henri Rousseau e Arnold Schonberg.

Per quanto casuale possa sembrare la selezione di artisti presenti, la mostra era deliberatamente sbilanciata in favore della “grande astrazione”

rappresentata dalle opere di Kandinskij, Marc e Delaunay ed ebbe il pregio di esporre non solo il circolo artistico di Monaco, ma anche pittori praticamente

sconosciuti in Germania. Il fulcro della mostra, pero, era indubbiamente Kandinskij, sia come curatore,

sia come artista, sia come redattore dell’almanacco, sia come teorico. La premessa di tutta l’esposizione era illustrata soprattutto dal dipinto

Composizione V, che assunse la forza di vero e proprio manifesto.

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Allestimento della prima mostra del Blaue Reiter alla Galerie Thannhauser di Monaco

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Vasilij Kandinsky, Composizione V, 1911, olio su tela, collezione privata

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Qui gli elementi figurativi sono quasi completamente scomparsi e vengono suggeriti soltanto da rudimentali simboli, come nel caso della cittadella lungo

il margine superiore destro e della barca a remi con tre figure nella metà sinistra della composizione.

In mezzo alle masse di colori fluttuanti appaiono elementi grafici che in alcuni punti delimitano i piani e in altri li attraversano estendendosi in formazioni

libere. Una spessa linea nera fende serpeggiando la composizione colorata e introduce una nota minacciosa, apocalittica. L’apparente caos è

espressione di una nuova forma d’arte, che ha abbattuto i confini del vecchio per consentire a un remoto elemento “spirituale” di apparire, come l’epifania

di una nuova armonia.

La successiva tappa del Blaue Reiter fu Berlino, dove Herwarth Walden inaugurò la sua nuova galleria Sturm con una mostra congiunta intitolata “Il

Blaue Reiter, Franz Flaum, Oskar Kokoschka, gli espressionisti”. Per la seconda mostra del Blaue Reiter, che si tenne nel febbraio 1912, Marc

prese contatto con gli artisti della Brucke che vi esposero, accanto ad opere di Delaunay e di alcuni artisti futuristi italiani.

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Gli artisti del Blaue Reiter esposero alla galleria Sturm quasi ininterrottamente dall’ottobre 1912 all’aprile 1914 e in contemporanea il giornale di Walden pubblicò opere grafiche di Campendonk, Delaunay, Kandinskij, Klee, Macke, Marc e Munter

nonché articoli teorici di Guillaume Apollinaire, Delaunay, Kandinskij e Marc. Nonostante tutte queste iniziative strategiche, l’attacco della stampa e del

pubblico non si placò: la pittura di Kandinskij era derisa come “idiozia”, per cui l’artista russo si sentì obbligato a difendere la propria posizione e

in una lezione del 1914 intitolata Sulla pittura pura, spiegò che non intendeva dipingere musica o stati mentali, né criticare o migliorare i capolavori del passato, ma semplicemente di voler dipingere "quadri buoni, necessari, vivi” che potevano

essere vissuti nel modo giusto da almeno alcuni osservatori.

Non vi è dubbio, tuttavia, che gli anni immediatamente precedenti lo scoppio della Prima guerra mondiale fossero i più fertili e positivi per l’evoluzione degli artisti del gruppo e della loro poetica: sono gli anni in cui Kandinskij realizza Composizione V,

Composizione VI e Composizione VII e una serie di dipinti di arte precocemente astratta come Quadro con bordo bianco e in cui le tele di Marc si avvicinano a

un’astrazione prismatica e cristallina, partendo da una curiosa sintesi tra futurismo e orfismo.

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Sono anni molto intesi, ma anche gli anni in cui comincia la parabola discendente del movimento: infatti non solo il progetto di realizzare un secondo numero dell’almanacco non fu mai portato a termine, ma fallì anche un grandioso

progetto di una mostra corale di arte moderna. Infatti sulla falsariga del Salon d’Automne di Parigi, nel settembre 1913 Walden

aveva proposto di organizzare, nella sua galleria di Berlino, una panoramica sulla pittura moderna in generale, a cui intendeva invitare non solo gli artisti del Blaue

Reiter, ma anche gli espressionisti, i cubisti, i futuristi, Delaunay e sua moglie, Sonia Delaunay e gli altri artisti della galleria Sturm.

Il progetto presentò fin dall’inizio alcune difficoltà poiché non si riuscì a recuperare opere di Picasso, Matisse e degli espressionisti erano scarsamente rappresentati, poiché la Brucke patrocinò un’altra esposizione che si teneva in

contemporanea. Walden riuscì comunque a riunire un numero sorprendente di artisti di alto livello, che fecero di questa mostra una delle più importanti manifestazioni prebelliche dell’arte moderna: oltre ai dipinti dei futuristi (Boccioni, Soffici,

Severini, Balla, Russolo) e dei cubisti (Léger, Gleizes, Metzinger, Marcoussis), a causare grande eccitazione furono i nuovi lavori di Robert e Sonia Delaunay.

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Il Primo salone d’autunno tedesco rappresentò tuttavia una sorta di ultimo squillo di trombe, l’apice conclusivo nella storia del Blaue Reiter, poiché gli

artisti cominciarono a seguire le proprie evoluzioni e intuizioni, e nel pandemonio della guerra si allontanarono o furono uccisi in combattimento,

come accadde a Macke nel 1914 e a Marc nel 1916. In particolare Kandinskij e Munter partirono per la Svizzera, ma pochi mesi

dopo si lasciarono e l’artista fece ritorno a Mosca, dove nei primi anni dopo la rivoluzione svolse diversi ruoli importanti nell’ambito della

riorganizzazione della scena artistica russa. Gabriele Munter visse in Scandinavia fino alla fine degli anni Venti e, dopo un periodo inquieto segnato da crisi personali, nel 1931 decise di tornare a

stabilirsi a Murnau.

Il cavaliere azzurro è stato un tentativo unico, da parte di una libera associazione di artisti, di tracciare una nuova via.

Per un momento breve ma storicamente significativo, Monaco fu davvero la capitale dell’arte, dove i percorsi di pittori molto diversi tra loro e varie

tendenze artistiche si fusero per perseguire l’utopia della nascita di un’arte spirituale.

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Henrich Campendonk, Bosco, ragazza, capra, 1917, olio su tela, , Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

In una cupa foresta alla quale punti colorati donano un bagliore innaturale, una ragazza vestita da contadina siede sulla sinistra e al suo fianco è seduta una capra. Sia la ragazza sia l’animale sono visti rigorosamente di profilo, come in un rilievo egizio. Pero dalla donna emana più una semplicità rurale che un solenne misticismo, come sottolineato dalle sue forme. Il capo dell’animale è come

enfatizzato cromaticamente dalla forma vegetale con cui si interseca.

Il dipinto emana qualcosa che si potrebbe definire un fascino ingenuo, un’atmosfera fiabesca non terrena che sembra non basarsi su un substrato ideologico e che da l’impressione che l’opera sia come sospesa a metà tra la

moderna astrazione e l’ingenuo dipinto fiabesco.

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Robert Delaunay, Finestre simultanee sulla città, prima parte, secondo motivo, prima replica, 1911 – 1912, olio su tela, Hamburger Kunsthalle, Amburgo

La superficie pittorica è interamente riempita da forme a colori dalla sagoma più o meno geometrica. Nonostante qu e là si celino frammenti che possono ancora essere associati a oggetti concreti – case e il

profilo della torre Eiffel (al centro) — essi sono inseriti senza soluzione di continuità nel tessuto della composizione di campi geometrici a colori. L’interesse principale del pittore si concentra sul vivace gioco di rapporti simultanei tra colori che scatta quando si osserva il quadro più da vicino.

Il titolo ‘Fenétres’ rimanda ancora a una realtà concreta, ma a livello di mezzi espressivi

si può già notare una nuova forma di espressione: si tratta di finestre aperte su una nuova realtà

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Alexei Jawlensky, Paesaggio a Murnau, 1909, olio su cartoncino, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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L’opera si dispiega partendo da un sentiero in primo piano molto ampio, visto da una prospettiva scorciata, che sale ripido e scompare oltre una curva a

destra. È costeggiato da campi e alberi, mentre sullo sfondo si leva una catena montuosa:

il soggetto di questo semplice paesaggio, è trasformato in uno studio sul colore di grande impatto e vigore.

In primissimo piano una profonda ombra viola scuro si staglia sul sentiero di un arancione acceso assumendo tuttavia la stessa texture e consistenza degli

oggetti solidi circostanti. L’albero che la proietta riempie l’angolo superiore destro con la sua forma triangolare, in linea con la costruzione geometrica del

quadro Anche le forme degli altri alberi sono geometriche e dipinte con violetti e

rossi brillanti, accentuati nel gruppo degli alberi in primo piano da tocchi di giallo acceso.

Come a confermare il carattere autonomo di questo studio cromatico, l’artista ha lasciato pennellate campione dei colori nell’angolo in basso a destra.

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Alexei Jawlensky, Maturità, 1912 circa, olio su cartoncino, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

All’interno di questo volto, Jawlensky impiega numerosi colori accentuando i più violenti e intensi contrasti cromatici: rosso su giallo su verde.

Marcate linee nere evidenziano i lineamenti del volto e fanno ricadere l’enfasi maggiore sugli occhi che, disegnati con un tratto obliquo da gatta, sono colorati di verde chiaro e con iridi corvine.

Gli occhi, nonostante l’elementare semplicità del loro disegno, rivelano un misterioso potere di attrazione.

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August Macke, Indiani a cavallo, 1911, olio su tavola, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

La piccola tavola in legno mostra un gruppetto di indiani che attraversa un variopinto paesaggio immaginario — due cavalieri in sella che indossano un copricapo piumato e un indiano a piedi, che porta una lancia decorata da piume. Le piccole figure si stagliano contro il paesaggio e i loro colori si mescolano con i corrispondenti toni dello sfondo.

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August Macke, Giardino zoologico I, 1912, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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Il soggetto del giardino zoologico fu scoperto dall’artista nella primavera del 1912, nel corso di un viaggio ad Amsterdam durante il quale eseguì numerosi bozzetti e studi, che

probabilmente intendeva utilizzare come basi per quadri di dimensioni maggiori. Tra questi bozzetti vi è la figura del pappagallo variopinto sul trespolo che domina il primo

piano di quest’opera. Nello zoo di Colonia Macke realizzò ulteriori studi, che fecero da

base non solo per questo lavoro, ma anche per il trittico Grande giardino zoologico del 1913.

Le intense tonalità cromatiche, accostate a coppie di contrasti caldo/freddo e luminoso/buio sono combinate per raggiungere una grande densità strutturale. La nota più importante è data dal pappagallo sul trespolo, le cui piume risplendono di luminosi colori primari. La sapiente composizione dimostra la conoscenza delle opere di Delaunay, poiché

echi di orfismo sono visibili nelle forme affilate e aperte presenti. I singoli elementi pittorici, come le stilizzate e monolitiche figure in bombetta sulla destra e

sulla sinistra, sono distribuiti in modo ritmico all’interno della composizione e si controbilanciano tra loro armoniosamente.

L’uomo isolatoo in primo piano, che accarezza un cervo sovradimensionato, funge da figura guida all’interno del quadro.

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August Macke, Grande giardino zoologico, 1913, olio su tela, Museum am Ostwall, Dortmund

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August Macke, Donna con giacca verde, 1913, olio su tela, Museum Ludwig, Colonia

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August Macke, Caffè turco, 1914, olio su tavola, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Il dipinto, che mostra l’interno del famoso Café des Nattes di Sidi Bou Said, ebbe numerosi schizzi e studi preparatori, incentrati su singoli particolari.

Nel dipinto a olio finale, questi particolari sono stati trascurati in favore di una generosa moltitudine di piani, per enfatizzare il potere del colore puro.

La figura dell’arabo seduto, con un abito verde brillante in contrasto con il fez rosso acceso, sembra ritagliata dalla superficie azzurra del muro della casa.

l verde luminoso si ripete nelle foglie stilizzate, che alludono alla lussureggiante vegetazione di fronte al caffè.

Il tavolo nei toni del grigio in primo piano accompagna l’occhio all’interno del quadro, in un movimento ottico che è temporaneamente

frenato dalla sedia giallo chiaro prima di proseguire sull’alta porta ad arco del caffe.

A creare tensione all’interno della composizione è la miscela di forme tondeggianti e spigolose.

Il vero soggetto, tuttavia, è il colore, che qui si dispiega in totale libertà, senza legarsi al soggetto figurativo.

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Franz Marc, Cavallo blu I, 1911, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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Cavallo blu I è tra le opere più note sia di Marc sia del Blaue Reiter come gruppo. Un puledro dipinto nei toni dell’azzurro, con la testa inclinata di lato con fare

meditativo, si staglia sullo sfondo di un paesaggio dai colori innaturali. La tavolozza contrastante — giallo, violetto, rosso, verde e blu — conferisce al dipinto un’atmosfera magica, fiabesca, rafforzata nell’angolo in basso a destra da una bizzarra

agave, pianta che non cresce alle latitudini in cui vive il pittore. In questo quadro il pittore ha compiuto il passo decisivo da un “colore dell’aspetto esteriore” al “colore della sostanza interiore”, poiché, partendo dalla tradizionale

pittura di animali é giunto a una (prima) figura che potremmo definire emblematica, un simbolo della “spiritualizzazione del mondo”.

Infatti il cavallo blu, che fa appello all’immaginario sognante formulato

dal romanticismo tedesco – da Friedrich a Novalis – simboleggiava la ricerca di un allentamento dei vincoli rispetto al piano materiale e alla gravita terrestre.

Incarna, come spiegò lo stesso artista nel 1914, “[…] il desiderio di essere indivisibile, la liberazione dalle illusioni della nostra vita effimera”.

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Franz Marc, I grandi cavalli azzurri, 1911, olio su tela, Walker Art Center, prestito T. B. Walker Foundation, Gilbert M. Walker Fund, Minneapolis, 1942

Page 55: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Franz Marc, Cavallo in un paesaggio, 1910, olio su tela, Museum Folkwang, Essen

Page 56: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Franz Marc, Tigre, 1912, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Il dipinto adotta ancora il vocabolario formale del cubismo ed è una delle opere più notevoli di Franz Marc.

La tela, grosso modo quadrata, è dominata dalla possente figura della tigre accucciata, che con i suoi contorni spigolosi pare quasi scolpita

nella pietra.

Sempre all’erta a ogni segno di turbamento, ha girato il capo con un movimento brusco e tiene i grandi occhi, illuminati da un bagliore selvaggio, fissi su un obiettivo a noi invisibile. La forma cubista del suo corpo si fonde con il contesto in cui e immersa, che subisce anch’esso un trattamento cubista, e va a formare un tutto indissolubile, in cui non sono più distinguibili (né devono esserlo) organico e inorganico.

Page 57: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Franz Marc, Cerva nel giardino di un monastero, 1912, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Ancora più che nei quadri precedenti, come Tigre del 1912, gli elementi pittorici sono stati frammentati in singole, sottili sfaccettature accostate l’una all’altra e riassemblate in nuove strutture compositive.

Al centro della composizione si trova la cerva, distintamente riconoscibile nella sua forma naturale, il cui capo sollevato coincide con un’astratta figura geometrica.

Si è girata per osservare l’opaca sfera lunare che, nonostante il blu e l’arancione circostanti, rappresenta l’elemento più calmo del paesaggio, per il resto pervaso da un senso di tensione cui contribuiscono i suoi componenti e la

gamma cromatica.

I riquadri colorati sfaccettati ricordano i dipinti dei futuristi italiani, che Marc aveva avuto modo di vedere per la prima volta quello stesso anno nel catalogo di

una mostra tenuta in maggio alla galleria Sturm.

Page 58: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Franz Marc, Il mulino incantato, 1913, olio su tela, The Art Institute of Chicago, Chicago

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Dall’estate del 1912 in poi, Marc si diede un nuovo obiettivo artistico: dipingere l’essenza degli animali e della natura non bastava più, preferiva

guardare attraverso e oltre il mondo degli oggetti alle segrete relazioni nascoste soggiacenti. Per una fortunata coincidenza, nell’ottobre 1912 —

proprio nel periodo in cui andava cercando un nuovo mezzo espressivo – andò a Parigi a far visita al pittore francese Robert Delaunay ed

ebbe modo di vedere la sua serie Finestre. Nell’opera, cinque uccellini sembrano come congelati da un incantesimo nel

flusso cristallino di una cascata, che precipita da una stretta canaletta nell’angolo in alto a destra del quadro.

Nonostante gli evidenti ricordi del paesaggio tirolese, come la ruota del mulino che si staglia di fronte alle alte case medievali, tutta la composizione

trasuda una sorta di vago distacco dalla natura, creato dalla sfumatura cristallina e dalla rifrazione prismatica delle forme pittoriche.

Il paesaggio sembra come immobilizzato da un tocco di bacchetta magica, cristallizzato, una metafora che indica la sospensione del

tempo.

Page 60: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Franz Marc, Uccelli, 1914, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Page 61: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Franz Marc, La povera terra del Tirolo, 1913, olio su tela, The Solomon R. Guggenheim Museum, New York

In un cupo paesaggio grigio, due cavalli affamati stanno pascolando in mezzo a un desolato squarcio di campagna, in cui è deliberatamente inclusa una stazione doganale che segna il confine austro-ungarico.

Il mondo alpino, rappresentato in altri quadri come molto imponente, ha qui lasciato il posto soltanto a poche tozze e grigie montagne coniche sullo sfondo, che ricordano vulcani estinti.

Solo l’aquila posata su un ramo, sulla destra, orgoglioso simbolo di vittoria, e l’arcobaleno che risplende alle sue spalle puntano a un altro tempo e un altro luogo, ancora una volta simbolicamente rappresentato dalle sfumature cristalline dello sfondo.

Page 62: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Franz Marc, Tirolo, 1914, olio su tela, Pinakothek der Moderne, Monaco

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Franz Marc, Forme in lotta, 1914, olio su tela, Pinakothek der Moderne, Monaco

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Negli ultimi mesi prima dello scoppio della guerra, Marc dipinse una serie di quattro

grandi tele astratte: Forme giocose, Forme felici, Forme distrutte e Forme in lotta. In questa fase finale della sua carriera, era convinto della “bruttezza

della natura” e si era liberato del motivo animale. Ora l’astrazione sembrava l’unico modo adeguato per rappresentare il puro essere spirituale: per questo Forme in lotta non illustra più la ciclicità delle

forze della natura ma pensieri filosofici sull’astrazione che tuttavia rivelano un legame

molto concreto con la realtà. In Forme in lotta si scontrano due figure in totale opposizione tra loro:

un’aggressiva forma rossa si sta lanciando da sinistra contro una forma blu scuro, la quale, oramai addossata al bordo della composizione, si sta chiudendo su se stessa

per raccogliere nuove forze. La forma rossa è a sua volta sotto assalto da parte di frecce gialle. Nonostante la semplice leggibilità della composizione

formale, vi sono diverse interpretazioni. La maggior parte dei critici tende a credere che il quadro rappresenti la lotta

tra luce e buio: calore, luce e vita, rappresentati dalla forma rossa, contro freddo, buio e morte, la forma blu.

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Franz Marc, Forme distrutte, 1914, olio su tela, The Solomon R. Guggenheim Museum, New York

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Vasilij Kandinskij, Vita variopinta, 1907, tempera su tavola, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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In questa tela, che rappresenterà l’ultimo dei suoi dipinti poetici e fiabeschi, Kandinskij intendeva rappresentare il ricco spettro della vita quotidiana nella (Vecchia) Russia: voleva sottolineare aspetti religiosi,

come la morte e la Resurrezione, oltre ai piccoli piaceri della vita secolare — tutti temi che riapparvero

nelle sue opere successive. La distribuzione libera delle figure all’interno del quadro, il fatto di

sovrapporle per creare un piano superficiale uniforme, le pennellate fluide e i tocchi di colore, già ampliamente privi di legami con il mondo degli oggetti,

nel complesso indirizzano verso un accresciuto desiderio di astrazione. Come scriverà in seguito, Vita variopinta rappresenta per l’artista un passo

verso un nuovo mezzo di espressione formale come poi spiegherà egli stesso nei suoi scritti: “In Vita variopinta, dove il compito che mi affascinava di più

era creare una confusione di masse, macchie di colore e linee, ho adottato una visione ‘a volo d’uccello’ per poter sovrapporre le figure”.

Page 68: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Vasilij Kandinskij, Kochel – cimitero e canonica, 1909, olio su cartoncino, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Page 69: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Vasilij Kandinskij, Montagna, 1909, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

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Vasilij Kandinskij, Impressione III (Concerto), 1911, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Page 71: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Vasilij Kandinskij, Improvvisazione 19, 1911, olio su tela, Stadtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco

Page 72: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Vasilij Kandinskij, Con arco nero, 1912, olio su tela, Musee Narional d’Art Moderne, Centre Pompidou, Parigi

Page 73: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Vasilij Kandinskij, Piccole gioie, 1913, olio su tela, The Solomon R. Guggenheim Museum, New York

Page 74: Università della Terza Età Cinisello Balsamo · Claude Monet, Covoni, fine dell’estate, 1891, olio su tela, Musee d’Orsay, Parigi. Marianne von Werefkin, Autoritratto I, 1910

Vasilij Kandinskij, Composizione VII, 1913, olio su tela, State Tretyakov Gallery, Mosca