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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLAFORMAZIONE PRIMARIA Sede di Trieste UNA PROPOSTA SOCIOCULTURALE PER GLI INSEGNANTI: IL PROGETTO ARAL IN UNA CLASSE QUARTA DI SCUOLA PRIMARIA. LAUREANDA RELATORE Celeste BRAGATO Dott.ssa Cristina ROIAZZI CORRELATORE Dott. Paolo SORZIO AnnoAccademico 2012 – 2013

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA

Sede di Trieste

UNA PROPOSTA SOCIOCULTURALE PER GLI INSEGNANTI:

IL PROGETTO ARAL IN UNA CLASSE QUARTA DI SCUOLA PRIMARIA.

LAUREANDA RELATORE

Celeste BRAGATO Dott.ssa Cristina ROIAZZI

CORRELATORE

Dott. Paolo SORZIO

Anno Accademico 2012 – 2013

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INDICE

INTRODUZIONE 4

1. LE INDICAZIONI NAZIONALI PER IL CURRICOLO

DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL PRIMO CICLO

DELL’ISTRUZIONE

9

1.1 L’analisi del documento 9

1.2 Lo sfondo pedagogico 13

1.3 L’apprendimento 15

1.4 I modi per apprendere 18

1.5 Gli obiettivi di apprendimento ed i traguardi per lo sviluppo

delle competenze

19

1.6 Il concetto di competenza 21

1.7 L’analisi di un aspetto disciplinare: l’apprendimento della

Matematica

22

1.8 Lo scenario internazionale ed europeo quale sfondo alle

Indicazioni

24

2. IL COSTRUTTIVISMO SOCIO-CULTURALE 30

2.1 Le origini filosofiche: dal pensiero oggettivista al pensiero

costruttivista

30

2.2 Il paradigma costruttivista 33

2.3 Il Costruttivismo di Vygotskij 34

2.3.1 La relazione tra cultura e aspetto cognitivo 34

2.3.2 La Zona di Sviluppo Prossimale 35

2.3.3 L’apprendimento come attività cooperativa 36

2.3.4 Il linguaggio come strumento culturale e psicologico 38

2.4 Il Costruttivismo sociale e l’approccio culturale-situato:

verso il Costruttivismo socio-culturale

39

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2.5 Il Costruttivismo socio-culturale 42

2.5.1 La relazione tra apprendimento ed interazioni sociali 43

2.5.2 Il Costruttivismo socio-culturale a scuola: l’interazione in

classe

43

L’interazione insegnante-allievo 44

L’interazione tra allievi: l’apprendimento cooperativo 46

2.5.3 Ulteriori studi sull’apprendimento cooperativo: la

delineazione dell’Exploratory Talk

47

2.5.4 Regole base ed indicatori linguistici dell’Exploratory

Talk

49

2.6 Una co-costruzione di conoscenza matematica: il progetto

ArAl

51

2.6.1 L’Early Algebra 51

2.6.2 Aspetti Metodologici 53

Il contratto didattico 53

La discussione sui temi matematici 53

L’interpretazione delle produzioni degli allievi 54

2.6.3 Le finalità 54

Costruzione collettiva dei significati 54

Il balbettio algebrico 55

Processo e prodotto 55

La matematica come linguaggio 56

2.7 Descrizione del progetto ArAl in una classe quarta di scuola

primaria

57

2.7.1 La prima esperienza ArAl 58

2.7.2 L’ultima esperienza ArAl 62

2.7.3 Alcune considerazioni 67

3. L’INDAGINE 69

3.1 Il quadro teorico 69

3.2 Gli obiettivi dell’indagine 70

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3.3 I soggetti coinvolti 72

3.4 La metodologia 72

3.4.1 I materiali 72

3.4.2 La procedura 74

3.4.3 L’analisi dei dati 76

1 L’analisi qualitativa delle interviste all’insegnante 76

Categorizzazione e confronto tra intervista a priori

e a posteriori sui vari nuclei tematici

76

2 L’analisi qualitativa delle interviste agli alunni 84

Categorizzazione e confronto tra intervista a priori

e a posteriori sui vari nuclei tematici

84

3 L’analisi delle videoregistrazioni 93

Categorizzazione e confronto delle azioni

dell’insegnante

95

Categorizzazione e confronto delle azioni degli

allievi

102

Azioni dell’insegnante e reazioni degli allievi 103

Ulteriori rilievi e spunti di riflessione 105

3.5 Considerazioni riassuntive 106

CONCLUSIONI 109

BIBLIOGRAFIA 115

ALLEGATI

1. Le interviste alla docente 122

2. Le interviste agli alunni 124

3.Gli scambi diretti tra alunni 125

4. Le possibili riproduzioni delle azioni verbali della docente 133

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INTRODUZIONE

In questo lavoro di tesi si è voluto rappresentare la realtà di una classe quarta di

scuola primaria facendo attenzione alle azioni messe in atto dalla docente e alle

relative reazioni degli allievi nell’approcciare, nell’attuare, nel comprenderne le

potenzialità e nel motivare un giudizio in merito ad una serie di esperienze co-

costruttive legate alla proposta innovativo-metodologica del progetto ArAl.

L’oggetto di indagine di questo studio nasce quindi da un’opportunità offertami,

nell’ottobre del 2012, dall’insegnante a cui ero stata affiancata durante il tirocinio di

quarto anno. In quanto insegnante di matematica, essa mi informa di partecipare da

alcuni anni ai corsi di formazione e di aggiornamento per il progetto ArAl, percorso

destinato agli insegnanti e a cui aderiscono diversi Istituiti Comprensivi della città di

Trieste. La stessa mi offre la possibilità di prendere parte agli incontri previsti tra il

gennaio e l’aprile del 2013 ed io, spinta da curiosità, interesse e desiderio di ulteriore

formazione e specializzazione, accetto senza dubitare.

A questa mia partecipazione in prima persona, si aggiunge la possibilità di poter

osservare l’insegnante all’opera durante l’attuazione di ArAl in classe e, proprio da

ciò, ha avvio la spinta principale verso il lavoro di tesi messo in atto in seguito.

La mia indagine parte allora riscontrando nelle iniziali parole della docente la

dedizione ed il coinvolgimento con cui essa si approccia alla proposta: mi parla di

attività interattive e dialogiche e di situazioni-problema, non usuali e stimolanti,

mirate ad avvicinare gli allievi ad un tipo di ragionamento e di linguaggio quanto più

prossimi all’algebra. Nonostante tale prima ed entusiastica presentazione, percepisco

la necessità di possedere ulteriori strumenti per poter leggere e comprendere quanto

proposto, per poterlo classificare e, quindi, collocare, in maniera autonoma.

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In procinto di partire per questo nuovo percorso di formazione, mi sono allora posta

il quesito: “Quali sono le finalità, le metodologie e gli obiettivi di fondo che il

progetto ArAl propone?” Trovo così le prime risposte nella consultazione del

“Quadro teorico di riferimento”1, testo proposto anche agli insegnanti partecipanti

Da questa iniziale analisi, mi è chiaro, ad esempio che tra le finalità che si prefigge,

trovi spazio una costruzione collettiva dei significati, un’attenzione al processo di

apprendimento più che al prodotto che questo determina e che, tra gli aspetti

metodologici da mettere in atto, esso punti invece, all’importanza della discussione

sui temi matematici.

In seguito, ricerco in letteratura ulteriori articoli stesi dagli iniziatori di tale proposta:

Giancarlo Navarra e Nicolina Malara. Da questa analisi, colgo, ad esempio, la

visione di insegnante promossa da essi: un docente che sappia creare ambienti di

apprendimento volti a favorire l’esplorazione matematica degli alunni, che sappia

scegliere le strategie comunicative più adatte a supportare l’interazione tra questi,

che si muova per portarli alla formulazione e alla condivisione di idee. Un insegnante

che sia, infine, un “orchestratore di discussioni”.2

Queste premesse, mi permettono allora, di riscontrare alcune dirette analogie con

quanto espresso dalle Indicazioni nazionali per il curricolo: il processo di

apprendimento inteso come costruttivo, interattivo e collaborativo, la significatività

delle esperienze educative e del contesto entro cui esse avvengono, la centralità delle

produzioni e dei contributi dei singoli alunni al fine di giungere ad una conoscenza

comune, co-costruita e quindi autentica. Le stesse premesse mi hanno fornito poi la

1 Malara N. A., Navarra G. (2003), Progetto ArAl: Quadro teorico di riferimento e glossario,

Bologna, Pitagora Editrice. 2 Malara N. A., (2008) “Methods and tools to promote a socio-constructive approach to mathematics

teaching in teachers”, in B. Czarnocha, Handbook of Teaching Research, Rzeszów, University of

Rzeszów press.

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chiave per inquadrare, più in generale il progetto all’interno della corrente teorica del

Costruttivismo socio-culturale.

Riconosciuti dunque i primi legami di ArAl sia con quanto espresso a livello

ministeriale, sia con i riferimenti teorici trovati nella letteratura, decido allora di

approfondire ancor più la mia analisi e di dare inizio vero e proprio al mio studio.

Colta allora l’opportunità a cui accennavo sopra legata al poter osservare l’operato

della docente durante l’esperienza ArAl, decido di focalizzare la mia attenzione sulla

co-costruzione di conoscenza, su come l’insegnante utilizzi il progetto ArAl per

condurre gli alunni a questa e come essi stessi colgano e poi attuino comportamenti

ad essa riferibili.

Ho allora articolato il testo in questione in tre differenti capitoli, di cui, i primi due

concorrono a spiegare, approfondire e legittimare il processo che ha guidato

l’indagine finale, che trova allora posto nella terza ed ultima sezione.

In prima istanza, vengono riprese le Indicazioni nazionali. Ho deciso di partire da

queste, proprio perché ritenute il documento principe a cui ogni insegnante, nella sua

azione quotidiana di ricerca di in classe, debba fare riferimento e perché, in questo

caso specifico, sono state da me utilizzate come strumento primo per misurare e dare

valore al progetto in questione. L’approfondimento attuato in questo primo capitolo

va allora ad analizzare in maniera generale il documento. Vengono colti, in particolar

modo, i concetti pedagogici (ad esempio, la centralità dell’allievo) che permettono di

orientare gli insegnanti verso un tipo di apprendimento costruttivo, socio-culturale e

situato, quale è poi sviluppato nell’indagine. Si prosegue con i modi e le situazioni di

apprendimento più funzionali a sviluppare negli alunni un’autenticità ed una

significatività delle conoscenze e si citano come esempio i lavori di gruppo e

l’apprendimento cooperativo, l’aiuto reciproco ed il tutoring, la problematizzazione,

l’esperienza diretta e la socializzazione in genere.

Trovano spazio inoltre un riferimento al concetto di competenza, filo rosso su cui

sono intessute le Indicazioni ed un ulteriore approfondimento riguardo

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l’apprendimento della matematica, specifica disciplina a cui mira il progetto ArAl. A

conclusione, si è poi voluto dare un’ultima, più ampia visione della linea educativo-

formativa intrapresa dall’Italia. Si è visto infatti come essa si collochi all’interno di

un attivo confronto a livello internazionale che, da alcuni anni a questa parte,

fornisce preziose indicazioni in materia di istruzione. Si è allora voluto ricostruire

brevemente il percorso che, tra le altre cose, ha portato oggi ad avere un Quadro

comune delle competenze-chiave europee per l’apprendimento permanente e a

condividere alcune, così definite, “soluzioni pedagogiche innovative”3.

L’analisi messa in atto da questo studio è poi proseguita focalizzando l’attenzione al

filone teorico a cui il progetto proposto fa diretto riferimento: il Costruttivismo

socio-culturale. Nel capitolo secondo trova allora spazio una ricostruzione filosofica

prima e pedagogica poi, delle origini di tale pensiero e delle varie tappe che hanno

portato alla sua fondazione. Vengono allora riportati i principali autori in merito e

viene approfondito, in particolare, il pensiero di Vygotskij4, il quale, con i suoi

costrutti di Zona di Sviluppo Prossimale e di mediazione culturale è divenuto il

principale riferimento per lo sviluppo del costruttivismo sociale. Quest’ultima

corrente riferisce infatti che le attività di apprendimento più efficaci siano situabili

all’interno di situazioni interattive. La genesi dello stesso Costruttivismo socio-

culturale viene poi individuata come integrazione tra la dimensione prettamente

sociale del costruttivismo sociale con quella culturale dell’approccio culturale-

situato. Il Costruttivismo socio-culturale si identifica allora per queste due distinte,

quanto interrelate caratteristiche. Entrambe risultano infatti necessarie al fine di

sviluppare conoscenze culturalmente, socialmente, temporalmente situate e

significative. Per indirizzare maggiormente l’attenzione al contesto scolastico,

vengono poi citate alcune ricerche in merito e vengono descritte le modalità

attraverso cui un tipo di apprendimento socioculturale può, a ragione, aver luogo. Si

3 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione: Realizzare uno spazio

europeo dell’apprendimento permanente, Bruxelles, 2001.

4 Vygotski L.S. (1978), Mind in society (trad. it. Il processo cognitivo, Torino, Boringhieri, 1987).

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individuano così l’interazione insegnante-allievo e l’apprendimento cooperativo. In

merito a quest’ultimo viene poi fatto riferimento alle ricerche empiriche dello

studioso inglese Neil Mercer5, nelle quali viene descritto un particolare modo di

utilizzare il linguaggio per ragionare, per condividere conoscenza, per discutere e

giungere ad un accordo: l’Exploratory Talk. A fine del secondo capitolo, trova poi

posto una sezione dedicata al progetto ArAl, che viene, prima, presentato

dettagliatamente nelle sue finalità, metodologie e nei suoi obiettivi, e, in seguito,

viene descritto il modo in cui esso è stato proposto in classe nelle giornate sotto

analisi. Si ritiene che ciò possa permettere quindi una contestualizzazione ed una

comprensione maggiore dell’indagine poi effettuata.

Considerate allora le Indicazioni nazionali, approfondita la teoria di riferimento,

visionate finalità, metodologie ed obiettivi del progetto ArAl, e colta la trasversale

importanza data alla costruzione collettiva di conoscenza al fine di sviluppare negli

allievi apprendimenti significativi, ho quindi steso la mia personale indagine e, come

anticipato, l’ho fondata su due obiettivi specifici. Il primo, focalizzato sulla figura

della docente, voleva indagare come essa si preparasse in generale a tale progetto. Si

sono voluti allora analizzare sia gli aspetti professionali ed emotivi, sia le sue

intenzioni, le aspettative, le sue azioni concrete e le finali considerazioni in merito a

come era avvenuta l’interazione tra alunni e a cosa, in generale, era emerso. Il

secondo obiettivo è stato invece focalizzato sugli allievi. Si è dapprima riscontrato se

vi fosse una loro presa di coscienza riguardo le potenzialità di una modalità co-

costruttiva di apprendere; si è visto se vi fossero o meno cambiamenti rispetto a

questa loro percezione prima e dopo l’attività ArAl, quali comportamenti visibili

mettevano in atto in tali interattive situazioni e quale giudizio di valore davano

all’esperienza fatta.

5 Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, 9 (5).

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All’interno del terzo capitolo trova allora spazio la descrizione della metodologia con

cui è stata svolta l’indagine: la descrizione dei materiali, la procedura e l’analisi dei

dati. Per quanto riguarda la procedura, al fine degli obiettivi sopra descritti, ho allora

stilato e poi proposto un’intervista a priori ed una a posteriori sia all’insegnante sia

agli alunni, ho poi videoregistrato quanto realmente accaduto durante l’attività ArAl

proposta ed, infine, al termine di ogni giornata, ho raccolto le impressioni ‘a caldo’

dell’insegnante. Tra le considerazioni finali tratte dai dati raccolti vi è, ad esempio, la

constatazione di un agire della docente volto a sviluppare negli alunni conoscenze

costruite collettivamente. Ciò viene confermato dalla classificazione delle sue azioni

secondo lo schema di ‘regole base’ proposto da Mercer5. Da questo suo modo di

agire, si evidenziano poi i specifici e relativi comportamenti messi in atto dagli

alunni. Si registra ad esempio, un aumento degli scambi dialogici diretti tra loro, non

mediati dall’insegnante. Anche i loro interventi si sono resi poi categorizzabili

secondo un ulteriore schema proposto dall’autore inglese, altro indice di un’avvenuta

esplorazione interattiva dei concetti. Dall’analisi delle interviste fatte agli stessi

allievi, si coglie infine una loro percezione sia delle potenzialità date da un

apprendimento cooperativo, sia della specifica situazione interattivo-dialogica

vissuta con ArAl. In ultima istanza, sia gli alunni che l’insegnante decretano la

positività dell’esperienza ed attribuiscono le motivazioni di ciò alla problematicità

della situazione proposta e alla socializzazione innescata per arrivare alla soluzione.

Lo studio, nel suo insieme, mi ha quindi permesso sia di dare ulteriore valore alla

figura professionale dell’insegnante, sia di ribadire la necessità di un tipo di

apprendimento che, partendo dai bisogni del singolo allievo, sia strutturato in

ambienti costruttivi e socioculturali al fine di sviluppare conoscenze significative.

Viene ribadito allora quanto si trova scritto nelle Indicazioni nazionali e nella teorie

psicopedagogiche prese come riferimento in quest’analisi.

5 Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, 9 (5).

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In ultima istanza voglio qui stendere alcune considerazioni in merito allo studio fatto.

Consapevole della limitata durata temporale dell’attività ArAl osservata e della

presenza di variabili non controllate, ritengo che tale lavoro possa essere considerato

come un’indagine, un’osservazione qualitativa di una particolare esperienza

proposta. D’altro canto, considero che la procedura con cui esso è stato svolto, possa,

in qualche modo avvalorane i risultati ottenuti. Infatti, al fine dell’analisi degli

obiettivi sopra citati è stata effettuata, per quanto possibile, quella che Trinchero, nel

descrivere una situazione di ricerca interpretativa, definisce una “triangolazione”6 di

fonti informative, di metodi, di teorie al fine della raccolta e della lettura dei dati. In

questa situazione, in particolare, sono stati congiunti tra loro più punti di vista: le

interviste fatte agli alunni prima e dopo ArAl e quelle rivolte allo stesso modo

all’insegnante. Queste ultime sono poi state intrecciate con alcune considerazioni

rilasciate ‘a caldo’ dalla stessa docente al termine di ogni attività e, infine, quanto

avvenuto concretamente in aula è stato analizzato previa videoregistrazione. Non

sono allora stati descritti solo dei comportamenti in sé, ma si sono utilizzate le varie

osservazioni raccolte per ricostruire ed indagare le possibili cause che li avevano

determinati. Faccio riferimento, in questo caso, alla finale comparazione tra le azioni

dell’insegnante e le reazioni degli alunni, nate da miei specifici interrogativi a

riguardo.

Considero infine l’intero lavoro svolto e la significatività dati raccolti, utili, in primo

luogo a me stessa ed alla delineazione della mia figura professionale. Alla luce di

questo, posso oggi ritenere di aver approfondito quell’atteggiamento di ricerca

richiesto agli insegnanti nelle loro azioni sul campo e concludo con un pensiero dello

stesso Roberto Trinchero in merito: “Osservare gli eventi, dialogare con gli attori

coinvolti, cogliere gli elementi rilevanti di una data realtà educativa, saper ‘leggere’

e analizzare le situazioni e trarne spunti operativi deve far parte del loro modo di

essere e costituire uno degli elementi distintivi della loro professionalità.”6

6 Trinchero R. (2004), I metodi della ricerca educativa, Bari, GLF Editori Laterza.

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1.

LE INDICAZIONI NAZIONALI PER IL CURRICOLO DELLA SCUOLA

DELL’INFANZIA E DEL PRIMO CICLO DELL’ISTRUZIONE 2012

“La finalità generale della scuola è lo sviluppo armonico e integrale della

persona, all’interno dei principi della Costituzione italiana e della tradizione

culturale europea, nella promozione della conoscenza e nel rispetto e nella

valorizzazione delle diversità individuali, con il coinvolgimento attivo di studenti

e famiglie.”

Indicazioni nazionali per il curricolo 20127.

1.1 L’analisi del documento

Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo

dell’istruzione, rappresentano il principale strumento a cui la scuola italiana attuale

deve fare riferimento per elaborare la sua progettazione curricolare.

In esse vengono esplicitati: gli obiettivi generali del processo formativo, gli obiettivi

di apprendimento ed i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze per ciascun

campo di esperienza o disciplina che gli allievi, dai 3 ai 14 anni, devono raggiungere

alla fine del loro percorso scolastico.

In linea con la normativa sull’Autonomia scolastica (D.P.R. 275/99)8, tale

documento lascia poi alle comunità professionali di ogni scuola le scelte per quanto

7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012.

8 D. P. R. 275/99, Regolamento dell’autonomia delle Istituzioni scolastiche, Roma, 1999.

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riguarda contenuti, metodi di lavoro, organizzazione e valutazione, pur richiamando

alla coerenza con i traguardi formativi previsti. Diversamente quindi dai più

prescrittivi Programmi nazionali (superati in via definitiva proprio con la legge

sull’Autonomia scolastica), con le linee offerte dalle Indicazioni si vuole dotare gli

istituti di un maggiore potere decisionale riguardo il servizio da erogare, in accordo

con le loro presenti e specifiche risorse umane e territoriali.

Il curricolo di ogni scuola deve allora essere pensato facendo riferimento al

documento ministeriale per quanto riguarda il profilo dello studente, i traguardi per

lo sviluppo delle competenze, gli obiettivi di apprendimento specifici per ogni

disciplina e deve venir poi integrato, arricchito e personalizzato dalle varie comunità

dei docenti. Questi ultimi, in quanto professionisti di educazione e didattica e in

relazione a bisogni e risorse dei contesti in cui si trovano a operare, individuano le

esperienze di apprendimento più efficaci, le scelte didattiche più idonee e le strategie

più significative da proporre agli studenti che costituiscono quella determinata

comunità. L’unitarietà del curricolo sarà data allora sia da una componente centrale,

sia da una locale e troverà esplicito spazio all’interno del Piano dell’Offerta

Formativa: carta di identità propria di ogni singolo istituto.

Ridefinendo quindi cosa siano le Indicazioni nazionali si può a giudizio sostenere

che esse siano degli orientamenti, dei suggerimenti, delle ispirazioni al lavoro dei

docenti e non certo norme, comandi o ordini da applicare. Esse sono pensate per

essere strumenti utili che, da una parte stabiliscono un’uniformità di trattamento a

livello nazionale e dall’altra permettono una specificità dei curricoli scolastici.

Le ragioni di una così forte de-centralizzazione e della maggiore autonomia di azione

data alle singole istituzioni scolastiche, si possono trovare nella necessità di costituire

dei piani di formazione e di educazione ad hoc per ogni singolo gruppo di allievi, per

permettere un’acquisizione di conoscenze attraverso esperienze significative che

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siano percepite come reali e rispondenti a bisogni concreti ancorati ad un contesto

specifico di provenienza.

La complessità del paesaggio educativo attuale, specchio di una società vincolata da

cambiamenti e discontinuità, valori e disvalori, opportunità e rischi, legittima ancor

più un modo di fare scuola fortemente interrelato alle singole situazioni locali, ai

bisogni e alle richieste delle diverse comunità. In quest’ottica, resta centrale la

formazione e lo sviluppo di identità consapevoli e aperte nei principali fruitori di tale

servizio: gli allievi.

1.2 Lo sfondo pedagogico

La definizione del curricolo pone poi una questione ancor più rilevante per ogni

singola istituzione scolastica: la fondazione pedagogica.

In merito a ciò, le Indicazioni fanno riferimento a quanto già espresso dalla

normativa sull’Autonomia e dalla Costituzione rifacendosi quindi ad una cornice di

pensiero che da alcuni anni caratterizza la scuola italiana. Dal D.P.R 275/99 si legge

infatti: “l’autonomia delle istituzioni scolastiche si sostanzia nella progettazione e

nella realizzazione di interventi di educazione, formazione, e istruzione mirati allo

sviluppo della persona umana” 8 e viene definito così il primo e principale principio

educativo: la centralità del soggetto che apprende. Questi, con la sua articolata

individualità, con la sua rete di relazioni, con la sua appartenenza sociale, regionale,

etnica, culturale, religiosa è posto al centro dell’intera azione educativa. A partire dai

suoi personali e specifici bisogni, dai suoi interessi, dalle sue potenzialità verranno

ideati percorsi di apprendimento atti allo sviluppo di tutte le sue dimensioni

costitutive, siano esse cognitive, affettivo-emotive, relazionali, estetiche, etiche,

spirituali, religiose. I docenti dovranno allora “pensare e realizzare i loro progetti

educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora,

8 D. P. R. 275/99, Regolamento dell’autonomia delle Istituzioni scolastiche, Roma, 1999.

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che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di

significato”7. Questa attenzione al singolo, deve poi essere intesa come un’attenzione

ai singoli inseriti in un preciso contesto interattivo e sociale come quello del gruppo

classe. La formazione di importanti legami di gruppo e di un clima positivo in cui

scambiare, condividere, costruire conoscenza sono intese infatti come condizioni

indispensabili per il pieno sviluppo della personalità di ognuno.

Altro aspetto pedagogico-antropologico che caratterizza la scuola italiana di oggi è il

richiamo al concetto di cittadinanza. In linea con quanto espresso a livello europeo

riguardo l’apprendimento permanente9, vengono delineati alcuni aspetti ritenuti

fondamentali per la costruzione di una comunità migliore a livello globale. Nello

specifico, il riferimento è alla promozione e allo sviluppo di situazioni di

apprendimento sociali e interattive poiché “ognuno impara meglio nella relazione

con gli altri”7. La spinta che deve venire dal sistema educativo è allora mirata

all’utilizzo e alla diffusione di pratiche sociali, quali possono essere l’ascolto, il

confronto, il raggiungimento di accordo, il rispetto, ecc. Queste pratiche, se utilizzate

consapevolmente anche al di fuori delle mura scolastiche, potranno permettere ai

futuri cittadini non solo di convivere in una società, ma di partecipare attivamente e

consapevolmente “alla costruzione di collettività sempre più ampie e composite,

siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale” 7. Lo scenario mutato

e ormai eterogeneo delle diverse culture e identità oggi presenti in Italia, rende ancor

più necessario questo dialogo e confronto. Partendo dalla presa di coscienza delle

tradizioni e delle memorie nazionali di ogni studente, si intende dunque procedere

verso la valorizzazione di queste, verso l’arricchimento che ne può essere tratto, fino

ad arrivare ad una vera e propria educazione ad una “cittadinanza unitaria e plurale

ad un tempo” 7 .

7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012. 9 Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, Raccomandazione del parlamento europeo

e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, 2006.

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15

Ulteriore aspetto pedagogico che può arricchire la riflessione in merito ai compiti che

l’istituzione scolastica deve proporsi di attuare all’interno del contesto attuale, si

trova nel richiamo alla scuola come comunità educante che accoglie e valorizza

appieno la persona. In quanto tale, “la scuola genera una diffusa convivialità

relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, ed è anche in grado di

promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri di una società

come parte di una comunità vera e propria. La scuola affianca al compito

‘dell’insegnare ad apprendere’ quello ‘dell’insegnare ad essere’”7. Questo

insegnare ad essere, in alleanza con le famiglie (laddove queste riescano a svolgere

appieno il loro ruolo educativo), prevede così di educare gli allievi alle regole del

vivere e del convivere, accompagnandoli inoltre a fare scelte consapevoli e ad

assumersi le proprie responsabilità nell’ottica della formazione di un loro primo

personale progetto di vita, coerente con i valori della specifica comunità di cui sono

membri.

1.3 L’apprendimento

Riprendendo il documento ministeriale in merito, si trova scritto di un

“apprendimento nel quale le conoscenze non sono, per l’alunno, oggetto di un

immagazzinamento meccanico e di un accomodamento che semplicemente le

connetta alle acquisizioni precedenti, ma il risultato di processi complessi di

interiorizzazione e rielaborazione” 7

. Un primo rilievo è dunque osservare come

l’attenzione sia posta, in generale, sull’intero processo di apprendimento, non solo e

non più sul prodotto da questo scaturito.

Affinché questo processo possa essere definito significativo per gli allievi, è

necessario che rispecchi alcune caratteristiche che, integrando quanto si trova nella

7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012.

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lettura delle Indicazioni con le direzioni più recenti della ricerca psicopedagogica,

permettano di definirlo come: costruttivo, socioculturale e situato10

.

Con il definire costruttivo l’apprendimento, si vuole, in primis, denotare tale

processo come regolazione tra strutture mentali nuove e pregresse, affidando un

ruolo consapevole ed attivo all’allievo. Non vengono semplicemente immagazzinate

informazioni, né viene riempito un ‘contenitore vuoto’, ma il sapere viene

continuamente messo in gioco, rivisto e rielaborato da degli alunni che, oltre a saper

e poter agire, devono allora essere mossi da una motivazione ad agire11

. Emerge così

anche il carattere dinamico ed intenzionale dell’intero processo apprenditivo. La

scuola allora deve promuovere “un percorso di attività nel quale ogni alunno possa

assumere un ruolo attivo nel proprio apprendimento, sviluppare al meglio le proprie

inclinazioni, esprimere le curiosità, riconoscere ed intervenire sulle difficoltà,

assumere sempre maggiore consapevolezza di sé, avviarsi a costruire il proprio

progetto di vita” 7.

Definendo poi l’apprendimento con l’attributo socioculturale, si intende sottolineare

il carattere collaborativo della costruzione di conoscenza. L’interazione e la

negoziazione sociale, portando con sé tutti gli artefatti culturali che le

contraddistinguono (linguaggio, strumenti culturali, ecc.), divengono allora situazioni

adatte a facilitare e sviluppare la costruzione dei significati. E’ “attraverso la parola

e il dialogo tra interlocutori che si rispettano reciprocamente, infatti, che si

costruiscono significati condivisi e si opera per sanare le divergenze, per acquisire

punti di vista nuovi, per negoziare e dare un senso positivo alle differenze così come

per prevenire e regolare i conflitti” 7.

Descrivere poi l’apprendimento come situato, significa delineare il contesto specifico

entro cui esso si sviluppa e, a partire da questo, proporre compiti autentici e reali agli

10 Castoldi M. (2011), Progettare per competenze, Roma, Carocci.

11 Le Boterf, (2008) Costruire le competenze individuali e collettive, Napoli, Guida.

7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012.

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allievi, innescando in loro pratiche riflessive ed auto-riflessive. Si tratta allora di

“elaborare gli strumenti di conoscenza necessari per comprendere i contesti

naturali, sociali, culturali, antropologici nei quali gli studenti si troveranno a vivere

e operare”7.

Quest’ultimo passaggio mette in luce un’ulteriore, quanto fondamentale,

caratteristica dell’apprendimento: la componente metacognitiva. Per svilupparla

appieno è necessario allora intraprendere quello che è l’insegnare a pensare,

l’insegnare ad apprendere e, tradotto dal punto di vista dell’alunno, l’apprendere ad

apprendere. Ciò si ricollega a quanto detto in merito al carattere dinamico,

costruttivo e intenzionale dell’apprendimento e al pensiero strategico, flessibile ed

esplorativo che esso vuole sviluppare. Infatti, il portare gli alunni alla risoluzione di

situazioni complesse, tramite confronto e continua ricerca di alternative, li induce a

riflettere, a rivedere il processo e a rivedersi mentre lo attuano, andando così a

sviluppare ancor più la loro componente metacognitiva. In questa situazione, una

funzione nuova viene attribuita all’errore12

: non più espressione di

un’incomprensione, di uno sbaglio, ma segnale del percorso cognitivo che l’alunno

sta affrontando e fonte sia per l’insegnante che per l’allievo di importanti

informazioni. L’insegnante saprà comprendere cosa sta accadendo nella mente

dell’allievo e saprà re-indirizzarlo nuovamente, senza tuttavia sostituirsi a lui, alla

risoluzione del problema (o della situazione complessa), mentre l’alunno, compreso

che qualcosa nel suo percorso logico non ha funzionato, saprà mettere in atto

strategie cognitive diverse che gli permetteranno di non ripetere lo stesso errore.

L’errore quindi inteso come ulteriore possibilità per imparare.

7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012. 12 Fiorin I., (2007) Programmi, Indicazioni, Curricolo, http://www.uciim.altervista.org/FIORIN.pdf

(24 gennaio 2014)

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1.4 I modi per apprendere

Preso atto che la scuola non è più “fonte di informazioni ma è fonte di elaborazione

sia per quello che dicono i bambini come singoli, sia per quello che dicono come

gruppo”13

, apprendere allora significa rielaborare in maniera personale le

conoscenze, negoziare e confrontare il proprio punto di vista con quello di altri,

essere capaci di rivedere la propria esperienza. Una buona scuola primaria e

secondaria di primo grado allora “si costituisce come un contesto idoneo a

promuovere apprendimenti significativi e a garantire il successo formativo per tutti

gli alunni”7.

Per attuare ciò la scuola, in quanto contesto principale in cui il processo di

apprendimento si sviluppa, deve porre grande attenzione alla relazione educativa ed

ai metodi didattici capaci di attivare pienamente le energie e le potenzialità di ogni

bambino e ragazzo. Devono allora essere superate le modalità espositive di una

didattica trasmissiva che si limita a far passare agli alunni informazioni rispetto alle

varie discipline, che tralascia di ascoltare i loro interessi e bisogni, che non va ad

indagare le loro conoscenze in merito e non le sfrutta come possibili risorse, che dà

un ruolo marginale all’esperienza diretta, al dibattito, al confronto tra diversi punti di

vista. Ora ci si deve porre invece nell’ottica di una didattica e di un modo di fare

scuola quanto più vicini all’orientamento socio-costruttivo interattivo. Tale

approccio, di matrice vygotskiana, pone attenzione alla modalità co-costruttiva di

insegnamento-apprendimento e sottolinea la funzione dell’interazione sociale come

mediatore più funzionale al pieno sviluppo della persona12

. Questa convinzione

comporta una generale revisione dell’azione didattica ed un graduale decentramento

dell’insegnante. Dirette conseguenze di questo decentramento sono quindi:

13 Pontecorvo C. , (2012) Nuove indicazioni nella scuola,

http://www.youtube.com/watch?v=aEIRRW382vc&noredirect=1 (24 gennaio 2014)

7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012. 12

Fiorin I., (2007) Programmi, Indicazioni, Curricolo, http://www.uciim.altervista.org/FIORIN.pdf

(24 gennaio 2014)

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un’attenzione maggiore ai processi di costruzione collettiva dei significati e una

valorizzazione dei gruppi cooperativi. Le strategie didattiche più funzionali per

attuare ciò, risultano allora essere: l’aiuto e l’insegnamento reciproco, il tutoring,

l’apprendimento collaborativo, i giochi collettivi.

Un forte accento è poi posto sui contesti sociali dove hanno luogo tali attività e dove

“gli alunni vengono coinvolti nel pensare-realizzare-valutare lavori condivisi e in

cui la problematizzazione sollecita la messa in discussione delle mappe cognitive già

elaborate”14

.

Il carattere situato che questo approccio dà all’apprendimento comporta quindi anche

una rivalutazione dell’importanza data alla classe. Questa viene identificata allora sia

come ambiente di apprendimento, sia come micro-contesto in cui vengono

valorizzate le esperienze e le conoscenze degli allievi, vengono attuati interventi

adeguati in relazione alle diversità e ai differenti bisogni educativi, viene favorita

l’esplorazione, la scoperta, la problematizzazione ed il pensiero critico e riflessivo,

viene incoraggiato l’apprendimento collaborativo e tutte le ulteriori forme di

interazione e collaborazione legate alla dimensione sociale dell’apprendimento sopra

descritte, viene promossa in ognuno la consapevolezza del proprio e distintivo modo

di apprendere, vengono realizzate attività didattiche in forma di laboratorio per

favorire operatività e riflessività insieme.

1.5 Gli obiettivi di apprendimento ed i traguardi per lo sviluppo delle

competenze

Già da anni è ormai vivo un dibattito a livello internazionale riguardo il concetto di

competenza e le relative pratiche da attuare per svilupparla sia in ambito lavorativo

che scolastico. Tra i più recenti documenti a riguardo ricordiamo il Quadro comune

14

Movimento di cooperazione educativa, (2012) Rileggendo le Indicazioni nazionali per il curricolo,

http://www.mce-fimem.it/document/down/2012/17/documento.pdf (24 gennaio 2014)

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delle competenze-chiave europee per l’apprendimento permanente definite dal

Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione europea e al quale il documento

ministeriale fa esplicito riferimento. Finalità della scuola italiana è infatti

promuovere e consolidare le competenze culturali di base, tese a sviluppare

progressivamente, nel corso della vita, le competenze-chiave europee. I traguardi che

ogni cittadino europeo deve conseguire al termine del suo percorso formativo sono

allora: 1) la comunicazione in lingua madre, 2) la comunicazione nelle lingue

straniere, 3) la competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia,

4) la competenza digitale, 5) imparare ad imparare, 6) le competenze sociali e

civiche, 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità, 8) consapevolezza ed espressione

culturale9.

All’interno delle Indicazioni vengono poi delineati gli obiettivi di apprendimento che

individuano conoscenze e abilità ritenute indispensabili al fine di raggiungere i

traguardi per lo sviluppo di competenze in relazione ai campi di esperienza e alle

discipline. Questi sono organizzati in nuclei tematici e sono definiti in relazione a

periodi didattici lunghi. Ad esempio, al termine della scuola primaria vengono fissati

i traguardi per lo sviluppo delle competenze in relazione alle discipline e, l’intero

curricolo progettuale, dovrà quindi essere pensato dai docenti al fine di sviluppare

quelle competenze ritenute fondamentali per la crescita personale e sociale di ogni

allievo.

Il riferimento al concetto di competenza nelle Indicazioni non si limita però

all’esplicitazione dei traguardi, né alla descrizione delle otto competenze-chiave

europee, ma tale concetto fa, in qualche modo, da filo rosso a tutto il discorso sull’

apprendimento e sui modi per svilupparlo. L’approccio generale è infatti di un

insegnamento-apprendimento finalizzato allo sviluppo di competenze. Per

comprendere appieno ciò, pare necessario allora riassumere brevemente che cosa,

oggi, si intenda per competenza.

9 Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, Raccomandazione del parlamento europeo

e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, 2006.

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1.6 Il concetto di competenza

Una descrizione sintetica del concetto può essere fornita riportando Pellerey:

“competenza è la capacità di far fronte a un compito, o a un insieme di compiti,

riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive,

affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e

fecondo” 15

. Tale accezione attribuisce al concetto di competenza caratteristiche quali

l’operatività e la dinamicità (il soggetto deve affrontare una particolare situazione

problematica complessa), la natura olistica (il soggetto deve mettere in gioco tutte le

sue risorse interne, cognitive o motivazionali che siano), il carattere situato (il

soggetto deve saper utilizzare le risorse date dal contesto e deve saperle integrare

coerentemente con le sue risorse interne). Riferita al contesto di apprendimento, la

competenza comprende allora tre diverse dimensioni: le conoscenze -il sapere

(risultato dell’assimilazione di informazioni), le abilità -il saper fare (le capacità di

applicare le conoscenze e usarle) e le disposizioni ad agire -il saper essere. Le Boterf

darà poi un ulteriore contributo nel delineare questo costrutto e distinguerà ancora

tra: saper agire come capacità di mobilitare il proprio sapere in risposta ad un certo

compito, poter agire come sensibilità alle risorse e ai vincoli che il contesto

operativo pone e voler agire come disponibilità a investire al meglio le proprie

risorse11

.

Da qui, la competenza può essere intesa dunque come la capacità di usare ed

integrare tra loro conoscenze, abilità e motivazioni nell’affrontare le situazioni

problematiche.

15 Pellerey M. (2004), Le competenze individuali e il portfolio, Scandicci, La Nuova

Italia.

11 Le Boterf, (2008) Costruire le competenze individuali e collettive, Napoli, Guida.

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Di conseguenza, formare per competenze consiste nell’allargare lo sguardo

all’insieme delle componenti che concorrono a formare la competenza stessa: “non

solo ciò che lo studente sa, ma anche ciò che sa fare con ciò che sa”10

.

E’ ben evidente allora il legame con i filoni del costruttivismo sociale e situato e

viene legittimato ancor più un modo di fare scuola in cui gli alunni siano coinvolti

attivamente nella costruzione di un sapere inteso come risoluzione di un problema

reale e concreto, dove siano motivati ad agire e ad utilizzare tutte le risorse che

hanno a disposizione per risolverlo ed in cui identifichino, tra le risorse principali,

l’interazione con il gruppo classe.

Nella descrizione di questo modo di insegnare-apprendere finalizzato allo sviluppo di

competenze, si ritrova tutta l’impostazione didattico-educativa su cui si focalizzano

le Indicazioni nazionali per il curricolo. Un apprendimento inteso come processo

attivo, costruttivo, situato, socioculturale e intenzionale mira allo sviluppo di un

allievo non solo diligente, ma anche competente: sa, sa usare ciò che sa ed è ben

motivato a fare.

1.7 L’analisi di un aspetto disciplinare: l’apprendimento della Matematica

Quanto finora espresso in generale in merito all’apprendimento e ai modi per

apprendere, può essere riferito ed adattato anche alla matematica, disciplina che fa da

sfondo a questo studio. Il carattere costruttivo dell’apprendimento si ritrova infatti

nel documento ministeriale, nel momento in cui viene descritto il laboratorio come

situazione principe da utilizzare in contesti matematici. Esso è inteso come

“momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le

conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a

10 Castoldi M. (2011), Progettare per competenze, Roma, Carocci.

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raccogliere dati, negozia e costruisce significati”7. Questa situazione di

apprendimento presuppone quindi che i concetti matematici siano accompagnati da

una serie di esperienze complesse che attivino le conoscenze pregresse degli alunni e

li portino ad interiorizzare nuovi significati.

Il riferimento all’apprendimento come processo socioculturale si trova poi nel

momento in cui la matematica viene individuata come modalità per “sviluppare la

capacità di comunicare e discutere, di argomentare in modo corretto, di

comprendere i punti di vista e le argomentazioni degli altri”7. In questa situazione,

gli allievi hanno infatti la possibilità di utilizzare gli artefatti culturali per favorire

l’interazione. Nello specifico contesto dell’apprendimento della matematica, inoltre

alunni e insegnante condividono, oltre al linguaggio naturale, il linguaggio specifico

della disciplina e questo contribuisce alla percezione di un sapere comune, condiviso

e contestualizzato.

Il carattere situato dell’apprendimento è messo maggiormente in evidenza nel

descrivere la pratica matematica come “la risoluzione di problemi, che devono

essere intesi come questioni autentiche e significative, legate alla vita quotidiana” 7.

Diretta conseguenza di quanto esplicitato fino ad ora è poi la caratteristica

metacognitiva che assume in generale l’apprendimento: l’alunno infatti è portato

sempre ad osservarsi, ad osservare e a riflettere per comprendere in maniera profonda

le situazioni complesse che gli vengono proposte.

Da notare, infine come, per una sua caratteristica intrinseca, che accomuna la

maggior parte delle discipline scientifiche, la matematica dispone naturalmente di

una grande varietà di situazioni problematiche. Queste si presentano dunque agli

insegnanti come vere e proprie occasioni per argomentare e discutere, per avviare

attività di apprendimento collaborativo e per costruire, condividere e negoziare i

significati della disciplina matematica.

7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012.

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Una discussione in questo ambito diviene allora ancor più attuabile, può venire

arricchita facilmente da molteplici spunti e collegamenti, tanto da essere descritta

come una “polifonia di voci articolate su un oggetto matematico” 16

. In questa

situazione interattiva l’insegnante incorpora i contributi dei bambini in linee di

ragionamento matematico, li riformula più estesamente e li rende disponibili ad

ulteriori analisi ed approfondimenti. Gli alunni, dal canto loro, comprendono

l’importanza data ai loro contributi (l’esperto riprende le loro stesse parole),

percepiscono l’avalutatività ‘senza rischi’ della situazione e aumenta così in loro la

motivazione ad inserirsi nella discussione17

.

Il carattere costruttivo, socioculturale, situato ed interattivo si ritrova quindi anche

nelle modalità di apprendimento dei contenuti matematici. In linea con la normativa

sull’Autonomia, spetta allora alla capacità degli insegnanti mettere in pratica quanto

descritto al fine dello sviluppo di competenze.

1.8 Lo scenario internazionale ed europeo quale sfondo alle Indicazioni

Le Indicazioni nazionali per il curricolo collocano la loro genesi e, in generale, la

loro storia all’interno di uno scenario ampio ed articolato. Per comprendere a fondo

le motivazioni alla base delle scelte pedagogiche in esse contenute, non basta

prendere atto dei vari documenti ministeriali che, nel corso degli anni, si sono

susseguiti e hanno aggiunto, cambiato o approfondito queste tematiche, ma è

necessario uscire dai confini nazionali e direzionare lo sguardo a quella che, dagli

anni ‘90 ad oggi, può essere definita una sensibilità a livello internazionale verso il

Sistema di Istruzione e Formazione.

16

Bartolini Bussi M. G., Boni M., Ferri F. (1995), Interazione sociale e conoscenza a scuola: la

Discussione Matematica, Modena, Centro documentazione educativa.

17 Pontecorvo C., Ajello A. M., Zucchermaglio C. (1993), Discutendo si impara, Roma, NIS.

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Nel 1996, infatti, la Commissione Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo

Secolo, presieduta da Jacques Delors, ex-ministro francese dell’Economia e delle

Finanze e composta da 15 personalità del mondo politico, universitario, delle

comunicazioni ed educativo di diversi paesi, su invito dell’UNESCO e dopo tre anni

di lavori e di ponderate riflessioni, pubblica all’attenzione dei vari governi, un

Rapporto in cui vengono messi in evidenza alcuni aspetti chiave in merito

all’educazione, da attuare nei decenni successivi.

Considerabile come il testo base di ogni riforma poi avvenuta, in tale documento

viene dapprima analizzato lo scenario socio-economico contemporaneo, mutabile e

complesso, ne vengono individuate opportunità e rischi e viene ribadita la

fondamentale importanza della pratica democratica, affinché disuguaglianze ed

ingiustizie sociali, nate proprio da tale dinamica ed instabile situazione, possano

lasciare spazio a libertà, pluralismo, giustizia e pace.

Perché una comunità si possa costruire nel rispetto di tali democratici valori occorre,

allora, formare ed educare individui che, interiorizzati questi, sappiano, “per tutta la

vita[…], svolgere un ruolo attivo nel progettare il futuro della società”.18

Viene

quindi messa in evidenza la necessità di sviluppare nei soggetti specifiche

competenze e viene presa in considerazione la questione dell’apprendimento

permanente. Da qui, il ruolo fondamentale dell’Istruzione e della Formazione ed il

compito della scuola di formare individui che siano “innovativi, capaci di evolversi,

di adattarsi ad un mondo in rapida trasformazione e di assimilarne i

cambiamenti”.18

Nel Rapporto di Delors e collaboratori, si trova allora anche il primo riferimento al

ruolo nuovo dei principali responsabili dei processi formativi: gli insegnanti, non più

concepiti come i depositari di un sapere, ma come dei“partner”18

. Essi devono allora

supportare gli allievi nell’organizzazione delle conoscenze, devono progettare

ambienti di apprendimento atti a sviluppare i saperi di base e le competenze sociali,

18 Delors J. (1997), Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione

Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Roma, Armando.

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devono valorizzare i talenti individuali dei singoli ed aiutarli a comprendere le

questioni della tolleranza, dell’integrazione, della libertà, devono innescare in loro

curiosità e desiderio di conoscenza, nell’ottica, sempre, della promozione della

formazione permanente.

La Commissione insiste allora sullo sviluppo della persona nella sua interezza e

propone una scuola che poggia sui “quattro pilastri dell’educazione”18

: imparare a

essere, imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme.

Ed è proprio su questi quattro pilasti e sui moniti sopra espressi, che sarà poi fondato

il Quadro comune delle competenze-chiave europee per l’apprendimento permanente

definito dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione e a cui l’Italia stessa

farà diretto riferimento, citandolo esplicitamente all’interno delle Indicazioni.

Stilato nel dicembre del 2006, tale documento, oltre ad individuare e descrivere otto

specifiche competenze chiave, chiede ai governi degli stati membri dell’Unione di

sviluppare un’offerta formativa “per tutti, nell'ambito delle loro strategie di

apprendimento permanente” 9 ed invita ad utilizzare il “quadro” proposto al fine di:

- sviluppare nei giovani, attraverso i sistemi di istruzione e formazione, le

competenze chiave per prepararli alla vita adulta e per permettergli di

individuare tutte le ulteriori occasioni di apprendimento (anche dal punto di

vista della formazione lavorativa),

- dare a tutti le stesse possibilità di realizzazione, indipendentemente dalle loro

circostanze sociali, personali ed economiche,

- dare attenzione all’aggiornamento e alla formazione continua degli adulti per

migliorare le loro competenze in campo lavorativo e predisporre per essi

infrastrutture adatte,

- connettere l’offerta di istruzione e formazione alla politica sociale, culturale,

dell’occupazione dell’innovazione e alle politiche rivolte ai giovani9 .

18

Delors J. (1997), Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione

Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Roma, Armando. 9 Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, Raccomandazione del parlamento europeo

e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, 2006.

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Viene ripreso dunque quello che già la Commissione Internazionale aveva

prospettato riguardo l’importanza dei sistemi di istruzione ed educazione, la

formazione permanente, le competenze, la pratica democratica, la dimensione

sociale.

E’ necessario aggiungere poi che, queste linee indicative, risultano essere il frutto di

un ulteriore confronto, questa volta sviluppatosi a livello europeo che, partendo

proprio da quanto analizzato e predisposto da Delors e collaboratori, trova parte delle

sue origini nel Processo di Bologna prima (1999) e nel Consiglio di Lisbona poi

(2000). Durante questi venne individuato e poi ribadito un obiettivo, definito

strategico, per l’Europa: divenire un’economia ed una società basata sulla

conoscenza.

Confermando la descrizione di Delors riguardo la complessità dello scenario attuale,

continuamente in evoluzione e fonte di rischi ed occasioni, nei due convegni europei

viene ribadita la funzione dei sistemi di istruzione e formazione di sviluppare negli

individui le competenze necessarie a far fronte a ciò, riproponendo sia la dimensione

democratica e la pratica sociale auspicata, sia la funzione dell’apprendimento per

tutta la vita.

All’interno delle Conclusioni tratte dal Consiglio europeo di Lisbona, si trova inoltre

un primo riferimento alla necessità di produrre un quadro europeo per le allora

definite “nuove competenze di base”19

(intendendo, ad esempio, quelle relative alle

Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) che poi si sarebbero unite alle

competenze di base ed avrebbero dato vita al Quadro comune delle competenze

chiave.

Successivamente, nel 2001, la Comunicazione della Commissione delle Comunità

Europee inerente il “Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente”,

oltre a definire quest’ultimo come “qualsiasi attività di apprendimento, avviata in

qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le

19 Consiglio europeo di Lisbona, Conclusioni della Presidenza, 2000.

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competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale”3e a

ribadirne la necessarietà per la promozione della cittadinanza attiva,

l’autorealizzazione, l’inclusione sociale e l’occupazione, individua, tra i principi che

ne orientano l’attuazione, la centralità dell’allievo all’interno del processo di

formazione. I suoi interessi, i suoi bisogni e quelli del contesto in cui è inserito,

divengono allora punto di partenza di ogni proposta educativo-didattica. Di

prioritaria importanza risultano allora le “soluzioni pedagogiche innovative”3 a cui,

la stessa Comunicazione fa riferimento. L’attenzione viene allora spostata “dalla

‘conoscenza’ alla ‘competenza’ e dall’insegnamento all’apprendimento”3; di

conseguenza, considerata questa evoluzione, i singoli dovrebbero “‘apprendere ad

apprendere’”3, mentre i discenti, nella misura del possibile, dovrebbero “cercare

attivamente di acquisire conoscenze e di sviluppare le loro competenze”3

nell’ottica

della costruzione e condivisione dei significati.

I docenti, dal canto loro, devono allora saper utilizzare metodi diversi a seconda della

situazione dell’allievo, del mediatore di apprendimento e del contesto in cui tutti gli

attori in gioco sono inseriti.

A ciò, si sono susseguiti, con cadenza annuale, ulteriori documenti europei,

Comunicazioni e Risoluzioni, che hanno, in generale ribadito quanto sopra,

approfondendo e portando all’attenzione via via vari aspetti: la promozione della

cooperazione degli stati dell’Unione in merito a tali tematiche20

, l’importanza

dell’orientamento nell’ottica della formazione e del successo professionale e

personale dei singoli21

, il profondo interesse verso il capitale umano,22

la necessità di

creare centri ed iniziative per la formazione degli adulti23

.

3 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione: Realizzare uno spazio

europeo dell’apprendimento permanente, Bruxelles, 2001. 20 Consiglio dell’Unione Europea, Risoluzione del Consiglio sulla promozione di una maggiore

cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale, Bruxelles, 2002.

21 Consiglio dell’Unione Europea, Progetto di risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei

governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio sul rafforzamento delle politiche, dei sistemi e

delle prassi in materia di orientamento lungo tutto l'arco della vita in Europa, Bruxelles, 2004.

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29

Nonostante la varietà dei temi toccati, si può notare come il filo conduttore di questa

mobilitazione a livello europeo, segua quello già tracciato, dieci anni prima, dalla

Commissione Internazionale che, con la proposta dell’“obiettivo utopistico di

dirigere il mondo verso una maggiore comprensione reciproca, un maggiore senso

di responsabilità e una maggiore solidarietà”, ha indicato quindi alla cultura

dell’umanità le vie educative da percorrere.18

Dopo questo breve percorso di approfondimento, si può allora comprendere in

maniera più composita e completa la storia di sfondo alle Indicazioni nazionali.

L’Italia infatti risponde a questa chiamata internazionale, accogliendo nella sua

cultura dell’educazione tutti gli aspetti pedagogici e i riferimenti alla pratica sociale e

democratica, valorizzati a livello europeo e mondiale.

Tuttavia, si può infine notare, che non si tratta di una semplice trasposizione di valori

dal piano internazionale a quello nazionale, ma essi, trovano in quest’ultimo un

terreno già predisposto per essere acquisiti ed interiorizzati.

L’Assemblea Costituente che nel 1947 approvò la Costituzione Italiana, promulgava,

infatti, all’articolo 34: “La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita

per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi

di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica

rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre

provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”24

.

L’intero percorso delineato in questo paragrafo viene allora, in ultima istanza,

ulteriormente ripreso e legittimato.

22 Consiglio dell’Unione Europea, Risoluzione del Consiglio sullo sviluppo del capitale umano per la

coesione sociale e la competitività nella società dei saperi, 2003.

23 Consiglio dell’Unione Europea, Conclusioni del Consiglio sull'istruzione destinata agli adulti,

2008.

18 Delors J. (1997), Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione

Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Roma, Armando 24 Assemblea Costituente, Costituzione della Repubblica Italiana, 1947.

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30

2.

IL COSTRUTTIVISMO SOCIO-CULTURALE

2.1 Le origini filosofiche: dal pensiero oggettivista al pensiero costruttivista

Le origini di un pensiero di tipo costruttivista si possono riscontrare già nel mondo

antico tra il V e il VI secolo a.C., quando, per la prima volta, sofisti e scettici misero

in dubbio la concordanza, fino ad allora data per certa, tra conoscenza e realtà25

. Con

l’affermazione: “di tutte le cose è misura l’uomo”26

, essi iniziarono a prendere

consapevolezza che il pensare fosse una caratteristica propria dell’essere umano e a

dissentire con quel ‘realismo metafisico’ e con la cieca fiducia verso una verità

oggettiva che per secoli aveva imperato. Già il pensiero filosofico antico si distanzia

allora dall’idea dell’esistenza di una conoscenza inopinabile, immutabile, vera. Nel

XVIII secolo saranno poi Giambattista Vico e, successivamente, Immanuel Kant a

estendere ulteriormente quest’idea. Figure di spicco dell’età dei lumi, essi

sostenevano che la conoscenza umana non potesse rispecchiare la realtà esterna, ma

che fosse invece frutto di una costruzione di cui l’uomo era il principale artefice.

Vico, sebbene precedente a Kant, approfondì ancor più questo pensare, tanto da venir

definito il “precursore del costruttivismo contemporaneo” 25

. Egli, contestando il

metodo cartesiano perché dava validità scientifica al pensiero e alla dimostrazione

razionale e perché non considerava adeguatamente l’influenza dell’uomo nelle

interpretazioni della conoscenza, sosteneva che solo chi è costruttore di un qualsiasi

oggetto, può venire a conoscenza dello stesso. A questo, molto tempo dopo, nel corso

del XX secolo, si ricollegherà Ernst von Glasersfeld. Egli, trovando in Vico un punto

di riferimento per il suo pensiero, ribadì l’inesistenza di una realtà oggettiva, di un

‘realismo metafisico’ e propose il ruolo dell’esperienza come banco di prova di tutte

25

Von Glasersfeld E., (1995), Radical Constructivism. A way of Knowing and Learning, London,

Farmer press. 26

Protagora, in Platone, Teeteto.

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le idee dell’uomo. L’anti-ontologismo e l’importanza di una costruzione attiva della

realtà divengono dunque due fattori già emergenti in questa prima parte del percorso

di ricostruzione filosofica del pensiero costruttivista. Sarà poi Ludwing Wittgenstein

a dare apporto a quello che verrà definito costruttivismo sociale grazie al suo

interesse verso gli usi e le funzioni del linguaggio. Egli riconobbe in questo uno

strumento, o meglio, una pratica per portare gli uomini al raggiungimento di un

accordo nel rappresentare, in generale, i fatti del mondo. Il filosofo presuppose poi

che esistessero varie forme di linguaggio, legate proprio alle diverse rappresentazioni

che ognuno può avere della sua propria realtà e del mondo in genere.27

In questa

concezione emergono il relativismo ed il pluralismo del pensiero di Wittgenstein,

concetti che diverranno poi bandiera della cultura post-moderna e di un “pensiero

profondamente antidogmatico, antimetafisico e antiontologico” 28

. A dare ulteriori

spunti al costruttivismo sociale, tanto da esserne considerato il referente filosofico,

sarà poi George Herbert Mead. Questi ridefinì l’esperienza umana attribuendole un

carattere espressamente sociale e, inoltre, portò avanti l’idea della stretta relazione

esistente tra ambiente, contesto, società e soggetto, tanto da affermare:

“[…]L’organismo è in un certo senso responsabile del suo ambiente e poiché

organismo e ambiente si determinano l’un l’altro e sono reciprocamente determinati

quanto alla loro esistenza, ne segue che il processo della vita per essere

adeguatamente compreso, deve essere considerato nei termini delle loro

interrelazioni” 29

. Emerge dunque il carattere sociale prima descritto, l’importanza

delle relazioni ed interrelazioni tra i vari attori e fattori in gioco e la non univocità

della realtà rappresentata. Nello stesso periodo, anche Gregory Bateson contribuirà al

cambiamento dal pensiero moderno (oggettivista, deterministico) a quello post-

27

Wittgenstein L. (1954), Trattato logico-filosofico e Quaderni 1914-1916, Milano, Bocca.

28 Varisco B. M. (2011), Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici,

applicazioni didattiche, Roma, Carocci.

29 Mead G. H. (1966), Mente Sé e Società: dal punto di vista di uno psicologo comportamentista,

Firenze, Giunti Barbera.

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moderno (costruttivista, complesso) e, partendo da idee quali conoscenza come

costruzione e importanza del contesto e della relazione tra questo e soggetti,

promosse una visione olistica del rapporto tra organismo e ambiente che definirà poi

‘ecologia della mente’. Con questa espressione, egli intendeva allora il modo in cui

ogni persona costruisce il senso della propria conoscenza attraverso uno scambio

interattivo che genera quindi una conoscenza co-costruita reciprocamente. Allo

stesso modo, anche il divenire dell’esperienza del soggetto poteva essere definita,

riprendendo Duccio Demetrio, un’ ‘ecologia del pensiero’. 30

L’uomo infatti impara a

pensare approfittando del pensiero degli altri che interagiscono con lui. Sarà infine

Thomas Khun, nella metà del Novecento, a segnare la crisi definitiva

dell’epistemologia positiva, sostenendo che la scienza non serva più a spiegare il

mondo, ma serva a risolvere rompicapi, che essa non è più lo specchio della natura,

ma semplicemente fornisce ad una comunità di scienziati accumunati da esperienze

strumenti per risolvere i problemi. Di nuovo viene allora rovesciata l’idea di un

sapere cumulativo e statico e vengono prese in considerazione le scoperte, le

invenzioni, le rivoluzioni come atti costruttori di conoscenza. Sarà poi Richard

Rorty, dalla seconda metà del Novecento a ribadire quanto detto dai predecessori e a

concludere deviando la riflessione verso la nuova funzione che la pedagogia deve

assumere: non più proporre una realtà oggettiva e definita, ma un pensiero fatto di

interpretazioni sempre nuove, in relazione alle capacità individuali del soggetto e a

quelle del contesto sociale in cui è inserito. Il paradigma oggettivista della

conoscenza è quindi messo criticamente in discussione.

30

Demetrio D. (1994) Bateson e la formazione. Due dialoghi immaginari, cit. in Varisco B. M.

(2011), Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici, applicazioni

didattiche, Roma, Carocci.

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33

2.2 Il paradigma costruttivista

Tale cambiamento di prospettiva è stato allora avvertito ed ha, allo stesso tempo,

influenzato l’ambito psico-pedagogico andando a delineare i tratti della corrente del

costruttivismo. Punto focale di questa corrente sarà la nuova concezione di

conoscenza. Essa viene ora intesa come un prodotto culturalmente, storicamente,

temporalmente costruito ‘da’ e ‘attraverso’ persone situate in una particolare cultura,

in un determinato contesto e momento; essa si presenta come complessa, multipla,

particolare e soggettiva31

costruita dall’attività creatrice, interpretativa ed operatoria

della ragione umana e dall’interazione e mediazione individuo-ambiente.

Tra i pionieri del paradigma costruttivista applicato all’insegnamento-

apprendimento, si ricordano autori quali Jean Piaget, Lev Vygotskij e Jerome Bruner.

Seppur appartenenti a tre scuole diverse (ginevrina, russa e americana) e

caratterizzati da specificità e dissonanze, essi presentano alcuni punti in comune: il

generale approccio costruttivista rispetto alla conoscenza, l’aver riscontrato la natura

attiva, più che reattiva, del soggetto che apprende, l’interesse verso i cambiamenti

qualitativi della mente, l’aver attribuito importanza all’interazione tra soggetto e le

‘fonti di conoscenza’.32

In ciò si può leggere il carattere di costruzione e di

partecipazione che è attribuito all’apprendimento: il soggetto apprendente costruisce

infatti sia le sue conoscenze, sia le sue strutture mentali, andando a riconfigurare

continuamente ciò che riceve sulla base dei livelli di conoscenza precedentemente

raggiunti, ed, inoltre è inserito in una situazione interattiva in cui attivamente

partecipa alla vita di comunità, ai progetti e alle finalità che essa si prefigge. Egli,

mettendo a disposizione le risorse di cui dispone, utilizza consapevolmente quelle

31 Hay K.E. (1991), Postmodern theory, computer technology, and education: Looking forward to a

postmodern education, unpublished doctoral dissertation, The Ohio State University, cit. in F. Zanon,

E. Bortolotti, (2010) Didattica generale e metodologie di insegnamento, Roma, Aracne.

32 Liverta Sempio O. (1998) (a cura di), Vygotskij, Piaget, Bruner. Concezioni dello sviluppo, Milano,

Raffaello Cortina Editore, cit. in Varisco B. M. (2011), Costruttivismo socio-culturale. Genesi

filosofiche, sviluppi psico-pedagogici, applicazioni didattiche, Roma, Carocci.

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degli altri e quelle offerte dal contesto al fine del raggiungimento di un accordo, della

risoluzione di un problema, dell’elaborazione di un prodotto finale. Per una

partecipazione attiva e reale, è necessario che il soggetto aderisca e utilizzi alcuni

aspetti significativi della comunità, quali ad esempio la scrittura ed il linguaggio.

Una partecipazione fatta di confronti, critiche e accordi si può avere infatti, solo nel

momento in cui i più soggetti in interazione siano accumunati da simboli, strumenti

condivisi e norme comuni.

Saranno in particolar modo le idee di Vygotskij riguardo l’importanza

dell’interazione sociale mediata dal linguaggio al fine di costruire ed interiorizzare

conoscenza ad influenzare maggiormente il costruttivismo, prima, ed il

costruttivismo socio-culturale, poi. Si è scelto allora di passare in rassegna alcuni tra

gli spunti più caratterizzanti del pensiero del pedagogista russo al fine di una

comprensione più composita di quanto si ha intenzione di trattare.

2.3 Il Costruttivismo di Vygotskij

2.3.1 La relazione tra cultura e sviluppo cognitivo

Attribuendo importanza al linguaggio e all’interazione sociale, Vygotskij considera

allora l’uomo capace di utilizzare gli strumenti materiali a disposizione per agire

sull’ambiente e gli strumenti simbolici (ad es. parola, linguaggio) per regolare le

relazioni interpersonali e creare le sue prime rappresentazioni mentali della realtà. Di

conseguenza, egli intende lo sviluppo come il processo attraverso il quale ogni

individuo acquisisce la capacità di utilizzare queste risorse per regolare il suo

pensiero e sviluppare le sue strutture cognitive. Affermando questo, egli si appresta a

mettere in stretta relazione quanto accade all’esterno (nell’ambiente, nelle interazioni

e scambi sociali) con quanto si viene sviluppando e formando all’interno (al livello

intrapsichico, personale) dell’individuo. L’elaborazione di materiali e simboli

culturali viene allora considerata profondamente legata allo sviluppo cognitivo di

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ogni singolo, tanto da portare l’autore ad affermare che: “Qualunque funzione dello

sviluppo culturale del bambino appare due volte, su due piani. Dapprima emerge sul

lato sociale, successivamente sul lato psicologico. Dapprima emerge tra gli individui

come una categoria interpersonale, poi all’interno del bambino come una categoria

psicologica. […] Possiamo considerare questa una legge nel vero senso della

parola, ma occorre dire che l’interiorizzazione trasforma il processo stesso e cambia

la struttura e le funzioni. Le relazioni sociali ed interpersonali strutturano

geneticamente tutte le relazioni psicologiche superiori e le loro relazioni”33

. Con

questa legge, definita la ‘Legge genetica generale dello sviluppo’, l’autore accentua

la funzione delle relazioni interpersonali, le quali, egli afferma, concorrono a

strutturare quello che è lo sviluppo cognitivo interno del bambino e vanno a formare

il cosiddetto intrapsichico. Con questa legge egli sottolinea soprattutto la connessione

strutturale tra il piano culturale e quello cognitivo del processo di sviluppo: le forme

culturali e gli strumenti hanno un impatto sulle forme cognitive interiorizzate e sui

processi del ragionamento individuale.

2.3.2 La zona di sviluppo prossimale

Vygotskij inoltre ha definito zona di sviluppo prossimale, la zona di transizione tra

ciò che è interpersonale (legato agli strumenti culturali, alle relazioni, ecc.) e ciò che

è individuale (legato alle sue strutture cognitive, l’intrapsichico). Intenderà poi

questa zona di passaggio, come regione dinamica di sensibilità all’apprendimento. La

zona di sviluppo prossimale si può intendere quindi come la distanza tra il livello di

sviluppo del bambino determinato dalla risoluzione di un compito autonomo ed il

livello di sviluppo potenzialmente raggiungibile dallo stesso bambino che risolve lo

stesso compito guidato da un adulto o da un compagno più abile.4

33 Vygotskij L. S. (1981), The genesis of higher mental functions, in Wertsch J. V. (1981) (a cura di)

The concept of activity in soviet Psychology, Armonk (N. Y.), Sharpe.

4 Vygotski L.S. (1978), Mind in society (trad. it. Il processo cognitivo, Torino, Boringhieri, 1987

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36

Ne consegue che l’insegnamento sarà efficace nel momento in cui agirà sulla zona di

sviluppo prossimale, ovvero nel momento in cui il bambino si troverà ad affrontare

un compito che ha la caratteristica di essere più avanzato rispetto al compito che

riuscirebbe a risolvere con poco sforzo e che, attraverso la collaborazione con un

interlocutore più esperto, l’utilizzo delle risorse culturali e di quant’altro è presente

sul piano interpersonale, riuscirà a risolvere anche a livello intrapsichico. Tutto ciò

che viene dunque proposto sul piano interpersonale, diverrà patrimonio del soggetto

sul piano intrapsichico, permettendogli una futura e facilitata risoluzione di un

compito analogo.

2.3.3 L’apprendimento come attività cooperativa

Considerato allora il ruolo centrale che egli attribuisce all’interazione tra persone per

lo sviluppo cognitivo di ogni singolo, Vygotskij va ad intendere poi l’educazione e

l’apprendimento stesso come processi di partecipazione guidata che, diffusi in tutte

le società umane, permettono la creazione di nuove forme di ragionamento e strutture

mentali.

L’autore riconosce poi un ruolo fondamentale all’attività cooperativa nella

risoluzione di problemi, in quanto essa offre esperienze e strumenti efficaci per

esplicitare e correggere le strategie di ogni partecipante. Il fatto di osservare

procedure avanzate ed esperte di risoluzione o essere istruiti e guidati esplicitamente,

favorisce, infatti, l’autoriflessione e incoraggia in tutti domande e sfide. Il

raggiungimento della soluzione ed il superamento del problema, allora, verrà

acquisito proprio mediante partecipazione alle pratiche culturali, in cui soluzioni e

suggerimenti saranno dapprima solo presenti ed espliciti sul piano interpersonale e,

in seguito verranno interiorizzati con l’esperienza. In questa situazione, fondamentale

è la funzione dell’ambiente che diviene allora un “fattore dello sviluppo dei tratti

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37

specificatamente umani, ed è la sorgente dello sviluppo, non il suo contenitore

[…]”34

.

Per riassumere la teoria vygotskijana, inoltre, si possono prendere in considerazione

tre aspetti strettamente intrecciati tra loro: la partecipazione guidata, l’uso di mezzi di

mediazione, l’interiorizzazione.35

- la partecipazione guidata = partecipazione ad attività culturali sotto la

guida di adulti o di partner più esperti per permettere ai bambini di

interiorizzare gli strumenti del pensiero e del ragionamento e di

sviluppare un approccio alla risoluzione dei problemi, più maturo e

completo (autoregolarsi, ricordare le esperienze, tener conto di più

alternative). Questo è quanto già ribadito riguardo le funzioni della ZSP.

La partecipazione guidata dunque, in queste situazioni-problema implica

sfide, supporto, vincoli da superare attraverso la condivisione delle

responsabilità, la cooperazione e l’organizzazione.

- la mediazione culturale = getta un ponte tra il piano storico-culturale e il

piano dello sviluppo individuale. Durante la partecipazione alle attività

di una società, i bambini fanno regolarmente uso di strumenti materiali e

di sistemi di segni, sotto la guida degli adulti; apprendere a

padroneggiare certi strumenti materiali nella realtà e a utilizzare i

sistemi simbolici della comunicazione non solo semplifica la risoluzione

di problemi quotidiani, ma trasforma anche l’agire e il pensare degli

esseri umani. Quindi, secondo Vygotskij, alcune capacità psicologiche

34 Vygotskij L. S. (1934), The problem of environment, in Van Der Veer R., Valsiner J. (1994) (a cura

di) The Vygotskij Reader, Oxford (U. K.), Blackwell Publishers.

35 Rogoff B. (1990), Apprenticeship in thinking: cognitive development in the social context, Oxford,

Oxford University Press, in Sorzio P. (1999), Lo sviluppo della comprensione del numero nel

bambino, Milano, La Nuova Italia.

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come la memorizzazione, la categorizzazione, il ragionamento

acquistano forme differenti in relazione ai mezzi di mediazione culturale

usati.

- l’interiorizzazione = la partecipazione dei soggetti in attività cooperative

e l’uso regolato di mezzi di mediazione non solo favorisce lo sviluppo

dei processi di pensiero individuali, ma contribuisce a formare le stesse

strutture cognitive. Le forme di rappresentazione e gli strumenti tecnici,

che sono prodotti socioculturali e quindi di mediazione e ausilio ad una

specifica attività, contribuiscono proprio a organizzarla e definirla. Gli

uomini quindi interiorizzano dei sistemi di significato e, sulla base di

questi, danno forma, ordine e scopo alla loro vita.

2.3.4 Il linguaggio come strumento culturale e psicologico

Come conseguenza di quanto descritto e sostenuto in merito alla relazione tra il piano

interpersonale delle relazioni sociali e quello intrapsichico proprio di ogni persona, il

pedagogista russo deriva e definisce una nuova funzione del linguaggio. Questo,

viene da lui infatti considerato sia come uno strumento culturale (per lo sviluppo e la

condivisione della conoscenza tra i membri di una comunità), sia come uno

strumento psicologico (per strutturare i processi e i contenuti del pensiero

individuale), la cui acquisizione ed il cui uso contribuiscono a trasformare il modo di

pensare e ragionare dei bambini. Questi, interagendo con il linguaggio in attività

comuni, riescono a generare nuove conoscenze e modi di pensare per i singoli e per il

gruppo. Ogni attività sociale, interattiva, interpersonale si appresta allora a delineare

alcune delle più importanti capacità cognitive, individuali, intrapsichiche e ciò dà

forza all’affermazione dell’autore secondo cui “l’apprendimento umano presuppone

una specifica natura sociale” 4

. Il linguaggio, allora, utilizzato attraverso scambi,

4 Vygotski L.S. (1978), Mind in society (trad. it. Il processo cognitivo, Torino, Boringhieri, 1987).

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interazioni, discussioni diviene un mezzo indispensabile per un apprendimento

significativo.

2.4 Il Costruttivismo sociale e l’approccio culturale-situato: verso il

Costruttivismo socio-culturale

Furono in particolare il costrutto di mediazione culturale e di zona di sviluppo

prossimale elaborati da Vygotskij, a fare da riferimento, alla fine degli anni ’80 per

il, così definito, costruttivismo sociale. Infatti, le teorizzazioni del pedagogista russo

riguardo la stretta relazione tra la dimensione interpersonale ed intrapsichica e

l’influenza dell’interazione con l’altro per la costruzione di conoscenze e strutture

cognitive nel soggetto che apprende, ha condotto ad approfondire il concetto stesso

di socializzazione e di apprendimento come socializzazione. Questo è inteso oggi

come un processo interattivo a due vie tra la società e il nuovo membro, in cui

quest’ultimo assume un ruolo attivo e partecipe, non semplicemente adattandosi alla

società in cui è inserito.36

L’apprendimento stesso, allora non è più inteso come un’acquisizione mentale

individuale, bensì come un’acquisizione sociale all’interno di una cornice complessa

di comunità di pratiche, scopi, strumenti.37

L’espressione didattica di questo si

ritrova, ad esempio, nel momento in cui un gruppo di studenti si confronta ed opera

attraverso un mutuo tutoraggio tra pari ed una continua messa in comune di

conoscenze e competenze.28

In questa situazione allora ogni alunno apprende

attraverso un processo di elaborazione ed integrazione di molteplici prospettive,

36

Pontecorvo C. (1995), L’apprendimento tra culture e contesti, in Pontecorvo C., Ajello A. M.,

Zucchermaglio C. (1995) (a cura di), I contesti Sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a

scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, p. 13-42. 37 Janoby S., Gonzales P. (1991), The Constitution of Expert-Novice in Scientific Discourse, “Issues in

Applied Linguistic”, cit. in Pontecorvo C., Ajello A. M., Zucchermaglio C. (a cura di) (1995), I

contesti Sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana,

Milano, LED.

28 Varisco B. M. (2011), Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici,

applicazioni didattiche, Roma, Carocci.

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informazioni ed esperienze, offerte dal confronto e dalla collaborazione con i pari o

con un gruppo di esperti. In questi processi di socializzazione, il linguaggio assume

una funzione fondamentale: è attraverso questo che i soggetti entrano in interazione,

imparano la realtà, la cultura, il contesto. 36

Allo stesso tempo, l’influenza riconosciuta al contesto di apprendimento ha dato

forza all’approccio culturale-situato o situazionista. E’ proprio l’ambiente in cui

l’apprendimento si svolge a dare infatti pratiche, strumenti e strategie cognitive per

risolvere i problemi; esso diviene un vero e proprio quadro culturale entro cui ha

luogo un evento interattivo e offre risorse per la sua realizzazione ed

interpretazione.38

Anche la ripresa della Teoria dell’attività di Leont’ev39

ha dato i suoi contributi

all’approccio culturale-situato. Con essa, l’allievo di Vygotskij considera l’azione del

soggetto come mediata e motivata da scopi che dipendono fortemente dall’ambiente

in cui è inserito. Nel corso delle sue azioni caratterizzate da scambi interattivi, il

soggetto utilizza il linguaggio come un mediatore che, oltre a permettergli di

collegare ciò che avviene sul piano interpersonale con le sue strutture cognitive

interne e di contribuire al suo sviluppo cognitivo, gli dà la possibilità di conoscere sé

stesso ed interpretare il mondo circostante. 36

Sarà Bruner poi a definire la stretta

interrelazione esistente tra le generalità e specificità delle diverse culture e lo

36 Pontecorvo C. (1995), L’apprendimento tra culture e contesti, in Pontecorvo C., Ajello A. M.,

Zucchermaglio C. (1995) (a cura di), I contesti Sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a

scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, p. 13-42.

38 Duranti A., Goodwin C. (1992), Rethinking Context. Language as an Interactive Phenomenon,

Cambride, Cambridge University Press, cit. in Pontecorvo C., Ajello A. M., Zucchermaglio C. (1995)

(a cura di), I contesti Sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a scuola , nel lavoro, nella

vita quotidiana, Milano, LED.

39 Leont’ev A. N. (1977), Attività, coscienza e personalità, Firenze, Giunti Barbera.

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sviluppo umano sostenendo che proprio l’appartenenza alle prime influenza la

visione del mondo da parte dei singoli soggetti. 40

Le dimensioni sociale e culturale-situata del processo di apprendimento vengono

allora messe in evidenza dai due paradigmi appena descritti. Non si tratta di due

costrutti in contrapposizione, ma, analizzandoli, si può comprendere come esistano

tra di essi alcuni punti di congiunzione quali: l’interesse verso la mediazione

simbolica e contestuale e l’attenzione ai processi sociali e alle specificità culturali.

Inoltre, un’ulteriore connessione tra i due approcci si può attuare considerando, allo

stesso tempo, i concetti di sviluppo, apprendimento, contesto, culture e

socializzazione. Riprendendo Bruner40

, la specificità delle culture di appartenenza

influenza lo sviluppo di ogni essere umano nella sua interpretazione e azione nel

mondo. Allo stesso modo, l’attività conoscitiva umana e gli apprendimenti in genere

risultano fortemente legati sia alle attività che si svolgono nel mondo sociale, sia alle

risorse contestuali presenti ed utilizzabili. Si sviluppano così forme di conoscenza

culturalmente, storicamente e socialmente distribuite, costruite per rispondere a

bisogni concreti del contesto e caratterizzate da codici e formule comprensibili dagli

altri membri della comunità.

Alla luce di ciò, si è reso necessario considerare i molteplici fattori in gioco non

come entità separate che si escludono a vicenda, ma come un dinamico processo in

cui contesto, cultura e socializzazione contribuiscono alla costruzione di conoscenze

e allo sviluppo cognitivo di ogni singolo. Si è fatto allora convergere tali concetti

nella teoria del Costruttivismo socio-culturale al fine di una visione olistica e

completa del processo di acquisizione delle conoscenze.

40

Bruner J. (1990), Cultura e sviluppo umano: una nuova prospettiva, in Pontecorvo C., Ajello A. M.,

Zucchermaglio C. (a cura di) (1995), I contesti Sociali dell’apprendimento. Acquisire conoscenze a

scuola , nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano, p. 43-60.

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42

2.5 Il Costruttivismo socio-culturale

Definita la genesi di questa corrente teorica, si intende ora soffermare l’attenzione

sulle due dimensioni che la caratterizzano e che sintetizzano quanto precedentemente

esposto: la dimensione sociale e quella culturale. Con la prima si vogliono allora

intendere tutti quei processi di interazione e comunicazione in cui gli esseri umani

sono immersi e che risultano fondamentali per la costruzione dei significati; con la

seconda invece si considerano l’insieme dei segni tipici della cultura di appartenenza

che divengono indispensabili per gli uomini al fine di relazionarsi con ciò che

apprendono. In quest’ottica, lo sviluppo cognitivo “avviene in attività organizzate

socio-culturalmente nelle quali i bambini sono attivi nell’apprendere ed interagire

con i loro partner, e i loro partner sono attivi nello strutturare situazioni che

forniscono ai bambini la possibilità di osservare e partecipare ad attività e

prospettive culturalmente significative.” 35

Per delineare e sintetizzare allora le caratteristiche di un apprendimento inteso

all’interno del costruttivismo socio-culturale, si può fare riferimento a Jonassen41

.

Egli, definendo le ‘3 C per un apprendimento significativo’, intende vedere questo

come frutto di una: Costruzione, in quanto le nuove conoscenze si integrano con

quelle già presenti, Collaborazione, in quanto chi apprende costruisce conoscenza in

comunità attraverso una varietà di scaffolding offerta da ciascun attore,

Contestualizzazione, in quanto fortemente ancorato e dipendente dal contesto in cui è

inserito. Altri attributi riferibili a questa concezione di apprendimento sono poi

l’essere: attivo, intenzionale, conversazionale e riflessivo.

35

Rogoff B. (1990), Apprenticeship in thinking: cognitive development in the social context, Oxford,

Oxford University Press, in Sorzio P. (1999), Lo sviluppo della comprensione del numero nel

bambino, Milano, La Nuova Italia. 41

Jonassen D. H. (1995), Supporting Communities of Learning with Technology: A vision for

Integrating Technology with Learning in Schools, in Varisco B. M. (2011), Costruttivismo socio-

culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici, applicazioni didattiche, Roma, Carocci.

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43

2.5.1 La relazione tra apprendimento ed interazioni sociali

Uno dei principi cardine della teoria socio-culturale è allora l’importanza assunta dai

processi di socializzazione inseriti in un preciso contesto per la buona riuscita dei

singoli nei compiti cognitivi complessi. Questo concetto, si presta quindi ad essere

preso in causa negli studi sulla relazione tra l’apprendimento e le interazioni sociali

che avvengono a scuola e si ricordano, in merito a ciò, le ricerche di Pontecorvo17

.

La ricercatrice focalizzerà la sua attenzione proprio sulla funzione cognitiva

dell’interazione sociale, inquadrandola sia negli scambi tra insegnante e alunno, sia

in quelli tra alunni e dimostrerà le maggiori possibilità dal punto di vista cognitivo

offerte dallo stare insieme e dal confrontarsi su obiettivi comuni in una situazione

interattiva. Ciò, inoltre, porta a considerare, riprendendo Mercer, i successi e i

fallimenti dei bambini come “il prodotto di forme culturalmente situate di

interazione sociale” 42

e non solo come risultati ottenuti dagli sforzi e dalle scoperte

dei singoli. Ne consegue che la conoscenza da essi derivata diviene una creazione,

una proprietà comune ai diversi membri di quello specifico gruppo e non solo un

possedimento individuale e distaccato dal contesto.

Nei suoi ulteriori studi17

, Pontecorvo definirà il contributo dato da più interlocutori al

fine della costruzione di un ragionamento su di un argomento specifico come un

“’pensare insieme’ che non corrisponde esattamente al pensare di qualcuno e che

ancora non si ritrova in quello”.17

Si tratta allora di una ‘co-costruzione del

ragionamento’ che si può manifestar a scuola in una varietà di forme interattive e

contestualizzate di ragionamento collettivo.

2.5.2 Il Costruttivismo socio-culturale a scuola: l’interazione in classe

Uno dei punti di forza del costruttivismo socio-culturale è, allora, proprio il

considerare la comprensione collettiva come generata dalle interazioni tra più

17 Pontecorvo C., Ajello A. M., Zucchermaglio C. (1993), Discutendo si impara, Roma, NIS.

42 Mercer N., Howe C. (2012), Explaining the dialogic processes of teaching and learning: The value

and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”, 1 (1), pp. 12-21.

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44

soggetti. Esso fornisce quindi una cornice per lo studio relativo all’uso della

discussione e interazione in classe. E’ necessario allora porre maggiore attenzione

alla definizione delle forme e delle funzioni di questa interazione e specificare quali

modalità interattive portino a risultati positivi rispetto alle finalità educative e

didattiche che si vogliono proporre.

L’interazione insegnante-allievo

Le preoccupazioni riguardo la qualità dell’abituale interazione tra insegnante e allievi

hanno portato ad una serie di ricerche che hanno messo in evidenza quanto essa, se di

buona qualità, possa essere motore per lo sviluppo del ragionamento e per il

miglioramento dei risultati degli allievi.

Gli studi su questo filone offrono poi una variegata comprensione di come possono e

devono funzionare le domande degli insegnanti. Wolf, Crosson e Resnik43

giungono

a dire che, quando gli insegnanti controllano la comprensione degli alunni solamente

richiedendo loro risposte minime (sì o no) o inquadrando la domanda in modo che

questa debba essere solo completata, non aiutano gli studenti a sviluppare una

comprensione significativa. Questa viene invece innescata nel momento in cui i

docenti utilizzano dei quesiti ad hoc (ad es. ‘Perché?’, ‘Come lo hai saputo?’), per

incoraggiare gli alunni a riproporre ed approfondire l’idea principale con parole

proprie ed, inoltre, per permettere loro di usare concretamente il linguaggio come

strumento di ragionamento.

La ricerca socio-culturale ha quindi aiutato a superare le concezioni semplicistiche

sulle forme di discussione in classe (ponendo attenzione, ad esempio, alle domande)

ed ha posto attenzione alle sue specifiche funzioni educative. La ricerca (Mercer,

43 Wolf M., Crosson A., Resnick L. (2006), Accountable talk in reading comprehension instruction,

CSE technical report 670. University of Pittsburgh, Learning and Research Development Center,

2006, cit. in Mercer N., Howe C. (2012), Explaining the dialogic processes of teaching and learning:

The value and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”, 1 (1), pp.

12-2.

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45

Littleton, 2007) 44

ha anche mostrato che, quando gli insegnanti usano determinate

strategie di interazione, molto spesso la partecipazione degli studenti e i loro

rendimenti scolastici aumentano: se gli insegnanti usano domande non solo per

testare la conoscenza degli allievi, ma per sollevare ragionamenti e spiegazioni, si

possono ottenere risultati migliori nell’apprendimento.

Tali ricerche vogliono, dunque, chiarire che le finalità educative dell’interazione

insegnante-studenti in classe non devono essere intese solo come trasmissione di

informazioni, controllo del comportamento e acquisizione dei contenuti, ma

coinvolgono molti altri e più complessi aspetti descritti sopra. Gli insegnanti devono

quindi imparare a bilanciare quella che Mortimer e Scott45

chiamano ‘interazione

autorevole’ (maggiormente presente a scuola), con il dialogo e la discussione (o

‘interazione dialogica’).

Un esempio di episodio più ‘dialogico’ di interazione tra insegnante e allievo

potrebbe prevedere uno schema conversazionale del tipo: l’insegnante propone una

prima domanda, la quale solleva una breve risposta e, anziché valutare questa come

giusta o sbagliata, prosegue la discussione chiedendo ulteriori specificazioni per

cercare di far emergere una spiegazione più completa e per far avvicinare

maggiormente l’alunno ad una comprensione. 42

Così, le domande dell’insegnante

possono essere usate per stimolare e guidare in modo funzionale e produttivo il

pensiero degli studenti. Da notare però che ciò può accadere solo se si fa

comprendere a questi ultimi, in maniera più o meno esplicita, che tutti i loro

contributi verranno considerati importanti al fine della comprensione collettiva e che

44

Mercer N., Littleton K. (2007), Dialogue and the development of children's thinking, London,

Routledge, cit. in Mercer N., Howe C. (2012), Explaining the dialogic processes of teaching and

learning: The value and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”,

1 (1), pp. 12-21. 45

Mortimer E., Scott P. (2003), Meaning making in secondary science classrooms, Maidenhead, Open

University Press, in Mercer N., Howe C., (2012) Explaining the dialogic processes of teaching and

learning: The value and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”,

1 (1), pp. 12-21.

42 Mercer N., Howe C. (2012), Explaining the dialogic processes of teaching and learning: The value

and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”, 1 (1), pp. 12-21.

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46

non verranno giudicati semplicemente giusti o sbagliati a seconda se essi abbiano

indovinato o meno quello che l’insegnante si aspetta. Si tratta quindi di formulare un

contratto formativo basato su tali punti chiave.

Sulla base di questo, ulteriori studiosi (Alexander, 2005)46

hanno proposto un

approccio all’istruzione in cui gli insegnanti devono tenere in considerazione le

finalità educative dell’interazione e come questa possa essere usata per guidare e

supportare l’apprendimento degli alunni. Viene descritta allora una forma

conversazionale in cui le idee di tutti i partecipanti sono ascoltate, riprese e

considerate congiuntamente.

L’interazione tra allievi: l’apprendimento cooperativo

Le forme di socializzazione e di interazione al fine di una costruzione della

conoscenza e di un miglioramento delle capacità cognitive individuali di pensiero e

ragionamento si possono esprimere, oltre che nell’interazione tra insegnante e alunni

sopra descritta, anche nelle attività di apprendimento cooperativo in classe.

Recenti ricerche (Mercer, Howe, 2007) 47

hanno dimostrato che gli studenti possono

raggiungere risultati maggiormente positivi quando sono invitati all’interazione e al

lavoro collettivo su attività legate al programma scolastico e, in particolar modo,

quando supportano i loro punti di vista con spiegazioni e le loro divergenze di

opinioni vengono discusse e risolte. Tuttavia, la storia dell’educazione mostra come

tale attività di apprendimento cooperativo non sia ancora presa abbastanza in

considerazione all’interno della vita di classe. Inoltre, spesso si tende a confondere o

a definire poco chiaramente i concetti di ‘collaborazione’ e ‘cooperazione’, tanto che

46

Alexander R. (2005), Towards dialogic teaching: Rethinking classroom talk, Cambridge, Dialogos,

in Mercer N., Howe C.,(2012) Explaining the dialogic processes of teaching and learning: The value

and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”, 2012. 1 (1), pp. 12-

21. 47

Howe C., Mercer N. (2007), Children's social development, peer interaction and classroom

learning. The primary review (research survey 2/1b), Cambridge, University of Cambridge, in Mercer

N., Howe C. (2012), Explaining the dialogic processes of teaching and learning: The value and

potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”, 1 (1), pp. 12-21.

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questi termini vengono spesso usati semplicemente per indicare delle persone che

lavorano insieme per ottenere qualcosa.

Nella ricerca in letteratura (Dillenbourg, 1999) 48

si è giunti ora ad un accordo nel

descrivere ciò: collaborare o essere impegnati in un apprendimento collaborativo

significa mettere in atto un tentativo coordinato e continuo per risolvere un problema

o per costruire, in qualche altro modo, conoscenza comune. Ciò comporta: impegno

comune e coordinato per raggiungere uno scopo, reciprocità, mutualità ed una

continua negoziazione del significato. I partecipanti potrebbero allora esperire quello

che viene definito ‘senso di gruppo’ o ‘sentimento di impegno comune’ e potrebbero

arrivare a stabilire e mantenere tra loro una cosiddetta intersoggettività. Questa gli

permetterà di considerare ciò che stanno facendo come un compito condiviso, che

interessa e accomuna tutti. I vari partner allora non solo interagiranno tra loro, come

in una usuale attività cooperativa, ma ‘interpenseranno’ ovvero ragioneranno insieme

ed insieme raggiungeranno una nuova conoscenza.48

Si fa qui riferimento allo stesso

‘pensare insieme’ di cui parla Pontecorvo.

2.5.3 Ulteriori studi sull’apprendimento cooperativo: la delineazione

dell’Exploratory Talk

Da alcuni studi (Barnes, Todd, 1977) 49

sull’interazione tra studenti, effettuati in

Gran Bretagna negli anni ’70, emerse che i soggetti si facevano coinvolgere con più

facilità in estese ed articolate discussioni se si trovavano lontano dal controllo

dell’insegnante ed erano invece restii all’interazione e alla partecipazione, nei

momenti in cui, assieme ai docenti, veniva proposto loro di discutere insieme.

48

Dillenbourg P. (1999), Collaborative learning: Cognitive and computational approaches, Oxford,

Pergamon, in Mercer N., Howe C. (2012), Explaining the dialogic processes of teaching and

learning: The value and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”,

1 (1), pp. 12-21.

49 Barnes D., Todd F., Communication and learning in small groups, London, Routledge and Kegan

Paul, 1977 in N. Mercer, C. Howe,(2012) Explaining the dialogic processes of teaching and learning:

The value and potential of sociocultural theory, “Learning, Culture and Social Interaction”, 1 (1), pp.

12-21.

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Basandosi su queste osservazioni allora i ricercatori Barnes e Todd suggerirono che,

affinché si potesse avviare una costruttiva discussione in classe, questa dovesse

incontrare alcuni requisiti di chiarezza, normalmente non richiesti nelle

conversazioni quotidiane, che servissero ad esplicitarla e ad incoraggiarla tra gli

studenti. I due ricercatori furono quindi i primi a proporre il concetto di Exploratory

Talk o interazione esplorativa, che divenne una delle loro idee chiave e fu poi ripresa

e tipizzata dallo studioso Mercer. Questa conversazione interattiva presuppone che il

soggetto sia portato a proporre le sue idee (anche se ancora incomplete) al gruppo e

che queste vengano poi comprese, commentate, completate o confutate dagli altri

membri.

L’Exploratory Talk consentirebbe quindi di far emergere, attraverso il dibattito, le

disparità, di raggiungere un accordo, di sviluppare il ragionamento. Esso non va

inteso solo come un mezzo per esprimere diversi punti di vista o per condividere

informazioni rilevanti, ma deve essere concepito come uno strumento culturale e

cognitivo che può portare alla risoluzione dei conflitti tra parlanti, che permette di

ragionare insieme e di costruire conoscenza collettiva. In quanto strumento legato al

contesto ed alla cultura, l’Exploratory Talk riflette le pratiche sociali situabili nei

diversi contesti e, permettendo agli interlocutori di ragionare e apprendere a

ragionare, può essere considerato esso stesso una pratica sociale attuale e situata atta

a rendere esplicito il ragionamento comune (Mercer, Regeriff, Dawes, 1999).5

Lo studioso inglese riconoscerà poi che la situazione interattiva generata

dall’Exploratory Talk si verifica solo quando i vari soggetti sono impegnati in

maniera critica e costruttiva gli uni con gli altri nell’elaborazione di idee. Nello

specifico, durante questa interattività dialogica: i parlanti condividono conoscenza, si

scambiano le opinioni, valutano l’evidenza delle stesse, considerano le varie

alternative in modo equo e ragionato, esplicitano le loro idee chiaramente affinché

5 Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, 9 (5).

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vengano condivise, analizzate e valutate, comparano le possibili spiegazioni e

raggiungono decisioni comuni. Si può affermare allora che, in questo tipo di

discussione, la conoscenza è maggiormente tenuta sotto il controllo pubblico, il

ragionamento comune è visibile nell’interazione e la soluzione viene raggiunta

tramite accordo congiunto.

Mercer, allora, analizzando proprio questi aspetti, arriverà a descrivere l’Exploratory

Talk come la forma più visibile di un ragionamento avvenuto in maniera collettiva e

costruttiva mediante la conversazione e che porta al finale raggiungimento di un

accordo.5

Egli espliciterà e descriverà, poi, sia le regole base di questa forma di

interazione, sia gli indicatori linguistici riscontrabili.

2.5.4 Regole Base ed indicatori linguistici dell’Exploratory Talk5

Sono state poi stilate dallo stesso autore le seguenti regole base:

1. Tutte le informazioni rilevanti vengono condivise

2. Il gruppo cerca di giungere ad un accordo

3. Il gruppo si prende la responsabilità delle decisioni

4. Vengono date motivazioni alle affermazioni

5. Sono accettate le ‘‘sfide’’ – i cambi di programma

6. Prima di prendere una decisione, si discutono le alternative

7. Tutti sono incoraggiati a parlare

In questo breve schema si può osservare che: le prime tre regole servono per legare il

gruppo, per condividere informazioni, per costruire conoscenza insieme attraverso la

ricerca di un accordo. La quarta regola si focalizza sul ragionamento esplicitato e

reso chiaro a tutti, cosa che caratterizza l’Exploratory Talk. La sesta riflette le

5 Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, 9 (5).

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50

scoperte della ricerca (Kruger, 1993)50

riguardo la risoluzione collaborativa di

problemi in cui si è rilevato che i gruppi che risolvono meglio i problemi sono quelli

dove si considerano tutte le alternative prima di decidere. Infine, la settima regola

deriva da ulteriori studi empirici di Mercer51

in cui si è messo in evidenza che, nella

pratica, gli alunni necessitano di essere fortemente incoraggiati a portare avanti le

loro visioni con i compagni: non basta ‘offrire’ loro il diritto a parlare.

Il ricercatore individuerà, inoltre, nei suoi studi52

sull’interazione tra insegnanti e

alunni, alcuni specifici aspetti linguistici chiave che indicano la presenza

dell’Exploratory Talk e li esplicita come segue:

- L’uso di ‘io penso’ per indicare la natura ipotetica delle dichiarazioni

che susseguivano

- L’uso di ‘perché’ per dare motivazioni alle dichiarazioni

- L’uso di ‘siete d’accordo?’ per ricercare l’accordo

- L’uso dei verbi modali ‘would’, ‘should’, ‘might’ (così come ‘perché’)

per introdurre il ragionamento

- Spiegazioni più lunghe delle 100 parole

Le regole e gli indicatori riportati mettono in luce allora le potenzialità

dell’interazione nel creare e costruire conoscenza collettiva e si prestano ad essere

utilizzate nella lettura e analisi delle situazioni interattive che si generano all’interno

del contesto classe.

50

Kruger A. (1993), Peer collaboration: conflict, cooperation or both? “Social Development” (2) 3,

in Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, (9) 5. 51

Mercer N., E. Fisher, (1993), How do teachers help children to learn? An analysis of teachers'

interventions in computer-based activities, “Learning and Instruction”, in R. Wegerif, N. Mercer, L.

Dawes, (1999) From social interaction to individual reasoning: an empirical investigation of a

possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and Instruction”, 9 (5). 52

Mercer N., (1996), Sociocultural perspectives and the study of classroom discourse, in R. Wegerif,

N. Mercer, L. Dawes, (1999), From social interaction to individual reasoning: an empirical

investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and Instruction”,

(9)5.

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Per poter sviluppare ciò a scuola, resta fondamentale l’azione in classe dei docenti.

Questi devono allora saper organizzare intenzionalmente le forme di interazione che

decidono di proporre (siano esse tra pari o mediate dai loro interventi), al fine di

raggiungere un apprendimento che, così, appare come attività di soggetti impegnati

nella costruzione di conoscenze.

2.6 Una co-costruzione di conoscenza matematica: il Progetto ArAl1

Il progetto ArAl si presenta come una delle proposte nell’ambito didattico-educativo

per incentivare negli insegnanti lo sviluppo un tipo di insegnamento-apprendimento

dal carattere situato, sociale e costruttivo, che pone attenzione alle pratiche interattive

dei docenti, conducendoli ad opportune riflessioni su queste, sul loro operato in

classe, sulle loro competenze matematiche, linguistiche e sociali. Come si potrà

constatare, le tematiche, le metodologie e le finalità portate avanti, richiamano tutti

quegli aspetti della costruzione collettiva e della condivisione dei significati in

ambienti di apprendimento interattivi-dialogici di cui si è finora discusso.

2.6.1 L’Early Algebra

Il progetto ArAl., si colloca all’interno della cornice teorica denominata Early

Algebra. Tale cornice sostiene che i principali ostacoli cognitivi degli studenti

nell’approccio all’algebra siano dovuti ad un debole controllo sui significati (gli

studenti non comprendono a pieno il senso di una relazione o di una funzione) e a

domande, spesso lasciate senza risposta, riguardo le ragioni del loro fare matematica.

Parafrasando, si potrebbe dire che le difficoltà degli allievi ed i loro insuccessi siano

imputabili a una generale incomprensione di quanto essi si trovino realmente a fare

ed a studiare - con le conseguenti ricadute che ciò può avere sulla loro motivazione

ad apprendere, nello specifico, la matematica. Per permettere dunque agli studenti di

1 Malara N. A., Navarra G. (2003), Progetto ArAl: Quadro teorico di riferimento e glossario,

Bologna, Pitagora Editrice.

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chiarire, fin da subito, eventuali dubbi, domande e ricerche di significato, viene

proposto, a partire dai primi anni della scuola primaria, un insegnamento

dell’aritmetica di tipo pre-algebrico, dove, attraverso opportune e stimolanti

ambientazioni basate sul gioco, sull’esplorazione e sulla verbalizzazione, vengono

trattati aspetti quali l’osservazione di regolarità numeriche, lo studio di relazioni,

funzioni e sequenze, il riconoscimento di analogie, semplici equazioni, la

generalizzazione e viene avviato un precoce uso delle lettere per la rappresentazione

dei fatti osservati. Tutti aspetti che stanno alla base della formazione di un pensiero

pre-algebrico.

Per giungere dunque a quello che è, per gli alunni, un controllo dei significati della

matematica (e dell’algebra nello specifico), il progetto vuole poi avviare una prima

comprensione dell’esistenza di un linguaggio proprio dell’algebra, codificato e

caratterizzato da una ‘sintassi matematica’ e da regole precise ed universali che

permettono una lettura generalizzata di diverse situazioni.

Punto di forza e di partenza dell’Early Algebra è dunque l’attenzione verso la

semantica del linguaggio algebrico e la spinta affinché questo venga introdotto ai

primi anni della scuola primaria affiancato al linguaggio naturale, cosicché gli alunni

possano costruire quelli che sono i modelli mentali propri di tale linguaggio. Si parla,

a tal proposito di balbettio algebrico, intendendo con tale termine “l’appropriazione

sperimentale di un nuovo linguaggio, nel quale le regole trovino la loro collocazione

gradualmente, all’interno di un contratto didattico adatto e tollerante”. 53

È a partire da questi presupposti, che il progetto ArAl sviluppa l’attenzione verso

quelle che sono le proposte, le affermazioni, le sperimentazioni degli alunni stessi,

facendo partire l’indagine e lo studio dei fenomeni matematici, proprio a partire da

queste, accompagnando gli allievi verso una comprensione radicata e profonda della

53

Malara N., G. Navarra (2008) - Analisi critica di processi di classe in ambito aritmetico-algebrico

come modalità di formazione degli insegnanti (Robutti, O. (a cura di) - III Convegno Nazionale

Di.Fi.Ma - Università di Torino Torino (ITA)) - pp. da 164 a 169.

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conoscenza matematica ed evidenziando tutto quello che costituisce il processo,

ovvero la fase che conduce al risultato finale attraverso un collettivo e generale

confronto.

2.6.2 Aspetti Metodologici

Il contratto didattico

Per portare avanti quanto affermato sopra riguardo la centralità data alle produzioni

linguistiche degli alunni, è necessario instaurare con la classe un contratto didattico

non finalizzato a prestazioni puramente esecutive, ma aperto alle situazioni di

discussione attraverso le quali gli allievi giungono a maturare quelle concezioni

matematiche favorevoli al formarsi del pensiero algebrico. Perché ciò accada, gli

allievi devono comprendere il ruolo centrale che essi assumono all’interno della

costruzione collettiva della conoscenza matematica e del balbettio algebrico.

La discussione sui temi matematici

Se, dunque, l’attenzione è puntata sul così definito balbettio algebrico che si sviluppa

all’interno di una situazione di classe interattiva, il riferimento alla discussione

appare strettamente collegato. E’ proprio all’interno di questa discussione collettiva

sui temi matematici che gli alunni sono portati a “riflettere sui linguaggi, sulle

conoscenze, sui processi, a porsi in relazione con le ipotesi e con le proposte dei

compagni, a confrontarle e classificarle, a valutare le loro proprie convinzioni, ad

operare scelte consapevoli” 53

. Tutto ciò si deve poi misurare con la competenza

dell’insegnante nel gestire tale situazione e nel permettere che da essa gli alunni

possano trarre il maggior giovamento possibile. Attraverso la verbalizzazione e

l’argomentazione infatti gli alunni possono essere avvicinati più facilmente alla

comprensione dell’aritmetica in chiave algebrica.

53

N. Malara, G. Navarra, Analisi di processi di classe come compito chiave nella formazione degli insegnanti, 2006.

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54

L’interpretazione delle produzioni degli allievi

Tornando alle responsabilità dei docenti, spetta poi a loro riuscire ad orientarsi ed

orientare correttamente gli alunni tra le tante proposte, idee, opzioni ed

interpretazioni a cui il linguaggio matematico si presta. Le scritture matematiche

sperimentate, ad esempio, avranno per lo più caratteristiche varie che evidenziano un

uso personale e non sempre appropriato di linguaggi e simboli. Tali prove sono tanto

più importanti quanto permettono agli alunni di percepirsi come primi artefici e

costruttori di un bagaglio di conoscenze che diventerà poi patrimonio dell’intera

classe. Sta allora all’insegnante selezionare e far selezionare gli interventi più

corretti, far notare quelli errati o far comprendere una possibile compresenza di

soluzioni. Quest’operazione sarà poi utile al docente stesso per rivedere e riflettere su

quanto accaduto in classe, per ricostruire la mappa di tentativi, errori, difficoltà degli

alunni ed analizzare accuratamente ciò per un eventuale ‘ripartenza’ o ‘cambio di

rotta’.

2.6.3 Le finalità

Costruzione collettiva dei significati

Considerando quindi potenzialmente produttive le singole proposte e idee degli

alunni, il progetto, in linea con quanto scritto nelle Indicazioni nazionali per il

curricolo, spinge gli insegnanti a creare situazioni di classe quanto più interattive e

libere, che sviluppino la creatività e la voglia di mettersi in gioco. Gli alunni dunque,

in tali situazioni, devono essere portati a partecipare alla costruzione collettiva dei

significati, che avverrà proprio a partire dalle loro riflessioni, ipotesi interpretative,

talvolta buone, talvolta meno buone. Esplicitando, chiarendo e risolvendo da subito

queste ultime, si potrà evitare poi che errori e incomprensioni accompagnino gli

alunni e li ostacolino nel rapporto con la matematica e con la scuola.

Sul piano linguistico, la finalità principale del progetto è che gli alunni, avvicinati

all’algebra, comprendano il perché dell’utilizzo di un tale linguaggio simbolico, i

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vincoli e le regole a cui deve essere sottoposto e riflettano sul processo piuttosto che

sul prodotto di una certa situazione problematica.

L’algebra come linguaggio ha quindi la finalità di favorire una didattica fondata sulla

negoziazione dei significati e su un contratto didattico che punta l’attenzione prima

sul processo di insegnamento (la risoluzione di un problema), poi sul prodotto (la

risposta del problema).

Il balbettio algebrico

Come già introdotto sopra, nell’avvicinamento precoce all’algebra si parla di

balbettio algebrico, come metafora, come si può intuire, del balbettio del linguaggio

parlato. Come il bambino che impara a parlare e si approccia gradualmente alle

regole e ai significati propri della sua lingua, così si pensa che l’alunno di scuola

primaria approcciato all’algebra, possa e debba sperimentare questa attraverso forme

di balbettio algebrico che permetteranno poi la costruzione di modelli mentali propri

del pensiero algebrico. Per fare ciò, è necessario presentare agli allievi l’aritmetica

con intrecci all’algebra in un ambiente che stimoli ed assecondi lo sviluppo proprio

di questo nuovo linguaggio, dei suoi significati e delle regole che lo

contraddistinguono.

Processo e prodotto

Spesso gli alunni considerano la risoluzione di una situazione problematica

(qualunque essa sia) essenzialmente come la ricerca di un risultato. In questa

prospettiva, invece, si vorrebbe che l’alunno venisse allontanato dalla

preoccupazione del risultato e di tutte le operazioni volte ad ottenerlo e che fosse

condotto ad uno stadio cognitivo superiore, quello del ‘guardarsi mentre calcola’ ed

interpretare quindi la struttura del problema.

Nell’esercitazione proposta agli alunni della classe osservata, viene chiesto di

ricercare una regolarità di una successione numerica. Tale richiesta conduce

all’individuazione di una chiave di lettura algebrica del problema, poiché viene

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chiesto di ricercare non uno specifico risultato, ma una struttura utile ad interpretare

quella situazione. Colta la struttura poi, essa potrà venir tradotta in un linguaggio

matematico, codificato e quindi formalizzato. Ecco perché l’algebra diventa un

linguaggio utile a descrivere la realtà, amplificando inoltre la comprensione della

stessa.

La matematica come linguaggio

Le concezioni didattiche più produttive per favorire il passaggio dal pensiero

aritmetico a quello algebrico sono ritenute essere quelle che mettono in evidenza la

relazione tra linguaggio naturale/parlato e quello matematico. “La capacità di

esprimere una proposizione corretta in linguaggio parlato sarà pari o comunque

parallela alla stessa capacità di formularla in linguaggio algebrico.” 53

Ecco perché si può affermare che le prime difficoltà nell’affrontare lo studio

dell’aritmetica e dell’algebra sono di ordine linguistico: organizzare un discorso,

coordinare frasi, descrivere situazioni, seguire un ragionamento, argomentare la

soluzione di un problema. Senza contare che, come il linguaggio naturale, anche

quello matematico presenta precise regole di sintassi e semantica.

Trova ancora riscontro quanto presentato precedentemente riguardo la discussione in

classe. Proprio per sviluppare un linguaggio della matematica (o una schema mentale

legato ad essa) appare necessario spingere gli allievi a discutere, ascoltare, proporre,

motivare affermazioni ed esplicitare idee anche personali o ‘ingenue’ sui temi

matematici trattati.

53

Malara N., G. Navarra (2008) - Analisi critica di processi di classe in ambito aritmetico-algebrico

come modalità di formazione degli insegnanti (Robutti, O. (a cura di) - III Convegno Nazionale

Di.Fi.Ma - Università di Torino Torino (ITA)) - pp. da 164 a 169.

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2.7 Descrizione del Progetto ArAl in una classe quarta di scuola primaria

Come precedentemente specificato, lo studio tiene come sfondo di riferimento

l’attuazione del progetto ArAl in una classe quarta. In questa breve

contestualizzazione, ho tralasciato la trascrizione dettagliata dei i modi con cui la

docente guida la classe verso la discussione, come questa si esplicita negli alunni e

come poi viene gestita, poiché un’analisi completa di ciò si può trovare all’interno

del capitolo ad essa dedicato (v. cap. 3).

L’attività pensata dall’insegnante fa riferimento, allora, all’Unità 12 della collana di

libri del progetto ArAl (ad ogni unità infatti corrispondono diversi obiettivi in base al

target a cui è rivolta) e dove si propone di approcciare gli alunni ad un’aritmetica di

tipo pre-algebrico proiettata all’osservazione di regolarità numeriche (le successioni

modulari), allo studio di relazioni, al riconoscimento di analogie, alla

generalizzazione e ad un uso delle lettere per rappresentare i fatti osservati. Titolo del

testo di riferimento è infatti: “Unità 12: successioni come funzioni. Loro

rappresentazione mediante diversi registri di rappresentazione”. 54

In generale, gli obiettivi delle tre diverse giornate si possono classificare sotto gli

ambiti: sociale, linguistico, matematico e metodologico e si possono riassumere in

questo modo:

- sociale: partecipare all’esplorazione collettiva di una situazione

problematica collaborando all’individuazione delle possibili soluzioni.

- linguistico: argomentare con chiarezza e controllo dei linguaggi

specifici le proprie soluzioni.

- matematico: affrontare una situazione problematica che comporta la

ricerca di regolarità; controllare i significati legati agli aspetti

strutturali della divisione e riconoscere le situazioni problematiche

risolvibili tramite questa operazione.

54

Malara N. A., Navarra G., Sini S. (2012), Unità 12 - Successioni come funzioni: loro esplorazioni

attraverso differenti registri di rappresentazione, Bologna, Pitagora Editrice.

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- metodologico: affrontare individualmente in modo ordinato e

autonomo l’analisi di una situazione problematica avente come

argomento una successione modulare e saper organizzare la soluzione

attraverso il linguaggio matematico.

2.7.1 La prima esperienza ArAl

Fase 1: esplorazione di successioni rappresentate secondo registri differenti;

esplorazione di successioni dal punto di vista relazionale e rappresentazione di tale

relazione

Durante la prima giornata, allora, l’obiettivo matematico ‘affrontare una situazione

problematica che comporta la ricerca di regolarità’, viene declinato dall’insegnante in

altri e più specifici sotto-obiettivi quali:

1. individuare e distinguere successioni ordinate in modo diverso

2. individuare e distinguere i concetti di:

- successione come sequenza infinita di moduli ripetuti

- modulo come minimo insieme finito di elementi che si ripetono

- elemento come componente sia della successione che del modulo

3. individuare la posizione di un elemento all’interno della successione

Per fare ciò essa disegna alla lavagna due sequenze di fiori: la prima in cui i fiori

si ripetono con qualche irregolarità, la seconda in cui questi si ripetono

regolarmente (e che può essere riconosciuta come successione modulare). La

situazione presentata è allora la seguente:

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Invita poi gli alunni ad osservare, descrivere e a commentare eventuali particolarità,

somiglianze o differenze avviando la discussione in questo modo:

“Osservate le due righe con gli occhi, attivando il cervello e poi io raccoglierò tutte

le osservazioni che voi farete e le scriverò su un foglio”.

Così essa propone la situazione problematica e preannuncia già una delle tematiche

più importanti per quella lezione: l’importanza delle affermazioni degli alunni. Tale

rilievo, di base per la comprensione che la conoscenza deve essere costruita con

l’apporto di tutti, viene messo in atto mediante richiesta di trascrivere tutte le

osservazioni: viene così data pari dignità ad esse e vengono incoraggiati a parlare un

maggior numero di alunni.

Gli allievi rispondono a questa prima consegna in maniera attiva esponendo varie

osservazioni: dalle più descrittive (“Ci sono 15 fiori in tutto”, “Ci sono quattro fiori

rossi e due fiori gialli”), ai primi confronti (“Dalla riga A alla riga B, i tulipani si

sono moltiplicati, le margherite anche, le violette no, i gialli sono spariti”). Essi

inoltre individuano correttamente il significato dei punti di sospensione finali (“Vuol

dire che continua, che è infinita”), colgono la diversità delle due scritture, ed infine,

La prima

situazione-

problema

proposta.

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dopo il tempo necessario, fanno emergere le prime intuizioni di un qualcosa che si

ripete con una regolarità (“Nella riga B c’è un ordine: 2 tulipani una margherita e

una violetta, ma nella riga A no”). Riconoscono allora la prima sequenza (che poi

verrà chiamata successione) come apparentemente non ordinata e giungono a

considerare la seconda come ordinata. Sempre guidati dall’insegnante, individuano

correttamente il modulo della sequenza ordinata e lo descrivono come formato da

quattro elementi: due fiori rossi, uno bianco e uno viola. L’insegnante agisce sempre

cercando di far verbalizzare le ragioni delle scelte così che possano emergere

eventuali improprietà interpretative e invita costantemente gli alunni alla discussione.

Dal materiale destinato agli insegnanti e proposto dal progetto ArAl, il

raggiungimento di questo primo nodo cognitivo viene descritto in questo modo:

“Comprendere la differenza fra modulo e successione richiede, anche negli alunni

più grandi, tempi lunghi. All’inizio prevale l’aspetto percettivo: la successione è ciò

che essi vedono. Poco alla volta il pensiero si evolve verso l’astrazione e gli alunni

capiscono che la sequenza degli elementi visibili è solo la parte iniziale di una

successione infinita ottenibile attraverso la ripetizione di un modulo.” 54

In classe l’insegnante, per verificare la comprensione dei concetti di elemento,

modulo e successione, propone agli alunni di individuare questi in altre sequenze

ordinate, ma rappresentate con simboli diversi. Infine, per sviluppare l’ultimo degli

obiettivi prefissati per questa prima giornata (‘individuare la posizione di un

elemento all’interno della successione’), chiede loro di effettuare una prima relazione

tra un elemento del modulo e la posizione dell’elemento all’interno dell’intera

successione. Essa dà, ad esempio, la successione: XYZXYZXYZ…, in cui è

possibile isolare il modulo formato da tre elementi XYZ.

54

Malara N. A., Navarra G., Sini S. (2012), Unità 12 - Successioni come funzioni: loro esplorazioni

attraverso differenti registri di rappresentazione, Bologna, Pitagora Editrice.

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L’insegnante, scritta tale successione alla lavagna, fa indicare le posizioni di ogni

elemento dell’intera successione (1°, 2°, 3°, 4°…e così via, rimanendo all’interno

dell’insieme dei numeri naturali) e scrive:

X Y Z X Y Z X Y Z …

1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8° 9°…

Dalle Unità ArAl la giustificazione di ciò è spiegata in questo modo:

“L’importanza della numerazione delle posizioni (l’insieme dei naturali a partire da

1) deriva dalla necessità di vedere gli elementi in funzione del loro numero di posto:

ad ogni numero corrisponde un solo elemento.”54

La stessa docente poi invita gli alunni ad indicare, anche graficamente, il modulo di

tale successione, chiede loro di riflettere sulla lunghezza di questo (tre elementi) e

propone un nuovo problema: provare ad ipotizzare in quali posizioni potrà essere

sempre ritrovata una Z.

A partire, allora, dall’intuizione di alcuni alunni che elencano tutte le posizioni della

Z recitando la tabellina del 3, essa invita tutti ad attuare una prima relazione proprio

tra la posizione della Z e la posizione di tutti i multipli di 3. Li invita poi a pensare ad

un modo, una scrittura, che indichi ciò (avvicinandoli così al concetto di

generalizzazione). Guidati dall’insegnante allora gli alunni scrivono alla lavagna una

prima codifica della situazione: Z = 3n e, sempre in seguito agli input proposti sia

dall’insegnante sia da alcuni tra gli stessi alunni, il gruppo giunge ad inferire che:

tutte le X si troveranno a “più 1 dalla Z” e tutte le Y “a meno 1 dalla Z”. Anche in

questo caso, l’insegnante li porta a codificare e quindi tradurre queste due

affermazioni dal linguaggio naturale (parlato) al linguaggio matematico.

Rappresentano così alla lavagna scritture quali:

Z = 3n X = 3n + 1 Y = 3n - 1

Tali scritture, esemplificative delle situazioni proposte, hanno potuto dare loro una

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prima idea sulla codifica simbolica, approcciandoli così gradualmente alla scrittura

algebrica ed alla generalizzazione.

Dalle Unità ArAl si legge ancora riguardo il processo messo in atto dall’insegnante:

“Il processo della codifica contribuisce in modo importante a costruire le premesse

concettuali per quella che diventerà la traduzione in linguaggio algebrico delle

relazioni tra i dati - noti o incogniti - di una situazione problematica. È bene

abituare gli allievi al fatto che la bontà di una codifica dipende dall’efficacia con cui

essa rappresenta le relazioni in gioco.” 54

Gli iniziatori del progetto considerano poi il processo di acquisizione di una

terminologia matematica specifica come una prima codifica di particolari situazioni.

Tale codifica, verrà poi ampliata ed approfondita attraverso la rappresentazione

simbolica (e prettamente algebrica) di quanto prima espresso solo verbalmente. Essi

affermano: “Impadronirsi […]di termini specifici come ‘elemento’, ‘modulo’,

‘successione’, significa per gli alunni impadronirsi di un linguaggio nominale, com’è

quello scientifico. Attraverso i nomi, si condensano significati che altrimenti si

dovrebbero esprimere mediante giri di parole che spesso non apportano un

miglioramento alla comprensione di tali significati. Quella che possiamo chiamare

concentrazione semantica, propria della nominalizzazione, nel linguaggio naturale

prepara il passaggio alla produzione e all’interpretazione del linguaggio simbolico

dell’algebra, vero e proprio distillato semantico” 54

2.7.2 L’ultima esperienza ArAl.

Fase 2: esplorazione di successioni come funzioni e studio di una relazione tra due

progressioni, con l’ausilio di una rappresentazione tabulare.

Durante la seconda giornata dedicata all’attuazione del progetto, l’insegnante si

propone di rivedere quanto fatto precedentemente, presentando situazioni

54

Malara N. A., Navarra G., Sini S. (2012), Unità 12 - Successioni come funzioni: loro esplorazioni

attraverso differenti registri di rappresentazione, Bologna, Pitagora Editrice.

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problematiche diverse ed esercitando gli alunni nella ricerca di relazioni tra elemento

del modulo e sua posizione all’interno della successione. Per approfondire ancor più

poi l’idea di relazione tra tutti gli enti in gioco e loro rappresentazione simbolica,

l’insegnante predisporrà per gli alunni un’ulteriore nuova attività cognitivamente più

impegnativa delle precedenti. Tale attività occuperà le ultime due ore della terza

giornata di lavoro e verrà descritta di seguito.

Dopo aver avvicinato quindi gli alunni alle successioni modulari ed averli portati ad

indagare la struttura di queste per determinare l’esistenza di un legame tra un numero

di posto e l’elemento che lo occupa e per arrivare ad una rappresentazione formale di

ciò (formula o codifica simbolica), l’insegnante, durante le ultime due ore destinate

al progetto, decide di proporre agli alunni una situazione problematica ancor più

complessa e nuova con lo scopo di approfondire maggiormente il concetto di

relazione tra tutti gli enti in gioco e di una loro possibile rappresentazione simbolica.

Essa prepara a casa dei fogli con alcuni disegni raffigurati, li attacca alla lavagna e

presenta agli alunni tale situazione:

Ogni foglio rappresenta un giorno della settimana e, per ogni giorno della settimana,

sono indicate le mele e le fragole usate per fare la macedonia.

L’ultima situazione-problema proposta .

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Una particolarità è presente il venerdì e il sabato, dove non si conosce il numero

preciso di fragole (per il venerdì) e di mele (per il sabato). L’insegnante ambienta e

drammatizza la situazione, raccontando la storia della ‘buonissima macedonia della

mamma di Paolo’. Essa introduce l’argomento in tal modo:

- “La mamma di Paolo mi ha detto: ‘io ho una regola speciale per la

macedonia, ma non ho tempo di spiegartela. Ti do i miei foglietti che uso

giorno per giorno’. Se allora vogliamo mangiare la macedonia, dobbiamo

provare a scoprire questa regola e capire quante mele e quante fragole usa.

A voi allora! Guardate giorno per giorno e cercate di scoprire qual è la

regola per fare la macedonia. Io scriverò alla lavagna le vostre

osservazioni.”

Con quest’ultima affermazione, in particolar modo, viene marcata ancora una volta

l’importanza della condivisione, si incoraggiano tutti ad esprimere un’opinione e si

dà pari importanza a tutti gli interventi.

La richiesta principale fatta dall’insegnante agli alunni è che quindi, essi, dapprima

esprimano le loro varie osservazioni e, in seguito, propongano eventuali soluzioni per

giungere insieme alla scoperta della regola che la mamma di Paolo usa per fare la

macedonia.

In questa occasione, gli obiettivi matematici, vengono specificati in questo modo:

- correlare, a partire dal disegno, il numero di mele e il numero di fragole che

figurano nei sei giorni,

- individuare la relazione che li lega,

- generalizzare la legge e rappresentarla attraverso un codice simbolico

(ulteriore avviamento al linguaggio algebrico).

La relazione non è difficile da individuare se si cerca di esprimere il numero delle

fragole in funzione di quello delle mele (le fragole infatti sono il doppio più 1 delle

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mele), tuttavia il compito è inconsueto per gli alunni, e quindi è inizialmente

impegnativo proprio perché implica un’attività di ricerca ‘nuova’.

In prima istanza l’insegnante li indirizza dicendo: “C’è una regola che dice quante

fragole rispetto alle mele…” e chiarisce quindi che va cercata una regola che esprima

la relazione per ognuno dei due elementi presi in esame (fragole in funzione di mele).

L’insegnante chiede allora agli alunni, sempre cercando di portarli alla discussione,

di descrivere la situazione presentata e di esprimere una legge chiara che renda poi

facile la sua traduzione in linguaggio algebrico.

Essa procede trascrivendo alla lavagna le varie proposte, le quali man mano vengono

discusse e quindi eliminate o tenute per buone.

Gli alunni, come previsto dall’insegnante, si dimostrano molto motivati e si lanciano

in esplorazioni a tutto campo, a volte deviando dalla consegna iniziale, altre volte

contribuendo a chiarire la situazione. L’insegnante agisce rilanciando al giudizio e

alla verifica della classe, ognuna delle proposte fatte, rimarcando che le varie

osservazioni e proposte devono valere in tutti i casi (in tutte le sei giornate indicate),

poiché, altrimenti, non possono essere considerate come buone. Ad esempio, quando

un alunno afferma: “Da lunedì ci sono sempre più fragole…”, l’insegnante rilancia

agli altri, già animati per confutare tale osservazione, dicendo: “Potete, dovete

commentare!” e subito dopo un altro alunno motiva: “Non è vero che ci sono sempre

più fragole, perché dopo, il mercoledì ha meno fragole di lunedì…” e l’insegnante,

colto l’accordo con gli altri alunni, trascrive alla lavagna tale disconferma della

prima ipotesi proposta.

Sarà l’intuizione corretta di un’alunna che afferma “La mamma moltiplica il numero

di mele per due e dopo aggiunge uno” a portare il gruppo verso la soluzione.

L’insegnante allora trascrive la frase alla lavagna ed invita tutti alla verifica, giorno

per giorno di quanto espresso. Compresa la validità della regola dal lunedì al giovedì

(giorni che non presentano incognite), viene raggiunto l’accordo.

Attraverso le stesse modalità, in seguito, l’insegnante porta gli alunni a tradurre la

frase dal linguaggio naturale (parlato) al linguaggio matematico ed introduce il

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mediatore didattico: Brioshi, l’alunno giapponese al quale indirizzare la ricetta.

Motivo in più per giungere ad una rappresentazione che valga allo stesso modo per

tutte le situazioni rappresentate.

Dal materiale proposto agli insegnanti per il progetto, a questo proposito, si legge:

“Non è semplice guidare la classe verso l’individuazione della codifica. Può essere

l’insegnante stesso che la introduce quando ritiene giunto il momento, ricorrendo

alla strategia dei messaggi per Brioshi.”54

Brioshi è dunque l’amico giapponese degli alunni, il quale diviene, in questo ed in

molti altri casi, il controllore della correttezza della traduzione effettuata. Il

personaggio viene introdotto per far comprendere il rispetto delle regole nell’uso di

un linguaggio. Tale rispetto è ancor più necessario quando si tratta del linguaggio

della matematica data l’estrema sinteticità dei simboli usati.

L’ultimo passaggio logico dell’attività, consiste nella comprensione di ‘cosa succede

il venerdì e il sabato’ – giorni in cui non si conosce con esattezza il numero di fragole

o di mele, ma che deve venir inferito attraverso la formula precedentemente

codificata:

F= M x 2 + 1

in cui F sono le fragole e l’incognita da trovare e M sono le mele

Il gruppo, ancora una volta tramite costante confronto, prove, dis-conferme e micro-

dibattiti, arriva alla comprensione collettiva, alla scoperta della regola, alla sua

codifica e generalizzazione e ad un primo tentativo di approccio alla relazione

inversa, come si vede dalla seguente immagine:

54

Malara N. A., Navarra G., Sini S. (2012), Unità 12 - Successioni come funzioni: loro esplorazioni

attraverso differenti registri di rappresentazione, Bologna, Pitagora Editrice.

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La stessa immagine può essere considerata importante documento dei nodi logici

affrontati dalla classe in quella situazione. Si vedono infatti: in alto i due fogli

raffiguranti le giornate di venerdì e sabato, in cui è presente l’incognita ‘fragole’ per

il venerdì e ‘mele’ per il sabato. Si possono notare le varie proposte fatte dagli alunni

(opzione a, b, c), tra cui compare quella corretta - la c. Evidenziata da un riquadro si

può osservare anche la formula inversa trovata e, sotto di essa, le relative prove.

Da notare: in alto a sinistra vi è la rappresentazione in tabella della relazione che

intercorre tra mele e fragole. Ad ogni numero di mele, infatti, vi è un rispettivo

numero di fragole e viceversa. A questa rappresentazione tabulare si è giunti

applicando proprio la formula: F = M x 2 + 1.

2.7.3 Alcune considerazioni

Gli alunni in queste sei ore di ‘sperimentazione ArAl.’, sono stati approcciati alle

successioni modulari e ad un’analisi della struttura di queste; sono stati portati ad

attuare una prima relazione tra diversi enti in gioco e a descrivere questa relazione

attraverso un linguaggio verbale appropriato e valido per tutte le situazioni analoghe

La traccia del ragionamento effettuato.

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proposte. In seguito, si sono cimentati nella traduzione di queste specifiche

espressioni verbali nel linguaggio codificato della matematica, favorendo quindi un

loro avvicinamento a quelli che sono alcuni degli aspetti base del pensiero algebrico:

la descrizione di relazioni (funzioni), la rappresentazione di queste attraverso

codifica simbolica e la conseguente generalizzazione delle situazioni. L’insegnante

non ha predisposto alcuna valutazione formale di tali obiettivi matematici, se non

l’osservazione di quanto avvenuto in classe in quelle ore (e leggibile nell’intervista

fatta a posteriori).

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3.

L’INDAGINE

3.1 Il Quadro teorico

Nell’ottobre del 2012, durante la mia attività di tirocinio in una scuola primaria nella

periferia di Trieste, l’insegnante a cui ero stata affiancata mi porta a conoscenza del

progetto ArAl., una proposta di formazione ed aggiornamento rivolta ai docenti di

matematica ed accolta da numerosi Istituti Comprensivi della città. La stessa mi

propone di prendere parte con lei ai corsi previsti tra gennaio e aprile 2013 ed io,

spinta da curiosità e desiderio di ulteriore formazione, accetto.

Decido, inoltre, di approfondire e ricercare ulteriori informazioni in merito, trovando,

nel “Quadro teorico di riferimento”1 prima e, successivamente, in ulteriori articoli

accademici53

scritti dagli iniziatori del progetto (Nicolina Malara e Giancarlo

Navarra), un punto di partenza per inquadrare finalità, metodologie e obiettivi di

fondo ad esso. Prendo atto allora che, tra le finalità, vi fosse, ad esempio, l’interesse

verso una matematica che punta l’attenzione al processo di apprendimento, al

linguaggio specifico usato, alle produzioni degli allievi e verso un modo di fare

scuola che, riconoscendosi appartenente alla corrente del costruttivismo socio-

culturale, considera il confronto, il dibattito, la discussione come modalità interattive

adatte allo sviluppo di un apprendimento dal carattere, appunto, costruttivo, socio-

culturale e situato. Constatati, dunque, i legami tra le situazioni di apprendimento-

insegnamento proposte da ArAl e quanto esplicitato delle Indicazioni nazionali,

nonché e dalla letteratura di riferimento in merito al costruttivismo socio-culturale,

1 Malara N. A., Navarra G. (2003), Progetto ArAl: Quadro teorico di riferimento e glossario,

Bologna, Pitagora Editrice. 53

Malara N., G. Navarra (2008) - Analisi critica di processi di classe in ambito aritmetico-algebrico

come modalità di formazione degli insegnanti (Robutti, O. (a cura di) - III Convegno Nazionale

Di.Fi.Ma - Università di Torino Torino (ITA)) - pp. da 164 a 169.

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decido di iniziare il mio studio di approfondimento e di fondarlo su due principali

obiettivi.

3.2 Gli obiettivi dell’indagine

Vista la possibilità di affiancare l’insegnante sia nei corsi di aggiornamento, sia nella

sua azione a scuola e di poter assistere, al termine della formazione, ad un suo

intervento ArAl con gli allievi, decido di focalizzare la mia attenzione proprio sulla

docente e sul suo operato. In quanto insegnante in formazione mi premeva, in primis,

andare a scandagliare i vari aspetti di questa figura professionale: le motivazioni che

la spingono a partecipare al progetto ArAl, il suo aggiornamento costante,

l’attenzione verso una specializzazione, il suo interesse verso una didattica centrata

sui bisogni degli allievi, il suo modificare i materiali proposti (anche da ArAl) e

adattarli al contesto classe specifico e, infine, il suo progettare e poi mettere in atto

situazioni di apprendimento interattive mirate alla costruzione collettiva dei

significati.

Il primo obiettivo del mio studio è nato quindi dalla seguente questione: “Come

un’insegnante esperta può tradurre e portare in classe un approccio innovativo-

metodologico legato al progetto ArAl?”. Ho così voluto sondare, prima, come essa si

preparasse a tale progetto, facendo emergere gli aspetti professionali ed emotivi di

ciò e dando un'attenzione particolare a come essa intendesse avviare la discussione e

l'interazione con gli alunni, sempre nell'ottica della costruzione collettiva dei

significati. In seguito, ho voluto osservare come lei proponesse questo tipo di attività,

soffermandomi sulle azioni verbali messe in atto per costruire conoscenza collettiva

ed infine come essa considerasse e valutasse a posteriori la sua azione in classe e ciò

che, in generale era emerso. Il primo obiettivo dello studio, si presenta allora come

totalmente focalizzato sulla figura della docente.

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Tuttavia, considerando che le prime e dirette conseguenze dell’operato di un

insegnante possono essere riscontrabili negli alunni, mi sono poi interrogata su quali

esse potessero essere in questo caso.

Il secondo obiettivo va allora ad indagare come gli allievi, in quanto soggetti in

interazione con l'insegnante, rispondano con comportamenti visibili legati

all’interazione e alla costruzione dei significati e come essi percepiscano o inizino a

percepire (prima e dopo ArAl) questa modalità costruttiva di apprendere e fare

matematica: “Ne colgono il valore e le opportunità fornite?”. L’obiettivo 2, allora,

completa e chiude il cerchio attorno all’obiettivo 1, in quanto, focalizzandosi solo

sugli alunni, ho voluto riscontrare se, dai loro comportamenti in classe e dalle loro

parole dirette (lontane dallo spettro di un giudizio dell'insegnante), emergesse una

presa di coscienza di quanto effettivamente accaduto e messo in atto riguardo il

valore dell'interazione nella costruzione collettiva dei significati e riguardo, in

generale, l’apprendimento cooperativo.

OBIETTIVO 1 come un'insegnante esperta traduce un approccio innovativo-metodologico

legato ad Aral, con particolare attenzione a come:

- si prepari per la costruzione collettiva dei significati (a priori)

- si adoperi concretamente per questa (in classe)

- la valuti infine (a posteriori)

OBIETTIVO 2 come gli alunni, in quanto soggetti in interazione con l'insegnante:

- rispondano con comportamenti visibili legati all'interazione e alla costruzione dei

significati (in classe)

- inizino a percepire ed apprezzare il valore e le opportunità fornite da questa modalità di

apprendere e di fare matematica (da confronto intervista a priori e posteriori)

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3.3 I soggetti coinvolti

Gli attori principali di questo studio sono dunque: un'insegnante di matematica di

scuola primaria che da alcuni anni segue i corsi di formazione per il progetto ArAl e

che si presenta comunque attenta all'ancorare la sua didattica ai bisogni ed alle

capacità degli allievi ed i 25 alunni della sua classe, una quarta di una scuola

primaria sita alla periferia di Trieste.

3.4 La Metodologia

3.4.1 I materiali

Tra i materiali utilizzati si possono considerare tutti gli approfondimenti ed i

riferimenti teorici e pratici forniti dal progetto ArAl agli insegnanti: proprio da questi

sono state tratte le attività da fare poi in classe. Si è trattato infatti di presentare agli

alunni una serie di esperienze prese dall’Unità 12 della collana54

del progetto ArAl,

che propone i seguenti argomenti:

- esplorazione di successioni rappresentate secondo registri differenti,

- esplorazione di successioni dal punto di vista relazionale,

- rappresentazione di tale relazione,

- esplorazione di successioni come funzioni, studio della relazione tra due

progressioni con l’ausilio di una rappresentazione tabulare.

Queste dunque le tematiche trattate in classe che rispecchiano le finalità matematiche

del progetto (descritte al cap. 2, par. 2.6). A ciò, si possono aggiungere le finalità

sociali di tale proposta, trasversali ad ogni intervento e che possono essere inquadrate

nei seguenti obiettivi:

54

Malara N. A., Navarra G., Sini S. (2012), Unità 12 - Successioni come funzioni: loro esplorazioni

attraverso differenti registri di rappresentazione, Bologna, Pitagora Editrice.

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- comprendere che la costruzione della conoscenza è un processo sociale in cui

i compagni svolgono un ruolo fondamentale,

- partecipare alla discussione su questioni matematiche,

- dialogare con i pari,

- ascoltarsi reciprocamente.

Tra i materiali utilizzati possono poi essere menzionate le ‘regole base’5

dell'Exploratory Talk (un tipo di linguaggio atto a portare avanti uno specifico

ragionamento) identificate dallo studioso socio-costruttivista Mercer e utilizzate

come strumento di lettura ed analisi per ciò che è avvenuto in classe:

1. Tutte le informazioni rilevanti vengono condivise

2. Il gruppo (insegnante-alunni) cerca di giungere ad un accordo

3. Il gruppo si prende la responsabilità delle decisioni

4. Vengono date/richieste motivazioni alle affermazioni

5. Prima di prendere una decisione, si discutono le alternative

6. Sono accettate le ‘‘sfide’’ – i cambi di programma

7. Tutti sono incoraggiati a parlare.

Ulteriori materiali usati, sono stati poi gli ‘indicatori linguistici’5

proposti dallo stesso

autore per riscontrare, da un’analisi quantitativa, specifiche parole indicanti proprio

un modo di usare il linguaggio e di ragionare, tipico dell’interazione e della

costruzione collettiva dei significati. Dopo precisa traduzione dall’inglese

all’italiano, tali indicatori possono essere considerati i seguenti:

- L’uso di ‘io penso’ e di forme quali ‘ho notato che’, ‘per me’, ‘secondo

me’, per indicare la natura ipotetica delle dichiarazioni che susseguivano

- L’uso di ‘perché’ per dare motivazioni alle dichiarazioni

- L’uso di ‘siete d’accordo?’ per ricercare l’accordo

5 Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, 9 (5).

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- L’uso dei verbi al condizionale e di specifiche forme per esplicitare

un’ipotesi (‘si potrebbe’, ‘si vorrebbe’, ‘se’, ‘forse’, ecc.), per introdurre

una spiegazione/motivazione e rendere esplicito a tutti un particolare ed

ipotetico ragionamento

- Spiegazioni più lunghe di 100 parole.

3.4.2 La procedura

1. Le interviste all’insegnante

Al fine del mio studio ho deciso di effettuare due interviste all'insegnante, una prima

e una dopo il suo intervento in classe. Nell’intervista a priori è stato chiesto di

esplicitare: come fosse progettato un possibile avvio della discussione (nell’ottica

della costruzione dei significati), quali fossero le motivazioni, le aspettative, le

difficoltà ed i dubbi in merito. Nell’intervista a posteriori sono poi stati ripresentati

alcuni quesiti, si è chiesto di fare un confronto tra quanto ipotizzato e quanto

realmente accaduto (compresi i rilievi particolari emersi) e si è proposto di attuare

una prima soggettiva valutazione.

2. Le interviste agli alunni

Sempre in merito agli obiettivi dello studio, ho effettuato due ulteriori interviste,

questa volta agli alunni, prima e dopo l’esperienza ArAl. Nell’intervista a priori ho

chiesto di: riportare le preferenze riguardo il lavorare da soli o in gruppo, motivando

le risposte, descrivere i reali comportamenti da loro messi in atto in situazioni in cui

o essi stessi o i compagni non sapessero come risolvere un particolare

esercizio/problema, descrivere le azioni messe in atto per risolvere una possibile

divergenza di opinioni riguardo la risoluzione di un problema matematico (per

giungere ad un possibile accordo). A posteriori ho poi riproposto gli stessi quesiti e

vi ho apportato alcune aggiunte. Dopo aver registrato la loro prima risposta (sulla

base della stessa domanda posta a priori), ho chiesto loro di far riferimento

all’esperienza vissuta con ArAl e, per ogni item, di riportare i comportamenti messi

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in atto realmente. Ho infine chiesto di esprimere e motivare l’apprezzamento o meno

dell’attività proposta.

3. Le videoregistrazioni

Per poter analizzare gli interventi ArAl effettuati in classe, ho poi proceduto con la

videoregistrazione delle 6 ore di durata dell’esperienza (2 ore in 3 differenti

giornate). Sono poi state prese come spunto per l'analisi ed il confronto, le prime 2

ore e le ultime 2 ore. Nonostante questa suddivisione, le tematiche trattate si possono

accorpare in due sole fasi, così da avere il seguente schema:

1^ FASE (4 ore)

- esplorazione di successioni, rappresentate secondo registri differenti

- esplorazione di successioni dal punto di vista relazionale

- rappresentazione di tale relazione

2^ FASE (2 ore)

- esplorazione di successioni come funzioni

- studio di una relazione tra due progressioni, con l’ausilio di una

rappresentazione tabulare

Trasversale a queste tematiche, è l'azione dell'insegnante volta a portare gli alunni a

sviluppare gli obiettivi sociali legati alla costruzione collettiva dei significati, sopra

espressi.

Da notare: data la circoscritta e limitata durata temporale del progetto, esso, in

questa indagine, verrà considerato come esperienza quasi laboratoriale, attuata dalla

docente sia per anticipare alcune tematiche matematiche che verranno poi riprese

sistematicamente a partire dall’anno successivo, sia per iniziare con gli alunni un

percorso per sviluppare e migliorare le specifiche competenze sociali a cui mira la

proposta.

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3.4.3 L’analisi dei dati

1. L’analisi qualitativa delle interviste all’insegnante

In relazione all’obiettivo n. 1 della tesi, ho preparato un’intervista da somministrare

all’insegnante prima e dopo l’intervento ArAl. Ho chiesto quindi a priori di

esplicitare le modalità con cui fosse avvenuta la preparazione all’azione didattica, i

dubbi (se presenti) e le eventuali aspettative. A posteriori ho chiesto invece di

valutare personalmente quanto accaduto, di confrontare le aspettative con la realtà e

di evidenziare alcuni rilievi particolari. L’intervista ha poi permesso di mettere in

luce altri aspetti della figura professionale del docente; c’è da aggiungere che al fine

di una visione e analisi completa di questa, ho poi intrecciato i dati raccolti tramite

intervista con le impressioni finali rilasciate ‘a caldo’ a termine di ogni unità di

apprendimento proposta. La struttura dell’intervista con le domande effettuate

troverà spazio nella sezione degli Allegati (v. Allegato 1).

Categorizzazione e confronto tra intervista a priori e a posteriori sui vari nuclei

tematici

Gli aspetti motivazionali per l’insegnante (e per gli alunni)

Dalle interviste emerge chiara la motivazione dell’insegnante ad avvicinarsi a questo

e altri progetti di formazione ed aggiornamento poiché trattano varie tematiche che,

in quanto professionista dell’educazione, l’hanno sempre interessata. Essa riferisce

che, da quando era studentessa di matematica a quando è diventata insegnante, una

delle questioni che maggiormente la colpiva era il cercare tutte le strategie possibili

affinché ciascun alunno, con diverse capacità, modalità e tempi di apprendimento,

potesse trovare la strada per acquisire i concetti matematici fondamentali e,

riprendendo le parole dell’insegnante:

“…affinché nessuno debba dire ‘non sono portato, la matematica non fa per me’”.

Altra motivazione che spinge la docente a scegliere, ArAl in particolare, è il fatto che

questo progetto si interessi, già dalla scuola primaria, all’avvio del pensiero pre-

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algebrico, cercando di colmare il grosso divario solitamente percepito tra la

matematica essenzialmente concreta della scuola primaria e quella completamente

astratta della scuola secondaria di primo grado. Il fatto poi che lo stesso si rivolga a

tutta la fascia scolare dai 3 ai 14 anni, fa sì che venga ancor più apprezzato dalla

docente che demarca così un interesse verso una continuità educativa, spesso difficile

da attuare.

Inoltre nelle impressioni finali, in merito alla motivazione e alla scelta ricaduta

proprio su ArAl, essa riconosce l’importanza che questo dà, non solo alla matematica

in sé stessa ma anche al modo, al processo, all’apprendimento attraverso cui questa

viene acquisita ed aggiunge:

“Per me ArAl non è stata un’illuminazione, ma mi ha dato solo delle conferme e

delle risposte che io ho sempre cercato mettendo al centro il ‘come gli alunni

arrivano a...’, partendo dalle loro idee, da quello che c’è dentro le loro teste per

farli arrivare alla comprensione”.

Ciò che essa vuole portare in luce è che ArAl non tratta la matematica così com’è,

ma tratta una matematica fortemente legata ai bisogni del bambino, cosa che, dalle

parole dell’insegnante, si evince essere anche una delle sue priorità in quanto docente

di questa specifica disciplina.

La sua scelta dunque ricade su ArAl anche per le affinità che essa ha trovato rispetto

al suo consueto modus operandi e per la centralità data ai bisogni dell’alunno (tra i

suoi interessi primari). Sempre nelle interviste, inoltre, l’insegnante si aspetta e poi

riscontra una buona motivazione e curiosità degli alunni verso l’attività. Motiva ciò

con l’aspetto ludico e a sorpresa con cui viene presentata e con la sua stessa

difficoltà:

“Un esercizio molto complicato ha suscitato l’interesse sia degli ‘amanti della

matematica’, sia di quelli più riluttanti”.

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Individua poi come elemento motivante l’utilizzo del mediatore didattico Brioshi –

l’amico e alunno giapponese a cui deve essere portato il messaggio in linguaggio

matematico e che impone a tutti di impegnarsi al massimo per essere chiari ed

efficaci nella comunicazione e discussione: ulteriore aspetto motivante ed ancorato

allo sviluppo di abilità sociali, interattive e comunicative a cui è interessato questo

studio. L’insegnante afferma infine, nelle impressioni dell’ultima giornata:

“Questa attività, non di certo così intuitiva e semplice ha permesso di stimolare e

potenziare i bravi e comunque coinvolgere i meno”.

Accerta così, l’avvenuta motivazione ed il coinvolgimento di tutti.

La preparazione (della discussione nell’ottica della costruzione collettiva

della conoscenza)

Per quanto riguarda la preparazione vera e propria, l’insegnante individua come

molto proficua la partecipazione ai corsi di formazione soprattutto per quel che

riguarda l’approfondimento sul piano del pensiero matematico pre-algebrico (in sede

venivano proposte simulazioni ed esercitazioni). Per quel che riguarda il piano

linguistico metodologico e sociale (di costruzione della conoscenza), l’insegnante

trova aiuto nell’utilizzo del materiale fornito e condiviso: i diari dei colleghi,

commentati dal responsabile del progetto. In essi si sottolineano soprattutto i

comportamenti da attuare o meno per avviare la discussione e permettere la

costruzione e condivisione dei significati e, grazie a questi, ogni docente può

riflettere rispetto la sua azione in classe e adoperarsi per migliorarla.

L’insegnante nell’intervista a priori descrive inoltre le modalità con cui intende

avviare la discussione, rimarcando che utilizzerà la procedura usuale che mette in

atto con la classe, anche al di fuori di ArAl. Essa esemplifica con: “Ragazzi, abbiamo

un problema…” evidenziando così anche il carattere collettivo di inchiesta e di

problematicità data alla situazione. Poi continua:

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“Li invito a ragionare sulle possibili procedure, ad argomentarle e a confrontarle

con quelle altrui. Non sempre si giunge ad un accordo, ma procedendo, la scelta non

corretta dimostra le sue falle”.

Rilevando così, già dalle intenzioni, la scelta verso una costruzione della conoscenza

previo confronto tra i vari soggetti in gioco, confutazione di ipotesi e raggiungimento

di un accordo.

Le aspettative

L’insegnante esprime una serie di aspettative riferite al progetto classificandole su

vari piani (sociale, linguistico, matematico, metodologico). Quello che interessa più

questo studio si ritrova nel piano sociale; qui essa riporta come aspettativa il fatto che

gli alunni, al termine delle attività proposte e dopo gli stimoli ricevuti, sappiano

partecipare all’esplorazione collettiva di una situazione problematica collaborando

tra loro all’individuazione delle possibili soluzioni.

I riscontri in merito

A seguito della prima Unità di Apprendimento presentata l’insegnante riporta la

difficoltà degli alunni nell’ascoltarsi, nell’ascoltare compagni e maestra e continua:

“Tutti vogliono dire la loro e bisogna forzarli a chiedergli se sono d’accordo o

meno”.

Individuando questo, oltre che come l’aspetto fondante della costruzione collettiva di

conoscenza, anche come il principale obiettivo della scuola primaria. Abituare gli

alunni all’ascolto, al confronto, al ragionamento sono infatti abilità senz’altro

necessarie ed indispensabili alla vita sociale di tutti i singoli futuri cittadini.

A seguito dell’ultima Unità di Apprendimento invece esprime soddisfazione per

quanto accaduto e riconosce:

“In quest’ultima giornata gli alunni si sono ascoltati più delle altre volte e tra di

loro discutevano e si confrontavano”.

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Nell’intervista a posteriori rileverà infatti un deciso miglioramento tra primo e ultimo

intervento notando ancora:

“Nel primo incontro la discussione all’inizio andava a rilento e penso di essere

intervenuta molto per portarli a lavorare fra loro (questo è sempre un mio problema,

faccio come il cane da pastore: voglio sempre tutte le pecorelle al posto giusto), poi,

una volta trovata la strada, hanno lavorato bene”.

A posteriori essa esprime una discreta soddisfazione per quanto avvenuto, valuta un

primo positivo raggiungimento degli obiettivi sociali proposti dal progetto e afferma:

“Gli alunni si sono ascoltati reciprocamente, hanno cercato di capire il pensiero e le

motivazioni degli altri, hanno aspettato il loro turno per parlare, hanno cercato di

esprimersi in modo chiaro e efficace per farsi capire”.

Le difficoltà

Tra le difficoltà che l’insegnante stessa immagina a priori possano avere gli alunni si

legge: lo scarso ascolto reciproco e la frettolosità e superficialità con cui solitamente

essi rispondono alle domande. Ella individua poi ulteriori loro comportamenti che

potrebbero rendere difficoltoso l’avvio dell’attività come: l’interrompere i compagni

prima che essi abbiano terminato di esporre il proprio pensiero, l’insicurezza, la non

partecipazione, l’inefficacia nell’esprimere verbalmente alcuni contenuti (seppure

interessanti). Rispetto a tutto ciò, l’insegnante a posteriori evidenzia sempre un

miglioramento (vedi sopra).

Inoltre, in riferimento alle difficoltà, ne aggiunge una di tipo logistico: l’elevata

numerosità della classe, 25 alunni, e l’impossibilità di lavorare nel piccolo gruppo,

dati i tagli all’organico. Ciò viene confermato dalla docente anche a posteriori, in

quanto, nonostante la buona riuscita generale dell’attività, essa nota che, in un

gruppo più ridotto (8-10 alunni) tutti sarebbero riusciti ad esporre e argomentare le

loro proposte in maniera ancor più spontanea.

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ArAl e gli alunni con difficoltà:

Il dubbio più profondo espresso dall’insegnante a priori rispetto al presentare ArAl in

classe era riferito alle conseguenze che questa attività avrebbe avuto nei confronti di

alunni con difficoltà: li avrebbe favoriti o meno? Essa a posteriori rileva il generale

giovamento tratto da tutti gli allievi nel partecipare all’attività e riporta:

“Ho osservato che mentre nei momenti di matematica più tradizionale gli alunni in

difficoltà tendono ad estraniarsi quando non capiscono, nelle attività ArAl. (o

comunque svolte con questa metodologia) sono molto più attenti e partecipativi,

traendone giovamento, se non sul piano matematico (dove non colgono tutti gli

aspetti) quanto meno su quello sociale e linguistico e ciò li favorisce in tutte le altre

attività scolastiche e non”.

La situazione interattiva, costruttiva e dialogica della proposta ArAl, viene quindi

considerata come fattore fondante per la buona riuscita dell’attività, per il

coinvolgimento di tutti, per l’accordo e per la comprensione concettuale infine

raggiunti.

I rilievi particolari emersi

L’insegnante inoltre, sia nelle interviste, sia nelle impressioni finali, riconosce che,

tale proposta, oltre ad aver dato la possibilità di espressione ad un maggior numero di

alunni, dato il suo carattere inconsueto e nuovo per tutti, ha equilibrato le capacità

dei vari soggetti all’interno della classe. E’ così accaduto che coloro che

dimostravano costanza nello studio teorico hanno avuto maggiori difficoltà rispetto a

coloro che, magari solitamente meno motivati, incostanti ed insicuri, hanno invece

saputo affrontare la situazione problematica proposta con il giusto piglio e

dimostrando coerenza nel ragionamento ed intuitività. Ecco gli aspetti positivi colti

dalla docente:

“Dal punto di vista matematico l’attività mi ha riservato delle belle sorprese: alcuni

degli alunni che più si sono adoperati per arrivare a una soluzione soddisfacente

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sono tra quelli che incontrano molte difficoltà nella soluzione dei problemi

tradizionali.”

E ancora essa nota che, in questa occasione, alunni che solitamente si limitavano a

risposte stringate e non approfondite da spiegazioni si sono impegnati per affermare

il proprio pensiero e renderlo efficace; così come riscontra che altri, solitamente

meno bravi e non regolari nello studio:

“…possono e sanno fare e capiscono il ragionamento che c’è alla base”.

La docente individua poi le ragioni di questo maggiore coinvolgimento:

- La difficoltà dell’attività che ha permesso di potenziare i bravi e coinvolgere i

meno bravi

- L’aspetto ludico e a sorpresa che ha motivato ed incuriosito tutti

- Il carattere interattivo, di partecipazione e socialità di quelle ore che, facendo

passare il messaggio che ‘ogni contributo è importante per la comprensione

collettiva’ ha spinto anche i più timidi ed insicuri al dibattito ed alla

discussione, creando una situazione fortemente dialogica, lontana dai ‘timori’

di una valutazione negativa e nella consapevolezza che tutti potevano e

dovevano esprimere un’opinione ed ascoltare quelle, seppur differenti, degli

altri.

Come l’insegnante considera il progetto

La modifica del materiale proposto

Tra gli ulteriori rilievi raccolti, vorrei far notare quanto emerge dalle parole

dell’insegnante in merito alla modifica del materiale proposto ed alla formazione

continua. Tornando all’intervista, infatti, essa nota di modificare il materiale dato ai

corsi di formazione (e reperibile sulla rete), per contestualizzarlo e per adattarlo alle

loro caratteristiche e bisogni di quegli alunni.

“In generale mi piace modificare il materiale per renderlo familiare agli alunni (in

questo caso l’ho fatto, utilizzando, ad esempio, i fiori che al momento avevamo in

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giardino). Inoltre le schede in mio possesso avevano disegni molto piccoli e li avrei

comunque dovuti ridisegnare.”

L’importanza della formazione continua

Infine, la docente giudica ArAl un approccio innovativo, pur chiarendo il suo

interesse già da anni incentrato ad una costruzione della conoscenza matematica fatta

a partire dagli alunni e per gli alunni. Da notare l’attenzione che pone sulla sua

formazione continua: riferisce di essere intenzionata a partecipare al convegno ‘Fra

gioco e matematica’58

che si svolgerà a Firenze ad ottobre 2013 e che marcherà la sua

attenzione sull’aspetto ludico della matematica, considerato dalla stessa

“…particolarmente positivo e attraente per gli alunni”.

Quello che, in ultima istanza, emerge è, dunque, l’approccio generale che

l’insegnante in questione utilizza verso il progetto proposto. Dalle sue parole si

ricava infatti anche la giusta e proporzionata importanza con cui lo tiene in

considerazione, definendolo, certo, come un valido supporto formativo e teorico, ma

mai indicandolo come l’unica via da seguire. Essa, come si può leggere

dall’intervista, lo àncora sempre ad un suo modo di fare scuola, già da anni

incentrato sulla scoperta, sulla problematizzazione, sulla costruzione (e non

trasmissione) di significati quanto più condivisi, legati ed adattati allo specifico

contesto che ha di fronte: gli alunni.

Il progetto ArAl, dunque, con il suo interesse verso la matematica come linguaggio,

la costruzione di una conoscenza matematica condivisa, la discussione in classe,

l’avvicinamento al pensiero pre-algebrico, diviene quindi un legittimo ed efficacie

strumento di aiuto per un’insegnante già da anni attenta a tutte quelle tematiche che

vengono poi ribadite ed evidenziate nelle ultime Indicazioni nazionali per il

curricolo.

58

cfr. http://matematica.unibocconi.it/articoli/il-convegno-di-ottobre-firenze

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2. L’analisi qualitativa delle interviste agli alunni

Sulla base del obiettivo n.2 del lavoro, sono state, dapprima individuate le domande

volte al far emergere il contenuto specifico della costruzione collettiva dei significati;

in seguito, dopo aver raccolto i dati tramite interviste, sono state isolate le risposte

degli alunni in cui emergeva ciò, trascrivendole ed evidenziando le più significative.

E’ stato poi attuato un primo confronto tra quanto da loro espresso prima

dell’intervento ArAl e dopo.

Inoltre, nell’intervista a posteriori, veniva chiesto agli alunni, non solo di descrivere

in maniera generale cosa essi facessero, ad esempio, quando non capivano un

esercizio/problema, ma è stato loro chiesto di far riferimento proprio all’attività

ArAl. Sono quindi state categorizzate anche queste risposte, le quali hanno

evidenziato particolari rilievi e, anche in questo caso sono state trascritte ed

evidenziate le più significative. Allo stesso modo si è proceduto per categorizzare e

discutere riguardo le risposte date dagli alunni (sempre a posteriori) sul grado di

piacevolezza dell’attività proposta. (v. Allegato 2).

Categorizzazione e confronto tra intervista a priori e a posteriori sui vari nuclei

tematici

L’intervista agli alunni è iniziata con la presentazione a loro di due domande

(definite poi di ‘apri-pista’) tratte dal questionario “Io e la matematica: Un’indagine

sul rapporto dei ragazzi con la matematica” di Zuccheri e Zudini55

:

“Cosa vuol dire per te fare matematica?”

“Cosa ti piace e cosa non ti piace fare in matematica?”

Queste, seppur non focalizzate sugli obiettivi del lavoro, sono risultate utili ai fini

della realizzazione dell’intervista stessa. Infatti, per il loro carattere soggettivo e

generico, hanno permesso agli alunni di entrare nella situazione dell’intervista, di

55 Zuccheri L., Zudini V. (2012), Quaderni CIRD n.5, “Io e la matematica: Un’indagine sul rapporto

dei ragazzi con la matematica”.

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comprenderne le dinamiche, di coglierne l’avalutatività e di approcciarsi quindi ad

essa in maniera più libera e spontanea. Va specificato che l’intervista sia a priori che

a posteriori è stata somministrata ad un piccolo gruppo di alunni per volta (5 per

gruppo). Ciò, talvolta, ha reso complessa la registrazione dei dati, tuttavia, la stessa

situazione interattiva ha fornito gli spunti più interessanti.

Le domande volte al far emergere l’idea della costruzione collettiva della conoscenza

chiedevano agli alunni di esplicitare opinioni, preferenze e reali atteggiamenti messi

in atto, durante la lezione di matematica, nell’affrontare e risolvere di situazioni

problematiche.

I nuclei tematici delle domande si possono allora sintetizzare come segue:

1. Esprimere una preferenza: lavorare con i compagni o da soli

2. Riconoscendo un’incomprensione ed una difficoltà personale rispetto ad

una situazione problematica matematica: chiedere ai compagni, alla

maestra, fare da soli

3. Individuando un’incomprensione e una difficoltà di un compagno: fornire

aiuto, non fornire aiuto

4. Individuando una divergenza di opinione in merito alla risoluzione di una

situazione problematica matematica: confronto con i compagni

esprimendo fiducia nelle loro proposte, evitamento del confronto e

sfiducia.

Le stesse, sono state dunque presentate agli alunni sia prima dell’esperienza ArAl,

sia dopo ed hanno permesso la categorizzazione delle risposte ed il relativo

confronto.

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Esprimere una preferenza: lavorare con i compagni o da soli.

Non si individuano significativi cambiamenti tra il prima e il dopo: il numero di

alunni che affermano di preferire il lavoro in autonomia passa da 7 a 5. Resta una

cospicua maggioranza che, sia prima che dopo l’esperienza ArAl, riconosce nel

lavoro collettivo una modalità preferenziale di fare scuola. Essi, ad esempio,

riportano:

“Perché in gruppo c’è lavoro di squadra, si uniscono le forze, uno fa una cosa che

l’altro non sa fare e viceversa”.

“Perché in gruppo si impara di più, perché i compagni sanno delle cose che tu non

sai e che ti possono servire per la prossima volta”.

“Perché in gruppo possiamo condividere le nostre idee e capire come possiamo

superare il problema. Se tu ti blocchi e sei in gruppo, l’altro compagno può darti un

aiuto”

La situazione rimane invariata, se non maggiormente arricchita, anche nel momento

in cui si chiede loro di indicare la preferenza, riportandola alla situazione del

progetto e si può leggere dalle loro parole:

0

5

10

15

20

25

30

PRIMA DIAR.AL

DOPO AR.AL DURANTEAR.AL

1.Preferisco lavorarecon gli altri

1.Preferisco lavorare dasolo

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“Siamo stati bene a lavorare in gruppo perché se no…era troppo difficile, era come

se alcune domande non riuscivamo a trovarle altrimenti! Se facevamo da soli non

saremmo mai riusciti”.

“Perché in gruppo abbiamo messo insieme le idee e, visto che certi avevano fatto

giusto, con il loro aiuto siamo riusciti a finire: gli altri ci hanno aiutato, perché

qualcuno si può bloccare e non riuscire più ad andare avanti”.

Gli alunni quindi, oltre a dimostrare una generale disposizione positiva verso il

lavoro di gruppo, dimostrano di riconoscerne anche il valore e gli effetti concreti

sullo sviluppo del loro stesso ragionamento.

Riconoscendo un’incomprensione ed una difficoltà personale rispetto ad

una situazione problematica matematica: chiedere ai compagni, alla

maestra, fare da soli.

Si tratta, questo, dell’unico quesito in cui la situazione, tra il prima e il dopo, viene

quasi ribaltata: a seguito dell’esperienza ArAl infatti 19 alunni affermano di chiedere

aiuto ad un compagno in un momento di difficoltà cognitiva, a fronte dei soli 5 che,

in precedenza, avevano indicato questa come l’azione preferenziale. Da notare poi le

ulteriori specificazioni fornitemi dagli allievi nel descrivere, ad esempio, le situazioni

in cui sono maggiormente inclini a chiedere l’aiuto di un compagno. Essi, infatti,

0

5

10

15

20

25

30

PRIMA DIAR.AL

DOPO AR.AL DURANTEAR.AL

2.Quando non capiscofaccio da solo

2.Quando non capiscochiedo alla maestra

2.Quando non capiscochiedo ai compagni

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individuano i ‘problemi matematici’ come situazioni cognitivamente complesse ed in

cui sono più propensi a rivolgersi ad un compagno e affermano: “Nei problemi ci

aiutiamo a vicenda, perché se io sbaglio, lui mi corregge; se un operazione è facile

invece posso fare da solo”. Essi esprimono inoltre preferenze per quel che riguarda

l’affinità con un particolare compagno, dimostrando anche alcuni aspetti interessanti

riguardo la scelta stessa di tali preferenze e riportano: “A me piace lavorare solo

insieme a Daniele, perché siamo ‘uguali’ e facciamo insieme; invece se faccio con

uno più intelligente o meno intelligente di me è brutto”. L’idea quindi dell’altro,

verso cui si ha empatia, ci si ritrova e ci si riconosce, anche a livello cognitivo.

Lo stesso quesito, posto loro in riferimento alla situazione ArAl, fa però emergere un

interessante ribaltamento. Se infatti, 19 alunni, dopo l’esperienza ArAl affermano

che, di fronte ad una loro possibile difficoltà, interpellerebbero un compagno, nel

chiedere loro di riferire cosa effettivamente essi avessero fatto nelle giornate in cui

veniva proposto il progetto, solo 13 hanno ribadito quanto sopra, mentre 6, rivedono

la loro posizione. Questi ultimi giustificano ciò, facendo riferimento alla particolare

situazione vissuta quei giorni in cui, incoraggiati dall’insegnante, ascoltavano gli

altri, discutevano, proponevano una loro idea, ribattevano o si agganciavano alla

proposta di un compagno. Si rileva, quindi, che molti di loro, data tale situazione di

classe, non hanno percepito il bisogno di chiedere un ulteriore aiuto (tanto che non

viene considerata nemmeno l’ipotesi di chiedere all’insegnante). Riportando alcuni

estratti delle loro giustificazioni, si può comprendere quanto espresso sopra:

“Io non ho chiesto perché aspettavo che qualcuno dicesse qualcosa e prendevo

spunto dalla sua idea e dal suo intervento”.

“Mi aiutava ascoltare i compagni e la maestra, perché mi sbloccavano e ripartivo

con il ragionamento. E’ come quando trovi la chiave giusta per aprire un cancello”.

“Io pensavo di farcela in quel caso, ragionavo da solo, ho messo le batterie e ho

cercato di capire.

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“Quel giorno abbiamo messo insieme tutte le risposte e poi ci è venuta la risposta in

mente, non serviva chiedere a uno solo”.

Individuando un’incomprensione e una difficoltà di un compagno:

fornire aiuto, non fornire aiuto.

Anche in questo caso si può leggere quel ribaltamento di cui si accenna sopra. Gli

alunni infatti, confermano, prima e dopo, una loro totale disponibilità ad aiutare un

compagno in una situazione matematica cognitivamente complessa (24 su 25) e

riportano affermazioni quali:

“Gli do un aiuto, un piccolo indizio, lo incoraggio dicendo: ‘dai che ce la fai’

quando è in difficoltà, quando piange, così capisce meglio.”

“Hai la sensazione di essere un maestro quando aiuti un amico in difficoltà, ti senti

soddisfatto. E’ bello, è istintivo e un giorno potresti aver bisogno tu”.

Tuttavia, nel momento in cui si chiede loro di far riferimento alla situazione di ArAl

tale disponibilità pare scomparire. In realtà, dalle loro parole, si può comprendere

ancora una volta, che questo ‘cambio di rotta’ sia giustificato proprio dal

riconoscimento dell’interattività e dello scambio comunicativo presenti nella

situazione di ArAl. Così emerge dalle loro parole:

0

5

10

15

20

25

30

PRIMA DIAR.AL

DOPO AR.AL DURANTEAR.AL

3.Quando un miocompagno non capisceun esercizio/problemanon lo aiuto, lo lasciostare

3.Quando un miocompagno non capisceun esercizio/problemalo aiuto

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“Se i miei compagni non mi hanno chiesto niente, non ho spiegato, perché tutti

parlavano quel giorno e non c’era bisogno di chiedere aiuto: se ascoltavano,

capivano”.

“In quel caso bastava mettere in moto il cervello e guardare tutti alla lavagna”.

“Tutti quelli che avevano voglia di parlare quel giorno hanno aiutato chi non

capiva! Perché l’esercizio era alla lavagna, era per tutti”.

Si potrebbe leggere ciò come una proiezione di loro azioni personali messe

effettivamente in atto, in altre ipotizzate uguali nei compagni. Essi paiono

considerare che se tale compagno avesse ascoltato tutte le numerose richieste di

chiarimento ed esposizione di dubbi, effettuati da tutti quel giorno su

incoraggiamento dall’insegnante, avrebbe potuto trovare una soluzione alla sua

incomprensione, oltre al fatto che avrebbe potuto intervenire egli stesso e

comprendere infine, il raggiungimento dell’accordo avvenuto.

Individuando una divergenza di opinione in merito alla risoluzione di

una situazione problematica matematica: confronto con i compagni

esprimendo fiducia nelle loro proposte, evitamento del confronto e

sfiducia.

0

5

10

15

20

25

30

PRIMA DIAR.AL

DOPO AR.AL DURANTEAR.AL

4.Per capire chi haragione: non miconfronto con icompagni e non mi fido

4 Per capire chi haragione: mi confrontocon i compagni e mi fido

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91

Questa situazione resta pressoché immutata tra il prima, il dopo e il durante

l’esperienza. Per quanto riguarda il pre ed il post si può comprendere come gli alunni

individuino il confronto come via per risolvere un conflitto di idee e di opinioni in

merito alla risoluzione di problemi matematici. Essi, nell’intervista, descrivono

spesso le varie tappe che portano a questo dibattito: da una iniziale revisione

personale, al confronto, fino alla ricerca di soluzione e accordo. Si può così evincere

dalle loro parole:

“Guardiamo le differenze tra quello che hanno fatto loro e noi, ci confrontiamo con

gli altri e diciamo: ‘Perché avete fatto così?’ oppure ‘Come può essere così?’”.

“Rifacciamo il problema, poi ci consultiamo e cerchiamo le prove di chi ha fatto

giusto e chi ha fatto sbagliato, ricontrolliamo passo passo”.

“Ci confrontiamo insieme attraverso una votazione per capire qual è il

ragionamento migliore”.

Essi riconoscono, inoltre, la stessa modalità di azione nel fare riferimento

all’esperienza ArAl e si può leggere:

“Ho ascoltato bene la sua idea e la sua spiegazione, l’ho capita e ho capito che la

mia era sbagliata e ho accettato la sua idea”.

“Io, quel giorno, avevo due idee e una sola era giusta e con Dario abbiamo capito

quale era più giusta: adesso siamo d’accordo, anche se all’inizio non mi fidavo”.

“Quel giorno abbiamo messo insieme le opinioni dei compagni per arrivare alla

soluzione; abbiamo guardato il disegno e poi insieme ai compagni abbiamo visto

tante cose e abbiamo raggiunto qualcosa”.

In generale gli alunni si dimostrano inclini verso una modalità di fare matematica

quanto più interattiva e costruttiva, ne riconoscono gli effetti positivi sia dal punto di

vista cognitivo che emotivo, mettono in luce una prima loro consapevolezza dei

benefici tratti da essa, tanto da individuarla spesso come via preferenziale nel

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superare i problemi matematici, non mancano di esprimere particolari loro opinioni e

rilevamenti, dimostrando un’analisi non ‘scontata’ della situazione in cui si sono

trovati.

Il giudizio degli alunni verso l’esperienza ArAl

In ultima istanza, è stato poi chiesto loro di riportare un giudizio qualitativo in merito

alle sei ore di ‘laboratorio’ ArAl vissute.

Ricordo che nel momento (anch’esso dialogico) dell’intervista a gruppi capitava che

le varie affermazioni fossero concluse da più interlocutori e che altri, semplicemente,

indicassero accordo o meno con quanto esplicitato dai compagni. Ragione questa, del

non aver riportato 25 differenti opinioni. Ecco tuttavia quanto emerso:

Fare l’attività ArAl mi è piaciuto perché…

“E’ stato bello e ci siamo divertiti perché potevamo parlare tra di noi: un compagno

diceva una cosa che non aveva capito e noi lo abbiamo corretto, gli abbiamo detto

perché sbagliava e quando sbagliavamo noi, gli altri ci correggevano. La maestra ci

lasciava andare avanti su una nostra idea, poi ci faceva fare la prova e ci

accorgevamo di aver sbagliato”.

“La cosa più bella era che avevamo tutte idee diverse, ma non sapevamo come

metterle insieme. Lo sapevamo ma non riuscivamo a spiegarlo, perché non ci

concentravamo al massimo, poi facendo mezzo passo alla volta, insieme ce

l’abbiamo fatta! L’unione fa la forza”.

“Mi è piaciuto, anche se era un po’ difficile. Era difficile perché c’era da ragionare

ed era la prima volta che facevamo quell’esercizio, però è meglio fare cose difficili

così impariamo di più”.

“E’ stato bello perché non dovevamo scrivere, né disegnare, ma solo ascoltare e

parlare”.

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“A me è piaciuto proprio perché era difficile, perché tutti dicevamo un’opinione ed

abbiamo fatto una cosa insieme”.

“Mi è piaciuto anche se dopo un po’ mi sono annoiato perché vorrei sempre parlare

io e ascoltare gli altri era lungo…”.

“Mi è piaciuto tanto, soprattutto i disegni e il fatto di trovare la soluzione tutti

insieme, perché si ascoltava la parola dell’altro e se lui non la diceva bene la

maestra chiedeva: ‘qualcuno può spiegarla meglio?’ e qualcun altro la spiegava”.

“Era bello ascoltare perché erano tantissime idee e poi mettendo tutti i ragionamenti

insieme siamo arrivati all’idea giusta. Ci siamo divertiti a collaborare”.

“Mi è piaciuto perché era una cosa nuova che abbiamo fatto tutti insieme, era bello

fare insieme, ci si diverte e si riesce ad arrivare alla soluzione”.

Essi, delineando un generale apprezzamento, riconoscono come tratti del successo

l’interattività stessa della situazione; alcuni giudicano inoltre la difficoltà cognitiva

presente come ulteriore fattore che ha contribuito ad aumentare la piacevolezza

dell’attività. Da queste considerazioni finali si può leggere inoltre anche un primo

riconoscimento dell’importanza della costruzione collettiva della conoscenza e del

potenziale che essa può avere nel risolvere situazioni matematiche complesse, nel

portarli alla comprensione, allo sviluppo del ragionamento, all’apprendimento reale e

significativo, nonché ad un ulteriore crescita nella loro formazione.

3. Analisi delle videoregistrazioni

Le videoregistrazioni costituiscono la traccia di ciò che è avvenuto in classe nei

giorni dell’esperienza ArAl in merito alla costruzione collettiva dei significati.

In riferimento all’obiettivo 1 di quest’indagine, le riprese hanno permesso di mettere

in luce e quindi analizzare le azioni verbali dall’insegnante volte a sviluppare le

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finalità socio-culturali del progetto; allo stesso tempo, le stesse videoriprese, hanno

messo in evidenza i comportamenti degli allievi, rendendo possibile quindi un

ulteriore approfondimento. Per quanto riguarda l’analisi delle azioni dell’insegnante

è stato preso come riferimento lo schema proposto da Mercer5 (e sopra descritto) al

fine di poter più agilmente ritrovare e classificare atteggiamenti volti alla

condivisione, all’accordo, alla discussione. Tale schema comprendeva le 7 ‘regole

base’ dell’Exploratory Talk, quali indicatori di un’interazione costruttiva dei concetti

presentati. Tali regole, proposte dall’autore in riferimento ad un intero gruppo in

interazione, sono state qui focalizzate solo sulla docente al fine di una più semplice e

chiara interpretazione dei fatti. Da una prima lettura delle riprese, inoltre, si è potuto

escludere la presenza della regola 3: ‘Il gruppo si prende la responsabilità delle

decisioni’ e della regola 7: ‘Sono accettate le sfide – i cambi di programma’, poiché è

risultato difficile riscontrale in classe e, successivamente, categorizzarle.

In riferimento all’obiettivo 2 invece, le riprese hanno permesso di evidenziare i

comportamenti degli allievi sia come reazione alle proposte della docente, sia come

loro spontanei atteggiamenti. In questo caso si è utilizzata per la lettura e l’analisi,

un’ulteriore schematizzazione proposta dall’autore inglese in cui egli, sulla base dei

suoi studi4, riporta le parole chiave maggiormente presenti nei discorsi atti alla

costruzione di conoscenza collettiva. In questo caso, nonostante l’autore riferisse tali

indicatori a tutti i soggetti in interazione, si è voluto focalizzarli solo sugli alunni,

sempre per rendere più agevole poi una lettura. Inoltre, di nuovo, dei 5 indicatori

linguistici individuati da Mercer, solo 3 sono stati ragionevolmente individuati nei

discorsi degli alunni. Tra questi, si è da subito potuto escludere l’indicatore numero

3: ‘Utilizzare ‘siete d’accordo?’ per chiedere l’accordo con gli altri’. Tali parole

infatti risultavano solo dai discorsi dell’insegnante e ciò non deve stupire poiché

necessita una presa di coscienza forte delle possibilità che hanno i soggetti in gioco

nel loro relazionarsi con gli altri, competenza non ancora raggiunta a pieno dagli

5 Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, 9 (5).

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allievi di questa classe quarta di scuola primaria. Sempre riferendosi ai parametri

proposti da Mercer, c’è da notare che è stato eliminato anche l’ultimo indicatore

‘Dare spiegazioni più lunghe di 100 parole’ infatti, in nessuno dei singoli interventi

degli alunni è stato registrato tale quantitativo. Ciò può essere imputabile sia ad una

competenza linguistica non ancora raggiunta, sia alla dinamicità e rapidità della

situazione stessa che non consentiva ad un singolo di approfondire con più di 100

parole (c’era infatti qualche altro alunno che interveniva prima).

Voglio anticipare che l’utilizzo di questi strumenti di analisi ha, certo, facilitato ed

indirizzato una prima interpretazione dei fatti, tuttavia le videoregistrazioni hanno

permesso di far emergere ulteriori rilievi che si possono ritenere interessanti.

Categorizzazione e confronto delle azioni dell’insegnante

Sulla base di quanto osservato, ecco di seguito le ‘regole base’ declinate nei

comportamenti messi in atto dalla docente ed in alcune relative e specifiche

espressioni verbali pronunciate.

REGOLE BASE

DELL’E.T.

COSA FA

L’INSEGNANTE

COSA DICE

L’INSEGNANTE

Tutte le informazioni

rilevanti vengono

condivise

Dà le consegne iniziali in

cui esplicita i

comportamenti attesi.

“Raccoglierò tutte le

osservazioni che voi farete

e le scriverò su un foglio”

“Ognuno di voi non deve

parlare e dire solo quel che

pensa, ma deve prendere

quel che ha detto il

compagno e aggiungere

modificare se qualcosa non

va…”

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Richiama all’ascolto tutti e

rilancia alla classe i

commenti e la discussione,

a partire dalle osservazioni

precedenti degli alunni

“Avete sentito/avete capito

cosa ha detto Irene ?”

Al momento del riepilogo,

per ricondurre in ordine i

fili logici, riprende sempre

le parole degli alunni

“Allora Matteo dice…,

Irene invece ha un’altra

idea e dice…”

Il gruppo (insegnante-

alunni) cerca di giungere

ad un accordo

Chiede esplicitamente una

presa di posizione, un

accordo o un disaccordo

con il compagno

“Cosa ne pensate?”

“Sei/Siete d’accordo?”

“…secondo voi?”

Chiede la ricerca di una

soluzione

“…come dobbiamo fare

secondo voi?”

“Vi chiedo di trovare una

soluzione a questo”

Esplicita il raggiungimento

dell’accordo

“Mi sembra che tutti siano

d’accordo nel dire che…”

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97

Vengono date/richieste

motivazioni alle

affermazioni

Esplicita le azioni da

compiere

“Ogni risposta va

argomentata!”

Richiede agli alunni di

motivare (o spiegare

meglio) la loro presa di

posizione, le loro idee

espresse

“Mi spiegate/mi spieghi

perché…?”

“Chi non è d’accordo

spiega perché e anche chi è

d’accordo ce lo spiega…”

“Hai un modo per farci

vedere quello che hai

detto? E altri modi simili

come? Perché?”

Prima di prendere una

decisione, si discutono le

alternative

Chiede agli alunni di

esplicitare idee altre e

diverse da quelle già

espresse

“Qualcuno farebbe

diverso?”

“Sentiamo le opinioni degli

altri…”

“E voi, come avreste

fatto?”

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Chiede agli alunni di

discutere e riflettere sulle

alternative proposte

“Vogliamo riassumere le

due idee prima di

continuare?”

“Adesso vorrei sapere la

tua opinione su quello che

ha fatto Matteo e su quello

che ha fatto Dario, che

differenza c’è? Qual è

meglio?”

Tutti sono incoraggiati a

parlare

Invita tutti alla discussione

e motiva gli alunni

“Allora chi altro

commenta …?”

“ Io aspetto che voi diciate

qualcosa…Dai sentiamo!"

“Vorrei capire cosa pensa

ognuno di voi

sull’argomento, ma se non

parlate non lo sapremo

mai!

“Si aprano le discussioni!”

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Invita alla discussione il

singolo

“Nicola ci dice il suo di

pensiero, cosa ne pensi

Nicola?”

“Puoi spiegarti meglio,

anche facendo un

esempio?”

“Poi secondo te cosa

succede? Vorrei che tu

proseguissi…”

“Di’ pure Emaluele! Di’!”

Assegna pari dignità a tutte

le osservazioni, anche a

quelle che vengono

‘scartate’.

“Tieni la tua osservazione

per dopo, ma è interessante

come tutte le opinioni e la

riascoltiamo dopo”

“Si deve dire tutto ciò che

si osserva, a volte è giusto

a volte è sbagliato…”

Dopo aver tradotto e collegato, allora, quanto affermato dall’autore inglese con

quanto osservato e messo in atto in classe dall’insegnante, si è voluto procedere

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verso una prova di quantificazione e confronto tra ciò che è avvenuto durante la

prima esperienza e l’ultima.

Pur essendo consapevole della specificità della situazione sotto indagine,

caratterizzata da molteplici variabili presenti nel lavoro scolastico quotidiano (un

contesto dalle dinamiche poco prevedibili, le specifiche ed altrettanto mutevoli

caratteristiche dei singoli soggetti), ho voluto allora addentrarmi in una prima

quantificazione di quanto osservato al fine di un confronto ritenuto significativo, pur

sempre tenendo conto della soggettività in gioco usata inevitabilmente durante la

descrizione.

Si è proceduto isolando gli interventi dell’insegnante (le sue singole ‘battute’), ne

sono state colte le caratteristiche, si è interpretato il significato in essi sottostante

mediante l’interrogativo: “Che reazione voleva produrre l’insegnante negli allievi

con queste parole?” ed è seguita una categorizzazione e collocazione di questi

all’interno di una delle ‘regole base’ per l’interazione. Tutti i dati sono poi stati

raggruppati secondo le cinque categorie e sono stati prodotti degli istogrammi per

l’auspicato confronto. Questi i dati emersi dal confronto tra la prima giornata e

l’ultima:

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

accordo incoraggia condivise motivazioni alternative

nu

mer

o in

terv

enti

ArAl 1

ArAl 2

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Da tale schematizzazione si può notare, in primo luogo, la suddivisione tra i due

momenti in cui è stato proposto il progetto, e ciò è stato indicato contrassegnando

con ‘ArAl 1’, la prima esperienza e ‘ArAl 2’ l’ultima esperienza. In entrambi i casi

il tempo considerato è stato di 2 ore. Ad un primo colpo d’occhio si può dunque

notare come, nel tempo 1 di Aral, gli interventi dell’insegnante siano, in generale, più

numerosi rispetto al tempo 2. E da qui il primo quesito: “Da cosa potrebbe essere

comportato ciò?”. Si rende necessario dunque prendere in considerazione l’altra

parte interessata in questo scambio interattivo: gli allievi.

Proseguendo con l’analisi e soffermandosi sui vari indicatori, si può notare che nella

prima giornata, azioni quali la condivisione delle informazioni, la richiesta di

motivazioni, la discussione delle alternative, sono messe in atto dall’insegnante con

maggior incidenza e costanza nella prima giornata, piuttosto che nell’ultima; mentre,

per quanto riguarda le azioni volte al raggiungimento dell’accordo e

all’incoraggiamento degli alunni, si può leggere un lieve aumento tra il primo e

l’ultimo tempo ArAl. Ancora una volta, la semplice constatazione di questo non pare

essere elemento sufficiente per una comprensione profonda di quanto accaduto in

classe. Ciò porta infatti a chiedersi: “Che cosa produce ciò negli alunni?”, “E’

possibile riscontrare un collegamento tra tali azioni e le successive reazioni degli

stessi?”, “Oltre alle variabili non controllate entrate in gioco, da cosa può essere

dovuta questa variazione nei modi di agire della docente?”.

Per rispondere a queste altre domande pare necessario allora spostare il focus sugli

alunni ed infine attuare un primo confronto tra le azioni di questi e quelle della

docente.

Categorizzazione e confronto delle azioni degli allievi

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Per l’analisi dei discorsi degli alunni, ho allora proceduto con la ricerca delle parole-

chiave (gli ‘indicatori linguistici’ di Mercer5) all’interno delle risposte degli allievi,

ed è emerso quanto segue:

INDICATORI

LINGUISTICI

FUNZIONE ArAl 1 ArAl 2

“Perché” Dare motivazione alle

dichiarazioni

35 13

“Io penso che”, “Per

me”, “Secondo me”,

“ho notato che…”

Indicare la natura

ipotetica delle

affermazioni che

seguono, esprimere idee

e ipotesi personali

10 12

“Si potrebbe”, “Si

vorrebbe”, “Se…”,

“Forse”

Introdurre una

spiegazione/motivazione

e rendere esplicito a tutti

un particolare ed

ipotetico ragionamento

22

21

La schematizzazione sopra riportata può essere interpretata, notando, in primis, che

non vi sono grossi cambiamenti in merito all’uso dell’espressione ‘Io penso che’ e a

quello dei condizionali e altre forme ipotetiche; la differenza più marcata si legge

invece in riferimento al punto 1: l’uso di ‘perché’. La presenza di tale avverbio,

infatti, dal primo all’ultimo intervento ArAl diminuisce in maniera netta negli alunni.

Ancora una volta l’analisi resterebbe incompleta e sterile se non si cercasse di collare

le due parti protagoniste: l’insegnante e gli allievi. Ci si è allora chiesti ancora:

5 Wegerif R., Mercer N., Dawes L. (1999), From social interaction to individual reasoning: an

empirical investigation of a possible socio-cultural model of cognitive development, “Learning and

Instruction”, 9 (5).

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“Quali comportamenti/azioni verbali della docente possono aver innescato tale

reazione da parte degli alunni?”.

A questo punto merita intrecciare le due principali variabili al fine di una più

completa comprensione.

Azioni dell’insegnante e reazioni degli allievi

Riassumendo i quesiti posti sopra, si potrebbe dire che 3 sono i principali punti

emersi:

1) Da cosa potrebbe essere dovuto un così maggiore quantitativo di interventi

dell’insegnante nel medesimo tempo (2 ore) predisposto per ArAl?

2) Rispetto ai suoi modi di agire in classe per avviare la co-costruzione dei

significati, da cosa può dipendere e cosa può aver comportato un numero

maggiore di azioni, in ArAl 1, volte a far condividere le informazioni, a

richiedere motivazioni, a far discutere le alternative rispetto alle stesse in

ArAl 2? E, per contro, da cosa può essere dipeso il lieve aumento in ArAl 2,

rispetto al tempo 1, riguardo le azioni per il raggiungimento dell’accordo e

per l’incoraggiamento verso gli alunni?

3) Come può essere interpretata una così drastica diminuzione dell’uso

dell’avverbio ‘perché’ negli alunni nel tempo 2? Da cosa può essere dovuta

questa ‘mancata’ motivazione delle loro affermazioni?

Le risposte a queste domande possono essere fornite prendendo in considerazione gli

ulteriori rilievi raccolti durante l’osservazione in toto di quanto è avvenuto in classe.

Le premesse dell’insegnante in merito al fatto che tutti, in tale sede, avrebbero

dovuto esprimere un’opinione, i suoi incoraggiamenti alla discussione, le sue reali

azioni volte alla condivisione di informazioni, alla richiesta di motivazioni, alla

discussione di alternative, al raggiungimento dell’accordo, hanno, in generale fatto

registrare alcuni significativi e graduali cambiamenti di comportamento negli allievi.

L’iniziale frame dialogico, infatti, era per lo più:

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- insegnante che propone una questione, rivolgendosi a tutti

- alunno che risponde a questa

- insegnante che, riprendendo le stesse parole dell’allievo, ripropone

l’affermazione alla classe per la discussione.

In seguito, invece, nel primo e, in maniera più incisiva, nel secondo momento ArAl,

si sono registrati degli scambi diretti tra alunni, in merito alle questioni trattate e

quindi non così ‘traghettati’ e guidati dalla docente. Nello specifico, sono stati

registrati nella prima situazione 6 scambi diretti tra i bambini e 11 nella seconda,

andando così a comportare un aumento delle loro produzioni linguistiche. Si può

allora provare a dare senso al primo quesito: il quantitativo minore di interventi della

docente dal primo al secondo momento ArAl può essere dovuto ad un relativo

aumento delle produzioni degli alunni.

A ciò si può poi collegare il secondo quesito, approcciandosi, anche per questo, ad

una prima risposta. Si può affermare allora che, l’aumento nel secondo tempo ArAl

delle azioni dell’insegnante volte al raggiungimento dell’accordo e

all’incoraggiamento (rispetto alle stesse nel tempo 1), può essere dovuto ad una

maggiore reazione e partecipazione degli allievi, per cui essa, più che condividere

informazioni e far discutere le alternative, si muove maggiormente verso il

raggiungimento di un accordo finale, incoraggiando i singoli. Si potrebbe quindi

leggere una graduale evoluzione della discussione messa in atto dal primo al secondo

momento del progetto: in un primo caso, l’insegnante interviene di più al fine di

avviare gli alunni verso il dibattito, nel secondo caso essa interviene di meno e le sue

azioni sono più rivolte ad una rifinitura, ad una chiusura di quanto discusso, al

conseguimento, appunto, di una soluzione finale.

Ecco allora che può essere esplicitato anche il terzo quesito: nel secondo tempo ArAl

diminuisce negli alunni l’utilizzo di ‘perché’ e quindi la proposta di una motivazione,

poiché, allo stesso tempo, diminuiscono le richieste volte loro dall’insegnante.

Riprendendo quanto già detto in merito alle quantificazioni, emerge allora in ArAl 2,

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il maggior sforzo dell’insegnante nel portare gli alunni all’accordo, piuttosto che nel

chiedere loro di dare motivazioni alle risposte. Per gli esempi in merito agli scambi

diretti tra alunni si rimanda agli Allegati (v. Allegato 3).

Ulteriori rilievi e spunti di riflessione

Un’ultima riflessione derivante dalle osservazioni e dalle videoregistrazioni, può

essere fatta in merito alle azioni verbali messe in atto dagli alunni: si può parlare di

una loro riproduzione dei comportamenti dell’insegnante?

Si nota, infatti, che essi, oltre a cogliere l’invito dell’insegnante al confronto e

all’ascolto reciproco (segnalato dagli scambi diretti), in alcune situazioni

riproducono, nei discorsi, gli stessi modi di parlare dell’insegnante. Se essa infatti,

per rendere le informazioni condivise e per mettere in gioco tutte le alternative

proposte, richiama in causa le affermazioni degli alunni stessi usando le loro

specifiche parole e chiamandoli per nome, essi paiono ripetere questo atteggiamento,

tanto da registrarlo per 8 volte all’interno del primo momento ArAl e per 5 volte

all’interno dell’ultimo momento. Alcuni esempi di ciò possono essere letti nella

sezione Allegati (v. Allegato 4).

Non viene registrato quindi alcun aumento, tuttavia può far riflettere come la nuova

attività proposta abbia fatto produrre a loro, da subito, tali espressioni verbali. Da

qui, potrebbe partire poi un ulteriore spunto di riflessione: sono esse spontanee o

sono frutto di una diretta imitazione del comportamento della docente? Si potrebbe in

tal caso far riferimento alla letteratura in merito e, ad esempio, alle ricerche di

Pontecorvo, Ajello e Zucchermaglio17

nelle quali delinea e descrive questi particolari

comportamenti.

L’analisi prodotta non si ritiene sufficiente per rispondere a questo ulteriore quesito,

data la limitata durata temporale dell’intera situazione sotto osservazione, le

17

Pontecorvo C., Ajello A. M., Zucchermaglio C. (1993), Discutendo si impara, Roma, NIS.

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numerose altre variabili in gioco e l’inevitabile soggettività dell’interpretazione dei

dati.

3.5 Considerazioni riassuntive

Per chiudere il quadro di quanto analizzato in questo studio, ora si vuole riassumere

ciò che è stato rilevato in riferimento agli obiettivi specifici dell’indagine, al fine di

avviare alcune ultime considerazioni.

L’obiettivo 1 focalizzava la sua attenzione sulla figura della docente, su come essa si

preparasse, mettesse in atto e poi valutasse il progetto ArAl per portare, nello

specifico, gli alunni verso una conoscenza co-costruita.

Dalle interviste allora emerge, in primis, come l’insegnante investa nella sua

formazione, partecipando attivamente ai corsi e consultando il materiale proposto, e

come predisponga per gli alunni situazioni di apprendimento quanto più attive,

stimolanti, interattive e finalizzate alla costruzione collettiva dei significati. La

docente, sempre nel corso dell’intervista, si propone infatti di mettere in atto le varie

attività, presentandole come reali problemi da risolvere e chiamando in causa la

necessità del contributo di tutti per giungere alla risoluzione finale. Questo è poi

quello che essa realmente fa e che viene confermato dalle videoregistrazioni. Nel

mettere in atto ciò, l’insegnante sottolinea, nel suo operato, il carattere costruttivo ed

interattivo che deve avere l’intero processo di apprendimento affinché quest’ultimo

risulti significativo per gli allievi. Sempre a questo fine, inoltre, si presta a

modificare il materiale proposto dal progetto, adattandolo alla specifica situazione

del suo gruppo classe. Così facendo indirizza il suo agire verso i bisogni, le capacità

e gli interessi dei singoli allievi.

Per mettere in atto nel concreto una situazione di apprendimento quanto più co-

costruttiva ed interattiva, la docente agisce poi proponendo specifici comportamenti

ed azioni verbali. I suoi interventi, classificati e categorizzati dallo schema di ‘regole

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base’ dell’Exploratory Talk, risultano allora a ciò finalizzati: ella incoraggia gli

alunni ad intervenire, li invita ad ascoltare i compagni e a commentare le diverse

affermazioni, ripropone i concetti da loro espressi, li spinge ad esprimere accordo o

disaccordo con questi e, in generale, li porta a condividere conoscenza. In fase finale,

valuta positivamente quanto accaduto in classe, notando negli allievi una prima

modifica dei loro comportamenti, rispetto all’inizio, per quel che riguarda, ad

esempio: l’ascolto reciproco, la disponibilità a comprendere quanto detto dagli altri

per ribattere e proporre ulteriori considerazioni e, in generale, per costruire

conoscenza. Riconosce poi una crescita dal punto di vista sociale di alunni

solitamente riluttanti a mettersi in gioco e dal punto di vista cognitivo di coloro che,

trovando difficoltà nelle situazioni problematiche usualmente proposte, si sono

invece dimostrati reattivi ed hanno apportato contributi interessanti e logicamente

lineari. La docente riconosce i meriti di ciò sia alla generale situazione interattiva e

dialogica, sia alla problematicità dell’attività proposta che, per il suo carattere

inusuale, ha in qualche modo equilibrato tra loro i ‘metodici’ dello studio ed i più

‘incostanti’.

Rilevante è poi l’approccio che essa dimostra nei confronti del progetto. Questo

infatti non viene considerato da lei come ‘unica via per’, ma come una delle tante

buone offerte che possono essere da supporto ai docenti nella loro pratica scolastica

quotidiana e nella loro professionalità.

Per quanto riguarda l’obiettivo 2, focalizzato invece sugli allievi, dall’analisi delle

interviste emerge, già a priori, un loro primo riconoscimento (a parole) delle

potenzialità di un tipo di apprendimento collettivo e cooperativo. Essi ne descrivono

le possibilità, segnalando quindi di essere stati coinvolti in precedenti attività svolte

con tale modalità. In fase finale ribadiscono questo e, in riferimento all’esperienza

ArAl, dimostrano di riconoscerne le dinamiche ed i giovamenti dati dal risolvere

collettivamente quei determinati problemi, tanto da giudicare positivamente l’intera

proposta e rilevare la sua stessa interattività come la caratteristica più apprezzata.

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Anche dall’analisi dei loro comportamenti possono essere individuate pratiche socio-

costruttive, categorizzate secondo lo schema proposto in letteratura da Mercer.

Inoltre, ulteriori aspetti interessanti sono emersi dalla videoregistrazione: si è visto

infatti come le specifiche azioni-guida dell’insegnante volte al confronto, alla

condivisione, all’incoraggiamento, alla discussione, promuovano negli alunni

l’aumento degli scambi diretti ed una prima imitazione del modello fornito dalla

docente.

Lontana dal voler valutare la specificità del progetto ArAl, l’analisi messa in atto,

seppur riferita ad una situazione limitata nel tempo e caratterizzata da numerose altre

variabili non conosciute e non controllate, ha quindi permesso di raccogliere alcuni

dati significativi ed interessanti. Essa va così a rinforzare e dare riscontro a quanto

espresso sia a livello istituzionale e teorico, sia a livello nazionale e internazionale, in

merito alla promozione di pratiche di insegnamento-apprendimento costruttive,

socioculturali e situate per i diretti benefici che queste hanno nella formazione e

nell’educazione dei primi fruitori interessati: gli allievi.

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CONCLUSIONI

L’intera indagine effettuata, permette ora di trarre qui alcune conclusioni di ordine

generale in merito alla figura del docente ed alla centralità dell’allievo all’interno del

processo di apprendimento, fondamento pedagogico alla base delle più recenti

indicazioni rilasciate a livello nazionale ed internazionale e punto di partenza per lo

sviluppo di apprendimenti significativi.

Per quanto riguarda gli aspetti che caratterizzano la professione di insegnante, viene

enfatizzata, in questo studio, l’importanza della formazione continua, senza la quale,

la stessa proposta ArAl non sarebbe mai stata effettuata. Ai singoli docenti spetta

allora il dovere di cogliere l’opportunità data da un aggiornamento costante e di

trarre da esso benefici sia sul lato professionale (nuovi metodi e strategie), sia su

quello personale. Si porta così a compimento anche quanto espresso in ambito

europeo e mondiale in merito all’apprendimento permanente quale via per rispondere

alle sfide della società contemporanea.9

Dallo studio emerge poi un’altra specificità che appartiene alla deontologia di questa

professione: il dovere verso l’autovalutazione e la riflessione. L’insegnante infatti

tiene costantemente sotto controllo le sue azioni, le rivede, le analizza, ne coglie gli

eventuali errori, le modifica ed infine le migliora. Per poter comprendere al meglio le

varie situazioni che a lui si presentano, il docente deve poi ricercare quante più

informazioni riguardo il contesto sociale in cui svolge il suo operato e, nello

specifico, avere una profonda consapevolezza delle peculiarità degli allievi che ha di

fronte.

9 Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, Raccomandazione del parlamento europeo

e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, 2006.

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La docente in osservazione, ad esempio, dimostra di prevedere le difficoltà che i suoi

alunni potrebbero incontrare nell’attività, manifestando quindi cognizione delle loro

reali capacità.

L’operato di un insegnante deve allora essere, prima di tutto, focalizzato sugli alunni

che ha di fronte e sul generale processo che li porta alla conoscenza.

Viene quindi ora messo in evidenza l’altro principale focus di queste ultime

considerazioni: la centralità del soggetto che apprende. Ribadito dai documenti

ministeriali ed avvalorato dalle correnti di pensiero pedagogico, questo interesse è

frutto di quello che, nel corso degli anni, può essere considerato un graduale

spostamento dell’attenzione dall’insegnamento, al processo che esso invece innesca:

l’apprendimento3. Ne consegue che, durante questo cambiamento di prospettiva,

vengono portati al centro dell’intero percorso, coloro ai quali questo stesso è

indirizzato: gli allievi, gli apprendenti appunto. A tal proposito, si parla allora di

ambienti di apprendimento e di situazioni, mirate allo sviluppo di conoscenze che

risultino quanto più significative per i singoli discenti.

Come riportato nelle Indicazioni nazionali, affinché una situazione di apprendimento

possa essere considerata autentica dagli alunni, è necessario che possa venir descritta

come costruttiva, socioculturale e situata. Ciò significa, innanzitutto, per gli

insegnanti, proporre in aula situazioni ‘accattivanti’ e problematiche, guidare gli

allievi verso una condivisione dei significati, portarli ad utilizzare sia le loro risorse

interne, sia quelle trovate nel confronto e nell’interazione con i compagni ed

innescare, infine, in loro lo sviluppo di una conoscenza che sia, appunto, autentica e

situata. Per avviare a quest’ultima, ad esempio, è necessaria una constante modifica

del materiale che i docenti vogliono proporre, affinché risulti quanto più adatto ai

bisogni, agli interessi ed alle conoscenze pregresse di alunni che vivono e

apprendono in un determinato contesto. Le diverse attività saranno, allora,

3 Commissione delle Comunità europee, Comunicazione della Commissione: Realizzare uno spazio

europeo dell’apprendimento permanente, Bruxelles, 2001.

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necessariamente create ad hoc, su misura per quegli allievi e non semplicemente

trasposte da un luogo di apprendimento ad un altro.

Inoltre, le stesse caratteristiche intrinseche delle attività preparate, decreteranno lo

sviluppo o meno di un tipo di apprendimento autentico. Tra le specificità dell’attività

ArAl si possono, ad esempio, riscontrare sia la complessità cognitiva, sia la

problematizzazione. Sarà proprio questa sua ultima proprietà a decretarne il

successo, come si può cogliere dalle stesse parole degli alunni. Di fronte alla

situazione-problema creata dalla docente, si osservano infatti gli allievi reagire in

maniera attiva e partecipe. Infatti, come riporta Bruno D’Amore, “sgorga più

entusiastico l’interesse se si deve superare uno scoglio […], se si deve impostare e

risolvere un problema pratico e non se ne hanno ancora gli strumenti opportuni”56

.

Tutti gli allievi, allora, per approcciarsi all’apprendimento con maggior motivazione,

devono poter riconoscere nelle attività proposte tali caratteristiche. Le stesse

innescheranno in loro la curiosità e l’attrazione, poi utilizzate come “spinte

motrici”56

dello sforzo cognitivo richiesto.

Riferendosi sempre allo studio in questione, le valutazioni entusiastiche degli alunni

in riferimento alla difficoltà dell’attività, contribuiscono a confermare quanto ancora

espresso dalla ricerca psicopedagogica. Lo stesso concetto di Zona di Sviluppo

Prossimale proposta da Vygotskij 4considera ottimali per l’apprendimento tutte

quelle proposte in cui viene richiesto agli alunni sia di risolvere situazioni

problematiche di un livello cognitivamente superiore rispetto al loro livello attuale,

sia di utilizzare come risorse ed aiuti le conoscenze di un adulto o di un compagno

più esperto.

Così come la proposta ArAl, le attività da presentare loro dovrebbero, allora, poter

essere collocate all’interno della ZSP per essi specifica. Ciò permetterà poi di

registrare quel maggior fervore e quel senso di autoefficacia dovuti proprio alla

56

D’Amore B., Educazione matematica e sviluppo mentale: la matematica dalla scuola dell’infanzia

all’università, 1981, Armando. 4 Vygotski L.S. (1978), Mind in society (trad. it. Il processo cognitivo, Torino, Boringhieri, 1987

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finale riuscita e risoluzione del problema. Ne consegue quindi che, attività altre,

percepite da essi come cognitivamente troppo semplici o prive di legami con la

situazione reale, oltre a svilire le loro reali potenzialità, rischierebbero di rimanere

senza significato e quindi improduttive dal punto di vista dell’apprendimento.

Un’ulteriore considerazione in merito all’apprendimento significativo può essere

riferita poi alle attività socio-culturali all’interno delle quali esso è sviluppato.

Compito dei docenti è allora predisporre ambienti di apprendimento che, oltre a

richiedere agli allievi di innescare le loro risorse cognitive interne, si presentino

come situazioni in cui poter integrare queste risorse con quelle del gruppo. In linea

sempre con quanto affermato dalle teorie dello stesso Vygotskij4 in merito alla

relazione tra il piano intrapsichico e quello interpersonale nello sviluppo cognitivo

dei soggetti, si vuole qui ribadire quanto sia necessario utilizzare ed integrare le

risorse date dal contesto con quelle date dagli altri al fine di una reale maturazione

cognitiva.

La modalità principe che rispecchia quanto affermato è allora una costruzione dei

significati collettiva e cooperativa: la discussione, il confronto, il raggiungimento di

accordo, infatti, devono essere perseguiti dall’insegnante. Egli, mettendo in atto

specifici comportamenti, permetterà allora agli alunni di attingere alle altrui risorse e

di innescare una reale co-costruzione di conoscenza. In riferimento alla specifica

situazione di ArAl, le stesse caratteristiche interattive e dialogiche, oltre ad essere

gradite ed apprezzate, sono poi riconosciute da insegnante e allievi come funzionali

alla risoluzione finale del problema.

Ancora una volta allora si può osservare come l’indagine vada a confermare quanto

descritto in letteratura in merito all’apprendimento cooperativo e all’apprendimento

come attività sociale, che vede quindi nelle situazioni di gruppo la modalità principe

per giungere alla significatività della conoscenza e all’interiorizzazione di questa

come sapere autentico, reale e necessario. I giovamenti tratti da tale attività

4 Vygotski L.S. (1978), Mind in society (trad. it. Il processo cognitivo, Torino, Boringhieri, 1987

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cooperativa, ben sono descritti poi da Paul Le Bohec, il quale afferma: “Il gruppo è

luogo di crescita, luogo di un’ecologia della comunicazione, forse luogo terapeutico.

Il gruppo è luogo di accoglienza, ma anche di prova, il luogo dove ci si scontra con

la difficoltà di entrare nel pensiero di altri attraverso il linguaggio. […]”57

. Proprio

questa difficoltà verrà poi realmente percepita e registrata anche all’inizio

dell’esperienza analizzata; tuttavia, negli interventi finali verranno registrate le prime

modifiche del comportamento degli alunni, indicatori di un loro graduale

miglioramento delle abilità cooperative e sociali.

Riprendendo ancora quanto si trova scritto nelle Indicazioni nazionali, situazioni di

apprendimento proposte con tali modalità interattive e socio-culturali contribuiscono

a dare all’alunno gli strumenti di conoscenza per comprendere sé stesso, gli altri ed il

mondo circostante, in un’ottica di “dialogo e ascolto reciproco”7. Nel documento

ministeriale viene descritto infatti un allievo che, alla fine del primo ciclo,

“interpreta i sistemi simbolici e culturali della società, orienta le proprie scelte in

modo consapevole, rispetta le regole condivise, collabora con gli altri per la

costruzione del bene comune esprimendo le proprie personali opinioni e

sensibilità”7. Ascoltarsi ed ascoltare gli altri, rispettare le idee altrui e proporne di

personali, confrontarsi con il punto di vista di un compagno, giungere ad un accordo

e condividere infine conoscenza, rappresentano gli obiettivi da raggiungere al fine di

sviluppare, allora, gradualmente quelle competenze sociali e civiche, indispensabili

alla formazione dei cittadini di domani.

Per concludere, si vuole riportare il pensiero di Jacques Delors che, quasi vent’anni

fa, all’interno del Rapporto della Commissione Internazionale sull’Educazione per il

Ventunesimo secolo, ribadiva la necessarietà di sperimentare a scuola i valori sociali

e civili del rispetto delle idee, della cooperazione, dell’ascolto e dell’aiuto reciproco,

delle pari opportunità e del diritto di parola. Egli considerava già allora l’ambiente

57

Le Bohec P. (1995), Il testo libero di matematica. Un modo creativo per insegnare/imparare la

matematica, Roma, La Nuova Italia. 7 Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Indicazioni nazionali per il curricolo della

scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione, Roma, 2012.

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scolastico come banco di prova per lo sviluppo di queste specifiche competenze nei

futuri cittadini del mondo. Solo avendo la possibilità di accrescere ciò in tali contesti

istituzionali e ‘protetti’, gli alunni potranno dimostrarsi realmente competenti e

consapevoli del valore aggiunto dato dalla socializzazione, quale mezzo per costruire

ed affermare la loro vita comunitaria quotidiana. Delors affermava ancora: “il

confronto con gli altri attraverso il dialogo e il dibattito è uno degli strumenti

necessari per l’educazione del Ventunesimo secolo”.18

La modalità interattiva, costruttiva e socio-culturale di fare scuola e, nello specifico,

di apprendere, presa in considerazione ed analizzata in questo studio, viene, in ultima

istanza, ancor più legittimata.

18

Delors J. (1997), Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione

Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Roma, Armando

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ALLEGATO 1

Intervista all’insegnante fatta a priori

2. Perché hai scelto di fare ArAl. in classe? Ma ancor prima, perché hai scelto di

seguire e continui ormai da anni nella formazione, partecipando al progetto

annuale di ArAl?

3. Quale motivazione ti spinge a fare questo?

4. Quali motivazioni pensi che troveranno gli alunni nel fare l’attività?

5. Quali difficoltà ci sono state, ci sono o ci saranno nel mettere in atto questa

attività in classe? (tempi, spazi, finanziamenti, ecc…)

6. Hai già individuato i nodi critici su cui potranno trovare difficoltà gli allievi?

Se sì, quali potranno essere?

7. Quali punti di forza immagini avrà questa esperienza?

8. Cosa ti aspetti di ottenere nel fare questa attività?

9. Pensi di valutare l’azione didattica che metterai in atto? Se sì, come?

10. Come pensi di avviare la discussione e, successivamente, di far giungere gli

alunni ad un accordo?

11. Ci sono dei dubbi o delle preoccupazioni tue riguardo la messa in atto della

discussione, riguardo l’avvio del ragionamento con gli allievi o riguardo il

raggiungimento dell’accordo?

12. Pensi che questo modo di fare matematica aiuti gli alunni con difficoltà

oppure sia per essi un ulteriore ostacolo?

Intervista all’insegnante fatta a posteriori

1. Sei soddisfatta del lavoro fatto, in riferimento alle aspettative

precedentemente indicate (sul piano sociale, linguistico, matematico)? (v.

dom. 6 intervista a priori)

2. Pensi che gli alunni abbiano trovato motivazione nell’approcciarsi agli

esercizi proposti e alla matematica? (v. dom. 3)

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3. L’elevata numerosità della classe è stata un serio ostacolo all’attività?

Pensi che, potendo lavorare con il piccolo gruppo, i risultati sarebbero

stati differenti? (v. dom. 4)

4. Hai potuto notare delle conferme nel comportamento degli alunni e nelle

loro risposte o ci sono stati dei rilievi ‘diversi’? Anche in riferimento

all’atteggiamento, durante l’attività proposta, degli alunni in difficoltà…

(v. dom. 10)

5. Rispetto alla tematica della discussione, l’uso di un ‘avvio solito’ ha

funzionato o ci sono delle differenze da notare? Ritieni di essere riuscita

a mantenere e favorire la discussione tra gli alunni? (v. dom. 8)

6. Da quello che hai potuto osservare, il percorso logico messo in atto dagli

alunni per arrivare alla comprensione e la discussione che ne è scaturita, si

sono dimostrati più articolati e complessi rispetto al solito o rispetto alle

aspettative?

7. Rispetto alla capacità di ascolto reciproco, è stata confermata la difficoltà

degli allievi nei tre interventi fatti o hai potuto osservare un

miglioramento? (v. dom. 5)

8. In che misura ti sono stati proficui (sul piano linguistico - matematico –

sociale) la partecipazione al corso di formazione ArAl. e il materiale

fornito e condiviso con gli insegnanti del progetto?

9. Rispetto al materiale fornito (esempi di schede ed esercizi da proporre agli

allievi), lo hai riproposto tale e quale o hai sentito l’esigenza di

modificare? Se lo hai modificato, perché?

10. Il progetto ArAl è solo un’ultima di tante proposte in merito alla didattica

della matematica… cos’hai trovato in ArAl. in più rispetto a queste

proposte? Ritieni che ArAl sia stato per te un approccio innovativo alla

matematica?

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ALLEGATO 2

Intervista agli alunni (con le relative aggiunte fatte a posteriori)

1. Cosa vuol dire per te fare matematica? Fai degli esempi di cos’è per te fare

matematica…

2. Cosa ti piace e cosa non ti piace fare in matematica? Fai degli esempi…

3. Quando risolvi gli esercizi, preferisci lavorare da solo o con gli altri? Perché

da solo? Perché con gli altri? E quando ti sei trovato nella situazione

proposta di ArAl come avresti preferito lavorare?

4. Cosa fai quando tu non capisci qualcosa o non sai come risolvere un

problema? Chiedi ai compagni? Fai da solo? Copi o ti fai suggerire? ? E cosa

hai fatto nella situazione ArAl?

5. Quando un tuo compagno non capisce un esercizio/problema, tu che cosa fai?

Ti piace spiegare a lui o preferisci che lo faccia la maestra? E cosa hai fatto

nella situazione ArAl?

6. Immagina di proporre una prima risoluzione ad un problema e che un tuo

compagno ne proponga un’altra, totalmente diversa. Cosa fai? Come fai a

capire chi ha ragione? E cosa hai fatto nella situazione ArAl?

Domanda in aggiunta fatta nell’intervista a posteriori:

7. Fare l’attività ArAl ha suscitato, in generale, il tuo interesse? Perché si?

Perché no?

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ALLEGATO 3

Gli scambi diretti tra alunni

ARAL 1:

1) Ivana e Simone completano una stessa affermazione

Ins: avete sentito quello che ha detto Ivana?

Simone: sì, che…

Ivana: nella riga A non sono…

Simone: …in ordine!

Ivana: sì, non sono messi nello stesso ordine.

2) Confronto-scontro tra Mina e Marco

Ins: in quello che c’è alla lavagna, c’è un ordine o no?

All: no, no.

Mina: sì, che c’è un ordine!

Marco: ma no che non c’è un ordine! Ma lo potremo costruire noi…

Mina: secondo me maestra, pensano che c’è un ordine solo perché nella seconda si

ripetono gli stessi fiori…

3) Ognuno completa l’affermazione del compagno ed è in accordo con esso

Ins: domando a voi, meglio quello di Andrea o di Daniel?

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Nicolò: per me quello che ha scritto Andrea è fatto meglio, perché si fanno solo due

gruppi, anziché quattro e si fa prima.

Ins: commenti su questo!

Ema: per me quello di Daniel è fatto meglio

Ins: perché?

Ema: perché si ripete più volte!

Simone: e si capisce meglio!

Dean: e si fa prima!

4) Ascolto e accordo tra due alunni

Ema: se Simone avesse messo la barra avanti di uno, sarebbe stato come il secondo,

solo in disordine…

Nicolò: è quello che avevo detto anche io!

5) Scontro-confronto tra alunni; anche Marco presenta un esempio di meta-

cognizione – pensa come potrebbe aver pensato Simone

Simone G: Se noi mettiamo una barra dopo il tulipano-margherita-viola, allora ci

potrebbe essere una sequenza.

Ins: vieni a mettere questa barra…

Ema: (rivolto a Simone) ma se ci fosse una barra in A, allora dovrebbe esserci anche

in B…

Mina: (rivolta a Simone) ma li hai separati adesso!

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Ins: vediamo…raccontatevela!

Mina: comunque c’era già la sequenza, i fiori uno dietro l’altro sono già in sequenza.

Tu li hai separati (rivolta a Simone)

Ins: allora chi altro commenta quello che ha fatto Simone?

Mina: non doveva metter la barra perché la sequenza non vuol dire che ci sono fiori

sempre uguali, ma significa che ci sono i fiori uno dietro l’altro

Ins: esatto, Simone ha detto: ‘metto una barra così creo un ordine’. Vorrei che lui

spiegasse che tipo di ordine ha creato e voi discuteste con lui su quello che ha fatto.

Ivana: Mmm..Io forse ho capito l’ordine!

[continua Marco] Marco: Forse ho capito l’ordine che voleva creare Simone! Voleva

fare: tulipano/margherita/viola…e poi riiniziare…e così avanti!

Mina: ma l’ordine ce l’ha già! E’ come se ci fosse una cornicetta, non è che ogni tre

figure è sempre uguale, ma cambia! Poi ritorna la stessa parte e così via.

6) Scontro-incontro tra tre alunni, due ribattono all’azione di un compagno e

sono in accordo tra loro nel correggerlo

Davide: (alla lavagna, indica e propone un altro modo per suddividere la sequenza)

per me questo qui dovrebbe venire qui e questi due li metterei qua

Ema: (ribatte a Davide) eh no, così dopo sono tre e due!

Marco: (in accordo con Ema, ribatte a Davide) è vero! E dopo non è più una

sequenza ordinata, è tutto in disordine!

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ARAL 2

1) Confronto tra alunni, che commentano o approfondiscono l’osservazione di un

compagno dimostrando accordo o disaccordo

Ema: (la regola potrebbe essere…) che da lunedì in poi ci sono sempre più fragole…

Alunni: nooo! Nooo

Ins: (Incoraggia la discussione) potete, dovete commentare!

Marco: non è vero che è sempre più grande (= che ci sono sempre più fragole)

perché, dopo, il mercoledì diventa più piccolo del lunedì… (= il mercoledì ha meno

fragole del lunedì)

Alunni : ehh sì!!

2) Senza interpellare o chiedere conferma alla maestra, gli alunni chiedono ai

compagni specificazioni maggiori, per poter comprendere meglio

Simone: volevo dire che un giorno la mamma mette di meno e un giorno mette di

più, e così via…

Siria: mette più fragole?

Simone: mette di più su tutto!

3) Micro-dibattito tra tre alunni: non vengono giustificate le risposte, viene solo

palesato accordo o disaccordo

Ins: la domanda è: ‘qual è la regola che la mamma usa per fare la macedonia?’

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Ema: che le fragole sono sempre dispari e le mele sono sempre pari

Simone: non è vero!

Natan: si invece!

4) Un alunno corregge l’affermazione di una compagna

Ivana: non si sa venerdì e sabato quante mele usa la mamma

Ema: ma la maestra ha detto di parlar solo di lunedì e martedì !

Ins: è vero, per il momento ho detto di lasciar stare venerdì e sabato, contate! Non so

se è vero…

Alunni: Sii sii, è vero! Prima sono 5 poi 7, poi 9 e 11

5) Simone chiede spiegazioni a Marco per la sua affermazione e Danilo

suggerisce lui cosa fare per comprendere

Marco: da lunedì al giovedì c’è sempre: ‘mele pari mele pari, poi mele dispari mele

dispari’

Simone: (rivolto a Marco) in che senso?

Danilo: (rivolto a Simone) guarda la lavagna!

6) Cosmin e Ema chiedono specificazioni maggiori alle affermazioni di un Simone

Simone: lunedì ‘avanza sempre una fragola’, anche martedì, mercoledì e giovedì ne

avanza sempre una…

Cosmin: chi l’ha detto?

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Simone: ne avanza sempre una, se fai la divisione!

Ema: a quante fragole equivale allora?

7) L’insegnante chiede di commentare quanto detto da Simone e gli alunni

esprimono direttamente al compagno il loro accordo

Ins: A voi i commenti su quello che ha detto Simone. Guardate, migliorate,

modificate.

Marco: è vero perché se fai la divisione ti resta sempre resto di uno

Ivana: è vero!

Marco: perché una mela vale due fragole, sono tipo il doppio delle mele

Ins: allora, questo lo scrivo alla lavagna perché questo Simone non l’ha detto

Marco: perché se fosse così, allora Simone ha proprio ragione!

8) Verifica collettiva dell’affermazione di Siria e raggiungimento di accordo

Ins: allora, chi ha qualcosa da dire sulla frase di Siria? Da aggiungere, commentare…

Simone: che è vero…

Marco: sì maestra, perché se guardi la tabella e fai il confronto dei numeri è proprio

vero!

9) Tre alunni correggono l’affermazione di Marco

Ins: La domanda è: ‘se ho 20 persone a pranzo e voglio usare 10 mele, quante fragole

devo mettere?’

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Marco: 21!

Ins: perché?

Marco: perché le mela sono il doppio delle fragole!

Dean: no!

Ema e Siria: (rivolti a Marco) le fragole sono il doppio delle mele!

10) Micro-dibattito tra affermazioni diverse fatte dagli alunni

Ins: vi va bene quello che ha scritto Siria? Chi vuole commentare?

Marco: no, perché è fragole x 2 + 1…

Alunni: ma no! È mele! Mele x 2 + 1!!

Ema: io l’avrei scritto in un altro modo…

Ins: bene, vieni alla lavagna! Marco hai capito perché non è fragole per..?

Marco: si

11) Discussioni in merito al come scrivere una formula matematica. Natan e

Cosmin ri-focalizzano l’attenzione di Ema sul tema centrale

Marco: dobbiamo sapere che cos’è il 2 e che cos’è l’1, anche se non sappiamo

neanche che cos’è il punto di domanda…

Ins: commentate quello che ha detto Marco. Io voglio che qualcuno mi dica qualcosa

sul 2 e sull’1.

Ivana: se ci fossero anche i disegnini, il 2 e l’1 sarebbero tutti e due fragole.

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Ema: ma non sappiamo neanche di che giorno si sta parlando!

Natan: è questo che ci interessa?

Cosmin: ma cosa c’entra?

Ins: bene, questo commento è azzeccato. Ci interessa sapere di che giorno si sta

parlando?

Alunni: noo!

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ALLEGATO 4

Le possibili riproduzioni delle azioni verbali della docente

1° MOMENTO ARAL

1) Serena: “Ivana ha detto che nella riga B c’è un ordine ‘2 tulipani una

margherita e una violetta’, ma nella riga A no…”

2) Marco: “Maestra, ho notato un'altra cosa, sia di quello che ho detto io

che di quello che ha detto Ivana…”

3) Ema: “Io non sono d’accordo tanto con Mina perché nella fila B…”

4) Ivan: “Maestra, ma questo lo ha già detto Natan!”

5) Nicolò: “Forse Simone doveva mettere la barra più avanti…”

6) Ema: “Perché se Simone avesse messo la barra davanti di uno sarebbe

stato come il secondo, solo in disordine…”

7) Ema: “Per me quello di Daniel è fatto meglio…”

8) Serena: “Secondo me meglio quello di Daniel perché con quello di

Andrea si va fino a sei e si raggruppa due moduli; invece con quello di

Daniel e di Lucia si va fino a tre e si vede che è un modulo solo…”

2° MOMENTO ARAL

1) Marco: “Perché se fosse così, allora Simone ha proprio ragione!”

2) Cosmin: “E’ vero quello che dice Marco, perché c’è sempre una di

più, perché una mela vale due fragole”

3) Siria: “Quando Ema ha scritto 2 x 2 era giusto quello che ha fatto,

ma non era generale”

4) Ivana: “Praticamente Cosmin dice quello che ha scritto Siria…”

5) Daniele: “Cosmin deve spiegare meglio, non so quel punto di

domanda per lui”