Un'Altra Storia Magazine Numero 4

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La voce di chi crede che un’altra Sicilia è possibile!!! SEDE NAZIONALE UN'ALTRA STORIA via Mariano Stabile 250 Palermo tel. 0918888496 fax. 0918888538 www.unaltrastoria.org

Transcript of Un'Altra Storia Magazine Numero 4

maggio • 2011 • N.42

in questo numero

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4IL PUNTOUn progetto per una società di giustiziadi Alfio Foti

10 Intervista a Crescimanno

16 Quando la Sicilia era bellissima, di R. Alajmo

19 Catania ripiegata su se stessa, di F. Coniglione

27 Emergenza casa, di Antonella Monastra

29 Viaggio nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto

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POLITICA

Referendum:quattro sìper difenderel’Italia

EDITORIALEUna lezione per la Siciliadi Rita Borsellino

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DOSSIER

La mia vitaclandestina nellaPalermo sotterraneadi Beatrice Monroy

Direttore responsabileAngelo Meli

Coordinamento editorialeGiovanni FerroRedazione Dario Prestigiacomo, Carmen Vella

Contributi diCarmela Cappa, Beatrice Monroy, Roberto Alajmo, Francesco Coniglione, Mauro Piras, Giuseppe Onufrio, Francesco Giambrone, Franco Garufi, Alfio Foti, Antonella Monastra,Orazio Carnazzo

Grafica e copertinaCiccio Falco

Redazionevia Mariano Stabile, 250 - 90141 Palermotel. 0918888496 - fax [email protected]

Supplemento al numero 20 (giugno, anno 5) del settimanale ASud’Europa del Centro di Studi e iniziative culturali

“Pio La Torre” - Onlus / Registrazione presso il tribunale di Palermo 2615/021

Il magazine è scaricabile presso il sito www.unaltrastoria.org / La riproduzione dei testi è possibile solo se viene citata la fonte

8POLITICA

La Sardegna e il nucleare, di Mauro Piras

Sommario

RITA BORSELLINO

’è una strada che collega le piazze in festa di Milano e Napoli al prossimo ap-puntamento referendario, quello del 12 e del 13 giugno, quando saremo chia-mati a votare su acqua, nucleare e legittimo impedimento. E’ una strada che

passa dalla partecipazione, si addentra nel dibattito sul deficit di rappresentanza di cuisoffrono i grandi partiti, per poi affacciarsi sul futuro del centrosinistra e del Paese.Partiamo dall’inizio di questa strada. L’elezione di Pisapia e quella di De Magistris hannoconfermato che solo sulla base della partecipazione, del coinvolgimento delle forze at-tive della società che stanno al di fuori e al di là dei partiti, si può costruire una reale al-ternativa al centrodestra. I successi di Milano e Napoli, infatti, sono stato frutto del lavoro certosino fatto daicomitati dei due candidati. Che non si sono arrestati all’interno del giardino dei loro partiti (piccoli o grandiche siano) ma hanno parlato a quel mondo sempre più vasto fatto di cittadine e cittadini che quotidianamentee fuori da qualsiasi logica elettorale si impegnano per costruire un futuro migliore. Gente che lavora nei ter-ritori, cercando di incidere sulle problematiche della società, siano esse sociali o ambientali. Gente che,spesso, non è neppure riconducibile a una determinata area politica. Perché non di politica loro si occupano,ma delle questioni concrete della comunità. Ecco, è questo un primo passaggio importante: le questioni concrete della comunità. Da tempo, la politica,arroccata com’è nelle stanze dei bottoni, fa fatica a dare cittadinanza nella sua agenda alle istanze che pro-vengono dal territorio. Questo vuoto, pian piano è stato riempito dal basso, dagli stessi cittadini, che con as-sociazioni, comitati civici, movimenti hanno saputo interpretare e portare all’attenzione pubblica tematiche chealtrimenti sarebbero rimaste nell’ombra. E’ quello che è successo, per esempio, con i comitati promotori dei referendum del 12 e del 13 giugno. I par-titi hanno provato a mettere le loro bandiere su questi comitati, ma la realtà è che se nei prossimi giorniavremo la possibilità di dire la nostra su ripubblicizzazione dell’acqua, nucleare e legittimo impedimento il me-rito è di migliaia e migliaia di cittadini senza tessera che hanno raccolto le firme in tutti gli angoli del Paese,dialogando, confrontandosi, informando. A prescindere da come andranno i referendum, è già una vittoria. Ora, dinanzi a tutto questo, quale lezione può trarne il centrosinistra? A mio avviso, ma non solo l’unica, tuttociò dovrebbe innanzitutto spingere i partiti a valorizzare adeguatamente il lavoro che viene svolto nelle peri-ferie delle loro stesse organizzazioni. Periferie che troppo spesso vengono messe ai margini. In secondoluogo, è necessario ridefinire l’agenda politica a partire da quelle che sono le istanze che vengono promossenei territori, che prendono forma e si alimentano dal basso. E questo senza bisogna di metterci il cappellosopra, ma intessendo un rapporto proficuo e di reale rappresentanza con coloro che di queste istanze sonopromotori. Milano e Napoli hanno dimostrato che un metodo politico di tal fatta è capace di ottenere fiducia e aggregareconsenso. In alre parole, il centrosinistra vince quando esce dai palazzi per stare nei territori, quando si faportavoce dell’interesse dei cittadini, li rende partecipi delle scelte e delle decisioni. Non servono alleanze in-coerenti e lontane dagli ideali di fondo. Serve un profilo alto e un progetto chiaro.Mi auguro che questa lezione sia stata fatta propria dal centrosinistra. Soprattutto in Sicilia, dove il vento delcambiamento, come ha messo in luce il primo turno delle elezioni amministrative, stenta ad arrivare.

Editoriale

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Da Milano ai referendumUna lezione per la Sicilia

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maggio • 2011 • N.4

Il punto

ALFIO FOTI

a fase che stiamo vivendo,così drammatica ed incerta,richiederebbe che ogni sog-

getto individuale o collettivo co-munque collocabile nell’areademocratica e di sinistra, si inter-rogasse con grande onestà su al-cune questioni di fondo cherimangono pesantemente irrisolte,come ulteriormente confermatodalle interviste che il nostro maga-zine ha opportunamente rivolto aisegretari dei quattro partiti di cen-tro-sinistra.La prima e più importante è: dicosa ha bisogno questa Sicilia, difronte ad una crisi pluridecennaleche continua ad attanagliarla sulpiano etico, politico, sociale edeconomico?La domanda va posta a tutte/i noicon animo aperto, fuori da sche-matismi e pregiudizi e senza muo-vere da “autoassoluzioni”.La domanda di per sé è banale, opotrebbe apparire tale, ma se sipensa alle risposte mancate e allecondizioni che queste hanno de-terminato per milioni di uomini edonne riguardanti il presente ed ilfuturo, essa acquista spessore eforte rilevanza.Anche la risposta, la prima rispo-sta che viene da dare, a primavista può sembrare scontata, “so-lita”, “astratta”, ma, a guardarla se-riamente da dentro, rapportandosiad essa con autentica responsabi-lità, appare tremendamente at-tuale e chiama ognuna e ognunodi noi a gesti che abbiano pertantoil segno della qualità.

La Sicilia ha bisogno innanzituttodi speranza e quindi di progetto.Speranza significa autostima col-lettiva, fiducia nel futuro, capacitàdi alimentarsi alle molteplici fonti dilibertà e giustizia che la storiadella nostra terra ci dona: dai motirivoluzionari, alle lotte per la terra,all’impegno antimafia con le nu-merose vite immolate che tutto ciòha comportato.L’alimentarsi a tali fonti è presup-posto per lavorare ad una riformanon fittizia della politica, oggi piùche mai distante dal “quotidiano”delle persone in carne ed ossa, ead una profonda rigenerazionedella democrazia, ormai scarsa diintensità nella sua esclusiva formarappresentativa, condizionatacom’è dai poteri forti e da dinami-che spesso lontane da interessicollettivi.Avvertire una nuova motivata spe-

ranza è indispensabile per elabo-rare, realizzare, governare un pro-getto che definisca tempi, modi,strumenti, obiettivi per liberare lanostra isola da un sistema asfis-siante dai tratti sempre evidenti dicarattere clientelare e mafioso.E’ il progetto mirato a costruire lasocietà di giustizia.Un progetto che sia interpretatocon coerenza rispetto ai valori diriferimento ed in cui i percorsi direalizzazione e liberazione indivi-duale siano credibili riferimenti perprocessi di liberazione collettiva; incui il lavoro riprenda effettiva cen-tralità e venga considerato comediritto per esercitare la cittadi-nanza; in cui la coscienza di luogo– per dirla con Magnaghi – diventidiffusa e consenta la tutela e lapiena valorizzazione di tutte le ri-sorse presenti nei territori e nellecomunità che in essi vivono per

In Sicilia serve un progettoper una società di giustizia

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Il punto

produrre ricchezza durevole e ga-rantire un’adeguata crescita soste-nibile sul piano sociale edambientale.La Sicilia ha “subito” quello che èstato definito opportunamente “svi-luppo senza autonomia”, “assistito”,“eterodiretto”, centrato su interventia carattere erogatorio ed assisten-ziale, terreno fertile per la riprodu-zione di un sistema di potereoppressivo e mortificante.L’alternativa è la crescita qualita-tiva di territori e comunità, la ten-denza all’autosostenibilitàdell’autoproduzione, all’autocon-sumo, all’acquisizione di nuovi stilidi vita. E’ la capacità di assegnarealla comunità locale il ruolo di sog-getto protagonista in grado di darerisposte concrete alla crisi dellaglobalizzazione economica, di pro-durre di beni relazionali – solida-rietà, fiducia nel futuro,cooperazione orizzontale, legalitàdemocratica- elementi indispensa-bili per afferrare uno sviluppo final-mente auto centrato, coerente erispettoso della vocazione dei di-versi territori.E’ l’impegno a saper coniugare ri-cerca ed innovazione, il coraggiodi riconvertire in un’ottica di soste-nibilità i poli industriali e in un’ot-tica di pace, le basi militaripresenti in Sicilia, per un loro usocivile.E’ la responsabilità di promuoveree governare un processo di coo-sviluppo dell’area mediterranea.E’ avvertire seriamente il bisognodi abbandonare mediocri logichemirate alla conservazione di po-tere o pseudo/potere personale odi gruppo, aberranti dinamiche ca-

ratterizzate da alleanze strumen-tali, “complotti”, trappole, tradimentie simili volgarità.Il progetto per l’alternativa non puònon essere condiviso e parteci-pato, puntando decisamente sulpieno originale protagonismo diquella parte di società sicilianache già si muove oltre la crisi oche ne possiede tutte le potenzia-lità in grado di proporre, vivere,governare il Cambiamento.Si tratta del popolo della dignità edella gratuità, senza il cui apportoè impensabile qualsiasi processodi cambiamento reale.A questo punto la domanda diven-tano: il centro-sinistra, nelle suedifferenti espressioni partitico-isti-tuzionali, è in condizioni di porsisu una unitaria dimensione pro-gettuale?Ed è azzardato dire con chiarezzache una parte del centro-sinistra,speriamo piccola, è dentro oaspira a stare dentro quel sistemarispetto a cui si dovrebbe essererigorosamente alternativi?E si può considerare segnale dicrisi preoccupante l’atteggiamentodi “un partito” che celebra un con-gresso, approva una linea politica,su questa linea elegge un segreta-rio e dopo pochissimi giorni smen-tisce la linea approvata e “attacca”in incontri pseudo-segreti il segre-tario appena eletto?E il governo Lombardo, può es-sere considerato un ulterioresegno di degrado, buono a pro-durre imbarazzo, disorientamento,riflusso, in quella porzione di so-cietà più disponibile alla “rina-scita”? Come si può parlare diriforme se non esiste un progetto

e quindi un piano per convogliaretutte le risorse umane ed economi-che atte a raggiungere gli obiettivifissati dal progetto stesso?E ancora: esiste o no il rischio cheanche all’interno del centrosinistrasi possa avere la tentazione di so-stituire un “regime” ad un “altro re-gime” con qualche cambiamentoin termini di sfumature cromatiche,magari utilizzando colpevolmentel’antimafia come colore?Sono tutte domande espresse ov-viamente con approccio retorico.E’ indispensabile, urgente unire ilpopolo del centrosinistra! Attivare,potenziare, qualificare, luoghi incui questo popolo possa ricono-scersi, ridefinire un’identità collet-tiva, aggregare le domande socialiperché esse perché esse svilup-pino il campo della partecipazione,accedere ad una inedita comunedimensione progettuale, indivi-duando punti di riferimento chiari euniversalmente credibili.Ciò riguarda tutto il popolo di cen-trosinistra con e senza tessera,proponendo una costruttiva dialet-tica e proficua interazione tra leforme di organizzazione partitica equelle di autorganizzazione, chevada di pari passo e assuma la“valenza” del rapporto di proficuacomplementarietà tra democraziarappresentativa e democrazia di-retta basata sulla partecipazione.Per fare ciò occorre umiltà, umiltà,umiltà e ancora umiltà, per tornaretutte e tutti ad avere la consapevo-lezza, la coscienza, il piacere dicostruire il bene comune e ridaresenso, significato, valore alle pa-role libertà, democrazia, sinistra.

5 maggio • 2011 • N.4

GIUSEPPE ONUFRIODirettore di Greenpeace Italia

’incidente è al momento se-condo solo a quello di Cerno-byl. E solo adesso, a oltre

due mesi dall’incidente, cominciaa venir fuori la verità: il nocciolo siè completamente fuso nelle prime16 ore dall’inizio del blackout cheè iniziato prima che arrivasse lotsunami. Solo adesso l’aziendaproprietaria dell’impianto, laTEPCO (che vanta una lunga se-quenza di scandali per la mano-missione dei documenti sullasicurezza degli impianti) ha am-messo che dopo 10 minuti dal ter-remoto i generatori diesel si eranofermati per un guasto per almeno3 ore. Solo dopo essere stati ri-messi in funzione è arrivato lo tsu-nami a mettere fuori gioco igeneratori di emergenza. E così siè innescato l’evento incidentale.Questo ha portato a emissioni inatmosfera di circa il 10% di quelleregistrate a Cernobyl, ma è unaquantità comunque sufficiente afarlo rientrare nella definizionedella categoria Ines 7. E’ successo quello che era statogià previsto 30 anni fa. La dina-mica avvenuta a Fukushima erastata già studiata in una simula-zione effettuata sul reattore BWRdi Browns Ferry negli USA nel1981, sulla base del quale fu ela-borato un rapporto tecnico nel1985. Il rapporto prevedeva fu-sione completa e danneggiamentodel vaso di contenimento del noc-ciolo in 13 ore e mezza. Si trat-tava di un reattore BWR da 1.100

MW con un sistema di conteni-mento tipo Mark I, lo stesso adot-tato in 5 dei 6 reattori nucleari diFukushima. Nel 1990 l’agenzia disicurezza giapponese NSC accan-tonò l’ipotesi incidentale: non eraritenuto possibile un blackout cosìlungo. Un blackout però può suc-

cedere per tante ragioni: in Sveziaa Forsmark nel 2006 si rischiò unincidente simile per una interru-zione di corrente per 23 minuti cheaccadde senza alcun terremoto:per fortuna un terzo generatorediesel si mise in funzione (altri dueerano andati in corto circuito).

Il disastro di FukushimaUna lezione di nucleare

Politica

maggio • 2011 • N.46

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Risultato: aree altamente contami-nate dagli isotopi del Cesio. Lezone più contaminate da Cesio137 e 134 sono in direzione Nord-Ovest rispetto all’impianto. Green-peace aveva già evidenziato tassielevati nel villaggio di Iitate, al difuori della zona di “evacuazioneconsigliata” (raggio di 30 km). Se aCernobyl l’allora governo sovieticodichiarò “da evacuare” le aree incui la contaminazione radioattivaal suolo superava i 1490 kBq/mq(kilobequerel al metro quadro) eda distruggere i raccolti in areeche superavano i 550 kBq/mq, nelcaso giapponese si sono registrativalori di contaminazione al suoloanche ben superiori a questi va-lori. Finalmente, dopo oltre duemesi, anche le aree oltre il limitedei 20 km cominciano a essereevacuate, come già chiesto daGreenpeace dopo aver presentatoi risultati della prima missione di ri-cerca inviata sul posto.L’Italia è circondata da reattori nu-cleari, dicono, dunque. Ma i rischinon sono gli stessi che avere unincidente in casa. Come ha dimo-strato Cernobyl e come sta dimo-strando Fukushima, in caso diincidente grave l’area da evacuarepuò essere ampia fino ad alcunedecine di km dall’impianto. Questonon vuol dire che oltre non c’èalcun rischio, ma che le conse-guenze sono assai diverse. Misuredi radioprotezione possono esserenecessarie anche a maggiore di-stanza ma, in linea di massima, irischi (le concentrazioni dei ra-dioelementi in aria) scendono conil quadrato della distanza. A fare ladifferenza da questa regola gene-

rale sono le piogge che, al pas-saggio della nube, possono crearepicchi di contaminazione dei suoliper cui ci possono essere aree di-stanti più contaminate di aree piùprossime alla centrale. Per l’Italia,come si è visto con Cernobyl, leAlpi hanno protetto (contaminan-dosi) almeno in parte il nostroPaese.L’Italia non ha bisogno del nu-cleare. Oggi in Spagna le rinnova-bili coprono il 35% dellaproduzione di elettricità, in Italiacirca il 20%. Raggiungere la quotaspagnola al 2020 è assolutamentefattibile e comporterebbe un im-patto occupazionale assai signifi-cativo. Fonti rinnovabili edefficienza energetica hanno un po-tenziale energetico in Italia oltre ildoppio del fantasmagorico pianonucleare del governo che prevede13.000 MW di impianti nucleari. Ilpotenziale di sviluppo delle fontirinnovabili al 2020 è – secondo leanalisi del Politecnico di Milano –

di circa 90 miliardi di kilowattoraall’anno aggiuntivi agli attuali,mentre quello del risparmio attra-verso misure di efficienza energe-tica dell’ordine dei 140 miliardi dikilowattora all’anno.Dunque le alternative esistono ehanno un valore energetico piùche doppio rispetto al fantasmago-rico piano del governo e quadru-plo rispetto all’accordoitalo-francese per costruire 4 reat-tori EPR in Italia. Infine, ma nonmeno importante, una strategiabasata su efficienza e rinnovabiliavrebbe un impatto occupazionaleassai più importante, dell’ordinedei 300 mila posti di lavoro, di cui il70% in Italia se le politiche pubbli-che saranno abbastanza serie dafar sviluppare qui le filiere tecnolo-giche. L’accordo italo francese pre-vede un impatto di 10 mila posti, lagran parte dei quali in fase di co-struzione delle centrali: a regimeun impianto nucleare occupa 300persone.

Politica

7 maggio • 2011 • N.4

maggio • 2011 • N.48

MAURO PIRAS

l vento, certo, è uno degli ele-menti che caratterizzano laSardegna: c’è sempre un po’

di vento! Il maestrale e la tramon-tana, da nord a sud, portano lapioggia, puliscono l’aria, rinfre-scano. Lo scirocco e il libeccioportano le temperature africane,un po’ di sabbia del deserto, lacalura e l’umidità fastidiose.Come un vento impetuoso è statoil referendum proposto da “Sino-nucle” – comitato promotore delreferendum. Il risultato non eradifficile da prevedere anche nellaforma plebiscitaria (97,28%) ri-scontrata. Perché non era difficile? Perché,per chi vive fuori dalle stanze deipartiti, era talmente palpabilenella gente l’avversione all’instal-lazione di centrali nucleari o aldeposito di scorie che non si ca-piva perché andare a votare peruna cosa ovvia. Perché anche ipartiti che, nel governo nazionale,hanno prima sposato e poi accan-tonato la scelta nucleare, hannocapito che sarebbe arrivata “unamaestralata” di voti contro. O,forse, le indagini sull’affare eolicoin Sardegna lo confermano, soloperché reputano più vantaggioso,per le varie lobbies, pensare agliaffari che l’eolico e il fotovoltaicopossono portare. Perché anche ilmaggior quotidiano regionale(L’Unione Sarda), che non passacerto per essere un covo di estre-misti di sinistra e tantomeno vi-cino alle posizioni indipendentisteche hanno proposto il referen-

dum, hanno sostenuto la sceltacontro il nucleare in Sardegna,addirittura diffondendo adevisipropagandistici.Perché anche i partiti di opposi-zione (centrosinistra), solitamenteimpegnati a contraddirsi su tutto,questa volta sono riusciti, se nonaltro, a non commettere errori.Perché Chernobyl ma ancor piùFukushima e le vicende legate alsequestro dei 13.000 ettari delPoligono di Quirra per ritrova-mento di uranio (per fortuna “im-poverito”), hannodrammaticamente messo a nudonon solo i rischi del nucleare ma,soprattutto, i rischi della gestioneumana e del business ad essocollegato. Ma, soprattutto, perché, questavolta, la gente ha capito che nonci potevano essere indicazioni di

partito che tenessero, che ètempo di ricominciare ad occu-parsi del proprio destino, dellapropria libertà, del proprio futuroprima che il vento diventi mefiticoe, di una terra antica e bella, fac-cia una landa desolata. E’ un segnale di rilevanza nazio-nale e, questa volta, anziché su-bire il vento che le condizioniatmosferiche creano, la Sardegnaha voluto creare un vento di oppo-sizione a scelte che la gente noncondivide. Ma, attenzione, non si deve ab-bassare la guardia. Il governoBerlusconi ha solo rinviato lascelta di un anno e potrebbe ri-provarci. Sempre che “la maestra-lata” del 15 e 16 maggio non sisia portato via anche lui e i suoi“scilipoti”.

La Sardegna ha detto “no” al nucleare. Con un plebiscito

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Politica

maggio • 2011 • N.49

CARMEN VELLA

a giustizia in Italia è oggettodi riforma costituzionale. Nonsono ancora chiari i tempi e i

modi dei passaggi parlamentaridella riforma approvata lo scorsomarzo dal Consiglio dei Ministrisu proposta di Alfano, forse ci vor-ranno un paio d’anni ma è prestoper dirlo. Nel frattempo, mentre siconsuma il dibattito dentro e fuorii palazzi del potere noi abbiamochiesto ad un uomo di legge cosadobbiamo aspettarci e se propriotutto quanto è da buttare. Ab-biamo girato la domanda all’avvo-cato del Foro di Palermo,Francesco Crescimanno, cassa-zionista, con ben 41 anni di atti-vità di avvocatura alle spalle ci hadato la sua visione, con un ac-cenno anche alla norma sul legit-timo impedimento che il prossimo12 giugno saremo chiamati adabrogare o meno. Crescimanno,che ha al suo attivo un trascorsoin politica, candidato a sindaco diPalermo nel 2001, reduce dallastagione della Primavera siciliana,decise di affrontare “le noie dellapolitica per evitare che Palermoripiombasse nel clima degli annibui precedenti i fiori della sua Pri-mavera o di quel plumbeo inter-vallo tra di essa e i frutti dei setteanni di Orlando sindaco per plebi-scito”. Nel suo percorso non ha haiabbandonato però i panni di giuri-sta, per antonomasia, “difensoredel diritto dei deboli e degli offesi,l’avvocato delle vittime della pre-potenza mafiosa”, oggi, fra l’altro,avvocato di parte civile nel pro-

cesso sulla morte di Mauro DeMauro.Avvocato Crescimanno, cosapensa di questa riforma dellagiustizia?“A me sembra che uno dei puntifondamentali che questa riformacomporta è quello della separa-zione della carriere, il problema -spero di non scandalizzare nes-suno - secondo me è gestibile. Seintendiamo per separazione la co-stituzione di due diversi rami dimagistrati, giudicanti e requirenti,autonomi nella loro collocazione,senza previsione di spostamentise dall’uno o dall’altro non quelloregolare di fare un concorso epassare nell’altro ramo. Due corpiseparati, a condizione che, l’unoe l’altro abbiamo tutte le garanzieche attengono all’indipendenza,all’autonomia, e soprattutto cosache è indiretta ma più qualificante,

che rimanga l’obbligatorietà del-l’azione penale”.La magistratura ha bisogno diun cambio di rotta?“Sono d’accordo che la magistra-tura rivendichi il proprio ruolo; chenon si possa mai toccare nullanon sono d’accordo, purché ripetoci siano tutte le garanzie mante-nute, l’ipotesi dei due Csm, delledue carriere, la trovo fattibile, pur-ché abbiano identica colloca-zione, ad un livello tale che nonpossono essere condizionate. Lecritiche hanno apparentementeuna logica, ma è una logica difacciata, perché si dice corretta-mente che l’obbligatorietà di fattonon viene rispettata perché non siarrivano a fare tutti i processi ,mase rimane una norma che obbligail magistrato requirente a eserci-tare sempre l’azione penale, nelmomento in cui un organismo di

Legittimo impedimento, Crescimanno:“Un salvagente per il premier”

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Politica

10 maggio • 2011 • N.4

controllo che dovrebbe continuarea chiamarsi Consiglio Superioredella Magistratura dell’uno edell’altra, a mio vedere non c’ènulla di scandaloso. Provengo daun modo di pensare radical-mente diverso, se 30 anni fa miavessero di separazione di car-riera io avrei detto è una follia,oggi dico cose diverse per dueconsiderazioni; una perché sitratta di una cambiodi cultura e direaltà, non solo mia, ma in gene-rale, l’altra perché il cosi dettonuovo codice che oggi ha 22 anniha radicalizzato le posizioni delpm”. Secondo lei è un’ipotesi condi-visibile, dunque?“Che oggi si possa parlare di se-parazione delle carriere a miomodo di vedere è plausibile,tenga conto che da sempre,al-meno nella mia esperienza, cisono pm che hanno senso del-l’equilibrio, sanno rispettarequelle norme che prevedono sidebba anche valutare gli elementia favore dell’indagato, come cisono i magistrati della giudicanteche fanno lo stesso; dipendemolto dalla sensibilità di ciascuno,dal carattere, ci sono quelli sem-pre imbronciati o quelli che hannosempre il sorriso e con cui si puòragionare in maniera distesa”.Eppure questa linea non è poicosì’ tanto condivisa nell’am-biente giudiziario?“Il problema di tenerli insiemeperché si meticciano è un falsoproblema. E’ soltanto apparenza.E’ meglio dividerli proprio per evi-tare che periodicamente si dicache la magistratura è squilibrata

sulle posizioni , in quanto i pm es-sendo colleghi dei giudici si aiu-tano a vicenda. Mi pare molto piùchiaro che accusa e difesa chesi confrontano dinnanzi ad un giu-dice, siano cosa diversa e che ilgiudice sia realmente in mezzo. Ilfatto che in magistratura spessosi dica che è un modo di mortifi-care il pm - come dice Berlusconi- secondo cui il pm si dovrà pre-sentarsi con il cappello in mano,secondo me sono solo valutazionifolkloriche che lasciano il tempoche trovano. Un magistrato di pmche abbia dignità e capacità, sastare davanti al giudice, sa far va-lere le sue idee con autorevo-lezza.Come si può ovviare alla con-trarietà alla questione dellaseparazione delle carriere dif-fusa negli ambienti della magi-stratura?“Anni fa mi sono fatto carico, nelcorso di una riunione indetta dallasezione palermitana dell’Anm mafinii con raccogliere una serie diespressioni di censura negative,perché si ritenne che una opera-zione tendeva a radicalizzare leposizioni e che il sistema non an-dava affatto toccato. Io rimangoconvinto che è meglio non la-sciare che altri facciano la riformacontro, piuttosto meglio è farla in-sieme, perché facendola insiemesi potrà creare quel clima di equi-librio che consenta di tenereferme le prerogative relative algiudice e al pm, creando duecorpi distinti con le dovute garan-zie. Una riforma contro signifi-cherà inevitabilmente farcimettere sotto il controllo dell’ese-

cutivo, e questo, si sa, è il grandesogno di Berlusconi, che intendeneutralizzare radicalmente i magi-strati. Di contro penso che mante-nere autonomia, indipendenza,inamovibilità, come del resto fun-ziona adesso, poiché salvo pro-blemi disciplinari, il magistrato seno n consente non può esseretrasferito, io credo sia giusto così,sarà anche un privilegio notevol-mente del resto la funzione delmagistrato è delicatissima, il fattoche sia iper garantita lo trovo ra-gionevole. Con due copri distinti eautonomi creiamo situazione diuguaglianza, in cui nessuno puòcontinuare a dire che il giudice espesso coattato dal pm, essendosuo collega, abbiamo esempilampanti di giudici perfettamenteappiattiti sui pm e di giudici ap-piattiti sulle difese, a prescindere.Come, ci sono anche quelli equi-distanti per cultura e rispetto delpropri ruolo, questo passaggio amio modo di vedere si può affron-tare purché si mantengano tuttele garanzie”. A proposito della norma sul le-gittimo impedimento, lei cosa

Politica

ne pensa?E’ palesemente un espediente disalvataggio del premier, l’enne-simo salvagente del presidentedel Consiglio. Una norma chetende a blindare la giustizia a fa-vore di Berlusconi. Del resto il le-gittimo impedimento esiste dasempre nel codice penale e se nefa ricorso laddove si ravvisa uneffettivo e assoluto impedimentorelativo a problemi di salute seri.E’ chiaro che la difesa che ne faricorso deve fare necessaria-mente i conti con i tempi del pro-cesso che inevitabilmente siallungano e che si sommano altempo della prescrizione , dunquesi tratta di una scelta e come talevanno accettate le conseguenze”.Quindi non ce ne sarebbe al-cuna necessità secondo lei?“Non vedo perché di legittimo im-pedimento, come quello propostoe che è oggetto di referendumdebba avvalersi il presidente delConsiglio, quando chiunquesvolga un’attività pubblicistica puòtrovarsi nelle condizioni di nonpotere presenziare alle udienzeperché impegnato su altri fronti,è un gioco che non funzionacome non funziona i rinvii e le riu-nioni del Consiglio dei Ministri fis-sate i concomitanza. Del restol’apparizione alle udienze di Ber-lusconi è finita con l’essere unasorta di vetrina mediatica utile peraccrescere la sua popolarità e peraffermare la sua estraneità ai fattiche lo vedono imputato, ma que-sto modo di farsi pubblicità sem-bra non abbia avuto effetti positivia giudicare dal risultato delle ele-zioni amministrative, adesso è im-

portante il comportamento dellaLega e di Bossi in particolare chepure non ha”.Quale sarà e da cosa dipenderàl’esito del referendum?“Chiaramente il risultato del refe-rendum del voto dipende da varifattori, uno di questi è l’effetto trai-nante che può avere il risultatopolitico dei ballottaggi del 29maggio, specie per la sindacaturadi Milano, che è nodo centrale persegnare il percorso politico deiprossimi mesi, proprio perché Mi-lano da sempre è la roccafortedel sistema di potere di Berlu-sconi. Cosa pensa, da uomo di legge,di questa norma tanto volutadal governo Berlusconi?“Il legittimo impedimento è unaesasperazione, un’esagerazioneconclamata, pensata per Berlu-sconi e i suoi ministri, fin troppoevidente per non essere com-presa. L’iter che c’è stato per arri-vare alla formulazione di questanorma bocciata più volte per lasua anticostituzionalità la dicelunga sulla natura stessa delprovvedimento ad personam,fatto ad arte, ci aveva provato Ci-rami prima, poi Schifani e Alfanocon il lodo, tutto per assecondareun discorso legato alla figura delpresidente del Consiglio. Il puntoè che la chiave di lettura del que-sito sarà inevitabilmente differen-ziata rispetto all’elettoratonotoriamente diviso fra coloro cheosannano Berlusconi attribuendo-gli una sorta di sacralità a pre-scindere da quello che fa e dallesue malefatte, tra quelli che ap-partengono alla sua clac, o che

sono a libro paga direttamente oindirettamente, e dall’altro lato trachi si dichiara nettamente contra-rio alle sue posizioni e ancora dipiù al suo operato o chi pensa,perdendo l’obiettività, che forse èdavvero vittima di una persecu-zione e che i magistrati gli stannoaddosso senza motivo”. Quale sarà la risposta deglielettori?“La risposta degli elettori sarà di-versificata come lo è l’elettorato.La vicenda Ruby ha dato unoscossone alla visibilità di Berlu-sconi, che si è ritrovato in mezzoad una storia di squallore, cheinevitabilmente lo macchia sulpiano personale, e di cui deve ri-spondere sia personalmente chedal punto di vista del suo ruolo;del resto la sua difesa è quella didire che si tratta di fatti privati eche i magistrati hanno spiato dalbuco della serratura ma è gravis-simo il fatto che quanto raccon-tato dalle ragazze coinvolte si siasvolto a Palazzo Grazioli, cherappresenta un’istituzione e per-tanto merita tutto il rispetto delcaso. Esempio emblematico, chedimostra che oggi si è perso ilsenso dello Stato, delle istituzioni,e di chi le rappresenta. Le istitu-zioni non sono casa nostra macasa d’altri e quando si è ospiti bi-sogna comportarsi come tali. Equindi avendone cura e rispetto.Quanto fatto dalla peggiore De-mocrazia Cristiana di un tempo ènulla paragonato a quanto sta ac-cadendo in questo momento poli-tico dove davvero si è toccato ilfondo”.

Politica

maggio • 2011 • N.411

CARMELA CAPPA

n progetto, ideato come “dono”per coloro che, attraverso la me-moria, sanno ancora guardare

al futuro, deve proporsi come finalitàquella di dare impulso tra i cittadini adun processo di democrazia parteci-pata per favorire il valore della condivi-sione del bene comune e la gestionecollettiva delle risorse di un territorio.L’acqua, come risorsa insostituibile perl’uomo, deve infatti essere oggetto dicura da parte della società locale enon può essere distinta dal principio disalvaguardia per garantirne l’uso allegenerazioni future. Il governo localedelle risorse, in primo luogo quelleidriche deve ripartire dalla re–identifi-cazione collettiva con i giacimenti pa-trimoniali, dalla riscoperta dellavalenza identitaria del luogo, dalla co-noscenza degli strumenti utilizzatidalle generazioni passate per la ge-stione e la fruizione dell’acqua. Legiornate di studio e la Mostra itine-rante sono la conclusione ed al tempostesso l’inizio di un percorso condivisotra i componenti del Cantiere di Un’al-tra Storia di Giarre, le istituzioni e lepersone della società civile, sonoanche l’esito dell’esperienza parteci-pata tra le associazioni che hanno co-stituito nel comprensorio jonico-etneoil Forum delle associazioni per la bat-taglia referendaria per la ripubblicizza-zione del servizio idrico, un Forum conpartecipanti molto diversi tra loro, maall’interno delle quali è stato possibilepromuovere dinamiche democratichee collettive. Dagli incontri e durante ibanchetti per la raccolta delle firme hapreso forma il progetto del Referenteper i Beni Culturali del Cantiere ionicoetneo di valorizzare l’acqua dell’Etnacome patrimonio primario di un territo-rio perché è nei principi fondanti diUn’altra Storia educare al bene co-

mune, riappropriarsi delle risorse, re-identificarsi con la memoria e conl’identità del territorio di appartenenza. La risposta da parte dei cittadini allaraccolta di firme per i referendum chesi terrà il 12 ed il 13 giugno nel territo-rio ionico etneo ha superato di granlunga le aspettative: circa 15.000 firmeraccolte nei territori comunali diGiarre, Riposto, Linguaglossa, Fiume-freddo Mascali, Piedimonte Etneo,Sant’Alfio, Milo, comuni del versanteionico-etneo accomunati da peculiaritàidrogeologiche e sistemi di fruizionidell’acqua dell’Etna, protagonisti oggidel progetto Il racconto dell’acqua. Il referendum ed il convegno acqui-stano oggi la funzione di un’azione si-nergica: difesa dei diritti e conoscenzadei sistemi storici di gestione e di frui-zione delle risorse idriche per ridaresignificato al valore della memoriacome riscoperta dei saperi tradizio-nali. Scopo del Convegno – laborato-rio e della Mostra itinerante è statoquello di restituire valore di patrimoniocollettivo agli strumenti di gestione e

fruizione delle risorse idriche: sorgenti,pozzi, abbeveratoi, norie, mulini, fon-tane, cisterne, espressioni d’arte, si-stemi di coltivazione e produzioneagricola, testimonianze della culturamateriale ed immateriale. Il sistema difruizione storicizzato delle risorse na-turali è un patrimonio comune che at-traverso la documentazione puòdiventare strumento di ricerca per indi-viduare nuovi sistemi di gestione dellerisorse fondati sull’applicazione di tec-nologie ecocompatibili per la gestionedi un bene collettivo come l’acqua. Ilprogetto vede coinvolti da protagonisti,in una sinergia di competenze, cono-scenze, professionalità, Comuni, So-printendenza, Genio Civile,Associazioni, Istituzioni scolastiche,persone della società civile, esperti eoperatori del settore connesso all’agri-coltura, studiosi di storia locale, depo-sitari della memoria collettiva, giovanientusiasti di conoscere e scoprire ilterritorio ionico etneo come luogo eidentità. Lo studio storico dei sistemi di canaliz-

La difesa di un bene comunenel “racconto dell’acqua”

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Politica

maggio • 2011 • N.412

zazione, irrigazione, fruizione dell’ac-qua come bene per uso privato e col-lettivo, partendo dalle testimonianzedocumentarie e dalle permanenze, èindispensabile per comprendere comela gestione dell’acqua da sempreabbia caratterizzato l’economia del ter-ritorio ionico etneo incidendo anchesul paesaggio percettivo, sulla flora esulla fauna. Dagli interventi dei relatoriè emerso tra l’altro che nel futuro biso-gnerà considerare la necessità di ga-rantire una maggiore captazione dellerisorse, non escludendo le ipotesi di ri-pristinare le saie per l’irrigazione, di in-centivare la costruzione di cisternenelle abitazioni, come quelle già pre-senti ed in uso nelle case rurali e nonsolo, che possono svolgere una du-plice funzione: fungere da vaso diespansione nei momenti di pioggia in-tensa per prevenire gli allagamenticonseguenti ad ogni precipitazione enello stesso tempo servire da serba-toio che ne consenta l’utilizzo comeacqua irrigua nella stagione estiva. Durante le giornate di studio è stato ri-badita la necessità di limitare al mas-simo le dispersioni di rete che oggispesso superano il 50% della risorsaidrica immessa, questo consentirebbela redistribuzione della risorsa ancheverso i territori che ne sono carenti.Un'altra considerazione emersa ri-guarda lo stato di incuria ed abban-dono in cui versano la maggior partedelle testimonianze visionate, in parti-colare una saia che insiste nella fra-zione di Presa che vienesistematicamente depredata per sot-trarne materiali da costruzione lapideied una neviera nel comune di Miloche rischia il crollo a causa delle radicidi alberi limitrofi.Tutelare oggi questi beni significa per-mettere ai giovani di acquisirne la co-noscenza e mantenere il rispetto.La partecipazione alla Mostra labora-torio di alcuni Istituti scolastici del terri-

torio ha permesso di predisporre deiprogetti educativi finalizzati al rispettodell’acqua, un bene prezioso che nonpuò e non deve essere sprecato. Unpannello dedicato a Danilo Dolci edalle sue battagli di legalità in difesadell’acqua realizzato dagli alunni dellaScuola Media Ungaretti di Giarre im-plica un forte valore etico per l’interamostra. La Mostra itinerante, che verrà pre-sentata nelle sedi predisposte dai Co-muni coinvolti nel progetto, si proponecome tappa d’inizio per valorizzare isistemi di gestione delle risorse daparte delle comunità locali della Siciliae creare una rete di studio sui sistemidi gestione e di fruizione delle risorseidriche in altre regioni italiane e neipaesi del bacino del Mediterraneo (Tunisia, Marocco, Spagna, Malta,Francia, Grecia, Israele, Cipro).Al progetto si potrebbe imputare il ca-rattere settoriale ed il limite di appariretroppo circoscritto territorialmente, aquanti lo ritengono tale si può obiet-tare che è intento degli organizzatoriproporre un modello, condivisibile omeno, di sensibilizzazione della col-lettività al bene comune, un’ opportu-nità di dialogo tra cittadini e istituzioni,persone che si confrontano con le isti-tuzioni che li rappresentano con cui bi-sogna interloquire e se necessariocontestare e contrastare. Questi sono i principi fondanti dellademocrazia partecipata. Il referendum è la forma più completadi democrazia partecipata, permette aicittadini di ideare e progettare, scardi-nare ed abrogare le leggi, esprimereun voto per decidere. Il 12 ed il 13 digiugno si voterà per quattro quesiti re-ferendari, uno di essi riguarda la pub-blica gestione dell’acqua, poterdecidere sulla gestione pubblica di unbene collettivo come l’acqua è uno deifondamenti assoluti della democraziae sotto la spinta di tale motivazione

dobbiamo esprimere i nostri SI, con-vinti di votare in difesa del patrimoniocomune. Del resto la difesa del territo-rio implica la determinazione da partedei cittadini di non accogliere su tutto ilterritorio nazionale nuove centrali nu-cleari. Difendere il territorio significaanche porsi da cittadini con uguali di-ritti e doveri in rapporto con le istitu-zioni e con la giustizia contro ognipossibilità di delegittimarne il corsocon leggi ad personam come potrebberivelarsi il legittimo impedimento tantoauspicato dal Presidente del Consiglio. Allora quattro Sì convinti per la demo-crazia e, parafrasando Danilo Dolci,difendere il bene comune per difen-dersi.

Politica

13 maggio • 2011 • N.4

La crisi delle città

“La mia vita clandestinanella Palermo sotterranea”

BEATRICE MONROY

tamattina sono andata all’Isti-tuto Gramsci per una ricerca.E’ ormai un luogo comune: i

Cantieri alla Zisa? Distrutti. Cheoccasione persa. Uscendo dalGramsci ho incontrato degli amici,Fabrizio Lupo con cui là dentroavevo prodotto tante belle cose, eAurelio Pes che mi ha dato la pos-sibilità di fare per alcuni anni Lanotte dei mille racconti, una notteintera, in cui, nell’atrio della Biblio-teca Comunale, arrivavano centi-naia di persone ad ascoltare eascoltare storie. Le storie? Sono ilsale della terra. Nelle storie sonocontenute le nostre vite e chiascolta a sua volta racconterà enon dimenticherà. Forse per que-sto, per questa piccola parola di-menticare, non è stata piùpossibile fare quella notte. Adesso eravamo lì per caso io, Fa-brizio e Aurelio come tre naufraghi.C’è stata una tempesta, ha spaz-zato via tutto. Noi? Ci siamo. Persi.Rotti. Stracciati ma ci siamo. Miviene da ridere perché improvvisa-mente mi passa per la testa lacanzone della Cinquetti E qui co-mando io, e questa è casa mia.Sanremo 1971, una canzone perbene, velatamente femminista, chestrizzava l’occhio a quell’onda cheavanzava. Adesso io la sento can-tare dai nostri amministratori, checomandano loro e questa è casaloro. Casa? A casa tua ci metti deltuo, non è che ti pagano i contri-buenti i mobili, il frigo, le pentole ela spesa. Ci pensi tu. Sennò è lacasa di tutti. Mah! Quello che mi

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maggio • 2011 • N.414

Con questo numero vogliamo intraprendere un viaggio nelle cittàsiciliane, cogliendo gli umori di quanti ogni giorno le vivono.Vogliamo registrare le percezioni, le sensazioni di quanti operanoin questi contesti urbani con la voglia di riaccendere la speranza,di immaginare percorsi virtuosi per costruire buone pratiche di go-verno delle nostre polis.Desideriamo ascoltare gli operatori culturali, il mondo delle profes-sioni e delle università, le forze economiche e sociali per darevoce agli individui che spesso in solitudine vivono le nostre città.Vogliamo costruire un progetto partecipato che possa contribuiread affermare nuovi modelli di buon governo, partendo dai territoriche viviamo.Alla rassegnazione che spesso ci circonda vogliamo risponderecon la speranza che cambiare è possibile.In questo numero ci occupiamo di Palermo e Catania nell’anno2011. Nei prossimi numeri continueremo il viaggio verso gli altri ca-poluoghi.Giovanni Ferro

Un viaggio nelle città sicilianeper raccontare la loro crisi

piacerebbe davvero è che gli arti-sti fossero valutati per il loro effet-tivo valore e non per questa storiadelle parrocchie che veramente fatanto Medioevo. Siccome io non sono della parroc-chia giusta sono stata punita, (chi? Io o la città che si è persa unsacco di belle iniziative?) e non hoavuto più la possibilità di fareniente e anche per me, come perquasi tutti gli artisti, (ma quantisiamo della parrocchia sbagliata?)così è cominciata la clandestinità.Sarà che pratico yoga e medito daquarant’anni, insomma ho cercatodi prenderla con calma e di inven-tarmi in questa città un’altra vita. Una vita clandestina e di questa vivoglio parlare. Chiusa la mia ado-rata Libr’aria, luogo di incontri e difervidi dibattiti, mi sono trovata acasa seduta sul divano e ora? Maarrivavano le telefonate, che fac-ciamo? Possibile? Così, silenzio-samente, è nata una cosaclandestina, un gruppo di genteche scrive, anche se non abbiamopiù un luogo ma abbiamo i nostriluoghi e abbiamo cominciato riu-nioni itineranti da casa in casa. Gliscriventi, abbiamo lavorato in si-lenzio per anni e adesso è uscito ilnostro primo romanzo collettivo.Questa è la storia di una clande-stinità. Accanto, in questo lungopercorso, abbiamo scoperto tanticlandestini: quel genio di FrancoMaresco, l’abilità unica e straordi-naria di Mario Bellone, un numeroinfinito di gente di teatro tra cuiBorruso, Cutino, la Petix ed EmmaDante e il suo spazio La Vicariadove i ragazzi, che di parrocchienon ne hanno mai avute, ma che

lo stesso vengono emarginati,hanno un posto per discutere, perfare arte, perché lì si fa il teatro maanche si espongono le opere digiovani, e poi ora è quasi allamoda provare gli spettacoli a casa!Teatri? Che roba sono? Ah, quellecose tenute in catene, piene dipolvere, dove non si può entrarese non sei, se non ossequi, senon dici esattamente quello chequelli vogliono. Prigioni insoppor-tabili, io che sono madre, lo sobene e ambedue i figli giusta-mente se ne sono andati, via il piùlontano possibile da questo in-ferno. La classe di liceo di mia fi-glia è tutta emigrata. Tutta. Direiche fa riflettere.La città sotterranea esiste ed è vi-vacissima, produce delle cose bel-lissime che qui in spazi clandestinivengono prodotte e poi immediata-mente portate fuori, l’altrove che ciriconosce, che ci rispetta, che ciguarda con grande simpatia e am-mirazione. Enzo Vetrano, grandeattore palermitano emigrato aImola, dove, con Stefano Randisi,ha fondato un’importante compa-gnia teatrale siciliana, dice di es-sere il teatro stabile del sud alnord. Questo per dire che è difficiletrovare una città con tante risorse. Certo se ci fosse una città attornoa noi che bello fusse! Immaginatedi potere andare dal direttore arti-stico del teatro stabile della cittàperché siete una drammaturga ab-bastanza affermata e potere es-sere ricevuti (torna la Cinquetti..equi è casa mia..), pensate chegioia potere andare alla BibliotecaComunale e trovare tutti i libri benesposti e poterli prendere in pre-

stito e sapere che il direttore haavuto soldi per sistemarla per rior-dinare e ordinare nuovi libri, bellofusse! Pensate che gioia se la Raifosse ancora un centro di produ-zione e si potesse avere un pro-gramma radio da Palermo, scrittoe diretto da noi, come hanno fattoda Napoli per Radio3, bello fusse!Quando c’era il grande MichelePerriera e molti di noi venivamoeducati all’arte e al teatro da lui, ciportava in Rai a fare i radio-drammi.Pensate se i Cantieri alla Zisa fos-sero quel centro per le arti doveognuno ha il suo spazio per ve-dere, per sperimentare, per farequello che è il sale di un popolo, lacultura. Non esiste cultura senza scambi,senza opinioni diverse, senza rap-presentazioni diverse; è la diver-sità, la multiculturalità a creare laforza di un popolo. E’ per me que-sta la cosa più grave e più terribiledi questo regime: averci tappato labocca, l’emarginazione che ab-biamo subìto è un tentativo (dicocon gioia in gran parte fallito) dizittire la nostra arte. E qui comando io..e questa è casamia….

Dossier

15 maggio • 2011 • N.4

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ROBERTO ALAJMO

erte volte dubiti. Non ti parepossibile. Eppure la memorianon sbaglia, hai controllato

pure su Wikipedia: ci fu un mo-mento in cui per diventare sin-daco di Catania andarono alballottaggio Claudio Fava ed EnzoBianco. Ricordi pure che quandopoi vinse Bianco tu hai storto ilmuso, pensando che era troppomoderato, e serviva una sterzatapiù netta.Era il giugno del 1993, mica unsecolo fa.Pure in quella tornata Leoluca Or-lando vinse a Palermo con unapercentuale di elettori persinoesagerata.E tu decidesti di fare un figlio.Cioè: decidesti che in quel mo-mento valeva la pena di far cre-scere un figlio in Sicilia. Unaspecie di investimento di spe-ranza. Se non allora, quando?Adesso quel tuo figlio ha sedicianni, e talvolta ti pare di scorgereuno sguardo nei suoi occhi. Nonche abbia mai fatto pesare nulla.Ma è come se ogni tanto con losguardo ti chiedesse conto e ra-gione di questa pazzia di averlofatto nascere in Sicilia.Non sa, tuo figlio, che dalle mace-rie di Capaci e via D’Amelio eramiracolosamente uscita una Sici-lia diversa. Contraddittoria, confu-sionaria, velleitaria: certo. Madiversa. Tu c’eri, ti ricordi perfetta-mente. Le stesse macerie dellecittà erano diventate improvvisa-mente fertili. Nascevano il pane ele rose, da quelle macerie.

Il tempo di decidersi a fare un fi-glio e, manco l’avessero fatto ap-posta, è cambiato tutto. Le luci sisono spente e qualcuno si è inca-ricato di spargere il sale sulle ma-cerie, per essere sicuro che nonpotesse più crescere né pane nérose né niente.Tuo figlio queste cose non le sa, eanche se non ti stanchi mai dispiegargliele, lui stenta a crederci.Non servono le fotografie, i filmatid’epoca, i dati, la stessa Wikipe-dia.

Ti guarda con compatimento,come se fossi uno di quei vecchiche raccontano sempre di co-m’era bello il mondo quandoerano giovani loro.Sarà un luogo comune. Tuo figlioè liberissimo di non crederci. Peròè vero: Palermo, Catania, la Sici-lia erano diventate quasi bellis-sime, a un certo punto. La cosamigliore che puoi fare è non di-menticarlo mai. E conservarequella memoria anche a nome eper conto di tuo figlio.

Palermo, Catania e mio figlioQuando la Sicilia era bellissima

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La crisi delle città

maggio • 2011 • N.4

FRANCESCO GIAMBRONE

ella primavera del 1996, l’Am-ministrazione comunale diPalermo commissionò ad

Emilio Tadini una scultura dedicataalla città. L’occasione era effimera:la grande festa per il Capodannoin piazza Politeama. L’obiettivo eramolto più ambizioso e per nulla ef-fimero: cominciare a costruire ilprimo nucleo di una collezione diarte contemporanea, riprendendouna consuetudine da troppotempo perduta di acquisizioni diopere dei più grandi artisti viventie colmando così un debito ormaiinsopportabile della città nei con-fronti dei linguaggi della contem-poraneità. In quegli anni eroassessore alla Cultura dellaGiunta Orlando, contattai Tadini, fuentusiasta e creò la Torre delTempo, una straordinaria torre-orologio che raccontava il passag-gio del tempo ma che mandavaanche un messaggio di incontrotra culture e storie diverse, piena-mente in armonia con la città diquegli anni. Quel Capodanno, amezzanotte, la Torre fu illuminatadai fuochi d’artificio e fu protagoni-sta di un momento importantedella vita collettiva dei palermitani;dopo qualche mese ci sembrò na-turale spostarla ai Cantieri culturalialla Zisa che, in quegli anni, eranouno dei luoghi dove si costruivauna speranza concreta di cambia-mento per la città. Lì, la Torre diTadini avrebbe ben rappresentatouno dei tasselli di quella collezionedi arte contemporanea i cui pezzicominciavano a raccogliersi come

primo effetto del nuovo (e inedito)rapporto che la città stava strin-gendo con i grandi artisti figurativiviventi del Novecento: The circle ofLife di Richard Long, i due cerchipensati proprio per lo Spazio Zerodei Cantieri, la Battaglia di SanGiorgio di Ilya ed Emilia Kabakov,le opere dei tanti artisti palermitanidi cui in quegli anni i Cantieri ospi-tavano le mostre. Il sogno era fi-nalmente a portata di mano: unMuseo dedicato all’arte contempo-ranea che nasceva raccogliendole opere di artisti che vivevano unrapporto diretto con la città e checreavano proprio per Palermo.Peccato che quel sogno sia finitoin un ammasso di ferraglia abban-donato, con disprezzo per la bel-lezza e sciatteria nei confronti delpatrimonio pubblico, in mezzo allesterpaglie.Qualche mese fa, ritornando aiCantieri della Zisa dopo tantotempo, spinto anche dall’indigna-zione di tanti cittadini per le condi-zioni di abbandono e di degrado incui l’amministrazione Cammarataha ridotto quell’area che avevarappresentato per alcuni anni una

occasione di riscatto per un territo-rio urbano degradato e un volanodi produzione culturale di cui tuttoil mondo parlava, ho notato che laTorre di Tadini non era più dovel’avevamo lasciata e mi sonomesso a cercarla. L’ho ritrovata, apezzi, in un angolo seminascosto,arrugginita e coperta da immondi-zia. Mi sono chiesto come è possi-bile che questo sia accaduto. Misono chiesto com’è che nessunadelle istituzioni preposte alla tutelae alla conservazione del patrimo-nio artistico abbia sentito il dovereil intervenire. Mi sono chiestocome mai l’Amministrazione comu-nale, proprietaria dell’opera, abbiapermesso e autorizzato questoscempio. Non ho trovato risposta esono stato preso da una grandemalinconia per la sorte che è toc-cata a questa città e da un sensodi vergogna per chi la amministra.Con me più di mille personehanno cominciato a chiedereconto dell’abbandono dei Cantierie dello scempio della Torre di Ta-dini. Nessuno ha finora risposto.Sono stato di recente a Chicago eil disagio per il destino toccato alla

Crolla la Torre di Tadini e con essa il sogno dei Cantieri della Zisa

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maggio • 2011 • N.417

La crisi delle città

Torre di Tadini è tornato a farsi vivoe si è acuito. Lì, integrate nel tes-suto urbano e disponibili alla vistadei cittadini e dei turisti che pas-seggiano per le strade, ci sono leopere di alcuni dei più grandi arti-sti del Novecento: in una piazzadue gigantesche sculture di Pi-casso e Mirò, in un’altra Dubuffet,in uno spiazzo ai piedi di un grat-tacielo un mosaico di Chagall, al-l’ingresso del Millennium Park,proprio accanto alle architetture ar-dite e affascinanti del PritzkerMusic Pavillon di Franck Gehry c’èThe bean di Anish Kapoor (quellasorta di fagiolo di acciaio lucidis-simo che in pochi anni è diventatouno dei simboli della città) e poi, in

giro, ovunque, tante altre opere diartisti contemporanei. Raccontanoun rapporto importante, costruitonel tempo, tra una comunità el’arte contemporanea. Lo so chenon c’è bisogno di andare cosìlontano, di arrivare fino a Chicago,per raccontare queste cose. Ma ame è capitato di trovarmi proprio lìe di riprovare quella sensazione ditristezza e anche di vergogna perle condizioni in cui è stata ridottala nostra città. Ora, il punto è: che città stanno la-sciando gli attuali amministratoridopo più di 10 anni di governo dicentrodestra? Quale condizione didegrado civile e di indifferenzadelle coscienze si è determinata

nella comunità se neppure la de-nuncia di uno sfregio così volgaree grave è riuscito a richiamare i di-retti responsabili al dovere di ren-dere conto del loro operato e ascuotere la società civile da un tor-pore assuefatto e complice? Il Sindaco risponda alle domandeche da alcuni mesi più di mille cit-tadini gli pongono. Spieghi cheprogetto ha in mente per i Cantieridella Zisa. Si confronti con uno deigrandi fallimenti della sua gestionedella città. E chieda scusa a Pa-lermo e agli eredi di Tadini per losfregio che uno dei più grandi arti-sti del Novecento ha dovuto su-bire.

Dossier

18 maggio • 2011 • N.4

FRANCESCO CONIGLIONEDocente Università degli Studi di Catania

’era una volta, negli anni ’50,una Catania che guardava alfuturo con fiducia, spavalde-

ria e certezza delle proprie possi-bilità: città industriale, borghese,attiva, tradizionalmente di culturagrazie all’università più anticadella Sicilia, la seconda del meri-dione. Una città che si contrappo-neva polemicamente alle altrerealtà siciliane, in particolare al ca-poluogo, guardato con sufficienzae un po’ di derisione per la sua va-nagloria e la sua futilità, ma infondo con un po’ di invidia qualecentro del potere e della burocra-zia regionale. Catania sembravaappartenesse ad un’altra Sicilia:alla Magna Grecia, a quella dina-mica, attiva, ricca di cultura. Cheappunto guardava al futuro e pro-gettava in esso.È sembrato che questa Cataniapotesse risorgere nella breve sta-gione della sindacatura Bianco: ilsindaco “ciuraru”, accusato dichissà quali maneggi per la suapassione floreale, pareva aver in-generato un nuovo senso di civi-smo, un nuovo ordine e puntualitànei servizi comunali, persino nellacircolazione, e aver favorito la ri-nascita del centro storico primaabbandonato all’anomia e al de-grado del buio e della piccola de-linquenza. Ma questa stagione –che con Nello Musumeci, presi-dente di destra della provincia,aveva instaurato una concorrenzain positivo – questa “primavera di

Catania” (così come è stata defi-nita in un recente volume di CarloLo Re, pubblicato quest’anno daBonanno) è durata poco. La finenaturale dell’esperienza ammini-strativa di Musumeci e il termineprematuro della sindacaturaBianco, il quale preferì il Ministerodegli Interni alla prosecuzione efine del proprio secondo mandato,ha posto le premesse per unasvolta che ancora segna la vitadella città etnea. I catanesi forsenon hanno perdonato a Bianco il“tradimento” della propria città perinseguire ambizioni nazionali;forse lo stesso sindaco della “pri-mavera” non ha saputo crearequelle condizioni al contorno,quella squadra di governo dotatadelle necessarie personalità chepotessero prenderne il posto. Stadi fatto che nel 2000 ad ammini-strare Catania giunge Umberto

Scapagnini, medico personale diBerlusconi e dispensatore dell’eli-sir di lunga vita che sembra ne as-sicuri – secondo le vanterie dellostesso farmacologo – la vitalità ele sempre inesauste energie (eora sappiamo anche di chetipo…).Con l’esperienza di Bianco sem-brava fosse stata posta una taccaal di sotto della quale sarebbestato impossibile retrocedere.Sembrava a tutti noi che – per unnaturale processo di emulazione,per un comprensibile tentativo diproseguire su vie già ben tracciate– fosse impossibile ritornare allaCatania disastrata e mal ammini-strata degli anni Settanta e Ot-tanta. La realtà ha su-perato ognipiù pessimistica aspettativa. L’am-ministrazione di Scapagnini sem-bra avere avuto lo stesso effetto diun nugolo di cavallette su un

Catania, la città ripiegata su se stessache non sa più guardare al futuro

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La crisi delle città

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campo di grano. Il degrado è pro-seguito a ritmo di marcia, l’ordinee il senso civico che sembravanosi fossero consolidati anche nelcomportamento di solito anarchicoe irregolare del traffico cittadino, sidissolsero giorno dopo giorno: ab-bandonata a se stessa Cataniasubiva le inevitabile conseguenzedella legge dell’entropia. Tutto sidisorganizzava, andava a rotoli, sidegradava e il catanese scoprivanuovamente l’arte di arrangiarsi, ditrovare il proprio protettore e di ri-solvere le proprie questioni attra-verso la mediazione della classepolitica e non nel rispetto delleleggi e dei regolamenti. La finedell’amministrazione Scapagniniha lasciato una città in dissesto:un deficit che si aggira a circa unmiliardo di euro, ma le cui dimen-sioni non sono mai state chiarite asufficienza in una girandola di cifretra maggioranza e opposizione econ una informazione che rinunziapregiudizialmente e complice-mente a una propria autonomaispezione e indagine conoscitiva.La Catania con molte zone al buio(anche quelle più centrali) perchénon può pagare le bollette dellaluce è il simbolo più evidente deltunnel nero in cui è precipitata. Laluce si può accendere grazie all’in-tervento “miracoloso” del nuovopatrono della città, che nelle ta-sche e nei cuori dei catanesi sem-bra aver sostituito Sant’Agata:grazie a Berlusconi che elargisce140 milioni - dirottandoli dalle cifreche il Cipe aveva concesso per larealizzazione di alcune opere ur-genti –è possibile riaccendere laluce a Catania. Ed è così possibile

anche evitare la dichiarazione deldissesto finanziario.Ma quanto a lungo questo durerà,quando i nodi verranno al pettine?L’amministrazione del sindacoStancanelli cerca faticosamente dimettere in-sieme i cocci, di rattop-pare buchi; ma manca un auten-tico slancio innovativo, un progettodi città, un’idea di futuro. Si ha oggil’impressione di una città rattrap-pita, chiusa su se stessa, con iceti sociali occupati nella occhiutadifesa dei propri interessi, coltivatiattraverso il bricolage clientelare, irapporti personali, lo stare “co-perti” in maniera di meglio piaz-zarsi allo spostarsi degli equilibri,così da meglio sfruttare le propriepiccole posizioni di privilegio. Unacittà il cui ceto intellettuale ha ab-bandonato ogni tentativo di testi-monianza, ogni atteggiamentopropositivo, rinchiuso nei fortilizidei propri dipartimenti universitariin attesa di grattare qualche pre-benda, di ricavare qualche piccoloprivilegio e così tirare avanti. Una

città un cui non esiste più unaclasse operaia, un ceto popolaredotato di una cultura democraticae progressista: la televisione, il di-sgregarsi del tessuto sociale, laprecarizzazione del lavoro ha resotutti più egoisti, più cattivi, più di-sinteressati delle sorti collettive. Eoggi paradossalmente la parteprogressista della città si manife-sta nei quartieri-bene, mentrequelli prima tradizionalmenteorientati a sinistra - le periferie diMonte Po, Librino, Fossa dellaCreta - si sono berlusconizzati(così come dimostrano le elezioniperse da Bianco contro Scapa-gnini), raccattando della culturaborghese i suoi cascami, le sue ri-sulte più insulse, i suoi miti più be-ceri e qualunquisti.Nuovamente Catania ha la neces-sità di riscoprire il futuro, di guar-darlo nuovamente con fiducia, dicredere nuovamente in se stessae di pensare che è possibile “un’al-tra storia”.

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FRANCO GARUFI

na città sospesa sul nulla:questa l’odierna condizionedi Catania. Il tessuto sociale

della seconda città siciliana, dodi-cesima in Italia per numero di abi-tanti, dà evidenti segni disfaldamento, le prospettive di ri-presa economica restano assai in-certe per il venir meno deitradizionali punti di forza nell’indu-stria manifatturiera, l’abnormeespansione della grande distribu-zione organizzata e della specula-zione immobiliare ha arricchitoalcuni ma impoverito la piccolaborghesia legata al commercio ealle attività terziarie. Come se nonbastasse il sindaco a metà tempo(fa contemporaneamente il sena-tore della Repubblica) è imputatonell’ambito di un’inchiesta sui ser-vizi sociali; perfino la Procura dellaRepubblica è da mesi in attesadella nomina del nuovo responsa-bile. Un destino parallelo accomuna ledue metropoli siciliane: protagoni-ste della “primavera dei sindaci”negli anni ’90 del secolo scorso,sono entrambe, oggi, vittima delmalgoverno amministrativo e del-l’assenza di un credibile progettodi sviluppo. Se le città meridionalirappresentano il luogo di maggiorevidenza della crisi economica esociale che ha investito il Paese,Catania è il territorio, dove le con-traddizioni rischiano di diventareesplosive. Il bilancio del Comune,devastato dagli otto anni della ge-stione Scapagnini, venne salvatodall’intervento provvidenziale del

governo nazionale, ma nessunodei problemi strutturali della mac-china amministrativa è stato ri-solto. Da vent’anni si continua adiscutere del piano regolatorementre la grande proprietà immo-biliare, che in parte non piccolacoincide con i titolari degli organidi stampa e delle emittenti televi-sive locali, ha orientato secondo isuoi voleri l’uso e l’abuso del terri-torio. Basta guardare alla cinquan-tennale, e ancora irrisolta, vicendadel Corso Martiri della Libertà (lagrande area rimasta libera al cen-

tro della città dopo l’abbattimentoall’inizio degli anni ’50 del quar-tiere di san Berillo) per rendersiconto che lo scontro tra i principalipoteri economici ha annullatoqualsiasi azione pubblica di pro-grammazione della crescita ur-bana. La vittoria elettorale diScapagnini nel 2005 fu fruttoanche dell’’uso spregiudicato dellaprotezione civile e dei fondi cheavrebbero dovuto servire allamessa in sicurezza dal rischio si-smico per aprire dissennati can-tieri di posteggi sotterranei, in gran

“Noi catanesi, condannatiall’illegalità di massa”

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parte ancor oggi bloccati dall’in-tervento della magistratura. Loscopo immediato era guadagnarsiil consenso elettorale di una seried’imprese, ma l’operazione ha de-terminato anche nuovi equilibri trai potentati economici cittadini.Equilibri ancora inalterati, giacchéStancanelli si è limitato ad ammini-strare ragioneristicamente i tagli albilancio, ripristinando il livello mi-nimo di funzionamento dei serviziessenziali, dopo che l’Enel avevaperfino minacciato di spegnere l’il-luminazione delle strade. La cittàha continuato ad andare alla de-riva, si è aggravata la crisi dellefunzioni produttive e del terziarioqualificato che avevano conosciutonell’ultimo scorcio del decenniouna significativa ripresa dopo lacrisi generata dal crollo sotto ilpeso dei debiti e dei guai giudiziaridella non rimpianta economia dei“cavalieri del lavoro”. Le alterne vi-cende del distretto d’imprese adalta tecnologia da costruire attornoalla STM (l’“Etna Valley”) testimo-niano dell’assenza negli ultimianni di un’idea di politica indu-striale in un’area del Mezzogiornopotenzialmente in grado di compe-tere sui mercati internazionali. Iltrasferimento nella città etnea delbaricentro del potere politico regio-nale dopo l’elezione a presidentedi Raffaele Lombardo non ha por-tato alcun vantaggio alla città,anche per il progressivo esaurirsidegli spazi di spesa assistenzialea carico del dissestato bilancio re-gionale: ciò ha fatto venir meno al-cuni tradizionali elementi discambio tra il potere politico efasce del sottoproletariato urbano,

a volte legate ad attività malavi-tose, che costituiva un tradizionaleserbatoio di voti del centrodestra.Tutt’altro che estraneo a que-st’evoluzione è il tentativo di risol-vere “manu militari” la vicenda delpalazzo di cemento di Librino, unadelle vergogne di una città con-dannata all’illegalità di massa. Il-legalità di massa che è l’altrafaccia della crescente influenzache la mafia esercita sull’econo-mia, anche in settori in apparenzalegali , come è stato messo inluce dalle denunce del presidentedi Sicindustria Ivan Lo Bello edall’iniziativa di Cgil-Cisl-Uil. Infine,è percepibile il venir meno di unruolo propulsivo dell’Universitàche sempre più appare intenzio-nata a chiudersi in logiche autore-

ferenziali. Un quadro pessimi-stico; è vero; ma tutt’altro che ras-segnato perché, se si scava sottola superficie, s’intravedono forze, apartire dal mondo giovanile, ca-paci di mettere in discussione lostato di cose esistente. Ciò cheserve è prendere atto del respirocorto e asmatico delle attuali forzepolitiche, aprire una discussionepubblica sulla città e sul suo fu-turo, costruendo luoghi di parteci-pazione capaci di far rimettereradici nel territorio a una democra-zia che è stata privata delle sedi edegli strumenti per realizzarsi. E’una strada difficile, ma quanto staavvenendo in questi giorni in altrecittà, dimostra che è l’unica a pro-durre risultati positivi.

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CARMEN VELLA

a dieci anni Antonio Presticoltiva un'utopia. La sua uto-pia si chiama Librino, una

sorte di "città-satellite" di circa100.000 abitanti, in un territorio la-sciato ai margini, privo di infra-strutture e di servizi, alla periferiadi Catania. E’ qui che l'ideatore diFiumara d'arte, "il sognatore cherealizza i propri sogni" (come lo hadefinito lo scrittore israeliano MeirShalev ) coltiva l'utopia della bel-lezza e dell'arte come forza etica.In questo spazio della contempo-raneità, un non luogo che negacittadinanza ai suoi abitanti, hascelto di investire sull'arte ritenen-dola occasione di riscatto, d'incon-tro, di scoperta, di gioia e dibellezza. La Fondazione AntonioPresti - Fiumara d’Arte da un de-cennio dedica il proprio impegnosociale e culturale alla rinascitadel quartiere; tante le iniziative or-ganizzate negli anni nell’ambitodel progetto “Terzocchio - Meri-diani di Luce”, un percorso etico eformativo di “devozione alla bel-lezza” per le nuove generazioni,un progetto culturale che sta con-tribuendo a promuovere un rinno-vato senso di identità eappartenenza degli abitanti al loroterritorio. Ce lo racconta lui stesso,Antonio Presti, rispondendo allenostre domande. Come e quando è nato il pro-getto su Librino?“Io amo la città di Catania, e nel-l’amare la città da straniero (iosono nato a Messina) l’ho subitopercepita nel suo senso più ampio

di polis, dove non ci sono luoghi dimale e di bene. Dieci anni ho co-nosciuto Librino, un quartiere cheera nato come un simbolo dellaCatania nuova, moderna, del vi-vere contemporaneo, uno spaziorisolto in chiave verticale, dove sulpiano orizzontale spesso man-cano la vita, i servizi, la gioia, ilsociale. E’ un luogo dove la genteva solo per dormine, una sorta digrande quartiere dormitorio.Quindi, ho pensato che solol’amore, l’attenzione ed il rispettopuò trasformare alchenicamentequesto quartiere”. Quali sono ad oggi i risultatiprodotti nel corso degli anni?“Sono passati 10 anni di attività

sociale. Quando sono arrivato aCatania e ho scelto Librino ho ca-pito che lì avrei potuto continuare illavoro già intrapreso a Castel diTusa, a Fiumara d’Arte. Ma ho tro-vato un luogo lasciato a se stesso.Il percorso quindi non è stato facileperché inizialmente, insieme allamia Fondazione, abbiamo dovutoaffrontare la diffidenza di migliaiadi persone più volte illuse e disil-luse. Siamo partiti dalle scuole e apoco a poco abbiamo perseguito,specialmente nelle scuole con ipiù piccoli, la pratica del fare”. Qual è stata la risposta dellagente che lo vive e abita?“Io voglio che tutti si sentano pro-tagonisti e partecipi dei miei pro-

Intervista ad Antonio Presti“Vi racconto la mia Librino”

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getti socio-culturali. Ed è per que-sto che organizzo delle feste con-dominiali e nelle scuole, in cui gliabitanti del quartiere incontrano ipoeti, gli artisti, e vivere in modoautentico un’esperienza irripetibilecon la cultura”.Come è cambiato il quartiere?“Gli abitanti di Librino hanno ca-pito la mia onestà e il grande donoculturale che hanno ricevuto.Quando lo spirito del dono è fortee sano e viene percepito come di-sciplina, anche in momenti di dub-bio o di paura, si ha la forza percontinuare. Io e la mia equipe ab-biamo impiegato dieci anni perfarci conoscere al quartiere, eavere fiducia l’uno dell’altro. Perme Librino ha assunto un grande

valore, quello della semina. Nonc’è niente di più bello che averecome raccolto sempre altra se-mina”.Con il suo progetto lei ha tra-sformato una realtà rendendolagradevole gli occhi e dandoleuna connotazione sociale, cosaera mancato fino a quel mo-mento a Librino?“Intere generazioni sono state for-mate a chiedere e non a fare. Nonsi tratta di spostare le logiche cen-tro-periferia; non si tratta di far di-venire Librino la città di Catania,né di recuperare o reinserire Li-brino nel circuito catanese. Sitratta precisamente di offrire a Li-brino i mezzi della sua propria au-tonomia. Non penso che Librino

deve inserirsi rispetto alla città diCatania. Famiglie, scuole e chiesadevono educare al fare e non alchiedere. Così, Librino diventa nonun luogo da recuperare, ma da ri-spettare. La società si deve assu-mere la responsabilità di avercreato come luoghi della contem-poraneità Librino a Catania, loZEN a Palermo, Scampia a Na-poli, ecc”.A Librino si sente il peso delleistituzioni?“Le istituzioni seguono il propriopercorso mirando alle classe so-ciali per un proprio tornaconto po-litico. La mia cultura segue unaltro percorso, vuole concorrere auna manifestazione di Bellezzache deve puntare sugli stati emo-

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zionali di ciascuno di noi e lì nonc'è differenza né di ceto, né di età,né di luoghi”. Lei ha messo a disposizione delquartiere Librino il suo impegnocivile e culturale, crede che que-sti strumenti possano davverocambiare la realtà difficili delterritorio?“Desidererei che il quartiere di Li-brino diventasse meta di interesseculturale per i catanesi, i siciliani eper i turisti provenienti dall’aero-porto, prima di tutto come atto ci-vile, in secondo luogo perchéhanno l’occasione di trovare a Li-brino una Porta della Bellezza mo-numentale e meravigliosa,realizzata con 2000 bambini. Dal

momento che il museo è una do-nazione privata, al posto del costodi quel biglietto ipotetico di in-gresso, è giusto che i visitatori siimpegnino a spendere l’equiva-lente simbolico di quel biglietto al-l’interno del territorio di Librino.Questo impegno non solo po-trebbe concorrere al cambiamentoma, al tempo stesso, può creareun indotto economico e di svi-luppo”.Secondo lei l’arte non è soloestetica dell’apparire, che co-s’altro è e che cosa significa peruna realtà come quella di Li-brino?“Non credo che Librino debba af-fermarsi rispetto a Catania grazie

all’arte. Librino diventa il luogodove l’arte rappresenta il cambia-mento. Librino rinasce, si evolve,cambia aspetto con nuovi eventi.Con il museo internazionale dellafotografia, ancora una volta la miaFondazione dona identità al quar-tiere. In questo senso le immaginiche la mia organizzazione, cheguida un equipe di fotografi direttida un grande fotoreporter interna-zionale, Reza, diventano stru-mento di consapevolezza di sé,ma anche di unione e di crescitasociale. Ognuno degli abitanti,ogni giorno, tornando a casa, rico-noscerà la propria bellezza, la bel-lezza dell'anima proiettata nellefacciate del quartiere e affermerà

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“Io sono bello”. Vedrà la spiritualità,si sentirà un cittadino rispettato evalorizzato, crederà nella bellezzadel proprio quartiere. Ma lo stessovale per chi non abita a Librino.Quanti saranno coinvolti vedrannonel quartiere un luogo familiaredove emozionarsi e restituire spiri-tualità, vedranno le loro immaginiscorrere nella notte, saranno parteintegrante di un museo dell’imma-gine unico al mondo”. A Librino l’impegno civile passaattraverso la riqualificazioneestetica, secondo lei il recuperoe la valorizzazione di quartieri arischio e realtà degradate puòrisolversi attraverso la via dellabellezza?

“Non mi piace il concetto di recu-pero dal disagio. Librino oggi, vi-vendo veramente una suacontemporaneità, può scegliere didiventare anche altro. E non è lacultura che va a imporre il suo lin-guaggio, il suo presidio, il suo va-lore di essere. La cultura deve fareun percorso di condivisione, congli abitanti, con i bambini, con ilquartiere intero”. Librino come lo Zen, potrebbeesserci in futuro un destino co-mune per due realtà così ugualiin due città diverse come Cata-nia e Palermo?“Il mio concetto di arte e di bel-lezza può essere compreso e con-diviso anche da chi non si sia mai

confrontato con un manuale d’arte.La cultura di cui parlo è in effettipolitica. A Librino, l’idea è stataquella di abbattere il limite dell’es-sere periferia e ridare al quartiereuna sua centralità all’interno dellapolis catanese. Il mio progetto diPalermo, “Io sono il fiume Oretodell’umanità, rappresenta un impe-gno morale, culturale ed educa-tivo: il fiume è una sceltasimbolica, un luogo dimenticato dacui ricominciare per fare riaccen-dere la voglia di riscatto, un fiumeche scegliendo il valore della Bel-lezza rinasce a nuova vita. E loZen verrà coinvolto in questo pro-getto”.

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Buone pratiche

ANTONELLA MONASTRA

omincia lontano nel tempo labattaglia per la casa a Pa-lermo. Lunghi anni di attese,

occupazioni, brutali sgomberi,presidi davanti i luoghi decisionaligiunti al culmine con un’ assem-blea permanente nell’aula delConsiglio Comunale, durante laquale una trentina di famigliesenza casa per quasi venti giorniabitarono a Palazzo delle Aquile.Il fatto è stato raccontato in un do-cumentario di Stefano Savona,che ha già vinto diversi premi eche in questi giorni viene presen-tato a Cannes. Ma la storia conti-nua ancora, con denunce,momenti di tensione con le forzedell’ordine, tragedie (come labambina che abitava in un contai-ner di via Messina Montagne,spentasi poi al termine di unalunga malattia) e qualche mo-mento di assoluta felicità, comequando Toni Pellicane, leader delmovimento dei senza casa, rac-colti nel comitato 12 luglio, si èvisto dare ragione dal Tribunale,proprio nei giorni scorsi, su un ri-corso presentato per un'abita-zione confiscata alla mafia eottenuta in concessione nel 2004a villaggio Santa Rosalia, per ca-noni di locazione indebitamentepercepiti dell’Amministrazione. Inquesto scenario si colloca uncomplesso lavoro di nuova messaa punto del regolamento sullacasa. In realtà il regolamentopreesistente era stato il frutto dianni di lotte in piazza con il Comi-tato 12 luglio, accompagnato da

vari soggetti politici, tra cui Libera,e di lavoro istituzionale da mecondotto. Insieme all’articolazionedi svariati strumenti, come ilbuono casa o i contratti di loca-zione diretta da parte del Co-mune, che dessero gradatamenterisposta al disagio abitativo in re-lazione alla sua gravità, fu intro-dotto anche un principiofondamentale: l’utilizzo delle caseconfiscate ai mafiosi per l’emer-genza casa. Molto rapidamenteperò, con lo sperpero di denaropubblico e con l’azzeramento deifondi di bilancio su tutto l’ambitodel welfare, l’unica risposta rimasta al disagio abitativo è statal’utilizzo delle case confiscate aimafiosi; va rilevato per altro chementre le assegnazioni di beniconfiscati alle associazioni più di-sparate procedeva allegramente -ricordo le vicende sollevate dalla trasmissione “Stri-scia la Notizia” - i beni venivano

assegnati agli indigenti col conta-gocce malgrado la drammaticitàdelle loro condizioni. Il risultato diquesta gestione fallimentare del-l’amministrazione Cammarata èstato da un lato l’incancrenirsi ditante situazioni drammatiche ri-solte spesso con sistemazioni inalberghi e locande costosissimeper l’amministrazione stessa, checon le stesse somme avrebbe ad-dirittura potuto acquistare alloggio ristrutturare il suo patrimonio,anziché procedere ad una carto-larizzazione che pochi frutti hadato ad oggi; dall’altro lato si è as-sistito al lievitare sconsideratodella graduatoria dell’emergenza,che ha messo insieme differentitipi di disagio abitativo dando unaunica ed insufficiente tipologia dirisposta, il bene confiscato, e cre-ando ingiustizie e guerre tra po-veri. È con la complessità diquesti problemi che mi sono mi-surata, insieme alla IV Commis-

Emergenza casa a PalermoUna battaglia di democrazia

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Buone pratiche

sione Consiliare di cui sono com-ponente, e con la quale, a frontedi un Sindaco che addebitava alConsiglio Comunale la responsa-bilità di una soluzione al disagioabitativo, spacciando il regola-mento come la soluzione a tutti iproblemi, abbiamo portato a ter-mine un lavoro molto articolato,che ha ristabilito alcuni principifondamentali: il regolamento èsolo uno strumento, ma le rispo-ste e le responsabilità attengonoa chi governa la città; se non si in-veste denaro, se non si attuanopolitiche abitative senza implicarenuova cementificazione, se non siconsidera il problema dei senzacasa un dato ormai strutturalenelle realtà metropolitane, conti-nueremo ad assistere alle scenestrazianti di bambini che giocanovicino alle fognature o di abusivi ”per necessità” trattaticome i peggiori delinquenti. Dopomesi di lavoro posso affermareche l’avere utilizzando un metododemocratico e di forte condivi-sione, che ha coinvolto le forzepolitiche e i destinatari stessi del provvedimento, con ilsupporto degli uffici, ha permessodi arrivare ad una vittoria su tutti ifronti. Ritengo che la vera conqui-sta è infatti da ascriversi alle mo-dalità con cui abbiamo raggiuntoalcuni fondamentali obiettivi. Ab-biamo predisposto strumenti perrispondere all’emergenza casa re-gistrando il consenso unanimedell’assemblea consiliare, che sipronunzia sull’emendamento danoi formulato entrando nel meritodel sistema dei punteggi per l’as-segnazione degli alloggi e met-

tendo al centro le situazioni direale emergenza abitativa. Vale dipiù, ai fini della graduatoria, lacondizione di gravità del disagiopiuttosto che la composizione nu-merica dei nuclei familiari, con lapossibilità di vedersi assegnatoun bene confiscato alla mafia, ovedisponibile. La lista delle situa-zioni che corrispondono al gravedisagio abitativo contempla siste-mazioni borderline, e non solo,che si fa fatica ad immaginarecome possibili nel nostro tempo e

nel nostro paese, ma che devonofar riflettere; l’articolo 26 bis del Vtitolo del regolamento emendatoannovera infatti baracche, stalle,grotte, caverne, sotterranei, sof-fitte, garage, cantine, container:nessuno può vivere in questecondizioni. Per ciò che riguarda levicende più antiche la palla devenecessariamente passare all’amministrazione attiva, invece.Vi sono delle categorie “storiche”,come gli abitanti di “Casa Guz-zetta” , che hanno visto nascere ecrescere i loro figli sballottati peruna decina d’anni tra opere pie ealberghi; oppure gli assegnatari di via BrigataAosta, immobile requisito nell’eraorlandiana che viene reclamatooggi dai proprietari, vincitori diuna causa contro l’Amministra-zione che dovrà sgomberare unapalazzina con una sessantina difamiglie, di cui più di trenta condocumenti di assegnazione; odancora gli abitanti del campo con-tainer, assurti alla gloria della cro-naca nazionale per vari servizigiornalistici che hanno mostratola drammaticità della loro condi-zione di vita. Per costoro il Sin-daco e la Giunta devono avviareun tavolo tecnico, anche con laprefettura, per trovare delle solu-zioni specifiche a prescindere dal rego-lamento: questi cittadini vivono incondizioni di grande precarietàormai da troppo tempo e credoche la loro “anzianità” di disagiodebba finalmente trovare solu-zione compatibile con una digni-tosa qualità di vita.

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ORAZIO CARNAZZOvolontario presso l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto

ENTE ANIMO CAPTIS. DAM-NATIS LEGIBUS AEQUE.APTA DOMUS, MAGNA

HAEC. STUDIOSA CONSULTIARTE. La scritta in latino posta inalto, nella parete frontale davantial secondo cancello dell’OspedalePsichiatrico Giudiziario di Barcel-lona P. G. separa il cosiddettomondo normale dalla follia e sem-bra voglia lanciare un monito:“Quelli che vivono qua dentrosono i dannati, lo scarto, quelliche la società non vuole vedere incircolazione”. Per me quella scrittaha sempre avuto questo signifi-cato. I cancelli, spingono i visita-tori a non farsi troppe domande,da quel momento è inutile chie-dersi se chi li ha oltrepassatocome malato di mente o comedetenuto, possa avere avuto unavita, degli affetti, delle storie, unpassato. “Chi vive qui dentro nonesiste”. Qualche anno fa fui invi-tato a suonare per gli internatidell’Ospedale Psichiatrico Giudi-ziario di Barcellazzo, conobbi cosìuna realtà fino ad allora per mesconosciuta. Ci ritornai per miainiziativa qualche giorno dopo.Chiesi le autorizzazioni necessa-rie e ci ritornai ancora. Entrarenon è facile, bisogna superareprima di tutto la diffidenza dellaguardia: “Avete telefonini? Perpiacere metteteli nel cassetto”, unasmorfia tradiva i suoi pensieri “chicazzo glielo fa fare a questi di ve-nire qua?” Si dice che la mente

umana sia un pelo di capello equesta porta è il pelo di capellooltre il quale finisce la ragione einizia la follia. Ho fatto il volonta-rio all'interno di questa strutturaper quasi dieci anni e ogni volta lasensazione era come la primavolta, entravo verso le ore 18,l’ora della socializzazione, quellache una volta era chiamata orad’aria e uscivo alle 20. Con lacollaborazione di alcuni internatiavevamo costituito un laboratoriomusicale, la Direzione ci avevaassegnato la stanza destinata alleattività ricreative dell'ARCI e ci in-contravamo due volte la setti-mana. L'entusiasmo era notevolee svolgeva senza volerlo un’atti-vità terapeutica, per tutti, ancheper me, era una sensazione di ri-lassamento. Quando arrivavo midovevo sbrigare a recuperare glialtri, non tutti erano a spassonello spiazzale alberato, alcuni lidovevo cercare nelle celle/stanze

perché c’era chi stava attraver-sando particolari momenti di de-pressione e voleva rimanere dasolo. C'era chi era stato imbottitodi psicofarmaci e non aveva laforza per stare in piedi. Lo spazioche ci separava dal reparto sem-brava la piazza di un piccolopaese in un giorno di festa: lafolla, gli alberi di arance, i portici,il chiosco con le bibite, il caffè ge-stito dagli stessi internati e i sedilidi ferro. Lo stato di salute mentaledi quelle persone si percepivad’istinto. Per loro parlava il lorosguardo, si vedeva a prima vista.L’espressione, il modo di vestire, ilmodo di camminare, il modo diguardarti, il modo di salutarti. Livedevi dondolare avanti e indietroa piccoli gruppi, alcuni molto velo-cemente, altri seduti nelle pan-chine di ferro. Questo posto èl’altra faccia della medaglia, unposto dimenticato, un carcere maanche un ospedale. Né carne e

“Il mio laboratorio musicalenella discarica sociale di un Opg”

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Buone pratiche

né pesce: un tentativo riuscitomale di eliminare i manicomi cri-minali, la legge Basaglia avrebbevoluto questo? Le persone che vi-vono in questo boccaporto sonolo “scarto” della società, quelli“riusciti male”, con le “rotelle gua-ste”, che la società ha selezionatoe messo da parte, come il crivelloche seleziona la farina dalle im-purità, fa passare la farina e nonle impurità, quelle verranno get-tate nella spazzatura. Mentre at-traversavo il corridoio esterno lafigura maestosa di Aldo mi venivaincontro sorridente e sereno, conpassi leggeri ed effeminati. Quasisempre da solo, era grande egrosso, il tono della voce cortese,le sue sopracciglia pulite. Non erasempre così. C'erano occasioni incui Aldo diventava un elefante im-pazzito e per tenerlo fermo eranecessario l'intervento di parec-chie persone fra polizia peniten-ziaria infermieri e internati. La suabambolina di lattice con i vestitinisexy sempre stretta fra le mani.La sua Barbie, poco più grandedella sua stessa “manona”, gli fa-ceva compagnia. Anche France-sco era grande e grosso, le maniobese non gli permettevano più disuonare la chitarra, una volta eraun bravo musicista, poi è suben-trata la depressione che ha annul-lato completamente la suapersonalità. Francesco mi diceva,gli angeli mettono incinte le donnedella terra, cosi da essere prima opoi tutti noi figli degli angeli; visono periodi in cui mi diceva diessere un tagliatore di teste o checomunicava con gli extraterrestriattraverso il pensiero. Altre volte

mi diceva di essere un nazifasci-sta. Si avvicinava anche Giu-seppe, che si separava dal suogruppo, attraversava l'aiuola eogni volta mi chiedeva se fossestato inserito nell’elenco del labo-ratorio, mi diceva sempre che vo-leva suonare la tastiera perchévoleva suonare a messa. Qualchevolta improvvisamente mi affer-rava per il polso, mi avvicinava asé, con aria furtiva mi sussurravaa voce bassa, quasi avesse pauradi essere ascoltato: “Stai attentoa mia figlia perché è cattiva e pe-ricolosa e ti vuole fare del male”.Giuseppe aveva modificato i fatti,perché egli stesso aveva uccisosua figlia. Giorgio, un altro ricove-rato invece era un internato dal-l'aspetto gracile. Piccolo, magro egli occhiali da miope. Sempreserio, mi aspettava sempre dietrola porta, sapeva quando arrivavo.Giorgio era un ragazzo molto sen-sibile e introverso. Era ricoveratolì dentro perché aveva ucciso ilsuo compagno e poi ne avevabruciato il corpo. Gli infermierisono una specie di “scarto” degliospedali civili. Si raccolgono a

piccoli gruppi nell'ora della socia-lizzazione, il camice bianco li dif-ferisce dagli internati. La poliziapenitenziaria non ha fatto mai uncorso di formazione, provengonoquasi tutti da carceri varie equindi non hanno una mentalitàadatta ad un ospedale psichia-trico, loro vedono solamente il latogiudiziario di quella struttura equindi improvvisano. E’ una sortadi vera e propria contraddizionel'OPG di Barcellona P.G. Avevamostretto una sensibile e impercetti-bile amicizia, a me piaceva ascol-tare e a loro piaceva parlare. Iltempo fra le mura è strano, var-cato l’ultimo cancello avevo l’im-pressione di entrare in un luogoastratto dove il tempo stesso su-biva un rallentamento, chi scontauna pena lunga interrompe la sin-cronia con la realtà e vede pas-sare l’evoluzione e il trascorreredegli anni solo attraverso la televi-sione. Quando rientrerà nelmondo esterno si sentirà come laruota di una macchina che girapiù lenta delle altre tre. Ci sonoritornato pochi giorni fa, la realtàè peggiorata. Prima gli internatierano 160 adesso sono 380. Il tur-nover nella Polizia penitenziaria èinesistente di conseguenza l'oradella socializzazione è scom-parsa o si svolge nei corridoi in-terni. Gli OPG devono esserechiusi e sostituiti da struttureospedaliere di competenza delMinistero della Sanità, non è am-missibile che una società che sidice civile e democratica fa ditutto per dimenticare queste re-altà.

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L’Antisociale

Dossier

febbraio • 2011 • N.135

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