UNA SCOMMESSA DA VINCERE

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Michele Vianello UNA SCOMMESSA DA VINCERE “Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane”

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Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane

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Michele Vianello

UNA SCOMMESSA DA VINCERE“Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra

Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane”

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Michele Vianello: la mia biografia

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Sono uno dei pochi esperti in Italia in "smart cities" e in social networking.La mia attività è quella di condividere vision e favorire il posizionamento strategico di communi-ties, territori, imprese.Sono un ottimo formatore, provatemi sul campo.Sono uno degli ideatori della rete "Connected City Council".Dal 2009 al 2013 ho diretto VEGA PST di Venezia. Ho realizzato l'infrastrutturazione banda larga a 300 mb, e le infrastrutture di cloud computing. Ho ideato il primo edificio intelligente per una smart city: Pandora. Ho realizzato VEGA inCUBE. Sono stato definito “pastore di startup”.Precedentemente ho fatto il Vice Sindaco di Venezia con Massimo Cacciari.In Amministrazione mi sono occupato di Bilancio, di gestione del personale, di innovazione. Ho ideato i software che regolano i rapporti tra i cittadini e l’Amministrazione, iniziando a rifor-mare l’organizzazione comunaleHo trasformato la Società Venis in operatore di ICT. Ho ideato e realizzato l’infrastrutturazione banda larga e connettività WIFI di parte della città di Venezia. Ho ideato il portale Cittadinanza digitale finalizzato a promuovere l’accesso al WEB.Ho ideato, primo in Italia, il portale per i servizi turistici denominato “//venice>connected”.Scrivo libri. L’ultimo con l'Editore Maggioli: Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era di Internet. Un successo.Faccio parte del Comitato per l'Agenda Digitale del Veneto. Per la mia attività di innovatore ho avuto numerosi riconoscimenti:"I diritti dei cittadini in rete", Forum PA 2009. Insignito dalla community di TripAdvisor del premio "Travel Friendly City" 2009. Premio Nazionale Cineca Awards "La città dei cittadini" 2010. Premio Adecco "Festival delle città imprese" 2011. Premio "Città Impresa" 2012.Premio “Luigi Fantappié” Festival di cultura digitale Viterbo 2013

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INTRODUZIONE

Mi è tornato tra le mani, dopo molto tem-po, un instant book.

“Una scommessa da vincere” è stato scrit-to nell’aprile del 2009 con con lo scopo di dare una base “progettuale” ed “ideologi-ca” all’attività di innovazione I.T. che stavo conducendo in Comune di Venezia.

Oggi di occupo di smart city e di social net-work. Sono diventati il mio mestiere, la mia attività.

Non aspettatevi un libro sulle smart cities, ho appena pubblica per Maggioli Editore il libro “Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era di Internet”.

Una delle precondizioni per realizzare politi-che smart in una città è quella di intrapren-dere una attività di innovazione, digitalizza-zione, dematerializzazione della macchina amministrativa.

Questo libro non è quindi dedicato alle smart cities, ma alle precondizioni.

Una “vecchia” macchina amministrativa im-prontata all’autoconservazione di sé stes-sa non potrà mai supportare le politiche smart.

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Nel frattempo, dal 2009, i Governi che si sono succeduti alla guida del Paese -si fa per dire- hanno introdotto, sotto il titolo “Agenda digitale”, timidi e incompleti tenta-tivi di innovare il Paese e la Pubblica Ammi-nistrazione.

Si sono così sommati, in modo casuale, provvedimenti sulla banda larga, e la conti-nua riproposizione della carta d’identità elettronica.

Chi segue il mio blog “michelecamp” sa che polemizzo spesso con questi provvedi-menti legislativi.

Non ritengo infatti che l’Agenda Digitale ita-liana -almeno nella parte che riguarda la Pubblica Amministrazione- debba limitarsi a portare su Internet le storture burocrati-che.

La burocrazia va eliminata, non deve esse-re digitalizzata. Uso spesso, per indicare questa cultura, il termine “digitalizzazione dell’esistente”.

Sono fermamente convinto che, o cambia-no i modelli organizzativi e gestionali della Pubblica Amministrazione diventando “so-cial oriented”, “open oriented”, “cloud oriented”, o non ci sarò nulla da fare, per quanto le tecnologie I.T. possano progredi-te.

Un’altra mia convinzione è che la riforma della Pubblica Amministrazione non può essere affidata ai burocrati ministeriali.

C’é bisogno di una nuova cultura e di un nuovo modo di pensare.

Confesso di sentirmi spesso in solitudine nel condurre questa battaglia. Anche amici carissimi -persone che stimo molto per le continue battaglie che conducono- restano troppo spesso inchiodati sulla frontiera del-la “digitalizzazione dell’esistente”.

Dal 2009, da quando scrivevo “Una scom-messa da vincere”, è cambiato poco. Chi avrà la pazienza di seguirmi in questo mio percorso dentro le “ordinarie follie quotidia-ne” di una Pubblica Amministrazione si ac-corgerà che siamo sempre arenati lì. I miei giudizi non sono cambiati, per questo vi ri-propongo questo scritto.

In fin dei conti sono passati solo 4 anni, po-trebbe obiettare qualcuno. 4 anni nel mon-do dell’I.T. rappresentano un’era geologi-ca.

In questi 4 anni si è iniziato a parlare di de-vice mobili, di cloud computing, di Big Da-ta, di Internet of Things, solo per citare al-cuni titoli. Ma, noi siamo sempre lì, a discu-tere di lavagne luminose e di riunificazione

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delle banche dati di tutta la Pubblica Ammi-nistrazione.

Eppure la “vecchia” Pubblica Amministra-zione italiana impedisce al nostro Paese di decollare, di incrociare la ripresa economi-ca. L’organizzazione dello Stato tutta (Mini-steri, Enti Locali, Magistratura, Scuola ecc.) genera debiti e inefficienza.

Non è digitalizzabile. Va eliminata. È la pal-la al piede del nostro Paese.

Non si può fare, accordiamoci, dicono in molti. Si può fare, dico io, con il mio eterno ottimismo.

Questo scritto vuole ricordare assieme ad una esperienza, anche una somma di esempi realizzabili (sono cose fatte da una Pubblica Amministrazione pure in presen-za di questa legislazione) e, assieme, una base progettuale e ideologica.

Troverete quindi “esempi veneziani” positi-vi che potrete copiare assieme a molte in-genuità dettate dall’entusiasmo.

Non leggete assolutamente questo libro pensando che voglia esprimere qualsivo-glia critica a chi è arrivato dopo di me a gui-dare la Città di Venezia. Non solo chi scri-ve non ha titolo per criticare (non sarebbe eticamente corretto) ma, soprattutto, le per-sone che governano Venezia godono di tut-to il mio rispetto.

Se confronterete questo libro con l’edizio-ne originaria, ho tagliato alcune parti trop-po veneziane rimaneggiandole. Ho aggiun-to inoltre alcune note e proposte progettua-li elaborate in questi anni.

Naturalmente mi aspetto dai lettori criti-che, suggerimenti ecc..

Nel mio nuovo mestiere di “Smart Commu-nities Strategist” ho bisogno di costanti confronti e idee.

Chi volesse approfondire l’esperienza vene-ziana in modo più organico potrà leggere il libro che ho pubblicato nel 2010 con Marsi-lio Editore “VE 2.0-Cittadini e libertà di ac-cesso alla rete”.

Naturalmente questo scritto è un ebook scaricabile (per gli amanti della carta ci sa-rà la versione PDF).

Non ho timore di essere copiato.

Copiatemi pure, voglio essere copiato.

Abbiate solo la cortesia di citarmi.

Grazie

Ed ora, buona lettura a tutti voi.

Agosto, Settembre 2013

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“UNA SCOMMESSA DA VINCERE”Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra

Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane.di

MICHELE VIANELLOaprile 2009/settembre 2013

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CAPITOLO 1

“INNOVARE GLI AMBIENTI URBANI”

Con grande generosità molte città italiane continuano ad auto-definirsi “luoghi ideali” per ospitare le imprese e le attività di ricerca nell’ “immateriale” e nel “digitale”.

Purtroppo le condizioni fondamentali per insediare su larga scala sistemi produttivi di questo genere non erano - e non so-no - presenti in modo decisivo in tutto il nostro Paese. Molti sono spesso a citare a sproposito la Silicon Valley.

Non a caso si parla di “sistemi dell’innovazione” e non di qual-che singola software house. 1

Insediare un call centre di Microsoft o della IBM, consente di avere qualche centinaio di occupati in più - cosa sicuramente non disdicevole - ma ciò non muta la qualità di una città.

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Per innovare in modo pervasivo una città mancano spesso alcune condizioni di par-tenza.

Dove sono in Italia le Università in grado di sfornare una “massa critica intellettuale”? Dove è un sistema fiscale in grado di incen-tivare l’insediamento di imprese innovati-ve? Dove è un sistema creditizio o l’ inter-vento pubblico che sostiene la ricerca, lo sviluppo, la gemmazione di imprese, l’indu-strializzazione dell’innovazione? Chi può aiutare oggi in Italia i talenti e le nuove ge-nerazioni di imprenditori dell’innovazione? Dove è il sistema fiscale giusto per le im-prese.

I Governi continuano a parlare di imprese, di distretti produttivi pensando ancora al ‘900, alle vecchie politiche industriali. Quando si parla di lavoro si pensa ancora al sistema di garanzie e di diritti della fab-brica e del pubblico impiego. Quel mondo è finito.

Insomma, non siamo nella Silicon Valley, né, tantomeno, a Bangalore.

Naturalmente, in modo autocritico, non na-scondo le responsabilità delle Autonomie locali che hanno anche esse il dovere di promuovere quelle politiche e quelle condi-zioni finalizzate a creare nelle aree urbane un ambiente innovativo, “un ambiente più

ricco di interazioni e di stimoli culturali e professionali” come ha scritto qualche an-no fa Richard Florida. 2

In questa epoca la competizione avviene tra le aree urbane.

Le aree urbane, tra le altre, competono, ol-tre che sulle imprese, sulle persone.

Sono le persone che rendono ricca un’area urbana.

E’ bene, quindi, riflettere sul fatto che nella nostra epoca non sono le persone che si spostano per “cercare il posto di lavoro”, bensì sono le imprese lavorative che tendo-no a seguire le persone, determinando co-sì l’ascesa o il declino delle aree urbane.

E le persone da attirare in una Città, “per fare la differenza”, non sono genericamen-te “il ceto medio”, non sono “i trentenni, i quarantenni”, sono invece coloro che Ri-chard Florida definisce “la nuova classe creativa”, e Robert Reich definisce gli “ana-listi simbolici”. 3

“Il suo nucleo centrale comprende le perso-ne impegnate nel campo scientifico, nell’in-gegneria, architettura e design, nell’educa-zione e nell’arte, musica e spettacolo, la cui funzione economica è di creare idee,

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tecnologie e/o contenuti creativi nuovi”. (Ri-chard Florida) 4

“L’analista simbolico maneggia con abilità equazioni, formule, analogie, modelli, sinte-si intellettuali, categorie e metafore per rein-terpretare e risistemare il caos di dati che ci turbinano intorno...non trattano hardwa-re, ma solo software puro”. (Robert Reich) 5

Una strada da imboccare senza esitazione è quella di dotare la Città di infrastrutture di rete a banda larga.

“Il premier Gordon Brown ha paragonato la rivoluzione digitale alla rivoluzione indu-striale come momento di fondamentale im-portanza per la trasformazione dell’econo-mia e la competitività del Paese...C’é la de-terminazione in Gran Bretagna di fare di questo settore (lo sviluppo delle banda lar-ga) un punto di forza strategico per il futu-ro”. (intervista a Francesco Caio - Il Sole 24 Ore) 6

Una città in rete, una città con la banda lar-ga; vi posso garantire che il brand di una città (soprattutto delle città d’arte), unito all’innovazione generata dalla estensione diffusa e capillare della rete, dà luogo ad una miscela stimolante.

La scelta di una Amministrazione di dotare una città di connettività a banda larga, di stendere migliaia di chilometri di fibra otti-ca, di consentire ai cittadini di poter acce-dere senza limiti alla rete, è la condizione nell’epoca moderna per una politica di “in-novazione” economica e sociale. L’essere dotati di infrastrutture di rete a fibra ottica fa la differenza nella competizione tra le cit-tà e i territori. 7

“La potenzialità tecnologica di una città e di una regione non è legata solamente al contesto industriale, della ricerca e della loro innovatività ma anche alle infrastruttu-re tecnologiche rivolte alla popolazione in senso più ampio. La possibilità che un luo-go dà alle persone di accedere agevolmen-te ai mezzi di comunicazione e diffusione delle informazioni (in particolare internet e telefonia mobile) è senz’altro un aspetto im-portante per lo sviluppo di una effettiva so-cietà dell’informazione e della conoscenza. Questa possibilità costituisce inoltre un for-te elemento di attrazione per quelle perso-ne che svolgono professioni in cui la con-nettività è fondamentale (managers, ricer-catori, professionisti, designers etc,tipica-mente tutte le professioni altamente creati-ve)”. 8

Innovare nell’epoca del WEB è pensare di poter usufruire dello spazio virtuale illimita-

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to consentito dalla rete, poterla riempire di contenuti; la rete è, inoltre, la condizione fondamentale per poter comunicare libera-mente.

Una politica per l’innovazione in un’area ur-bana, o un un piano di marketing territoria-le “web oriented” non vanno quindi rivolti “banalmente” solo ad insediare nuove im-prese o a stringere rapporti di collaborazio-ne con le Università e i Centri di ricerca.

L’innovazione è il frutto di rapporti virali, che nascono spesso dal cambiamento di attività ordinarie, svolte “in modo tradizio-nale”. La scommessa da giocare è quella di innovare il modo con cui ci si sposta ogni giorno, cambiare il modo di produrre e consumare la cultura e l’informazione, cambiare il modo con cui ci si rapporta con i servizi pubblici e con un Ente pubbli-co.

Insomma bisogna innovare la vita di ogni giorno, puntare sull’attività delle persone. Creare (importare) “cittadini dell’innovazio-ne”. Poi forse, un giorno, l’insieme degli “atti innovativi”, miscelati dalla rete, verran-no a costituire la massa critica per cambia-re davvero la Città.

Questa mia convinzione è suffragata an-che dal Rapporto “CITTALIA 2008 - Riparti-re dalle Città” realizzato dall’ANCI :

“l’innovazione ha natura sistemica, nel senso che prolifera in ambienti ricchi di re-lazioni, reti e scambi tra contesti diversi;

non esiste un modello ideale per vincere la sfida della competizione globale; l’unico punto fermo resta la disponibilità di capita-le umano di alto livello;

nell’economia della conoscenza muta la natura dell’intervento pubblico, che pro-muove le condizioni per l’attivazione di pro-cessi di crescita cumulativi, trainati dallo sviluppo e diffusione di nuova conoscenza, attraverso azioni che favoriscano l’accumu-lazione di capitale umano, la valorizzazione delle specificità locali, l’internazionalizzazio-ne delle imprese e del mondo della ricerca, la diffusione delle tecnologie dell’informa-zione e della comunicazione”.

Va sottolineata a questo punto la centralità che viene ad assumere la comunicazione, facilitata dalla presenza di rete a banda lar-ga, perché la vita di ogni giorno è il frutto di comunicazioni tra individui. E‘ stato scrit-to recentemente che “se non si comunica, non si è”. 9

Naturalmente la realizzazione di una infra-struttura a banda larga dovrà essere il frut-to di un accordo tra una Amministrazione e gli operatori privati. Su questo concetto tor-nerò più avanti.

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Ma tutto ciò non è ancora sufficiente.

Quando ho realizzato, nel 2007, che il so-gno di dotare Venezia 10 di una rete a ban-da larga di proprietà dell’Amministrazione pubblica, poteva trasformarsi in realtà, quando abbiamo reperito le risorse finan-ziarie necessarie, mi sono posto l’interroga-tivo di quali contenuti la rete dovesse ospi-tare, quali comportamenti innovativi ciò po-tesse suscitare a partire dal cambiamento del modo di operare dell’Ente pubblico. Quanti e quali “dialoghi” la rete avrebbe ospitato, quale valore l’attività di dialogo avrebbe generato, quali servizi vecchi e nuovi si sarebbero potuti erogare in modo qualitativamente diverso.

Insomma, per usare una “metafora ferrovia-ria”, quali vagoni si dovessero far correre sui binari di proprietà dell’Amministrazione e, con quali “compagnie ferroviarie” si do-vessero tessere alleanze per poter estende-re la rete di comunicazione.

La scelta del Comune di Venezia è stata, anche per questi motivi, quella di dotarsi di una “rete aperta” e di fibra ottica.

Mi é sembrato assolutamente limitante e sbagliato assecondare l’idea secondo la quale l’uso della rete dovesse essere circo-scritto al miglioramento della comunicazio-ne tra le diverse sedi comunali, o a consen-

tire un rapporto più stretto tra le diverse Pubbliche Amministrazioni.

Altrettanto sbagliata mi pareva la scelta di utilizzare la rete esclusivamente per veico-lare le informazioni ai turisti, che in ampio numero visitano ogni anno la Città.

Ovviamente non ho mai sottovaluto i risvol-ti positivi delle scelte cui ho accennato più sopra.

Ognuna di queste scelte aveva ed ha impli-cazioni importanti sia dal punto di vista del-l’efficienza economica e gestionale per l’Amministrazione Comunale, che per ga-rantire una migliore gestione dei servizi del-la Città. Basti pensare che un uso corretto del WEB può garantire strumenti di control-lo dei flussi dei turisti fino ad ora assoluta-mente non gestiti.

Un uso corretto delle piattaforme WEB, pe-raltro, è la condizione per riformare le pro-cedure, la prassi, la cultura della Pubblica Amministrazione. Infatti, l’uso del WEB col-laborativo consente e induce a cambiamen-ti organizzativi e culturali, prima impensabi-li, basati sulla condivisione e sulla comuni-cazione, è la condizione per organizzare la “dematerializzazione”.

Si è voluto quindi affermare un modo di or-ganizzare la “macchina amministrativa co-

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munale” secondo filosofie della collabora-zione e della trasparenza coinvolgendo pie-namente non solo i cittadini residenti, ma anche i city user.

Il termine “Amministrare 2.0” ha indicato le nuove prassi organizzative e gli strumenti informatici che potevano consentire una di-versa interazione tra il cittadino e la Pubbli-ca Amministrazione.

Per fare un esempio, //Venice>Connected non è un semplice portale concepito per consentire la vendita online dei servizi pub-blici e dei Musei Civici (in questo, peraltro, Venezia è stata la prima e ineguagliata Cit-tà al mondo che ha praticato questa attivi-tà).

//Venice>Connected, ha rappresentato un approccio totalmente innovativo alla gestio-ne dei flussi turistici tale da garantire insie-me sia la salvaguardia del patrimonio socia-le e storico della città di Venezia, che il dirit-to del turista a godere di una città migliore, più ospitale.

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CAPITOLO 2

...E IL CITTADINO? PER UNA MODERNA “CITTADINANZA DIGITALE”

Nello scenario dettato dall’evolversi dei processi innovativi, ge-neralmente, non viene considerato il soggetto fondamentale, l’attore principale: il cittadino che pretende 11 di esercitare in modo nuovo i propri diritti universali, i “diritti di cittadinanza”.

Certo, il cittadino che usufruisce delle piattaforme e dei servizi WEB 2.0 “condividendo” con la Pubblica Amministrazione le proprie esigenze, diventa un soggetto attivo; certo il turista che può prenotare in rete i servizi pubblici e l’ingresso ai Mu-

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sei e che, prima o poi, potrà esprimere i propri feedback sui servizi della città, gode di un nuovo diritto.

Ma ciò non è sufficiente: il cittadino non sa-rà ancora il pieno protagonista della rivolu-zione indotta dall’uso delle applicazioni 2.0 nel WEB, se non gli verrà consentito di esercitare fino in fondo i diritti e i bisogni che l’accesso a Internet oggi ha fatto emer-gere come reali possibilità universali.

Le applicazioni WEB 2.0 generano la possi-bilità di esercitare nuovi diritti da parte del cittadino.

“Il Web è sociale. Le persone fanno il Web, popolano il Web, socializzando e spostan-do via via maggiori componenti della vita fisica a quella online....il Web è partecipati-vo. Si adotta un’architettura di partecipa-zione che incoraggi gli utenti ad aggiunge-re valore all’applicazione mentre la usano, in alternativa al controllo gerarchico del controllo all’accesso delle applicazioni”. 12

Ma, quando rifletto sui diritti universali, as-socio il termine diritti alle “condizioni di par-tenza”, alle “le pari opportunità” per poterli esercitare pienamente.

Quali sono allora, le nuove “condizioni di partenza” perché il cittadino possa eserci-tare questi nuovi diritti? E soprattutto quali

sono e come si realizzano le nuove, eguali “condizioni di partenza”?

Ho indicato un obiettivo da raggiungere per affermare una forte idealità e per inau-gurare una nuova stagione di diritti: l’affer-mazione della “Cittadinanza Digitale”.

Cosa si vuole intendere nell’evocare il con-cetto di “Cittadinanza Digitale”? Perché mettere insieme un concetto, uno storico ideale, tutto ciò che è evocato dal termine “cittadinanza” e tutto ciò che nel nostro im-maginario collettivo suscita la parola “digi-tale”? Perché mettere insieme storia e inno-vazione?

“L’informatica non riguarda più solo il com-puter, è un modo di vivere” dice Nicholas Negroponte, e già questa è una risposta. 13

La rivoluzione digitale pervade ogni angolo della nostra vita, ne può mutare qualitativa-mente i contenuti, ci dà l’opportunità di partecipare attivamente ai processi sociali ed economici.

Dietro il termine “Cittadinanza Digitale” si manifestano ideali e prassi che possono contribuire a cambiare in meglio il nostro modo di vivere e i rapporti civili consolidati nella società contemporanea. Non siamo più all’enfatizzazione ingenua della tecnolo-gia digitale e delle reti web come valori in

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sé, possiamo invece valorizzare tutto ciò che di nuovo, di “democratico”, di “civile”, la tecnologia e le reti web oggi possono consentire.

Attuiamo questa nuova politica di inclusio-ne correndo volutamente dei rischi, consa-pevoli della “carica anarchica” e antipoliti-ca che spesso pervade le community on line, convinti però della grande forza inno-vativa sprigionata dal WEB e dalle tecnolo-gie di rete.

Quale miscela nasce allora dalla somma, meglio, dall’integrazione dei diritti di cittadi-nanza e dalla spinta all’innovazione digita-le. E ancora, come cambiano nell’era della rete e dell’innovazione digitale i diritti di cit-tadinanza? E, soprattutto, quali nuove dise-guaglianze possono nascere da un uso di-seguale del WEB?

E’ opportuno, a questo punto, chiarire il si-gnificato del concetto di cittadinanza. Ciò consentirà inoltre di giustificare (che brutto verbo!!!) le motivazioni per le quali (le finali-tà pubbliche) un Ente locale si debba occu-pare attivamente di “Cittadinanza Digitale”.

Una bella definizione di cittadinanza la of-fre T.H.Marshall: “La cittadinanza è uno status che viene conferito a coloro che so-no membri a pieno diritto di una comunità. Tutti quelli che posseggono questo status

sono eguali rispetto ai diritti e ai doveri con-feriti da tale status...La spinta in avanti lun-go il sentiero così tracciato è una spinta verso un maggior grado di eguaglianza, un arricchimento del materiale di cui è fatto lo status e un aumento del numero di perso-ne cui è conferito questo status”. 14

“La cittadinanza non è un’idea utopistica; è lo sviluppo di un’antica esperienza”. 15

Tutte queste calzanti definizioni vanno mes-se in relazione con un’affermazione di Ro-bert Dahl: “...tutti i regimi democratici devo-no permettere alla gente di impegnarsi in imprese collettive per proteggere diritti che non possono essere garantiti spontanea-mente dal mercato”. 16

La storia del “novecento”, “Il secolo breve” così come lo ha definito Eric Hobsbawn, è stata contrassegnata oltre che dal conflitto per mutare i rapporti di produzione anche, in parallelo, per affermare uguali condizioni di partenza - o aumentare le chances di vi-ta (arricchire lo status) per tutti i cittadini, per garantire così il diritto di cittadinanza (non solo i diritti politici e di rappresentan-za), per consolidare le reti di protezione per i più deboli, affinché nessuno “restasse indietro”.

Il diritto all’assistenza sanitaria, l’affermarsi dei sistemi di previdenza sociale, il diritto

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all’istruzione, tutti si sono affermati come la condizione per costruire le strutture fon-danti del welfare state, affinché tutti i citta-dini godessero delle medesime opportuni-tà e degli stessi diritti sociali.

Contemporaneamente le Istituzioni demo-cratiche hanno garantito il formarsi di una rete di servizi sociali rivolti a tutti i cittadini.

L’affermarsi del progresso sociale e delle libertà associative e il pluralismo politico hanno garantito il consolidarsi dei diritti di cittadinanza.

Si è trattato naturalmente di un processo contraddittorio, non lineare, in continuo di-venire, non ancora pienamente affermato in molte parti del mondo dove tuttora sono in atto violenti conflitti per l’affermazione della democrazia, anche nei paesi che han-no avuto altissimi tassi di crescita economi-ca grazie all’introduzione di nuove tecnolo-gie e di imprese innovative.

Il termine “democrazia”, quando questa viene ad affermarsi, non va mai concepito in modo statico, e la “cittadinanza” è og-getto di continua rinegoziazione.

I processi di globalizzazione non governati hanno inoltre accentuato tali contraddizio-ni come ha ben sottolineato Eric Hob-sbawm: “... io penso che il problema della

globalizzazione sia l’aspirazione a garantire un accesso tendenzialmente egualitario a tutti i prodotti di un mondo che invece è, per sua natura, ineguale e diverso. C’é una tensione tra due astratti. Si tenta di trovare un denominatore comune cui possa acce-dere tutta la gente del mondo, per ottenere cose che non sono - ripeto - naturalmente accessibili a tutti”. 17

I diritti universali di cittadinanza sono oggi così attuali nel loro divenire, nel loro con-traddittorio manifestarsi, fino ad essere sta-ti il fondamento del messaggio di cambia-mento e di progresso di Barack Obama.

Quando Barack Obama ha perseguito il di-ritto per ogni cittadino a poter accedere a una casella di posta elettronica, mette in scena, ad un tempo, una speranza formida-bile, ma anche ha rievocato, in modo mo-derno, un diritto storico di ogni cittadino americano cioè quello di scambiare sem-pre e comunque la propria corrisponden-za. Pensate per un attimo a quanto conta, nella cultura statunitense, la leggenda del pony express.

Proprio perché i diritti di cittadinanza non possono essere considerati statici vanno riempiti costantemente di nuovi contenuti. Le “eguali condizioni di partenza” degli an-ni 2000 nel mondo della globalizzazione,

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non possono essere quelle del “secolo bre-ve” degli “Stati nazionali”.

E se, come dice Robert Dahl, i regimi de-mocratici devono permettere di proteggere i diritti che non possono essere garantiti dal mercato, il conflitto dialettico tra Stato e Mercato (la nuova rinegoziazione) negli anni 2000 si svolge attorno a contenuti di-versi da quelli ai quali abbiamo assistito so-lo qualche decennio fa.

Insomma, oggi le diseguaglianze si posso-no manifestare secondo caratteristiche completamente nuove. I diritti e le garan-zie, quindi, vanno tutelati in modo diverso, spesso inedito, rispetto al passato.

Emerge con sempre maggiore evidenza co-me le diseguaglianze riguardino sempre meno la sfera dei rapporti di produzione - almeno per come si sono manifestati nel ‘900 - e si evidenzino sempre di più nel-l’ambito del diritto all’accesso, all’informa-zione, alla cultura.

Ad esempio, come si fa a parlare di scuola e di formazione e non associare all’istruzio-ne l’affermazione di nuove modalità di inse-gnamento collegate al diritto all’accesso alla rete? Non è forse vero che l’enciclope-dia più consultata nel mondo è Wikipedia e non più la “mitica” Enciclopedia britanni-ca? Non è vero forse che il servizio Google

Libri offre milioni di testi di libri on line? Il nuovo termine “analfabetismo informatico” ci dice qualche cosa? L’accesso alla rete è un lusso come pensano alcuni, o è diventa-to a questo un punto un diritto universale?

Stupirà che nel 2013 si parli ancora del di-ritto all’accesso alla rete in questo modo “drammatico”. Larga parte dell’Italia soffre ancora di una situazione di digital divide.

Soprattutto, come si può discutere di “par-tecipazione ai processi di decisione politi-ca ed istituzionale” e non operare, contem-poraneamente, per lo sviluppo dell’eGo-vernment come afferma con forza ormai da tempo l’Unione Europea?

“Garantire a tutti l'accesso ai servizi pubbli-ci online è la conditio sine qua non per la diffusione dell'eGovernment. E si tratta di una questione ancora più importante in quanto i rischi che si venga a creare un "di-vario digitale" - ovvero disuguaglianze nel-l'accesso all'informazione e alle tecnologie informatiche - sono in questo caso più che reali. In questa prospettiva, l'insegnamento e la formazione sono essenziali per acquisi-re le conoscenze informatiche necessarie per sfruttare al meglio i servizi offerti dal-l'amministrazione in linea. Una migliore ac-cessibilità dei servizi passa inoltre per un potenziamento dell'approccio multipiatta-

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forma (accesso ai servizi per il tramite di piattaforme diverse: PC, televisione digita-le, terminali mobili, Internet caffè ecc.)”. 18

Ribadisco ancora questo concetto: se la comunicazione tra esseri umani costituisce oggi “la condizione per esistere” e le comu-nicazioni avvengono prevalentemente attra-verso il WEB, la possibilità di accedere al WEB è diventata un diritto universale per tutti i cittadini.

Ed è dovere per lo Stato in tutte le sue arti-colazioni operare per rimuovere le origini della diseguaglianza.

Il “Settimo programma quadro” varato dal-l’Unione Europea afferma, che la possibili-tà di accedere alla rete è la condizione per la diffusione dell’eGovernment e per affer-mare la cittadinanza politica e per consenti-re la partecipazione ai processi decisionali.

Si capisce allora senza alcun dubbio l’im-portanza che assume oggi il diritto all’ac-cesso a Internet e il significato profondo, sul piano dell’affermazione dei nuovi diritti, che viene ad assumere una politica per la “Cittadinanza Digitale”.

Si comprende ancora di più perché una Amministrazione pubblica debba interveni-re attivamente per affermare la “Cittadinan-za Digitale”.

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CAPITOLO 3

“CITTADINANZA DIGITALE” E DIGITAL DIVIDE

A questo punto è importante definire il concetto di digital divi-de.

In modo limitativo si potrebbe accomunare l’emergere di una “diseguaglianza digitale” esclusivamente al permanere di una condizione di “digital divide”, generata dall’assenza di infra-strutture di rete a banda larga (o genericamente la connettività veloce) in un territorio. L’assenza di queste infrastrutture impe-disce, di fatto, ai cittadini residenti l’accesso ad Internet deter-minando così condizioni di digital divide. Questa è l’interpreta-zione delle cause del digital divide data da molta letteratura. E’ una lettura che contiene molti elementi di verità, ma è troppo parziale.

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Mi riconosco invece, poiché molto più com-pleta, nella definizione del digital divide da-ta da Wikipedia. 19

Peraltro, quella di Wikipedia, mi pare una definizione molto aderente alla realtà e alle aspettative di eguaglianza espresse dalla società contemporanea, anche perché ela-borata attraverso una scrittura collettiva sul WEB.

“Il digital divide è riconducibile a un insie-me di cause:

l'assenza di infrastrutture a banda larga;

l'analfabetismo informatico degli utenti, ri-guardo il computer in genere, e le potenzia-lità di Internet.

Il digital divide potrebbe incrementare infat-ti le già esistenti diseguaglianze di tipo eco-nomico, ma avere effetti drammatici anche nell'accesso all'informazione implicando ulteriori conseguenze.

Oggi sono attive diverse campagne per il superamento del digital divide impegnate nel riutilizzo dell'hardware (il così chiamato “trashware”), spesso impiegando l'uso di software libero...Una delle cause ampia-mente condivise del digital divide è di carat-tere economico che impedisce alla popola-zione di tali paesi di acquisire un’alfabetiz-

zazione informatica che è causa stessa del digital divide. Il circolo vizioso che si viene a creare porta i paesi poveri ad impoverirsi ulteriormente dato che vengono ulterior-mente esclusi dalle nuove forme di produ-zioni di ricchezze che sono basate sui beni immateriali dell'informatica”.

Nell’elaborazione delle proposte, per elimi-nare il digital divide, si sono manifestati al-meno due grandi filoni di pensiero: l’uno af-fida all’espansione continua delle tecnolo-gie e del loro uso la “naturale soluzione” del problema; l’altra ritiene che il digital divi-de sia anche causato dalle differenze eco-nomiche e sociali che dividono i cittadini. Secondo questa lettura, il ruolo delle Istitu-zioni pubbliche appare quindi decisivo, co-sì come lo è stato in altra epoca storica, per fare un esempio, nel garantire a tutti l’istruzione, i servizi sociali o la previdenza sociale.”

La difficoltà nell’accedere alla rete, dovuta a motivi di diseguaglianza nelle condizioni economiche, non riguarda solo i Paesi più arretrati, riguarda anche l’Occidente. L’ac-cesso al WEB a condizioni economiche so-stenibili per tutti riguarda anche noi. La di-sparità di accesso riguarda anche chi vive nelle nostre Città (le eguali condizioni di partenza).

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L’affermare il diritto all’accesso alla rete non è il retaggio di un antico vizio egualita-rio; è l’affermazione di un moderno diritto di cittadinanza.

Non si ironizzi sul diritto a disporre di Face-book o a scaricare qualche filmato da You-Tube; chi afferma ciò dimostra di coltivare una visione limitativa e sbagliata dell’uso del WEB.

Marshall parla dei cittadini come di “mem-bri a pieno diritto di una comunità” e della necessità di arricchire costantemente il “materiale di cui è fatto lo status”.

Nel mondo moderno, nella rete WEB 2.0, si formano ed agiscono le più importanti ed “includenti” comunità capaci di forte au-toregolamentazione nel loro agire conti-nuo; anzi, di più, le moderne forme del sa-pere come Wikipedia sono il frutto dei pro-cessi comunitari.

La cooperazione e la condivisione delle idee sono le parole magiche della rete di nuova generazione. Oggi si parla diffusa-mente di crowsourcing.

Partecipare, comunicare, scambiare noti-zie ed informazioni sono la condizione per essere, per esercitare attivamente il diritto alla cittadinanza universale.

Ma è la connessione alla banda larga ciò che fa la differenza tra l’uso di Internet per la formazione, per il lavoro, per gli affari, per lo sviluppo di nuovi sistemi di welfare, o più semplicemente un uso della rete con-finato all’ intrattenimento e a un uso limitati-vo e convenzionale.

Per sottolineare l’importanza che viene ad assumere il diritto all’accesso segnalo co-me la stessa gestione della salute oggi pos-sa avvenire anche attraverso i social net-work, per non parlare delle frontiere della telemedicina, naturalmente a condizione che la rete a banda larga sia diffusa capil-larmente in un territorio. 20

Dotare una città di rete a banda larga, lotta-re contro l’analfabetismo informatico per consentire a tutti di poter usufruire delle po-tenzialità presenti in Internet, garantire l’ac-cesso gratuito alla rete sono compiti nuovi, pienamente legittimi e auspicabili di una Amministrazione locale.

L’affermazione di politiche di “Cittadinanza Digitale” è la nuova frontiera di un nuovo “Welfare State” che estende la propria posi-tiva influenza anche al là degli ambiti prati-cati tradizionalmente.

Quando poi si parla di garantire l’accesso alla rete dobbiamo essere consapevoli di un intervento delle Istituzioni pubbliche

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che travalica i tradizionali “confini naziona-li”.

La “Cittadinanza Digitale” non è una misu-ra di innovazione del welfare che possa esercitare i propri effetti nell’ambito dello stato nazionale tradizionale.

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CAPITOLO 4

COME DOVREBBERO OPERARE IL PUBBLICHE AMMINI-STRAZIONI PER SUPERARE IL DIGITAL DIVIDE

Preliminarmente una Amministrazione dovrebbe perseguire i seguenti principi.

I principi che enuncerò di seguito dovrebbero guidare l’azione dell’Amministrazione per superare il digital divide:

- ogni cittadino gode del diritto ad accedere ad Internet, usu-fruendo delle potenzialità indotte dalla banda larga. Solo l’ac-cesso ad Internet, godendo della banda larga, consente di di-sporre di tutti i servizi potenzialmente disponibili nella rete;

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- il valore/investimento da retribuire non è tanto quello ottenibile dall’accesso alla re-te (modello della telefonia), quanto quello derivato dall’uso e dalla produzione dei contenuti. Più i contenuti saranno autopro-dotti più sarà disponibile “gratuità”;

- ogni cittadino gode del diritto di acquisire le conoscenze che gli consentono di acce-dere alla rete e di poter “navigare” libera-mente e consapevolmente. Per poter usu-fruire delle potenzialità presenti oggi in rete è necessaria una conoscenza “non casua-le”, frutto anche di specifica formazione. Vanno inoltre rafforzate le motivazioni, an-che quelle civili e partecipative a usare la rete. Per promuovere queste attività l’Ente pubblico viene ad assumere un ruolo fon-damentale;

- ogni city user gode del diritto di accedere alla banda larga a condizioni economiche economicamente accessibili;

- una Amministrazione deve scegliere con-sapevolmente di sviluppare politiche di eGovernment improntate anche alle piatta-forme e ai contenuti di rete denominati WEB 2.0 e di incentivare sempre di più i cit-tadini ad un rapporto partecipativo con l’Amministrazione. Le piattaforme WEB 2.0. possiedono tutte le caratteristiche per favorire l’affermazione dell’eGovernment.

A questo punto devo accennare ad una di-scussione che appassiona, anche ingenua-mente, le comunità WEB e il mondo econo-mico: tutto gratis?

L’accesso alla rete sicuramente va garanti-to a prezzi accessibili, ma i contenuti di re-te? L’open source vuol dire che è tutto gra-tis e, quindi, democratico? Linus Torvalds è un benefattore dell’umanità?

Scrive Chris Anderson, il direttore di Wired USA: “Nel corso dell’ultimo decennio, ab-biamo costruito un’economia online in cui il prezzo di default è zero: niente, nada, nul, null. I beni digitali, dalla musica ai vi-deo, passando per Wikipedia, possono es-sere prodotti e distribuiti senza alcun costo marginale e così, per le leggi economiche, il prezzo è andato dalla stessa parte: a ze-ro. Per la Google generation, internet è la terra del Gratis...Significa però che gratis non è abbastanza. Deve andare in coppia con a pagamento. Come i rasoi gratuiti di King Gillette avevano un senso in termini di business solo se abbinati a lamette co-stose, così gli imprenditori web di oggi non devono inventarsi solo prodotti che la gen-te ama, ma anche prodotti per cui la gente pagherà”. 21

Scrive Luca de Biase: “L’avvento dell’epo-ca della conoscenza rigenera le ragioni di

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scambio, concentra il valore sull’immateria-le e attribuisce qualità a ciò che ha senso. In questo contesto, le relazioni tra le perso-ne sono appunto generatrici di senso, dun-que di valore, ma sono gratuite per defini-zione, anche se per svilupparsi hanno biso-gno di piattaforme che costano. E’ chiaro che i gestori di queste piattaforme devono riuscire a farle fruttare anche monetaria-mente: ma non riusciranno a trovare un profitto se lo cercheranno in modo tale da mettere a repentaglio il valore d’uso, la qua-lità relazionale, l’innovazione sociale, che le piattaforme offrono, servono e abilita-no”. 22

Ho accennato a questo spinoso tema, fa-cendomi aiutare da opinioni autorevoli, che condivido, per ribadire ancora una volta un concetto: l’Amministrazione Comunale de-ve favorire, tra le sue attività, l’accesso alla rete. La formazione della conoscenza deve essere incentrata sulla gratuità; accedere e partecipare a Wikipedia è gratuito!!!.

I servizi e l’uso delle piattaforme hanno in-vece un valore. Ciò è inevitabile se voglia-mo garantire la qualità dei servizi che offria-mo. Lo strumento pubblicitario per pagare le spese di gestione non è sufficiente, so-prattutto in un momento di crisi economica in cui il mondo delle imprese ha tagliato drasticamente i costi per la pubblicità.

D’altronde, non tutti i widget disponibili at-traverso l’Apple Store sono forniti gratuita-mente, ma non per questo evitiamo di utiliz-zare l’Apple Store per arricchire le funziona-lità del nostro iPhone.

Leggete l’accordo raggiunto ancora qual-che anno fa tra Google e le Associazioni degli autori e degli editori americani. Rap-presenta un ottimo compromesso.

- “Libri protetti da copyright e in commer-cioI libri in commercio sono libri ancora vendu-ti attivamente dagli editori, tutti quei libri normalmente disponibili in libreria. Questo accordo amplia il mercato online dei libri in commercio permettendo ad autori ed edito-ri di attivare modelli di "anteprima" e "ac-quisto" che rendano i loro titoli disponibili più facilmente attraverso Google Ricerca Libri.

- Libri protetti da copyright ma fuori stam-paI libri fuori stampa non sono attivamente in pubblicazione o in vendita, quindi l'unico modo per procurarsene uno è cercarlo in biblioteca o nei negozi di libri usati. Quan-do l'accordo sarà approvato, ogni libro fuo-ri stampa da noi digitalizzato diventerà di-sponibile online per l'anteprima e l'acqui-sto, a meno che il relativo autore o editore

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scelga di "disattivare" tale titolo. Riteniamo che ciò rappresenterà una vera manna per il settore editoriale, permettendo ad autori ed editori di ottenere delle entrate da volu-mi che sembravano scomparsi per sempre dal mercato.

- Libri non protetti da copyrightQuesto accordo non ha effetto sulla moda-lità di visualizzazione dei libri non protetti da copyright; gli utenti di Google Libri po-tranno continuare a leggere, scaricare e stampare tali titoli come hanno fatto fino a oggi.”

Ed in tutti i casi, amici miei, non è forse ve-ro che siamo disponibili a spendere centi-naia di euro per possedere un device mobi-le sul quale scaricare centinaia di titoli da Amazon, da Apple Store?

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CAPITOLO 5

LA RETE A FIBRA OTTICA DELL’AMMINISTRAZIONE COMU-NALE VENEZIANA

UN MODELLO REPLICABILE 23

Fatte queste premesse, necessarie per comprendere il conte-sto ideale e le “regole del gioco” che dovremmo adottare, rac-conterò le scelte e l’iter adottato fin dal 2007 dall’Amministra-zione Comunale di Venezia per realizzare la propria rete e i software applicativi “Amministrare 2.0”.

Ciò servirà, tenendo conto di tutte le differenze dovute alle di-mensioni territoriali, alle caratteristiche economiche e sociali che contraddistinguono le diverse Amministrazioni, a utilizzare questo modello.

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Per realizzare il progetto “Cittadinanza Digi-tale” l’Amministrazione comunale venezia-na ha trasformato la propria società Venis SPA 24 in operatore di I.C.T.

E’ stato predisposto il progetto per la realiz-zazione di una rete in fibra ottica sia nel Centro Storico veneziano che nella terrafer-ma mestrina. Questa attività è stata facilita-ta dalla scelta fatta dal Comune di Venezia, fin dal 1998, di posare, contestualmente all’attività ordinaria di manutenzione urba-na, anche “cavedi dedicati” alla posa della fibra ottica.

Il progetto è stato interamente finanziato dall’Amministrazione comunale, che si è così garantita la necessaria indipendenza nei confronti degli operatori privati del set-tore. La Società Venis SPA in collaborazio-ne con i Laboratori Fondazione Marconi ha progettato e sta proseguendo nel tempo nella realizzazione di quest’opera.

La rete in fibra ottica (quasi 10.000 km) at-traversa le dorsali più importanti del territo-rio cittadino, collegando le più importanti sedi comunali, gli impianti sportivi, le biblio-teche pubbliche ecc..

L’Amministrazione comunale ha proposto, nel corso del tempo, alle altre Istituzioni pubbliche e private veneziane la “rilegatu-ra” delle loro sedi.

Sulla rete a fibra ottica si sono installati gli hot spot WIFI finalizzati a garantire ai city user l’accesso alla rete. Vorrei ricordare che quest’attività venne concepita pur in presenza di una legislazione italiana che, unica in Europa, per lungo tempo ha volu-to limitare la libertà di accesso alla rete tra-mite il wifi. 25

Ogni cittadino veneziano può accreditarsi e ricevere la propria userid e la password attraverso il portale “Cittadinanza Digitale”.

Quella di “Cittadinanza Digitale” resta tut-t’ora l’esempio più avanzato -almeno in Ita-lia- di una politica di inclusione digitale svi-luppata da una Amministrazione pubblica.

In questo modo la rete comunale è stata concepita, potenzialmente, per garantire l’accesso a tutti i servizi del WEB (rete aperta) e non solo ai servizi pubblici.

Il progetto banda larga/WIFI è stato ufficial-mente inaugurato il 3 luglio 2009. 26

Tutto ciò è stato possibile, come ho già avuto modo di dire, grazie all’articolazione e alla pervasività della rete di proprietà del Comune.

Ancora oggi è possibile un’ulteriore esten-sione dei punti di connettività gratuiti, attra-verso la firma di accordi di collaborazione

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con altri operatori privati delle TLC, consen-tendo in cambio l’uso della rete di proprie-tà comunale.

Consiglio inoltre, ogni Amministrazione di perseguire accordi con le reti GARR, per consentire la connettività con il mondo scientifico, universitario e della cultura con le altre Istituzioni europee, oltre che di po-ter usufruire di una linea di assoluta quali-tà.

Le reti GARR (esempio di gestione della re-te di assoluta eccellenza) sono molto diffu-se e pervasive.

Per ritornare al tema delle condizioni per creare un ambiente innovativo delle quali ho parlato più sopra, immaginiamo le con-seguenze che potrebbe innescare in una Città un’opera sistematica di digitalizzazio-ne dell’immenso patrimonio culturale sia pubblico che privato.

Pensate ad un’attività che omogenizzi gli standard di digitalizzazione, le modalità di conservazione sul cloud (superando la “fisi-cità” degli attuali supporti per la conserva-zione), le modalità secondo le quali milioni di persone potrebbero usufruire del nostro immenso patrimonio usando le connessio-ni di rete.

Pensate al salto culturale che provochereb-be a Venezia il passaggio da un’idea che la digitalizzazione e la rete servono “solo” al-la conservazione dei beni culturali e invece lo svilupparsi di un’attività sistematica per consentire l’accesso universale ai beni cul-turali della mia Città da ogni parte del mon-do.

Ma, queste politiche sono possibili in pre-senza di una infrastruttura a fibra ottica che colleghi un’area urbana al mondo.

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CAPITOLO 6

DAL “CLUETRAIN MANIFESTO” AL WEB 2.0

Chiarita (spero) l’importanza ideale e politica assunta dall’affer-mazione del diritto di accedere alla rete, è giunto il momento di parlare dei contenuti offerti dalla rete: quali sono, come si formano, come si viene a stratificare la loro gerarchia, quali so-no i processi democratici che devono sovrintendere al formar-si dei contenuti di rete.

Parallelamente allo sviluppo della rete e all’evoluzione degli strumenti abilitanti e delle piattaforme WEB 2.0, si è sviluppa-ta una cultura e una ideologia spesso trascurati dalla “politi-ca”, fino a che la vittoria di Barack Obama (e in Italia l’afferma-zione del Movimento 5 Stelle e di Beppe Grillo) ha reso eviden-ti fenomeni fino ad allora sottovalutati se non ridicolizzati.

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La “politica” ha incominciato ad interrogar-si sul ruolo dei blog, sui social-network, sui meetup, sull’influenza che questi strumenti hanno sulle persone per influenzarne i com-portamenti e il consenso politico. 27

Contemporaneamente, milioni di persone hanno cominciato a concepire Internet e lo “strumento” social network come una op-portunità per poter “dire la loro” e per ri-chiedere al mondo politico e amministrati-vo la trasparenza nei suoi atti.

Molti “apprendisti stregoni” del mondo poli-tico non hanno colto che, perché un mes-saggio sul WEB sia efficace, la rete “va vis-suta” e non va semplicemente usata come un vecchio portale Internet.

Non è sufficiente raccontare la propria “vi-ta finta” su Facebook in occasione di una competizione elettorale o creare il gruppo amici o nemici di qualche cosa o di qualcu-no. Facebook (Twitter, nuova moda) non serve per fare “spamming” introducendo surrettiziamente messaggi politici. La rete non è la “politica urlata” tra “mezzi busti” in TV, magari intervallati dalle telefonate de-gli amici.

La rete nell’epoca 2.0 ha sviluppato propri anticorpi e proprie regole non scritte. Co-me dice bene Luca Sofri: “E’ una delle co-se che si imparano subito (...dimostri di te-

nere in considerazione ciò che gli altri dico-no e scrivono e vi fai utile riferimento...), nella osmotica e spesso confusa socializza-zione alla blogosfera. E’ d’altronde una pra-tica comunicativa che erode parte delle tra-dizionali barriere tra produzione e fruizione: grazie al link chiunque può valutare in tem-po reale se è corretto il modo con il quale viene riportato un pensiero o un evento e rispondere pubblicamente attraverso il pro-prio blog o i commenti”. 28

E, soprattutto non va dimenticato che il WEB 2.0 è costituito da un assieme di “luo-ghi” che generano una autonoma cultura, figlia dell’interazione tra milioni di persone.

Questo mondo, il mondo del WEB 2.0, il mondo dell’innovazione non è mai identifi-cabile con la cultura e con la prassi orga-nizzativa dell’economia e dell’industria tra-dizionali. Ancora meno con l’approccio consueto alla notizia proprio dei media tra-dizionali.

Nel mondo 2.0 si sovverte il tradizionale rapporto subordinato tra cliente e fornito-re. Anche per questo il WEB sta soppian-tando la TV o la sta integrando. 29

Nell’uso di Internet si sono sviluppate forti soggettività, una cultura (culture) autono-me e non convenzionali. La crisi della politi-

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ca e dei suoi “luoghi” tradizionali di decisio-ne ha accentuato questo processo.

Il mondo della rete e dell’innovazione digi-tale sono stati gli artefici di una parte rile-vante dello sviluppo economico degli ulti-mi decenni, hanno rivoluzionato le abitudi-ni e il costume di milioni di persone.

I protagonisti economici (gli inventori) delle principali innovazioni della rete sono stati tra gli attori più rilevanti dei processi di glo-balizzazione.

Pensiamo a come, nell’immaginario colletti-vo, si siano consolidate le figure e le gesta di Steve Jobs, di Mark Zukerberg, di Jeff Bezos, dei fondatori di Google. Come essi siano considerati i moderni eroi dei nostri tempi.

La “digitalizzazione” ha reso possibili i pro-cessi di globalizzazione.

Apple e Google (solo per fare due esempi) non si limitano a vendere prodotti e servizi, vendono, prima di tutto, stili di vita o indu-cono ad adottare nuovi stili di vita e di con-sumo. Pensiamo, su tutti, al fenomeno iPhone e ai negozi virtuali Amazon.

“Apple è diventata, al di là degli altri feno-meni che si sovrappongono al suo settore d’azione, un soggetto della cultura di mas-

sa. Fa parte del panorama sociale, ha toc-cato corde e mosso le leve appropriate per diventare qualitativamente qualcosa di di-verso rispetto a un semplice fabbricante di computer. Casomai, è un fabbricante di uni-versi e futuri, di sensazioni e di possibilità d’uso.” 30

E ancora, durante il contenzioso tra Micro-soft e il Governo americano si affermò: “Un’ingiunzione che ritardasse l’uscita di Windows 98 potrebbe avere un impatto de-cisamente negativo sul paese nel suo com-plesso, incidendo sull’approvvigionamento di pc nei periodi di rientro a scuola e delle festività natalizie.” 31

Anche queste sono state le condizioni per-ché nel mondo del WEB si consolidasse una autonoma visione del mondo, dei rap-porti sociali, del mercato.

Tutto ciò, naturalmente sommando i vizi e le virtù dell’ “economia materiale”, contri-buendo, quota parte, a determinare la crisi nella quale il mondo si dibatte. E’ un mon-do quello dell’innovazione (in altra epoca definita New Economy) che ci illude e poi ci tradisce perché è parte dell’economia reale.

“Quel che è accaduto dopo il marzo del 2000 ha un valore simbolico che non si mi-sura in percentuali. E’ la caduta degli idoli:

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si credeva che la New Economy potesse far lievitare all’infinito la ricchezza finanzia-ria, che le società tecnologiche e le dot.com - aziende di Internet - avessero un potenziale di crescita illimitato, anche se molte di loro non avevano mai chiuso un bilancio in attivo, e nonostante la dub-bia qualità di molti manager.” 32

Voglio segnalare a questo proposito il re-cente articolo “New Economy, così la bolla italiana del digitale è finita in mutande”. Ha fatto discutere molto in queste settimane.

Ad un certo punto della mia attività politica ed amministrativa ho “incrociato” il “Clue-train Manifesto”. 33 Ho avuto la fortuna di ascoltare, ad un meeting di Cisco, una le-zione di David Weinberger.

È stata una folgorazione che ha influenzato in modo determinante la mia cultura dell’in-novazione e del web.

Il “Cluetrain Manifesto” è stato pubblicato nel 1999 da Rick Levine, Christopher Loc-ke, Doc Searls e David Weinberger.

Sono passati dieci anni, ma l’attualità di-rompente delle idee espresse dal “Clue-train Manifesto” è rimasta assolutamente immutata.

Anzi, soprattutto oggi, di fronte ad una drammatica crisi economica e sociale, la lettura del “Cluetrain Manifesto” ci aiuta ad una interpretazione innovativa degli abitua-li schemi e delle consuetudini organizzati-ve radicati nelle aziende e verso l’approc-cio tradizionale ai mercati.

Ormai tutti riconoscono che gli schemi del passato sono alla base della crisi che trava-glia l’economia globale; forse ne sono una delle cause. La crisi finanziaria ha fatto esplodere gli assetti strutturali e le scelte organizzative, l’approccio ai mercati dell’ “economia materiale” organizzata in modo tradizionale. Pensiamo alla gravità della cri-si che attanaglia l’industria dell’automobile e tutti i più tradizionali segmenti dell’econo-mia e del mercato.

Una nuova stagione di sviluppo economi-co e sociale si baserà, nel prossimo futuro, (ma. in alcuni ambiti dell’economia è già così) sulla diffusione dell’innovazione -so-prattutto dell’I.T.- e delle reti.

L’economia che è sorta dalla diffusione di Internet, dai nuovi servizi di rete e dalla co-stante competizione tra i produttori di stru-menti di connettività, è un veicolo che ci aiuterà a superare la crisi.

In questa sede affronterò “solo” i fattori che stanno cambiando i rapporti tra i pro-

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duttori e i consumatori. Ciò riguarda anche il mondo della Pubblica Amministrazione.

Quando nel “Cluetrain Manifesto” si affer-ma che “I mercati sono conversazioni” e si aggiunge, su un piano consequenziale, che “Internet permette delle conversazioni tra esseri umani che erano semplicemente impossibili nell’era dei mass media”, si pro-pone un approccio all’economia e alla de-mocrazia assolutamente originali.

Qualche anno dopo, questo messaggio si è venuto a rafforzare, ha scritto Chris An-derson: “Stiamo entrando in un’era radica-le di cambiamento per i venditori. La fede nella pubblicità e nelle istituzioni che la fi-nanziano sta declinando, mentre la fede ne-gli individui si sta rafforzando...I nuovi ta-stemakers siamo noi. Il passaparola è oggi una conversazione pubblica, che avviene nei commenti dei blog e nelle recensioni dei clienti, raccolte e misurate in modo esaustivo. Le formiche hanno i megafoni.” 34

Valutiamo allora quale conseguenza possa avere sull’economia, sulla società e sulle strutture democratiche il sovvertimento ra-dicale della gerarchia causato da milioni di persone che conversano in un modo “sem-plicemente impossibile nell’era dei mass media”?

Si sta passando da un utilizzo della televi-sione e dei suoi servizi - compresa la pub-blicità - improntato sull’unidirezionalità del messaggio, all’uso di moderni strumenti di connettività basati sul dialogo tra gli indivi-dui, alla loro diffusione costante, alla loro continua evoluzione.

Le principali testate giornalistiche ormai da molto tempo pubblicano le loro notizie onli-ne con frequenza temporale costante, ren-dendo quasi del tutto inutile l’acquisto al mattino dei quotidiani. D’altronde il “nativo digitale” generalmente non concepisce di acquistare un quotidiano o un settimanale in edicola, il suo orizzonte è il web.

Il termine “essere informato in tempo rea-le” assume nell’epoca della rete e della connettività significati totalmente diversi ri-spetto anche ad un recente passato.

Un individuo può essere informato sempre e ovunque a condizione che “sia in rete”. Un individuo può comunicare sempre e ovunque anzi, può contribuire a formare le notizie a condizione che “sia in rete”. La nozione di tempo e di spazio nella forma-zione di una notizia o di un avvenimento viene oggi a mutare radicalmente.

Dice nulla il termine citizen journalism?

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La “notizia” si genera ed assume o perde valore nel tempo del click di un mouse.

Nessun telegiornale, per quanto trasmesso con frequenza, ha la stessa capacità di in-formare del mio device mobile costante-mente connesso in rete con i principali net-work, o del mio BlackBerry, che invia e rice-ve costantemente email.

Di fronte a questa rivoluzione, come si può dire che l’affermazione dei principi di “Citta-dinanza Digitale” non assuma oggi una grande urgenza?

Ma, ed è questa la vera novità, la rete e gli “strumenti di connettività” consentono con-vergenze di contenuti che, fino ad ora, era-no godibili solo separatamente.

Non esistono più il tradizionale computer o il telefonino. Definiamoli, insieme, “strumen-ti di connettività”. Un computer, soprattut-to oggi, di fronte alla miniaturizzazione del-l’apparecchio, è sempre meno destinato a svolgere solo funzioni tradizionali (consenti-te peraltro da software residenti invasivi e “pesanti”), è sempre di più lo strumento che ci consente di essere sempre on line.

Un “telefonino” serve sempre meno “solo” a telefonare, è sempre di più uno strumen-to per comunicare, facendo convergere più servizi (SMS, mail, fotografie, video ecc.).

Indicatemi il messaggio pubblicitario di un produttore di “telefonini” o di un operatore di TLC che promuova esclusivamente un telefonino o la tariffa di un singolo servizio.

Anzi un “telefonino” viene venduto in ap-pendice ad un servizio di telefonia/Internet. Tutti promuovono e ci vogliono vendere convergenza, anche di contenuti. Ricordia-mo, un libro si può scaricare e leggere an-che su un iPhone.

La diffusione del WIFI e della fibra ottica stanno accelerando esponenzialmente que-sti processi, mutando i termini stessi della concorrenza tra gli operatori delle TLC e tra i produttori degli “strumenti di connetti-vità”. Tutto ciò sta facendo evolvere la pro-duzione di “contenuti”.

È decollato quindi su basi diverse rispetto al passato la concorrenza tra le diverse piattaforme su cui si è fondata per anni la telefonia mobile.

Google (Android), Apple, Nokia, Microsoft si confrontano ormai quotidianamente per la conquista di sempre maggiori quote di mercato. E il confronto si è spostato, oltre che sui contenuti forniti al cliente e sulla di-verse offerte tariffarie, anche sulla qualità del design (Apple), o sul livello di “apertu-ra” o meno della piattaforma (Android).

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Symbian (Nokia) o Windows Mobile (Micro-soft) hanno perso la loro sfida contro An-droid (Google), perché queste piattaforme non fanno partecipare alla competizione gli utenti nel ruolo di cosviluppatori, determi-nando così il successo del prodotto.

Ed è assolutamente stupefacente come questa rivoluzione tocchi ogni strato socia-le e ogni classe di età.

Si è diffusa ormai una estesa letteratura che descrive “usi e costumi” dei “nativi di-gitali”, ma non dimentichiamo che l’uso de-gli strumenti innovativi si sta diffondendo in ogni classe di età, generando nuove aspettative, ma anche nuove diseguglian-ze.

Contrariamente a quanto comunemente si pensa, si colgono appieno da parte del “non nativo” le potenzialità del WEB, e si soffre al contempo della propria incapacità a sfruttarle appieno. “Ho 62 anni. Cito Wiki-pedia, perché convivo con internet per la-voro, curiosità, svago e cultura personale. Sono iscritto a Facebook e Twitter. Ho ritro-vato sui social network molti che conosco di persona. Ma ho scoperto che alcuni rie-scono solo dietro la tastiera ad esternare emozioni ed espressioni mai osate face to face. Tutto intrigante e per certi versi affa-scinante se non avessi un problema. Nel-

l’esplorazione di internet mi scontro con l’ostilità di un pianeta web che sembra di-fendersi dietro usanze e linguaggi per me criptici. I caratteri sono minuscoli, l’italiano è essenziale e molto rimaneggiato, sono travolto da un torrente di acronimi e termi-ni da fantascienza come RSS, feed, post, backbones, mainframes, e-readiness ran-kings. Un lessico davvero poco familiare per chi non è cresciuto a kinder plasticati e PC”. 35

Sono, come si capisce, fenomeni assoluta-mente pervasivi, che nel manifestarsi gene-rano nuovi consumi, nuova ricchezza e un cambiamento radicale del modo di vivere e di comunicare

La rete genera, infatti, libertà di scelta, al-l’opposto della televisione e degli altri me-dia tradizionali.

Ricordo spesso la prima televisione “a get-tone” acquistata ratealmente dalla mia fa-miglia negli anni ’60, il moltiplicarsi negli an-ni successivi dei canali e degli spettacoli che venivano offerti; c’era sempre più spet-tacoli a disposizione, ma non venivano scelti liberamente. Rivedo come in un film l’attesa di quella alternativa costituita dal debutto della seconda rete televisiva negli anni sessanta del secolo scorso.

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All’opposto, chi oggi va in rete sceglie libe-ramente ciò che vuole vedere; comunica con milioni di persone distanti tra di loro, genera esso stesso i contenuti di rete.

“User generated content” è ciò che con-traddistingue il WEB 2.0.

Ecco la vera rivoluzione alla quale voglia-mo partecipare attivamente, la coproduzio-ne dei contenuti. Dobbiamo tutti diventare “prosumer”, ad un tempo siamo produttori e consumatori di contenuti

Riflettiamo insieme a cosa ha significato affermare, con preveggenza, nel “Cluetrain Manifesto” che: “Gli hiperlink sovvertono la gerarchia” e che “Queste conversazioni in rete stanno facendo nascere nuove for-me di organizzazione sociale e un nuovo scambio della conoscenza”.

Recentemente ha scritto David Weinberger “Ma il punto è che non ci stiamo limitando a trasferire dei rettangoli di testo dalla pagi-na di un libro a uno schermo: il collegamen-to della conoscenza -il networking, la mes-sa in rete o in circolo- sta in realtà cambian-do la nostra più antica e fondamentale stra-tegia del sapere.” 36

Pensiamo alla campagna elettorale di Ba-rack Obama, o agli strumenti con cui que-st’ultimo comunica con i cittadini nella sua

attività di governo. Ad esempio provate ad esplorare, prestando particolare attenzione alle logiche comunicative, il sito www.MyBarakObama.com .

Nelle scelte comunicative di Obama é sicu-ramente costante l’uso dei media tradizio-nali, ma è preponderante una interlocuzio-ne con gli elettori e con i cittadini attraver-so gli strumenti messi a disposizione dal WEB. È un metodo di governo, non sempli-cemente un modo smart di comunicare.

L’attività di dialogo attuata da Barack Oba-ma attraverso “Open for Questions” ha avuto ad esempio un successo incredibile e ha inaugurato un modo diverso e più de-mocratico nel rapporto tra il “potere” e i cit-tadini. Strumenti come questo “stanno fa-vorendo l’apertura al dialogo bidirezionale tra Transition team e la community the Change.gov” per dirla con i gestori del ser-vizio.

“L’iniziativa cui si fa riferimento è denomina-ta Open for Questions ed ha ricevuto il 26 marzo (era il 2009) il varo ufficiale presso la Casa Bianca, a testimonianza dell’impe-gno profuso nella costruzione di un cammi-no di trasparenza e responsabilità dell’azio-ne presidenziale nei confronti dei cittadini americani tutti.L’incontro è stato seguito on-line da circa

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67,000 utenti, secondo l’indicazione data dal portavoce della Casa Bianca Nick Sha-piro, ed il webcast è stato anche trasmesso da diversi canali via cavo. Prima dell’even-to, chiunque volesse porre una domanda al Presidente ha potuto iscriversi sul sito della Casa Bianca nella sezione Open for Que-stions perché le domande, raccolte in ordi-ne di frequenza, fossero trasmesse al Presi-dente. L’entità del riscontro che l’iniziativa ha avuto è rintracciabile in alcuni numeri che Usa Today riporta come provenienti di-rettamente dalla Casa Bianca: 92,931 per-sone si sono iscritte e 104,103 sono le do-mande effettivamente poste e 3,606,286 so-no i voti finalizzati a determinare le frequen-ze degli items sulla base delle quali si sa-rebbe decisa la priorità delle domande po-ste al presidente e quindi la probabilità che la domanda fosse effettivamente posta. La Cnn riporta che il Presidente ha risposto a sette domande poste attraverso il sito e ad altre poste dal pubblico presente nella East Room.” 37

Qualcuno potrebbe obiettare che il “Clue-train Manifesto” contestava i metodi svilup-pati dal mondo dell’impresa privata e, so-prattutto, mirava ad instaurare un diverso rapporto tra i consumatori e il produttore e quindi che il suo messaggio restava lì, cir-coscritto al mondo dell’impresa.

All’opposto, il “Cluetrain Manifesto” espri-me una critica universale, contrappone al-l’assenza di soggettività, il dialogo sia nel-l’impresa, che nei rapporti tra imprese, con i mercati, con i consumatori.

“Siamo dentro e fuori le aziende. I confini delle nostre conversazioni sembrano il Mu-ro di Berlino di oggi, ma in realtà sono solo una seccatura. Sappiamo che stanno crol-lando. Lavoreremo da entrambe le parti per farle venire giù”. E’ una espressione for-te che afferma il primato del dialogo e del-la comunicazione globali sulla “semplice” produzione di beni.

Di fronte a queste prospettive, a queste realtà “rivoluzionarie” quali sono gli interro-gativi che si pone oggi un pubblico ammini-stratore italiano o, più semplicemente, un cittadino?

Come può esprimersi questa carica di cam-biamento in un luogo di conservazione co-me la Pubblica Amministrazione italiana? Una risposta mi viene spontanea.

Non è forse che il favorire il dialogo, lo svi-luppare la valorizzazione delle soggettività e delle intelligenze sono il problema princi-pale delle Pubbliche Amministrazioni?

Se ciò fosse vero -io ne sono convinto- su-perare l’autoreferenzialità, la maschera

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“della procedura”, il primato della “legifica-zione” in ogni atto del pubblico dipenden-te, per fare emergere la sua soggettività, per liberare la voglia “di fare qualche cosa di nuovo” è l’imperativo necessario per ri-formare la Pubblica Amministrazione.

Contro l’immobilismo imperante è necessa-rio cambiare costantemente; questa è la lezione del WEB e della sua cultura.

I provvedimenti legislativi adottati, anche recentemente, dal Governo Italiano non rappresentano la fine dell’immobilismo. Speso sono la codificazione dell’inefficien-za e dell’immobilismo.

Per superare il primato “della procedura” (anche se trasferita in rete) è necessario mettere in discussione la gerarchia, così come esce dalle procedure concorsuali inu-tili e nozionistiche che comprimono le pro-fessionalità e la voglia di fare e mortificano il merito individuale.

Blog, meetup, social network rappresenta-no un modello opposto a quello delle prati-che gerarchiche, consolidate.

“Abbiamo usato i blog per rafforzare la co-municazione dei nostri stakeholder e ora stiamo implementando la tecnologia wiki nei siti della nostra intranet e della nostra extranet. Il beneficio principale sembra es-

sere un più forte senso di comunità, che siamo in grado di alimentare grazie a delle tecnologie più interattive.” 38

Sembra una conversazione incomprensibi-le condita da terminologie un pò astruse, si tratta invece di constatazioni manageriali sui vantaggi generati dall’adozione in azien-da dei nuovi strumenti di comunicazione messi a disposizione dal WEB 2.0.

E’ opportuno allora che coloro che nella Pubblica Amministrazione, un pò per piag-geria, un pò per moda, pensano di importa-re gli strumenti di dialogo 2.0 senza cam-biare contemporaneamente l’organizzazio-ne, la cultura e le prassi consolidate, valuti-no l’immensa carica di innovazione presen-te potenzialmente nella cultura del WEB.

Ne valutino le conseguenze i conservatori della Pubblica Amministrazione, coloro che pensano alla “rilegificazione”, “le eter-ne gerarchie”, gli “immobili sindacalisti”, i difensori dei finti diritti ormai superati dalle cose e dall’innovazione.

In verità costoro cercano di tenere fuori dal-la Pubblica Amministrazione la cultura del-l’innovazione digitale. Ciò non è possibile, Internet pervade ogni aspetto della nostra vita; Internet ha mutato l’approccio dei cit-tadini ai servizi offerti dalla Pubblica Ammi-nistrazione.

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Leggetevi la tesi 26) del “Cluetrain Manife-sto” “Le Pubbliche Relazioni non si relazio-nano con il pubblico. Le aziende hanno una paura tremenda dei loro mercati.”

Pensate ora ad un qualsiasi cittadino mes-so di fronte ad uno sportello di una qualsi-voglia Pubblica Amministrazione in attesa di essere rimandato ad un altro sportello ancora “perché il suo problema non è di mia competenza”.

Mettiamo fine alla ordinaria persecuzione alla quale sono sottoposti i cittadini che so-no le vittime delle perversioni alle quali so-no sottoposti dalle cervellotiche forme or-ganizzative adottate da tutta la Pubblica Amministrazione italiana.

E quando allo sportello obietti ti viene ri-sposto che è “la legge” che lo prevede.

Le tecnologie e la rete servono a cambiare questo stato di cose, ma da sole non sono sufficienti. 39

L’ approccio assolutamente innovativo al-l’organizzazione aziendale, al rapporto tra azienda e mercati, al marketing, alla conce-zione del ruolo dei media e della comunica-zione, così come suggerito dal “Cluetrain Manifesto”, è sicuramente una chiave per l’innovazione della Pubblica Amministrazio-ne.

Ma quali sono le “conversazioni” alle quali si riferisce il “Cluetrain Manifesto”? E, so-prattutto, chi sono i soggetti che dialogano tra di loro?

Il “Cluetrain Manifesto” va a questo punto coniugato al WEB 2.0.

Quando si parla di WEB 2.0 si tende gene-ralmente ad accomunare filosofie, piattafor-me e strumenti abilitanti come se costituis-sero un tutt’uno.

In un certo modo può essere vero, ma il WEB 2.0 non è una tecnologia, è una filoso-fia, è un approccio culturale all’uso della rete.

Questa filosofia e questa cultura hanno ge-nerato applicazioni di rete concettualmen-te innovative rispetto ad un recente passa-to.

Il termine WEB 2.0 è stato coniato da Tim O’Reilly (2005).

“Quando gli utenti aggiungono nuovi con-cetti e nuovi siti, questi vengono integrati alla struttura del web dagli altri utenti che ne scoprono il contenuto e creano link. Co-sì come le sinapsi si formano nel cervello, con le associazioni che diventano più forti attraverso la ripetizione o l’intensità, le con-nessioni nel web crescono organicamente

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come risultato dell’attività collettiva di tutti gli utenti del web”. 40

Ecco il WEB 2.0. Il WEB 2.0 è il frutto del-l’attività collettiva di tutti gli utenti che ge-nerano nuovi contenuti e siti, e che così fanno crescere organicamente il WEB stes-so attraverso un processo continuo, senza una fine prestabilita (BETA perpetuo).

Ricordiamo, negli ultimi anni si sono venuti a manifestare nel mondo della globalizza-zione quattro fenomeni strettamente con-nessi tra di loro:

- milioni di persone accedono alla rete. La rete, come veicolo di comunicazione, ha superato per numero di utenti i media tradi-zionali. Anzi, come ho già detto, li ha fatti convergere nel momento della distribuzio-ne e della formazione dei contenuti. È nato e si è affermato l’universo del social net-working;

- sono aumentati di numero gli strumenti di connettività. Sono, quindi, aumentate le ca-pacità e le possibilità di convergenza;

- milioni di persone usano motori di ricerca e strumenti WEB 2.0 (Google, YouTube, Fa-cebook, Wikipedia, Twitter, Instagram ecc.), frutto di una crescita dinamica che ha fatto progredire esponenzialmente la re-te e i contenuti di rete;

- si sono sviluppati nuovi linguaggi e proto-colli 2.0: AJAX, CSS, uso semantico e dina-mico del linguaggio HTML.

E’ così finita l’epoca dell’accesso passivo alla rete, oggi: “gli utenti aggiungono nuovi concetti e nuovi siti”.

Collegamento dopo collegamento, gli uten-ti modellano il WEB.

Un sito tradizionale, è passivo, anche se graficamente molto bello e ricco di informa-zioni unidirezionali, sarà sempre meno fre-quentato, non serve alla comunicazione che si svolge nel WEB. E’ uno tra i tanti mi-lioni di libri già letti, abbandonati in una im-mensa libreria. Se ne perde la memoria, via via precipita nella graduatoria dei moto-ri di ricerca, il vero indice nell’epoca del WEB. Più sei “cliccato” o “taggato” (nuovi termini di un nuovo alfabeto), più scali la graduatoria nel motore di ricerca, più hai successo, più esisti.

La ricchezza e il successo del WEB 2.0 è dato dall’apporto di milioni di persone che condividono una bacheca su Facebook, che usufruiscono delle informazioni fornite da Wikipedia e contemporaneamente ne arricchiscono i contenuti; il WEB 2.0 è fat-to dalle persone che si scambiano filmati su YouTubee che partecipano alla vita dei blog.

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Il WEB 2.0 è il frutto dei miliardi di scatti fo-tografici postati usando Pinterest e Insta-gram.

Il WEB 2.0 è diventato esso stesso un po-tente media che coinvolge attivamente mi-lioni di persone e contemporaneamente ne viene arricchito dalla loro attività.

Fino a qualche anno fa la rete esprimeva le proprie potenzialità (e consentiva aree im-portanti di business) attraverso un rappor-to unidirezionale - passivo si potrebbe dire - tra gli utenti e i produttori che gestivano i “loro portali”.

I portali ci consentivano egualmente di ac-cedere alle notizie (ma non di ordinarle per importanza taggandole), l’e-commerce ci consentiva di acquistare in rete molti pro-dotti, con il limite che il feedback sul pro-dotto acquistato e sul produttore si espri-meva in forme molto limitative e rudimenta-li; la posta elettronica era (e resta) uno stru-mento potente di comunicazione, ma non esisteva la bacheca per condividere ogni tipo di messaggio multimediale. Tutte que-ste applicazioni erano non connesse tra di loro e, soprattutto, non consentivano la partecipazione dell’utente.

Il WEB 2.0, all’opposto, è “user generated content”: questa è la vera trasformazione dei contenuti del WEB.

“Napster (sebbene chiuso per ragioni lega-li) ha costituito la sua rete non costruendo un database di canzoni centralizzato, ma architettando un sistema in modo tale che chiunque scarichi un pezzo, diventi esso stesso un server, facendo quindi crescere il network”. 41

Le piattaforme come Instagram, che con-sentono a milioni di persone di pubblicare sul WEB le loro fotografie per condividerle con altri, consentono che i tag identificativi siano organizzati e proposti dagli utenti stessi.

Le gerarchie sono così definite dall’utente, sono il frutto della sua attività sul WEB (Google insegna).

La scelta fatta a monte dagli sviluppatori dei software 2.0 è quella di concepire una “architettura partecipativa” tale da consen-tire le attività di condivisione degli utenti. Gli utenti sono, quindi, considerati dei co-sviluppatori.

Nella Pubblica Amministrazione italiana sta avvenendo questo processo quando pom-posamente si “codifica” una Agenda Digita-le?

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CAPITOLO 7

WEB 2.0 E DELEGIFICAZIONE PER SMANTELLARE L’ULTI-MO BALUARDO FORDISTA: LA PUBBLICA AMMINISTRA-ZIONE ITALIANA

Nel mondo moderno ci sono ancora due modelli piramidali consolidati fondati sul primato della “forma”.

La Pubblica Amministrazione Italiana e la Corea del nord.

Confesso che quando nel 2009 ho coniato il termine “Ammini-strare 2.0” non avevo ancora ben chiare tutte le implicazioni molto impegnative, anche sul piano ideale, che ho esposto fi-no ad ora.

E, d’altronde, molti Sindaci si sarebbero accontentati di pre-sentare alla comunità dei pubblici amministratori il nostro IRIS

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(interazione partecipativa per la gestione della manutenzione urbana) o ARGOS (ge-stione e condivisione dei problemi della via-bilità acquea) come esempi avanzati di in-novazione. 42

Queste applicazioni possono essere una bella vetrina; sono stati il motivo che ci ha reso protagonisti in anni passati -ma non solo- di molte tavole rotonde e convegni. Onestamente ne sono molto orgoglioso an-che dopo qualche anno.

Ancora oggi sono particolarmente grato al gruppo di informatici di Venis (e a qualche altra Azienda che opera nel settore) che hanno sviluppato questi ed altri applicativi.

Ma, dietro alla realizzazione di questi soft-ware, c’é stata innanzitutto, l’affermarsi di una cultura, il consolidarsi di una convinzio-ne. Insieme devono sovrintendere al cam-biamento urgente della Pubblica Ammini-strazione italiana (ma anche di altri settori produttivi).

Prima di sviluppare un qualsiasi software si deve avere chiara una proposta/progetto di cambiamento della struttura organizzati-va dell’Ente, si deve avere la volontà di combattere la cultura dell’autoreferenziali-tà.

Soprattutto si deve favorire in ogni ambito l’affermazione di un processo partecipativo da parte dei cittadini.

Va abbandonato il mondo che fino ad ora abbiamo conosciuto. Dobbiamo esplorare nuovi territori.

- La partecipazione dei cittadini deve es-sere intrinseca all’architettura del soft-ware.

- Deve cambiare l’organizzazione del-l’Ente pubblico per potersi adeguare al nuovo processo partecipativo.

E poiché i bisogni dei cittadini sono mute-voli, la flessibilità e l’adattabilità devono pervadere l’architettura del software e le soluzioni organizzative. Sono stato (e so-no) un seguace del BETA perpetuo, per usare il gergo WEB 2.0.

David Weinberger ha espresso il seguente interrogativo: “All’inizio del XXI secolo, l’e-Government si farà strada a partire dai Go-verni esistenti come una loro propaggine, oppure stiamo assistendo ad un momento fondante in cui l’e-Government emerge dai nuovi cittadini?” 43

I cittadini - i “nuovi cittadini”- potrebbero diventare così l’agente del cambiamento fin dal momento in cui si approcciano alla

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Pubblica Amministrazione per esprimere i propri diritti.

Tradotto: la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione serve a consolidare in modo moderno e più efficiente ciò che sia-mo già oggi (inefficienze, storture burocrati-che e autoreferenzialità comprese), o con-sente ai cittadini di contribuire al nostro cambiamento (noi Pubblica Amministrazio-ne) nel momento in cui esercitano i loro di-ritti?

Per e-Government intendiamo le “gloriose” reti civiche (i portali istituzionali) già viste e conosciute, fotografia spesso infedele (ci-pria e belletto), di ciò che siamo, la carta di identità elettronica, il libro di testo in forma-to PDF, o si cambia e ci si evolve trasfor-mando l’architettura informatica della Pub-blica Amministrazione? Per e-Government intendiamo quel processo che permette ai cittadini di esprimere, senza momenti di mediazione burocratico/amministrativa, le loro aspettative?

In tutti i casi l’e-Government deve rappre-sentare l’insieme delle politiche per l’inno-vazione che devono pervadere ogni aspet-to della vita dell’Ente Pubblico.

Chi adotta la filosofia “Amministrare 2.0” deve apprestarsi a seguire questa strada, rischiando molto, preparandosi ad affronta-

re continuamente rischi ed incomprensioni. Ma, d’altronde, è questo il destino dei “vi-sionari” e degli innovatori.

La Pubblica Amministrazione va quindi real-mente e profondamente cambiata, abban-donando slogan facili e annunci ad effetto, rinunciando a facili iniziative giustizialiste nei confronti dei pubblici dipendenti, ai quali non possono essere addebitate, co-me facili capri espiatori, tutte le inefficienze del sistema pubblico.

Lavorare di più e meglio è il frutto sicura-mente di un atteggiamento soggettivo - da assoggettare a premi e punizioni -, ma so-prattutto è conseguenza dell’organizzazio-ne del lavoro che si adotta .

E‘ quindi necessario, prioritariamente, met-tere mano, senza esitazione, all’attuale struttura organizzativa che rappresenta il maggiore ostacolo all’affermarsi di una idea più avanzata dell’ eGovernement. Ho già affermato che, senza questi cambia-menti, anche l’Agenda Digitale resterà lette-ra morta.

L’organizzazione della Pubblica Ammini-strazione italiana va delegificata.

Per evidenziare le differenze tra i principi che guidano il mondo (le imprese) 2.0 e la

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Pubblica Amministrazione vorrei riportare alcuni modelli organizzativi 2.0:

- “Le ideagorà consentono alle imprese di accedere a un mercato globale di idee, in-novazioni e menti dotate delle competenze più ricercate, in modo da poterle utilizzare per ampliare le loro capacità di problem solving;

- Le piattaforme partecipative istituiscono un palcoscenico globale sul quale ampie comunità di partner hanno la possibilità di creare valore e, in molti casi, dar vita a nuo-ve imprese nell’ambito di un ecosistema altamente sinergico;

- Le catene di montaggio globali sfruttano tutte le facoltà del capitale umano al di là delle frontiere e dei confini organizzativi, al-lo scopo di progettare e assemblare ogget-ti materiali.” 44

Che mondo è? dice il pubblico dipenden-te, la politica, l’amministratore pubblico. Che cambiamento ci proponi sottoponen-doci queste astruse formule organizzative?

Proviamo a rispondere a questo ideale di-pendente della Pubblica Amministrazione -e anche agli altri- che hanno avuto la bon-tà di arrivare fino a qui.

La struttura organizzativa della Pubblica Amministrazione è rimasta l’ultima espres-sione del “fordismo” dopo che si sono af-fermati in tutto il mondo processi produtti-vi e modelli organizzativi diversi ormai da qualche decennio.

Proviamo allora a scomporre le fasi “di pro-duzione” di un prodotto-servizio in un Ente locale.

Prima dell’erogazione di un servizio (un pro-dotto) offerto ad un cittadino, si sommano in una ideale catena di montaggio:

- le attività di autoriproduzione della mac-china e di autolegittimazione della struttura organizzativa;

- le attività orientate al controllo del rispet-to della prassi, della procedura, dei regola-menti, delle leggi, della “forma”;

- le attività di costituzione dell’atto per con-sentire l’uso delle risorse economiche stan-ziate, secondo il principio in base al quale la Pubblica Amministrazione si esprime at-traverso “atti amministrativi”;

- le attività che consentono l’erogazione del servizio vero e proprio;

- infine, l’erogazione vera e propria del ser-vizio, spesso affidata a soggetti terzi rispet-to all’Ente.

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Ognuna di queste attività è rigorosamente separata dalle altre rispettando uno sche-ma organizzativo “verticale”. Ogni struttura interessata al processo comunica, spesso in modo conflittuale, con altre strutture se-guendo uno schema “verticale”. L’assieme delle strutture verticali viene a formare una sorta di “cubo destrutturato”. Il momento della sintesi è rappresentato dalla delibera (l’atto finale?) alla quale tutti arrivano se-guendo percorsi paralleli, spesso conflittua-li. In fin dei conti, che cosa rappresenta “il parere” di un ufficio, o di un settore che si esprime sul lavoro degli altri, se non una forma di “conflittualità contrattata”.

Al vertice del cubo sono situate strutture di direzione generale (il Direttore Generale), di

verifica della legittimità degli atti (la Segre-teria Generale), le strutture di direzione e indirizzo politico (la Giunta). Per evidenti motivi questi tre “poteri” al vertice non sempre riescono a dare omogeneità al-l’azione del “cubo destrutturato”, che conti-nua ad esprimere nelle proprie strutture una evidente autoreferenzialità.

E poiché la “comunicazione” unidirezionale assume spesso caratteristiche di conflittua-lità tra le strutture verticali, l’attività di ogni dipendente tende ad annullare quella di un altro, ad assumere cadenze temporali inde-finite ed indefinibili per gli utenti finali.

Nella logica autoriproduttiva del “cubo de-strutturato”, il “tempo” e la “qualità del pro-

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dotto”, così come pretesi dal cittadino, so-no fattori estranei, sono variabili indipen-denti, sono lasciati all’intermediazione poli-tica.

E’ evidente la differenza tra questa struttu-ra organizzativa (fordista) e il modello wiki-nomics-WEB 2.0?

Da una parte verticalità ed incomunicabili-tà, dall’altra capitale umano che opera tra-scendendo dal luogo fisico perché la rete ci offre il meglio

Da una parte l’autoreferenzialità, dall’altra la partecipazione, anche se si opera in am-biti aziendali diversi!!!

E chiara la differenza? Sono chiari i vantag-gi e gli svantaggi per i cittadini e i lavorato-ri della Pubblica Amministrazione a secon-da che si adotti un modello organizzativo piuttosto che un’altro. Cosa ci impedisce di introdurre nella Pubblica Amministrazio-ne il modello organizzativo della wikino-mics, del crowudsourcing, del social net-working?

Non c’é una legge che lo vieti. Lo impedi-scono le consuetudini, l’assenza di corag-gio, una vecchia cultura organizzativa.

Come cambiano i software e l’uso della re-te nei due diversi modelli?

L’architettura dei software gestionali nella Pubblica Amministrazione, è plasmata se-condo la struttura organizzativa “fordista”, riproducendo e codificando la separatezza tra i diversi settori. Gli “applicativi” del set-tore anagrafe non sono concepiti per dialo-gare con la cartografia del SIT. Ancora me-no sono concepiti per poter dialogare con le banche dati di un altro Enti Pubbblico.

Pensate al perché un cambio di residenza anagrafica debba trasformarsi in un suppli-zio e in una perdita di tempo per un cittadi-no

In questo modo i software non aiutano il sistema ad esprimere organicità, non godo-no delle necessarie integrazioni. Ogni for-ma di integrazione sembra impossibile, o è enormemente difficoltosa nella sua realizza-zione poiché incontra ostacoli burocratici (la resistenza di chi difende la titolarità e il primato del “suo” software, la proprietà del “suo” database) o strutturali (software pro-gettati secondo logiche diverse).

Un server, secondo questo schema, è il luo-go dove si sommano e non si integrano le diverse componenti della rete informatica dell’Ente.

Non invidio il compito delle aziende che for-niscono servizi informatici alle Pubbliche Amministrazioni e che si assumono l’onere

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di essere il “system integrator” di questa Babele organizzativa!!!

Provate a confrontare questo processo, i suoi tempi, i suoi riti, le sue regole, la sua “verticalità”, l’autolegittimazione di ogni parte della sua struttura (indipendentemen-te dall’importanza effettiva che oggettiva-mente dovrebbe assumere) con la logica della novecentesca catena di montaggio, con la cultura fordista, con il taylorismo.

Provate a paragonare gli atti dei singoli la-voratori, le modalità di lavorare, l’uso delle componenti con le quali venivano assem-blate le parti di una automobile (di una lava-trice, di una televisione) qualche decennio fa e il processo che porterà all’emissione di un “permesso a costruire”, all’erogazio-ne di un servizio di assistenza domiciliare.

Le differenze sono “solo” quelle legate alla natura del prodotto erogato, ad una mag-giore attenzione ai costi sostenuti (nel pri-vato), ma tutto il resto...

Non stiamo assistendo a un bel tuffo nel passato? Siamo a ben prima della cultura organizzativa della “qualità totale”.

Nel frattempo, per fare un esempio calzan-te, nel “mondo reale” non esiste più la se-paratezza tra i “lavori pubblici”, “l’urbanisti-

ca”, “l’edilizia pubblica o privata”, “l’am-biente”, “l’anagrafe”.

Il “mondo reale” esige il governo del territo-rio.

La normativa urbanistica ed edilizia, la nor-mativa ambientale, il “piano triennale dei lavori pubblici”, che si sommano tra di lo-ro, che non si integrano, che non si fondo-no organicamente, sono un vincolo, un im-pedimento mortale allo sviluppo economi-co e sociale di un territorio. Di più, rappre-sentano l’impossibilità di esercitare i mo-derni diritti di cittadinanza.

Queste considerazioni valgono ancora di più nei settori in cui si erogano i servizi di welfare, perché questo settore -il welfare- viene ad incrociare i bisogni della parte più debole della popolazione o la più bisogno-sa di assistenza o che necessita della frui-zione di un servizio.

Le leggi, frutto del patto sottoscritto tra Go-verno e cittadini, che dovrebbero dettare le condizioni di convivenza tra noi tutti, sono vissute invece dalla generalità della popola-zione come un ostacolo incomprensibile e come una forma persecutoria.

La “politica” colpevolmente non ha opera-to per ricomporre la frammentazione; anzi, la “politica”, legificando, ha accentuato la

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frammentazione per aumentare il proprio potere.

L’assieme di questi fattori ha consolidato l’incomunicabilità tra il cittadino e la Pubbli-ca Amministrazione; questa organizzazio-ne ne ha fatto emergere gli aspetti peggio-ri, favorendo l’inefficienza ed ogni aspetto deleterio a partire dagli episodi frequenti di corruzione.

Per questo la Pubblica Amministrazione ol-tre che essere un’espressione del passato, un generatore di costi, rappresenta un fre-no allo sviluppo del Paese.

La “politica” ha giustificato la propria as-senza riformatrice alimentando un’assurda ideologia che ha teorizzato la contrapposi-zione tra “il pubblico” e “il privato”.

L’uno identificato come sede di ogni nefan-dezza, l’altro come luogo di virtù. E’ chiaro che così non si attua nessuna riforma; una facile banalizzazione della concezione di “pubblico” e di “privato” e del loro ruolo non necessariamente conflittuale fa solo parte di una facile propaganda che ci ripor-ta al secolo appena trascorso.

Evidentemente le tecnologie e la rete da sole sono impotenti ad essere lo stru-mento di cambiamento in presenza di un’organizzazione “autoreferenziale” ed

eccessivamente “normata” e “legifica-ta”.

Paradossalmente le innovazioni tecnologi-che che favorissero l’efficienza del potere autoreferenziale, mantenendone però inal-terata la sostanza, aiuterebbero solo a raf-forzare il ruolo dei burocrati nel loro rap-porto con i cittadini.

E’ il limite negativo più evidente delle vec-chie politiche per “l’automazione” degli En-ti pubblici riproposte oggi nelle leggi defini-te Agenda Digitale.

Non è abnorme che per eliminare l’uso del fax nella comunicazione tra diverse Pubbli-che Amministrazioni e sostituirlo con la mail, si sia dovuto varare un “combattutissi-mo” provvedimento legislativo?

E, non sarebbe forse da cacciare quel Sot-tosegretario che, per giustificare la sua op-posizione a questo “banale provvedimen-to”, ha affermato che “Internet si può gua-stare?”

Per citare ancora David Weinberger: “Oggi i Governi guardano a internet per rendere più efficienti e trasparenti le loro funzioni tradizionali. In termini di efficienza, l’elettro-nica e la digitalizzazione dei dati superano senza problemi code e moduli cartacei.” 45

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Per quanto detto fino ad ora, se i cittadini vivono la loro vita di ogni giorno usufruen-do di “convergenza”, l’innovazione fa emer-gere ora una contraddizione insanabile con la “separatezza” imposta dall’organizzazio-ne del lavoro dell’Ente pubblico.

Non è la scelta “esclusivamente organizza-tiva” di costruire uno “sportello unico” (per quanto efficiente esso sia) che ci salva la coscienza. Non è manifestazione di effi-cienza la pedissequa applicazione dei mo-delli organizzativi burocratici riprodotta dal-la Posta Elettronica Certificata.

La norma assurda può perseguitare un cit-tadino in modo più efficiente “in un luogo solo”, piuttosto che “in più luoghi”, ma la sostanza non cambia.

La buona gestione di ciò che è “pubblico” rappresenta un principio etico ed è questo principio e tutto ciò che ne deriva, che va tutelato dalla legge. Il rafforzamento per via legislativa del “principio etico” rappre-senta un valore positivo per la Società.

Il configurarsi dell’organizzazione dell’Ente, nella sua progressiva articolazione e tra-sformazione per adattarsi ai bisogni della società, va invece esclusa dall’ambito legi-slativo: essa è solo un mezzo. Non si pos-sono confondere il principio etico con le strutture e le prassi organizzative. Un con-

to è il principio da salvaguardare, un conto sono gli strumenti per salvaguardarlo.

Sto dicendo che ogni Ente Pubblico do-vrebbe organizzarsi come meglio ritie-ne. La legge non c’entra nulla.

I Regolamenti sulla P.A. digitale costituisco-no solo un impedimento all’innovazione.

Chiariti questi presupposti vanno allora ri-progettate le politiche per “l’automazione” dell’Ente pubblico.

I software (gli strumenti abilitanti) “Ammini-strare 2.0” c’entrano pochissimo con le tra-dizionali architetture informatiche dell’Ente locale.

Per intenderci, i tradizionali software gestio-nali per l’anagrafe, per i servizi demografi-ci, per la gestione della contabilità dei lavo-ri pubblici ecc. rappresentano la tradizio-ne, per quanto efficienti essi siano.

Si tratta spesso di ottimi software, ma diffi-cilmente integrati tra di loro, poiché sono a supporto di una struttura organizzativa ver-ticale e non sono stati concepiti per una dif-fusione massiccia del WEB, per favorire un dialogo continuo con gli utenti. Sono software indispensabili per la vita dell’Ente (sicuramente dovrebbero essere integrati tra di loro!!!), ma rappresentano una fase

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della vita dell’Ente destinata ad essere su-perata.

La digitalizzazione e l’automazione 2.0 de-vono rispondere a politiche e a principi or-ganizzativi e gestionali diversi, devono ri-spondere ad un nuovo decalogo culturale.

Ho sistematizzato e ordinato questi princi-pi dando vita ad una sorta di “Cluetrain Ma-nifesto” per le Pubbliche Amministrazioni. 46

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CAPITOLO 8

IL PRINCIPI PER FAVORIRE L’ INNOVAZIONE ORGANIZZATI-VA DI UNA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

L’attuale organizzazione di un Ente pubblico è figlia di un’epo-ca in cui le persone chiedevano ad una Amministrazione pro-dotti semplici e unici.

Il certificato anagrafico è un unico “prodotto”.

Quando si trattava di erogare prodotti “complessi”, essi veni-vano “assemblati” sommando in modo meccanico parti che venivano implementate e conservate in modo “celibe”.

L’organizzazione dell’Ente è ancora oggi assimilabile all’idea della “macchina celibe”. Naturalmente non mi riferisco alle “macchine celibi” di Marcel Duchamp, quanto piuttosto agli

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oggetti che non sono integrabili tra di loro in modo organico.

In un bellissimo libro, 47 Federico Butera af-fermava che le imprese nei loro modelli or-ganizzativi dovevano tendere ad imitare gli organismi viventi, piuttosto che assembla-re singoli componenti rigidamente separati tra di loro.

La Pubblica Amministrazione è spesso an-cora organizzata per parti separate, senza organicità.

Come abbiamo visto il WEB per dispiegare tutte le sue potenzialità ha bisogno di orga-nicità. La digitalizzazione di una Pubblica Amministrazione per potersi affermare ha bisogno di relazioni e integrazioni fino ad ora sconosciute a questi mondi.

Il WEB 2.0 è organicità, interazione, bidire-zionalità, apertura.

I city user oggi richiedono “prodotti com-plessi” figli di interazioni e di organicità. An-zi, a volte pretendono di poter autoassem-blare il loro prodotto.

La Pubblica Amministrazione oggi non con-cepisce culturalmente i “prodotti comples-si”. La Pubblica Amministrazione non attri-buisce un valore decisivo ai concetti di

“tempo”, “valore del prodotto”, “trasparen-za”.

Da questo gap culturale e organizzativo na-scono i ritardi, gli sprechi, gli episodi di cor-ruzione.

Ecco un motivo in più perché a fianco o, forse, prima di qualsiasi misura figlia di una “Agenda Digitale” c’é bisogno di un profondo cambiamento dei modelli e della cultura dell’organizzazione.

Ecco allora alcuni principi che potranno guidare un cambiamento organizzativo “web oriented”.

- INTERNET è il luogo dove risiede la co-noscenza collettiva;

- Tutti i dati vanno aperti e resi disponibi-li;

- Tutti partecipano alla costruzione della conoscenza;

- Le procedure e la filosofia WEB 2.0 tra-sformano i favori per alcuni in diritti per tutti;

- Il WEB 2.0 non è una tecnologia, è con-tenuti generati dal processo di collabora-zione tra gli utenti;

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- Il processo collaborativo ha come pro-tagonisti i city user e i pubblici dipenden-ti;

- Il cittadino esige il rispetto dei propri di-ritti, non necessita di favori;

- Il processo collaborativo ha come finali-tà la risoluzione dei problemi dei cittadini;

- La qualità del prodotto finale è determi-nata dal miglioramento del processo di collaborazione fra i molti;

- Le azioni positive dell’ente si basano sulla collaborazione;

- La crescita di produttività dell’Ammini-strazione pubblica si basa sul successo dei processi di collaborazione;

- La conoscenza anche in un ambiente urbano è il frutto dei processi di condivi-sione;

-Di conseguenza, collaborare implica ab-bandonare il termine “mio”, sostituendolo con il termine “nostro” (è necessario pas-sare da: il mio documento, la mia proce-dura, la mia conoscenza, a: i nostri docu-menti, la nostra procedura, la nostra co-noscenza).

I principi dell’ “Amministrare 2.0” trovano applicazione attraverso Tre Verbi che stan-no ad indicare azioni, attività, prassi da consolidare.

I TRE VERBI: COLLABORARE, COMUNI-CARE, DEMATERIALIZZARE

- Collaborare implica la capacità di comuni-care, continuamente;

- Comunicare implica avere a disposizione tutti gli strumenti di conoscenza;

- La comunicazione è figlia di un processo bidirezionale di informazione;

- La comunicazione WEB 2.0 rompe le tra-dizionali gerarchie; pone tutti alla pari, valo-rizza le competenze individuali, mette a di-sposizione di tutti gli attori le conoscenze;

- Evitare che la carta, la lettera, il fax, giusti-fichino l’esistenza della posizione lavorati-va e giustifichino un lavoro;

- La posta, il documento, l’atto amministra-tivo, la cartografia si visualizzano, non si stampano, non si spediscono.

Naturalmente quello illustrato dovrà essere un processo di cambiamento costante/con-tinuo.

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Esso non sarà sempre lineare nel suo mani-festarsi.

Purtroppo non sarà irreversibile (almeno per un importante periodo di tempo).

Questo processo incontrerà ostacoli e resi-stenze continue nell’affermarsi.

Una Amministrazione che deciderà di intra-prendere questa strada difficile e faticosa non dovrà considerarsi la più “brava della classe”.

Dovrà essere consapevole di aver imbocca-to una strada di costante trasformazione. Dovrà essere convinta di non essere la so-la nel mondo della Pubblica Amministrazio-ne a lavorare quotidianamente per il cam-biamento; per questo andrà incentivato in modo trasparente sul WEB uno scambio di “best practices” con gli altri soggetti impe-gnati nell’innovazione.

Affinché questi principi si attuino, c’é, però bisogno dell’impegno comune di alcuni soggetti che dovrebbero stringere tra di lo-ro un patto esplicito per l’innovazione della Pubblica Amministrazione:

- il mondo degli “Amministratori illuminati”, costantemente in rete tra di loro, che colla-borano, indipendentemente da ogni forma di appartenenza politica. Sono gli Ammini-

stratori convinti dell’importanza di innovare l’Ente pubblico; essi sono consapevoli che innovare l’Amministrazione è la condizione per cambiare il territorio;

- i pubblici dipendenti che hanno maturato una “professionalità da dilettanti” nel loro vivere quotidiano l’innovazione e Internet. Sono coloro che soffrono una situazione di schizofrenia che li vede “innovatori nella vi-ta privata” e “operai fordisti” nel lavoro di ogni giorno. Sono i pubblici dipendenti che considerano un arricchimento professiona-le e personale il rapporto bidirezionale con i cittadini (cittadini essi stessi), che recupe-rano il “senso etico” del loro essere pubbli-ci dipendenti. Sono i pubblici dipendenti orgogliosi, perché consapevoli di partecipa-re al processo di innovazione del Paese, convinti che la loro retribuzione vada lega-ta al merito individuale, piuttosto che all’an-zianità di servizio;

- i cittadini (meglio i city user) sia come sin-goli individui (il social networking è espres-sione di individualità) che esprimendosi at-traverso le loro organizzazioni. Essi colgo-no le straordinarie opportunità di cambia-mento offerte dal WEB 2.0 applicato alla Pubblica Amministrazione. Sono i cittadini che pretendono di partecipare, di condivi-dere, di esprimere la loro opinione senza delegare ogni scelta alla “politica”. È il citta-

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dino che non si considera il giudice del pubblico dipendente, bensì il soggetto prin-cipale del cambiamento, perché è a lui e al soddisfacimento dei suoi bisogni che è ri-volta l’attività di innovazione della Pubblica Amministrazione;

- il mondo dei produttori di prodotti WEB per le Pubbliche Amministrazioni (i ven-dors). Essi devono vedere nella moderniz-zazione della Pubblica Amministrazione “non banalmente” un’opportunità per svi-luppare il proprio business (...anche se que-sta intenzione è assolutamente legittima), ma una opportunità per innovare anche sé stessi e le proprie attività, i propri prodotti, le proprie aree di business.

I pubblici amministratori non hanno più bi-sogno di chi si presenta per offrirgli un “software celibe” (per quanto avanzato es-so sia), oggi abbiamo bisogno di progetti-sti di sistemi organizzativi ed informatici fondati sulla rete.

Si ricordi quanto ho affermato più sopra: “la partecipazione dei cittadini deve essere intrinseca all’architettura del software”. Per dirla in una battuta: “meno muratori, più ar-chitetti”.

Il supporto legislativo (una vera Agenda Di-gitale) dovrà essere concepito per favorire questo processo (più ex post che ex ante),

per sburocratizzare, per delegificare, per esaltare le “best practices” di una Comuni-tà.

L’organizzazione del Comune di Venezia sa-rà sempre assolutamente diversa da quella del Comune di Crotone e di Mantova.

Il Ministero dei lavori Pubblici dovrà orga-nizzarsi in modo diverso da quello della Pubblica Istruzione.

Questi Enti non potranno mai essere ricom-presi in un unico corpo legislativo che pre-tenda di dettarci modelli organizzativi omo-genei e eguali per tutti.

Si rafforzino attraverso modifiche legislati-ve i principi generali, si delegifichi la moda-lità di organizzare l’Ente. Si premino i Co-muni (gli Enti pubblici) che scelgono di in-novare davvero, che scelgono di investire le proprie risorse nella rete a banda larga, nel wifi, nelle tecnologie WEB 2.0.

Poco importa se scelgono, per attuare que-ste politiche, soluzioni “in house” - come ha fatto il Comune di Venezia - o si affidino alla collaborazione con le imprese dell’I.C.T. terze. Il mercato dell’innovazione è talmente vasto da consentire margini di lavoro per tutti i soggetti imprenditoriali pubblici o privati che siano.

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CAPITOLO 9

OBIETTIVO INTEGRAZIONE - UNA DIVERSA ARCHITETTU-RA DI RETE: IL MILLEFOGLIE

Molte Amministrazioni possiedono un patrimonio (frutto di co-spicui investimenti avvenuti negli anni) costituito dai software applicativi tradizionali sviluppati su logiche “verticali”.

Si sono accumulate conoscenze e informazioni del territorio che, poiché non sono sempre integrate tra di loro, restano ine-spresse nella loro potenzialità.

La graduatoria degli aventi diritto ad un posto in un asilo nido, se scollegata dal database dell’anagrafe e dalla cartografia del SIT ha uno scarso valore e, soprattutto impedisce al cittadino di interagire organicamente con l’Amministrazione comunale.

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Page 59: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

Il cittadino così può trovarsi nella condizio-ne di essere di volta in volta, l’utente di un asilo nido, il residente in un immobile che vuole capire a quanto ammonta l’imposta IMU, il cittadino che deve rinnovare la car-ta d’identità. Ma i bisogni dei cittadini, evi-dentemente non si manifestano seguendo le nostre logiche organizzative, la “vita rea-le” si manifesta secondo altre modalità.

Tiro un velo pietoso sulla volontà delle di-verse Pubbliche Amministrazioni di far dia-logare e di aprire i “loro” silos di dati.

Mi permetto di suggerire alle Amministra-zioni di perseguire la costruzione di una ar-chitettura di rete finalizzata a consentire al cittadino, o al dipendete del Comune l'ac-cesso ai data base o alla cartografia secon-do una logica che privilegia l’integrazione delle funzioni. 48

Ciò potrà avvenire attraverso la rappresen-tazione cartografica della Città (la georefe-renziazione, o attraverso l’identificazione di un problema secondo una casistica prede-terminata (ad es. la scuola, il lavoro, la cul-tura ecc.) usando poi un motore di ricerca per spostarsi nel sito.

Il nome dell’architettura MILLEFOGLIE sta a rappresentare una costruzione logica e funzionale che sovrappone strati di cono-

scenza, mettendo in relazione database già esistenti.

Tali strati (database, set di dati, conoscen-ze) sono relativamente poveri di funzionali-tà se presi ognuno a sé stante, si arricchi-scono invece se sono messi in connessio-ne, se sono sovrapposti tra di loro. 49

L’architettura del sistema dovrà avere ca-ratteristiche di grande flessibilità, dovrà consentire l’implementazione di ulteriori al-tre funzioni, anche non proprietarie (open source), adattandosi ai problemi e alle tra-sformazioni del territorio.

Si tende così a superare la storica incapaci-tà delle “ottime cartografie” (urbanistica e lavori pubblici) e aggiornati data base (tri-buti, anagrafe, lavori pubblici, ecc.) di dialo-gare tra loro.

Si assumono così alcuni fondamentali del-la filosofia WEB 2.0: non si lavora per sé stessi, ogni conoscenza va connessa a quella degli altri, il prodotto finale è il frutto dei processi di collaborazione.

Il prodotto finale è teso non solo a migliora-re le prestazioni interne all’Ente, ma anche ad offrire ai cittadini un miglior accesso al-le conoscenze e ai servizi comunali, un si-stema più intuitivo e più ricco di funzioni.

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Nella costruzione del “Millefoglie” (su que-sti principi è stato costruito un software co-me IRIS), utilizzando le potenzialità tipiche degli “ambienti 2.0” si deve usare la tecni-ca del mash up, il mescolare cioè applicati-vi diversi, prodotti da software house diver-se (uso dell’open source).

“Nel WEB 2.0 nascono le mash up, cioè la combinazione e integrazione leggera (li-ghtweight) di due o più servizi offerti da siti Web come Google, eBay e così via, in un nuovo sito o servizio...si possono assem-blare servizi gratuiti e funzionalità disponibi-li in Rete, realizzando nuove e innovative applicazioni. Questo proprio grazie alla grande abbondanza di API che si possono trovare sul Web.” 50

L’uso degli open source, nella loro accezio-ne più ampia, dovrà essere un’ulteriore scelta strategica di una Amministrazione senza alimentare però contrapposizioni ideologiche con le piattaforme chiuse. So-no ancora in larga parte le più diffuse.

La cartografia di base potrà anche essere quella “canonica” del SIT comunale, ma es-sa andrà mescolata con Google Maps, con la cartografia Microsoft Virtual Earth. Que-sti prodotti dovranno essere poi concepiti per integrarsi con le piattaforme di social

networking (da Twitter a WAZE, a Foursquare).

Questo processo rappresenta la dimostra-zione della potenza dei sistemi fondati sul-la collaborazione, sull’open source, sull’ar-ricchimento reciproco. Si può mescolare (MASH UP) una cartografia Google Maps e il database del servizio ecografico del Co-mune, il social network WAZE e ottenere un ottimo prodotto.

Vorrei ora, in modo esemplificativo, artico-lare il rapporto tra il bisogno del cittadino, o dell’impresa, trasformando così il termi-ne “diritti” in azioni secondo una logica consequenziale.

Quelli che indicherò di seguito rappresenta-no i possibili “prodotti complessi” richiesti dai cittadini.

Questo esercizio ci servirà per far compren-dere appieno la funzionalità reale dell’archi-tettura “MILLEFOGLIE” e il salto culturale che essa richiede per dispiegare le proprie potenzialità.

IL DIRITTO DEL CITTADINO:

(naturalmente questi sono solo di esempi di possibili strutture da costruire)

- accedere al sistema, tramite la pagina WEB dell’ Amministrazione, attraverso il

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proprio codice di indentificazione (o la use-rid e la password di “Cittadinanza Digita-le”). La pagina WEB selezionata diventa la Intranet del Cittadino. Questa pagina è per-sonalizzata;

- digitare l'anagrafico della propria abitazio-ne;

- conoscere l’ammontare dell'IMU che de-ve essere corrisposto (l'affitto nel caso di una abitazione comunale), conoscere le modalità di calcolo dell'IMU da corrispon-dere ed effettuare il pagamento online;

- conoscere l'ammontare delle bollette del-l'acqua e la TIA (anche in questo caso le modalità di calcolo);

- conoscere la disponibilità di posti negli asili nido o nelle scuole materne della zona di residenza, iscrivere il bambino, pagare la retta;

- per ogni servizio il cittadino deve essere in grado di comunicare in rete con l’Ammi-nistrazione, deve poter discutere con gli al-tri utenti e con i dipendenti sull’efficienza del servizio erogato, deve poter esprimere il proprio feedback sulla qualità del servi-zio.

IL DIRITTO DELL'IMPRENDITORE, DEL PROFESSIONISTA

- accedere alla pagina web dell’Amministra-zione attraverso il proprio codice di indenti-ficazione;

- digitare l'anagrafico dell'immobile sogget-to a ristrutturazione, o identificare l'area per la domanda di un plateatico, ecc. (si tratta solo di esempi);

- conoscere la destinazione urbanistica del-l'immobile o gli spazi pubblici ancora a di-sposizione per richiedere un plateatico;

- conoscere l'ammontare dell'IMU, della CIMP, le bollette dell’acqua, la TIA ecc.;

- dialogare attraverso la PEC o direttamen-te attraverso la pagina WEB con gli uffici, con altri Enti -a partire dalle Camere di Commercio- verificare la documentazione necessaria prima della formalizzazione del-le richiesta di permesso, ottenere i permes-si. Soprattutto, seguire in modo trasparen-te l'iter della domanda.

INTERAGIRE CON I PROGRAMMI DI MA-NUTENZIONE DELLA CITTA', CONOSCE-RE LO SVOLGIMENTO DELL'AZIONE AM-MINISTRATIVA, VERIFICARNE I RISULTA-TI.

- il cittadino accede alla pagina WEB del-l’Amministrazione attraverso il proprio codi-ce di indentificazione;

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- individua la via, la scuola, il monumento, l'immobile pubblico oggetto di intervento (database dei lavori pubblici programmati);

- conosce i tempi e i costi di realizzazione;

- in caso di manutenzione stradale o della viabilità viene informato sui percorsi alter-nativi, sulle soste, sulle aree di parcheggio; la copertura WIFI delle principali vie di co-municazione, o la diffusione della connetti-vità a banda larga può consentire un colle-gamento costante tra viaggiatori e settore viabilità del Comune;

- interloquisce, assieme ad altri cittadini, con gli organi politici, amministrativi e tecni-ci usando i blog, i forum in rete, i social net-work ecc..

Mi sono limitato ad indicare alcune possibi-li applicazioni.

E allora, servono nuove leggi per rendere la vita più semplice ai cittadini e per far la-vorare meglio i pubblici dipendenti?

Sicuramente è necessario delegificare i pro-cedimenti, imparare a lavorare nel rispetto degli obiettivi. La forma, la prassi consoli-data, la norma sono i retaggi del passato.

ALCUNE BEST PRACTICES REALIZZATE AL COMUNE DI VENEZIA 51

Consiglio di visionare questi applicativi:

- ARGOS (www.argos.venezia.it);

- IRIS (http://iris.comune.venezia.it/);

- BARIS (http://baris.comune.venezia.it/);

- Ele.G.I. (http://elegi.comune.venezia.it)

Sono quattro esempi di applicativi che con-sentono l’interlocuzione tra i cittadini e l’Amministrazione (non con la “politica” - dai favori ai diritti - ricordate!!!) attorno a te-mi nevralgici:

- la gestione della viabilità;

- la gestione degli spazi pubblici destinati ai natanti (a Venezia Centro Storico), que-sto problema vale nella città d’acqua quan-to i parcheggi in una città di terraferma;

- la gestione della manutenzione urbana;

- la gestione del processo elettorale.

Invito il lettore ad esplorare in Internet que-sti quattro siti, e a verificarne tutte le funzio-nalità, confrontandoli con i prodotti della tradizionale “automazione” per gli Enti loca-li.

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Page 63: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

Sono replicabili ed utilizzabili ovunque.

Mi permetto di sottolineare che, nonostan-te siano ancora avanzatissimi sotto il profi-lo concettuale, risentono di un limite.

Sono stati concepiti, meglio ideati, nell’epo-ca (si fa per dire, 2009) in cui l’uso dei so-cial network non era così diffuso e permea-to come oggi. Nel 2013 li concepirei come strutture integrabili a quelle dei social net-work o, essi stessi, come social network.

Naturalmente li renderei fruibili prevalente-mente da mobile su piattaforme Android, IOS o altre meno diffuse.

In tutti i casi, voglio evidenziare alcune ca-ratteristiche che contraddistinguono questi software:

- il cittadino è il protagonista dell’applica-zione, è lui che ne fornisce i contenuti, che la fa crescere (user generated content); il cittadino quindi non è uno spettatore, dialo-ga direttamente con gli uffici che hanno do-vuto adattare la loro organizzazione a que-sto nuovo modo di dialogare;

- l’interlocutore del cittadino è un’unica en-tità (il Comune), non la galassia “delle no-stre competenze” (ad es. IRIS non ammet-te la risposta “non è di mia competenza”);

- l’Amministrazione deve rispondere sem-pre al cittadino, si impegna, indica i tempi di realizzazione dell’opera o i motivi per i quali un problema non viene risolto;

- il problema segnalato dal cittadino esce dalla sfera privata; il problema viene assun-to dall’intera collettività. Tutti i cittadini “ve-dono tutto”, l’intero processo diventa così trasparente. Ci trasformiamo davvero in una Comunità;

- viene valorizzata la capacità del cittadino nell’uso delle tecnologie di rete, che diven-tano così “utili”, necessarie, strumento nuo-vo e importante per dialogare con la Pubbli-ca Amministrazione;

- poiché non c’é più bisogno dell’interme-diazione politica per “rimuovere un cumulo di rifiuti”, i diritti, davvero, non sono più il frutto di una cortesia da parte del mondo politico;

- tutti gli applicativi vanno concepiti come una infinita fonte di dati e di informazioni generate dai cittadini. Questi dati possono essere utilizzati dall’Amministrazione ad es. per la programmazione dei lavori pub-blici, della viabilità ecc.;

- infine, IRIS, BARIS, ARGOS consentono ai cittadini di dialogare tra di loro, di com-mentare, di influenzare le scelte dell’Ammi-

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nistrazione senza che le “loro conversazio-ni” siano filtrate da nessuno.

Devo dire che, tranne rarissime eccezioni ha funzionato la regola non scritta tra gli utenti del WEB: “chi scrive sciocchezze” viene emarginato dalla comunità.

Poiché siamo assertori della logica del-l’open source, consigliamo che questi soft-ware debbano essere messi a disposizio-ne, “dati in uso gratuito” ad ogni Ammini-strazione locale che intenda usarli ed arric-chirli.

Naturalmente i software arricchiti andran-no messi di nuovo a disposizione di tutti.

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CAPITOLO 10

UN ESEMPIO CONCRETO DI PRODOTTI INTERATTIVI

IL PROGETTO “SMART SOCIAL SYSTEM” 52

Ho introdotto a questo punto dello scritto originale il draft che ho scritto nel 2011 per partecipare al bando europeo (7° pro-gramma quadro sulla cooperazione) “Sfida: mobilitazione del-la conoscenza ambientale per le politiche ambientali e sociali.Sviluppo di sistemi informativi e di monitoraggio am-bientale basati sulla comunità impiegando nuove ed innovati-ve applicazioni di osservazione della terra”.

Questo scritto rappresenta, nel miglior modo possibile, la mia idea aggiornata di integrazione, di prodotto complesso, di uso dei social.

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Il progetto “SMART SOCIAL SYSTEM”, rea-lizzato in collaborazione con il Comune di Bologna, non fu finanziato dall’Unione Eu-ropea in quanto ritenuto “eccessivamente evoluto”. Anche per questo motivo lo ripro-pongo

“L'obiettivo del progetto è quello di svilup-pare un sistema che consenta di suscitare tutte le energie, le sensibilità, le conoscen-ze dei "city user" per migliorare la sosteni-bilità ambientale in un ambiente urbano.

È nostra profonda convinzione che non sia-no praticabili politiche rivolte alla sostenibi-lità ambientale, soprattutto negli ambiti ur-bani, senza il pieno coinvolgimento dei cit-tadini. In definitiva, riteniamo che una politi-ca tesa alla sostenibilità ambientale non possa essere il frutto esclusivamente di im-posizioni e di regole.

Per raggiungere l'obiettivo prefigurato, il pieno coinvolgimento dei cittadini, si svilup-peranno algoritmi per poter rendere visibili costi e benefici nei confronti dell’ambiente derivati dalle azioni umane e delle cose, an-che le più minute.

Si svilupperanno piattaforme di cloud com-puting, applicativi per piattaforme di social network; si utilizzeranno dati provenienti da "oggetti" (Internet of things) sviluppan-do apposite sensoristiche, si studieranno

nuove e diverse forme di visualizzazione della produzione di dati (visualizzazione dei BIT) da mettere a disposizione dei cittadi-ni.

Già oggi le forme di "governance" di un ambito urbano sono in possesso di una grande mole di dati in grado di rappresen-tare lo stato dell'ambiente.

La grande quantità dati, quasi sempre, non è disponibile in formati condivisi. Spesso i dati non sono accessibili ai cittadini, alle imprese e alle stesse articolazioni attraver-so le quali è strutturata la "governance ur-bana".

I dati sono oggi il frutto di una rilevazione e di una osservazione “statica” e “remota”. Non si sfruttano appieno le immense poten-zialità offerte dal web per generare una vi-sione “dinamica” e condivisa dello stato dell’ambiente in un ambiente urbano.

Parallelamente, negli ultimi anni, si sono sviluppate, grazie al moltiplicarsi delle piat-taforme di "social network", inedite forme di partecipazione alla vita cittadina. Sono migliaia le pagine pubblicate ad esempio su Facebook o oggetto di ricerche sui mo-tori di ricerca, piuttosto che su altre "piatta-forme social", che si propongono di miglio-rare la qualità dell'ambiente urbano, piutto-

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sto che di incrementare la cultura della so-stenibilità ambientale.

Anche questi dialoghi, spesso di alto livello culturale, che rappresentano un evidente "termometro" dello stato dell'ambiente ur-bano, dovrebbero essere messi “a siste-ma”. Questi dialoghi rappresentano un im-portante "valore sociale" per un’area urba-na.

La cultura che sta al fondo dell’uso dei “so-cial”, ormai diffusa in ogni angolo del glo-bo, rappresenta una evidente volontà di partecipazione conseguente alla crisi delle tradizionali forme di rappresentanza e alle nuove potenzialità offerte dalle tecnologie I.C.T..

I dialoghi “social” sono rappresentati in for-mati diversi. Non solo attraverso le tradizio-nali forme di scrittura, ma anche attraverso i filmati, le fotografie, gli audio ecc.

Ci si riferisce in particolare alle piattaforme Internet e alla cultura che le ha ispirate, de-finita WEB 2.0.

Nei prossimi anni assisteremo inoltre al-l'esplosione e alla diffusione di una ampia quantità di dati, generata dalla relazione, grazie a Internet, tra oggetti dotati di indiriz-zo IP (Internet of things). Già oggi una am-pia gamma di oggetti (automobili, biciclet-

te, ecc.) produce, grazie ai sensori (tenden-za incentivata dallo sviluppo dei processi di miniaturizzazione), notizie sullo stato del-l'ambiente e inedite relazioni tra le perso-ne, le cose e l’ambiente.

“...McKinsey prevede che il numero di nodi connessi nell’Internet of Things, conosciuti anche come dispositivi machine-to-machi-ne (M2M), utilizzati nel mondo cresceranno ad un tasso del 20% anno nei prossimi cin-que anni.” 53

Inoltre la diffusione dell'uso degli smart phone consente già oggi ai "city user" (ed agli stessi oggetti) di diffondere continua-mente -non in remoto- dati e dialoghi. 54

I CITY USER COME SOGGETTI PROTA-GONISTI DELLA NOSTRA PROPOSTA

La nostra proposta vede come soggetti ai quali rivolgersi in un ambiente urbano i “city user”. Riteniamo infatti che le azioni che vanno ad influenzare la “sostenibilità ambientale” siano il frutto delle attività dei “residente anagrafici”, degli studenti “fuori sede”, dei lavoratori pendolari, dei turisti.

Tutti questi soggetti elencati ambiscono a diritti di cittadinanza urbana. A tutti va chiesta responsabilità ed assunzione della cultura della “sostenibilità urbana”.

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Parimenti andrà richiesto alle Pubbliche Amministrazioni -ma anche a soggetti pri-vati- di mettere a disposizione i dati in loro possesso secondo i principi che ispirano le azioni definite di “Open Government Da-ta”.

I principi di trasparenza, partecipazione, collaborazione che ispirano le politiche di “Open Government Data” sono gli stessi che possono consentire il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità ambientale.

IN SINTESI:

La prima idea base progettuale (che defi-niamo precondizione infrastrutturale): è quella di studiare lo sviluppo di piattaforme di “cloud computing” per le Pubbliche Am-ministrazioni (e/o per la Governance - com-prendendo i soggetti privati) di un ambien-te urbano.

I soggetti pubblici interessati allo sviluppo qualitativo delle piattaforme di “cloud com-puting” non dovranno limitare la propria di-sponibilità alla sola “digitalizzazione del-l’esistente”, anche se in formato “open”, ma dovranno dichiarare la disponibilità ad arricchire i dati in loro possesso attraverso il dialogo costante generato dalla contami-nazione con le attività sviluppate dal “mon-do dei social media” in tutte le sue forme e piattaforme. 55

I dati così rielaborati ed arricchiti andranno restituiti alla comunità urbana attraverso un circuito virtuoso, fondato sulla filosofia dello scambio. Il flusso di informazioni, in questo modo, non avrà mai interruzione ga-rantendo costantemente relazioni virtuose.

La seconda idea base progettuale: per raggiungere una piena efficacia del siste-ma andrà promosso “l’uso responsabile” (che definiamo precondizione culturale) dei social network e sviluppato un sistema di business intelligence e di “visualizzazione” dei dati (che definiamo precondizione soft-ware - terza idea base progettuale) per cogliere pienamente i fenomeni sociali e i contributi di partecipazione che ivi si mani-festano.

L’idea progettuale si completa con la con-vinzione che sia necessario individuare da parte della “Governance” le forme di pre-mialità dei comportamenti virtuosi, da con-trapporre alla moltiplicazione delle pratiche sanzionatorie e di proibizione.

Per raggiungere questo obiettivo il proget-to si propone di studiare, in collaborazione con la “Governance” e i “city user” le diver-se forme premiali, anche quelle di caratte-re fiscale e/o agevolativo.

I limiti (ad esempio alla circolazione delle persone e dei mezzi nelle aree urbane) e i

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divieti non generano quasi mai risultati ap-prezzabili.

Limiti e divieti contribuiscono inoltre ad ac-centuare il distacco tra “city user” e “Go-vernance”, incentivando il consolidarsi di una cultura che considera la sostenibilità ambientale come un limite allo sviluppo.

Rileviamo infine, come il progetto da noi proposto vada inserito in quell’alveo più ampio di attività che l’Unione Europea defi-nisce “Smart Cities”.

In particolare vogliamo qui affermare una nostra visione olistica dell’idea di “Smart Cities”. Non casualmente il nostro progetto si prefigura la realizzazione di un “sistema” e non, al contrario, della somma di singole iniziative, per quanto positive esse possa-no apparire.

Definiamo questa positiva collaborazione frutto della contaminazione tra dialoghi di-versi generati da persone e/o da oggetti: “SMART SOCIAL SYSTEM”

Poiché il proponente intende sviluppare le attività di ricerca, per le quali si chiede il

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contributo, in un’area urbana ben stabilita, si potranno seguire diverse variabili.

Particolarmente proponiamo lo studio di variabili (azioni) ben definite.

Ci si propone di sviluppare, attraverso una attività di “mash up” tra dati offerti da sog-getti diversi (soggetti istituzionali pubblici e privati, piattaforme web come Google, Flickr ecc.), una piattaforma di dialogo geo-referenziata, da postare sui social network esistenti.

Si intende per “mash up” la combinazione e l’integrazione leggera (ligthweight) di ser-vizi offerti da diversi siti web in un nuovo

servizio. La piattaforma verrà denominata “Ambientalmente”.

I dati che consentiranno alla piattaforma di “essere partecipata” affluiranno grazie ad

un processo denominato “user generated content”. I contenuti saranno cioè prodotti dai “city user” (ma anche attraverso lo svi-luppo di Internet of things”) attraverso le diverse attività finalizzate al raggiungimen-to di obiettivi di sostenibilità ambientale.

In primis, l’inaugurazione di un servizio che consentirà di rilevare, attraverso l’incentivo all’uso di biciclette dotate di sensori (o au-tomobili elettriche) e/o agli smart phone, i

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Page 71: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

livelli di inquinamento dell’aria (ad es. CO2, PM10, Idrocarburi/benzene) per favorire azioni partecipate che li riducano sensibil-mente.

Parallelamente andrà promossa e sviluppa-ta una attività, da parte dei “city user”, vol-ta a fotografare, commentare, georeferen-ziare (uso dei TAG) attività o situazioni vir-tuose sotto il profilo della sostenibilità am-bientale.

La rilevazione e la votazione (espressione di gradimento - like) dei comportamenti vir-tuosi incentiverà una competizione virtuo-sa e il tangibile raggiungimento di obiettivi condivisi.

I “comportamenti e le situazioni virtuose” saranno evidenziati e commentati nei “so-cial network”, potranno altresì essere visua-lizzati in real time su “Media Facade”, con-cepita come bacheca collettiva dei dialo-ghi web della città e come forma di visualiz-zazione dello stato dell’ambiente nell’area urbana.

La “Media Facade” è concepita come una “finestra” sui dialoghi web, va realizzata perciò come un terminale web. 56

Seguendo una logica di “multicanalità”, ci si propone altresì di studiare e sperimenta-re la trasformazione del televisore domesti-co in terminale per l’accesso a Internet (il principio è similare a quello già espresso

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Page 72: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

per la “Media Facade”. Ciò evidentemente al fine di coinvolgere tutte le fasce della po-polazione, comprese quelle più anziane ne-gli obiettivi di sostenibilità ambientale.

In questo modo ci si propone di superare la cultura del divieto e della proibizione; si evidenzieranno per riprodurle, le situazioni virtuose, contribuendo così a superare un’idea dell’uso dei “social network” come luogo di sola protesta.

I dialoghi, sotto qualsiasi forma saranno rappresentati (post scritti, immagini fotogra-fiche, filmati ecc.), potranno essere sotto-posti a tecniche di “sentiment analysis” (o “opinion mining”), e di “real time web scan-ner” per cogliere in modo trasparente il li-vello di partecipazione dei “city user”.

Per “sentiment analisys” si intende la capa-cità di analizzare i dialoghi espressi nelle piattaforme web per individuare sia gli aspetti quantitativi, che quelli qualitativi e identificare la positività o la negatività delle opinioni e il relativo grado di intensità emo-tiva. Il progetto si propone lo sviluppo di algoritmi per supportare queste attività. 57

Il progetto prevede, ancora, l’elaborazione di algoritmi in grado di misurare i benefici ambientali di ogni azione al fine di rendere consapevole la collettività degli effetti di ogni sua attività

Il risultato atteso è la partecipazione consa-pevole dei “city user” alle politiche di rego-lazione del traffico cittadino.

Le azioni saranno finalizzate alla sostenibili-tà, mobilitando tutti i saperi e le conoscen-ze sull’”uso” sostenibile della Città.

Lo sviluppo di una piattaforma “wiki” inol-tre consentirà di raccogliere tutti i contenu-ti prodotti, elaborando così collettivamente comuni linguaggi e significati urbani.

Il progetto consentirà alle pubbliche ammi-nistrazioni di realizzare una politica di tra-sformazione dei dati in loro possesso al fi-ne di renderli accessibili nell’ottica di realiz-zare azioni improntate all’ “open govern-ment data”. 58

Dati anagrafici e di classificazione della de-stinazione degli edifici; dati cartografici, da-ti inerenti la rete viaria, saranno resi dispo-nibili tramite formati aperti e quindi accessi-bili anche ad ogni sviluppatore e a ogni uti-lizzatore.

Come già affermato più sopra, attività di “mash up”, tra open data pubblici, carto-grafia, dati prodotti dall’attività di persone e di cose, “social media”, realizzeranno un circuito virtuoso teso a mobilitare e a “met-tere a sistema” tutte le conoscenze in ma-teria di sostenibilità ambientale.

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Page 73: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

CAPITOLO 11

LO STRUMENTO “//venice>connected” E LA GESTIONE DEI FLUSSI TURISTICI 59

Ho affermato più sopra la necessità che la struttura organizza-tiva della Pubblica Amministrazione sappia adattarsi alle speci-ficità di un ambiente urbano.

In questo capitolo dimostrerò attraverso un esempio concreto come si possano affrontare in modo innovativo problemi com-plessi come la gestione dell’economia del turismo.

Posso affermare che questa attività è stata ritardata e compli-cata, particolarmente, oltre che dall’insipienza del mondo poli-tico ed economico, anche dall’eccesso di legificazione che li-mitava il ruolo dell’Ente Pubblico

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In questa parte affronto l’impegno più gra-voso (ma anche il più esaltante) che devo-no assumersi molte città: governare attra-verso il WEB i flussi turistici di cui gode (o soffre, a seconda dei diversi punti di vista).

Se dovessi parlare oggi -rispetto al 2009- dell’economia del turismo e delle sue rela-zioni con il WEB, aggiungerei concetti co-me “web storytelling”, l’uso dei social net-work ecc. Ne parlo diffusamente nel libro “Smart Cities-Gestire la complessità urba-na nell’era di Internet.”. La sostanza co-munque non cambia per nulla.

Anche in questo caso, più avanti offrirò un progetto che ho costruito qualche mese fa per partecipare a bandi del MIUR.

Stupirò i miei lettori non veneziani: “ma co-me, tutto il mondo si pone il problema di far crescere l’economia del turismo e Vene-zia, la più importante città turistica d’Italia, si propone di governare i flussi turistici? an-zi, parlate di “turismo sostenibile?”

Il portale //venice>connected è nato per ri-spondere a questi interrogativi.

Consentitemi una breve disgressione sul-l’economia del turismo per far capire l’im-portanza crescente che viene ad assumere Internet in questo settore.

Il turismo è considerato il settore economi-co mondiale in maggiore e costante cresci-ta nei prossimi anni, tutto ciò nonostante la crisi economica mondiale.

Milioni di persone in tutto il mondo utilizza-no il raggiunto benessere e la libertà per viaggiare, per conoscere. Come si capisce non è più il “turismo” tradizionale; i “cine-si”, o i “russi” dei quali si favoleggia non possono essere gestiti come i “francesi” o i “tedeschi”.

Ma, chi è oggi il turista? Questo interrogati-vo ci aiuta a non ragionare genericamente di “turismo”.

Il turista prima di tutto è una persona che esprime bisogni, capacità di spesa, livelli culturali diversi. Il “cliente turista” concepi-sce quindi una vacanza non solo in funzio-ne della propria capacità di spesa, ma an-che in conformità al proprio livello culturale e ai propri interessi.

Non si tratta quindi, per l'operatore del turi-smo, di soddisfare generici “bisogni” identi-ci per tutti (una falsa idea di “turismo di massa” depersonalizzato), ma di “bisogni” ben definiti ai quali rispondere.

E’ opportuno allora non parlare più di “turi-sta”, ma di “turismi”.

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Page 75: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

Il turista dell'inizio del XXI secolo è tenden-zialmente un soggetto (un cittadino) che vuole programmare, spesso senza interme-diazione alcuna, la propria visita, la propria vacanza, il proprio viaggio, con tempi di prenotazione che vanno dal “last minute” alla prenotazione con grande anticipo.

Questo soggetto ha scoperto che il WEB oggi gli offre la possibilità di organizzare e poi di condividere con gli amici il viaggio e le esperienze che ha vissuto.

Il WEB è diventato il maggior veicolo utiliz-zato dalle persone per viaggiare. Peccato che gli operatori turistici non ne siano del tutto consapevoli e che vivano Internet co-me un “avversario” da battere piuttosto che come una straordinaria opportunità.

Nell’affermarsi di questo atteggiamento da parte dei “turisti” assume un peso determi-nante la convinzione di poter spuntare, indi-vidualmente, condizioni economiche e ser-vizi migliori rispetto a quanto offerto dai servizi tradizionali di intermediazione: le agenzie, i tour operator.

Soprattutto, le persone vogliono condivide-re con i propri simili le esperienze di viag-gio.

Anche le esperienze di viaggio negative (un ristorante eccessivamente costoso, un

museo chiuso, una stanza d’albergo poco pulita) vengono condivise e commentate da community composte da milioni di per-sone.

I social network sono lo strumento attraver-so il quale le persone narrano (web storytel-ling) una città e un territorio.

Quando si affronta il tema della competitivi-tà del turismo italiano, si commette un erro-re parlando genericamente di mercati turi-stici da conquistare; i mercati turistici sono il frutto, la somma, di soggettività. I merca-ti turistici sono il frutto dell’agire di milioni di persone che esprimono diversi bisogni e diverse capacità di spesa. Sono persone che immaginano in modo diverso l’uno dal-l’altro la loro vacanza, anche quando pre-notano una crociera, che è il massimo del-l’intrattenimento collettivo.

Questo fenomeno trova le sue radici nel-l’ampliamento dell'estensione della rete e nella capacità di coglierne le potenzialità e le funzionalità sempre maggiori; come ho già detto sono aumentati, contemporanea-mente, gli strumenti di connettività e la ca-pacità di usarli (social networking).

Il WEB costituisce quindi lo strumento:

- per la promozione dell’offerta turistica;

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Page 76: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

- per assemblare le diverse componenti dell’offerta (in questo la soggettività del turi-sta gioca ormai un ruolo fondamentale); l’albergo si sceglie su un portale web, il vet-tore aereo in un altro ancora ecc. Il turista ormai si orienta da solo in un mercato che espone i propri prezzi nelle diverse “banca-relle digitali”;

- per poter “toccare con mano” i prodotti (anche il turismo è parte di un catalogo vir-tuale presente su Internet; valgono anche qui le regole dell’ eCommerce);

- per prenotare i diversi componenti del pacchetto, attribuendo ad essi un valore legato alla loro disponibilità (ecco il tema della sostenibilità, per garantire al turista che il bene è fruibile e per garantire al resi-dente di un qualsiasi centro storico “una vita normale”).

VENEZIA, L’ECOMMERCE, IL TURISMO

Poiché l’offerta turistica è in grande parte intermediata usando Internet come una piattaforma, l'Amministrazione Comunale di Venezia decise nel 2008 di utilizzare le piattaforme WEB per organizzare i flussi tu-ristici e per migliorare l’offerta dei propri servizi pubblici e del patrimonio culturale.

Così è nato //venice>connected, il portale dell’Amministrazione Comunale veneziana

che consente ai turisti di accedere alla Cit-tà in modo organizzato.

//venice>connected era il logo che contrad-distingueva l'offerta on-line dei servizi pub-blici e museali del Comune di Venezia.

Dal 1 febbraio 2009 è possibile la prenota-zione on-line della Città seguendo le logi-che del eCommerce 2.0.

Venezia è stata la prima Città al mondo che ha deciso:

- di costruire una piattaforma WEB per l’of-ferta dei servizi pubblici secondo le logi-che 2.0;

- di costruire un carrello di prodotti (servizi pubblici e musei in primis); era previsto che successivamente si arrivasse anche l’accordo con gli alberghi, la ristorazione ecc., realizzando così il sistema cittadino dell’offerta turistica;

- di incentivare lo strumento della prenota-zione dei servizi e l’accesso ai musei;

- di consentire l’acquisto dei beni prenotati attraverso un’unica transazione su Inter-net;

- di adottare una politica di “pricing” per la determinazione stagionale delle tariffe dei servizi pubblici e dei musei.

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Page 77: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

La politica del “pricing” è stata recente-mente abbandonata dall’Amministrazione veneziana.

L’incentivazione e la disincentivazione del-l’afflusso dei turisti, usando la leva del prez-zo dei servizi pubblici, era il cuore simboli-co/culturale del progetto. Quella dell’Am-ministrazione veneziana appare come una scelta assolutamente inspiegabile.

Il principio che sovrintende a //venice>con-nected è quello che la visita alla Città di Ve-nezia è sempre libera, in ogni momento del-l'anno, che non ci sono e non sono previ-ste tasse all'ingresso né, tantomeno, sono perseguibili ipotesi di “numero chiuso” per l'accesso alla Città.

La scelta di adottare una politica tariffaria improntata sul “pricing” consentiva di in-centivare o disincentivare la visita alla Cit-tà, variando i prezzi in relazione ai periodi dell’anno, alle previsioni di maggiore o mi-nore afflusso di visitatori.

Il tempo e lo spazio assumono così un va-lore totalmente diverso. Si affermano al contempo: il diritto per il “cittadino turista” ad usufruire consapevolmente di una città migliore e il diritto del “cittadino residente” a vivere la propria città senza sentirsi “pe-riodicamente invaso”.

Il portale //venice>connected era nato per contribuire alla gestione dei flussi turistici.

Erano quindi implementabili attorno all’ar-chitettura del portale //venice>connected nuovi terreni di ricerca e di sviluppo:

- lo sviluppo di applicativi che consentisse-ro ai visitatori di esprimere i propri feed-back sul sistema Città, e non sul singolo servizio, sia esso pubblico o privato;

- la partecipazione da parte dei turisti alla costruzione di una memoria collettiva che possa consentire una migliore organizzazio-ne della Città (sviluppo di strumenti che se-guano le logiche del “WEB semantico”);

- lo sviluppo di applicativi che consentisse-ro, attraverso l’uso della rete, una interazio-ne tra il turista e i beni culturali;

- l’integrazione con il mondo del social net-working.

L’innovazione della gestione del sistema turismo concepita a questa scala (una inte-ra città) usando Internet è stata una novità assoluta, ma soprattutto potrebbe, ancora oggi, costituire la massa critica per inne-scare fenomeni innovativi nel tessuto eco-nomico turistico e sviluppare nuovi filoni di produzione.

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Page 78: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

Questi concetti e queste idee in tempi re-centi li ho ulteriormente sviluppati.

Al testo originale di “Una scommessa da vincere” aggiungo, perché venga sperimen-tato, il progetto denominato “Smart Tou-rism Game”.

1- PRINCIPALI OBIETTIVI E CONTENUTI DEL PROGETTO

Il progetto si inserisce nel più ampio filone dello storytelling degli ambienti urbani.

La città viene cioè rappresentata (narrata) attraverso l’attività dei city user.

Le piattaforme di social networking sono un nuovo e formidabile strumento a dispo-sizione dei city user per l’attività di storytel-ling.

Le fotografie e i video, georeferenziati e po-stati sono la forma espressiva e del lin-guaggio prevalente della nuova narrazione.

Nel mondo dell’economia dei “turismi” la storia -l’immagine- di una città viene narra-ta anche attraverso la domanda e l’offerta di servizi su Internet.

Il progetto si propone di integrare su una piattaforma web la filiera del turismo cultu-rale, unificando i luoghi della fruizione cultu-rale e dello spettacolo in genere, con i servi-

zi per i city user, dai trasporti alla ricettività alberghiera ed i servizi di ristorazione e sva-go.

Il progetto consiste nello studio e nella rea-lizzazione di una piattaforma di social net-working che fornisca agli utenti (domanda e offerta) la gestione completa di una visita da parte di un utente "turista",consentendo di documentarla anche attraverso immagini e video.

La piattaforma di social networking è perciò “alimentata” dal flusso di informazioni pro-venienti dalle piattaforme di social network esistenti nell’ambito della visualizzazione di fotografie e filmati (a titolo di esempio Insta-gram, YouTube, Pinterest, Flickr, Foodspot-ting, FourSquare ecc.).

La piattaforma è altresì alimentata dall’offer-ta dei servizi di ristorazione, dagli alberghi, dall’offerta museale e degli spettacoli ecc.. La piattaforma offre inoltre la possibilità di acquistare il servizio scelto attraverso stru-menti di ecommerce.

La piattaforma è completata da un sistema di feedback “certificati” (ciò farà la differen-za rispetto a Trip Advisor) postati da parte dei city user offrendo anche all’offerta la possibilità di interloquire “alla pari”.

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Page 79: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

Il social network (STG) è concepito come un “market place”, un luogo di incontro “bi-direzionale” tra la domanda e l’offerta. At-traverso questa logica la preparazione del viaggio e il momento del viaggio verrebbe-ro a configurarsi come un gioco; l’offerta

potrebbe mettere a disposizione premi (an-che simbolici) per coloro che partecipano al gioco.

Il fine del gioco è quello di far narrare (story-telling) l’ambiente urbano, sotto il profilo del-le dinamiche dell’economia turistica e della valorizzazione dei beni culturali, agli atto-ri/utenti attraverso le immagini e i tag.

Questa filosofia risponde perfettamente al-le logiche del web 2.0, “user generated con-tent” e si inserisce nel filone delle piattafor-me wiki.

Ci si propone così di rispondere a tre esi-genze:

- la domanda e l’offerta oggi agiscono, sia nella fase dell’acquisto del servizio, che nel-la fase del “dream”, che nella fase della condivisione dell’esperienza del viaggio (della partecipazione ad un evento) in mon-di (piattaforme web) separati tra di loro;

- egualmente l’acquisto (ecommerce) av-viene su piattaforme diverse da quelle del momento del “dream”, o della pubblicità

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Ambiente cloud

Cartografia(possibilmente tridimensionalizzata)

Base del Social Network“Smart Tourism Game”

Offerta:alberghi, commercio,

distribuzione,eventi, cultura ecc.

Logica:“user generated

content”( )

Page 80: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

del bene (ciò in Italia contribuisce a disin-centivare l’ecommerce);

- il city user spesso tagga in modo dere-sponsabilizzato suscitando così un atteg-giamento negativo da parte dell’offerta di servizi turistici nei confronti del web.

Gli attori del social (STG) sono identificabili in 4 categorie:

• gli organizzatori dei luoghi e degli eventi culturali;

• i fornitori di servizi turistici;

• i mediatori dell'offerta culturale e turisti-ca; 

• clienti/fruitori (una categoria di city user).

In questo contesto, applicando la filosofia STG, si considera “l'evento” e la visita ad un ambiente urbano, nella loro più genera-le accezione, comprendendo quindi musei, spettacoli, convegni, congressi, fiere, espo-sizioni, etc.

Ad esempio, dal lato dell’offerta la piattafor-ma prevede la gestione e la catalogazione dei “contenitori” intesi come location dove si svolge l'evento. La piattaforme dovrà permette la gestione completa dei servizi per l'evento, collegandoli alla location o erogati da fornitori esterni. L'obiettivo è

quello di fornire alle 4 categorie di soggetti individuate funzionalità atte a semplificare le fasi del processo produttivo, compresa la vendita, ed aumentare il livello d'intera-zione tra le parti.

E’ l’ambiente che abbiamo definito più so-pra “Market Place”.

In particolare agli organizzatori e ai fornitori (offerta) STG permetterà la gestione e la

MARKET PLACE

Offerta:alberghi, commercio,

distribuzione,eventi, cultura ecc.

promozione dei propri siti, in qualità di loca-tion di eventi di vario genere, nonché pro-muovere e gestire i propri prodotti (alber-ghieri, commerciali, food).

Viene così migliorato il lavoro di mediazio-ne tra organizzatori culturali, fornitori di ser-vizi turistici e il lavoro svolto dagli intermediari. 

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Page 81: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

Come si diceva più sopra, ai clienti/fruitori dei servizi, si offrirà la possibilità di pro-grammare, prenotare e acquistare attraver-so un unico strumento l'evento ed i servizi correlati. Verrà inoltre consentito a ciascun cliente/fruitore di valutare/giudicare l’offer-ta attraverso un sistema di “feedback certi-ficati”.

L'innovatività del progetto sta dunque nel-la creazione di uno strumento integrato che al momento manca a tutte le categorie identificate.

2- LA FORZA DEL PROGETTO E IL SUC-CESSO DELLA PIATTAFORMA

La forza del progetto, assolutamente inno-vativo a livello worldwide in ottica turistica, è dato dalla interazione tra fruizione, feed-back, narrazione dell’ambiente urbano.

Il social network STG:

- consente l’iscrizione (profilazione) esclusi-vamente con un’identità “in chiaro” (assun-zione di responsabilità;

- consente alla domanda di profilare il pro-prio wall attraverso la produzione di conte-nuti (immagini e video) aggregati da social esistenti;

- consente all’offerta di “esporre” nei wall i propri beni e prodotti, vendendoli (ecom-merce);

- visualizza in una costante sequenza (un unico wall) il flusso di informazioni prove-nienti da domanda e da offerrta;

- consente alla domanda di postare propri “feedback”. Consente all’offerta una repli-ca “real time”;

- introduce l’uso di sistemi premiali (la finali-tà del game);

Wall/Dati anagrafici:no nike name

assunzione di responsabilità Cartografiacondivisa

(possibilmente tridimensionalizzata)

Le foto (i commenti/feedback) sono georeferenziati.

Organizzati per località.

Wall (identità) di un museo, albergo, esercizio commerciale ecc.

Offerte...feedback e replicheCARRELLO/ACQUISTO BENI

- il gioco può essere “ambientato” in ogni singola città;

- la configurazione della città è fatta dalle immagini postate e dall’offerta evidenziata;

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Page 82: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

- si crea per le “Governance” cittadine uno strumento di governo dei flussi e degli eventi turistici.

Molta parte del successo della piattaforma è basato sulla spinta propulsiva di un siste-ma di gaming (Partecipa al gioco del turi-smo. Gioca a casa tua e visita poi la città. Condividi con gli amici le esperienze di un viaggio. Costruisci la tua città attraverso le immagini. Compra comodamente da casa un prodotto)

Il game premia sia la quantità che la qualità dei feedback superando l'azione passiva dei feedback senza controllo come accade oggi sulle piattaforme di social networking come Facebook e FourSquare.

Sono valorizzati sia i feedback evidenziati da una "certificato" di fruizione rilasciato dalle piattaforme di prenotazione, sia per gli eventi, sia per la fruizione turistica usan-do dei plugin integrati con la piattaforma STG.

Ci si propone di interfacciarsi con servizi esterni già consolidati ad esempio social network, compagnie aeree, trasporti, etc. 

Per questo tipo di applicazioni ricordiamo che dal 1999 esiste uno standard definito dall'OTA (Open Travel Alliance) che permet-te lo scambio elettronico di informazioni

commerciali per il settore turistico, median-te l'uso del linguaggio XML e non solo. L'obiettivo è definire dei parametri di quali-tà degli utenti che diano un maggior coeffi-ciente di valore ai feedback rilasciati.

A titolo di esempio, un turista "socialmente attivo" che durante una vacanza di 15 gior-ni lascia numerosi feedback al giorno di cui una buona parte certificata da sistemi di prenotazione, otterrà un punteggio mag-giore ( ed i feedback rilasciati varranno di più) di un utente che lasci un solo feed-back nello stesso periodo.

Feedback “certificati”parametri di “certificazione”

- identità “in chiaro”- quantità di feedback/qualità dello

storytelling- valore delle transazioni

premialità per la domanda e l’offerta

Voto della community

La community STG (una nuova tribù) potrà votare e attribuire un punteggio valutando la qualità del post.

L’obiettivo è quello di identificare e valoriz-zare gli utenti di qualità rispetto agli utenti

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Page 83: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

"poco attivi" superando le attuali discussio-ni in rete tra utenti reali e utenti falsi.

In pratica il valore viene generato dalla creazione di contenuti e, agganciando i contenuti ad una spesa, ( l'acquisto di un biglietto o di una camera d'albergo) diversi-fica la profilazione degli utenti consentendo un processo qualitativamente migliore e più efficiente.

La partecipazione al gaming tramite feed-back certificati consentirà sia di aggregare utenti nella piattaforma, sia di utilizzare ele-menti premianti virtuali (livelli diversi di "araldica" nel gioco), sia per gli utenti che accetteranno di farsi profilare di ottenere premi offerti dalla piattaforma tramite spon-sor, organizzazioni turistiche e culturali (viaggi, libri, souvenir, anche semplici pro-dotti digitali "certificati").

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CAPITOLO 12

REGALATEMI UN SOGNO: IL NOMADIC WORK NELLA PUB-BLICA AMMINISTRAZIONE

Mi perdoni Renato Brunetta, niente di personale, ma l’idea del “tornello” è rimasta negli annali delle cose di immagine, ma as-solutamente inutili.

L’idea che una maggiore produttività nella Pubblica ammini-strazione potesse essere affidata all’efficienza di “un tornello” non l’ho mai condivisa.

Riporta ad un’idea dell’attività lavorativa vincolata ai luoghi fisi-camente ben definiti. Torna sempre l’idea che la Pubblica am-ministrazione sia assimilabile alla “fabbrica fordista”.

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Page 85: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

Certo, un pò di rigore nei confronti degli as-senteisti ci voleva (rendiamo merito al co-raggio di Renato). Alla lunga però la sua idea si è dimostrata inefficace perché ha lasciato inalterata la struttura organizzativa delle Pubbliche Amministrazioni.

La prestazione lavorativa improntata per la sua natura (il prodotto erogato) ad un rap-porto diretto, fisico con il cittadino deve av-venire in un luogo ben definito, ad orari il più possibilmente improntati alla flessibilità (le tipiche attività di front office).

Tuttavia non capisco perché l’elaborazione delle “norme tecniche di attuazione” di uno strumento urbanistico non possano essere scritte a casa mia, in un parco pubblico, al bar, a che ora mi fa più comodo, o quando mi viene un’intuizione creativa.

Così come non riesco a capire perché un professionista e un impiegato dell’ufficio “pubblica istruzione” di un Comune, non possano svolgere insieme alcune attività lavorative di comune interesse, non possa-no condividere un luogo di lavoro.

Forse “contaminandosi” nel lavoro comu-ne riuscirebbero a comprendere i propri di-versi punti di vista e a migliorare l’organiz-zazione del lavoro e la qualità dei servizi erogati. Forse così si potrebbero superare

le attuali divisioni che portano a generare incomprensioni e conflitti costanti.

Nel mio libro “Smart Cities-Gestire la com-plessità urbana nell’era di Internet” ho rivol-to lunghe riflessioni al tema della “deconte-stualizzazione” del lavoro nell’epoca del cloud computing e della diffusione dei devi-ce mobili.

Rimando tutti voi a quelle riflessioni.

In questo libro mi limito a commentare quelle pratiche che nel “mondo normale” si chiamano “coworking”.

Questa è la frontiera di nuove forme orga-nizzative assolutamente innovative.

Motivo di merito per una Pubblica Ammini-strazione che vuole cambiare radicalmen-te, é il non “limitarsi” a far arrivare i dipen-denti puntualmente al lavoro, è necessario un cambio radicale nel modo di operare.

Davo per scontato che tutti conoscessero il “coworking”. Nei miei incontri in giro per l’Italia mi sto accorgendo che non è così.

E allora, che cosa è il coworking, e cosa c’entra con la Pubblica Amministrazione?

Ricorro ancora volta a Wikipedia per descri-vere il significato di “coworking”:

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Page 86: UNA SCOMMESSA DA VINCERE

“coworking (da "co" = insieme e "work" = lavoro) è una modalità di telelavoro che sta emergendo recentemente. Tipicamente professionisti che lavorano da casa, consu-lenti e lavoratori che viaggiano molto fini-scono col lavorare in isolamento. Il cowor-king è quindi il ritrovo sociale di lavoratori che, sebbene continuano a lavorare in ma-niera indipendente, condividono alcuni va-lori comuni e sono interessati alle sinergie che si possono creare nel momento in cui si lavora con altri professionisti nello stes-so luogo fisico.

Alcuni spazi di coworking sono nati dall'ini-ziativa di liberi professionisti del Web e di Internet che erano soliti viaggiare molto e lavorare da bar e caffè, oppure in isolamen-to dalle loro case.

Il coworking è in qualche maniera simile agli incubatori d'impresa anche se in que-sti ultimi spesso mancano aspetti di sociali-tà, collaborazione e informalità. Da questo punto di vista, le iniziative di coworking as-somigliano di più a cooperative, specie per la loro attenzione al concetto di comunità, piuttosto che a tipiche iniziative commer-ciali. Molti dei partecipanti al coworking so-no anche coinvolti nei BarCamp e altri svi-luppi collaborativi di tecnologie quali ad esempio progetti open source.”

Vi posso garantire che non sto provocando nessuno; penso che il coworking proprio per queste caratteristiche che lo slegano dal “lavoro normale”, si possa affermare positivamente in alcuni rilevanti settori del-la Pubblica Amministrazione in quanto con-sente di organizzare il lavoro “per obietti-vi”.

Si consente al lavoratore di uscire dall’alie-nazione dell’orario fisso, del telelavoro, di operare dove vuole e quando vuole. Si con-sente di lavorare per obiettivi. Questa è una strategia di cambiamento.

In un sito web dove si affittano spazi in re-gime di coworking 60 un “affittuario rivolge alla comunità la seguente domanda: “E se voglio lavorare la notte? O la domenica? O il giorno di Ferragosto? Si sa, il free-lance non ha orario, né ama averne. Per questo, dopo qualche riflessione e una chiacchiera-ta con i coworker presenti, abbiamo deci-so di integrare l’offerta di servizi del nostro Cowo con una opzione 24/7, cioè ad utiliz-zo illimitato.

In questo modo svincoliamo l’utilizzo delle postazioni da qualsiasi orario, e diamo com-pleta indipendenza a ogni coworker. Chi, invece, non ha questo tipo di esigenza, può benissimo scegliere l’opzione “orario ufficio” - dal lunedì al venerdì dalle 9.00 al-

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le 18.00, spendendo meno e lavorando ne-gli orari tradizionali.” 61

Immagino coloro che in una Pubblica Ammi-nistrazione (ne ho conosciuti molti in questi anni) sono costantemente in affanno a cer-care spazi, nuovi uffici sempre più ampi per un lavoro di vecchissima concezione. E in-sieme a loro vorrei riflettere sulla rigidità dell’attuale orario di lavoro, non relazionato alla produttività reale del lavoratore. Que-sta concezione formale della produttività, che è fatta di “rispetto della presenza” e non di contenuto della prestazione è quan-to di più vecchio si possa concepire.

E’ la sostanza della “politica del tornello”.

Quali politiche bisogna attuare invece nella Pubblica Amministrazione per immaginare una attività di coworking o affermare il no-madic work. 62 Il nomadic work è concet-tualmente la logica conseguenza del cowor-king, perché svincola il lavoratore e la sua produttività da un luogo e da un orario fisso di lavoro.

A questi modi di lavorare si associa ormai con insistenza e con urgenza l’idea di “de-materializzare” e “decontestualizzare”.

Anche in questo caso, come per il termine WEB 2.0 è opportuno fare un pò di chiarez-za.

Il processo di dematerializzazione può “li-mitarsi” (anche se costituisce un’attività im-portante), ad affrontare una “prospettiva di minima” e cioè concentrarsi sull'insieme delle attività rivolte ad eliminare il più possi-bile il flusso cartaceo nel ciclo lavorativo.

Io invece ritengo che, strategicamente, l’obiettivo del processo di dematerializza-zione vada rivolto al lavoro stesso, all’esse-re svincolati da un luogo fisico, da un ora-rio fisso quando esercitiamo la nostra attivi-tà lavorativa.

La diffusione della rete a banda larga, il suo uso intensivo, il cloud computing stan-no creando le condizioni perché il “lavoro dematerializzato” evolva, da attività resi-duale rivolta a fasce minoritarie di lavorato-ri deboli (precari, maternità e paternità, stu-denti lavoratori ecc.), ad attività lavorativa ricca di stimoli che fa crescere intelligente-mente la produttività del lavoro, ad abbatte-re i costi di gestione dell’azienda.

Abbandoniamo ovviamente l’idea tradizio-nale e residuale del telelavoro come è sta-ta concepita fino ad ora. Il coworking non è dedicato alle fasce residuali e disagiate del lavoro nella Pubblica Amministrazione.

Questo processo di dematerializzazione del lavoro avrebbe inoltre forti ricadute po-sitive sull’ambiente urbano. Pensiamo a

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milioni di persone non più costrette a spo-starsi tutte assieme, alla stessa ora, sugli stessi percorsi, intasando le strade, am-pliando la necessità di capienza dei mezzi pubblici, tutte destinate allo stesso edifi-cio.

E immaginiamo che l’edificio, gli uffici, i ser-vizi non vengano messi a disposizione dei dipendenti del Comune (o di una qualsiasi Pubblica Amministrazione), ma possano essere condivisi con i lavoratori di altre im-prese.

E immaginiamo ancora le trasformazioni ur-bane e sociali che questo processo può in-nescare. Ad esempio la condivisione di ser-vizi sociali (senza frazionare i nidi aziendali ad esempio), o la positiva contaminazione dei “creativi” (ci sono anche in tanti settori della Pubblica Amministrazione) e dei pro-fessionisti.

Regaliamoci un sogno, affermiamo la cultu-ra del nomadic work, e la cultura del coworking nella Pubblica Amministrazione.

Perché questo sogno si trasformi in realtà è necessaria una precondizione: si afferma-no il coworking e il nomadic work solo lad-dove è presente la rete.

Ma ciò non è ancora sufficiente; la discus-sione deve vertere ancora sull’interrogati-

vo: come si usa la rete? Quali contenuti condividiamo su Internet?

Poiché Internet, come ho già affermato so-pra, non è più un luogo di “sola consulta-zione”, la distribuzione delle informazioni, il loro stesso assemblaggio può essere pro-grammato. Conseguentemente la scelta di una Amministrazione (ma anche di una azienda privata) è che la rete debba diven-tare il luogo dove risiedono la conoscenza e tutte le informazioni di interesse colletti-vo.

E’ finito il mondo “computer centrico”, il centro del mondo è il WEB.

“La piattaforma è la rete”, è un’affermazio-ne molto impegnativa, ma è soprattutto una scelta strategica che comporta implica-zioni, anche di carattere culturale, straordi-nariamente pervasive.

“L’utilizzo del Web come piattaforma, una delle più grandi novità del 2.0, racchiude in sé...tecnologia, open, società, esperienza, utente, persone...Per questo motivo forse è anche uno dei concetti e slogan meno im-mediati e semplici da comprendere.

Web come piattaforma significa poter utiliz-zare Internet e il Web stesso per realizzare vere e proprie applicazioni software che vengono distribuite e utilizzate lato utente

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grazie alla Rete stessa, prevalentemente attraverso un browser”. 63

Se “la piattaforma è la rete”, le conoscen-ze devono essere lì residenti, devono esse-re accessibili a tutti. A ciò si aggiunge la possibilità di “virtualizzare” le informazioni.

La prima conseguenza è che la rete non consente un’organizzazione del lavoro e della conoscenza “verticali”, la rete consen-te, anzi impone, interoperabilità; la rete è “orizzontale”.

E’ chiaro che questi concetti, se tradotti in prassi organizzativa, obbligano a scelte stravolgenti la realtà conosciuta.

La prima scelta da attuare è costituita dalla piena adozione di una politica di adozione delle piattaforme di “cloud computing”. “Un sempre maggior numero di applicazio-ni software di utilizzo corrente sono (o di-venteranno) applicazioni Web, quindi di fat-to applicazioni SaaS (Software as a Servi-ce) residenti ed eseguite su computers di terzi nonché manutenute da questi ultimi, disponibili praticamente "on the cloud", va-le a dire sulla rete Internet (il Web) vista co-me una gigantesca piattaforma operativa integrata: tali applicazioni sono o saranno perciò usufruibili on-demand e a mò di ser-vizio.” 64

Le resistenze in un Ente locale ad una poli-tica di “cloud computing” saranno molto forti perché tutti i software, anche quelli considerati a torto “ad uso individuale” co-me la videoscrittura non saranno più resi-denti sul singolo computer (singolo PC), ma risiederanno in rete. 65

Un’ulteriore conseguenza è che si abban-dona l’idea che ogni lavoratore possiede un PC, il “suo” PC.

Ogni lavoratore, all’opposto, ha il diritto ad un accesso alla rete e ha a sua disposizio-ne uno strumento di connettività per l’ac-cesso alla rete e, quindi, alla conoscenza.

Una modifica sostanziale dell’attuale modo di lavorare è che il desktop non risiede più sul “tuo” computer, il “tuo” desktop risiede sulla rete e ti segue virtualmente, e ciò indi-pendentemente dal luogo fisico dal quale ti colleghi, sia esso l’ufficio tradizionale, sia esso un parco pubblico.

Vi ricordate un principio del decalogo del cambiamento: la conoscenza non è “tua”, la conoscenza è frutto di condivisione.

E chi ha fondato il proprio potere sul “pos-sesso della conoscenza”? O si adeguano, o dovranno essere messi drasticamente da parte anche se sono Dirigenti. Costoro ge-

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nerano danni economici per una Pubblica Amministrazione.

Finisce così definitivamente l’epoca dei software residenti nel singolo PC, cosa che ha aggravato drasticamente il costo della singola licenza software; è iniziata l’epoca del Software as a Services (SaaS è un esempio).

Il software diventa così un servizio, non è più un prodotto, ciò implica che non si ac-quista più un software, si acquistano servi-zi. Si paga ciò che realmente si consuma. Pensate ai risparmi che questa politica può generare nella Pubblica Amministrazio-ne!!!

Se ciò è vero, una Pubblica Amministrazio-ne, ma anche una grande impresa, non hanno più bisogno di “tante memorie” in tanti PC individuali, che sprecano inutil-mente potenza e tecnologia, ma di memo-ria in rete, utilizzabile virtualmente prima ancora che fisicamente; memoria facilmen-te accessibile a tutti.

Estremizzando - ma, solo fino ad un certo punto, poiché siamo “realisti visionari” - non abbiamo più bisogno di uffici, costosi e difficili da reperire, bensì di luoghi dotati di fibra ottica o di WIFI come il parco o ca-sa nostra, dai quali potersi collegare co-stantemente al WEB.

Ribadisco, dobbiamo costruire luoghi dove persone che svolgono esperienze lavorati-ve diverse, per conto di datori di lavoro di-versi, possono operare insieme aumentan-do così la loro creatività e la loro produttivi-tà. Si tratta dell’esperienza, peraltro già in atto in altri paesi occidentali, tesa a creare luoghi di scambio di esperienze; “the hub” vengono chiamati, ad indicare “la porta di accesso alla rete”.

Oggi il fenomeno si sta estendo a grande velocità in tantissime città italiane.

Ed è solo la presenza di questa “porta”, la più ampia possibile, la via di accesso al WEB ciò che li accomuna, oltre che alla for-te carica di socializzazione e arricchimento creativo che li contraddistingue.

Lo status del lavoratore non è più associa-bile all’ampiezza del “suo ufficio” (al lusso dell’arredamento, al numero delle segreta-rie), bensì alla capacità di raggiungere i da-ti disponibili in rete, anche se si collega da una panchina in un parco pubblico.

E’ un altro mondo quello che vi prospetto, vero!!! Vi garantisco che per crearlo non serve nessuna modifica legislativa.

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POSTFAZIONE, OVVERO “L’ELOGIO DEI DISUBBIDIENTI E DEI NON CONFORMISTI”

4 ANNI DOPO

(da leggere, è la parte più divertente)

Ho voluto lasciare inalterata questa parte di “Una scommessa da vincere” così come la avevo pubblicata nel 2009, qualche mese prima dalla mia uscita dal Comune dal Venezia. Sono ri-masti inalterati i riferimenti alle persone anche se oggi “fanno altro nella vita”.

Ma, a loro, a queste persone continuo ad essere riconoscente perché mi hanno aperto un mondo nuovo e consentito di intra-prendere l’attività professionale che oggi svolgo e che amo.

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Questa postfazione parzialmente rappre-senta un assieme di ottimismo e di inco-scienza. Alcuni diranno: “Michele evidenzi le tue sconfitte? La scommessa la hai per-sa??”.

Rispondo che le sconfitte ci aiutano ad an-dare avanti e ad evidenziare la complessità e la difficoltà nell’affermare il cambiamen-to.

Ovviamente non ho cambiato idea rispetto ad allora, altrimenti non avrei perso tempo a ripubblicare, riveduto e corretto “Una scommessa da vincere”.

“Chi si occupa di innovazione cita spes-so la suggestiva definizione per cui l’in-novatore è un disubbidiente, da cui ne discende che l’innovazione, organizzati-va, culturale,, scientifica non è altro che una disubbidienza riuscita. Una disubbi-dienza alle procedure obsolete, ai model-li interpetativi dominanti, alle inefficenze in favore di nuove idee e soluzioni.

Ma è proprio perché l’innovatore è un di-subbidiente che, spesso, all’interno del-le organizzazioni, delle aziende e, soprat-tutto, della pubblica amministrazione, viene isolato: un visionario che può es-sere considerato pericoloso per il resto della struttura.” 66

Questo lavoro che avete avuto la bontà di leggere fino in fondo è il frutto di uno sfor-zo collettivo di un gruppo di disobbedienti.

Le idee, i software, le suggestioni, le strate-gie che qui ho esposto non sono solo il frutto della mia fantasia. Esse sono matura-te attraverso il dialogo costante, nel con-fronto “non gerarchico” con molti collabo-ratori, anche se il mio pessimo carattere e la voglia di vedere le cose fatte mi porta ad essere “leggermente severo” con chi lavo-ra con me.

Me ne scuso, ma a volte “prevarico a fin di bene”.

Ringrazio davvero tutti coloro che hanno partecipato attivamente in questi ultimi an-ni alla costruzione di questi progetti..

Nel lavoro che abbiamo realizzato fino ad ora si è costituito un team affiatato. Non esagerando, è un patrimonio intellettuale importante per la Città. Si è costituito un gruppo di innovatori disubbidienti veramen-te di eccellenza. Stiamo condividendo una bella avventura.

In questo gruppo abbiamo mescolato espe-rienze diverse (abbiamo svolto attività di coworking), non importa se uno è dipen-dente del Comune, di Venis, del COSES, abbiamo lavorato tutti assieme, ci siamo

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“contaminati culturalmente”, abbiamo spe-so tutti le nostre energie mettendoci in di-scussione quotidianamente.

Una particolare gratitudine la nutro nei con-fronti di Vincenzo Sabato, il Direttore Gene-rale del Comune di Venezia che ha favorito “i disubbidienti”, in questo libro ho scritto cose che lui pensa...non sempre può espli-citarle.

Così come sono particolarmente grato per i costanti stimoli che mi hanno fornito a Ma-ria Grazia Filippini di Sun e a Stefano Ven-turi di Cisco. E’ stato almeno per me, un divertente e diverso rapporto tra cliente e fornitore, talché non ho più capito bene chi fosse il cliente e chi il fornitore. Personal-mente ho acquisito molto della loro cultura aziendale (perché di cultura si tratta), spero di aver trasmesso anche io qualche cosa a loro.

Questo scritto, invece, non è dedicato a co-loro che pensano:

“che il potere è rappresentato da un uffi-cio (meglio se più uffici) grande e ben arre-dato”;

“che le conoscenze sono solo “sue” e se le tiene ben strette”;

“che i diritti dei lavoratori che vanno asso-lutamente tutelati - e ci mancherebbe altro - sono quelli degli anni ’50, e che pensano che il fine dell’attività sindacale è generare sempre conflitto e sperare nel perdurare della crisi economica”;

“che la mia cartografia è la migliore per-ché la ho fatta io”;

“che...resistiamo, tanto tra un anno Vianel-lo se ne va e tutto tornerà come prima”.

Sono felice di deluderli, abbiamo messo in piedi un processo irreversibile la cui forza è data dalla partecipazione di tanti. Non c’è più niente di mio, questa è la forza del progetto, è un patrimonio culturale comu-ne a centinaia di persone.

Magari non ne sono pienamente consape-voli, ma è proprio così. “Le formiche hanno i megafoni”.

Centinaia di dipendenti del Comune di ogni settore e grado ormai partecipano; i dipendenti di Venis (magari non tutti, pur-troppo c’è anche il sindacato) partecipano ad uno sforzo collettivo; i ricercatori del COSES che ci danno costantemente il loro contributo di ricerca partecipano a questo progetto. ma soprattutto le migliaia di citta-dini che hanno imparato a conoscere IRIS, ARGOS ecc. e i giovani che usufruiranno

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degli hot spot gratuiti, non consentiranno ai conservatori di tornare indietro.

La forza del progetto è che ormai è condivi-so anche dai cittadini.

Cari conservatori adeguatevi, trasformate il vostro modo di operare (non è mai troppo tardi), siete ancora in tempo; il mondo sta cambiando, è finita per fortuna l’epoca del-la Pubblica Amministrazione “autoreferen-ziale”.

Non condivido molte delle scelte, soprattut-to legislative, che sta attuando il Ministro Brunetta, ma devo dargli atto di aver mes-so in piedi una forte iniziativa per cambiare la Pubblica Amministrazione. Di questo gliene sono sinceramente grato.

Indipendentemente dal ruolo di una perso-na (per quanto importante essa sia), centi-naia di altre persone partecipano e difendo-no ciò che si è cambiato, lo rendono perva-sivo, diventa vita e prassi di ogni giorno.

A questo punto servono poco i metodi au-toritari, meglio adottare logiche di condivi-sione e di partecipazione. Ed è partecipa-zione sul WEB, qualitativamente e cultural-mente diversa da tutto ciò che abbiamo vi-sto e fatto fino ad ora.

Lo dico anche al mondo della politica; sia-te parte della cultura di Facebook, e di

Twitter. Quelle community non si fanno usa-re, non si fa una bella figura ad essere espulsi da Facebook perché “colpevoli di spamming”.

Un traguardo finale: questo istant book era nato per essere distribuito come fascicolo alla Fiera della Pubblica Amministrazione come testimonianza delle best practices nel Comune di Venezia. Mi sono fatto pren-dere la mano, è un pò di più di un fascico-lo.

Ora, da buon seguace della condivisione e della partecipazione nel WEB lo vorrei tra-sformare in un “book on line”.

Spero che molti amici della Pubblica Ammi-nistrazione, i blogger che ho conosciuto in questi mesi (confesso che è un mondo che mi affascina), molte “persone normali” inte-ressate alla rete e alle sue potenzialità arric-chiscano questo scritto di altri contenuti.

“Una scommessa da vincere” sarà così un ebook in divenire. Chissà se lo finiremo mai.

Michele Vianello aprile 2009-settembre 2013

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APPENDICE

Non potevo esimermi dal mettere in appendice il “Cluetrain Manifesto”, lo ho citato troppe volte ed è troppo bello.

Vorrei che lo metteste a confronto con i contenuti della Legge n. 221/2012.

Quella che pomposamente viene chiamata “L’Agenda Digita-le”, quella che all’articolo 1 ci ripropina la carta d’identità elet-tronica.

Fate i dovuti confronti e capirete perché insisto con questa in-sistenza alla necessità di cambiare davvero tutto.

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THE “CLUETRAIN MANIFESTO”

I mercati sono conversazioni.

I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici.

Le conversazioni tra esseri umani suonano umane. E si svolgono con voce umana.

Sia che fornisca informazioni, opinioni, sce-nari, argomenti contro o divertenti digres-sioni, la voce umana è sostanzialmente aperta, naturale, non artificiosa.

Le persone si riconoscono l’un l’altra come tali dal suono di questa voce.

Internet permette delle conversazioni tra esseri umani che erano semplicemente im-possibili nell’era dei mass media.

Gli iperlink sovvertono la gerarchia.

Sia nei mercati interconnessi che tra i di-pendenti delle aziende intraconnessi, le persone si parlano in un nuovo modo. Mol-to più efficace.

Queste conversazioni in rete stanno facen-do nascere nuove forme di organizzazione sociale e un nuovo scambio della cono-scenza.

Il risultato è che i mercati stanno diventan-do più intelligenti, più informati, più organiz-

zati. Partecipare a un mercato in rete cam-bia profondamente le persone.

Le persone nei mercati in rete sono riuscite a capire che possono ottenere informazio-ni e sostegno più tra di loro, che da chi ven-de. Lo stesso vale per la retorica aziendale circa il valore aggiunto ai loro prodotti di base.

Non ci sono segreti. Il mercato online cono-sce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, co-munque lo dicono a tutti.

Ciò che accade ai mercati accade anche a chi lavora nelle aziende. L’entità metafisica chiamata "L’Azienda" è la sola cosa che li divide.

Le aziende non parlano con la stessa voce di queste nuove conversazioni in rete. Vo-gliono rivolgersi a un pubblico online, ma la loro voce suona vuota, piatta, letteral-mente inumana.

Appena tra qualche anno, l’attuale "omoge-neizzata" voce del business – il suono del-la missione aziendale e delle brochures – sembrerà artefatta e artificiale quanto il lin-guaggio della corte francese nel settecen-to.

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Le aziende che parlano il linguaggio dei ciarlatani già oggi non stanno più parlando a nessuno.

Se le aziende pensano che i loro mercati online siano gli stessi che guardavano le loro pubblicità in televisione, si stanno prendendo in giro da sole.

Le aziende che non capiscono che i loro mercati sono ormai una rete tra singoli indi-vidui, sempre più intelligenti e coinvolti, stanno perdendo la loro migliore occasio-ne.

Le aziende possono ora comunicare diret-tamente con i loro mercati. Se non lo capi-scono, potrebbe essere la loro ultima occa-sione.

Le aziende devono capire che i loro merca-ti ridono spesso. Di loro.

Le aziende dovrebbero rilassarsi e prender-si meno sul serio. Hanno bisogno di un po’ di senso dell’umorismo.

Avere senso dell’umorismo non significa mettere le barzellette nel sito web azienda-le. Piuttosto, avere dei valori, un po’ di umil-tà, parlar chiaro e un onesto punto di vista.

Le aziende che cercano di "posizionarsi" devono prendere posizione. Nel migliore

dei casi, su qualcosa che interessi davvero il loro mercato.

Vanterie ampollose del tipo "Siamo posizio-nati per essere il primo fornitore di XYZ" non costituiscono un posizionamento.

Le aziende devono scendere dalla loro tor-re d’avorio e parlare con la gente con la quale vogliono entrare in contatto.

Le Pubbliche Relazioni non si relazionano con il pubblico. Le aziende hanno una pau-ra tremenda dei loro mercati.

Parlando con un linguaggio lontano, poco invitante, arrogante, tengono i mercati alla larga.

Molti programmi di marketing si basano sulla paura che il mercato possa vedere co-sa succede realmente all’interno delle aziende.

Elvis l’ha detto meglio di tutti: "Non possia-mo andare avanti sospettandoci a vicen-da".

La fedeltà a una marca è la versione azien-dale della coppia fissa, ma la rottura è ine-vitabile ed è in arrivo. Poiché sono in rete, i mercati intelligenti possono rinegoziare la relazione con incredibile rapidità.

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I mercati in rete possono cambiare fornito-re dalla sera alla mattina. I lavoratori della conoscenza in rete possono cambiare da-tore di lavoro nel tempo dell’intervallo del pranzo. Le vostre "iniziative di downsizing" ci hanno insegnato a domandarci "La fedel-tà? Cos’è?"

I mercati intelligenti troveranno i fornitori che parlano il loro stesso linguaggio.

Imparare a parlare con voce umana non è un gioco di società. E non può essere im-provvisato a un qualsiasi convegno solo per darsi un tono.

Per parlare con voce umana, le aziende de-vono condividere i problemi della loro co-munità.

Ma prima, devono appartenere a una co-munità.

Le aziende devono chiedersi dove finisce la loro cultura di impresa.

Se la loro cultura finisce prima che inizi la comunità, allora non hanno mercato.

Le comunità umane sono basate sulla co-municazione – su discorsi umani su proble-mi umani.

La comunità della comunicazione è il mer-cato.

Le aziende che non appartengono a una comunità della comunicazione sono desti-nate a morire.

Le aziende fanno della sicurezza una reli-gione, ma si tratta in gran parte di una ma-novra diversiva. Più che dai concorrenti, la maggior parte si difende dal mercato e dai suoi stessi dipendenti.

Come per i mercati in rete, le persone si parlano direttamente anche dentro l’azien-da – e non proprio di regole e regolamenti, comunicazioni della direzione, profitti e per-dite.

Queste conversazioni si svolgono oggi sul-le intranet aziendali. Ma solo quando ci so-no le condizioni.

Di solito le aziende impongono l’intranet dall’alto, per distribuire documenti sulla po-litica del personale e altre informazioni aziendali che i dipendenti fanno del loro meglio per ignorare.

Le intranet emanano noia. Le migliori sono quelle costruite dal basso da singole perso-ne che si impegnano per dare vita a qual-cosa di molto più valido: una conversazio-ne aziendale in rete.

Una intranet in buona salute organizza i di-pendenti nel più ampio significato del termi-

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ne. Il suo effetto è più radicale di qualsiasi piattaforma sindacale.

Se questo spaventa a morte le aziende, è pur vero che esse dipendono fortemente dalle intranet aperte per far emergere e condividere le conoscenze più importanti. Devono resistere all’impulso di "migliorare" o tenere sotto controllo queste conversa-zioni in rete.

Quando le intranet aziendali non sono con-dizionate da timori o da un eccesso di re-gole, incoraggiano un tipo di conversazio-ne molto simile a quella dei mercati in rete.

Gli organigrammi funzionavano nella vec-chia economia, in cui i piani dovevano es-sere ben compresi da tutta la piramide ge-rarchica e dettagliati piani di lavoro poteva-no scendere dall’alto.

Oggi, l’organigramma è fatto di link, non di gerarchie. Il rispetto per la conoscenza vin-ce su quello per l’autorità astratta.

Gli stili di management basati sul comando e sul controllo derivano dalla burocrazia e al tempo stesso la rafforzano. Il risultato so-no la lotta per il potere e una cultura di im-presa paranoica.

La paranoia uccide la conversazione. Que-sto è il punto. Ma la mancanza di conversa-zione uccide le aziende.

Ci sono due conversazioni in corso. Una all’interno dell’azienda, l’altra con il merca-to.

Nessuna delle due va bene, nella maggior parte dei casi. Quasi sempre, alla base del fallimento ci sono le vecchie idee di coman-do e controllo.

Come politica di impresa, queste idee so-no velenose. Come strumenti, sono fuori uso. Comando e controllo sono visti con ostilità dai lavoratori della conoscenza e con sfiducia dai mercati online.

Queste due conversazioni vogliono parlare l’una con l’altra. Parlano lo stesso linguag-gio. Si riconoscono l’un l’altra dalla voce.

Le aziende intelligenti si faranno da parte per far accadere l’inevitabile il prima possi-bile.

Se la volontà di farsi da parte è presa co-me parametro del quoziente di intelligenza, allora veramente poche aziende si mostra-no rinsavite.

Seppur subliminalmente, milioni di perso-ne sulla rete percepiscono ormai le azien-de come strane finzioni legali che fanno di

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tutto perché queste due conversazioni non si incontrino.

Questo è suicidio. I mercati vogliono parla-re con le aziende.

E’ triste, ma la parte di azienda con cui i mercati vogliono parlare è spesso nasco-sta dietro una cortina di fumo, il cui linguag-gio suona falso – e spesso lo è.

I mercati non vogliono parlare con ciarlata-ni e venditori ambulanti. Vogliono parteci-pare alle conversazioni che si svolgono die-tro i firewall delle aziende.

Sveliamoci e parliamo di noi: quei mercati siamo Noi. Vogliamo parlare con voi.

Vogliamo accedere alle vostre informazio-ni, ai vostri progetti, alle vostre strategie, ai vostri migliori cervelli, alle vostre vere cono-scenze. Non ci accontentiamo delle vostre brochures a 4 colori, né dei vostri siti Inter-net sovraccarichi di bella grafica ma senza alcuna sostanza.

Noi siamo anche i dipendenti che fanno an-dare avanti le vostre aziende. Vogliamo par-lare ai clienti direttamente, con le nostre vo-ci e non con i luoghi comuni delle brochu-res.

Come mercati, come dipendenti, siamo stu-fi a morte di ottenere le informazioni da un lontano ente di controllo.

Come mercati, come dipendenti, ci doman-diamo perché non ci ascoltate. Sembrate parlare una lingua diversa.

Il linguaggio tronfio e gonfio con cui parla-te in giro – nella stampa, ai congressi – co-sa ha a che fare con noi?

Forse fate una certa impressione sugli inve-stitori. Forse fate una certa impressione in Borsa. Ma su di noi non fate alcuna impres-sione.

Se non fate alcuna impressione su di noi, i vostri investitori possono andare a fare un bagno. Non lo capiscono? Se lo capissero, non vi lascerebbero parlare così.

Le vostre vecchie idee di "mercato" ci fan-no alzare gli occhi al cielo. Non ci ricono-sciamo nelle vostre previsioni – forse per-ché sappiamo di stare già da un’altra par-te.

Questo nuovo mercato ci piace molto di più. In effetti, lo stiamo creando noi.

Siete invitati, ma è il nostro mondo. Levate-vi le scarpe sulla soglia. Se volete trattare con noi, scendete dal cammello.

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Siamo immuni dalla pubblicità. Semplice-mente dimenticatela.

Se volete che parliamo con voi, diteci qual-cosa. Tanto per cambiare, fate qualcosa di interessante.

Abbiamo qualche idea anche per voi: alcu-ni nuovi strumenti, alcuni nuovi servizi. Ro-ba che pagheremmo volentieri. Avete un minuto?

Siete troppo occupati nel vostro business per rispondere a un’e-mail? Oh, spiacenti, torneremo. Forse.

Volete i nostri soldi? Noi vogliamo la vostra attenzione.

Interrompete il viaggio, uscite da quell’au-to-coinvolgimento nevrotico, venite alla fe-sta.

Niente paura, potete ancora fare soldi. A patto che non sia l’unica cosa che avete in mente.

Avete notato che di per sé i soldi sono qualcosa di noioso e a una sola dimensio-ne? Di cos’altro possiamo parlare?

Il vostro prodotto si è rotto. Perché? Vor-remmo parlare col tipo che l’ha fatto. La vo-stra strategia aziendale non significa nien-te. Vorremmo scambiare due parole con

l’amministratore delegato. Che vuol dire che "non c’è"?

Vogliamo che prendiate sul serio 50 milioni di noi almeno quanto prendete sul serio un solo reporter del Wall Street Journal.

Conosciamo alcune persone della vostra azienda. Sono piuttosto bravi online. Ne na-scondete altri, di bravi? Possono uscire ed entrare in gioco anche loro?

Quando abbiamo delle domande, ci cer-chiamo l’un l’altro per le risposte. Se non esercitaste un tale controllo sulle "vostre persone", sarebbero anche loro tra le per-sone che cercheremmo.

Quando non siamo occupati a fare il vostro "mercato target", molti di noi sono le vo-stre persone. Preferiamo chiacchierare onli-ne con gli amici che guardare l’orologio. Questo farebbe conoscere il vostro nome molto di più del vostro sito internet da un milione di dollari. Ma siete voi a dirci che è la Divisione Marketing che deve parlare al mercato.

Ci piacerebbe che sapeste cosa sta succe-dendo qui. Sarebbe davvero bello. Ma sa-rebbe un grave errore pensare che ce ne stiamo con le mani in mano.

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Abbiamo di meglio da fare che preoccupar-ci se riuscirete a cambiare in tempo. Il busi-ness è solo una parte della nostra vita. Sembra essere invece tutta la vostra. Pen-sateci: chi ha bisogno di chi?

Il nostro potere è reale e lo sappiamo. Se non riuscite a vedere la luce alla fine del tunnel, arriverà qualcuno più attento, più interessante, più divertente con cui gioca-re.

Anche nel peggiore dei casi, la nostra nuo-va conversazione è più interessante della maggior parte delle fiere commerciali, più divertente di ogni sitcom televisiva, e certa-mente più vicina alla vita di qualsiasi sito web aziendale.

Siamo leali verso noi stessi, - i nostri amici, i nostri nuovi alleati, i nostri conoscenti, persino verso i nostri compagni di battute. Le aziende che non fanno parte di questo mondo non hanno nemmeno un futuro.

Le aziende stanno spendendo miliardi di dollari per il problema dell’Anno 2000. Co-me fanno a non sentire la bomba a orologe-ria nei loro mercati? La posta in gioco è persino più alta.

Siamo dentro e fuori le aziende. I confini delle nostre conversazioni sembrano il Mu-ro di Berlino di oggi, ma in realtà sono solo

una seccatura. Sappiamo che stanno crol-lando. Lavoreremo da entrambe le parti per farle venire giù.

Alle aziende tradizionali le conversazioni online possono sembrare confuse. Ma ci stiamo organizzando più rapidamente di loro. Abbiamo strumenti migliori, più idee nuove, nessuna regola che ci rallenti.

Ci stiamo svegliando e ci stiamo linkando. Stiamo a guardare, ma non ad aspettare.

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NOTE

1) Oggi, ad esempio è un gran parlare di startup e di spinoff ma qualche rondine (ad esempio HFarm di Ric-cardo Donadon ) non fa primavera.

2) Vedi R.Florida L’ascesa della nuova classe creativa, Milano, Mondadori 2002.3) Vedi R.B.Reich L’economia delle nazioni, Milano, Edizioni “Il Sole 24 Ore” 1993 .4) Vedi R. Florida L’ascesa della nuova classe creativa, Milano, Mondadori 2002.5) Vedi R.B.Reich L’economia delle nazioni, Milano, Edizioni “Il Sole 24 Ore” 1993.6) Vedi “La ripresa va in banda larga” Nicol degli Innocenti, Il Sole 24 Ore 21 aprile 2009.7) Sono quelle che oggi nei miei studi sulle smart cities definisco le “precondizioni infrastrutturali” per inno-

vare una città.8) Vedi Creativity Group Europe L’Italia nell’era creativa, Luglio 2005.9) Vedi Stefano Vietina “L’avventura della comunicazione”, Milano, Lupetti Editori di Comunicazione 2008.10) Dovete scusarmi, alcuni riferimenti a Venezia a questo punto saranno obbligatori.11) Oggi direi che il cittadino non è ancora consapevole.12) Vedi Vito di Bari “Web 2.0” Milano, Edizioni Il Sole 24 Ore 2007.13) Vedi Nicholas Negroponte “Essere digitali” Milano, Sperling Paperback Saggi.14) Vedi T.H.Marshall “Cittadinanza e classe sociale”, Torino, UTET 1976.15) Vedi Ralf Dahrendorf “Il conflitto sociale nella modernità”, Bari, Editori Laterza 1989.16) Vedi Robert A. Dahl “Intervista sul pluralismo”, Bari, Editori Laterza 2002.17) Vedi Eric Hobsbawn Intervista sul nuovo secolo, Bari, Editori Laterza 2001.18) Vedi “Costruire l’Europa della Conoscenza”, Settimo programma quadro (2007-2013) .19) http://it.wikipedia.org/wiki/Digital_divide.20) Si deve pensare poi che nel 2009 non si parlava minimamente di “connettività in movimento” e di “Inter-

net of Tings”.21) Vedi Chris Anderson <Ok, il prezzo è zero>, Wired aprile 2009.22) Vedi Luca de Biase “Il valore del dono” Nòva Il Sole 24 Ore 18 dicembre 2008.23) Ho voluto riprodurre integralmente, attualizzandola, questa parte del libro originale perché, con le dovu-

te modifiche legate al mutare dei mercati e delle condizioni economiche, si tratta di politiche replicabili da ogni Amministrazione. Nel mio libro “Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era di Internet” ho trattato diffusamente le politiche che una Amministrazione dovrebbe adottare per sviluppare banda larga e wifi.

24) Venis SPA è la Società in house di proprietà del Comune di Venezia.25) La legislazione sull’accesso al wifi è stata modificata positivamente in queste settimane attraverso il

“Decreto del Fare”.26) La manifestazione chiamata “Bateo Camp” ha garantito un’ampia pubblicità alla manifestazione. Su

You Tube è stato postato tantissimo materiale. In particolare vorrei segnalare il mio intervento. In quella se-de ho ribadito molti dei concetti che troverete espressi in questo ebook.

27) Vedi ad esempio Giuliano da Empoli “Obama La politica nell’era di Facebook”, Venezia, Marsilio Editori 2008.

28) Vedi Luca Sofri “Il blog centro di gravità permanente della nostra identità digitale” in “L’avventura della comunicazione”, Milano, Lupetti Editori di Comunicazione 2008

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29) Ho trovato molto interessante questo articolo sui rapporti tra Twitter e i media tradizionali. “Twitter è il nuo-vo telecomando della Tv: adesso i cinguettii spingono lo share” Simone Cosimi.

30) Vedi Antonio Dini “Emozione Apple Fabbricare sogni nel XXI secolo”, Milano, Edizioni Il Sole 24 Ore 2007.31) Vedi Riccardo Staglianò “Bill Gates Una biografia non autorizzata”, Milano, Feltrinelli Editore 2000.32) Vedi Federico Rampini “Dall’euforia al crollo La seconda vita della New Economy”, Bari, Edizioni Laterza

2001.33) Cluetrain Manifesto in italiano.34) Vedi Chris Anderson “La coda lunga Da un mercato di massa a una massa di mercati”, Torino, Codice Edi-

zioni 2006.35) Vedi Valerio Monaco “Il Web non è un paese per vecchi”, Wired.it aprile 2009.36) Vedi David Weinberger “La stanza intelligente-La conoscenza come proprietà della rete”, Torino Codice

Edizione 2012.37) Vedi Valentina Reda “Politicaonline.it”.38) Vedi James Manyika e Jacques Bughin “Fare business con il Web 2.0” in “WEB 2.0”, Milano, Edizioni Il So-

le 24 Ore 2007.39) Pensate alla impostazione culturale che permea tutte le Leggi definite “Agenda Digitale Italiana”.40) Vedi Tim O’Reilly Cosa è Web 2.0 Design patterns e modelli di business per la prossima generazione di

software.41) Vedi Tim O’Reilly “Cosa è Web 2.0 Design patterns e modelli di business per la prossima generazione di

software”.42) Scusatemi se uso il soggettivo. Me li sono inventati proprio io.43) Vedi David Weinberger “Amministrazione di sistema”, Nòva Il Sole 24 Ore 5 febbraio 2009.44) Vedi Don Tapscott e Antony D.Williams “Wikinomics La collaborazione di massa che sta cambiando il mon-

do”, Firenze, Etas Rizzoli 2007.45) Vedi David Weinberger Amministrazione di sistema, Nòva Il Sole 24 Ore 5 febbraio 2009.46) Il decalogo che andrò ad enunciare si sposerà bene con un altro mio elaborato: “Il manifesto di principi

per una città intelligente”.47) Vedi Federico Butera “L’orologio e l’organismo”, 1984 Franco Angeli Editore Milano.48) In questo contesto la logica degli open data troverebbe una sua forte legittimazione che le consentirebbe

di uscire dal vincolo di “open per la trasparenza”.49) Nel 2009 non si parlava di BIG DATA.50) Vedi Luca Grivet Foiaia “Web 2.0 Guida al nuovo fenomeno della rete”, MIlano, Ulrico Hoepli Editore.51) Mi sembrava eticamente corretto indicare alcuni software applicativi e di interazione tra l’Amministrazione

e i cittadini sviluppati durante la mia gestione. Il lavoro è poi proseguito in questi anni. Non tutti i “prodotti” sviluppati rispondono alle logiche indicate più sopra. Giudicherete voi. Questi software sono tutti disponibi-li alla pagina web http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/21871.

52) Ovviamente questa parte non era presente nel libro originale “Una scommessa da vincere”.53) McKinsey&Company: Big data: the next frontier for innovation, competition, and productivity May 2011.

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54) “Gartners’s top predictions in mobile and social computing” Monica Basso Research UP Gartner 2010;“Trend che contano: 84 trend tecnologici, sociali ed economici” Jackie Fenn Gartner Luglio 2011“Trend tecnologici che contano” Stephen Prendice Luglio 2011 “Tablet, demand and disrubtion” Morgan Stan-ley Febbraio 2011.55) “Social CRM: the next generation of customer innovation” Ed Thompson Gartner 2010.56) Vedi ad esempio l’applicativo prodotto dal M.I.T. “MIT Mood Meter” http:// moodmeter.media.mit.edu/.57) Sentiment analisys http://en.wikipedia.org/wiki/Sentiment_analysis.58) “...per open data si intende il formato “aperto” con cui le informazioni e i dati digitali possono essere tra-

smessi,distribuiti e scambiati on the web.Si tratta di un formato che permette di creare una rete basata su dati che siano accessibili, integrabili e interscambiabili. Per “formato aperto” si fa riferimento alla completa accessibilità dei dati e delle informazioni attraverso il web, in assenza di forme di controllo e restrizioni -co-me copyright e brevetti- che ne limitano l’utilizzo, l’integrazione e il riuso.” Vedi “Open government directi-ve” http://www.whitehouse.gov/sites/default/files/omb/ assets/memoranda_2010/m10-06.pd Vedi inoltre “Come si fa open data” http://www.datagov.it/2011/05/11/come-si-fa-open-data- ver-2-0/.

59) Si parla tanto, forse troppo di turismo a Venezia. Questa parte del ebook è la dimostrazione che molto si è fatto nel passato. Peccato che questo lavoro non sia stato valorizzato e utilizzato come si sarebbe dovuto. È una delle troppe occasioni mancate di questa città che ogni volta sembra voler ricomnciare da capo.

60) http://coworkingmilano.com/.61) http://coworkingmilano.com.62) Come vedete sono un #nomadworker da qualche anno. Questi concetti li scrivevo qualche anno fa. Devo

a questo proposito ringraziare Massimo Carraro, colui che mi ha fatto scoprire le virtù del coworking e del lavoro nomadico.

63) Vedi Luca Grivet Foiaia Web 2.0 Guida al nuovo fenomeno della rete, MIlano, Ulrico Hoepli Editore.64) Vedi Enrico Bertini Cloud Computing: la frontiera-la prossima Google potrebbe non possedere alcun ser-

ver, Stalkk.ed.65) Scusatemi se ricordo che questi concetti li scrivevo nel 2009 quando di cloud computing parlavamo in po-

chi eroi. In una Pubblica Amministrazione poi.....66) Vedi Gianni Dominici A.A.A. Disubbidienti cercasi, FORUM P.A..