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Nel 1992 il sacrificio dei due giudici ha cambiato la coscienza del Paese diventando il simbolo della legalità UNA MEMORIA LUNGA VENTI ANNI

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Nel 1992il sacrificiodei due giudiciha cambiatola coscienzadel Paesediventandoil simbolo della legalità

UNA MEMORIALUNGAVENTI ANNI

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di me è scattata la voglia che non si per-desse la memoria di Giovanni ma soprat-tutto venissero sempre ricordati i valorinei quali lui aveva sempre creduto, cioè gliideali di giustizia, rispetto delle regole, de-mocrazia e libertà”.

Secondo lei si scoprirà mai tutta la ve-

rità su quelle due stragi di mafia in cui

morirono Giovanni e sua moglie, Paolo

Borsellino e otto agenti di scorta?

“Questa risposta ce la dovranno dare imagistrati quando troveranno quei ri-scontri giudiziari tali da potere fornireprove inconfutabili. Mi auguro che ciòpossa avvenire presto”.

Come vede la situazione attuale sul

fronte dell’antimafia? Crede che il

messaggio di suo fratello ed il suo sa-

crificio siano stati adeguatamente re-

cepiti?

“ll messaggio di Giovanni non è stato re-

cepito in maniera uguale in tutti questianni che ci separano dalla strage di Capa-ci, certamente è stato altalenante in par-ticolare per quanto riguarda le Istituzio-ni”.

Lei ritiene che sia necessaria una ri-

forma della giustiza? Il Governo pre-

cedente aveva presentato alla stampa

la riforma sulla giustizia penale in cui

si parlava peraltro di separazione del-

le carriere dei magistrati e due Consi-

gli Superiori della Magistratura. Pen-

sa che possa migliorare i processi?

“Non sono un magistrato né una studiosadi diritto processuale ma come cittadinacomune, non posso non constatare che lasituazione processuale in Italia sia a livellopenale che civile lascia molto a desiderare,soprattutto per quel che riguarda la lun-ghezza dei processi. Pensare ad una rifor-ma della giustizia credo sia necessario maquella riforma presentata non mi sembra-va che si muovesse in tale direzione. Perquanto riguarda la separazione delle car-riere anche Giovanni Falcone era d’accor-do su tale separazione che scaturiva dallostesso processo accusatorio per garantirela parità assoluta delle parti. Tale sua ideanon prescindeva comunque dalla necessi-tà di mantenere il magistrato libero e indi-pendente da qualsiasi condizionamentogovernativo”.

Qual è il messaggio che intende rivol-

gere ai tanti ragazzi che oggi arrive-

ranno a Palermo da ogni parte d’Italia

per ricordare le due stragi?

“Mi piacerebbe rispondere a tutti lorocon le parole di Giovanni pubblicate pe-raltro nel libro La posta in gioco edizioneBur: “Adesso, fortificati dalle esperienzenel bene e nel male acquisite, è tempo diandare avanti, non con sterili declamazio-ni e non più confidando sull’impegnostraordinario di pochi, ma con il dovero-so impegno ordinario di tutti in una bat-taglia che è anzitutto di civiltà e che può edeve essere vinta”.

“I giovani non devono ritenere mio fratello un superman, è stato ungrande servitore dello Statoche ha compiuto fino

in fondo il proprio dovere”

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Èun’analisi lucida, precisa, con-creta. La professoressa MariaFalcone, sorella del giudice ucci-so a Capaci, tira un bilancio aventi anni dalle stragi di Capaci e

via D’Amelio. E sottolinea quanti passiavanti sono stati compiuti da magistrati eforze dell’ordine nelle indagini che hannoportato all’arresto di centinaia di mafiosi esoprattutto di pericolosi latitanti. Successiscaturiti anche grazie alle intuizioni delgiudice Falcone. La sorella del magistratoracconta il rapporto di grande affetto ecomprensione con il fratello, quando as-sieme alla sorella, lo accompagnavano ascuola al Convitto Nazionale dove Gio-vanni frequentava le elementari. E poi an-cora il momento in cui a Falcone vennerafforzata la scorta per motivi di sicurezzae contestualmente il cambiamento radica-le di piccole abitudini come quella di po-ter fare una passeggiata insieme. La profes-soresa Falcone in tutti questi anni si è de-dicata con grande passione ed entusiasmoall’educazione alla legalità nelle scuoled’Italia perché “non si perdesse la memo-ria di Giovanni”. Ed ha potuto così con-statare la grande attenzione mostrata daragazzi e docenti al problema della mafia.

Professoressa Falcone, a vent’anni da

quelle due stragi, come è cambiata la

lotta alla mafia?

“È cambiata anche perché il metodo diindagine, la legislazione specifica e l’or-ganizzazione giudiziaria volute da Gio-vanni Falcone sono servite ai magistratiper avere gli strumenti per portare avantile indagini con maggiore incisività ed ef-ficacia. La situazione attuale, soprattuttoin Sicilia, è soddisfacente perché i magi-strati e le Forze dell’Ordine in questi an-ni hanno lavorato in modo ottimale, ar-restando quasi tutti i latitanti di Cosanostra. Anche la società civile ha reagitobene cercando di mostrare molta atten-zione ai problemi della mafia e scrollan-dosi in parte la cultura dell’omertà e del-l’indifferenza. Credo quindi che il mes-saggio di Giovanni Falcone sia stato inparte recepito”.

Che rapporto aveva con suo fratello?

“Un rapporto di grande affetto e di com-prensione reciproca. Ci capivamo e agiva-mo in sintonia. Ricordo quando era pic-colo e ogni mattina assieme a mia sorellalo accompagavamo a scuola, lui frequen-

tava le elementari al Convitto Nazionale,l’istituto che si trova in piazza Sett’Angeli.Portava un cappello con la scritta CN, ap-punto Convitto Nazionale, e lui si arrab-biava tantissimo quando gli dicevamo,per scherzare, cretino nazionale”.

Quando avvertì che le cose nella vita di

suo fratello stavano cambiando?

“È un particolare che non dimenticheròmai. Mi sono accorta che qualcosa stava

cambiando radicalmente nella vita diGiovanni quando un giorno l’ho vistotornare a casa con la scorta rafforzata.Scorta che da quel momento non lo lasciòsino alla fine”.

Quel periodo ha avuto conseguenze

anche sulla sua vita?

“È facile comprendere che ci fu un cam-biamento radicale di certe piccole abitu-dini. Proprio la situazione di ‘sorvegliato

speciale’ in cui praticamente si venne atrovare Giovanni mi tolse la possibilità dipotere uscire con lui e poter vivere queipiccoli ma importanti momenti di svagonecessari alla vita di ogni giorno”.

Dopo la strage di Capaci, ha notato

una reazione, una presa di posizione

decisa da parte dei cittadini?

“Sicuramente la società civile ha rispostocon grande coinvolgimento alle stragi del’92. Ricordo la solidarietà di tutta la genteperbene, la catena umana e le lenzuolabianche esposte sui balconi per gridarebasta alla mafia. Una reazione che conti-nua ancora oggi coinvolgendo soprattut-to i giovani e i professori. Sono aumentatein maniera esponenziale le scuole che par-tecipano alle manifestazioni organizzateogni anno il 23 maggio. E questo mi rin-cuora. In tutti questi anni ho visitato tan-te scuole perché invitata dai ragazzi. E tut-te le volte ho potuto constatare la grandeconsapevolezza dell’importanza di cono-scere non solo i fatti che hanno sconvoltola nostra terra, ma anche gli atteggiamen-ti da assumere per contrastare la mafia. Siaio che mia sorella non volevamo che Gio-vanni fosse ricordato dai giovani come unsuperman. Giovanni è stato un grandemagistrato che ha compiuto fino in fondoil proprio dovere ed i ragazzi devono guar-dare a lui come ad un uomo normale, conle sue paure, i suoi entusiasmi, la sua vo-glia di riuscire a compiere qualcosa di im-portante per la società. Un uomo quindida potere imitare”.

Cosa ha pensato vedendo questa rea-

zione della società civile?

“Mi sono commossa. Questa reazione miha fatto comprendere quanto Giovannifosse stato amato e come il suo lavoro erastato importante per il riscatto della socie-tà palermitana”.

In questi anni ha sentito vicine le Istitu-

zioni?

“Anche le Istituzioni hanno mostrato at-tenzione anche se in diversi modi nel cor-so dei vari anni”.

La morte di suo fratello, ha cambiato il

suo modo di vivere e di comportarsi?

“Sicuramente sì, perché da quel giorno misono dedicata completamente al lavoro,come ho detto prima, di educazione allalegalità nelle scuole di tutta Italia. Dentro

Quando si sapràtutto sulle stragi?“Spero presto”

Intervista alla professoressaMariaFalcone: le intuizionidi Giovanni in questi annisono servite per portare

avanti le indagini di mafiacon maggiore incisività

“La situazione attualeè soddisfacente: magistratie Forze dell’ordinehanno lavorato molto bene arrestando quasi tutti i latitanti di Cosa nostra”

“Anche la società civile ha reagito bene mostrandoattenzione ai problemi della mafia e scrollandosi in parte la cultura

dell’omertà e indifferenza”

In alto a sinistra,

Giovanni

Falcone

pensieroso

durante

una conferenza

Sopra, il giorno

della laurea in

giurisprudenza

nel 1961

A fianco,

con la moglie

Francesca

Morvillo

e più a sinistra,

una bella

immagine

di Giovanni

da bambino

accanto,

all’ Accademia

di Livorno

Nell’altra pagina,

la professoressa

Maria Falcone

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Paolo Borsellino ha sempre par-lato in modo diretto. Del-l’amore per la sua città, dellamafia, del lavoro di magistratoe della necessità di avere un

dialogo costante con i giovani. Le sueidee sono rimaste, in questi anni, un au-torevole sottofondo che ha scandito lanostra vita. Le sue coraggiose denuncecontro chi lavorava per sabotare l’azionedei magistrati o degli investigatori anti-mafia hanno scosso le coscienze di molti.Le sue parole in difesa dei più debolihanno sempre colpito nel segno. Eccoperché conoscere il pensiero di PaoloBorsellino… dalla A alla Z può essere unbel modo per onorarlo.

AmorePalermo non mi piaceva, per questo

ho imparato ad amarla. Perché il veroamore consiste nell’amare ciò che nonpiace per poterlo cambiare.

BellissimaLa lotta alla mafia, il primo problema

da risolvere nella nostra terra bellissima edisgraziata, non doveva essere soltantouna distaccata opera di repressione, ma

un movimento culturale e morale checoinvolgesse tutti e specialmente le giova-ni generazioni, le più adatte a sentire subi-to la bellezza del fresco profumo di libertàche fa rifiutare il puzzo del compromessomorale, dell'indifferenza, della contiguitàe quindi della complicità.

CadaveriConvinciamoci che siamo dei cadave-

ri che camminano, mi disse Ninni Cassa-rà allorché ci stavamo recando insieme sulluogo dove era stato ucciso il dottorMontana, alla fine di luglio del 1985.L’espressione io potrei anche ripeterla orama in modo più ottimistico. Io accetto,ho sempre accettato più che il rischio,quali sono le conseguenze del lavoro chefaccio, del luogo dove lo faccio e vorrei di-re anche di come lo faccio. Lo accettoperché ho scelto a un certo punto dellamia vita di farlo, e potrei dire che sapevo

fin dall’inizio che dovevo correre questipericoli. Io credo profondamente nel la-voro che faccio, so che è necessario che lofaccia, so che è necessario che lo faccianotanti altri insieme a me.

DebitoSono morti per tutti noi. Abbiamo un

grande debito verso di loro e dobbiamopagarlo gioiosamente, continuando la lo-ro opera. Facendo il nostro dovere, rispet-tando le leggi, anche quelle che ci impon-gono sacrifici; rifiutando di trarre dal si-stema mafioso i benefici che possiamotrarne, collaborando con la giustizia, te-stimoniando i valori in cui crediamo e incui dobbiamo credere anche dentro le au-le di giustizia. Troncando immediata-mente ogni legame di interesse, anchequelli che ci sembrano più innocui, conqualsiasi persona portatrice di interessimafiosi, grossi o piccoli.

È normaleLa paura è normale che ci sia in ogni

uomo, l’importante è che sia accompa-gnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsisopraffare dalla paura, sennò la paura di-venta un ostacolo che ti impedisce di an-dare avanti.

FalconeLa vita di Falcone è stata un atto

d’amore verso questa città, verso questaterra che lo ha generato. Perché se l’amoreè soprattutto ed essenzialmente dare, perlui, amare Palermo e la sua gente ha avutoe ha il significato di dare a questa terraqualcosa, tutto ciò che era possibile daredelle nostre forze morali, intellettuali eprofessionali per rendere migliore questacittà e la patria a cui essa appartiene.

GiustiziaLa giustizia per essere giusta deve an-

che essere veloce.

InvidiaIo sono vissuto in una società in cui,

quando avevo 15 anni, un mio compagnodi scuola si vantava di essere figlio del ca-pomafia del paese e io lo invidiavo. Oggiprobabilmente non ci sono più, a Paler-mo, giovani come me che a 15 anni invi-diavano il compagno di classe.

KamikazeNon sono né un eroe né un kamikaze,

Il pensierodi Borsellino• • •

dalla A alla Z

ma una persona come tante altre. Temo lafine perché la vedo come una cosa miste-riosa, non so quello che succederà nell’al-dilà. Ma l’importante è che sia il coraggioa prendere il sopravvento.

LavoroIl giovane deve crescere in modo che

nel futuro, quando sarà cittadino a pienotitolo, non sia soggetto alla tentazioneavuta da un gruppo di disoccupati di gri-dare “Viva Vito Ciancimino” oppure“La mafia dà lavoro”. Quasi che l’istitu-zione mafiosa possa assolvere quelle fun-zioni di giustizia, di ridistribuzione dellericchezze, di tutela degli interessi socialiche invece solo le Istituzioni possonoproteggere.

MafiaParlate della mafia. Parlatene alla ra-

dio, in televisione, sui giornali. Però par-latene.

Non ho chiestoNon ho mai chiesto di occuparmi di

mafia. Ci sono entrato per caso. E poi cisono rimasto per un problema morale. Lagente mi moriva attorno.

OttimismoOggi sono ottimista perché vedo che

verso la mafia i giovani, siciliani e non,hanno un’attenzione ben diversa da quel-la colpevole indifferenza che io mantenni

sino ai quarant’anni. Quando questi gio-vani saranno adulti avranno più forza direagire di quanto io e la mia generazionene abbiamo avuta.

Politica e mafiaI rapporti tra mafia e politica? Sono

convinto che ci siano. E ne sono convintonon per gli esempi processuali, che sonopochissimi, ma per un assunto logico: èl’essenza stessa della mafia che costringel’organizzazione a cercare il contatto conil mondo politico.

Queste vittimeLa mafia dovrà essere chiamata a ri-

spondere anche del sacrificio di questevittime innocenti.

ReatiIl sospetto dovrebbe indurre soprat-

tutto i partiti politici quantomeno a faregrossa pulizia, devono non soltanto essereonesti, ma apparire onesti facendo pulizia

al loro interno di tutti coloro che sonoraggiunti comunque da episodi o da fattiinquietanti anche se non costituenti reati.

StipendioA fine mese, quando ricevo lo stipen-

dio, faccio l’esame di coscienza e mi chie-do se me lo sono guadagnato.

TifoUn giorno Falcone mi disse “La gen-

te fa il tifo per noi”. Con ciò non inten-deva riferirsi soltanto al conforto chel’appoggio morale della popolazione dàal lavoro del giudice. Significava soprat-tutto che il nostro lavoro, il suo lavoro,stava sommovendo le coscienze, rom-pendo i sentimenti di accettazione dellaconvivenza con la mafia, che costituisco-no la sua vera forza.

UccisiIl 4 maggio 1980 uccisero il capitano

Emanuele Basile ed il consigliere RoccoChinnici volle che mi occupassi io del-l'istruzione del relativo procedimento.Nel mio stesso ufficio frattanto era appro-dato, provenendo anche egli dal civile, ilmio amico di infanzia Giovani Falcone esin dall’ora capii che il mio lavoro dovevaessere un altro. Avevo scelto di rimanerein Sicilia ed a questa scelta dovevo dare unsenso. I nostri problemi erano quelli deiquali avevo preso ad occuparmi quasi ca-sualmente, ma se amavo questa terra di

essi dovevo esclusivamente occuparmi.

VendettaMi uccideranno, ma non sarà una ven-

detta della mafia, la mafia non si vendica.Forse saranno mafiosi quelli che material-mente mi uccideranno, ma quelli cheavranno voluto la mia morte saranno altri.

Zio PaoloLe ‘mie’ testimoni di giustizia, Rita

Atria e Piera Aiello, due ragazze di Partan-na, mi chiamano zio Paolo…

Umberto Lucentini

autore del libro Paolo Borsellino(edizioni San Paolo) scritto con Agnese,

Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino

“Sono ottimista perchévedo che verso la mafiai giovani hanno oggiattenzione ben diversada quella indifferenzadei miei quarant’anni”

“Mi uccideranno,ma non sarà una vendettadella mafia, la mafia non si vendica, ma quelli

che avranno voluto la miamorte saranno altri”

“ ”

Sopra, Paolo Borsellino

con Leonardo Sciascia

A destra, in un momento

di allegria con i colleghi

Giovanni Falcone,

Antonino Capponetto

e Ignazio De Francisci

Nelle altre foto, due

espressioni del giudice

Nella pagina a fianco,

L’impegno quotidiano

alla scrivania della procura

di Marsala

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Ministro Profumo la scuola

per quanto riguarda la

lotta alla criminalità or-

ganizzata ogni giorno fa

la propria parte cercan-

do di formare i giovani al rispetto delle

regole. Secondo lei, svolge bene que-

sto ruolo? E la società civile, secondo

lei, cosa fa per trasmettere ai giovani i

valori della legalità?

“La scuola italiana è certamente un buonesempio di educazione alla legalità attra-verso un processo avviato negli anni, conla partecipazione attenta di studenti e do-centi ed estremamente radicato nel Paese.Anche per gli insegnanti, pur non essen-doci un percorso formativo predetermi-nato, esistono momenti di formazione alivello più o meno informale, per cui il te-ma della legalità è ormai proprio di tuttala comunità scolastica. Posso testimoniareche in questi mesi, nel corso delle mie nu-merose visite alle scuole di ogni angolo delPaese, ho sempre trovato una comunità diinsegnanti, studenti e personale ammini-strativo di grandissimo valore e professio-nalità. Anche in situazioni difficili dalpunto di vista ambientale, come è avve-nuto proprio a Palermo quando sono an-dato alla scuola del quartiere Zen. La co-munità della scuola è viva e capace di in-fondere nei ragazzi proprio quei principidi legalità, rispetto delle regole e degli altriche sono il presupposto per la formazionedi una cittadinanza matura e responsabi-

le, che tutti vogliamo credere refrattariaall’illegalità e alla violenza della criminali-tà organizzata. Per quanto attiene alla so-cietà civile, in Italia esistono moltissimeoccasioni di partecipazione e coinvolgi-mento, a livello nazionale e locale, in cuiconfluiscono le esperienze di associazionie istituzioni. Tra tutte, le prime che mivengono in mente sono la Giornata dellalegalità e la Biennale della democrazia.Ma gli esempi sono moltissimi”.

Che cosa potrebbe fare la scuola per

estirpare la cultura di chi si arrende al

pizzo? Pensa che sia un bene che i ma-

gistrati e le forze dell’ordine siano invi-

tati regolarmente nelle scuole a parla-

re di legalità?

“Nella politica generale della scuola italia-na ha molto senso affermare che ogni gior-no dell’anno rappresenta una giornata incui si possono insegnare la cultura della le-

galità e l’impegno a non arrendersi di fron-te alla criminalità organizzata. Dunqueanche all’usura, che distrugge la vita di in-tere famiglie e che, specie in momenti eco-nomicamente difficili come quello chestiamo vivendo, rappresenta un pericoloancor più insidioso e letale. A tale proposi-to, la presenza di magistrati nelle scuole di-mostra agli studenti la vicinanza dello Sta-to e permette ai giovani di beneficiare dicontributi qualificati per comprenderequesto fenomeno in tutta la sua pericolosi-tà. Il passo necessario per estirparlo”.

Abbiamo scoperto che in qualche

scuola di Palermo, la data del 23 mag-

gio passa inosservata. Come è possi-

bile che accada ciò?

“Non lo sapevo e me ne dispiaccio. Per evi-tare che ciò si ripeta nel futuro è necessariaun’azione ancora più radicale sui territori,in modo che il passaparola possa diventare

un veicolo di trasmissione dei messaggi an-che nelle situazioni meno ricettive”.

Ministro non pensa che sarebbe bene

inserire nei programmi ministeriali di

educazione civica la storia della lotta

alla mafia?

“Oggi le modalità per insegnare ai nostristudenti possono essere non solo quelletradizionali. In questo, come in altri casi,si possono usare forme di comunicazionee insegnamento diverse e più vicine ai lin-guaggi degli studenti, oltre che al lorocuore. Certamente video, ma anche ricer-che usando la rete internet, mostre, rap-presentazioni artistiche, inchieste giorna-listiche e, non ultima, la possibilità dicoinvolgerli in lavori e progetti multidi-sciplinari in cui i ragazzi si sentano attoridiretti del loro apprendimento”.

Non crede che il bullismo, soprattutto

in Sicilia, possa essere l’anticamera

della mafia? Che cosa direbbe ad un

ragazzo vittima del bullismo o di pre-

varicazioni per invogliarlo a reagire a

comportamenti di tipo mafioso?

“Il bullismo è un fenomeno purtroppocrescente, non soltanto in Italia o in Sici-lia, e va estirpato sul nascere. E la scuola,dove non di rado si manifesta, è sicura-mente uno dei luoghi più indicati percreare gli anticorpi necessari a raggiungereil contenimento del fenomeno. Ai giovanivittime di bullismo voglio dire, per prima

La scuola fucinadi educazionealla legalità

cosa, che sono molto vicino a loro e allefamiglie. Ma vorrei aggiungere pure chesimili incidenti devono insegnare a tuttinoi, docenti, genitori, personale scolasti-co, ad essere maggiormente attenti e vigiliper poter cogliere i primi segnali di disa-gio o di violenza, e intervenire decisi. Lovoglio ribadire ancora proprio in questaoccasione: non dobbiamo recedere in al-cun modo dal nostro impegno per la co-struzione, sin dai primi anni di vita deinostri ragazzi, di una cittadinanza rispet-tosa della legalità e degli altri. La nostra èuna grande responsabilità”.

A vent’anni dalle stragi di Capaci e di

via D’Amelio, cosa può fare il ministero

e la scuola per alimentare la memoria

di Falcone e Borsellino?

“La maggior parte dei ragazzi che oggi fre-quentano le scuole non era ancora nataquando, tra la primavera e l’estate del1992, si consumarono le stragi di mafiacontro Giovanni Falcone e Paolo Borselli-no. A distanza di tanto tempo, oggi senzadubbio il pericolo maggiore è rappresen-tato dal rischio di dimenticare quanto av-venuto o di restare anestetizzati dal passa-re del tempo rispetto a quella grave feritaall’Italia democratica. Per evitare che ciòavvenga, senza dubbio la scuola, così co-me le altre istituzioni, è chiamata a dare ilproprio contributo alla memoria. Ciò puòavvenire in varie forme, coinvolgendobambini e ragazzi, oltre alle loro famiglie.

Non dimentichiamoci che le scuole sonoil primo biglietto da visita dello Stato coni suoi nuovi cittadini. E sono sempre lescuole le istituzioni primarie deputate al-l’educazione e alla formazione dei giovani,i luoghi in cui si coltiva la formazione diuna cittadinanza responsabile e consape-vole. Là, dove ci si confronta con gli altri econ ciò che non è più la propria famiglia,si impara quella coscienza civile che si so-stanzia nel rispetto della legge e dei valorisociali. Le iniziative per alimentare la me-moria dei magistrati uccisi dalla criminali-tà organizzata, in tutta Italia, si sono suc-cedute con successo in questi anni. Soloquella della Nave della legalità porta ognianno a Palermo, da ogni angolo di Italia,migliaia di studenti. Ma le iniziative più omeno grandi riguardano spesso istituti diogni ordine e grado. Spesso coinvolgendobambini e ragazzi in progetti e iniziativealtamente educativi, che si aggiungono al-l’insegnamento di ‘Cittadinanza e Costi-tuzione’. Per questa ragione voglio perso-nalmente ringraziare ogni singolo docente

che si sia impegnato in questi anni in que-sta meritoria opera educativa”.

Cosa ricorda lei di quel terribile 23

maggio del ’92?

“Ricordo bene quel giorno. Ero a casa diamici, alcuni dei quali sono giornalisticon cui poi, in questi anni, sono tornato aparlare di quel terribile 23 maggio. Mirammento molto bene l’ondata di emo-zioni e la concitazione alla notizia diquanto avvenuto. Gli sguardi attoniti tratutti noi, lo sgomento dipinto sui volti, ilsilenzio prima, e il bisogno di parlare poiper provare a noi stessi che eravamo vivinonostante quella ferita mortale al corpodello Stato. Personalmente, provai scon-certo e un profondo senso di vuoto per laviolenza e la protervia di un simile attaccoal cuore del Paese e delle istituzioni, colpi-ti nei suoi simboli più forti, più rispettati.Ricordo il sentimento di umana commo-zione e vicinanza nei confronti delle fami-glie di tutte le vittime di quel vile attenta-to. A perire in quell’esplosione, infatti, ol-tre a Giovani Falcone e a sua moglie Fran-cesca Morvillo vanno ricordati i tre agentidella scorta, Vito Schifani, Rocco Dicilloe Antonio Montinaro”.

Nella nostra scuola Giovanni Falcone

ha frequentato le elementari, questo

per noi è un onore. Nel 1999 è stato in-

titolato proprio a lui. Una ex alunna, ha

ritrovato negli archivi le pagelle e ab-

biamo potuto constatare che era un

alunno modello. Ministro Profumo ci

piacerebbe incontrarla per potergliele

mostrare.

“Sicuramente un plauso va a questa exalunna che è riuscita a trovare le pagelle diFalcone. Grazie a lei si sono potuti recu-perare questi importanti documenti, chesono un patrimonio per la scuola italiana.È un modo molto bello per ricordare uncittadino che ha dato tanto al nostro Pae-se. Per quanto riguarda l’invito nella vo-stra scuola ringrazio di cuore tutta la vo-stra comunità: ragazzi, docenti e il rettoredell’istituto. Mi auguro che ci possa essereal più presto un’occasione per potervi in-contrare. Sono già venuto a Palermo afebbraio scorso, come di certo saprete, hovisitato una scuola allo Zen che porta pro-prio il nome del magistrato ucciso dallamafia. Una scuola eccezionale, purtroppospesso vittima di vili atti di vandalismo.Voglio tornarci e, con l’occasione potreianche visitare la scuola di Falcone. Sareb-be bellissimo”.

Intervista al Ministro Francesco Profumo“Ringrazio i professori per le numerose iniziative in memoria dei magistrati uccisi dalla mafia”

“Quel tragico 23 maggioprovai sconcerto

per la violenza e la proterviadi un simile attacco al cuoredelle istituzioni, colpitenei suoi simboli più forti”

Alcune immagini

del Ministro

dell’Istruzione

Francesco

Profumo durante

la sua visita

a febbraio scorso

alla scuola

Falcone allo Zen

presa di mira

più volte

dai vandali

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newCOLLEGENUMERO UNICO 23 MAGGIO 2012 I due tragici pomeriggi

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newCOLLEGE NUMERO UNICO 23 MAGGIO 2012I due tragici pomeriggi

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Il mio battesimo fu a Capaci. Il miobattesimo di cronista in mezzo aun’autostrada squarciata, a una voragi-ne larga e profonda, al fumo che si per-deva nel cielo, allo sgomento nelle fac-

ce di quelli che c’erano e che sarebbero di-ventati i testimoni di uno dei più orrendie sanguinari attacchi allo Stato.Vent’anni fa ero un giovane cronista

del Giornale di Sicilia con le orecchiesempre incollate allo scanner gracchiantecollegato con le frequenze di polizia e ca-rabinieri. Avevo vissuto da collaboratore,ma sempre sul campo, gli omicidi di Sal-vo Lima e di Libero Grassi. Le stragi Fal-cone e Borsellino furono i primi grossieventi che seguìi da titolare di nera. Potreidirvi ogni cosa di quei giorni, come diquei giorni che nell’arco della vita diognuno di noi restano impressi a fuocofin nei minimi dettagli e che ci portiamoappresso per sempre.Il 23 maggio del 1992 era un sabato.

Che fosse successo qualcosa di grave lo ca-pimmo subito dalla concitazione delle co-municazioni fra la sala operativa della po-lizia e le pattuglie dislocate nello scacchie-re della città. Si parlava vagamente di unboato nella zona di Capaci: pensammo aun incidente alle Cementerie siciliane.Una volta in macchina non sapevo versocosa stavo andando incontro. Né dove.L’ingresso dell’autostrada era già sbarrato,inutile chiedere informazioni, né sperareche ti facessero passare mostrando il tesse-rino. Aggirai l’ostacolo imboccando unadelle strade laterali. Andai a intuito. En-trai in trazzere e sterrati impraticabili. A

un certo punto posteggiai l’auto per pro-seguire a piedi. Sentivo le ambulanze chesfrecciavano in autostrada, vedevo gli eli-cotteri volteggiare sopra la mia testa. Midirigevo verso quella colonna di fumo ne-ro che vedevo da lontano. Il silenzio irrea-le era interrotto solo dalle sirene che anda-vano e venivano dal punto verso il qualestavo andando. Senza sapere, ancora, cosafosse accaduto. A un certo punto mi ritro-vai esattamente sotto il punto in cui l’au-tostrada era esplosa. Scavalcai una recin-zione di filo spinato e mi ritrovai davanti aquel cratere che aveva inghiottito macchi-ne e uomini. Vidi poliziotti che avevo co-minciato a conoscere in quei primi mesidi cronaca nera. Io guardavo loro, loroguardavano me. Non ci dicevamo una pa-rola. “Falcone”, mi sussurrò dopo un po’qualcuno. I pezzi andavano incastrandosi.Falcone. La moglie. L’autista. I tre uominidella scorta. Scavalcai il guard rail. L’autodei ragazzi che proteggevano il giudice -Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, VitoSchifani - era stata scaraventata lontano.

Non poteva essere sopravvissuto nessuno,questo era abbastanza chiaro. Quando vi-di la faccia dell’inviato del Corriere dellaSera Felice Cavallaro, anche lui affacciatosu quell’inferno di fuoco e fiamme, capìiche il mio sgomento non era figlio del-l’inesperienza. Il mio sgomento era ancheil suo. Lo stordimento di un giornalista

d’esperienza come Cavallaro era lo stessodi un cronista che muoveva i primi passinel grande romanzo della nera di Paler-mo.Ci sono volte in cui un giornalista non

ha bisogno di taccuini. Ricordo che nonpresi appunti, non ce n’era bisogno. Ognisecondo di quel pomeriggio mi restavaappiccicato sulla pelle e nella testa e sareb-be stato così per molto tempo ancora. Sa-pevo che una volta tornato al giornaleavrei dovuto soltanto calmare il cuore emettere in ordine i fatti e i pensieri.Falcone e la moglie Francesca Morvil-

lo erano stati portati in ospedale, così co-me l’autista Giuseppe Costanza. Ricordo,mentre andavo a fatica verso l’auto pertornare in redazione, i vestiti impregnatidi fumo e la sensazione di essere stato ap-pena testimone di una pagina storica, unadi quelle svolte epocali che cambiano la

vita, e la cambiano per sempre. Scrissi ve-locemente, dopo la riunione nella stanzadel vicedirettore assieme ai colleghi chevia via rientravano dai vari ospedali e cheportavano nei loro appunti le storie deimorti e dei feriti, la disperazione dei pa-renti, delle vedove, dei figli appena nati edei figli ragazzini. Conoscevo AntonioMontinaro, uno dei ragazzi della scorta.Lo conoscevano tutti, a Palermo. Era stra-bordante nel fisico e nei modi.Falcone e la moglie erano morti, la no-

tizia arrivò al giornale mentre scrivevo.Scrivevo e scorrevo le agenzie che arriva-vano. Era il mio primo pezzo importante,stavo attento a calibrare il tono, a evitareinutili sensazionalismi, a evitare la perico-losa strada della retorica. “Scrivi quelloche hai visto”, mi disse Giuseppe Sottile,il vicedirettore del giornale, coi suoi me-todi spicci. Una raccomandazione che

tenni buona due mesi dopo, quando imafiosi fecero saltare in aria Paolo Borsel-lino e i cinque agenti di scorta in viaD’Amelio, nel cuore della città. Lo uccise-ro sotto casa della madre, in un caldo po-meriggio di domenica. L’auto col tritoloera posteggiata assieme alle altre. Il teleco-mando entrò in azione quando il giudice,circondato dai suoi angeli custodi, citofo-nò per l’abituale visita domenicale.Quando arrivai l’aria era ancora rare-

fatta, rimasi impressionato dagli squarcinei palazzi circostanti, i vetri delle finestrein frantumi. Gli edifici avevano fatto dacassa di risonanza, per questo gli effettidel tritolo furono, se possibile, più deva-stanti di quelli provocati a Capaci. Nonpoteva esserci scampo per il giudice e pergli uomini della scorta. Nei mesi successi-vi, quando mi misi al lavoro per scrivereun libro sugli agenti morti a Capaci e viaD’Amelio, entrai nelle vite di EmanuelaLoi, Walter Eddie Cosina, Agostino Cata-lano, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli.L’unico a salvare la pelle fu Antonio Vullo:quando si scatenò l’inferno stava posteg-giando una delle auto di scorta. Emanue-la era poco più che una ragazzina, arrivavada un piccolo paese alle porte di Cagliari.I suoi genitori non sapevano che proteg-gesse Borsellino, gliel’aveva nascosto pernon metterli in angoscia. L’avrei scoperto

parlando con loro, mesi dopo. Un viaggionella memoria che mi aiutò a capire qualefosse la percezione della Sicilia al di là del-lo Stretto, la percezione di una città dan-nata e senza possibilità di riscatto, stran-golata dalla mafia e abbandonata da unoStato distratto e incapace.La domanda più frequente che i po-

veri genitori di Emanuela mi rivolsero inquei tre giorni di permanenza in Sarde-gna riguardava il fatto che malgrado la

strage di maggio i mafiosiavevano potuto uccidereagevolmente anche Bor-sellino. “Com’è stato pos-sibile?”, mi chiedeva an-che la sorella Claudia. Ladomanda, l’unica veradomanda che aveva e haancora un senso, conti-nua a non avere risposta.Virgilio e Berta, i genitoridella ragazza, sono mortisenza conoscere la verità.Nessuno di noi, vent’annidopo, la conosce fino infondo.

Francesco Massaro

Ancora oggiinorridisco

a quel ricordo

GLI ANGELI DI GIOVANNI FALCONE... E DI PAOLO BORSELLINO

ROCCO DICILLO30 ANNI

ANTONIO MONTINARO30 ANNI

VITO SCHIFANI27 ANNI

AGOSTINO CATALANO43 ANNI

WALTER EDDIE COSINA31 ANNI

VINCENZO LI MULI22 ANNI

EMANUELA LOI24 ANNI

CLAUDIO TRAINA27 ANNI

Sabato 23 maggio 1992, cinquecento chili di tritolo per uccidere il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani Domenica 19 luglio 1992, esplode una 126 imbottita di eplosivo. Muoiono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina

Francesco Massaro,nel 1992, era un giovanecronista del Giornale

di Sicilia. Fu uno dei primigiornalisti ad arrivare

nei luoghi dei due attentati

“Quel giorno a Capaci vidil’autostrada trasformatain un inferno di fuoco

Il 19 luglio in via D’Ameliorimasi impressionatodagli squarci nei palazzi”

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newCOLLEGE newCOLLEGENUMERO UNICO 23 MAGGIO 2012 NUMERO UNICO 23 MAGGIO 2012Le pagelle ritrovate La svolta di Spatuzza

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Dalle stragi del ’92, al ritrova-mento del 1998, fino ad oggicon la presa di coscienza delfatto che la mafia si può com-battere ogni giorno, con i pic-

coli gesti quotidiani. Valeria Giarrusso,giornalista palermitana con la passioneper la cronaca, racconta della esperienzache ha segnato in modo importante lasua vita. Da ragazzina, diciassettenne, perun lavoro destinato al giornale dellascuola, si mise sulle tracce lasciate cin-quant’anni prima da Giovanni Falcone,allievo di quello stesso Convitto naziona-le in cui Valeria ha trascorso gli anni delliceo classico.Tra i corridoi del Convitto, che oggi si

chiama Giovanni Falcone, si intreccianole vite del magistrato palermitano e di Va-leria Giarrusso, che all’istituto di piazzaSett’Angeli ha conosciuto Giuseppe Ca-dili. Una storia condita di passione per ilgiornalismo e coscienza civile che, nel1998, spinsero la Giarrusso ad avviareuna ricerca di documenti che raccontasse-ro degli anni passati da Falcone in quellascuola.

Come nasce questa storia?

“Era la fine del 1998, facevo parte dellaredazione di College, il giornale dellascuola diretto da Giuseppe Cadili, poi di-ventato mio marito, avevo saputo per ca-so che negli anni Quaranta Falcone avevafrequentato le elementari al Convitto na-zionale, dove io ho fatto il liceo da ester-na, e mi venne in mente di rispolverare

qualcosa per poterlo conoscere più da vi-cino. Chiesi l’autorizzazione per consulta-re gli archivi storici della scuola prima aldirettore e poi al preside”.

Come sono stati quei giorni trascorsi

in archivio?

“C’era un’enorme stanza piena di faldonigrossi e polverosi ma la mia curiosità su-perava le difficoltà ‘fisiche’. Avevo dicias-sette anni e molta voglia di andare a fon-do a quella vicenda. Passavo delle ore traquei carpettoni, la mattina e il pomerig-gio, appena avevo un attimo a disposizio-ne mi precipitavo in archivio. Il temposembrava fermarsi, avevo l’impressione difare un salto all’indietro. Nello stanzone,neppure troppo luminoso, c’erano libri,materiale di cancelleria, un disordine cheperò aveva un certo fascino perché conte-neva tanti pezzi di storia”.

Poi un giorno…

“Un giorno, tra registri e vecchi verbali,

trovai alcune vecchie pagelle degli anniQuaranta. C’erano anche quelle di Gio-vanni Falcone, ero emozionata. Una sen-sazione indescrivibile. Nel ’92, sei anniprima di quella scoperta, avevo undici an-ni, avevo vissuto intensamente le due stra-gi, andai in via D’Amelio subito dopo labomba del 19 luglio. Mi sembrava comese la città fosse stata bombardata, pensavoai Paesi dove c’è la guerra”.

Che voti c’erano sulle pagelle di Falco-

ne?

“Era molto bravo, aveva tutti otto e noveera uno dei più bravi della classe. Ho tro-vato la pagella di prima, quarta e quintaelementare. Successivamente fu trovataanche quella della seconda”.

Nasce allora la voglia di fare giornali-

smo?

“Avevo già cominciato l’anno prima e so-no felicissima della scelta che ho fatto.Grazie al Convitto e alla collaborazione

con College ho trovato la mia strada nellavita. È l’importanza della scuola e dellostudio. La tenacia, lo studio e l’impegnoalla fine pagano sempre”.

Come combatti la tua battaglia contro

Cosa nostra?

“Fare onestamente il proprio lavoro, nonscendere a compromessi con certa gente,e non parlo necessariamente dei mafiosi, èun modo per dire no, un modo per cam-biare questa città”.

Come è cambiata la tua città rispetto al

’92 o al ’98?

“Innanzitutto sono cambiata io. È cam-biato il mio modo di osservare la realtà.Alcune cose non le comprendevo, ora ca-pisco che la mafia non è solo il tritolo,non ci sono i buoni da una parte e i catti-vi dall’altra. La mafia è anche nei ‘collettibianchi sporchi’, negli uffici, ma c’è anchechi non si lascia sottomettere. In questianni un passo avanti è stato fatto, parlodelle nostre coscienze. Di buono c’è unamaggiore consapevolezza di quegli ex di-ciassettenni nei confronti della mafia”.

Quali sono i valori che trasmetti oggi a

tuo figlio?

“Innanzitutto voglio trasmettergli il valo-re dello studio e della cultura. Andareavanti per la propria strada, senza lasciarsiintimorire. Deve imparare che la legalità ètutto: dal parcheggiare in modo corretto anon sottostare a chi cerca di intimorirti”.

Marco Volpe

Falcone, per me,è la stella polarein ogni mio gesto

Da sinistra, Riccardo Perniciaro, il rettore Marco Mantione, Valeria Giarrusso e Pietro D’Agostino

L’ultimo permesso per andare inritiro spirituale in convento ri-sale ad aprile di quest’anno: perdue giorni Gaspare Spatuzza hapotuto pregare in pace.

La metamorfosi del killer di Brancac-cio è definitiva (e irreversibile): da spieta-to esecutore degli ordini dei fratelli Giu-seppe e Filippo Graviano, i boss indiscus-si del quartiere palermitano oggi all’erga-stolo, a uomo di fede e di giustizia. I dub-bi su Cosa nostra e sulla liceità (dal pun-to di vista delle regole criminali, ovvia-mente) delle azioni delle cosche sono ar-rivati molti anni fa. Ma ogni frase disso-nante, qualsiasi perplessità, qualsiasi in-certezza nel cammino violento e sangui-nario della cosca veniva stoppata dai Gra-viano di cui Spatuzza era assolutamentesuccube. Per rintuzzare qualunque suaobiezione gli dicevano: “Siamo tutti in-sieme e questa è la nostra strada”. Un per-corso umano che viene raccontato dalsuo avvocato Valeria Maffei e supportatodalle analisi dei magistrati di varie procu-re antimafia del nostro paese che hannoraccolto i racconti del pentito che hannoconsentito di riaprire, tra l’altro, l’inchie-sta sulla strage di Via D’Amelio in quelmaledetto 19 luglio 1992 in cui moriro-no Paolo Borsellino e gli uomini dellascorta. Oggi quell’inchiesta è chiusa e cisi avvia verso la revisione del processo cheaveva sancito con condanne definitive lacolpevolezza di altre persone. Ma questoè un altro discorso.C’è stato un momento in cui Spatuz-

za è riuscito a guardare le cose con l’oc-chio delle vittime, dimostrando di averepiù intelligenza di quanta gliene attribuis-sero i suoi capi, e ciò è avvenuto quando siè distaccato da Filippo Graviano. Unapresa di coscienza che avviene nel 2000: aun certo punto Spatuzza decide di stareda solo, di non condividere più spazi con isuoi ex amici. Viene messo in isolamento.E comincia a pensare a se stesso a quellecose che poi ripeterà in varie occasioni: atutti ha spiegato che non condivideva lafollia delle stragi terroristiche né colpire ibambini. “A un certo punto – dice l’avvo-cato – ha realizzato: mio Dio cosa ho fat-to? Sono un mostro”.Spatuzza è un uomo nuovo, secondo il

racconto che ne fa il procuratore di Calta-nissetta Sergio Lari che lo ha incontratodecine di volte a partire da quel giugno del2008 quando diventa ufficiale la collabo-razione. Il procuratore ha avuto modo diconstatarne la sofferenza, del resto l’exreggente del mandamento mafioso di

Brancaccio aveva motivato la sua collabo-razione nei colloqui che aveva avuto con ilProcuratore nazionale antimafia PieroGrasso, con un “sincero pentimento basa-to su una autentica conversione religiosa emorale, oltre che sul desiderio di riscatto”.Il pentimento di Spatuzza, secondo Mas-similiano De Simone, il cappellano delcarcere del L’Aquila che tra il 2008 e il2009 ne ha raccolto le confidenze, ha allabase un episodio preciso: l’omicidio didon Pino Puglisi, da lui compiuto insiemea Salvatore Grigoli, il 15 settembre del1991. “Don Puglisi lo ha cambiato den-tro” ha raccontato don Massimiliano. Èstato lo stesso Spatuzza a parlarne: “Mi haraccontato – ha detto don Massimiliano –che qualche giorno prima era stato man-dato a fare un sopralluogo per prepararel’esecuzione. Ed era rimasto colpito dalsorriso mite di quel piccolo prete indifeso.Poi quello stesso sorriso lo rivide il giornodell’omicidio”. Don Massimiliano ha po-tuto cogliere l’aspetto della sofferenza di

un uomo che ha compiuto una quaranti-na di omicidi e ha partecipato all’organiz-zazione ed esecuzione delle stragi di mafiapiù efferate: “È stato lui a cercarmi – dice–. Aveva già iniziato un suo percorso, conil cappellano del carcere di Ascoli Picenoda cui proveniva. Mi ha voluto raccontaretutta la sua vita. Colloqui lunghi, ognivolta tre ore. Un giorno sì e un giorno no.Dialoghi intensi, spesso interrotti dalpianto. Ho visto con i miei occhi il ram-marico e la vergogna di Spatuzza mentreraccontava tutto il male compiuto nellasua lunga carriera criminale”.Certo fa impressione ascoltare Spatuz-

za che si impietosisce per i morti nella stra-ge dei Georgofili a Firenze oppure per lamorte del piccolo Giuseppe Di Matteo eprova a cercare comprensione, fino a chie-dere perdono: “Chiedo perdono a tutti, al-la famiglia del piccolo Giuseppe e alla so-cietà civile, che abbiamo violentato e ol-traggiato. Noi siamo veramente responsa-bili della fine di quel bellissimo angelo acui abbiamo stroncato la vita. Anche senon l’abbiamo ucciso, io e i miei coimpu-tati siamo colpevoli del sequestro, quantodella morte del ragazzino e ne daremo con-to, non solo in questa vita ma anche doma-ni dove troveremo qualcuno ad aspettarci”.Ora si è in attesa del nuovo processo ai veriresponsabili della strage di Via D’Amelio:saranno mesi duri e difficili. Spatuzza, chestudia Teologia (ha già dato 12 esami)aspetta che tutta questa storia finisca perlaurearsi. E voltare pagina definitivamente.

Nino Amadore

Da efferato killerdella mafia

alla redenzione

La deposizione del pentito di mafia Gaspare Spatuzza, celato alla vista dietro il paravento bianco, il 4 dicembre 2009 al palazzo di Giustizia di Torino

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UUna telefonata tra l’autore delracconto Giuseppe Cadili e ilregista Pasquale Scimeca: è sta-ta questa la posa della primapietra per la realizzazione del

cortometraggio Convitto Falcone - la miapartita, film che celebrerà il ventennaledella strage di Capaci, avvenuta il 23maggio nel 1992, nella quale persero la vi-ta Giovanni Falcone, la moglie FrancescaMorvillo e tre uomini della scorta. Unfilm sulla memoria, ma non commemo-rativo: non sarà Falcone il protagonistadella pellicola, ma Antonio, un bambino‘difficile’ che si troverà di fronte a unascelta che gli cambierà la vita. Una sceltatra la strada del malaffare e quella della le-galità.Il film è stato voluto dalla scuola, il

Convitto Falcone di Palermo, e dallaFondazione Falcone (presieduta da Ma-ria, sorella del magistrato) che ha vistocollaborare con entusiasmo tanta gente.Così a fine 2011 è stato dato il via al pro-getto: Scimeca e il giornalista FrancescoLa Licata (amico di Falcone) hanno tiratofuori la sceneggiatura dal soggetto di Ca-dili ed è iniziata anche la ricerca dei mez-zi finanziari per la realizzazione: “In pocotempo – racconta Scimeca – ci siamomessi a bussare alle porte delle istituzioniprima e poi anche a quelle di sponsor pri-vati. Così abbiamo trovato la collabora-zione dell’assessorato allo Sport, Turismoe Spettacolo - Film Commission - dellaRegione Sicilia, di Unicredit Sicilia, dellaCamera di Commercio di Caltanissetta e

Rai Cinema che ha acquistato in anticipoi diritti di trasmissione televisiva”. Infine,anche la società di produzione Arbashdello stesso Scimeca ha investito nell’ope-ra. “Abbiamo raggruppato un piccolobudget, circa 110 mila euro, ed è partital’organizzazione del lavoro”, dice il regi-sta. Il passo successivo, infatti, è stato ilcasting: “Non sono stati dei veri e propriprovini – racconta Scimeca - ma abbiamocoinvolto tutti gli studenti della scuola,cercando di capire chi tra loro fosse piùidoneo per ricoprire il ruolo del protago-nista. Alla fine la scelta è ricaduta su Pie-tro D’Agostino, uno studente di primamedia A”. Sono stati coinvolti importan-ti attori siciliani, e come aiuto registaMaurizio Quagliana. Franco Battiato, in-vece, ha contribuito alla realizzazione del-la colonna sonora.Le riprese del film sono iniziate il 31

marzo e si sono concluse il 7 aprile: un‘corto’ dalla trama semplice, ma dal fortecontenuto educativo: “Mi sono inspiratomolto ai film pedagogici dell’ultimo Ro-berto Rossellini – spiega il regista di Placi-do Rizzotto – ma agganciando la trama

all’attualità. Così Antonio, il protagoni-sta, è intenzionato a truccare una partitadi calcio, ma grazie all’insegnamento mo-rale dell’educatore si troverà a fare unascelta di onestà”. Il film, in realtà, ha an-che un secondo protagonista: si tratta delConvitto Falcone: “Un luogo maestoso,ma anche vivo. Un edificio che seppur an-tico pullula di voci ed è ripieno della viva-cità degli studenti”, sottolinea Scimeca.Una scuola che diventa luogo del mitoper il fatto di essere intitolata a GiovanniFalcone: “Un nome – spiega Scimeca –che può essere raccontato in tre modi. Ilprimo è quello della storia: Falcone e Bor-sellino sono due personaggi storici, chehanno segnato il corso degli eventi, e perquesto possono essere oggetto di studio edi racconto da parte degli storici. Il secon-do è quello della cronaca: un compito an-cora nelle mani dei giornalisti e dei magi-strati perché sono rimasti ancora irrisoltialcuni misteri legati alla strage. Il terzomodo per raccontare Falcone è quello delmito, della leggenda: una modalità chediventa compito dell’arte e, nel mio caso,del cinema. Compito del cinema (e del-l’arte), infatti, è quello di costruire unamitologia che vada oltre la cronaca e oltrela storia perché questo nome, GiovanniFalcone, sia eterno simbolo del bene. Farrivivere la sua leggenda e quella di Borsel-lino, attraverso l’arte significa far riviverela loro presenza e significa insegnare qual-cosa, perché nel nome di questa leggendasi possano fare scelte di legalità”.

Salvo Butera

newCOLLEGE newCOLLEGENUMERO UNICO 23 MAGGIO 2012 NUMERO UNICO 23 MAGGIO 2012Il libro Il film

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Una storia in una storia che com-muove, emoziona e ti indica ilsolco fra chi va avanti a testa al-ta e chi si perde nei mille rivolidella vita. In questa storia c’è

un giudice ucciso vent’anni fa, un giorna-lista-docente, le Madonie, un racconto ela voglia di lanciare un sassolino in pienovolto contro Cosa nostra. Ecco, questopezzo è dedicato ai tanti di noi che ognigiorno voltano le spalle alla lotta quoti-diana contro la mafia, a chi dimentica chenon è indispensabile andare in giro scor-tati ed entrare nelle aule di tribunale perfare della nostra una società libera daiboss. Basta molto meno.Giuseppe Cadili ha unito le passioni

della sua vita: il giornalismo e la docenzaal Convitto nazionale di Palermo. Duepassioni che sono diventate un racconto(adesso anche un libro edito da Iride Edi-zioni, gruppo Rubbettino) destinato allamessinscena cinematografica. La prefa-zione è stata scritta dalla professoressaMaria Falcone, il disegno che campeggiasulla copertina è stato realizzato da Giu-seppe Franzella, palermitano, docentepresso la scuola del Fumetto del capoluo-go siciliano e componente dello staff didisegnatori per Brendon. I disegni che al-l’interno del libro illustrano invece alcunimomenti del racconto sono stati realizzatida un altro fumettista palermitano, Giu-seppe Morici.Un sogno che è cominciato nell’otto-

bre del 2011 e che in breve tempo è di-ventato realtà grazie al contributo del re-

gista siciliano Pasquale Scimeca, che si èsubito innamorato dell’idea.“Quest’anno è il ventennale delle stragi

di Palermo – racconta Cadili –, ho pensatodi portare avanti un progetto che restassenel tempo. Mi ha sempre colpito ciò chediceva Foscolo: la poesia è eternatrice. Og-

gi lo sono le immagini, in particolare il ci-nema. Da qui l’idea del racconto e poi difare in modo che diventasse un cortome-traggio”. Un racconto in parte autobiogra-fico. Anche Cadili viene da un paese, Cal-tavuturo, nelle Madonie ed ha studiato perotto anni, dalla prima media sino al diplo-

ma di maturità classica, al Convitto. Ed èproprio la catena montuosa che caratteriz-za il panorama palermitano a fare da colle-gamento fra l’autore e altri protagonisti delcast: il regista Pasquale Scimeca è nato adAliminusa, mentre l’attore Vincenzo Alba-nese (Luciano Liggio nel film su PlacidoRizzotto) e l’aiuto regista Maurizio Qua-gliana sono originari di Caltavuturo.La trama del cortometraggio, cha an-

drà al Festival del cinema di Venezia, èquella del tentativo di truccare una partitadi calcio fra ragazzini da giocare al Convit-to nazionale dove, negli anni Quaranta,frequentò le elementari Falcone. Sullosfondo proprio il giudice e i suoi ideali.“In questo racconto ci sono i pilastri su

cui ognuno di noi dovrebbe costruire lapropria casa della legalità: la famiglia,l’istruzione e i veri modelli, come Falcone,Borsellino e tutte le altre vittime di mafiache hanno svolto fino in fondo il propriodovere per affermare i principi di giustizia,democrazia e libertà”. “Le nostre ideecammineranno sulle vostre gambe” dicevail giudice. Una frase che diventa concretain questa bella storia.“Ho voluto dare un esempio a mio fi-

glio cedendo tutti i diritti per l’utilizzo ci-nematografico affinché vadano in benefi-cienza per la costruzione di un college inEcuador destinato ai bambini di strada. Sichiamerà Falcone. Quando ho firmato ilcontratto di rinuncia ad ogni guadagnoc’era scritto che così davo il mio contributonella lotta a Cosa nostra. Questa è l’ereditàche lascio a mio figlio”. [M.V.]

Così Antoniovince

la sua partita

Il regista Pasquale Scimecasi è ispirato a RosselliniSul set attori sicilianie studenti del ConvittoLa colonna sonorarealizzata da Battiato

IL MIO OMAGGIOA FALCONE

LA PRODUTTRICE

Una bella storiasenza retorica:arriva al cuore

“Questa esperienza mi rimarrà per sem-

pre nel cuore. Sul set c’è stata una siner-

gia perfetta fra maestranze, attori e ra-

gazzi. Tutti hanno lavorato in armonia e

grande entusiasmo”. Linda Di Dio, pro-

duttrice di Arbash, ricorda con un pizzico

di emozione quei giorni in cui sono state

effettuate le riprese del film Convitto Fal-

cone – la mia partita all’interno dell’istitu-

to di piazza Sett’Angeli. “Quando io e il

regista Scimeca abbiamo letto questa

storia nata dall’intuizione letteraria di

Giuseppe Cadili – prosegue la produttrice

Arbash – c’è sembrata bella, senza retori-

ca e che arriva al cuore. E così abbiamo

accolto l’invito della professoressa Maria

Falcone e del rettore del Convitto Falco-

ne per trasformarla in un film”.

Sopra, il regista Pasquale Scimeca durante le riprese di Convitto Falcone - la mia partita. Nella foto piccola, la produttrice di Arbash, Linda Di DioL’atrio del Convitto Nazionale Giovanni Falcone a Palermo con il grande orologio che sovrasta il nome del magistrato. Sotto, Giuseppe Cadili con la copertina del libro da cui è stato tratto il film

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LA STRAGE DI CAPACIAlle 17.58 Giovanni Brusca aziona il telecomando chefa saltare in aria un pezzo dell’A29, nei pressi di Capa-ci: l’obiettivo è il giudice Giovanni Falcone. Muoionosul colpo gli agenti di scorta Antonio Montinaro, RoccoDicillo e Vito Schifani. Falcone e la moglie, FrancescaMorvillo, muoiono al Civico di Palermo.

MORTE IN VIA D’AMELIONemmeno due mesi dopo tocca a Paolo Borsellino:una 126 imbottita di tritolo esplode sotto casa della ma-dre del procuratore aggiunto, in via D’Amelio. Il giudicesalta in aria assieme agli agenti Agostino Catalano,Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vin-cenzo Li Muli. Disordini ai funerali della scorta.

L’ORA DI TOTÒ RIINARiconosciuto dal pentito Balduccio Di Maggio, dopoche i carabinieri del Ros ne avevano individuato il rifu-gio, viene catturato il capo di Cosa Nostra Totò Riina(foto), latitante da 24 anni. Con lui il boss SalvatoreBiondino. Il 18 maggio, a Caltagirone, la polizia prendeil boss della mafia catanese Nitto Santapaola.

STATO E CHIESA NEL MIRINOIl 9 maggio Papa Wojtyla tuona contro la mafia ad Agri-gento. Il 14 autobomba a Roma contro Maurizio Co-stanzo: illeso. Il 27 maggio attentato in via de’ Georgo-fili, a Firenze: 5 vittime. Il 28 luglio a Milano altri 5 mor-ti. La stessa notte bombe contro la Chiesa a Roma. Il 15settembre, a Palermo, ucciso don Pino Puglisi (foto).

CATTURATI PURE I GRAVIANOIn un ristorante di Milano i carabinieri arrestano i fratellilatitanti e stragisti Filippo (foto) e Giuseppe Graviano: icapi di Brancaccio, molto vicini a Riina, sono con le fi-danzate e due amici. Pochi giorni prima era fallito un at-tentato allo stadio Olimpico: obiettivo sarebbero dovutiessere almeno 100 carabinieri.

I GRANDI PROCESSIArrestato Calogero Mannino. Il 2 marzo a giudizio Giu-lio Andreotti e l’8 novembre sarà arrestato FrancescoMusotto, presidente della Provincia di Palermo. Già incorso il giudizio contro lo 007 Bruno Contrada: saràl’unico dei grandi processi istruiti dal pm Giancarlo Ca-selli (foto) a chiudersi con una condanna.

23 MAGGIO1992 19 LUGLIO 1993 MAGGIO-SETTEMBRE15 GENNAIO 1994 1995 13 FEBBRAIO27 GENNAIO

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20 ANNI DI STORIA

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“Una questione d’onore”: co-sì Marcello Mazzarella de-finisce la sua partecipazio-ne, ma anche quella deisuoi colleghi impegnati,

nel cortometraggio di Pasquale Scimecaper celebrare il ventennale della Strage diCapaci. “Mi sento un uomo d’onore – di-ce Mazzarella, giocando con le parole –perché è veramente un onore poter farparte di questo grande progetto. Un’ini-ziativa che arriva in un momento impor-tante della mia vita. Io ho una visionemolto etica della professione. Fare l’attoreha una grande dignità, perché ci si con-fronta col pubblico e ad esso occorre darerisposte. Bisogna avere rispetto per chi ciguarda. Fare un film come questo, allora,diventa un impegno sociale forte che miriporta al cinema che più amo”. SecondoMazzarella un attore può dare un grandeesempio al proprio pubblico “facendo be-ne il proprio lavoro: questa è già una gran-de rivoluzione. Falcone e Borsellino, oltrea fare bene il loro lavoro, hanno dovutoaffrontare ostacoli così grandi che il loroimpegno si è trasformato in eroismo”.Mazzarella nel film di Scimeca è un

educatore, figura autobiografica di Giu-seppe Cadili, l’autore del racconto da cuiè stata tratta la storia. Si ritrova a doverinfondere fiducia al protagonista, un ra-gazzo difficile che rischia di commettereun grave errore. “Ma l’educatore – spiegaMazzarella – non impartisce ordini, non

agisce con forza, anzi spinge sul pianoemotivo per far capire al protagonista co-sa è giusto fare e cosa non lo è. È capace diinfondere un cambiamento nella sua co-scienza che diventa capacità di scelta”.Mazzarella, che ha interpretato PlacidoRizzotto e ha lavorato in diversi filmd’impegno sociale tra cui recentementeFortapàsc sul giornalista Giancarlo Siani,ricorda anche la “bellissima atmosfera

che si è creata al Convitto durante la rea-lizzazione del film. È bello poter metterela propria anima di uomo e di attore nel-le mani di artisti come Scimeca sapendoche ne faranno un buon uso”. Poi unpensiero al sacrificio di Falcone: “Grazie alui in questi ultimi 20 anni la Sicilia ècambiata molto. Spero che il suo conti-nui ad essere un esempio seguito per mol-to tempo ancora”. [S.B.]

L’importanza di quei piccoli gesti

L’attore Marcello Mazzarella, che interpreta il ruolo dell’educatore, mentre spiega ai suoi piccoli cronisti come va scritto un articolo per il giornale

“Fare l’attore hauna grande dignità, perchéci si confronta col pubblicoe ad esso occorre darerisposte. Bisogna avererispetto per chi ci guarda”

L’amicizia nel film si è trasforma-ta in amicizia nella vita: PietroD’Agostino e Riccardo Perni-ciaro, entrambi undicenni ealunni del Convitto, interpre-

tano rispettivamente Antonio, protagoni-sta del film di Scimeca, e Salvatore, il suomigliore amico. Ma Salvatore è anche l’ar-bitro della partita che Antonio prova atruccare e così capisce che la via più sem-plice è quella di corrompere il suo amicoper indirizzare il risultato. Ma il lieto fineè dietro l’angolo: Antonio sceglierà la viadella legalità. Per Pietro, alias Antonio, fa-re l’attore è stato il coronamento di un so-gno: “È stata una bellissima occasione –dice – perché ho sempre voluto fare l’atto-re”. Lui è di San Giuseppe Jato, gli piacestudiare, soprattutto la storia, e il destinoha voluto che frequentasse due scuole(quella al suo paese fino all’anno scorso eadesso il Convitto) entrambe dedicate aFalcone. “Purtroppo tra gli assassini diFalcone c’era anche un mio compaesano.Per me Falcone è un eroe: una personache tutti dovremmo prendere come esem-pio se vogliamo un mondo migliore”. An-che Riccardo (alias Salvatore) ammiral’eroicità di Falcone: “Ha lottato per mi-gliorare la sua terra, anche se sapeva chesarebbe stato ucciso. Eppure ha avuto ungrande coraggio e non si è tirato indietro”.Entrambi i giovani attori si porteranno

dietro questa esperienza ricordando ancheil calore e le coccole del regista, degli attori e

di tutto il cast del film: “Erano tutti simpa-tici e gentili con noi. Ci siamo trovati benis-simo e siamo stati aiutati molto a interpre-tare le nostre parti”. Nel film Antonio daaduto, diventa un giornalista e viene invia-to dal suo caporedattore al Convitto perchéuna studentessa ha trovato le pagelle di Fal-cone. A interpretare il ruolo è SalvatoreSclafani, un giovane attore palermitano.Un incarico che gli fa rivivere i momenti

della sua adolescenza quando era un alun-no del Convitto. Un salto nel passato chegli fa ricordare come sia possibile superare ilconfine della legalità se non si hanno fortipunti di riferimento e esempi concreti daseguire. “È quello che capita a tanti giovanisiciliani che vivono in quartieri degradati enon hanno avuto la fortuna di legarsi ad unprofessore e non potere studiare in unascuola come il Convitto”. [S.B.]

Quando il set diventa scuola di vita

Sopra, il protagonista del film, Pietro D’Agostino e Riccardo Perniciaro durante le riprese del film

Pietro D’Agostinoe Riccardo Perniciaro,alunni del Convitto,interpretano Antonio,

il protagonista, e Salvatore,il suo migliore amico

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SUPERKILLER IN GALERATradito dal pentito Pasquale Di Filippo, cade nella retedella Dia il killer Leoluca Bagarella (foto), cognato diRiina ed esponente dell’ala dura. Il suo autista, TonyCalvaruso, si pente quasi subito e racconta la tragica fi-ne della moglie del boss, Vincenzina Marchese, mortasuicida dopo avere perso il figlio che aspettava.

STRAGI, PRIMI ERGASTOLINonostante le sue ripetute ritrattazioni, la Corte d’assisedi Caltanissetta crede a Vincenzo Scarantino (foto),che si autoaccusa del furto della 126 imbottita di tritoloper l’attentato Borsellino. Il primo processo per la stra-ge di via D’Amelio si chiude con tre ergastoli e la con-danna dello stesso Scarantino a 18 anni.

BRUSCA, GLI AGENTI ESULTANOGli agenti esultano nel rientrare nella sede della Squa-dra mobile: a Cannatello (Agrigento) hanno preso Gio-vanni Brusca (foto) e il fratello Enzo Salvatore. Pochimesi prima, il boss di San Giuseppe Jato aveva ordi-nato l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio del pentitoSantino, rapito nel ‘93 e tenuto 26 mesi prigioniero.

IL BOSS E LA RELIGIONEPietro Aglieri (foto), latitante di Santa Maria di Gesù,catturato a Bagheria, dove aveva un rifugio con altari eimmagini sacre. Era visitato da un confessore, padreMario Frittitta, che sarà arrestato e assolto. Il boss ac-cenna una dissociazione, ma intanto l’emorragia deipentimenti non risparmia nemmeno i fratelli Brusca.

ANCHE I GIUDICI NEI GUAIIl 7 va a giudizio Corrado Carnevale (foto), detto “il giu-dice ammazzasentenze”. Il 28 a Caltanissetta condan-nato a 10 anni Giuseppe Prinzivalli, ex presidente delmaxiter. Carnevale sarà assolto e una legge ad perso-nam gli consentirà di rientrare in servizio. Prinzivalli sela caverà con la prescrizione. Morirà nel 2011.

ANDREOTTI ASSOLTOIl senatore a vita viene scagionato dalle accuse in tribu-nale. La sentenza scatena polemiche interminabili, chesi acuiranno quando, il 2 maggio 2003, la Corte d’ap-pello dichiarerà la prescrizione per una parte delle ac-cuse. Nell’ottobre del 2004 la sentenza diventerà defi-nitiva e chiuderà il ‘processo del secolo’.

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24 GIUGNO1995 6 GIUGNO19971996 20 MAGGIO27 GENNAIO 1998 APRILE 1999 23 OTTOBRE

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“Stai attento e comportatisempre bene”. È questa lafrase che Enrico Lo Verso,padre del protagonista An-tonio nel film di Pasquale

Scimeca, dice al figlio poco prima di par-tire per Palermo per andare a studiare alConvitto Nazionale. Una frase che tutti ipadri dicono ai propri figli: “ma è una fra-se che adesso non basta più da sola – ri-flette Lo Verso –. Oggi la famiglia pur-troppo ha un ruolo sempre meno impor-tante nell’educazione dei figli, perchéspesso questi non ascoltano quello cheviene detto dai padri. O per lo meno ibuoni insegnamenti devono essere ripetu-ti più volte, in famiglia come a scuola”. Seda un lato, però, è più difficile educare ifigli, dall’altro Lo Verso evidenzia comeoggi le nuove tecnologie offrano un aiutoinaspettato: “Far circolare le idee adesso èmolto più semplice e questo agevola sicu-ramente il lavoro degli insegnanti chepossono attingere anche dal web per spie-gare agli allievi fenomeni complessi comela mafia e raccontare di esempi che questofenomeno lo hanno combattuto come ilgiornalista Pippo Fava, il sindacalista diCorleone Placido Rizzotto, Peppino Im-pastato. Ma un grande aiuto in questi an-ni è stato dato proprio dal cinema: chiavrebbe mai conosciuto la storia di questieroi se il cinema non avesse trasformato leloro vicende in un film?”. Quindi famiglia, scuola e arte sono

strumenti potenti per combattere la crimi-nalità organizzata: “Un film di appena dueore riesce a vanificare anni di persuasioneviolenta della mafia – sottolinea Lo Verso–. Il fatto stesso che si parli della mafia,questo la rende più debole. E allora parlia-mone!”.Legate alla scena di questa iniziale co-

lazione ci sono due curiosità: la prima èche è praticamente l’unica scena girata

fuori dal Convitto e fuori dal capoluogosiciliano: la location è, infatti, quella cheLo Verso definisce “una splendida Sclafa-ni Bagni”, un piccolo centro delle Mado-nie in provincia di Palermo. La seconda èche “nonostante la nostra lunga amicizia– dice Lo Verso – io e Donatella Finoc-chiaro (che nel film intrepreta la moglie diLo Verso) non avevamo mai recitato in-sieme, questa è la prima volta”. [S.B.]

Famiglia e scuola contro la mafia

Enrico Lo Verso, padre di Antonio, nella scena della colazione prima della partenza del figlio per andare a studiare al Convitto di Palermo

“Far circolare le idee oraè molto più semplicee agevola sicuramenteil lavoro degli insegnantiche possono attingereanche dal web”

Un lungo affettuoso e coinvol-gente abbraccio precede unviaggio dalle Madonie a Paler-mo. Dal piccolo centro allagrande città dove Antonio si re-

ca per studiare al Convitto nazionale e for-marsi uomo di giustizia. A sorreggere que-sto suo cammino non senza un filo di tri-stezza è la mamma di Antonio. Orgogliosae malinconica per la conquistata borsa distudio che consente al figlio di studiare etentare di sovvertire quella lotteria socialeche lo aveva fatto nascere in un piccolomodesto centro agricolo. La mamma delprotagonista del cortometraggio è inter-pretata da Donatella Finocchiaro, grandeattrice siciliana di cinema e teatro, inter-prete di svariati personaggi in film comeBaarìa di Tornatore, I baci mai dati di Ro-berta Torre, Manuale d’amore 3 di Giovan-ni Veronesi, Terraferma di Emanuele Cria-lese. “Quell’abbraccio tra me e Antonio èmolto intenso, toccante – racconta Dona-tella Finocchiaro –. Dice tante cose senzabisogno di parole. È l’affetto della madreper il proprio figlio maschio costretto adandare via da casa piccino per studiare.Una bella scena davvero”. Per l’attrice sitratta di un bel cortometraggio dalla storiasemplice scritta da un giornalista ed edu-catore del Convitto Giuseppe Cadili, dalmessaggio efficace. “In terra di mafia comela Sicilia è bene trovare ogni spunto, ognioccasione per parlare dei nostri eroi. Deglieroi contemporanei che si sono sacrificati

per l’alto senso di giustizia – aggiunge Da-niela Finocchiaro –. Ricordare le tante vit-time non è retorica, è una testimonianzaper i tanti giovani che devono crescere nel-la perenne ricerca della legalità”. L’inter-prete, di origini catanesi, ricorda, oltre aFalcone, un altro eroe, il giornalista Giu-seppe Fava. Per anni infatti, insieme conClaudio Gioé, ha portato in giro nei teatriL’Istruttoria, scritto dal figlio Claudio Fa-

va. “È un modo per non dimenticare ilmartirio di un grande uomo catanese cheha sacrificato la vita per lottare contro lamafia”. L’attrice confessa di essere moltolegata a quella rappresentazione teatraleperché è una testimonianza viva per ricor-dare quelli che non si sono piegati a Cosanostra e il loro martirio resterà sempre nelricordo della società civile, soprattutto, deigiovani. Ignazio Marchese

Tutto in quella carezza di madre

Donatella Finocchiaro, che interprea il ruolo della mamma del piccolo protagonista, accarezza il figlio Antonio durante il viaggio verso Palermo

“In una terra di mafiacome la Sicilia è benetrovare ogni spunto

per parlare dei nostri eroisacrificati per l’alto senso

di giustizia”

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MORTE DEL SUPERPENTITOMuore a New York Tommaso Buscetta (foto), primogrande collaboratore di giustizia nella storia della lottaalla mafia. Arrestato in Brasile nel 1984, tornò in Italia,accettò di rispondere alle domande del giudice GiovanniFalcone e diede vita al maxiprocesso contro Cosa no-stra, convincendo a parlare anche Totuccio Contorno.

VICINI A PROVENZANOCadono nella rete prima Benedetto Spera (foto) e poiVincenzo Virga, boss di Trapani. I poliziotti erano con-vinti che nel covo di Spera, a Mezzojuso, ci fosse Ber-nardo Provenzano, in realtà nascosto poco distante:nel rifugio del capomafia di Belmonte c’erano infatti lelettere dei familiari al superlatitante corleonese.

DON VITO E I SUOI MISTERIMuore Vito Ciancimino (foto), ex sindaco mafioso diPalermo. Aveva accumulato un immenso patrimoniograzie alle tangenti del ‘sacco di Palermo’. Su di luiavevano indagato Falcone e il pm Pignatone. Nel 1992,nel periodo delle stragi, era stato contattato dal Ros,guidato da Mario Mori. Un dialogo dai contorni oscuri.

LE TALPE IN PROCURAIn carcere due investigatori antimafia, Pippo Ciuro eGiorgio Riolo, e il manager della sanità privata MicheleAiello (foto): una rete di talpe avrebbe dato informazioniriservate dall’interno della Procura di Palermo. Coinvoltianche il presidente della Regione, Totò Cuffaro, e il bossdi Brancaccio Giuseppe Guttadauro.

ECCO I RAGAZZI DI ADDIOPIZZO“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senzadignità”. Nella notte compaiono a Palermo una serie dimanifestini listati a lutto contro il racket delle estorsioni.È l’esordio di Addiopizzo, un gruppo di ragazzi che sipropongono di combattere Cosa nostra partendo dal-l’esempio di Libero Grassi (foto), ucciso nel ’91.

IL CERCHIO SI STRINGEL’operazione Grande Mandamento decima la rete di pro-tezione di Bernardo Provenzano. In cella anche NicolaMandalà e Francesco Pastoia, che si suiciderà tregiorni dopo. Era già stato tagliato un altro canale, quellorappresentato da Pino Lipari (foto) e dalla cerchia deisuoi familiari. Provenzano, lo “Zio”, sempre più solo.

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4 APRILE2000 GENNAIO-FEBBRAIO2001 5 NOVEMBRE2003 4 APRILE2004 25 GENNAIO20052002 19 NOVEMBRE

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Spera nel futuro. Nelle nuovegenerazioni. E così, parte piùazzeccata non avrebbe potutointerpretare Guja Jelo nel filmdiretto da Pasquale Scimeca

dal titolo Convitto Falcone - la mia parti-ta. Lei, infatti, è una professoressa. Unruolo fondamentale proprio per educarealla legalità i ragazzi. “Se le nuove genera-zioni – dice l’attrice catanese – e, in parti-colare, le nuove leve della magistratura edelle forze dell’ordine seguiranno l’esem-pio di Falcone e si comporteranno comelui la mafia sarà sconfitta, perché insiemesarebbero una forza invincibile. Di frontea tanti giovani coraggiosi i mafiosi nonpotrebbero comportarsi come Erode edErodiade ordinando una strage, ma sa-rebbero sconfitti”.È grande l’onore di Guja nell’aver

preso parte al film realizzato in occasionedel ventennale delle stragi di mafia di Ca-paci e via D’Amelio dove morirono Gio-vanni Falcone, la moglie Francesca Mor-villo, Paolo Borsellino e otto agenti discorta. “Si tratta di un impegno moraleche investe il mio essere siciliana, in unmomento in cui la Sicilia torna a soffrirecome una volta”. Un impegno, però, an-che di grande rilievo culturale: “Io amo –dice la Jelo – la dualità di Pasquale Scime-ca che riesce a unire narrazione e descri-zione, a creare emozioni senza toglierenulla alla trama. E lavorare con lui inun’occasione così speciale è come un so-

gno”. Secondo l’attrice il regista ha realiz-zato ancora una volta una ‘storia verista’ elei si ritrova perfettamente in queste at-mosfere verghiane: non a caso in questigiorni mette in scena in teatro La Lupa,“vinta e piegata dall’amore”. E, non a ca-so, interpreta un’insegnante appassionatae coinvolgente, come Guja sa essere, chespiega Verga e le sue tematiche.Un ritorno al teatro per lei dopo la so-

ap Agrodolce e il cinema con La scomparsadi Patò di Rocco Mortelliti (da un ro-manzo di Camilleri) e L’erede di MichelZampino (sceneggiatore Ugo Chiti): inquest’ultimo è la protagonista. Nel mez-zo questa breve, ma intensissima espe-rienza, dove ha potuto esprimere il suoamore per il giudice Falcone: “A voltepensandolo – confessa Guja – mi metto apiangere”. [S.B.]

La mia scommessa è nei giovani

Guja Jelo, la professoressa del Convitto, mentre spiega una lezione ai suoi ragazzi della prima media, classe della quale fa parte anche Antonio

“Se le nuove generazionie le nuove leve della

magistratura e delle forzedell’ordine seguirannol’esempio di Falconela mafia sarà sconfitta”

Ha ancora un ricordo indelebile.Un fotogramma della sua vitache torna spesso. Il 3 settem-bre del 1982. Di venerdì. Quelgiorno era in una piazza festo-

sa e piena di gente a Zafferana Etnea, inuna serata con un clima ancora mite. Ave-va 10 anni. D’un tratto il silenzio piombòin quel luogo, come in ogni parte della Si-cilia e poi dell’Italia. La mafia aveva uccisoa Palermo il generale Carlo Alberto DallaChiesa. “Il vocio della piazza di botto sitrasformò in un silenzio quasi irreale. Leg-gevo nelle facce delle persone un profondosgomento. Sebbene io fossi piccolo com-presi immediatamente che era successoqualcosa di grave. Quei silenzi, che si sonoripetuti dopo ogni omicidio, dopo le stra-gi, sono la prova che c’è tanta gente che hasensibilità e che prende coscienza di comela mafia sia terribile. Io spero che questamaggioranza silenziosa un giorno preval-ga”. Perché di mafia si deve parlare peronore a Giovanni Falcone, che definisceun ‘santo laico’. David Coco, anche lui si-ciliano di Acireale, famoso attore, ha ac-cettato con gioia la partecipazione al cortodi Scimeca. Interpreta il rettore del Con-vitto Nazionale di Palermo che accoglie ilpiccolo Antonio al momento del suo arri-vo in istituto. “Gli do il benvenuto dicen-do che in questa prestigiosa scuola si vieneper imparare, ma soprattutto per diventa-re uomini onesti e corretti”. Un monitoche non si dovrebbe mai smarrire nella

propria vita. “Credo che uomini comeFalcone e Borsellino che si sono ritrovatiad essere vittime di questa guerra avevanouno spirito di forte ottimismo. Non si puòsfidare la morte, come hanno fatto i tantis-simi poliziotti, carabinieri, magistrati, me-dici, senza pensare che la mafia si puòsconfiggere”. Certo si tende all’oblio inquesta nostra terra. “Ma questi momentinon sono retorici. Sono importanti per

non fare dimenticare soprattutto alle gio-vani generazioni che devono molto a uo-mini come Giovanni Falcone”. E detto dachi, tra i tanti personaggi nei numerosifilm ha interpretato Ninni Cassarà, nelfilm Giovanni Falcone, Bernardo Proven-zano ne L’Ultimo dei Corleonesi e Leonar-do Vitale ne L’Uomo di Vetro (con il qualeha ottenuto anche premi e riconoscimentiimportanti). C’è da credergli. [S.B.]

Quell’orribile silenzio delle stragi

David Coco nel ruolo del rettore del Convitto Nazionale di Palermo mentre accoglie Antonio al suo arrivo in istituto

“C’è tanta gente sensibilee cosciente di comela mafia sia terribileIo spero che questamaggioranza silenziosaun giorno prevalga”

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ECCO LO “ZIO BINU”Un anziano anonimo, con una smorfia indecifrabile di-pinta sul volto: è la prima immagine di Bernardo Pro-venzano (foto), latitante da 43 anni, catturato dalla po-lizia a Montagna dei Cavalli, Corleone. “Binu” passa trauna folla di giornalisti e curiosi. I ragazzi di Addiopizzolo fischiano e gli cantano “la Sicilia siamo noi”.

I GUAI DEGLI 007La Cassazione conferma i 10 anni per l’ex numero 3 delSisde Bruno Contrada (foto), la cui vicenda giudiziariaera iniziata nel ‘92. Andrà in detenzione domiciliare permotivi di età e di salute. Guai pure per Mario Mori, ex di-rettore dello stesso Sisde, accusato di favoreggiamentoa Provenzano e di un ruolo nella trattativa.

IL LATO OSCURO DELLE STRAGIMassimo Ciancimino (foto), condannato per il riciclag-gio del tesoro del padre Vito, comincia a fare dichiara-zioni sulla trattativa Stato-mafia. Tre anni dopo verrà ar-restato per calunnia. In aprile parla Gaspare Spatuzza:racconta la sua verità sulla strage di via D’Amelio,smentendo il falso pentito Vincenzo Scarantino.

BATOSTA AI LO PICCOLOIl primo processo denominato Addiopizzo si chiude conla condanna di 50 mafiosi e con pene che ammontano,nel complesso, a 400 anni di carcere. Un colpo durissi-mo, per il clan capeggiato da Salvatore Lo Piccolo (fo-to), arrestato col figlio Sandro nel novembre 2007. Consé avevano un libro mastro con le cifre del racket.

VIA D’AMELIO, TUTTO DA RIFAREOtto dei condannati per la strage di via D’Amelio vengo-no scarcerati su richiesta del pg di Caltanissetta Rober-to Scarpinato (foto). Li ha scagionati il pentito GaspareSpatuzza, che ha smentito la versione del falso collabo-ratore Scarantino. Alcuni di loro erano in cella dal ’94,poi erano usciti per qualche anno.

LA NUOVA VERITÀLa Procura di Caltanissetta ottiene 5 arresti: Spatuzza(foto) svela la vera dinamica della strage di via D’Ame-lio, vengono individuati altri responsabili, tra cui SalvoMadonia. Borsellino fu ucciso perché avrebbe scopertola trattativa. Messo da parte Massimo Ciancimino, si in-daga su ben altri depistaggi istituzionali.

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11 APRILE2006 2007 2008 2009 2011 27 OTTOBRE 2012 8 MARZO .

Ha interpretato Luciano Liggionel film Placido Rizzotto di Pa-squale Scimeca. L’ha reso cosìsimile al terribile boss mafioso,che la sorella del sindacalista

corleonese, ucciso e gettato a Rocca Bu-sambra, alla fine della prima a Venezia, ac-cese le luci della sala, gli ha mollato unoschiaffo. Vincenzo Albanese racconta ri-dendo questo episodio. “Poi si è scusata.Ma era tale il ricordo che l’è venuto natu-rale. Difficilmente mi rivedo nei film. Maquella volta guardando il film mi sonosembrato terribile anch’io. Davvero fero-ce. E dire che io sono una persona mite egentile”. Nel cortometraggio in onore aFalcone diretto dall’inseparabile Scimeca,Albanese, attore di 58 anni, nato a Calta-vuturo, in provincia di Palermo, è il capo-redattore di un giornale che un giorno, ri-cevuta un’agenzia Ansa, manda il suo cro-nista di punta Antonio Conti al ConvittoNazionale per scrivere un pezzo sul ritro-vamento da parte di una studentessa delliceo delle pagelle scolastiche di GiovanniFalcone che, in quell’istituto, aveva fre-quentato le elementari negli anni Qua-ranta. “L’ho mandato al Convitto poichésapevo che Antonio aveva studiato lì – sot-tolinea il ‘caporedattore’ Albanese –. Unascuola dove aveva imparato il senso dellalegalità e della giustizia”. Per l’attore che ha interpretato numero-

si personaggi nei film di Scimeca, da I Ma-lavoglia a Rosso Malpelo, ma anche fiction

di successo come La Squadra e Montalbano(la prima serie), la mafia non è sconfitta. Equesti momenti di riflessione, non solo ser-vono ma sono pure importanti per ricorda-re a tutti che eroi come Falcone e Borsellinonon vanno dimenticati. “Purtroppo oggi lazona grigia si è allargata – dice Albanese –Non dobbiamo dimenticare che uominicome Riina, Provenzano, lo stesso Liggioche ho interpretato, hanno potuto contare

su uomini che sembravano al di sopra diogni sospetto. Su medici come Navarra, supolitici, carabinieri e poliziotti che eranocorrotti. Su una rete di connivenze chehanno garantito loro pr tanto tempo l’im-punità. Fino a quando non si tagliano que-sti legami, le manifestazioni contro la mafianon sono mai poche. E senza retorica e contanta consapevolezza bisogna dire che distrada se ne deve fare ancora tanta”. [I.M.]

La lunga strada verso la legalità

Vincenzo Albanese, nel ruolo di caporedattore, che invia il suo cronista al Convitto perchè una studentessa ha ritrovato le pagelle del giudice Falcone

“La zona grigia si èallargata. Boss comeRiina, Provenzano

e Liggio hanno potutocontare su uomini al

di sopra di ogni sospetto”

Filippo Luna nel corto di Scimecaè il portiere del Convitto. Unruolo simbolico, in quanto rap-presenta l’accoglienza nei con-fronti del giovane protagonista

che arriva all’istituto accompagnato dallamadre. “Quello che ho provato a trasmet-tere al mio personaggio – spiega l’attore –è il senso del dovere, il rigore morale, ladisciplina”. Un ruolo per il quale si è ispi-rato a una scena reale che ha vissuto inpassato. “Sono stato al Convitto – raccon-ta – una volta perché dovevo prenderemio figlioccio che studiava in questo isti-tuto e dissi al portiere il nome del ragazzoprese un grosso registro e iniziò a sfogliar-lo per accertare quale classe frequentava.Quel gesto così naturale e semplice mi èrimasto impresso nella mente ed è diven-tato il gesto che ho ripetuto nel film”.Luna si identifica anche con il perso-

naggio protagonista del corto diretto daPasquale Scimeca: “Come lui – dice – an-che io ho dovuto lasciare il mio paese, SanGiuseppe Jato, per studiare e diventare unattore. Un paese storicamente difficile ilmio che però in questi anni è molto cam-biato in meglio. Chissà quale sarebbe statala mia vita se fossi rimasto lì. A volte, infat-ti, in questi piccoli centri ci si imbatte in-consapevolmente nella mafia e nella cri-minalità e poi è difficile venirne fuori”.Ma Luna vuole sottolineare propriol’aspetto del cambiamento: “Come SanGiuseppe Jato, anche tutta la Sicilia è cam-

biata e questo grazie al sacrificio di lealiservitori dello Stato come Falcone e Bor-sellino. E se dopo vent’anni la memorianon è ancora sbiadita vuol dire che il cam-biamento è entrato nelle nostre coscienze.Ricordo che ai funerali il giudice Capon-netto disse che tutto era perduto e, in ef-fetti, la Sicilia sembrava senza speranze.Invece, sta trovando la forza di riscattarsi”.Recitando in questo film l’attore si è

sentito immerso in un’atmosfera che allostesso tempo era di grande emozione, maanche di grande familiarità: “Conoscevogran parte del cast tecnico e degli attori,mi sentivo dentro a una famiglia, ma allostesso tempo sentivo il grande orgoglio peraver preso parte a questo progetto così im-portante”. Un progetto realizzato proprioin occasione del ventennale delle stragi diCapaci e via D’Amelio. [S.B.]

La disciplina e il senso del dovere

Filippo Luna, che interpreta il ruolo del portiere del Convitto, accoglie Antonio e sua madre al loro arrivo nella scuola

“Conoscevo gran partedel cast, mi sentivo

in famiglia, ma allo stessotempo ero orgogliosoper aver preso partea questo progetto”

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SERGIO LARI

Un applauso caloroso mentre ricorda i nomi degli otto agenti morti negli attentati diCapaci e di via D’Amelio. Questo uno dei momenti più emozionanti dell’incon-tro del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso con i ragazzi del Convitto.

L’iniziativa conclude il progetto La mafia, vissuta, narrata e superata, organizzato dallePaoline. Il procuratore ha raccontato alcuni episodi. Come quello dell’accendino d’ar-gento che gli donò Giovanni Falcone: “Non è un regalo, mi disse, ho deciso di smetteredi fumare e di darlo a te perché sono sicuro che se dovessi servirmi, me lo ridaresti. Con-servo sempre quell’accendino, nei momenti di scoramento, lo stringo fra le mani e mi dàla forza di andare avanti”. In un altro episodio protagonista è stata la moglie. “Insegnavain un paese della Sicilia. Un giorno un suo studente l’avvertì che essendo i suoi fratellimaggiori latitanti, ed essendo rimasto l’unico maschio in famiglia, era costretto a lascia-re gli studi anche se era a un passo del diploma. Questo giovane, quindi pur volendo,non ha potuto sottrarsi al suo destino. Un altro studente, invece, riuscì a diplomarsi esfuggire dai suoi che lo volevano al servizio della mafia. Si recò al Nord, si è laureato in in-gegneria scegliendo di stare dalla parte dello Stato. E ce l’ha fatta”. Fernanda Di Monte

Il ricordo degli agenti uccisi

Tre magistrati docenti d’eccezione

Da sinistra, Suor Fernanda Di Monte, Alberto Giglio, Sergio Lari ed Emanuele De Pasquale

“Ho ricevuto parecchie minacce dalla mafia, croci sul videocitofono o su fotogra-fie. Nell’ultimo anno e mezzo mi hanno fatto recapitare almeno sei buste conproiettili. Lo Stato però mi protegge, sta facendo il massimo”. Così risponde

Sergio Lari, procuratore della repubblica di Caltanissetta alla domanda di uno studen-te durante l’inconttro al Convitto. “La mafia – ha sottolineato Lari – è un tumore checerca di inserirsi all’interno dello Stato e, attraverso il controllo dell’economia e dellapolitica, di subentrare allo Stato stesso nel controllo del territorio”. Con i ragazzi Lariha dialogato per più di un ora, con semplicità e chiarezza. Ha ribadito che la mafia sipotrà sconfiggere davvero “con l’impegno di tutti e che capire, riflettere su questa tristerealtà fin dai primi anni di scuola è fondamentale”. Ha esortato i giovani a impegnarsinello studio, nel credere che il loro futuro è già iniziato tra i banchi di scuola, cercandodi pensare e scoprire ognuno la propria vocazione. “Dopo il diploma di liceo classicoero indeciso se fare il magistrato o il medico, era affascinato da entrambe le professioniperché così avrei potuto fare qualcosa per gli altri. Alla fine ho scelto la toga”.

La mafia si può sconfiggere

PIETRO GRASSO

“La mafia ha bisogno continuo di manovalanza. Non bisogna mai rivolgersi perun posto di lavoro ai boss, prima o poi il favore lo si dovrà rendere”. A parlareè il magistrato Laura Vaccaro durante l’incontro con i ragazzi del Convitto Na-

zionale Falcone . “Una volta un ragazzo di 18 anni – ha raccontato – aveva ottenuto unlavoro in un supermercato da una famiglia mafiosa. Un giorno gli chiesero la fotocopiadel documento per intestare a lui i cellulari di un latitante e un contratto di affitto. E al-la fine quel giovane è finito in carcere per favoreggiamento”. “Sono entrata in magistra-tura – ha ricordato – il 28 maggio del ’92, pochi giorni dopo la strage di Capaci. E del-la commissione faceva parte Francesco Morvillo. Oggi siamo lontani dal chiudere lapartita con Cosa nostra e credo che ci possano essere altre stragi di mafia. Al liceo nonero proprio una studentessa modello – ha confessato – ero brava nelle materie lettera-rie e in particolare nella storia, in matematica, invece, ho preso quattro, ma non sonomai stata rimandata. Poi mi sono iscritta in giurisprudenza e all’università sono andatain maniera spedita. Ho vinto il concorso in magistratura con le mie forze come mi han-no sempre insegnato i miei genitori.

Mai chiedere lavoro ai bossLAURA VACCARO

Il procuratore Pietro Grasso con i protagonisti Riccardo E Pietro e Marcello Mazzarella

Da sinistra, Pedro Malucin, Laura Vaccaro, Salvo Incontrera e Alberto Spurio

In questo scorcio di tempo stiamo at-traversando certamente uno dei mo-menti più critici degli equilibri econo-mici, sociali e politici dal dopoguerra.La parola che ricorre con più frequen-

za sulla bocca di tutti è crisi. In questomomento sentiamo in crisi i nostri con-vincimenti più profondi: è in crisi la fami-glia, è in crisi la scuola, è in crisi la societàoccidentale, sono in crisi i modelli econo-mici e le ideologie politiche. Si espando-no sempre più il non rispetto delle normee la cultura della derogabilità. Sono in cri-si dunque i valori fondanti della nostra so-cietà. Crisi, infatti, vuol dire passaggio dauna condizione ad un’altra, perché sonoormai mutati i presupposti ed i contesti.Sono mutati i comportamenti cui siamostati abituati e non trovano più riscontromolti dei valori posti a base della condi-zione precedente. Crisi vuol dire dunquecambiamento e come tale ci destabilizza,ci disorienta, a volte ci spaventa. Da sem-pre i giovani hanno vissuto e talvolta de-terminato il cambiamento sotto la forzadi forti spinte economiche e culturali,spesso rompendo con gli schemi del pas-sato alla ricerca di nuovi valori, di nuoviorizzonti culturali e sociali, in particolarmodo quando più evidente è stato il falli-mento dei vecchi. È su questo fronte che

si gioca la partita della vita. Il giovanechiamato ad essere protagonista del cam-biamento e del proprio futuro scende in-fatti in campo confuso e disorientato, fa-cile preda di forti illusioni e pesanti disil-lusioni. Non è facile per i giovani gestirein positivo il cambiamento, né lo è per gliadulti chiamati a sostenerli ed ad orientar-li nella loro crescita sociale e culturale, adessere guida autorevole nelle scelte impor-tanti. Emerge dunque in tutta la sua im-

portanza e responsabilità il ruolo dei buo-ni educatori. Il messaggio educativo viag-gia infatti sul filo dell’esempio. È dunquedeterminante che i giovani incontrino sulloro cammino l’esempio illuminante esalvifico di buoni educatori che sappianoessere per loro bussola nel dubbio e chescolpiscano nella loro mente e nel lorocuore principi sani e valori profondi, qua-li il rispetto di sé e degli altri, il rispettodella legge e delle istituzioni, il credo nella

forza della legalità, dell’uguaglianza socia-le e della democrazia. Per tale ragionequesto Convitto Nazionale ha dato nellapropria scelta educativa grandissimo pesoalla Educazione alla legalità, ritenendoche essa sia il denominatore comune efondante di tutte le azioni educative epropone ai propri studenti Giovanni Fal-cone come esempio e modello educativoilluminante e trascinante.

Marco Mantione

NAZIONALI CANTANTI E MAGISTRATI

“La strage di Capaci è stato uno deimomenti più dolorosi della storiadi questo Paese. Falcone e Borsel-

lino, due eroi del nostro tempo, non sonomorti invano: questo deve essere il propo-sito di tutti gli uomini di buona volontà”.Enrico Ruggeri, presidente della nazionaleitaliana cantanti, stasera sarà in campo perla Partita del Cuore con la nazionale Magi-

strati, su Rai Uno. Il ricavato in beneficen-za.“La piaga mafiosa ha bisogno di tuttinoi per essere sanata e scomparire definiti-vamente. L’importante è non abbassare laguardia e continuare a parlarne, soprattut-to alle nuove generazioni, con il coraggiodi guardarla in faccia. Anche un pallonepuò servire se sappiamo farlo volare più inalto della nostra stessa speranza”.

Il rettore

del Convitto

Marco Mantione

stringe la mano

al ‘collega’

David Coco

durante

una pausa

delle riprese

del film

all’interno

dell’istituto

Al ‘Barbera’ la Partita del cuore

IL CORO DEL CONVITTO

Si esibiranno prima all’aula bunkerdavanti al Presidente Giorgio Napo-litano, e dopo, all’Albero Falcone:

canteranno per la prima volta l’inno dedi-cato a Giovanni Falcone e Paolo Borselli-no. Giornata intensa oggi per il coro poli-fonico di voci bianche del Convitto, diret-to dalla professoressa Maria Natoli, e perquello della scuola media Madre Teresa di

Calcutta, diretto dal maestro MarcelloBiondolillo. “Sarà una grande emozione –confessa la professoressa Natoli – cantaredavanti al Capo dello Stato in un’occasio-ne così importate come il ventennale dellastrage di Capaci. Ne siamo orgogliosi. Iltesto dell’inno è il frutto della collabora-zione con Agata Barbagallo. La musica èstata composta dallo stesso Biondolillo”.

Intonerà l’inno ai giudici eroi

L’esempio, una forza che trascina

Page 13: UNA MEMORIA LUNGA VENTI ANNI - ilsole24ore.com · Borsellino e otto agenti di scorta? ... In tutti questi anni ho visitato tan-te scuole perché invitata dai ragazzi. E tut- ... di

NEW COLLEGE: NUMERO UNICO PER LE MANIFESTAZIONI DEL 20° ANNIVERSARIO DELLE STRAGI DI CAPACI E VIA D’AMELIOCONVITTO NAZIONALE DI STATO GIOVANNI FALCONE - PALERMO • RETTORE PRESIDE: MARCO MANTIONE

DIRETTORE: GIUSEPPE CADILIHANNO COLLABORATO: NINO AMADORE, RICCARDO ARENA, SALVO BUTERA, FERNANDA DI MONTE, UMBERTO LUCENTINI,

IGNAZIO MARCHESE, FRANCESCO MASSARO, MARCO VOLPEFOTO: GIULIO AZZARELLO, GIOVANNI CIANCIOLO, MARCO DI MEO, STUDIO CAMERA

PROGETTO ED ELABORAZIONE GRAFICA: GIOVANNI GRECO SCRIBANIFINITO DI STAMPARE NEL MAGGIO 2012 DALLA TIPOGRAFIA DIGITAL SERVICE XSEROMANIA • ROMA