Tutte noi abbiamo un Mister Big

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Disponibile anche: Libro: 14,50 euro (da novembre 2011) e-book (download): 9,99 euro e-book su CD in libreria: 9,99 euro

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Oriana De Iulio, Sentimentale

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ORIANA DE IULIO

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TUTTE NOI ABBIAMO UN MISTER BIG Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2011 Oriana De Iulio ISBN: 978-88-6307-398-0

In copertina: Immagine proposta dall’Autore

Finito di stampare nel mese di Ottobre 2011 da Logo srl

Borgoricco - Padova

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Alla mia famiglia

“Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo venir cacciati”

Jean Paul, Impromptus

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1 Oggi

Svegliarsi la mattina, soprattutto il lunedì mattina, è assolutamente e inevitabilmente inquietante. Soprattutto quando guardandoti allo specchio scorgi un’altra ruga, la terza in pochi mesi. Ho trentadue anni e tre rughe! No, pardon, per la precisione non ho un lavoro fisso, non ho un compagno, ma ho sempre tre rughe. Provare a raccontare come può essere la vita di una trentenne a Napoli è cosa decisamente ardua; soprattutto se non hai un lavoro decente, adeguato alla tua formazione professionale, non hai le possibilità economiche per andar via di casa e soprattutto non hai ancora trovato un uomo che non dico sia il principe azzurro, ma nemmeno un ranocchio appassito. Ho all’attivo un centinaio di colloqui di lavoro, una decina sviluppatisi in impieghi, tutti sottopagati, la maggior parte in nero o peggio ancora con contratti a progetto il che significa: no ferie, no malattie, no paga fissa, no buoni pasto, no tredicesima, no maternità, no orari di lavoro stabiliti, ma una vera e propria condizione da schiava moderna. Dopo ogni colloquio la solfa è sempre la stessa: o troppo qualificata per lavori di basso profilo o idonea al ruolo, ma con contratti atipici e stipendi da fame. Ma tutto questo cosa significa? Lo spiego: se mai qualcuno dovesse assumermi in base alle mie abilità professionali dovrebbe come minimo offrirmi una posizione dirigenziale, magari al suo posto, con uno stipendio adeguato. Ma questo non avviene perché a tutti conviene ridurmi in una condizione di subalternità. Quindi poco importa se la famigerata gavetta l’ho già fatta, del resto sono sempre nell’ambito dei trent’anni e quindi sono ancora “giovane”! A proposito, quando scadono i termini della gioventù? E allora tristemente mi chiedo: ha senso spendere tanti soldi e anni, senza dubbio i migliori della propria vita, per conseguire una laurea, se poi alla fine questa diventa

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un’aggravante? Avrei voluto, alla mia età, mettere su famiglia, avere un figlio, comprarmi una casa e invece non riesco neanche ad acquistare un’auto. Alla nostra generazione hanno rubato il futuro e guardandomi indietro, a questo lungo periodo di disoccupazione e sottoccupazione, ho capito che gli anni spesi dai miei genitori in lotte sociali per acquisire diritti e creare un futuro migliore sono andati letteralmente calpestati e resi vani. Al giorno d’oggi un giovane della mia età, paradossalmente, ha meno possibilità di inserimento nel mondo del lavoro e soprattutto meno diritti e sicurezze per il proprio avvenire rispetto alla generazione che lo ha preceduto. Dopo anni di ambiziosi progetti, in cui avevo la vana aspirazione di far parte del mondo della cultura, tre anni di volontariato all’università, pubblicazione di articoli su prestigiose riviste, collaborazione su quotidiani per il famigerato tesserino da pubblicista, un promesso e mai ottenuto dottorato, sei mesi di stage che a dirla tutta sembrava più un’opera di mutuo soccorso che altro, oggi andrò a sostenere un colloquio per un lavoro da segretaria. Mi chiedo: ma dovevo laurearmi per scrivere al computer e ordinare il caffè? Comunque in questa città non si butta via niente e allora mi rimbocco le maniche e finisco di preparami. Ma oggi è proprio difficile non pensare: il ricordo di quella nuova ruga sul mio volto non mi dà tregua e allora mi fermo di nuovo e penso, penso a come la mia vita finora non sia stata altro che una serie continua di lavori e amori a progetto, quasi come se le cose andassero di pari passo, come se oggi la precarietà professionale fosse una malattia infettiva che presto contagia anche la vita privata. Così mi fermo un attimo e incomincio a ricordare quel giorno di qualche anno fa quando mi sono laureata, quando credevo che fosse facile e quasi mi fosse dovuto raccogliere ciò che avevo seminato

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2 Ieri

Finalmente è fatta. Eccomi qui con la mia tesi di laurea dalla copertina rossa. Ho lavorato quasi due anni non tralasciando nulla; ho curato tutto nei minimi particolari perché ci credo e sono convinta che sarà un ottimo trampolino di lancio nel mondo del lavoro. Eccomi, fiera e fiduciosa all’ingresso della facoltà. Cerco tra la folla le mie fedeli compagne d’avventura, con le quali ho condiviso questi anni di vita universitaria. Sono stati anni certamente difficili, ma anche di costruzione e di aspettative; anni in cui, con fatica, abbiamo messo le basi per il nostro futuro, cercando di renderlo il più stabile possibile. Mi faccio strada tra la moltitudine di amici e parenti accorsi alla seduta di laurea e riesco a malapena a intravedere Sara. Eccola lì: alta, capelli biondi, occhi scuri, rassicurante nel suo tailleur blu; lei è quella con le idee chiare, niente grilli per la testa, con un futuro senza grandi sorprese, fidanzato storico e un solo progetto: il matrimonio. Poi Marta, irrequieta, ansiosa, in perenne fibrillazione, insicura con un sorriso solo a prima vista rassicuramene; come al solito circondata da persone che la conoscono ben poco e che non fanno altro che lodare la sua grinta, ma io che ho vissuto praticamente con lei questi lunghi anni di università, so che al di là delle apparenze ha una paura pazzesca. Accanto a lei il suo fidanzato, uno nuovo di zecca, giusto per l’occasione. E poi io, sola, come al solito. Con una grande agitazione nell’anima ma con la sicurezza di chiudere questo capitolo della mia vita, sperando che il prossimo mi dia ciò che desidero. «Come al solito in ritardo!» mi apostrofa Sara con disappunto, proprio come farebbe mia madre. «Lo so, ho fatto tardi, ma la sveglia non ha squillato, le lentine non stavano al loro posto, l’autobus non passava.»

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«Basta! È possibile che anche il giorno della laurea non solo arrivi in ritardo, ma hai pure il coraggio di inventar balle! Ora non possiamo neanche prenderci un caffè!» Mortificata guardo l’orologio, poi con un sorriso esclamo: «Ma dai, il tempo per i nostri rituali scaramantici ce l’abbiamo.» Così trascino le mie compagne al nostro solito bar, ordiniamo i soliti tre caffè caldi, la solita confezione di gomme e ci fumiamo le ultime tre sigarette da studentesse. La seduta di laurea è più lunga del previsto, ma senza sorprese eclatanti. Va bene, anzi benissimo, tutte e tre a pieni voti, tutte tre laureate in lettere, tutte e tre con un roseo futuro che ci attende. Mi dileguo quasi subito: ho voglia di rimanere da sola, ho voglia di camminare e respirare un po’ d’aria fresca. Ed eccomi qui, per le strade della mia città, che di solito non amo, che mi sta stretta come se indossassi un vestito di due taglie in meno. Eppure oggi mi sembra più bella, la gente più sorridente, le strade più larghe e più pulite, persino gli autobus più funzionanti, puliti, simili a quelli di un qualsiasi paese civile. Non mi accorgo nemmeno della gente che mi spintona come se non mi vedesse, del ragazzino che quasi mi sfiora con il motorino, del tizio che mi urla dietro; arrivo a casa come su di una nuvoletta, apro la porta e mi scopro persino contenta della festa a sorpresa organizzata dai miei genitori, non considero pacchiane né le bomboniere che mi hanno confezionato di nascosto, né le foto alle quali mi sottopongo quasi come se fossi in trance. Mi ribello solo al filmino che a quel punto considero veramente eccessivo. In mente ho solo un pensiero: me ne andrò presto. Presto questa non sarà più la mia vita. La festa è quasi finita. Per mia fortuna amici e parenti non si sono trattenuti a lungo. Scarto ancora gli ultimi regali quando da lontano vedo avvicinarsi come un benevolo avvoltoio mia zia, seguita dai miei genitori. «E allora? dopo un così brillante risultato, progetti per il futuro?» Cerco di rispondere quando Sara mi precede con irruenza: «Faremo la SICSI, o almeno ci proveremo, oggi è l’unico modo per inserirsi nel mondo della scuola.» «Ottima scelta!» esclama mia zia «insegno da anni e il mondo della scuola è l’ideale per una donna che vuole lavorare e avere anche una famiglia!»

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Improvvisamente mi sento colta da uno dei miei soliti attacchi di claustrofobia, seguiti da un forte senso di nausea. Mi prendono ogni qual volta ho l’impressione che mi si voglia costringere a fare qualcosa in cui non credo: SICSI, scuola, donna, famiglia… ma di cosa si sta parlando? Non ho certo passato quattro anni della mia vita sui libri per fare la supplente in eterno. Ho altre ambizioni. Voglio scrivere, occuparmi di cinema, realizzare cortometraggi e non ammuffire in una scuola per anni. «Ma io veramente…» cerco di replicare, ma ormai alla discussione partecipano anche i miei genitori e mia madre rincara la dose: «È certamente una scelta matura e consapevole! Oggi come oggi il posto sicuro è così raro!» Ho due alternative: o urlo mettendo subito in chiaro come stanno le cose o taccio e aspetto. Forse è il caso di far scivolare lentamente la discussione e allora scelgo il silenzio, pensando che tra breve avrò tutto il tempo per mettere in chiaro quelli che sono i miei obiettivi e lottare per realizzarli.

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3 È trascorso appena un mese dal giorno della laurea, il passaggio dallo status di neolaureata a quello di disoccupata non si è ancora ufficialmente compiuto e quindi posso godermi questi meritati giorni di riposo al mare. Mi piace venire in questo piccolo paese. Non c’è quasi nulla a parte una spiaggia lunga e bianca e un mare limpido. Ci vengo praticamente da quando ero bambina, ogni angolo di questo posto nasconde un mio intimo segreto, una mia piccola emozione. Ogni anno, anche se solo per qualche giorno, mi piace ritrovare i vecchi amici, le persone del posto, i luoghi e gli odori di questo paese magico. Qui ho conosciuto per la prima volta l’amore, ho riso, pianto, sofferto, mi sono emozionata, mi sono ubriacata, ho ballato fino a notte fonda, ho fatto il mio primo falò in riva al mare aspettando le luci dell’alba. Questo posto ha visto e assorbito tutta la mia adolescenza e quando sono qui mi viene voglia di accostarmi ai muri delle case, alla corteccia degli alberi, al ferro delle panchine, al marmo dei muretti per respirare l’odore dei miei ricordi svaniti nel tempo. Qui ho conosciuto anche il mio migliore amico, lo definisco l’uomo migliore che conosca, l’unico capace di voler bene senza aspettarsi nulla in cambio. Mauro è il classico esempio di come sia sbagliato giudicare una persona in base alla prima impressione. Quando l’ho conosciuto ho provato subito un’inarrestabile voglia di detestarlo. Totalmente e profondamente diverso da me: egocentrico, rumoroso, eccessivamente ironico, casinista. Insomma il mio completo opposto. Poi, senza un vero motivo, ci siamo incontrati, e subito si è creata un’alchimia speciale tra di noi. Praticamente lo adoro, tranne quando mi piomba in casa di sorpresa pretendendo di trascinarmi in chi sa quale avventura, come in questo momento. Lo vedo da lontano correre con la vespa a motore spento per

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non farsi sentire. Eccolo lì! Si toglie il casco, scende in silenzio, e poi in punta di piedi raggiunge la porta di casa e urla: «Dottoressa buongiorno, andiamo al mare!» Ha un’aria così divertita che quasi mi dispiace rovinargli l’illusione di avermi spaventata. Mi sforzo di sembrare sorpresa e sorridendo gli dico: «Già sei qui? Non è presto per andare a mare?» «Giusto per precisare, sono le due. Ti sembra presto?» «E lo so è tardi, ma ieri mi hai fatto fare pure le quattro.» «È stata una serata memorabile! Ieri la discoteca era gremita di gente interessante.» «E come no! Uno mi ha fermata dicendomi: a san Lorenzo è caduta una stella e si è fermata qui!» «Un poeta!» «Un coglione!» «Un poeta… coglione. E poi smettila di fare l’intellettualoide di sinistra!» «Cosa c’entra la politica ora? Diciamo la verità, in discoteca il target è questo.» «La verità è che tu sei destinata alla zitellaggine e a una vita triste.» «Per tua informazione la mia vita non è triste, e ora che mi sono laureata vedrai, vedrai!» «Vedrò, vedrò; per il momento vorrei vederti in costume!» Sconfitta vado di là e mi vesto contro voglia, e contro voglia prendo il mio costume viola, un pantaloncino blu, preparo la borsa per il mare seguita dallo sguardo impaziente di Mauro. Sono pronta in poco tempo e lo convinco a percorrere la stradina più lunga, che è senza dubbio più faticosa ma anche più suggestiva. La viuzza infatti è piccola e percorre tutto il paese. Da un lato si può ammirare un panorama strepitoso: rocce a strapiombo portano a un mare cristallino talmente pulito da vedere i fondali anche da così in alto; dall’altro lato svetta caratteristico, da una verde collina, un piccolo borgo medioevale. «Questo posto è incantevole, non finirò mai di dirlo!» «È sempre lo stesso Giulia, ci veniamo da dieci anni.» «Ma tu sei sempre così romantico?» «Realistico.»

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«Ma va là! Con te non si può mai fare un discorso serio, dire una cosa romantica, ma mi chiedo: cosa trovano tutte queste donne in te?» «Se vuoi ti faccio vedere.» «Sei proprio cretino! A proposito, con le tue fidanzate tutto bene?» «Tutto bene. Procede tutto alla perfezione.» «Tu giochi con il fuoco, troppe femmine fanno male.» «E perché? Guardami, ti sembro triste? Tu piuttosto, dopo la laurea ci vogliamo dare da fare o hai deciso di emulare Maria Goretti.» «Lascia stare, che anch’io quando capita…» «E appunto, quando capita?» «Scemo!» «Ma se vuoi io sono disponibile, ogni tanto una spolveratina!» «La spolveratina la fai a tua sorella!» «Tu trattami male, quando poi sarai vecchia e sola allora si che mi divertirò!» Sorridendo lo colpisco. A causa della maldestra manovra finisco per travolgere letteralmente un ragazzo che cammina dietro di me. «Scusa, non volevo!» «La prossima volta guardati alle spalle.» Così dicendo si allontana e io rimango immobile e senza parole. «Che simpatia!» «Ma chi è? Non l’ho mai visto. Molto carino.» «E lo sapevo Giulia, per te se non sono antipatici e asociali non vanno bene. Te l’ho sempre detto fatti vedere da uno psicanalista.» «Zitto e cammina.» Cerco di velocizzare la mia andatura nel vano tentativo di raggiungere quel ragazzo che pur essendo stato assolutamente scortese ha provocato in me una strana reazione, ma lui procede troppo celermente e così lo vedo allontanarsi pian piano all’orizzonte. Ho l’impressione che prima di sparire si sia girato un attimo e abbia guardato da questa parte, ma forse mi sbaglio, forse era solo un’illusione. Oggi ho deciso di andare al mare da sola. Basta sabbia e bambini urlanti, oggi voglio essere spericolata, me ne vado sugli scogli! Cerco un piccolo masso, quello maggiormente esposto al sole, il più comodo possibile in modo da sistemare facilmente la borsa e stendermi per poter godere dei raggi benefici del sole. È così forte che quasi mi ustiona e questa è una sensazione che adoro; ho sempre pensato che il

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sale del mare e il caldo del sole disinfettassero le ferite dell’inverno, un modo per dimenticare e per ritornare a nuova vita. Ora rischio veramente di scottarmi e quindi decido di immergermi in acqua. Faccio per alzarmi quando vengo spintonata con violenza da un uomo alle mie spalle, e solo grazie alla mia prontezza di riflessi riesco a limitare il danno a un gomito un po’ scorticato. Inviperita mi rialzo subito, pronta a incazzarmi come una bestia, a sfogare tutta la mia indignazione, quando mi rendo conto che si tratta del ragazzo che ho incontrato qualche giorno prima. Repentinamente calmo i miei bollenti spiriti e sorrido: «La prossima volta guardati alle spalle.» Lui mi guarda sorpreso poi fa un largo sorriso. «Scusami, non ti avevo vista.» Fa per allontanarsi, poi come se avesse riflettuto si volta indietro e mi dice: «Scusami anche per l’altro giorno, sono stato scortese.» «Figurati.» Mentre dico ciò cerco disperatamente di coprirmi il gomito che si sta arrossando a vista d’occhio… quel ragazzo meraviglioso mi guarda ironico e poi inaspettatamente propone: «Vado al mare, vieni anche tu?» E io inaspettatamente accetto. «Sei nuova, non ti avevo mai vista prima.» «Veramente sono quasi dieci anni che vengo qui. Tu piuttosto, non ti ho mai visto neanche giù sul lungomare.» «Villeggio qui praticamente da quando sono nato, i miei genitori hanno una casa, ma vengo per pochi giorni l’anno.» «E ora per quanto tempo ti trattieni?» «Non lo so, penso una o due settimane, quest’anno mi sono laureato e non ho molti soldi da parte.» «Ma dai, anche tu!» «Sì, a luglio.» «Io giugno.» «Lettere con specializzazione cinema» «Storia dell’arte con indirizzo contemporaneo» «Molto interessante, praticamente non so quasi nulla d’arte» «Io quasi nulla di cinema, che ne dici di uno scambio culturale» «Non male come idea.»

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Ci scambiamo uno sguardo d’intesa. Nonostante il sole sia sparito ormai dietro agli scogli, l’acqua si stia facendo fredda, e praticamente siamo gli unici rimasti sulla scogliera, fosse per me non andrei più via. Rimarrei qui per ore cercando di non perdermi nemmeno un attimo di questo momento che mi sembra così unico e irripetibile. Ma si sta facendo veramente tardi e allora quasi fosse un’altra donna a parlare al mio posto esclamo: «Ora devo andare, si è fatto tardi.» «Aspetta, su al castello questa sera fanno musica jazz. È un duo piuttosto famoso nell’ambiente, che ne dici?» «Con molto piacere.» «Perfetto, allora ti aspetto alle dieci.» Dicendo così si allontana e io resto lì ancora per pochi minuti a osservarlo. Mentre torno a casa tutto mi sembra avere un altro colore, un’altra dimensione. La natura sembra diversa da questa mattina, quasi fosse l’unica capace di cogliere e condividere questo mio cambiamento. Cerco di dare un nome ai sentimenti che sto provando: amore, infatuazione, fascinazione, non saprei associare un nome. Amore no, non credo, fascinazione, infatuazione credo proprio di sì, perché se penso a ogni singola parte del suo corpo, ai suoi atteggiamenti, mi piace praticamente tutto: gli occhi, le labbra, le mani, la voce, il modo di parlare, di muoversi, il sorriso beffardo, il tipico atteggiamento di chi si crede superiore a tutto e tutti. Per anni ho cercato qualcuno che fosse simile a me, e che nello stesso tempo fosse quella parte che mi manca e che alcuni chiamano anima gemella, e forse oggi l’ho trovata. Sì forse è lui e proprio lui il mio Mister Big! Penso di aver cambiato almeno quattro o cinque top su due o tre pantaloni diversi, ora ritengo di aver scelto l’abbigliamento adatto… «Giulia sei in casa?» «Entra, sono qui.» «È permesso?» Mauro è ancora in pantaloncini e tenuta da mare, mi guarda con aria decisamente perplessa… «E tu che ci fai vestita alle nove di sera?» «Stasera non vengo a ballare, vado al castello a sentire musica jazz.» «Da sola?»

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«No.» «E con chi?» «Con il tipo dell’altro giorno, quello che abbiamo conosciuto insieme.» «Chi? Il principino sul pisello?» «Non cominciare a dare strani soprannomi, perché questo è l’uomo giusto per me.» «L’uomo giusto per te? Ma se lo conosci… da quanto? Neanche un giorno.» «E perché, tu prima di portarti le femmine a letto aspetti l’anniversario?» «Che c’entra? E poi come ci arrivi al castello? Ti viene a prendere lui?» «A questo non avevo pensato…» «Sei una cambiale. Muoviti che ti do un passaggio con il motorino.» Sorrido al mio angelo custode! Per tutto il tragitto mi assale la solita ansia e mi domando: e se non venisse all’appuntamento? Poi la parte razionale mette a tacere le paure e cerca di calmare la mia naturale insicurezza: è stato lui a volerlo, lui me lo ha chiesto, perché non dovrebbe venire? E infatti eccolo lì all’ingresso del castello, più bello che di giorno, mi guarda e mi sorride con simpatia. Quasi non saluto Mauro che mi scruta sornione mentre mi allontano. Il castello è illuminato con piccole candele che emanano un caldo colore rosso che rende tutto più suggestivo. La terrazza è piena di gente e noi decidiamo di sederci in fondo per poter ascoltare meglio ogni singola nota del concerto. Mi accorgo che Lorenzo mi guarda di nascosto e non vorrei sbagliarmi, ma ho colto nei suoi occhi un certo interesse che mi fa sperare che ciò che desidero si avveri. Il concerto è meraviglioso, la musica mi emoziona, entra nella parte più tenera della mia anima, mi rende fragile e più predisposta alle emozioni. Se poi il tutto ha come cornice una terrazza circondata da una pineta e un cielo senza neanche una nuvola pieno zeppo di stelle lucenti, allora il gioco è fatto. Sono estremamente vulnerabile e quando mi chiede di andare con lui sulla spiaggia quasi non riesco a trattenere la gioia! La strada è abbastanza lunga e anche difficile da percorrere, ma noi parliamo, parliamo di arte, di storia, di filosofia di cinema. È come se per la prima volta riuscissi ad avere un rapporto alla pari con un uomo, senza dover necessariamente far finta di essere più debole o meno intelligente per non farlo sentire inferiore. Siamo arrivati, Lorenzo mi tende la mano e mi aiuta a scavalcare il muretto. Ora siamo distesi in riva al mare. Ho

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un po’ di freddo, Lorenzo si accorge del mio disagio e mi abbraccia. Poi tutto accade velocemente. Basta un attimo. Si avvicina e mi bacia sulle labbra. Un bacio tenero, molto lieve, quasi impercettibile. Poi un altro e un altro ancora, e allora i baci si fanno più ardenti, più concitati, credo di non aver mai permesso a nessuno di toccarmi in quel modo, con quella forza e con così tanta passione. Sento le sue mani praticamente ovunque, non riesco più a rendermi conto di dove mi trovo, di cosa stia accadendo. Neanche il fatto di essere su una spiaggia riesce a frenarmi, ho un bisogno urgente di sentire dentro di me quest’uomo, di sentirlo bruciare ed esplodere dentro. Quasi come se leggesse nei miei pensieri Lorenzo mi gira su di un fianco, mi toglie completamente i pantaloni e le mutandine e in un attimo è dentro di me. Mi afferra per i capelli e li tira forte, mi fa male! Appoggia la sua bocca sulla mia spalla e con violenza mi morde! Quello che provo è un misto di dolore e piacere, non riesco più a percepire il limite tra le due cose, ma ne sono più che convinta, questa è la prima volta che faccio veramente l’amore con qualcuno, è la prima volta che mi sento pienamente e completamente unita a un altro essere umano. È un rapporto lungo, intenso, forte, violento. Arrivo velocemente e con una forza che quasi mi spaventa. Lui raggiunge il massimo del piacere quasi in silenzio. Subito dopo Lorenzo mi sorprende per come rapidamente sia capace di cambiare atteggiamento; l’uomo duro di prima ha lasciato il posto a un altro dolce e affettuoso che si accascia sul mio fianco e respira piano, piano accarezza i miei capelli e piano mi bacia sul collo. «Sto bene con te Giulia, davvero, che ne dici di passare il resto di… di queste settimane con me? «Per la miseria, che proposta impegnativa.» «Guarda che per me proporre a una donna di stare insieme due settimane è quasi un record. Di solito duro due, tre sere.» «E a cosa devo l’onore di tutta questa attenzione?» «Con te posso parlare, con le altre dopo aver scopato non so che dire, con te è diverso.» Queste parole mi rimbombano nella testa, ci penso e ci ripenso in continuazione. La parte sana di me capisce che non hanno alcun valore, ma disperatamente mi ci aggrappo e credo e mi convinco che anche lui a modo suo inizi a provare dei sentimenti per me. Dopo quella notte diventiamo praticamente inseparabili. Così trascorro le settimane più

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intense, coinvolgenti ed estranianti della mia vita. Quasi non mi rendo conto di essermi isolata dal resto del mondo, non andiamo più al mare, non usciamo più, siamo praticamente confinati nella sua stanza, sul suo letto. Mi piace parlargli di come considero e sento il cinema, mi piace ascoltarlo quando eccitato mi spiega il significato dell’arte o mi mostra fotografie o installazioni di giovani artisti di cui non ho mai sentito parlare; amiamo che la musica faccia da sottofondo alle nostre giornate, ci sentiamo accomunati da un unico desiderio, quello di conoscere e sapere sempre di più. In poco tempo abbiamo costruito un mondo solo nostro da dove possiamo guardare gli altri con superiorità; gli altri che a questo punto ci sembrano così lontani, estranei e incomprensibili. È un pomeriggio come tanti, il tempo sembra immobile e l’aria rarefatta; io sono come al solito nel letto di Lorenzo, dopo aver fatto per l’ennesima volta l’amore, con tutti i nostri vestiti sparpagliati per terra, un piccolo panino tagliuzzato sul comodino e una lattina di coca che abbiamo diviso in due, con lo stereo ad alto volume e una marea di cose da dire e raccontare quando lo squillo del suo cellulare irrompe bruscamente e spezza il nostro incantesimo: «Pronto… ah sì Federico, non preoccuparti… domani all’aeroporto alle quattro, ciao.» Lorenzo chiude la conversazione rapidamente e come se non avesse ricevuto alcuna telefonata si rinfila nel letto e cerca di abbracciarmi. Quasi incredula mi alzo di scatto e gli chiedo: «Non è possibile, domani vai via.» «Sì Giulia, te lo avevo detto mi trattenevo due settimane, non di più. Dai torna qui.» «Pensavo che avessi cambiato idea.» A quel punto l’incantesimo è finito; Lorenzo si alza e mi siede accanto: «Giulia mi dispiace ma devo partire, è tutto pronto.» Lo guardo e cercando di sorridere gli dico: «Ok. Tanto le vacanze sono quasi finite, ci vediamo a Napoli» non riesco però a terminare la frase che un dubbio mi assale e allora gli chiedo: «Aspetta un momento, perché devi andare all’aeroporto?» «Parto per Londra.» A qual punto veramente credo di morire «A Londra? E quando torni?»

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«Non lo so. Ho dei soldi da parte, credo di poterci vivere fino a Natale, poi mi troverò un lavoro lì.» «E tu me lo dici così?» «Come te lo devo dire? Credevo di essere stato chiaro, noi non stiamo insieme. Anche se io sto bene con te, i miei progetti, la mia carriera e le mie esigenze vengono al primo posto, anche prima di una persona speciale come te.» Cerca di abbracciarmi, ma a quel punto fa troppo male, non riesco a rimanere un minuto di più in quel letto e in quella casa, e in pochi minuti sono fuori per strada. Cammino senza una meta sperando che lui mi cerchi per dirmi che ha cambiato idea, che non partirà più, che staremo insieme tutta la vita, che io valgo di più di un viaggio a Londra, ma niente di tutto questo accade. La mia corsa senza meta si interrompe sul muretto del lungomare. Mi siedo lì e non riesco a smettere di piangere. Da lontano vedo arrivare Mauro che a passo spedito mi raggiunge: «Ah sei qui, pensavo che ti avessero rapita gli alieni.» Alzo appena il viso e incontro il suo volto rassicurante. «Conosco questo sguardo. Questa volta a chi devo bucare le ruote?» Non riesco a dire una sola parola, mi faccio solo circondare dal caldo abbraccio di Mauro che come al solito asciuga le mie lacrime.

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Ho fatto veramente tardi! E non è consigliabile arrivare in ritardo a un colloquio di lavoro! Almeno è quello che mi hanno insegnato al Master in Risorse Umane che ho fatto dopo la laurea, quasi un anno di cazzate propinate come se fossero verità rivelate; per tutto quel tempo ho sentito parlare di selezione del personale, di formazione continua di posti dove valorizzano e fanno crescere i giovani talenti… praticamente è come se avessi visto, per un anno intero, un film di fantascienza. Prendo al volo l’autobus e infilo subito l’auricolare del mio lettore mp3. Mi serve per attutire i rumori di questa mediocre città, per non sentire le voci, i suoni, per isolarmi dal contesto. Dovrebbero inventare anche occhiali che ti proiettino in un’altra realtà e profumi che non ti facciano sentire la puzza di carne putrefatta che impregna le mura di questa piccola metropoli. Ogni volta che mi guardo in giro, Napoli mi sembra più triste e sporca del solito, le facce più cupe e inespressive. Mi sento aliena in una città che non riconosco e che non mi riconosce. Cerco con fatica qualcosa o qualcuno in cui possa trovare un punto d’incontro, ma mi riesce sempre più difficile. Napoli ha la mirabile capacità di assorbire come una spugna le culture altrui, ma il più delle volte ne assimila solo il peggio. Sembra che chiunque abbia la malaugurata sorte di vivere o trasferirsi qui, venga avvolto da un sortilegio che gli impedisce di progredire, di migliorare la propria vita. Mi fa male dirlo ma è così: nascere al sud significa portarsi dietro un handicap che ti rende la vita più difficile, perché devi essere necessariamente più bravo, più colto, più flessibile degli altri, disponibile a lasciarti alle spalle la tua città, la tua famiglia e i tuoi affetti per sottostare a una logica sociale che ti impone di recidere le tue radici per ottenere ciò che di diritto dovresti avere a casa tua. E anche

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quando riesci a superare la difficoltà emotiva di lasciarti alle spalle tutta la tua vita precedente, devi avere la fortuna che ti diano realmente e concretamente la possibilità di andartene. Perché quando ti offrono cinquecento euro al mese per lavorare a Roma, come è possibile pensare di trasferirsi e vivere lì? Due sono le alternative: dormire sotto i ponti della Stazione Termini e saltare un paio di pasti a settimana oppure chiedere alla tua famiglia, l’unico vero armonizzatore sociale che hai, di sostenerti ancora una volta. Per tutto il tragitto mi accompagnano questi pensieri e uno in particolare: non andare all’appuntamento. Mi sembra veramente una perdita di tempo, mi sono ridotta a fare un colloquio per segretaria. Cosa dirò a queste persone, loro cosa mi chiederanno, quale sarà la loro espressione quando leggeranno le mie tre pagine di curriculum, quanto mi pagheranno e soprattutto mi faranno uno straccio di contratto? Nonostante i miei mille dubbi decido che non posso permettermi di rinunciare a questo colloquio e allora cammino più celermente riuscendo ad accumulare non più di dieci minuti di ritardo. Quello che spero è che non ci sia nessuno prima di me, non credo di poter sopportare anche l’attesa. «Salve sono Contini, avevo un appuntamento per un colloquio.» Mi apre la porta una donna giovanissima, molto bella, sorridente ed estremamente curata. «Ah, prego, si accomodi.» L’ufficio è piccolo, malridotto. La prima impressione che ho è di trascuratezza e disfacimento. Su di un piccolo divano vedo due ragazze, credo siano venute prima di me. Le guardo con attenzione, mi sembrano molto giovani. La voglia di scappare mi assale di nuovo, sto per andarmene quando: «Dottoressa Contini, lei sulla mia agenda è segnata per prima, si accomodi.» Mi sento alle strette, non posso fare altrimenti. Entro nella stanza e mi chiudo la porta alle spalle…

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5 Ieri

Il ritorno in città quest’anno è stato più doloroso del solito. Il ricordo di Lorenzo è vivido e persistente, la pungente malinconia di qualcosa che è stato tra le mie mani per troppo poco tempo, e che in un periodo così breve mi ha stravolto la vita, è difficile da mandar giù. Sono sorretta comunque dall’entusiasmo per questa nuova vita, mi diverte questo breve periodo di inattività perché mi consente di soffermarmi su ciò che per me è importante, mi permette di riflettere con calma sui mezzi e le strategie da adottare per raggiungere i miei obiettivi. Ho anche più tempo libero per gironzolare per la città: andar per musei o fare semplicemente shopping, frequentare amici che magari prima, per impegni di studio, potevo vedere raramente, ascoltare musica dal vivo, vedere un buon film impegnato nei piccoli cinema del centro storico, i pochi ancora superstiti prima di essere inghiottiti dagli anonimi multisala. Nonostante il traffico e i miei pensieri devo sbrigarmi perché tra meno di mezz’ora ho appuntamento in centro con le mie amiche, con le quali cercherò di pianificare una strategia d’attacco per trovare un lavoro che ci eviti il definitivo passaggio da neolaureate a disoccupate. Come al solito la più attrezzata di tutte è Sara, con sottobraccio una quantità infinita di gazzette per concorsi, giornali di annunci e offerte raccolte su internet. La prima impressione è purtroppo deludente. Concorsi per laureati in lettere quasi zero, in compenso una smisurata quantità di stage senza retribuzione; annunci di privati tra i più svariati: addetti call center, addetti alle vendite, rappresentanti, informatori scientifici, segretarie, baby sitter, centraliniste, addetti data entry e altro. Insomma, quasi ci vien da pensare che per le offerte che ci sono era più che sufficiente il diploma, non serviva certo la laurea. Dopo un’attenta analisi di tutte le

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offerte e la triste constatazione che l’impresa non sarà poi così semplice, temo che prima o poi l’argomento che sento sulla mia testa come una spada di Damocle verrà fuori. E infatti puntuale come un orologio svizzero Sara esclama: «Ho portato anche i bollettini per pagare la tassa per l’esame della scuola di specializzazione per l’insegnamento.» Cerco di distogliere lo sguardo, ma lei non molla: «Ne ho portati tre.» A quel punto non posso più sottrarmi: «Non so se farò la SICSI.» «Giulia non fare la stupida è l’unica occasione per avere un posto fisso, che contemporaneamente ti permetta di mettere su famiglia e di avere figli.» «Non ho mai detto di volermi sposare e avere figli! Questi sono i tuoi progetti e non i miei, e poi la scuola di specializzazione non ti offre il posto fisso, ti fa solo pagare quasi tremila euro per studiare altri due anni dopo la laurea per poi finire in una infinita graduatoria grazie alla quale forse, e dico forse, dopo una gavetta di vent’anni con supplenze di pochi mesi sbattuta nelle più remote località italiane. a cinquant’anni diventi insegnante di ruolo e questa ti sembra l’occasione di una vita.» «No! Effettivamente è una strada lunga e decisamente complessa, però è l’unica via per insegnare, per trovare una strada idonea al nostro corso di studi e poi, fammi sentire un po’, quale sarebbe secondo te l’alternativa?» «Non lo so! Ma se ho lavorato tanto per laurearmi in tempo e con ottimi voti è perché nei miei sogni ci credo e voglio realizzarli, almeno ci voglio provare, per quanto velleitari possano essere. Se poi mi accorgerò che non ci riesco, che sto cercando di volare troppo in alto, allora proverò a scendere…» «Non voglio mica impedirti di realizzare i tuoi sogni, semplicemente non credo che fare questa scuola ti impedisca di realizzare contemporaneamente i tuoi progetti. È una chance in più che ti regali.» «Chiamalo regalo, regalone. Tremila euro!» «Scusate ragazze» cerca timidamente Marta di inserirsi nella discussione «c’è tempo fino alla fine del mese, perché non continuiamo a cercare un’offerta lavorativa che possa interessarci? Domani potremo fare un giro per le agenzie di lavoro interinale.»

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«Questa la trovo un’idea geniale» esclamo con soddisfazione. Cavalco la proposta che uso cinicamente per svincolarmi dalle pressioni. «Mi hanno detto che è molto facile trovare lavoro grazie a queste agenzie. Penso che ce ne siano più di una decina sparse per la città. Basta portare curriculum e foto, e loro ti inseriscono nell’archivio. Per quanto ne so, ti chiamano subito per lavorare!» «Perfetto» esclama Sara «a tal proposito ho preparato un elenco delle agenzie con gli indirizzi e quello che serve per iscriversi.» «Ma senza di te come faremo!» Ridiamo tutte e tre di gusto. Mi isolo un attimo e ci osservo dal di fuori: un raggio di sole illumina i nostri volti e li rende luminosi e pieni di vita. Come sarebbe bello poter fermare questo momento, rimanere sempre così. Tre giovani donne piene di speranze, di sogni, di progetti; capaci di scontri, ma anche di sorridere e giocare con le proprie piccole manie. Poi ecco che, senza pietà, sta per venir fuori il secondo argomento che mi fa drizzare i capelli in testa, più incisivo e fragoroso del primo: «Non si è fatto sentire, vero?» «Chi?» «Lo sai a chi mi riferisco.» «Ah, figurati, ormai ho perso tutte le speranze. In realtà non ne ho mai avute molte. Lui è partito. È a Londra, sicuramente presissimo dalla sua nuova vita.» «Sai che ti dico? Secondo me dovresti uscire di più, guardarti un po’ in giro. Sei bella, giovane, interessante.» La discussione sta per prendere una piega che mi spaventa, e cerco di tagliar corto: «No, non mi va. Ora voglio concentrarmi sulla mia vita e su quello che è più giusto fare.» Ma Sara come al solito affonda impietosa il coltello nella piaga: «Volevo proporti di uscire stasera in quattro, con un amico di Armando.» Eccolo lì! Lo sapevo, come al solito vogliono accasarmi con qualcuno. «Credimi è un ragazzo simpatico, intelligente, proprio il tuo tipo.» Ma cosa ne sai del mio tipo? Se nemmeno io so che cosa voglio, o meglio, ciò che voglio lo so ma è in un altro stato, in un’altra città e sicuramente in un altro letto.

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Ma alla fine mi lascio coinvolgere perché penso che magari uscire un po’ mi farà bene, e anche se con mille dubbi e perplessità accetto. «Se mi prometti che non si fa troppo tardi…» Quasi incredula Sara mi risponde con un sorriso: «Io pensavo di andare a mangiare qualcosa e poi magari a ballare.» «La trovo una buona idea.» Non ho nemmeno finito di dire questa frase che l’ipocrisia delle mie parole mi rimbomba dentro come un urlo in una galleria. «Allora ti passiamo a prendere alle nove, se per te va bene» mi riporta alla realtà la voce di Sara. «Certo va benissimo.» Dopo più di mezz’ora di traffico e amenità varie sono tornata a casa e anche se con molte difficoltà ho deciso cosa indossare questa sera: il mio solito jeans e un maglioncino color viola a collo alto… «Stasera esci?» «Sì, con Sara e alcuni amici.» «Bene. Ma ti vesti così?» «Sì, perché? Cosa c’è che non va?» «Troppo seria. Se poi andate a ballare, non avrai caldo nel locale con quel maglione a collo alto?» «Ma mi sento a mio agio così.» «Va bene, fai pure come credi. Al tuo posto però, metterei quel top carino rosso che hai comprato l’altra settimana.» «No, è troppo scollato!» «Prova, che hai da perdere.» Ecco, ora sono di nuovo in crisi. Dopo un bel po’ di tentennamenti decido per il top. Mia madre è l’unica persona capace di farmi cambiare idea. È una donna piccola ed esile nel fisico ma con una volontà d’acciaio. Alle nove precise Sara è qui. Sono scesa con le migliori intenzioni. Ho deciso di divertirmi, di abbassare almeno per una sera le mie barriere. Scegliamo di andare in un discobar, e già mi rilasso un po’ al pensiero che perlomeno la musica non sarà assordante come in discoteca. L’amico di Armando non è male, anzi mi sembra carino. Forse un po’ panciuto, ma ha grandi occhi chiari e una bella dentatura sana. Credo di piacergli perché mi guarda spesso e, anche se timidamente, tenta di stabilire con me un

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contatto prima soltanto visivo, poi fisico, si avvicina sempre più e parlando cerca di sfiorarmi il braccio. «So che ti sei laureata con Sara questa estate.» «Sì, a luglio. Tu invece che fai nella vita?» «Lavoro, ho un piccolo negozio di famiglia. Vendo giocattoli.» «Ah, bello, avrai sempre contatti con i bambini.» «Sì, anche con i genitori però e credimi, non è facile avere a che fare tutti i giorni con i clienti. Scusami se te lo chiedo; sei single?» «Sì.» «Che strano, una bella ragazza come te. Com’è possibile?» Sento di irrigidirmi poco alla volta, questa è una delle frasi più banali e frequenti che mi sento rivolgere dagli uomini, e non solo, che non sanno cosa dire… «Che ci vuoi fare il destino… tu oltre al negozio cosa fai nel tempo libero?» Cerco di uscire dall’impasse evidente… «Mi piace molto il cinema e ascolto musica.» Non credo alle mie orecchie, forse sono riuscita a trovare almeno un argomento da sfruttare: «Ah, ti piace il cinema. Che tipo di film preferisci.» «I film di fantascienza, d’azione, anche quelli horror. Per me Schwarzenegger e Silvester Stallone sono i migliori!» Accenno un pallido sorriso e lui felice continua: «Per quanto riguarda la musica, quella italiana è insuperabile e a te? Dai parla anche tu, non mi dici niente.» A questo punto la serata per me è chiusa. E ora cosa dico a questo individuo? Che non considero Schwarzenegger e Silvester Stallone dei veri attori? Che amo i film europei, soprattutto quelli francesi e spagnoli, dei quali evidentemente lui non ha mai sentito parlare? Che per me la musica italiana, salvo rare e occasionali eccezioni, è una lagna senza fine? Ma come al solito, quando penso che qualcuno non sia capace di capire ciò che dico, forse sbagliando, taccio e lascio scivolare le parole estraniandomi e pensando ad altro… così quasi sobbalzo quando Sara mi riporta alla realtà: «Ti va di accompagnarmi in bagno?» Sorrido e la seguo… «Ti stai annoiando vero?» «No, ma figurati, non ti preoccupare.»

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«Lo so, l’amico di Armando è forse un po’ rozzo ma è un bravo ragazzo.» «Non è per lui.» «Forse ti annoia il disco pub.» «No, non è colpa dell’amico di Armando, né del locale, né vostra. Il problema sono io, non riesco a superare il distacco da Lorenzo. Sembra quasi impossibile, ma quel ragazzo in pochi giorni ha colmato il vuoto che avevo dentro e ora che è andato via mi sembra che nessuno possa più riempirlo.» «Scusa se insisto, ma siete stati insieme un paio di settimane, non è possibile che il sentimento che ti unisce a quel ragazzo sia così intenso.» «Non è stato un semplice rapporto sentimentale, in lui ho ritrovato me stessa, ha le mie idee, i miei pensieri, vediamo le persone, la vita alla stesso modo. Lui è avanti mi capisci? Forse ancora più avanti di me.» «Caspita! Non credevo fossi arrivata a questo punto! Vedrai che ora con la faccenda del lavoro, la SICSI …» «No, pietà. Di venerdì sera la predica sulla SICSI, no.» «Si fa per dire.» «Andiamo di là, è meglio.» Torniamo in sala. Cerco di superare quel momento di crisi e decido di godermi le cose belle che questa serata può offrirmi. Ascolto la musica che tutto sommato non è poi così male, almeno mi fa venire voglia di muovermi un po’. Mi godo le avance garbate e un po’ maldestre di Marcello. Guardo con un po’ di sana invidia la mia amica con il suo fidanzato, e vedendoli felici scambiandosi baci infuocati dopo quasi sei anni di fidanzamento mi sento più fiduciosa anch’io, e sotto sotto spero che anche per me ci sia da qualche parte del mondo un uomo da poter amare. Oggi abbiamo deciso di dedicare gran parte della giornata a un rastrellamento minuzioso di tutte le agenzie di lavoro interinale presenti sul territorio napoletano e limitrofo. Siamo armate di curricula, un po’ scarni a dir la verità perché di esperienze lavorative alle spalle ne abbiamo ben poche, foto formato tessera, codici fiscali e matite pronte a essere usate come armi d’assalto. Siamo molto cariche per il fatto che queste agenzie ci sono state dipinte come un vero e proprio paradiso per i ragazzi in cerca di una prima

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occupazione. Certo, offrono contratti a breve scadenza, ma così, giusto per entrare nel mondo del lavoro, per fare un po’ di esperienza, ci va più che bene. Decidiamo di partire da quella più vicina. La prima impressione che abbiamo è piuttosto positiva, la sala d’ingresso dove ci hanno parcheggiato è abbastanza grande, tutto estremamente nuovo e ben definito. Vengo attratta dalla bacheca con gli annunci di lavoro, mi ci fiondo con l’esuberanza di una giovane guerriera pronta a sfoderare le proprie armi, ma quello che vedo non è ciò che speravo: annunci per addetti call center, addetti al costumare care, addetti al controllo e qualità, tornitori, fresatori, autisti, impiegati contabili, addetti alle vendite. E per tre povere laureate in lettere? Poco o quasi nulla. Non voglio scoraggiarmi subito né scoraggiare le mie amiche, quindi aspetto con pazienza che ci chiamino per un colloquio. Dopo un paio di minuti ci viene incontro una giovane stagista, molto carina, ben vestita e con un buon profumo. «Buongiorno, vogliate gentilmente compilare i modelli prestampati con i vostri studi e le esperienze lavorative. Quando avete finito mi chiamate e restituite i modelli e anche le matite.» «Ma non c’è bisogno, abbiamo già i nostri curricula preparati e stampati» cerco di replicare «Noi per una direttiva aziendale preferiamo che si compilino i nostri modelli.» La stagista non ci sembra più così cordiale, quindi decidiamo di non contraddirla. Prontamente e diligentemente ci impegniamo a compilare i moduli in tutte le loro parti. Siamo anche preparate per un futuro colloquio. Abbiamo stabilito una linea comune di strategia: cosa dire, come comportarci, eventualmente quali risposte dare e come mettere in evidenza quelle che sono le nostre aspettative. Dalla nostra parte non avremo una grande esperienza lavorativa ma siamo giovani, preparate e con una gran voglia di sperimentare il mondo del lavoro. Ma ancora una volta il ritorno della stagista delude le nostre aspettative. Sempre lei e sempre con un sorriso prestampato, come i moduli propinatici, ci chiede: «Se avete finito potete consegnarmi i formulari e le matite, grazie.» A quel punto le consegniamo in fretta i modelli per paura che quel sorriso sparisca all’improvviso, ma lo stupore misto all’incredulità

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cresce allorché, subito dopo aver ritirato i moduli, ci saluta con quello che ormai ci sembra un triste ghigno e così conclude: «Grazie ragazze, appena ci sarà un’offerta adatta al vostro profilo vi contatteremo.» E allora ci guardiamo l’un l’altra con un’espressione attonita. Tutto ci sembra così strano. E il colloquio? Le domande sui nostri studi? La condizione retributiva e tutte le altre domande che ci aspettavamo? Tutto qui! Già finito! Ed è allora che timidamente avanzo le mie perplessità: «Scusi, ma non fate nessun colloquio?» «No, le ho appena detto che quando e se ci sarà una proposta inerente al suo profilo la chiameremo. Per il momento il suo curriculum verrà messo in banca dati, poi si vedrà.» La ragazza cerca di andar via, ma io incalzo: «No, mi scusi, forse non ho compreso! Ma come si fa a capire le attitudini di una persona da due pagine e neanche di curriculum?» «Se è scritto in modo corretto vale molto di più di un semplice colloquio. E ora mi scusi, ho altre persone che aspettano.» Sconfitte e anche un po’ deluse decidiamo di continuare per la nostra strada e di non farci deprimere dal primo interinale che abbiamo incontrato sul nostro cammino. Tutto sommato può darsi che non sia ben organizzato, forse la stagista che abbiamo incontrato non era all’altezza o semplicemente oggi non era di buon umore. Del resto siamo ancora all’inizio del nostro elenco e abbiamo tutto il tempo per continuare il nostro percorso. Ben presto però ci accorgiamo che la storia è quasi sempre la stessa: quasi tutti prestampati, alcuni si limitano a prendere il curriculum, altri accennano un mini colloquio che va in media dai tre o quattro minuti, se si è fortunati e se si incontra uno stagista al quale non girano eccessivamente i coglioni. Siamo decisamente stanche e anche un po’ demoralizzate quando vediamo una vecchia insegna d’ottone vicina al citofono di un palazzo antico, con inciso a caratteri a tratti poco leggibili il nome di una nota agenzia di lavoro interinale. Decidiamo, pur se evidentemente provate, di salire e cercare di concludere questa giornata campale. Il portiere ci indica le scale e l’ascensore. Con un sorrido beffardo ci informa che lo studio è al quarto piano, che i gradini sono molto alti perché il palazzo è vecchio, ma ancor più vecchio è l’ascensore che

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spesso si blocca trattenendo in ostaggio gli ignari e impauriti utenti. A quel punto la scelta e quasi d’obbligo, gambe in spalla e con decisione affrontiamo l’impervia salita. Arriviamo quasi senza fiato, maledicendo senza pietà il palazzo. l’ascensore e non ultimo il portiere. Arrivati sul ballatoio ci dirigiamo verso la porta dell’agenzia che contro ogni nostra aspettativa è già aperta. La spingiamo e con meraviglia dobbiamo prendere atto che l’interno dell’ufficio è quasi peggio del palazzo, delle scale, dell’ascensore e del portiere senza denti. È tutto vecchio, malandato, quasi come se fosse stato abbandonato anni prima così, all’improvviso, senza che gli originari abitanti avessero avuto il tempo di mettere in ordine ciò che si lasciavano alle spalle. Nessuno ci viene incontro. Nessuno pronto ad accoglierci e a propinarci anonimi prestampati. A quel punto non rimane altro che richiamare a gran voce l’attenzione di qualcuno sperando che ci sia almeno un’anima viva lì dentro. E così, quasi venendo dal nulla, avvolto da un’aura di mediocrità, ci viene incontro un omino piccolo, pelato e dall’aria decisamente trasandata, in perfetta sintonia con l’ambiente che lo circonda. «Buongiorno ragazze, volete consegnare il curriculum?» «Sì, se c’è anche qualcosa da firmare…» «Sì, certo, la legge per la privacy, ma se non vi dispiace di solito faccio anche un colloquio prima di ritirare il resoconto della vostra carriera professionale.» La situazione è davvero paradossale. Siamo stati in uffici nuovissimi, con scrivanie luccicanti e computer ad alta tecnologia, e non ci hanno rivolto neanche la parola. E ora che ci troviamo in un ufficio fantasma, abitato da un omino alla Stephen King, stiamo per affrontare il primo colloquio del giorno. «Lei» indica proprio me «venga lei per prima.» E ti pareva, proprio io! lo seguo con determinazione e prima di chiudermi la porta alle spalle dò un’ultima occhiata alle mie amiche che mi guardano divertite. «Prego si accomodi.» Mi guardo intorno. La stanza è angusta, con una piccola scrivania al centro e una luminosa finestra; tutto sommato questo ambiente mi sembra più curato e moderno rispetto al precedente. «Ha con se un curriculum?»

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«Sì, eccolo.» L’omino lo prende con garbo e sembra leggere con interesse il mio percorso di studi. «Bene Dottoressa» è la prima volta che qualcuno mi chiama sul serio in questo modo «vedo che ha sempre conseguito ottimi risultati a scuola e anche all’Università.» «Sì, ho preferito impegnarmi molto per ottenere il massimo dei voti.» Poi una volta giunto alla seconda e ultima pagina, l’omino alza lo sguardo perplesso e sorride: «Ma le esperienze lavorative precedenti? Non ne vedo alcuna.» «Effettivamente mi sono laureata a luglio. Sono passati appena tre mesi, e solo dopo le vacanze ho incominciato seriamente a cercare lavoro. Durante l’Università ho fatto dei lavori ma…» «Bene, me ne parli.» «Lavoretti, niente di particolare. Baby sitter, animatrice per bambini, volantinaggio…» «Nient’altro?» «No.» «Non è per scoraggiarla, ma senza alcuna esperienza lavorativa è molto difficile inserire il suo curriculum in qualsiasi settore.» «Ma se non si inizia mai, come si fanno le esperienze?» L’omino mi sorride benevolo: «Lo so signorina, ma le spiego una cosa: le agenzie di lavoro interinale hanno un target preciso. Si rivolgono per lo più a settori tecnici, meccanici, o al massimo call center o addetti vendite. Non è per sminuire il suo titolo di studi, mi creda, ma con una laurea in lettere senza una specializzazione, senza neanche esperienze lavorative significative alle spalle, sinceramente non vedo quale collocazione potrei darle. Comunque mi lasci il suo curriculum, eventualmente la contatteremo.» Quell’omino dall’apparenza così gentile mi ha lasciata letteralmente senza parole e con un forte senso d’angoscia. Uscendo preferisco non farne parola alle mie amiche. Ma quando anche loro subiscono la mia stessa sorte, un profondo senso di inquietudine ci assale e ci rendiamo conto che sarà molto più difficile di quanto pensavamo. Non ci resta che aspettare e vedere se nonostante tutto qualcuno si degnerà di chiamarci. Anche se a malincuore, avverto come sempre più presente e inevitabile il cupo spettro della temuta SICSI.

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6 Oggi

Il ricordo di quel primo colloquio mi diverte, oggi che sottopongo ben tre pagine fitte di curriculum pieno zeppo di esperienze lavorative in diversi settori. Guardo con un sorriso beffardo la mia esaminatrice che legge meravigliata le mie referenze e il mio brillante percorso di studi. Non so cosa la colpisca di più, se la Laurea conseguita con centodieci e lode, il Master in Risorse Umane, i tre anni di specializzazione all’Università o i numerosi articoli che ho scritto in quegli anni sulle riviste più prestigiose del settore. Oppure se si stia domandando per quale arcano motivo una persona con quel percorso lavorativo alle spalle possa presentarsi a un colloquio per segretaria. Ma la giovane donna non si lascia intimidire e incalza: «Dottoressa Contini voglio farle in primo luogo i miei complimenti per il suo curriculum. È ricco e pregevole.» «La ringrazio molto.» «Onestamente non so da dove incominciare. Mi parli della sua ultima esperienza lavorativa.» «Ho gestito con alcuni soci un’associazione culturale che organizzava eventi di cinema e arte.» Riconosco come false e tendenziose queste ultime affermazioni, ma so che questa persona che mi siede dinanzi, anche se mi colpisce per il suo simpatico sorriso e la sua allegria, non sa niente di me, né ha interesse a conoscere particolari dolorosi della mia vita. «E poi che fine ha fatto questa associazione?» «Non ne ho più notizie, come non so più nulla del mio socio e di tutto il resto.»

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Ma che cavolo sto dicendo! Non riesco a trattenere le mie emozioni, a non far trapelare tutta la sofferenza che questa lunga storia mi ha causato! La giovane donna mi guarda con empatia, avverte il mio disagio e dopo pochi secondi di silenzio cambia discorso: «Lei è anche giornalista pubblicista.» «Sì, ho conseguito il tesserino dopo la laurea.» «Questa sarà sicuramente una carta in suo favore, le spiego: in realtà a noi serve una persona che si occupi, oltre alle mansioni di una normale segretaria, anche del giornale che la nostra associazione culturale pubblica.» Improvvisamente mi desto, qualcosa attrae la mia attenzione ed è come se ricevessi uno schiaffo in pieno volto che mi fa scuotere dal torpore dei miei ricordi. Mi rendo conto che la situazione inaspettatamente incomincia a diventare interessante. Fosse mai possibile che un semplice e sottovalutato colloquio per segretaria diventi una possibilità di realizzare finalmente le mie ambizioni venendo anche retribuita? «Mi può spiegare meglio?» «Sì, Dottoressa. Vede, la nostra Associazione è impegnata in attività culturali, nell’organizzazione di eventi, rassegne, presentazioni di libri, ed è dal duemilauno che editiamo un giornale che ultimamente è stato messo in stand by per mancanza di fondi, ma ciò non toglie che le cose possano cambiare e le pubblicazioni riprendere.» Ecco, posso ritornare a immergermi nel mio torpore. Improvvisamente svanisce, con la stessa rapidità con la quale si era profilato all’orizzonte, l’idea di un lavoro degno del mio interesse. Non c’è molto da sperare. Niente fondi, poche risorse, una solfa già sentita e risentita mille volte. E allora non mi rimane altro che sperare che questo colloquio abbia ben presto fine. Con la mente torno a immergermi nelle calme acque dei ricordi…

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7 Ieri

Si dice che la notte porti consiglio; così, quando sono in difficoltà aspetto che faccia buio, quando tutti dormono accendo la radio a bassissimo volume e guardo fuori dalla finestra, ammirando la vita che scorre con toni meno frenetici del giorno e con un’atmosfera di rarefatta magia. Sono passati quasi sei mesi dalla laurea e stasera ho deciso di ordinare i pensieri sistemando sul mio letto, da un lato i moduli da compilare per la SICSI da un lato, dall’altro del materiale che mi hanno dato all’Università per un Master in Risorse Umane. Entrambe le cose mi sembrano veramente una gran perdita di tempo, ma ho capito che qualcosa debbo pur fare perché mi hanno fatto intuire che la sola laurea non basta. E allora, poiché ho sudato le proverbiali sette camicie, ho sacrificato quattro anni della mia vita studiando ininterrottamente per riuscire a laurearmi con ottimi voti, posso anche permettermi di parcheggiarmi per qualche altro anno per continuare, almeno come dicono loro, ad accrescere le mie conoscenze e ad avere le giuste competenze che occorrono per trovare ben presto un’adeguata occupazione. E allora con un po’ di ingenuità mi chiedo: a questo punto non era meglio saltare a piè pari la laurea e conseguire direttamente un master o iscriversi alla scuola di specializzazione? Che valore ha la mia laurea se serve soltanto come requisito per spendere altri soldi e altro tempo in quella che definiscono “formazione continua”? Cerco di ricapitolare la situazione di tutte le mie amicizie che quest’anno hanno conseguito il tanto ambito titolo di dottore. Quelli che si sono laureati in economia e commercio sono stati costretti a lavorare presso facoltosi commercialisti per conseguire l’abilitazione con un rimborso spese da

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fame, oppure hanno scelto costosissimi corsi post laurea. Stessa sorte per quelli laureati in giurisprudenza; fanno il cosiddetto praticantato, che altro non è che volontariato presso già affermati avvocati, spesso dotati di conti da capogiro in banca ma con pochi soldi per pagare gli sfortunati abilitanti, o in alternativa provano e riprovano i tanto temuti concorsi per magistrati o notai. Analoga sorte per quasi tutti gli altri corsi di laurea. E allora la risposta mi viene naturale: master, corsi di specializzazione, tirocini, praticantati, stage non sono altro che il sistema per tenerci a bada, potendo allo stesso tempo usufruire di un cospicuo nucleo di giovani sottopagati e sfruttati che così si illudono di poter costruire una propria dignità professionale, e che in realtà non hanno alcun compito se non quello di arricchire chi i soldi li ha già. Riguardo i moduli sul letto e capisco che in quelle carte è nascosto il mio futuro. Eccoli qui i miei due angeli custodi: mia madre entra con passo deciso, seguita da papà che mi scruta in silenzio incuriosito: «Stasera non dormi?» «Voi che ci fate ancora svegli?» «Non riuscivamo a dormire, poi abbiamo visto la luce accesa nella tua stanza e siamo venuti a vedere come stai.» «Sto bene, stavo solo cercando di capire cosa devo fare nei prossimi mesi se perdere tempo con la SICSI o con il master.» «Se parti così sfiduciata non combinerai nulla di buono. Dopo la laurea un momento di sconforto viene a tutti. Devi decidere con il cuore e fare quello che più ti piace.» «Magari un interessante corso di sceneggiatura a Roma.» «Ne abbiamo già parlato Giulia, lo sai che quell’ambiente e precluso per chi non ha conoscenze, e poi i costi sono altissimi. Noi non riusciremo a mantenerti in un’altra città e a pagarti anche gli studi.» Guardo gli occhi dei miei genitori e d’un tratto mi sento tremendamente egoista, sono anni che la mia famiglia mi regala l’opportunità di studiare e vivere con serenità senza dovere mai chiedere nulla perché già prima che formulassi nella mia testa un solo desiderio loro lo avevano già realizzato, facendomi vivere in una condizione privilegiata, sicuramente al di sopra delle loro reali condizioni. E ora, con la freddezza e il cinismo che solo un giovane può avere, chiedo l’ennesimo sacrificio. Vorrei cancellare gli ultimi cinque minuti cercando invano di cambiare argomento ma:

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«Ascolta Giulia se tu vuoi, se proprio è questa la tua strada, non ti preoccupare. Forse, facendo un po’ di sacrifici …» Questa parola mi colpisce come un’arma da fuoco, mi sento trafitta dai miei sensi di colpa e mi condanno per quest’atto estremo di egoismo: «Non vi preoccupare, anche io ho molti dubbi su questa scelta. Del resto lo so benissimo che non è per nulla facile inserirsi in quell’ambiente, soprattutto per una come me che non conosce nessuno. Ora devo solo concentrarmi e scegliere la cosa migliore.» «Non è detto che tu debba scegliere ora. Fai i test di ammissione per entrambe le cose e poi decidi, no?» Li guardo e inevitabilmente mi scappa un sorriso; li ricordo così in quasi ogni momento della mia vita, pronti a stendermi una mano nei momenti più difficili con un solo obiettivo, quello di rendere più serena la decisione finale. «Andate ora spengo anch’io la radio, buonanotte.» Li guardo andar via e penso a quanto amore ho avuto fino a quel momento intorno a me e forse un po’ di malinconia mi pervade e rifletto: in nessuna parte del mondo potrò trovare un uomo che mi possa amare tanto quanto la mia famiglia. Stamattina mi sono svegliata di buon umore e alle prime luci del giorno ho deciso di armarmi di moduli e di tutti i documenti necessari per iscrivermi ai test preselettivi della scuola di specializzazione. La fila è lunghissima, non immaginavo che ci fossero tante persone pronte a regalare altri due anni della propria vita in cambio di un posto in graduatoria. La situazione è particolarmente penosa, anche perché a causa dei miei tentennamenti Sara e Marta già hanno provveduto all’iscrizione e ora mi tocca affrontare più di un’ora di fila e per di più da sola. Mi guardo intorno e posso facilmente stabilire che la media delle persone che mi circonda ha più di trent’anni e sicuramente più del sessanta per cento è donna. Ho una strana sensazione, quasi mi sento colta da un lieve malore, vorrei andarmene, ecco di nuovo quel senso di frustrazione e di lieve claustrofobia che mi fa mancare quasi l’aria e mi prende la bocca dello stomaco provocando forti nausee. L’unica soluzione che riesco a immaginare è quella di fuggire via, il più lontano possibile. In alternativa posso fissare un punto qualsiasi dello spazio, respirare il più profondamente possibile e cercare di pensare a qualcosa di lontano

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nel tempo che possa rendermi felice. Così cerco di focalizzare l’attenzione su un singolo momento della mia vita, un solo attimo in cui mi sono sentita viva e veramente completa. E all’improvviso nella mia mente riappare il volto di Lorenzo. È così vivido nella mia mente, sembra quasi che io possa toccarlo. Anzi dirò di più, mi sembra così reale che quasi posso udirne la voce e sentire l’odore della sua pelle, godere delle sue carezze, dei suoi baci, della violenza e della dolcezza delle sue mani. Penso a cosa mi direbbe in questo preciso momento: “Ma come puoi, con tutti i tuoi sogni, ridurti a fare una fila di un’ora per accedere alla SICSI.» Quel ricordo non mi aiuta, anzi la testa continua a girarmi sempre più forte, la sensazione di nausea cresce e a un certo punto temo veramente di perdere i sensi; e allora l’unica soluzione è aprire gli occhi, guardarmi in giro, e cercare di rimettermi in contatto con la realtà che mi circonda. Scorgo accanto a me una giovane donna, sicuramente con qualche anno e molta esperienza più di me. Penso sia il caso di carpire qualche informazione: «Che fila interminabile, non pensavo ci fosse tanta gente che aspirasse ad accedere a questi corsi.» «Ogni anno è cosi!» «Ah sì? Ma perché, tu ti sei già iscritta altre volte?» «Questa è la quarta!» «La quarta?» Proprio non mi aspettavo una tale rivelazione. Forse per la prima volta mi rendo conto che quello che io sto affrontando con una superficialità spaventosa è in realtà molto più complesso e ambito di quanto pensassi, o forse sono solo incappata in una persona poco preparata o con poca voglia di fare. Ma tanto vale approfondire e cercare di capire quale sia la verità. «E mi dicevi, è tanto complicato che addirittura lo fai per la quarta volta?» «Dipende dalle classi di concorso per le quali ti proponi, comunque effettivamente è molto complesso perché i quiz sono di cultura generale e non c’è alcun programma di riferimento.» «Caspita, non pensavo fosse così.» «Eh sì, io ci provo ogni anno, perché oggi come oggi se non parti da un buon punteggio, che solo la scuola ti offre, anche per una vincitrice di concorso come me è difficilissimo entrare nel mondo della scuola.»

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Quasi stento a credere alle mie orecchie, è come se avessi improvvisamente perso l’equilibrio e fossi caduta da un trespolo. «No, non ho ben capito. Tu sei vincitrice di concorso e non lavori?» «Ho vinto il concorso ma sono arrivata agli ultimi posti, quindi non ho ancora una cattedra, dunque ho bisogno di punti per poter aspirare a un posto di ruolo.» Tutte le mie supposizioni sull’impreparazione della mia interlocutrice vanno a farsi fottere e devo ormai accettare l’idea che tutto sia effettivamente più complesso di quanto avessi immaginato. Siamo quasi arrivate in fondo alla fila e quelle poche sicurezze che avevo sono svanite miseramente. Ormai però non mi resta che consegnare questi tristi moduli, i bollettini postali pagati e non fare altro che concludere questo mesto rituale. Anche la mia nuova amica ha consegnato il tutto e insieme ci avviamo all’uscita. Ho ancora qualche dubbio e cerco di approfittarne per fugare gli ultimi: «Ma quanto tempo intercorre tra la prova scritta e quella orale?» «Un paio di mesi, ma ti conviene portare la tesina che hai preparato.» «Di quale tesina parli?» Ed è in quell’istante, allorché la giovane donna che mi è di fronte si rende conto della mia totale e assoluta impreparazione, che guardandomi con commiserazione mista a incredulità mi dice: «Ma allora non ti sei preparata nulla.» «No, assolutamente no.» «Cara mia, devi metterti subito a lavoro! Non solo per ripetere le materie principali, ma per preparare un percorso da portare all’esame.» A questo punto mi è tutto chiaro: ho zero possibilità di superare la selezione e a dirla tutta una parte di me, forse quella più incosciente, e anche quella più incline ai sogni e alle ambizioni, esulta. Non ce la farò mai. Almeno potrò dire a mia madre e alle mie amiche: “Io ci ho provato, ma la prova era troppo difficile!” Non so se è solo suggestione, ma all’improvviso il senso di nausea che avevo dalla mattina svanisce, mi sento decisamente meglio e mi avvio a casa risollevata. Sono sovrappensiero quando squilla il cellulare. Guardo il display ma il numero è anonimo. Rispondo ugualmente: «Si chi è?» «Pronto Giulia? Ciao sono Marcello l’amico di Armando. Ti ricordi di me?» «Ah sì, certo, come no…»

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«Ho chiesto il tuo numero ad Armando, spero non ti dispiaccia.» «No, assolutamente figurati.» «Volevo sapere se ti andava di uscire insieme stasera, magari andiamo a mangiare una pizza. Se ti va in un posto molto carino che conosco io!» Rimane in silenzio per alcuni secondi aspettando con ansia una mia risposta. Francamente non so proprio cosa dirgli, e in realtà non so neanche se mi faccia piacere questa telefonata. Poi faccio un po’ di calcoli: sono ben sei mesi che non esco con un uomo, chiusa nella mia bella gabbia dorata di ricordi e nostalgie; a questo punto penso sia proprio il caso di dare un taglio al passato e di accettare l’invito di un ragazzo carino e senza dubbio gentile. «Va bene a che ora mi passi a prendere?» Silenzio, quasi temo sia svenuto. «Se per te va bene, io avrei pensato verso le otto e mezza.» «Ok! Perfetto, va benissimo.» Riaggancio velocemente, guardo l’orologio e mi accorgo che devo far presto se voglio mantenere fede a tutti gli impegni presi precedentemente. Poi all’improvviso un po’ d’apprensione mi assale: è quella parte di me che mi spinge a essere eccessivamente critica e insicura, che mi fa credere come al solito di non star facendo la cosa giusta. Forse è solo il caso di lasciarsi un po’ andare, di non prendere tutto troppo sul serio e di dare spazio, almeno per una volta, all’istinto. Torno a casa appena in tempo per comunicare ai miei che la sera uscirò e non tornerò per cena. Avverto lo sguardo dubbioso di mia madre, so che a questo punto è colta da una voglia irrefrenabile di sommergermi delle più svariate domande, ma non le do il tempo di farlo perché lestamente mi chiudo nella mia stanza e diligentemente incomincio a studiare. Mi sono ormai immersa in una piacevole lettura sulla storia medioevale che mi ha preso a tal punto da non accorgermi che l’ora dell’appuntamento si avvicina, e devo muovermi se non voglio accumulare un eccessivo ritardo. Questa volta ho deciso: nessun consiglio sull’abbigliamento. Indosso un pantalone nero con una camicia rosa e scarpe basse, non voglio né sembrare particolarmente affascinante, né lanciare messaggi che possano essere in qualche modo fraintesi. Stessa motivazione mi spinge a truccarmi poco e a legarmi i capelli.

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Sento che qualcuno sta per aprire la porta alle mie spalle. È mia madre che con uno sguardo furbetto mi guarda. Avverto che sta per farlo, sta per chiedermi con chi uscirò questa sera, quando puntale arriva il mio cavaliere. Così, risollevata, prendo a volo le ultime cose, preparo la borsa, afferro le chiavi di casa e prima che mia madre mi faccia il terzo grado mi precipito giù. «In perfetto orario.» «Mi piace essere puntuale» mento spudoratamente. «Allora se per te va bene ho prenotato in un posticino che sono sicuro ti piacerà moltissimo.» Spero proprio di sì! Stranamente non mi sento a disagio. Pensavo molto peggio, ma il mio accompagnatore sembra più spigliato e anche interessante, diversamente dal primo incontro. Anzi, guardandolo meglio, anche più carino. Forse mi sento anche più serena e predisposta, e poco alla volta, quasi senza accorgermene, trascorro ben venti minuti senza pensare anche solo distrattamente a Lorenzo. La cosa mi rincuora. Il ristorante è carino, la saletta dove ceniamo è proprio sul Lago d’Averno, sicuramente un posto romantico ma dannatamente umido. «Sai, non speravo proprio che accettassi il mio invito.» «Perché? Mi sei simpatico.» «Non ho avuto questa sensazione la prima volta che siamo usciti insieme, anzi mi sembravi piuttosto annoiata e decisamente altrove.» Incomincio leggermente a irrigidirmi. So che ha ragione, quella sera sono stata particolarmente chiusa e insopportabile, e allora cerco di rimediare: «È il mio carattere. Ho bisogno di tempo per aprirmi con persone nuove.» «Mi piace questo aspetto del tuo carattere, mi incuriosisce molto.» Ma siamo proprio sicuri che questo sia il ragazzo che ho conosciuto quella sera? Mi sembra completamente diverso, ha un modo di porsi molto più sicuro e intraprendente, e la cosa non mi dispiace affatto. Sarà la luna piena e la luce che riflette sul lago, sarà un bicchiere di vino di troppo che ho bevuto, ma mi sento bene e piacevolmente rilassata. Distrattamente ho lasciato che la mia camicetta si sbottonasse un po’, ho sciolto i capelli e forse inconsapevolmente ho lanciato dei segnali poco chiari, segnali del tipo: “Su provaci non aspetto altro!”. Oppure: “Sono più di sei mesi che non faccio sesso con un uomo, e

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prima che mi dimentichi come si fa avrei proprio bisogno di qualcuno che mi metta le mani tra le gambe”. E così il dolce e remissivo Marcello chiede il conto al cameriere impettito che discretamente ha ascoltato le nostre conversazioni e mi chiede se ho voglia di fare un giro in macchina. Che strana sensazione mi coglie. Mi sembra quasi che non sia io a fare determinati gesti, a dire determinate frasi, e così quasi senza accorgermene mi ritrovo in un angolo appartato con quest’uomo che conosco appena e che maldestramente cerca di stabilire un contatto con me. Marcello si avvicina, mi accarezza il volto e incomincia a baciarmi lentamente. Timidamente cerca di aprire la cinta del mio cappotto, ma non ci riesce. A quel punto decido di dargli una mano, e questo lo incoraggia maggiormente. E per un po’ lascio fare, penso che poi non siano niente male i suoi baci e le sue carezze. Forse, quasi quasi, gradisco anche il suo alito così insistente sul collo. Poi una voce proveniente da alcuni ragazzi fuori dall’auto mi riporta alla realtà. Ma cosa sto facendo, cosa voglio veramente? Veramente voglio che questo tizio entri dentro di me, voglio veramente essere toccata, baciata da un uomo che non conta nulla nella mia vita? Ho quasi uno scatto violento e così lo allontano. Marcello mi guarda perplesso, proprio non riesce a capire cosa sia stato a far cambiare così repentinamente lo scenario della situazione. Pochi minuti fa sembrava il preludio a una scena ad alto contenuto erotico di un filmetto di serie B, e ora la presunta compagnia di giochetti sessuali se ne sta rannicchiata in un angolo dell’abitacolo della macchina e lo guarda imbarazzata ed evidentemente pentita. «Scusa, ma non mi sembra proprio il caso.» «Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? Se è così scusami, non volevo.» «No, non ti preoccupare. È che stavamo andando troppo oltre, e io credo che per certe cose ci voglia un po’ di tempo.» Come mi sembrano ipocrite queste affermazioni. Pochi mesi prima ho conosciuto un uomo e dopo neanche dodici ore facevo l’amore con lui come mai mi era capitato prima, con una forza e intensità che forse non avrò più avuto la fortuna di riprovare, e ora qui e in questa situazione mi sento veramente fuori posto, sento di essermi illusa tutta la serata, di aver sperato inutilmente di essere uscita dal baratro dei miei ricordi e in questo momento più che mai mi sento prigioniera di un passato che è sempre più presente. Marcello rimette a posto timidamente la camicia e

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mi guarda senza parlare. Il tragitto di ritorno è silenzioso, sembra interminabile. Appena arrivati a destinazione mi avvicino e lo bacio lievemente sulla guancia. Non ho molto da dire, ho solo voglia di scendere da quella macchina e rimanere da sola. Torno a casa con una strana sensazione addosso, quasi come se facessi più fatica a camminare, appesantita dai ricordi. Mi spoglio lentamente, lentamente mi strucco, mi tolgo le lentine e cerco di riscaldarmi nel fin troppo grande letto che mi attende. La voglia è tanta, di prendere il cellulare e chiamare Lorenzo per chiedergli in che parte del mondo sia, se almeno una volta abbia pensato a me, a quei pomeriggi passati nel suo letto, isolati dal resto del mondo… non ne ho il coraggio, o forse semplicemente capisco che questo sarebbe un gesto praticamente inutile e nocivo solo ed esclusivamente per me. Così rimango immobile, rannicchiata in un angolo del mio letto, con gli occhi umidi di lacrime e il cellulare stretto in una mano.

FINE ANTEPRIMA CONTINUA…

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