TRIANGOLO IT gennaio.pdf · 2003-10-09 · TRIANGOLO Giornale a cura ROSSO dell’Associazione...

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TRIANGOLO ROSSO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 1 Gennaio 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano www.deportati.it La relazione del presidente Gianfranco Maris e la mozione conclusiva I saluti del sindaco e del presidente dell’Anpi da pagina 4 Le stragi occultate da pagina 12 La Resistenza in grigioverde “Viaggio” nella deportazione IT Si terrà a Mauthausen il Congresso nazionale dell’Aned La decisione presa dal Consiglio riunito a Bolzano 3-4-5 maggio 2000 Nel 1960 la Procura generale militare nascose migliaia di fascicoli contro i nazisti per ragioni di politica internazionale Conversazione con Alessandro Natta dopo la pubblicazione del suo libro dedicato ai militari internati in Germania da pag. 34 Ragazzi e ragazze delle III medie di Pioltello (Milano), descrivono e commentano la loro visita a Mauthausen e Gusen da pag. 26

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TRIANGOLOROSSOGiornale a cura

dell’Associazione nazionaleex deportati politiciNuova serie - anno XXN. 1 Gennaio 2000Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

www.deportati.it

La relazione del presidenteGianfrancoMaris e la mozione conclusiva

I saluti del sindaco e del presidentedell’Anpi

da pagina 4

Le stragioccultate

da pagina 12

La Resistenza in grigioverde

“Viaggio” nella deportazione

IT

Si terrà a Mauthausenil Congresso nazionale dell’Aned

La decisione presa dal Consiglio riunito a Bolzano

3-4-5maggio

2000

Nel 1960 la Procura generale militare nascose migliaia di fascicoli contro i nazisti per ragioni di politica internazionale

Conversazione con Alessandro Natta dopo la pubblicazione del suo libro dedicato ai militari internati in Germania da pag. 34

Ragazzi e ragazze delle III medie di Pioltello (Milano), descrivono e commentano la loro visita a Mauthausen e Gusen da pag. 26

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Questo numero

pag. 3 Rimborso?pag. 4 Il Consiglio nazionale dell’Aned a Bolzano

Il Congresso nazionale dell’Aned a MauthausenBolzano e Sudtirolo tra memoria e impegno

pag. 6 La prima tappa verso l’abissopag. 8 A Mauthausen non solo per ricordarepag. 12 Le stragi occultate

La lunga marcia di sangue del boia della BenedictaPiazzale Loreto: il massacro fu premeditatoL’eccidio di Caiazzo:scomparso il dossier, vinse l’insabbiamento

pag. 20 Sopravvissuti per caso nel tunnel delle V2pag. 22 L’odissea degli spagnoli con il triangolo blupag. 25 “Viaggio” nella deportazione. Dimenticare mai

Da uomini a numeri (e sognare il ritorno)La sofferenza e la vergognaQuando morire era la sola certezzaEcco cos’è stata la “razza superiore”A volte mi domando se i sacrifici sono servitiLa paura li assaliva fin dall’albaCon quale coraggio abitano nelle case dove c’era il campo?Il forno era nero e piccoloHo “visto” le vittime nelle camere a gasL’orrore è ancora lì, come negarlo?“Un pomeriggio di marzo la morte venne a prendermi”

pag. 34 La Resistenza in grigioverdepag. 40 Gulag: una terrificante macchina di sfruttamentopag. 42 Biblioteca

Una guida critica sugli orrori dei campiSalvato dalla cultura dopo l’inferno del lagerI ragazzi di MuggiòSuggerimenti di lettura

pag. 49 I nostri luttipag. 50 Il sito dell’Aned consultato da 32 Paesipag. 51 Vitalizio e reversibilità: i documenti che servono

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Le fotografie dell’intervista all’onorevole Alessandro Natta su-gli internati italiani in Germania, del ritrovamento dei fascico-li sulle stragi naziste, del Congresso dell’Aned a Bolzano, delprocesso all’ufficiale SS Siegfried Engel sono state riprodotteda: “L’esercito italiano nella 2a Guerra Mondiale-Immagini”dello Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio storico, Roma 1976;“Storia fotografica della Rsi” a cura di Giovanni De Luna eAdolfo Mignemi, Bollati Boringhieri, 1997; “Il lager di Bolzano”

del Centro di cultura dell’Alto Adige di Bolzano, 1997; “Salò-Album della Rsi” a cura di Mario Cervi, Rizzoli, 1995; “I te-deschi in Italia-Album di un’occupazione 1943-45” a cura diSilvio Bertoldi, Rizzoli, 1994; “Resistenza- Album della guer-ra di Liberazione” a cura di Raimondo Luraghi, Rizzoli, 1995;“Per non dimenticare”, album di “Lavoro”, settimanale dellaCgil, 23 gennaio 1955; “The Century” di Peter Jennings e TodBrewster, editore Doubledaj, New York 1998.

Triangolo Rosso

Giornale a cura dell’Associazione nazio-nale ex deportati politici nei campi nazisti

via Bagutta 12 - 20121 Milano.Tel. 0276006449 - Fax 0276020637.E - mail: [email protected]

Direttore: Gianfranco Maris

Ufficio di presidenza dell’Aned Gianfranco Maris (presidente)Bruno Vasari Bianca PaganiniDario SegreItalo Tibaldi Miuccia Gigante

Comitato di redazioneGiorgio BanaliEnnio ElenaBruno EnriottiFranco GiannantoniIbio Paolucci (coordinatore)Pietro Ramella

Redazione di RomaAldo Pavia

Collaborazione editorialeFranco MalagutiMaria Rosa TorriMarco MicciMonica PozziIsabella CavasinoRossella Manfredini

Numero chiuso in redazione il 31 dicembre 1999Registr. Tribunale di Milano n. 39,del 6 febbraio 1974.

Stampato da:

Via Picasso, Corbetta - Milano

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L’Olocaustonon è rim-borsabile

e una manciata dimiliardi di marchinon può di certocancellare le infa-mie del nazismo.L’accordo per il ri-sarcimento dei la-voratori coatti inGermania, gli“schiavi di Hitler”,è stato firmato, pe-raltro, appena intempo, poco primache scadesse quelsecolo macchiatoda una delle ver-gogne più grandidella storia.

La firma è stata sotto-scritta a Berlino il 17dicembre del 1999 dai

rappresentanti del governo te-desco e dai patrocinatori ame-ricani della causa dei lavo-ratori forzati. Dieci miliardidi marchi la somma fissataper il risarcimento, circa die-cimila miliardi di lire. Più dif-ficile stabilire quanti siano isopravvissuti degli oltre die-ci milioni di individui costrettia lavorare come bestie per ilTerzo Reich. In ogni caso, lacifra che toccherà ad ognunodi essi sarà poca cosa. Più al-to il valore simbolico. A tale

proposito, il capo dello stato,il socialdemocratico JohannesRau, ha affermato: “Sono fe-lice e commosso e la mia me-moria corre oggi a tutti colo-ro che in quegli anni terribi-li patirono sofferenze e sfrut-tamento da schiavi nell’Eu-ropa occupata dai tedeschi. Anome del mio popolo implo-ro il perdono”. Riguardo an-

cora alla somma, lo Stato te-desco coprirà la metà, il ri-conoscendo, in tal modo, laresponsabilità storica collet-tiva del paese. L’altra metàsarà pagata dalle industrie te-desche.

Dal giorno del voto del-la legge, le cui mo-dalità devono essere

ancora definite intutti i dettagli, en-trerà in vigore unamoratoria di sei me-si, entro la quale chiritiene di aver dirit-to all’indennizzo po-trà presentare istan-za presso le autoritàlocali o nazionali delsuo paese o pressole associazioni de-gli ex deportati o iloro legali.

C irca la valu-tazione del-l’accordo, è

stato chiesto a Joa-chim Fest, grandestorico del TerzoReich, se non sa-

rebbe stato meglio se nel ’92o ’93 alcune grosse aziendeavessero pagato di loro ini-ziativa:“Perché avrebbero dovuto pa-gare solo le aziende? – è sta-ta la risposta – Hitler, elettocancelliere dai tedeschi tolseloro gli operai mandandoli amorire in guerra, poi dette lo-ro i forzati. Guai a dire chesolo le aziende sono colpe-voli. Sarebbe un’assoluzioneimmeritata del resto del pae-se. È giusto che oggi paghianche il governo coi soldi deicontribuenti”. I.P.

... a tutti coloro che in quegli anniterribili patirono sofferenze e sfruttamento da schiavi

nell’Europa occupata dai tedeschi.“

“Rimborso?

Qui sopra è riprodotto Il lavoro è libertà, 1945, un disegno di Agostino Barbieri da “I disegni della deportazione”

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Il Congresso nazionale del-l’Aned si terrà dunque nellaSala delle Bandiere del cam-po di sterminio di Mauthausennella prima settimana (il 3-4-5) del prossimo maggio. Ladecisione è stata definitiva-mente presa dal Consiglio na-zionale dell’Associazione de-gli ex deportati politici neicampi di sterminio nazisti nelcorso della sua riunione diBolzano. Una maggioranzapressoché assoluta (un solovoto contrario e una asten-sione) ha approvato la rela-zione del presidente avv.Gianfranco Maris.

Il ruolo del campodi via Resia

La scelta di Bolzano per di-scutere il senso e il valore sto-rico del Congresso dell’Anedin un campo di sterminio nonè stata certo casuale. Qui sor-geva il campo di via Resia dalquale sono transitati migliaiadi deportati destinati allo ster-minio. Via Resia - e lo ha sot-tolineato il presidente Maris- ha avuto un ruolo fonda-mentale nel sistema di re-pressione e di annientamentodi coloro che si opponevanoal regime nazista e fascista;un campo di concentramentonazista oggi non sufficiente-

mente conosciuto, ma che de-ve essere riportato alla me-moria degli uomini.Per questo va positivamenteconsiderata la forte iniziativadell’amministrazione comu-nale di Bolzano per recupe-rare il significato e il mes-saggio che ci viene dal cam-po di via Resia, sorto in unazona di lingue ed etnie diver-se ma che qui hanno saputocombattere una lotta comune.Perché via Resia è stato uncampo di transito e di repres-sione anche per chi è nato inqueste terre, e ha dato vita aduna opposizione al nazismoda parte della popolazione dilingua tedesca che deve esse-re maggiormente conosciuta.

Uno strumento contro la xenofobia

Proprio in questa città, ilConsiglio nazionale dell’Anedha voluto affrontare un pro-blema di fondo: come cele-brare e ricordare la tragediadella deportazione nei campidi sterminio mentre si chiudeun secolo feroce e se ne apreun altro, che può portare gran-di speranze ma anche altret-tanto grandi pericoli.Gli scampati ai campi di ster-minio - lo ha ricordato il pre-sidente Maris nella sua rela-

chi ideali di tolleranza e difraternità per superare con-trasti e tensione che si fannosempre molto forti. È neces-sario trasformare queste con-cezioni passive in uno stru-mento positivo che favoriscal’incontro e l’integrazione dipopoli diversi, soprattutto nel-la nostra Europa. Il rischio delpopulismo xenofobo è evi-dente a tutti e non solo inAustria e in Svizzera; e quan-do la xenofobia diventa na-zionalismo tutto può accade-re, come ci insegna la nostraesperienza, e come ci ricor-dano gli attentati razzisti deinostri giorni.

Una riflessione peri giovani del 2000

La memoria della tragedia deicampi di sterminio è certo ne-cessaria, ma non può bastare. Essa ha significato se la sto-ria della deportazione e di cia-scun deportato, di ciascunadeportazione, diventa ragio-namento e riflessione per i gio-vani di oggi. I deportati di 21popoli che si sono ritrovati nelcampo di Mauthausen con leloro storie, lingue e culture di-verse e che hanno saputo re-sistere e vincere, sono unesempio concreto dello spiri-to con cui si deve costruire

zione - sono stati per 54 anninon dei reduci, ma dei testi-moni attivi in difesa di unamemoria portatrice di valori.Il loro impegno (e dei loro fa-miliari) dalla Liberazione adoggi è stato quello di far co-noscere soprattutto ai giova-ni l’insegnamento che venivadai campi di sterminio comequello di Mauthausen: depor-tati di ventun popoli diversi,di altrettante lingue, culture,etnie, resistenze, i quali han-no saputo realizzare una unitàche ha contribuito alla disfat-ta del nazismo. Se per i gio-vani del 2000 questo ricordoe questo insegnamento rimarràvivo e avrà ancora un alto va-lore morale, sarà merito diquello che è stato fatto nelpassato e di quello che si puòancora fare in questi anni.Di qui il grande valore delCongresso nazionale dell’Anedall’interno di un campo di ster-minio come quello diMauthausen, all’inizio del se-colo che si apre. Un secolodestinato a vedere un semprepiù vasto incontro di popoli,di culture che si devono in-contrare e di diversità che sidevono integrare. Tutto que-sto può però anche portare anuove drammatiche lacera-zioni. In una società nuova epluralista - ha ricordato Maris- possono non bastare i vec-

A Mauthausen non solo per ricordare

L’incontro per favorire l’integrazione di popolazioni e culture diverse - Contro il pericolo del populismo xenofobo. L’alto esempio dei deportati di 21 popoli che sono morti, hanno sofferto,resistito, lottato e contribuito a sconfiggere il nazismo - La relazione di Gianfranco Maris.

Il Congresso nazionale dell’Aned deciso dal Consiglio per il maggio 2000

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l’Europa di oggi e il mondodi domani. Questo è il gran-de significato di un Congressodi deportati all’interno del cam-po di sterminio di Mauthausene che i componenti del Consi-glio nazionale hanno piena-mente accolto. Lo ha ricorda-to nel suo appassionato inter-vento il sen. Raimondo Ricci,il quale si è soffermato su quan-to sta avvenendo nel nostroPaese in un momento di gra-vi difficoltà e ha rammentato

quanto sia grande il pericoloper le istituzioni democrati-che anche per il fatto che leforze politiche (e in certi ca-si anche quelle di sinistra) sia-no venute meno ad un serioesame critico della nostra sto-ria e come per questo diventipossibile che il potere vengaassunto da forze nel cui senosono presenti elementi non cer-tamente democratici.

Bruno Enriotti

Le cave della mortefruttarono oltre 17milioni di marchi

Lo sfruttamento bestiale dei deportati

Molti campi di sterminio nazisti vennero costruiti nelle vi-cinanze di cave di pietra e granito che le SS volevano sfrut-tare, utilizzando il lavoro dei prigionieri.A tale scopo, infatti, le SS costituirono a Berlino il 29 apri-le 1938 la “Deutsche Erd-und Steinwerke GmbH” (Fabbricadelle terre e delle pietre a responsabilità limitata).Subito dopo l’occupazione di Vienna, il capo delle SSHeinrich Himmler ispezionò personalmente alcune cave aMauthausen e constatò la possibilità di realizzare nelle vi-cinanze un campo di prigionia nel quale i detenuti potes-sero lavorare, ovviamente senza alcuna retribuzione.Fu a quel punto che iniziarono le trattative con il munici-pio di Vienna per l’affitto delle cave Wienergraben, Marbacher-Bruch, Bettelberg-Bruch e di un’impresa agricola per lasomma di 5 mila marchi all’anno, oltre la partecipazioneagli utili.Un brogliaccio compilato per calcolare le imposte sulla ci-fra degli affari prodotti dal lavoro nelle cave (nella foto)dal 1941 al 1944 permette di giudicare il colossale “rendi-mento” di tutte le cave di granito in un importo comples-sivo di 40 milioni e 750 mila marchi. Il campo di Mauthausencontribuì per ben 17 milioni e 137 mila marchi, pari al 42%.

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Il discorso di saluto del sindaco Giovanni Salghetti Brioli

“La città di Bolzano è orgogliosa di poterospitare nella Sala del Consiglio comu-nale, massima espressione della sua rap-

presentatività, il Consiglio nazionale dell’Associazionenazionale ex deportati politici nei campi nazisti, inpreparazione del 12° Congresso nazionale che siterrà nella Sala delle Bandiere all’interno del cam-po di Mauthausen, nel maggio prossimo”.

Così ha esordito il sindaco diBolzano, avv. Giovanni Sal-ghetti Brioli, nel suo discor-so di saluto e benvenuto.“Bolzano - ha continuato ilsindaco - è oggi città di fron-tiera, che unisce il mondo cul-turale italiano a quello tede-sco, ma ha rappresentato inpassato una tappa dolorosasulla via della deportazione.Dall’estate del 1944 al mag-gio del 1945, nella nostra città,in via Resia, è stato in fun-zione uno dei quattro campidi transito nazisti verso i la-ger di Oltralpe, dal quale so-no passati più di undicimiladeportati”.

Il ricordo di quegli anni

“Per i presenti, questo miosemplice riferimento riapreuno squarcio indelebile nellamemoria di quegli anni. Giorniaddietro è stata inaugurata unamostra, nella nostra zona in-dustriale, sul villaggio Lancia,un complesso di baracche che

ha ospitato per più lustri cen-tinaia di famiglie operaie. Lamostra è stata allestita su al-cuni vagoni merci. Vagoni fer-roviari che non potevano nonessere ricollegati a quei cari-chi di un’umanità inerme, an-gosciata, ma dignitosa che ve-niva avviata alla deportazio-ne proprio da questa zona”.“E sempre in quelle vie alcu-ne lapidi ricordano l’eccidiodi trentacinque operai e parti-giani il giorno della Libera-zione, il 3 maggio 1945. Lagalleria del Virgolo, nella qua-le scorre la strada stataledell’Abetone e del Brennero,è luogo simbolo del lavorocoatto di quegli anni.”“La città di Bolzano, - ha ag-giunto il sindaco - mettendoa disposizione la propria au-la consiliare al Consiglio na-zionale dell’Aned intende an-che rendere l’onore del ricordoa quei concittadini e conter-ranei, di lingua italiana e te-desca, che hanno pagato unaltissimo prezzo per essersiopposti al fascismo ed al na-zismo. Non sono poche que-

ste elette persone, ed alcunedi esse hanno pagato con lavita la loro scelta”.Il sindaco ha ricordato, a que-sto punto, Josef Mayr Nusser,presidente dell’Azione cat-tolica giovanile tedesca diBolzano, morto per fame e sfi-nimento durante un trasferi-mento verso la deportazione;e Mario Longon, direttore del-lo stabilimento Magnesio, pre-sidente del primo Comitato diLiberazione clandestino, uc-ciso durante un barbaro in-terrogatorio nella sede dellaGestapo. Il sindaco ha ricor-dato anche Don Rudolf Posch,caporedattore del giornale dilingua tedesca “Bozner Tag-blatt” deportato a Dachau, do-ve aiutò numerosi prigionie-ri sudtirolesi.

Il movimento nelle fabbriche

“Anche tra il movimento ope-raio, che si sviluppò nelle fab-briche della zona industrialecittadina, vi sono nobili te-

stimonianze di uomini che,per aver dato il proprio con-tributo alla lotta di liberazio-ne, aiutando ad esempio i de-portati del lager di Bolzano,sono stati puniti con la de-portazione, che per molti si-gnificò la morte. Né sono dadimenticare le decine e deci-ne di altoatesini e sudtirolesiche sono stati rinchiusi nel la-ger di Bolzano per attività an-tinazista o per atti di resistenzadi congiunti e che fortunata-mente sono stati poi liberati”.“Va evidenziato anche il ruo-lo della popolazione di Bol-zano, soprattutto quella deiquartieri operai attorno allazona industriale, che all’in-domani della fine della se-conda guerra mondiale diedeaccoglienza, assistenza e ge-neri di conforto a centinaia diinternati e deportati che al ri-torno dai lager si incammi-navano sulla via di casa”.“La nostra città - ha sottoli-neato l’avv. Salghetti Brioli -ha vissuto in passato momentimolto difficili, anche conflit-tuali e tragici, e la loro me-

Bolzano e Sudtirolo tra memoria e impegno

La città onora cittadinie conterranei di lingua ita-liana e tedesca che hanno pa-gato, anche con la vita, laloro opposizione al fascismoe al nazismo.

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moria non deve venire meno.È necessario soprattutto chele giovani generazioni ne ab-biano piena conoscenza, e sap-piano cogliere quei valori idea-li di lealtà, umiltà, dura fati-ca, generosità, altruismo, sprez-zo del pericolo, rispetto del-la dignità della persona e del-la sua dimensione comunita-ria, che stanno alla base diogni vivere democratico. Lapace è un concetto astratto senon c’è un impegno corale perla libertà, per la giustizia, peril rispetto vicendevole, per lasolidarietà, per le pari oppor-tunità.L’amministrazione comunaleè impegnata a far conoscere

soprattutto alle nuove gene-razioni questo periodo dellasua storia, perché la convi-venza e la fratellanza fra i po-poli abbiano basi e motiva-zioni profonde.”

Una storia che ci aiuta a crescere

“L’archivio storico comunaleha realizzato una mostra itine-rante di quel periodo, racco-gliendo testimonianze cartaceee anche videotestimonianze,per fermare su nastro la loromemoria, che è anche la no-stra. Si sta predisponendo unbando di concorso di idee in-

Perché la scelta di un luogo-simbolo

La mozione approvata

Il Consiglio nazionale dell’Aned riunito a Bolzano nei gior-ni 13 e 14 novembre ha deciso di convocare il Congresso na-zionale dell’Associazione nel campo di Mauthausen (Saladelle Bandiere) nei giorni 3-4-5 maggio 2000.La scelta di questo luogo simbolico della deportazione in-tende, all’inizio del nuovo millennio, non solo rievocare lamemoria dello sterminio perpetrato dal potere nazista, malevare con forza un grido di allarme in ordine ai segni, ai fe-nomeni di intolleranza, che tuttora contraddistinguono i no-stri tempi e il cui diffondersi, in una epoca segnata da profon-de diversità di progresso, di benessere, di cultura, potrebbecomportare il rischio di ritorno a tempi oscuri della nostrastoria. Le violazioni, inoltre, dei diritti umani fondamentali che sisono verificate e continuano a riprodursi sia nelle situazio-ni di guerra che in pace, rendono necessario un richiamo cri-tico alle esperienze che possono guidare verso la realizza-zione di spazi internazionali di giustizia, idonei a realizzarein termini nuovi la convivenza umana.

Pubblichiamo il testo della mozione finale approvata convoto pressoché unanime (si sono avuti infatti un solo aste-nuto e un solo contrario).

Durcheganglager Bozen

Una veduta del campo di smistamento di Bolzano

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ternazionale, per la realizza-zione di opere da collocarsi neiluoghi cittadini cui ho fatto in-nanzi cenno, e che richiaminoall’attenzione e alla riflessio-ne su quegli eventi.”

Il favore riscontrato dallamemorialistica“Da alcuni anni vengono fa-voriti incontri tra ex deporta-ti e alunni delle scuole italia-ne, tedesche e ladine. Si è rea-lizzato, in collaborazione conla sede Rai di Bolzano, un do-cumentario dal titolo ‘Il lagerdi Bolzano - memorie e te-stimonianze’. Dal 1996 si èavviata una proficua collabo-razione con il Comune di NovaMilanese, dando vita a unaraccolta di video di resisten-za, deportazione e liberazio-ne, giunta alla sua secondaedizione internazionale. Essaha lo scopo di realizzare l’ar-chivio audiovisivo della me-moria, in due punti di raccol-ta, a Bolzano ed a NovaMilanese. I quaderni della FondazioneAuschwitz di Bruxelles han-no ospitato già due articoliche descrivono ad un pubbli-co sempre più vasto la gam-ma delle iniziative della cittàdi Bolzano a sostegno dellamemoria”.

“Proseguiremo su questa stra-da - ha concluso il sindaco -sia per il favore riscontrato,sia per la convinzione che laraccolta di testimonianze e didati ci aiuta a conoscere, a ca-pire, a non dimenticare e anon far dimenticare una sto-ria tragica ma in pari tempogloriosa propria di ogni mar-tirio, e quindi ci aiuta a cre-scere”.

“Anche in camicia e scalzonon ho mai avuto freddo esorridevo sempre: io lottavoper la libertà ed avevo anco-ra i miei vent’anni”. Rispostasemplice e disarmante diQuintino Corradini, nome dibattaglia “Fagioli”, nato aMolina di Fiemme l’11 otto-bre 1924. Catturato dai nazisti la vigi-lia di Natale del 1944, ferito

ad un occhio, con la gambasinistra fracassata, seminudoe senza scarpe, dopo duri in-terrogatori venne trasportatosu un carretto nel Durch-ganglager Bozen il gelido 1°gennaio del 1945 e scaraven-tato (non poteva reggersi inpiedi) in una delle famigera-te celle, la n° 5. Il suo trenoper Mauthausen per fortunanon partì.

La prima tappa verso l’abisso

Il presidente dell’Anpi di Bolzano,sen. Lionello Bertoldi,ha iniziato il suo discorso ricordando un episodio della Resistenza.

L’intervento del presidente dell’Anpi

Bolzano:le baracche del lager

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Durcheganglager Bozen

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“Fagioli e con lui Nella LilliMascagni e Luigi Emer Avio- ha aggiunto il presidentedell’Anpi - sono voci vivedella nostra Resistenza cheoggi accolgono idealmenteassieme all’Anpi i lavori delConsiglio nazionale Aned, fe-lici di avere tutti voi ospiti inquesta città di Bolzano, cheha nella sua storia la soffe-renza, il sacrificio, ma anchela volontà di resistere deglioltre 11.000 donne e uominipassati dal suo Durchgan-glager.”

Una nuova Europadal cuore antico

“La presenza così significa-tiva di questo Consiglio na-zionale Aned rende Bolzanouna città simbolo, con la tri-ste memoria del suo ex cam-po di concentramento il suoDurchganglager, tappa ini-ziale di un percorso per i tan-ti campi di orrore e di ster-minio nazisti, ma la indicaanche come luminoso iniziodi un crogiolo di sofferenzae di Resistenza al fascismoed al nazismo, che ha sapu-to distillare motivi unitari peruna nuova Europa dal cuoreantico e fatto emergere i suoivalori fondanti di pace, li-bertà, giustizia, tolleranza esolidarietà. Noi siamo quindi riconoscentie grati della vostra presen-za.”

La sopraffazionedel fascismo

“Al Consiglio nazionaledell’Aned è offerta nello stes-so tempo - ha ricordato il sen.Bertoldi - la feconda possi-bilità di un incontro, denso

di valore umano e politico,con rappresentanti della po-polazione sudtirolese, che do-vette patire la sopraffazionesnazionalizzatrice del fasci-smo e seppe esprimere, purin condizioni disperate, unaaperta Resistenza al fascismoed al nazismo diffusa sul-l’intero territorio, subendopersecuzioni, arresti, depor-tazioni e condanne a morte;una Resistenza forte degliidentici valori di libertà e digiustizia.”

L’esempio sudtirolese

“L’Italia è presente nella nuo-va Europa e vi ha portato co-me prezioso frutto della suademocrazia, la soluzione po-sitiva del suo problema sud-tirolese e lo può offrire co-me punto di riferimento ainuovi tragici problemi di po-polazioni europee. Noi sappiamo che solo un si-curo e costante riferimentoa quella identità di valori fon-damentali ed irrinunciabili,quei valori posti dalla Re-sistenza alla base della no-stra Costituzione repubbli-cana, ha consentito alla no-stra democrazia ed alla lun-ga Resistenza sudtirolese diraggiungere una soluzionepositiva di livello europeo,respingendo sempre l’egoi-smo nazionalistico.Voi preparate il vostro XIICongresso nazionale - ha con-cluso Bertoldi - e la scelta diuna sede etica come la Saladelle Bandiere a Mauthausenpotrà dare immediatamenteil significato unificante piùprofondo alle parole che ri-volgerete ai popoli del-l’Europa, e alle nuove gene-razioni.”

Quei giorni così lontani così vicini

Dove erano le baracche ci sono case di abitazione

È una bella giornata di novembre e Bolzano offre spacca-ti di luminosa bellezza. Frotte di giovani camminano alle-gri e fanno risuonare le vie di accenti italiani e tedeschi.Ognuno va per la propria strada con programmi diversi.Ognuno in questa giornata che si approssima al Duemilapuò decidere qualsiasi cosa: fare acquisti, passeggiare, vi-sitare l’“Uomo venuto dal ghiaccio”, partecipare a un di-battito, prenotare un posto per un concerto serale o unapartita di calcio, eccetera eccetera.Il centro storico è bellissimo, la via dei portici splendida,la piazza delle Erbe brulicante di curiosi e di potenzialiacquirenti. Nella sala consiliare del Comune si svolgono ilavori del Consiglio nazionale dell’Aned. Nel programmaè prevista la visita ai luoghi dove sorgeva, oltre mezzo se-colo fa, un lager nazista. Ora non c’è rimasto quasi piùnulla, soltanto un muro di cinta. Dove erano le baraccheci sono case di abitazione. Il posto è in periferia ed è piuttosto squallido. Un monu-mento, in uno spiazzo, ricorda le vittime della ferocia na-zista. Fra i visitatori, parecchi ex detenuti, fortunosamen-te scampati a questo lager e ai successivi campi di ster-minio. Ognuno ha la sua storia tremenda: fame, freddo,terrore permanente, congiunti bruciati ad Auschwitz o al-trove. Spesso il testimone è il solo superstite di una fami-glia numerosa. Fratelli, sorelle, padri, madri, figli, mogli,mariti, nonni, nipoti, milioni e milioni, non più tornati dal-l’inferno dei lager.A tanta distanza di tempo, può apparire persino irreale chein quegli anni di questo nostro stesso secolo, ci siano sta-ti uomini che indossavano la divisa delle SS e che per que-sto stesso motivo possedevano il diritto di vita e di mortesu altri esseri, uomini, donne, non importa se giovani ovecchi o bambini. Bastava non togliersi il berretto al mo-mento giusto o cadere per terra perché stremati dalla fati-ca o non rispondere prontamente, magari perché si igno-rava il tedesco o per mille altri futili motivi.Durchganglager, campo di “smistamento”, era il lager diBolzano. Smistamento a Dachau o a Mauthausen o a Guseno in altri campi di sterminio. In questo lager, dal ’43 al ’45sono passati migliaia e migliaia di italiani, il 90% dei qua-li non ha fatto più ritorno. Da allora sono trascorsi cin-quantacinque anni e in quella giornata di novembre, inapertura dei lavori del Consiglio nazionale dell’Aned, ilsindaco di Bolzano è intervenuto per dire, fra l’altro, cheper la sua città era un onore ospitare gli ex deportati.Sono lontani, sono vicini quei giorni? I giovani e le ra-gazze che scorrazzano per le strade, che possono stabilireoggi a loro piacere come trascorrere la giornata, devonoricordare che sono costate sangue queste loro libere deci-sioni, queste loro libere espressioni di pensiero, persinoqueste loro libere risate. Guai a dimenticarlo.

Ibio Paolucci

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Folate di idiozia(f.g.)-Folate gelide di antisemitismo. Ferocema soprattutto stupido, pericoloso. Attraversal’intera società, dagli stadi (occhio ai lugubristendardi delle SS e al campo di Auschwitzcome ideale approdo; orecchio ai cori da vol-tastomaco) fino alle scuole, ma anche oltre.Si sprecano le barzellette. Storielline da faraccapponare la pelle. Una è finita stampatasu una bustina di zucchero, tragico diversivoin attesa del caffè: “Ma lo sapete quando èmorto Hitler? Quando gli è arrivata la bol-letta del gas!”. Altre, opera di insegnanti, han-no “deliziato” una gita scolastica in Toscana.Peccato che fra gli studenti ci fosse anche unaragazza ebrea, pietrificata: “Come fanno adentrare trenta ebrei in un baule? In cenere na-turalmente” (e via dicendo).Rodolfo Giaggia, proprietario della “Eureka”di Albosaggia in Valtellina, autore della bat-tutaccia sugli ebrei, dopo la denuncia dell’Aned,si è scusato per la distrazione e si è precipi-tato a distruggere lo stampino della fredduraoltraggiosa. “L’ho presa da Internet, non eramia intenzione nuocere a nessuno - ha spie-gato - non abbiamo mai agito pensando a fi-ni politici o di schieramento”. È la stessa ri-sposta, sembra di sentirli, dei professori diFirenze.Il problema è drammaticamente diverso e ter-ribilmente semplice. Gli interessi di botteganon c’entrano per niente. C’entra la Storia,quella con la S maiuscola. C’entrano il rispetto e il ricor-do di sei milioni di uomini, donne, bambini, arsi dal fuo-co nazista. C’entra la memoria storica che se ne sta an-dando. C’entrano i “cattivi maestri” che seminano la pestee gli allievi distratti e un po’ imbecilli. Quelli che per strap-pare una risata (ma ci sono riusciti?) fanno a pezzi le co-scienze. Piccoli, moderni Goebbels.

La bustina dello zucchero con la sconcertante battuta

Giorno per giorno

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Nostalgia e ferri vecchi

(f.g.)-Sciolto il Comitato antifascista di Busto Arsizio suproposta di An con i voti di Forza Italia e di un manipo-lo di leghisti (ma non erano quelli che dovevano stanarei “neri” di casa in casa?). Un colpo a freddo, in perfettostile littorio.Il Comitato per il sindaco della Lega Gianfranco Tosi eradiventato un ferro vecchio. Inutile e per di più fonte dipolemiche. Il fascismo è passato da un pezzo, non è piùil caso di tener in vita un fantasma che, in luogo di uni-re, divideva gli animi. La reazione, sdegnata, di Angioletto Castiglioni, reduceda Flossenburg, si è persa nel gelido silenzio di una cittàspettatrice muta. “Avete fatto la memoria a pezzi”, ha ur-

lato l’ex internato. Gli intrepidi, in silenzio, hanno alza-to il braccio in modo vigoroso, seppellendo l’odiatoComitato.È stato certo per risollevargli lo spirito che Ninetto Pellegatta,ex deputato del Msi, bandiera di An, ha predetto in unalettera “aperta” che verrà presto il giorno in cui BustoArsizio (ma non solo) avrà una strada intitolata a BenitoMussolini. Lo esige la storia, è stata l’acuta intuizionedell’ex missino.Senza confini al senso del ridicolo (e dell’oltraggio), l’e-co della proposta ha bruciato in un lampo una manciatadi chilometri, raggiungendo Rho, città, al pari di BustoArsizio, dal grande passato partigiano. Qui, auspice An,è stato celebrato, fra portate di lessi e fumanti cotechini,il 77esimo anniversario della “marcia su Roma”, un in-contro per riflettere, ha fatto sapere un portavoce della“marcia” (a tavola), “su cosa ha prodotto quell’evento inItalia, cosa può essere riproposto oggi, se qualcosa puòessere riproposto”.Interrogativi per fortuna risolti da un pezzo. Anche perchi dimostra di essere rimasto ai giorni prima di Fiuggi.

La memoria corta

La bomba di via Tasso è tutto tranne che un ful-mine a ciel sereno. Da anni, ogni domenica, in mol-te città italiane hanno luogo festose adunate nazi-ste. Con tanto di svastiche e striscioni antisemiti.Ma avviene nelle curve degli stadi: luoghi ai qualiè stata riconosciuta, non si sa perché, una confor-tevole extraterritorialità. Ormai pochissimi cronistisi ricordano (o hanno voglia) di scriverlo. E mi chie-do quanti italiani sappiano, per esempio, che c’èuna città italiana, Varese, nella quale due volte l’an-no (quando sono ospiti le squadre di basket diBologna) alcune centinaia di tifosi locali inneggia-no alla bomba del 2 agosto. Augurandosi un im-mediato bis. Quando diventa normale ballare suimorti, esaltare le stragi e celebrare i forni crema-tori, è vietato stupirsi se qualche galantuomo, gal-vanizzato dal clima, decide di piazzare una bombacontro la memoria di questi stessi “ebrei bastardi”che, insieme agli “sporchi negri”, sono da anni pro-tagonisti dei più celebrati ritornelli da stadio. Uncalciatore ebreo, Rosenthal, fuggì da Udine primaancora di arrivarci, minacciato dagli ultras locali.Tutto dimenticato in fretta. La bomba di via Tassoha almeno il merito di rinfrescarci la memoria.

Michele Serra

da “l’Unità”, 25 novembre 1999

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Nel 1960 la Procura generale militare nascose migliaia di fascicoli contro i nazisti per ragioni di politica internazionale

a cura di Franco Giannantoni

L’interesse fu politico.Non era opportunoche la Germania Fe-

derale, membro della Nato,nel momento del suo riarmoe nel pieno della “guerra fred-da”, fosse coinvolta in vicen-de giudiziarie per le stragi diguerra in Italia che ne potes-sero indebolire l’immagine.Lo ha confermato LutzKlinkhammer, collaboratoredell’Istituto storico germani-co di Roma: “Non c’è dub-bio: l’avvio di processi pena-li contro centinaia di crimi-nali di guerra tedeschi neglianni ’50 e ’60 avrebbe sicu-ramente creato delle difficoltàper l’immagine internaziona-le della Germania nonché perla sua integrazione europea.Il problema si sarebbe aggra-vato, poi, per la mancata estra-dizione degli accusati, con unasfilata di processi in contu-macia che avrebbe rafforzatonell’opinione pubblica l’im-magine negativa della Ger-mania”.Così il Procuratore generalemilitare presso il Tribunalesupremo di Roma, dottorEnrico Santacroce, di nomi-na governativa, pensò bene dioccultare circa 3000 fascico-li processuali sulle stragi na-ziste compiute fra il 1943 e il

Le stragioccultateScoperti per caso i documenti nell’armadio di un locale quasi inaccessibi-le di Palazzo Cesi a Roma. Il provvedimento fu preso con l’accordo delgoverno per evitare problemi di immagine alla Germania di Bonn, pernodella Nato nel pieno della “guerra fredda”.

✔✔✔ Piazzale Loreto:

il massacro fu premeditato

La lunga marcia di sanguedel boia della Benedicta

L’eccidio di Caiazzo:scomparso il dossier vinse l’insabbiamento

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1945, sottraendoli alla com-petenza dei Pubblici ministe-ri militari, unici titolari del-l’azione penale.Ma se è il 14 gennaio 1960che, con la formula dell’ar-chiviazione “provvisoria”, ine-sistente nel sistema proces-suale del nostro Paese, ilProcuratore generale militaresi rese colpevole di un inde-bito trattenimento dei fasci-coli, l’attività di rimozione diquelle tragiche pagine dellastoria d’Italia aveva radici piùlontane.

L’illegalità infatti, erainiziata nell’imme-diato dopoguerra,

quando il Procuratore gene-rale militare (che, occorre ri-cordare, non aveva e non hapoteri di indagine giudiziaria)dottor Umberto Borsari, inluogo di distribuire il mate-riale processuale alle Procuremilitari territoriali, lo avevatrattenuto presso di sé, comedel resto avrebbe fatto dal 1954il suo successore dottor ArrigoMirabella.Lo scenario di questa storia,unica per gravità e per com-promissioni fra i poteri delloStato, è articolato e comples-so: se 695 fascicoli iscritti nelRegistro “Ruolo generale deiprocedimenti contro i crimi-

ni di guerra tedeschi” di cui415 già istruiti dalle autoritàmilitari alleate o dalla poliziagiudiziaria italiana nei con-fronti di militari tedeschi eitaliani della Repubblica so-ciale italiana e 280 rubricaticontro ignoti, dopo la loro sco-perta, sono dal 1994 sui ta-voli dei Procuratori militaricompetenti (la distribuzioneterminò nel 1996), altri 1250-1300 fascicoli, tutti nei con-fronti di ignoti, vennero tra-smessi fra il 1966 ed il 1968,il che implica che avvenneuna selezione “pilotata”. Loscopo era chiarissimo: tenernascosti i fascicoli con i re-sponsabili già individuati erender disponibili quelli sen-za nome, irraggiungibili, sva-niti nel nulla.

Dei 415 fascicoli ora adisposizione dei variProcuratori militari ter-

ritoriali, 87 sono a Padova,119 a Torino (qui si sono giàconclusi con due ergastoli iprocessi per le quindici fuci-lazioni di piazzale Loreto e lestragi della Benedicta e delTurchino), 108 a Verona, 214a La Spezia (competente an-che per la Toscana), 129 aRoma, 32 a Napoli, 4 a Barie 2 a Palermo. Occorre tenerpresente che esistono anche

L’armadio degli scheletri

Nel nostro ordinamento l’esercizio dell’azione penale è ob-bligatorio, non è un optional. Ma negli anni della guerrafredda questo obbligo, evidentemente, non era considera-to tale da taluni centri istituzionali, per esempio dallaProcura generale militare. Nella relazione approvata dalConsiglio della magistratura militare in data 23 marzo 1999si afferma, testualmente, che “il trattenimento presso laProcura generale militare dei rapporti e denunce che vierano arrivati provenienti da tutta Italia non è stata sem-plice conseguenza di decisioni non condivisibili o inop-portune, bensì più particolarmente il frutto di un insiemedi determinazioni radicalmente contrarie alla legge adot-tate da un organo privo di ogni competenza in materia, chehanno sistematicamente sottratto gli atti al Pubblico mi-nistero competente e perciò impedito qualsiasi iniziativa diindagine di esercizio dell’azione penale”.Chiaro? I rapporti e le denunce riguardavano “crimini diguerra anche di rilevante gravità”, risalenti al periodo 1943-45, commessi da militari germanici o anche da militi fa-scisti della Guardia nazionale repubblicana. Tutti gli atti,anziché essere trasmessi alle procure competenti, furonocongelati in un armadio, le cui ante vennero rivolte versoil muro. Il motivo? Semplicissimo: la Germania di Bonn eraentrata a far parte della Nato e di conseguenza era meglionon disturbarla con procedimenti scomodi, poco importa sela legge veniva calpestata, con l’ovvio avallo dei governidel tempo. Chiarissime le responsabilità politiche. Replicandoad una richiesta di estradizione avanzata da un procura-tore militare, il ministro degli Esteri con nota del 10 otto-bre 1956 diretta al ministro della Difesa, nell’esporre gliargomenti contrari all’iniziativa si soffermava sui non tra-scurabili “interrogativi che potrebbe far sorgere da partedel governo di Bonn una nostra iniziativa che venisse adalimentare la polemica sul comportamento del soldato te-desco”, proprio in un momento in cui “quel governo com-pie il massimo sforzo per superare la resistenza che in-contra nella pubblica opinione la ricostruzione di quelleforze armate, di cui la Nato reclama con impazienza l’al-lestimento.” La scoperta di questo armadio pieno di sche-letri, come del resto quella della “Gladio”, è avvenuta do-po la caduta del muro di Berlino, a guerra fredda conclu-sa. Qual è la morale di questa vicenda? Chi ha avuto haavuto e chi ha dato ha dato? Forse, ma, per favore, nonscordiamoci il passato.

Ibio Paolucci

Case della Val d’Aosta bruciate dai nazisti

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2274 “notizie di reato”, di cui260 reati non militari, inviatia suo tempo alla magistratu-ra ordinaria e solo 20 nel-l’immediato dopoguerra tra-smessi alle Procure militaricompetenti. Ma come è venuto alla lucequesto colossale scandalo cheha di fatto impedito di vederprocessati negli anni ’50 cen-tinaia e centinaia di crimina-li di guerra del Reich e diMussolini? La risposta è chesi è trattato di un caso e nondi una scelta determinata e ciòalimenta più di una perples-sità.

Tutto ebbe inizio nel 1994quando il Procuratoremilitare di Roma Anto-

nino Intelisano, Pubblico mi-nistero nel processo contro ilcapitano Erich Priebke, ebbela necessità di disporre di undocumento della vicendaKappler e delle FosseArdeatine. Dopo una serie dicontrolli a vuoto, avvenne lascoperta di un “archivio” inun luogo inaccessibile diPalazzo Cesi, sede degli uffi-ci giudiziari militari d’appel-lo e di legittimità, “sepolto”da quasi mezzo secolo. Il car-teggio era suddiviso in fasci-coli, a loro volta raccolti infaldoni. Inoltre era stato ri-trovato un registro generale.“Si trattava - si legge nella re-lazione del Consiglio della

magistratura militare del 23marzo 1999, al termine diun’indagine conoscitiva deci-sa tre anni prima - di una del-le stanze del pianterreno, bendistinte dunque rispetto allaProcura generale da sempredislocata all’ultimo piano, adi-bite ad archivio, per nienteabusivo, degli atti dei Tribunalidi guerra soppressi e delTribunale speciale per la di-fesa dello Stato. Nel localepoi esisteva uno stanzino piùinterno, chiuso da un cancel-lo di ferro con grata. E i fa-scicoli si trovavano qui, in unarmadio di legno con le antechiuse, rivolte verso una pa-rete: quasi nei più profondirecessi del palazzo”. Come sefossero stati murati, tolti allamemoria e alla vista.Ma l’operazione di trasferi-mento avviata nel 1967, ave-va avuto un altro risvolto, an-cor più inquietante: negli uf-fici della Procura generale mi-litare non era rimasta tracciafra i “carichi pendenti” dei fa-scicoli sui crimini di guerra,cosicché i successori diSantacroce non ebbero la pos-sibilità di accorgersi di nien-te né di metter mano ai fa-scicoli nascosti.

Una volta portato allaluce il materiale, periniziativa congiunta dei

Procuratori generali venne isti-tuita una Commissione mistaper compiere una ricognizio-ne degli atti rinvenuti e indi-viduare i provvedimenti daadottare. L’esito fu scontato: i fascico-li, dopo una lunghissima at-tesa, presero finalmente la di-rezione delle varie Procurecompetenti.Contenuto nell’ambito dell’Uf-ficio, lo scandalo divenne pub-blico attraverso un articolo delsettimanale “L’Espresso” nelmarzo del 1996 e il successi-vo 15 aprile, quando il dottorSergio Dini, Sostituto procu-ratore militare di Padova, se-gnalò al Consiglio della ma-gistratura militare (equipol-lente al Consiglio superioredella Magistratura) l’arrivo a“pioggia”, dal novembre del1994, di circa 60 fascicoli sul-le stragi, fra cui “numerosiquelli in cui vi sono indica-zioni nominative precise”. Erastato proprio Dini ad indica-re il singolare provvedimen-

to di “archiviazione provvi-soria” adottato nel 1960, a de-nunciare il suo disagio “in or-dine al significato e alla pro-duttività” di inchieste giudi-ziarie relative ad episodi tan-to lontani nel tempo ed infi-ne a chiedere una indagineche facesse luce su quanto eraaccaduto.

Il 7 maggio 1996 il Consi-glio militare istituì unaCommissione d’inchiesta

con il compito di stabilire “ledimensioni, le cause e le mo-dalità del fenomeno”. Un la-voro lungo e difficile che nonsolo ha permesso di ricostruirei vari aspetti della vicenda,ma che ha rivelato preoccu-panti aspetti degenerativi al-l’interno dei più alti uffici del-la Procura generale militare(dal 1945 chiamata ad acco-gliere tutto il materiale rela-tivo alle stragi tedesche) e delpotere politico dell’epoca.

Basti il fatto che decinedi rapporti giudiziaridegli Alleati nei con-

fronti di ufficiali tedeschi, re-sponsabili di crimini efferati(ad esempio la strage diCaiazzo sul Volturno dell’au-tunno del ’43), acclusi ai va-ri fascicoli, non siano mai sta-ti tradotti e che richieste diestradizione sollecitate da al-cuni Procuratori militari alleautorità di Governo siano ca-dute nel dimenticatoio per l’in-tervento puntuale (era l’otto-bre 1956) dell’allora ministrodegli Esteri, il liberale GaetanoMartino. Era il nodo politico dell’in-confessabile cedimento, an-che se l’esito della richiestaera scontato essendo in vigo-re fra Italia e Germania untrattato approvato nel 1942 inragione del quale non era con-sentita alcuna estradizione ver-so il nostro Paese di cittadinitedeschi per reati politici.

Scriveva il responsabiledella Farnesina al pro-prio collega della Difesa

sull’ipotizzata estradizionedel criminale di guerra e suinon trascurabili interrogativiche una tale richiesta avreb-be potuto sollevare “sul com-portamento del soldato tede-sco”: “proprio in questo mo-mento infatti tale governo(quello di Bonn) si vede co-

stretto a compiere presso lapropria opinione pubblica ilmassimo sforzo, allo scopodi vincere la resistenza cheincontra oggi in Germania laricostruzione di quelle Forzearmate di cui la Nato recla-ma con impazienza l’allesti-mento”. Detto e fatto. Il 29ottobre a stretto giro di po-sta, il ministro della Difesa,il democristiano Paolo EmilioTaviani, accoglieva l’invito.La ragion di Stato aveva se-polto la legittima richiesta digiustizia.

Durissime le conclusio-ni del Consiglio mili-tare sull’intera vicen-

da: “Ne deriva che il trasfe-rimento presso la Procura ge-nerale militare dei rapporti edenunce che vi erano arriva-ti, provenienti da tutta Italia(...) non è stata semplice con-seguenza di decisioni non con-divisibili o inopportune; ben-sì più particolarmente il frut-to di un insieme di determi-nazioni radicalmente contra-rie alla legge adottate da unorgano privo di ogni compe-tenza in materia che hannosistematicamente sottratto gliatti al Pubblico ministero com-petente e perciò impeditoqualsiasi iniziativa di indagi-ne di esercizio dell’azione pe-nale.

Edunque la grave viola-zione della legalità, siapure con conseguenze

ormai irreparabili e di ampiaportata sul funzionamento del-l’intera giustizia militare nelsecondo dopoguerra, non puòessere attribuita agli uffici giu-diziari militari o alle Procuremilitari in generale, bensì so-lamente alla Procura genera-le presso il Tribunale supre-mo militare, il solo Ufficioresponsabile, senza possibi-lità di controllo da parte dialtri organi giudiziari, del-l’indebito trattenimento deifascicoli sui crimini di guer-ra”.Un ultimo dato su cui riflet-tere: nel 1965, a vent’annidalla fine della guerra, le sen-tenze (pronunciate) dai Tri-bunali militari per crimini diguerra erano soltanto 13. Gliimputati 25. Non tutti i pro-cessi erano stati istruiti suidocumenti consegnati dallaProcura generale militare.

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La condanna all’ergastolo emessa dal Tribunale militare di Torino

Siegfried Engel, 90 anni,ex tenente colonnellodelle SS ed ex coman-

dante dell’Aussenkommando(AZ) di Genova, il cervellodella repressione antiparti-giana, è stato condannato al-l’ergastolo dal Tribunale mi-litare di Torino. Era accusato di “reato conti-nuato di violenza in concor-so con omicidio in danno dicittadini italiani” compiuto frail 1944 ed il 1945. Le vittime, tutte fucilate, frala Benedicta, il Turchino,Portofino e Cravasco, furono246.La sentenza, che ha accoltole richieste del Pubblico mini-stero, è stata emessa il 15 no-vembre scorso. Il processo,uno dei primi ad essere cele-brato, dopo la scoperta di mi-gliaia di fascicoli inevasi al-la Procura generale militaredi Roma, era iniziato il 26maggio.

Gli elementi per processare ilcriminale di guerra erano giàesistenti sin dal 1946-1948,quando la Prefettura di Genovaaveva inviato una serie di do-cumentati rapporti alle varieautorità centrali fra cui laProcura militare di Roma edil Ministero degli Interni. Inuno di questi, il 13 giugno1946, erano stati segnalati inumerosi casi di saccheggi,violenza, sevizie, deportazio-ni, omicidi, furti, rapine, per-secuzioni razziali compiuti nelterritorio ligure, segnalandocome la maggiore responsa-bilità fosse da attribuire alComando delle SS di Genova,con sede nella Casa dello stu-dente.

Erano stati indicati i no-mi dei presunti colpe-voli fra cui Siegfried

Engel, comandante appuntodell’AK di Genova “in mano- precisava il comunicato -

agli Alleati”. Ma una voltagiunto alla Procura generalemilitare, l’intero rapporto sul-le stragi in Liguria era statobloccato per la dolosa deter-minazione della stessa Procuragenerale militare di non pro-cedere contro i criminali na-zisti attraverso l’occultamen-to di centinaia di fascicoli pro-cessuali.

Mezzo secolo dopo, il28 gennaio 1995,l’inchiesta si era ria-

perta con l’iscrizione del no-me di alcuni ufficiali nazisti,fra cui Engel, nel registro del-la Procura militare di Torinoper le stragi del Turchino edella Benedicta, ma il 6 otto-bre, otto mesi dopo, era giun-ta la richiesta del giudice del-l’archiviazione con una for-mula puramente rituale.Sembrava tutto finito quandol’arrivo a Torino del Procura-tore militare Pier Paolo Rivello

La lunga marcia di sanguedel boia della BenedictaSiegfried Engel, ex comandante delle SS di Genova, ha 90 anni e vive ad Amburgo - Fu responsabiletra il 1944 e il 1945 anche degli eccidi del Turchino, di Portofino e di Cravasco - Le vittime furono 246.

diede rinnovato impulso al-l’indagine con nuovi accerta-menti. Il 10 ottobre 1996, sul-la base dell’identificazione daparte dei carabinieri dell’esi-stenza in vita di Engel e deltenente SS Otto Kaess (chemorirà a Colonia il 24 set-tembre 1998, prima dell’av-vio al processo), la Procuramilitare riaprì l’inchiesta cheportò al rinvio a giudizio dell’8ottobre 1998.

Il tenente colonnello Engelche vive ad Amburgo-Lokstedt, è stato giudica-

to in contumacia. Dunque do-po Priebke, colpevole di averpreso parte all’eccidio delleFosse Ardeatine, e dopoTheodor Saevecke, il massa-cratore di piazzale Loreto, en-trambi condannati al massi-mo della pena, è stato il tur-no di questo feroce capo na-zista, terrore di Genova al tem-po dell’occupazione tedesca.

Alcuni partigianicatturati sul San Martino(Varese),il 15 novembre 1943 e subito uccisi

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sponsabilità: “Quando egli ini-ziò il suo comando, le Alpi li-guri facevano parte di un’a-rea in cui le bande erano estre-mamente attive. Engel ha sa-puto, attraverso un’esempla-re collaborazione con i co-mandi delle forze armate, mo-bilitare assai bene le scarseforze a disposizione nella suazona di competenza, per com-battere le bande. Consideratala scarsità di truppe, egli hasaputo raggiungere risultatieccellenti. Con un lavoro mi-nuzioso ed instancabile hamesso in piedi un servizio dispionaggio contro i banditi,ha organizzato gruppi di azio-ne contro le bande e ne ha di-retto e coordinato l’impiegocon successo”.

La prima medaglia, Engelse la guadagnò con iltremendo rastrellamen-

to della Benedicta (dal nomedi un antico romitorio) a ca-vallo dell’Appennino ligure-piemontese fra la Val Stura ela Val Lemme, condotto fra il6 e l’11 aprile 1944. Fu un’a-zione decisa a tavolino daiComandi germanici, che inquel modo volevano garan-tirsi la sicurezza del control-lo delle vie di comunicazio-ne stradali e ferroviarie tra lariviera ligure e la pianura pa-dana e la tranquillità operati-va per lunghi mesi. I partigiani, nei rapporti in-viati ai tedeschi da parte del-la IV Legione della Gnr diAlessandria, erano stati so-pravvalutati: in realtà la IIIBrigata “Garibaldi” Liguriae la Brigata autonoma “Ales-sandria” contavano su circa800 unità, di cui solo la metàera dotata di vecchi fucili mo-dello ’91, e su un’organizza-zione molto precaria. Molti erano ragazzi, non pre-parati, sfuggiti ai reclutamentidella Rsi, convogliati in unazona ristretta (il che era sta-to un errore) nella speranzadi un rapido addestramentomilitare e di un altrettanto ra-pido arrivo degli anglo-ame-ricani. Non era mancata pur-troppo anche una sottovalu-tazione del nemico da partepartigiana.

L’attacco decisivo daparte di unità tede-sche, Gnr e bersa-

glieri italiani, iniziò all’alba

del 6 aprile dopo l’accer-chiamento del fondovalle. Ipartigiani furono presi di sor-presa, ci fu un parziale ripie-gamento sulla Benedicta men-tre altri gruppi si apprestaro-no a resistere. Non mancarono degli sban-damenti. Il 7 aprile il massa-cro: i tedeschi calarono sullaBenedicta dove, a gruppi dicinque, ragazzi inermi furo-no sterminati dai bersaglieriagli ordini di un ufficiale diEngel. Settantacinque i caduti. I cor-pi vennero gettati in una fos-sa comune che alla fine dellagiornata fu riempita di un cen-tinaio di cadaveri, uccisi do-po la cattura il 7 aprile.

Altri gruppi di sbandativennero sorpresi nel-le zone vicine e truci-

dati immediatamente: tredicia Villa Bagnara, sedici aVoltaggio, quattordici a PassoMezzano. Il bilancio finale fudi 145-147 vittime. Altissimoil numero dei deportati (an-che contadini e civili della zo-na), circa 400 nei campi diMauthausen e di Gusen. Il ra-strellamento aveva cancella-to tutto il lavoro che sino al-l’aprile del ’44 il Cln di Ovada,di Novi Ligure (sede del-l’Armata di Graziani), di AcquiTerme, il Cln ed i partiti an-tifascisti, avevano condottoper costituire e potenziare laIII Brigata Liguria e la Brigataautonoma “Alessandria”.La seconda accusa mossa con-tro Engel riguardava il mas-sacro di cinquantanove pri-gionieri (undici rimasti senzaidentità) prelevati dalla Casadello studente e dal carcere diMarassi di Genova e fucilatiil 19 maggio 1944 in localitàFontanafredda presso il pas-so del Turchino.

Quarantadue erano anti-fascisti provenienti an-che da altre province,

diciassette erano giovani ra-strellati il mese precedente al-la Benedicta. Le fucilazionierano state la risposta cheEngel aveva dato al movi-mento gappista genovese, reodi aver fatto esplodere il 14maggio una bomba al cinemaOdeon che aveva provocato lamorte di cinque militari te-deschi ed il ferimento di quin-dici. Una risposta, seppur di

proporzioni più ridotte, in li-nea con il modello delleArdeatine (anche se il rap-porto tra tedeschi uccisi e vit-time della rappresaglia superòil rapporto di uno a dieci adot-tato da Kappler) affidata alleSS e realizzata con modalitàparticolarmente crudeli. Infattile vittime furono costrette asalire su assi protese su unagrande fossa scavata il gior-no precedente da un gruppodi ebrei detenuti nel carceredi Genova, per poi essere ab-battute in gruppi di sei, lega-te due a due, dai mitra delleSS e di soldati della Krieg-smarine.

Gli esecutori tentaronodi cancellare le traccedell’eccidio segnalan-

do in un comunicato del 20maggio che era avvenuto il 18e non il 19, una falsità che,aggravata dalla impossibilitàdi avere notizie dalla Casa del-lo studente e dal carcere diGenova, impedì a lungo ai fa-miliari di conoscere la noti-zia del massacro. Un delittopremeditato e crudele al difuori dello stesso concetto dirappresaglia, in qualche casoammesso dal diritto interna-zionale.

L’eccidio di Portofinonella notte tra il 2 edil 3 dicembre 1944

era il terzo episodio conte-stato ad Engel, che aveva au-torizzato il prelevamento dal-la Sezione IV del carcere diMarassi di 22 detenuti politi-ci per l’esecuzione. Un ritoterribile: gli sventurati furo-no fucilati sulla spiaggiadell’Olivetta, poi, legati l’u-no all’altro con del filo di fer-ro, vennero caricati su dellebarche e gettati in mare conpesanti pietre come zavorra.Il Castello di San Giorgio so-pra Portofino era diventato se-de di un luogo di torture in-flitte dal tenente Ernst Rei-mers. Una succursale dellaCasa dello studente di Genova,più appartata, dunque adattaper le violenze contro i dete-nuti. Le ragioni dell’eccidiodi Portofino, a lungo segreto,non furono mai chiare.Qualcuno sostiene, e forse aragione, che si sia trattato diuna rappresaglia per l’elimi-

Sentenze che, se da un puntodi vista giudiziario hanno po-ca rilevanza dato il tempo tra-scorso, servono a chiudere dalpunto di vista storico alcunefra le più orrende pagine de-gli anni dell’ultima guerra ea ridare, come ha ricordatoLeonardo Paggi, docente distoria contemporanea all’Uni-versità di Modena, “volti e no-mi ai massacratori perché lastoria non si può scrivere so-lo con le testimonianze dellevittime”.

L’istruttoria condottadal giudice BenedettoManlio Roberti è riu-

scita, grazie alla consulenzastorica del professor CarloGentile, una ricca documen-tazione proveniente dalBundesarchiv di Friburgo e diBerlino, una serie di testimo-nianze (compreso l’interro-gatorio reso da Otto Kaess il9 giugno del ’97 per rogato-ria in Germania) a ricostrui-re le efferate stragi compiutein Liguria ed in Piemonte daimilitari tedeschi. Si è trattatodi un’operazione lunga e dif-ficile da cui è uscito a tuttotondo il ruolo del tenente co-lonnello Engel, comandantedi prima linea, alla guida di-retta dei rastrellamenti tantoda guadagnarsi la Croce almerito di prima classe conspade ed una motivazione chenon lascia dubbi sulle sue re- (Segue a pag.18)

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Un nazista perfetto(f.g.)-Chi era Siegfried Engel, il boia della Benedicta e delTurchino, di Portofino e di Crevasco, il torturatore dellaCasa dello studente, l’aguzzino della IV Sezione del car-cere di Marassi, da cui venivano prelevati i patrioti antifa-scisti per le fucilazioni, condannato all’ergastolo nello scor-so mese di novembre dal Tribunale militare di Torino, chevive tranquillamente, come se nulla fosse successo, nei pres-si di Amburgo?Nato a Warnau sull’Havel, in Sassonia-Anhalt, il 31 gen-naio 1909 da una famiglia di insegnanti, dopo gli studi me-di si iscrisse all’Università di Kiel dove seguì gli studi sto-rici. A quel punto la svolta che avrebbe segnato la sua vi-ta. Nel 1932 infatti entrò nel Partito nazionalsocialista (tes-sera n. 1.305.576). Componente fino al luglio 1934 delle famigerate SA, unitàdi repressione, dal 1936 entrò a far parte delle SS (tesseran. 272.593). Nominato ufficiale il 12 settembre 1937, Engelfu inquadrato nel Servizio di sicurezza. Tenente nel 1937,capitano nel 1939, maggiore nel 1941, successivamente te-nente colonnello. Secondo una relazione del professor Carlo Gentile, consu-lente tecnico della Procura militare di Torino, Engel era “uo-mo dal carattere forte, capace di imporsi, saldo dal puntodi vista ideologico, un nazionalsocialista perfetto”.Dopo aver assunto dal gennaio 1944 la direzione

dell’Aussenkommando di Genova, si dedicò in un primomomento alla repressione degli scioperi e poi, sempre piùintensamente, alla lotta antipartigiana, costituendo repartiautonomi e “controbande”, gruppi di SS e di repubblichinidi Salò che agivano sul territorio direttamente controllatodalla Resistenza cercando di ottenere informazioni, attac-cando elementi isolati e piccoli Comandi di distaccamenti.Secondo una relazione del ’44 dell’ufficio di Genova, il te-nente colonnello Siegfried Engel poté contare in quel pe-riodo su oltre 250 effettivi (120 tedeschi e 130 fascisti ita-liani) con autocarri ed un certo numero di blindati. Oltre ai grandi rastrellamenti e ai vari eccidi contestati dal-la magistratura militare e che rappresentano la base giudi-ziaria del processo terminato a Torino con la condanna al-l’ergastolo, Engel condusse di sua iniziativa un notevole nu-mero di piccole azioni contro i cosiddetti “banditi”: l’8 ot-tobre nell’ambito della “operazione Milano”, il 21 agostola “bonifica” della strada Voghera-Piacenza, il 21 novem-bre il conflitto a fuoco presso Isola del Cantone. “Con unlavoro minuzioso ed instancabile - si legge nella propostadel conferimento all’alto ufficiale nazista della Croce al me-rito di guerra di prima classe con spade - ha messo in pie-di un servizio di spionaggio contro i banditi, ha organizza-to gruppi di azione contro le bande e ne ha diretto e coor-dinato l’impiego con successo”.

Un villaggioincendiato nel gennaio 1945

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nazione di alcune spie da par-te del Comando generale del-le Brigate “Garibaldi” il 30novembre. Il tenente colonnello Engeldoveva rispondere anche del-la fucilazione, avvenuta il 23marzo 1945, di diciassette de-tenuti nella IV Sezione delcarcere di Marassi nei pressidel cimitero di Cravasco.

Le esecuzioni avrebberodovuto essere venti, madue prigionieri riusciro-

no a fuggire durante il trasportoed un altro, Arrigo Diodati(“Franco”), 19 anni, pur feri-to alla gola, era finito sotto ilcorpo di un compagno colpi-to a morte, riuscendo a sal-varsi. Anche in questo caso siera trattato di una brutale rap-presaglia organizzata dall’AK

di Engel a seguito di un’im-boscata dei partigiani dellaBrigata “Balilla” nella quale,il 22 marzo, a Campomoronedi Genova, era caduta una pat-tuglia di militari tedeschi. Nello scontro a fuoco le vitti-me tedesche erano state otto.Engel non aveva perso tempo:dalla sezione SS di Marassivennero prelevati i morituri, lamattanza fu affidata a marinaitedeschi al comando di un uf-ficiale, con la partecipazionedi sottufficiali SS e di un ita-liano collaborazionista.

Depositata la motivazione dell’ergastolo a Theo Saevecke

Quella di piazzale Loretofu una strage preme-ditata e crudele. Ma

non solo. Fu studiata nel la-boratorio della morte del-l’Hotel Regina, sede delle SS,in ogni particolare, affidandoai militi della “Muti” e della“Gnr” il compito di stermi-nare le innocenti vittime e dilasciarle poi sul selciato in se-gno di feroce ammonimento.Il capitano Theo Saevecke, re-sponsabile della Sipo-Sd, lapolizia e servizio di sicurez-za delle SS di Milano, fu ilresponsabile della fucilazio-ne dei 15 antifascisti di piaz-zale Loreto il 10 agosto 1944.Prese personalmente la deci-sione di prelevare i prigionieridal carcere di San Vittore, inpieno accordo con l’apparatonazista dell’Hotel Regina edel generale Tensfeld diMonza, responsabile delle SSdel Nord Italia.La strage aveva rappresenta-to la feroce risposta ai mar-

tellanti attacchi dei Gap (iGruppi d’azione patriottica) aMilano e in provincia, ultimodei quali l’attentato dell’8 ago-sto ad un autocarro tedesco inviale Abruzzi, che provocò lamorte di nove civili italiani enumerosi feriti. Ma di questoepisodio, la medaglia d’orodella Resistenza, GiovanniPesce, a quel tempo coman-dante del terzo Gap “Rubini”,ha negato sempre la paternità.Fu dunque una strage spieta-ta, freddamente voluta, pro-grammata e non una rappre-saglia, perché in contrasto conogni regola militare.La condanna all’ergastoloemessa il 9 giugno 1999 dalTribunale militare di Torino,accogliendo le richieste delProcuratore militare Pier PaoloRivello, trova il suo fonda-mento giuridico anche in unaltro fondamentale elemento:i giudici militari, nelle moti-vazioni della sentenza redat-ta dal presidente StanislaoSaeli e depositate in cancel-

leria il 9 luglio scorso, hannoritenuto subvalenti le ricono-sciute attenuanti rispetto alleaggravanti della premedita-zione e della crudeltà, facen-do scattare la imprescrittibi-lità del reato.Nel testo, di una quindicinadi pagine, i giudici hanno il-lustrato il percorso compiutoper giungere alla sentenza.

La competenza giudiziaria:le SS, secondo la Corte diCassazione, facevano partedelle Forze armate del Reich,dunque erano pienamente as-soggettabili alla giurisdizio-ne penale militare. Saeveckeapparteneva senza dubbio alcorpo delle SS, come hannodimostrato documenti e foto-grafie.

La responsabilità:deriva da decine di testimo-nianze e da vari rapporti in-terni alle SS, primo fra tuttiuna relazione proveniente dal-l’archivio federale di Berlino

in cui si fa espresso riferimentoalla strage. Nel documento silegge fra l’altro: “Nel perio-do compreso fra il 21 luglioed il 10 agosto i Gap hannocompiuto molti attentati (...).In risposta, il 10 agosto quin-dici detenuti della Polizia disicurezza sono stati pubblica-mente fucilati in una piazza diMilano. A fine intimidatorio icadaveri sono stati lasciati sul-la piazza per un giorno”.

La decisione:fu assunta dal capitanoSaevecke, una “deità” nel car-cere di San Vittore, secondola definizione del giornalistaIndro Montanelli, che riuscìad evadere in modo rocam-bolesco dalla prigione mila-nese pare con la collabora-zione dello stesso Saevecke.Altri autorevoli testimoni, fracui Elena Morgante, segreta-ria dell’ufficiale nazista, han-no affermato che fu il capita-no SS a pianificare il delitto:“Io personalmente presentai

Piazzale Loreto:il massacro fu premeditatoEvitata la prescrizione del reato - Demolita l’ipotesi della rappresaglia perché nell’attentato dell’8agosto 1944 in viale Abruzzi a Milano non ci furono vittime tedesche.

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L’eccidio di Caiazzo:scomparso il dossier,vinse l’insabbiamento

La denuncia dell’allora sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Paolo Albano

Ho letto su “Repubblica” l’interessante reportage sulla stra-ge nazista di Sant’Anna di Stazzema e sulla scoperta del-le verità, a suo tempo volutamente nascoste, su quel terri-bile fatto di sangue.Vorrei intervenire sull’argomento segnalando la palese ana-logia che il detto caso presenta con quello dell’eccidio diCaiazzo del 13 ottobre 1943, richiamato nello stesso arti-colo e parimenti coperto per lunghi anni dello stesso dolo-so silenzio (esso segna storicamente l’inizio della ferocianazista in danno di civili italiani, in quanto consumato sudonne, vecchi e bambini caiatini ad appena un mese dallafirma dell’armistizio dell’8 settembre ’43).Quando ero sostituto procuratore della Repubblica a SantaMaria Capua Vetere ebbi a condurre, nei primi anni Novanta,le indagini sulla strage, riaprendo il caso 50 anni dopo ilfatto, grazie al ritrovamento negli Stati Uniti di un dossier- prima coperto dal segreto militare - da parte del cittadi-no italo-americano Joseph Agnone. Nel corso dell’istrut-toria rimasi oltremodo sorpreso dalla mancanza di ogni equalsiasi precedente giudiziario relativo al massacro, cheinopinatamente per la giustizia italiana era come se non sifosse mai verificato.Durante il processo, poi, ebbi modo di rinvenire la provadocumentale della volontà politica, nell’immediato dopo-guerra, di insabbiamento del caso. Dal carteggio, infatti,del maggio ’46, di William Stoneman, consigliere specia-le del segretario delle Nazioni Unite, con il direttore delDipartimento della guerra di Washington è emerso che unacommissione militare d’inchiesta degli alleati aveva inda-gato sulla strage, identificando due degli autori nel tenen-te Wolfgang Emden e nel caporale Kurt Schuster - e chetutti gli atti erano stati trasmessi alle autorità italiane. Conlettera del 15/12/46 il colonnello Tom Barrat comunicavache il “caso 188” (quello di Caiazzo) era stato definito conla seguente motivazione: “Trasmesso al governo italiano il7 luglio 1946, in conformità della dichiarazione del 1943,perché tutte le vittime erano italiane”.È un dato storico che il dossier, ufficialmente trasmesso,scomparve poi nel nulla e il silenzio scese sullo spavento-so eccidio. Pur processati a Santa Maria C.V. e condanna-ti all’ergastolo nel 1994, Emden e Schuster rimangono li-beri nel loro Paese. È giusto che si sappia.

da “Repubblica” del 7 novembre 1999

questa lista al Saevecke e glichiesi di ridurla ulteriormen-te a quindici nominativi, co-sa che egli fece”.

Qualificazione del reato:fu “violenza con omicidio indanno di cittadini italiani” delcodice penale militare e nonfu rappresaglia perché non vifu lesione di un diritto o in-teresse dello Stato, non ci fuproporzionalità rispetto al-l’offesa ricevuta, furono vio-lati i più elementari valoriumani. Nessun tedesco caddein viale Abruzzi per cui “nonavrebbe potuto neppure esse-re invocato il bando diKesselring”. Non ci fu nep-pure da parte germanica un’in-chiesta per risalire ai colpe-voli.

Modalità organizzative:Saevecke definì le modalitàdell’eccidio, gli esecutori, illuogo, il numero dei fucilan-di fra l’8 ed il 9 agosto. Inoltrediede ordine a due sottuffi-ciali SS, Heininger e Jarsko,di controllare gli uomini del-la “Muti” e della “Gnr” men-tre si recavano con il loro ca-rico umano da San Vittore apiazzale Loreto e di riferirese l’esecuzione fosse avve-nuta.

La pena:detto della prevalenza delleaggravanti sulle attenuanti ge-

neriche (aver liberato Parri eaiutato Montanelli, aver mo-strato “sensibilità” in alcuneoccasioni di fronte alle pres-sioni del cardinale di Milano,non essersi mai sottratto aisuoi giudici in altri processi),l’ergastolo poggia la sua le-gittimità sulla non prescri-zione del reato. Una prescri-zione improponibile dal mo-mento che, sia la memoria sto-rica che l’allarme sociale pro-dotto dalla strage, vivono tut-tora nella coscienza popola-re.Scrive il presidente Saeli:“Tutti i testimoni che sono sfi-lati davanti al Collegio han-no dimostrato, con l’emozio-ne delle voci, con le lacrimee con ogni altro segno di par-tecipazione, di aver impressoindelebile nella memoria quan-to hanno visto ed udito. La vivacità dei ricordi, benpiù nitidi di quelli riguardan-ti fatti recentissimi ma di po-co o nullo allarme sociale, hapermesso al Collegio di al-lontanare da sé il pericolo -gravissimo in un giudice im-parziale - di considerarsi “giu-dice della storia”. La mole di documenti proba-tori, la “freschezza” delle di-chiarazioni testimoniali, lapassione profusa dalle partiprocessuali nel sostenere ilproprio ruolo hanno fatto di-menticare che si trattava difatti accaduti più di mezzo se-

Civili e militari fucilati dai tedeschi in ritirata sul fronte del Sud

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Nel rifugio già pronto per l’esplosione si precipitarono i civili per sfuggire ad un bombardamentodella città vicina - E così anche gli italiani si salvarono - Trasferiti su carri bestiame verso Belsen,dove arrivarono però le truppe inglesi - Fame, angherie, torture, fucilazioni per i soldati che aveva-no rifiutato di collaborare con i tedeschi - Il ricordo dell’ex deportato Gianfranco Araldi.

Noi giovani militari fum-mo internati al Doracontro ogni accordo

internazionale sulla tutela deiprigionieri di guerra. Fin dal-l’inizio eravamo destinati amorire, dopo aver lavorato incondizioni disumane nel cam-po di lavoro forzato, impe-gnato nella costruzione dellearmi segrete V1 e V2, con cuiHitler contava di vincere laguerra.Quando invece si delineò conchiarezza la sconfitta dellaGermania, i comandanti dellager pensarono di eliminar-ci tutti all’interno del tunnelche serviva per la fabbrica-zione delle armi segrete.Avevano già minato gli in-gressi, ma un bombardamen-to sulla città di Nordhausenfece confluire, proprio nel tun-nel, l’intera popolazione ci-vile. E noi fummo salvi. Allorale SS ci caricarono su vago-ni bestiame, 110 su ogni car-ro, con una razione costituitada un pezzo di pane e una fet-ta di carne in scatola, e ci in-viarono ai confini dellaDanimarca, per farci “spari-re” in un altro campo. Ma percome stavano volgendo le vi-cende belliche, nessun lagersi prese la responsabilità diquesto sterminio. E noi con-tinuammo a vagare a nord del-la Germania, su un treno chenessuno voleva.

Non ci davano da man-giare, già i prigionie-ri erano stremati dai

patimenti, per cui i morti al-l’interno dei vagoni aumen-tavano di giorno in giorno.Noi sopravvissuti aspettava-mo il nostro turno. Ma la spe-ranza ci ha sempre sorretto e

l’attaccamento alla vita nonci ha mai abbandonato.Dopo tre giorni arrivammo al-la stazione di Bergen, con de-stinazione il campo di ster-minio di Belsen, distante cir-ca tre chilometri. Ci miseroin colonna e camminammolungo un viale alberato, scor-tati da militari tedeschi con icani. Chi, sfinito, non ce lafaceva a tenere il passo, ve-niva freddato con un colpo dipistola alla tempia da un sot-tufficiale e abbandonato ai la-ti della strada.Arrivati a Belsen, siamo sta-ti liberati dalle truppe ingle-si. Proprio a Belsen abbiamosaputo che un medico delleSS aveva comunicato che pernoi era stato preparato un va-gone di pane avvelenato pereliminarci tutti.Furono 302 i nostri compagniche non riuscirono a farcela.Chi per la fame, chi per le ma-lattie, chi per le torture, chiper le esecuzioni capitali. E iloro corpi non ricevettero nem-meno una degna sepoltura: ac-catastati con le ruspe e cari-cati sui camion, scomparveronei forni crematori. Unico do-cumento sulla loro sorte ri-mangono i cartellini di iden-tità che avevamo al campo eche riuscimmo a sottrarre al-le salme, impedendone la di-struzione da parte delle SS.Io li conservo tuttora.Fra i compagni meno fortu-nati vi furono sette alpini, fu-cilati con l’accusa di sabo-taggio. La verità è che queiragazzi, dovendo sostenere unturno di lavoro particolarmentepesante, avevano diritto ad unarazione supplementare di zup-pa, che però non ricevevanomai: quel misero cibo veniva

La rampa di lancio di una V2 (a sinistra)e la partenza del missile

Nella foto della pagina accantouna V1 viene trainata fuori dal tunnel verso la rampa di lancio

Il ricordo dell’ex deportato Gianfranco Araldi

Sopravvissuti per cas KZ D

ORA

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venduto al mercato nero.Allora protestarono, dichia-rando che in mancanza delsupplemento avrebbero chie-sto un altro turno di lavoro.

Da qui la condanna persabotaggio. L’esecu-zione avvenne alla pre-

senza di tutti i militari italia-ni: sei alpini furono fucilatiin piedi, il settimo - che nonsi reggeva - fu assassinato conun colpo di pistola alla tem-pia mentre era sdraiato a ter-

ra. È proprio a questo tipo disacrificio che vogliamo oggirendere il dovuto onore. E la presenza ufficiale del-l’esercito italiano alla nostracelebrazione ha questo signi-ficato. Erano militari di leva senzanessuna colpa, se non quelladi essere rimasti fedeli alla lo-ro patria, nonostante la de-portazione: se avessero col-laborato con le SS, si sareb-bero salvati.

KZ Dora:oltre 300 morironoper non collaborare

La storia dei 302 militari italiani “uccisi dalle torture, dallavoro forzato e dalle malattie” nel campo di sterminio diDora, è parte di quella dei 650.000 soldati catturati dai te-deschi, “che rifiutarono nella stragrande maggioranza, l’a-desione al nazifascismo”. Lo ha ricordato il presidente del-la Camera, Luciano Violante, nel suo messaggio in occa-sione della cerimonia commemorativa di SalsomaggioreTerme. Di analogo tenore l’omaggio del ministro della DifesaCarlo Scognamiglio “ai caduti del KZ Dora e in tutti i la-ger ai quali” ha aggiunto “rinnoviamo la nostra gratitudineper una testimonianza di grande valore morale che costi-tuisce un alto riferimento per la coscienza di ogni cittadi-no”.Dopo il discorso del sindaco di Salsomaggiore, prof. AdrianoGrolli (“la città è onorata - ha detto tra l’altro - di ospitareda anni la commemorazione”), hanno parlato un soprav-vissuto del lager, Gianfranco Araldi, e la figlia Lucia.Insegnante di scuola media, Lucia Araldi si è soffermatasull’interesse che - come dimostra la sua esperienza - su-scitano le testimonianze degli ex deportati: “Anche i ragazziapparentemente più insensibili restano senza parole - hadetto - ad ascoltare per ore i loro racconti”.

o nel tunnel delle V2

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Sfuggiti ai franchisti nel 1939, furono catturati dai nazisti nella

Esiste nella storia delladeportazione politica inGermania una pagina

poco conosciuta, di cui sonostati protagonisti circa dodi-cimila spagnoli, nonostante,durante la seconda guerramondiale, la Spagna sia ri-masta neutrale, in una posi-zione ambigua, prima favo-revole all’Asse, poi, quandoil vento cambiò, favorevoleagli Alleati.Gli spagnoli in questione fa-cevano parte dei cinquecen-tomila repubblicani, anziani,donne, bambini e militari, chetra fine gennaio ed inizio feb-braio 1939, avevano attraver-sato la frontiera della Ca-talogna per trovare rifugio inFrancia e così sfuggire allacattura da parte dei franchi-sti, che praticavano la siste-matica eliminazione fisica deiloro avversari, la cosiddettalimpieza (pulizia).Le autorità francesi, impre-parate a fronteggiare un eso-do di tali dimensioni, tratten-nero i profughi appena oltreil confine sui contrafforti pi-renaici ad una temperatura in-feriore allo zero per poi tra-sferirli sulle lande sabbiosedel Sut-Est, dove, rinchiusi datre lati dal filo spinato e da unlato dal mare, languirono perdiversi giorni in buche umidescavate nella sabbia, con scar-so cibo e senza assistenza me-dica.

Successivamente donne,bambini e feriti furonotrasferiti in strutture più

adeguate e sulle spiagge delRoussillon vennero costruitedelle baracche di legno per

consentire agli uomini un ri-fugio meno precario; fu inol-tre migliorata la distribuzionedel cibo e l’assistenza ai feri-ti. Con l’aggravarsi della mi-naccia di guerra, il governofrancese costituì delle “Com-pagnies de Travailleurs Ètran-gers” (C.T.E.), formata ognu-na da duecentocinquanta in-ternati agli ordini di un uffi-ciale della riserva, utilizzatein lavori pubblici nei diversidipartimenti o nel completa-mento della linea fortificataMaginot. Cinquemila rifugia-ti, decisi a riprendere le armicontro i tedeschi, si arruola-rono nei “Battallions deMarche” della Legione Stra-niera. Gli appartenenti alle

C.T.E. operanti al Nord e quel-li militarizzati, si trovaronocoinvolti nella disfatta dell’e-sercito francese del giugno1940 e molti caddero prigio-nieri dei tedeschi, che non ri-conobbero loro la qualifica diprigionieri di guerra ma li con-siderarono, pare su sollecita-zione di Ramon Serrano Suñer,cognato di Franco e ministrodegli Esteri spagnolo, prigio-nieri politici e come tali fu-rono inviati al campo diMauthausen in Austria, all’e-poca riservato agli antinazistied ai detenuti comuni tedeschied austriaci. I tedeschi classi-ficarono i Rotspainer (primistranieri internati), chiamatianche spregiativamente

Così venivano “marchiati” i prigionieri che furono fra i 12 e i 15 mila. Ne sopravvissero poco più diduemila - La maggior parte di essi venne destinata a lavorare nella famigerata cava di pietra -Eliminati anche con “operazioni bagno” o iniezioni al cuore. - Un cippo ricorda il loro sacrificio

Spanischer Bolschewik, tra gliapolidi, imponendo loro co-me distintivo il triangolo blu,negando loro la qualifica dipolitici, cioè il triangolo ros-so e la nazionalità. Il primospagnolo ad essere registratofu Christobal Nautissa Bernal,con il numero 3.058. Egli fa-ceva parte del convoglio diAngoulême, dalla città dellaFrancia centrale dove era sta-to costituito, giunto aMauthausen il 6 agosto 1940. Sui vagoni erano stipate inte-re famiglie, ma alla stazionefu fatta una selezione: i ma-schi fino a dodici anni furo-no internati mentre le donneed i bambini piccoli furonomandati in Spagna.

1941: un repubblicano spagnolo fucilato durante la fuga

MAUTHAUSEN

L’odissea degli spagno

di Pietro Ramella

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Francia occupata

Nei primi due anni, dopo gliebrei, gli spagnoli furono i de-tenuti contro cui metodica-mente infierirono le SS e i lo-ro scagnozzi; molti furono de-stinati alla costruzione dellacinta muraria del campo e del-le ville per le SS, ma la mag-gior parte venne destinata almassacrante lavoro nella ca-va di pietra (la “cantera”), diproprietà della società delleSS “Deutsche Erd und Ste-inwerke GmbH”, di cui, tral’altro, scavarono i tragici 186gradini utilizzati giornalmen-te dai “kommando”. Negli an-ni 1941 e 1942 ne furono uc-cisi circa 4.200; le elimina-zioni più feroci avvennero alsottocampo di Gusen tra il di-cembre 1941 ed il gennaio

1942, quando costituirono lamaggioranza dei 1.628 eli-minati con “operazioni bagno”od iniezioni al cuore. Per labrutalità del trattamento lororiservato, i deportati si pose-ro anzitutto il problema di sal-vare i giovani, non solo dalpunto di vista fisico, ma an-che da quello morale e poli-tico.

Nessun giovane dovevarestare solo durante illavoro all’infermeria

dove erano destinati, doveva-no sempre avere qualcuno alloro fianco che li sorveglias-se per impedire di cadere nel-le maglie della “protezione”di Kapò o capi blocco. Fu an-che deciso di aiutarli dal pun-

Con gli antifranchistianche un ex

primo ministroLa lista degli spagnoli che passarono attraverso lo StalagXIB prima di essere mandati al campo di concentramentodi Mauthausen - documento ufficiale del Comando del cam-po, ora in possesso dell’“Amicale nationale des déportés etfamilles de disparus de Mauthausen et ses commandos” diParigi - comprende 10.350 nominativi, di cui specifica: da-ta d’arrivo, nome, cognome, data e luogo di nascita, occu-pazione, nazionalità e numero assegnato ad ogni internatotra il 6 agosto 1940 ed il 20 dicembre 1941. Detta lista nonè risultata completa, infatti altre fonti stimano che gli in-ternati di nazionalità spagnola furono tra dodici e quindi-cimila, per cui - tenuto conto dei 2.398 sopravvissuti - i de-cessi oscillerebbero tra l’80 e l’84%.La personalità spagnola di maggior prestigio che conobbel’inumana esperienza dei campi di internamento nazisti ful’ex Primo ministro Francisco Largo Caballero, che arre-stato in Francia nel 1943 fu internato a Orianemburg (ma-tr. n. 69040). Riuscito a sopravvivere morirà a Parigi nel1946.

Prigionieri europeioccidentali evacuati dalla Croce Rossainternazionale tra il 19 e il 23 aprile 1945

oli con il triangolo blu

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to di vista alimentare, riser-vando loro i supplementi delrancio ottenuti con i serviziextra. Lo stesso sostegno fudato a quanti erano ricovera-ti in infermeria, anticameradei forni crematori, operazionedenominata “Soccorso rosso”a ricordo del sistema assi-stenziale in essere nellaRepubblica spagnola.

La disciplina militare, ladura esperienza deicampi francesi e la gio-

vinezza (età media 27 anni,dato che gli anziani erano sta-ti i primi a morire) consenti-rono agli spagnoli di adattar-si alle condizioni di vita delcampo di concentramento. Veri maestri nell’arte di or-ganizzarsi, impararono delleparole di tedesco dai volon-tari germanici ed austriaci, cheavevano militato nelle BrigateInternazionali, e misero a frut-to quest’esperienza costituendodei corsi di lingua; infatti, eraimportante capire il più velo-cemente possibile gli ordiniurlati dai Kapò per ottenere ilavori meno pesanti o per in-serirsi nell’organizzazione am-ministrativa del campo; mol-ti di loro divennero interpre-ti, segretari d’infermeria o del-l’intendenza, altri fecero i bar-bieri o gli addetti alle cucinee alle pulizie, approfittandodel fatto che i nazisti rivol-gevano le loro pesanti atten-zioni ai nuovi arrivati, pri-gionieri di altre nazionalità(polacchi, cechi, sovietici, fran-cesi ed italiani). Riuscirono così a migliorarele condizioni di vita, tanto chedalla primavera del 1943 nonvi furono tentativi di fuga (fi-no allora ne erano scappatidieci, dei quali uno solo nonfu ripreso) ed a partire dal-l’estate 1943 il loro tasso dimortalità risultò essere pa-recchie volte inferiore a quel-lo degli altri gruppi.Al disopra di tutte le ideolo-gie politiche e delle tendenzeseparatistiche, essi erano uni-ti da uno sconfinato amore per

il loro Paese e dall’odio con-tro il sistema franchista e quel-lo hitleriano, credevano nellasconfitta militare del nazifa-scismo e pensavano che il re-gime di Franco non sarebbesopravvissuto al crollo dellepotenze dell’Asse; per questovolevano vivere per tornare inSpagna. Sin dal 24 giugno 1941 ave-vano costituito il “Comitatospagnolo di resistenza”, pri-ma cellula dell’Ami (Ap-parato militare internaziona-le), organismo militare deidiversi gruppi nazionali, for-mato grazie all’intermedia-zione di ex soldati delle Bri-gate Internazionali, che avreb-be gestito il campo tra la fu-ga delle SS ed il definitivoarrivo delle truppe america-ne, accolte dagli spagnoli conun grande striscione con leparole: “Los españoles anti-fascistas saludan a las forzasde liberación”.

Essi furono l’unico grup-po nazionale che im-mediatamente dopo la

liberazione costituì un tribu-nale straordinario che con-dannò a morte e fece giusti-ziare diversi connazionali cheerano diventati Kapò agli or-dini delle SS. Il 6 maggio 1962fu eretta nel campo, a cura delGoverno della Repubblica spa-gnola in esilio, una stele a ri-cordo del loro sacrificio, re-cante la semplice scritta:“Homenaje a los 7.000 Repu-blicanos Españoles muertospor la Libertad”.Altri spagnoli, appartenentialla Resistenza francese, fu-rono internati, a Dachau eBuchenwald gli uomini, aRavensbrük le donne. Pochitorneranno. Non vanno infine dimentica-ti i circa 30.000 inviati al la-voro coatto in Germania pereffetto della reléve (scambiotra un prigioniero di guerrafrancese con tre lavoratori),dove molti morirono a causadei bombardamenti alleati edegli stenti.

Le amarezze degli ex de-portati spagnoli non so-no finite: infatti, men-

tre il governo tedesco ha ri-conosciuto la pensione ai vo-lontari franchisti della “Divi-sione Azul” prima dell’in-dennizzo corrisposto agli in-ternati e ai lavoratori coatti,recentemente il Partito po-polare del Primo ministro

Aznar non ha sottoscritto undocumento presentato daglialtri partiti che proponeva unriconoscimento a quanti scel-sero sessant’anni fa la via del-l’esilio, compresi quindi i de-portati, a causa del “golpe fa-scista contro la legalità re-pubblicana nel luglio 1936”.La verità storica fa male sot-to tutti i cieli d’Europa.

Memoriali e testimonidalla Resistenza alla deportazione

Attingendo, seppur parzialmente, alla ricca bibliografia cheripercorre la tragica esperienza dei campi di sterminio, tro-viamo scrittori che trattano la deportazione degli spagnolinel più ampio studio sull’esilio dei repubblicani alla finedella guerra civile, altri che riferiscono le esperienze di in-ternati spagnoli superstiti. Dai memoriali di ex deportati italiani conosciamo infineepisodi della permanenza degli spagnoli ed il loro atteg-giamento nei riguardi dei nostri compatrioti. In ultimo letestimonianze orali. Gianfranco Maris ricorda la diffiden-za ed il disprezzo con cui gli italiani furono accolti daglispagnoli, ormai inseriti nella struttura concentrazionaria,atteggiamento che cambiò quando giunse Giuliano Pajetta,ex combattente della guerra di Spagna, il quale spiegò lo-ro che anche gli italiani erano antifascisti e perseguitati.Raffaele Maruffi si ricorda di uno spagnolo del Soccorsorosso che lo aiutò, anche se - precisa - non era comunista,portandogli dei piccoli preziosi pezzi di pane mentre era ininfermeria e del Kapò chiamato Negus (altrimenti cono-sciuto come il Negro) che non infierì mai su di lui, tantoche tuttora gli spiace di non aver saputo del suo arresto edel processo a Norimberga, in cui avrebbe voluto testimo-niare a suo favore.

BibliografiaC. Bernadac, Tra i morti viventi di Mauthausen, Libritalia, Cittàdi Castello, 1996.A.Carpi, Diario di Gusen, Einaudi, Torino, 1993.N. Català, Ces femmes espagnoles de la résistance à la déporta-tion, Editions Tiresias, Parigi, 1994.R. Grando - J. Queralt - X. Febres, Camps du mepris, Libres deTrabucaire, Perpignan, 1991.G.J. Horwitz, Mauthausen, Ville d’Autriche 1938 - 1945, Editionsdu Seuil, Parigi, 1992.S. Juliá, Victimas de la Guerra Civil, Ediciones Themas de Hoy,Madrid, 1999.N. Mac Donald, Homage to the Spanish Exiles, Insight Books,New York, 1987.H. Marsalek, Mauthausen, La Pietra, Milano, 1977.V. Pappalettera, Tu passerai per il camino, Mursia, Milano, 1965.M.C. Rafenau Boj, Odyssée pour la liberté, Denoel, Parigi, 1993.J. Semprun, Il grande viaggio, Einaudi, Torino, 1964.

L’odissea degli spagnoli

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“Viaggio”nella deportazione

Dimenticaremai

I nostri ragazzi

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“Viaggio” nella

Ragazze e ragazzi delle terze medie

di Pioltello (Mi)

descrivono e commentano

la loro visita a Mauthausen e Gusen

Da uomini a numeri(e sognare il ritorno)

In questi versi Primo Levi esprime i sogni che nonostantetutto lo accompagnavano durante la deportazione ad Auschwitz.Egli, infatti, portato lontano dalla propria terra, privato diogni elemento di riconoscimento, cercava di conservare vi-vo il ricordo della propria casa e delle proprie abitudini, al-meno con i sogni, poiché forte era la volontà di sopravvive-re. Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini furonodeportati nei campi di concentramento, furono obbligati aperdere la propria identità per diventare un numero.All’improvviso di ognuno di loro non c’era più traccia: ve-nivano loro tagliati i capelli, erano spogliati dei loro abiti,costretti a farsi la doccia insieme a tanti altri sconosciuti,ad indossare una “divisa” da tenere per qualsiasi stagionee un paio di scarpe; e ricevevano un numero e un distinti-vo in relazione al gruppo di appartenenza.Io sono andata a visitare di persona il campo di Mauthausen.Una grande lapide ricorda i deportati e la rispettiva na-zionalità: quanti morti! Perché? È ancora difficile dareuna spiegazione logica. Il piazzale dell’appello apparivapiù grande e svegliava in me il ricordo delle migliaia dipersone, in fila tutte le mattine, preoccupate di appari-re al meglio della forma fisica per non essere espulsee quindi condannate a morire.Era una bella giornata di sole, ma molto fredda, io eroben coperta eppure avevo “freddo”, perché nella miamente sono tornati quegli uomini senza nome, senzadignità, portati in quei luoghi solo perché facevanoparte di una razza da estinguere, costretti ad obbe-dire al comando di un capo delle SS incomprensi-bile, beffardo e sanguinario. In quell’istante ebbi un

groppo al cuore: lì, in quel luogo, dove io avevo messo ipiedi, sono state uccisi migliaia di donne e di uomini, tradi-ti dalla voglia e dal desiderio di compiere un gesto o un ri-to abitudinario, come sostare o poggiarsi alle spalle del com-pagno. Quello che mi colpì di più fu la “scala della morte”:186 gradini che migliaia di deportati avevano percorso, por-tando sulle spalle grossi massi di pietra.Ero convinta che la deportazione degli ebrei o degli oppo-sitori ad un regime, non dovesse più ripetersi perché l’uo-mo aveva imparato l’inutilità della guerra e aveva provatovergogna per i numerosi deportati morti per il folle proget-to di un uomo. Non sembra che gli uomini abbiano fatto pro-prio il messaggio di Primo Levi; infatti, ascoltando la Tv eleggendo i giornali, mi sono resa conto che “qualcuno” staripetendo la pulizia etnica nelle terre balcaniche.Allora mi pongo alcune domande. A cosa è servito il sacri-ficio di tanti deportati? E, dunque, si può ancora condivide-re l’idea di razza superiore?

Luana Gualtieri

Sognavamo nelle notti feroci

Sogni densi e violenti

Sognati con anima e corpo

Tornare, mangiare, raccontare

Finché suonava breve sommesso

Il comando dell’alba

Wstawc: alzarsi

E si spezzava in petto il cuore

Ora abbiamo ritrovato casa,

Il nostro ventre è sazio,

Abbiamo finito di raccontare.

È tempo. Presto udremo ancora

Il comando straniero

Wstawc: alzarsi

Primo Levi, 11 gennaio 1946

I nostri ragazzi

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deportazione“La deportazione” e “La visita ai campi di Mauthausen e di Gusen, riflessioni,sentimenti, sensazioni”:questi i temi affrontati da ragazzi e ragazze delle terze medie di Pioltello (Milano).

Alcuni hanno invece preferito scrivere poesie,altri una serie di acrostici.

Tutti i testi, di vivo interesse per sensibilità,emozione e impegno, meriterebbero di essere pubblicati, ma i problemi di spazio, purtroppo,non lo consentono.

Ne pubblichiamo integralmente soltanto alcuni,mentre di altri stralciamo ampi brani.Cominciamo con i temi sulla deportazione.

La sofferenza e la vergogna

Dopo aver visitato il campo di Mauthausen, sono rimastosconvolto perché ho capito che il nazismo e il fascismo so-no stati terribili. Sono stati uccisi tanti uomini, tante donnee tanti bambini. Se il nazismo non avesse perso la guerra,io credo che il mondo sarebbe diventato un inferno.Nel campo ho visto esposti alcuni oggetti dei deportati, l’a-bito a strisce, le scarpe senza forma, le scodelle, il coltelloed il cucchiaio. Accanto c’erano anche gli strumenti delletorture: la siringa, la frusta, la cintura. Che orrore per chile ha subite! Che vergogna per chi le ha inflitte!

Hu Fuyi

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“Viaggio” nella deportazione

Quando morire era la sola certezza

Si riesce a percepire dalla profondità e dall’intensità dellapoesia di Primo Levi, che egli è stato testimone della tra-gedia dell’olocausto. Questa poesia vuole esprimere il gri-do di un deportato che si trova a lottare, sperando un gior-no di tornare a casa, dalla sua famiglia, e quando questasperanza diventa realtà, non riesce a dimenticare tutto ciòche ha subito nel campo, anche se il suo desiderio più gran-de si è realizzato. Mi chiedo spesso quante persone sonostate costrette a vivere in questi versi. Quante persone han-no scolpito il ricordo in questa poesia.Quando penso a tutta questa gente provo tristezza ed am-mirazione; tristezza per la vita che hanno condotto, per es-sere stati trattati come bestie nei lager; ammirazione per laloro forza e per il loro coraggio di andare avan-ti; e penso che siano eroi per aver combat-tuto quella realtà, per vincere forse la batta-glia più importante: quella di sopravvivere.Ero molto curiosa all’idea di visitare il cam-po di Mauthausen in Austria: infatti è stato in-teressante. Non c’è nulla in quel luogo che nonmi abbia stupito, e il pensiero che mi ha ac-compagnato in tutta la visita è stato: “In questopiazzale, in questa baracca ci sono stati uomini, donne ebambini prigionieri di un regime. Essi hanno combattutocontro la fame, contro il freddo, contro gli abusi fisici, psi-cologici dei soldati tedeschi”... e un brivido mi percorrevaogni volta tutto il corpo.La prima volta che ho incontrato Ramon, un ex deportatopolitico, ho provato una stretta al cuore e sono rimasta insilenzio per un po’ di tempo. Ho ascoltato il racconto del-la sua prigionia; mi sono stupita nel constatare la gran vo-glia di parlare del suo triste passato. Lo guardavo semprepiù sorpresa e gli ho chiesto intimidita se avesse visto mol-te persone morire; lui mi ha risposto che la morte era l’u-nica certezza per tutti coloro che da ogni parte del mondoerano raggruppati in quelle baracche, senza più nome o na-zionalità.Non riesco proprio ad immaginare Ramon ridotto comequelle persone: senza capelli, con quei visi esangui e i cor-pi deboli, dato il duro lavoro nel campo. Penso continua-mente all’angoscia che provarono nel dover assistere allamorte dei loro parenti, dei loro amici e di qualsiasi altrapersona; io non lo sopporterei.Molti perché sono rimasti senza risposta: infatti come sipuò arrivare a compiere tante barbarie verso un essere uma-no? I deportati sopravvissuti portano ancora sul corpo enello spirito i segni degli abusi, delle persecuzioni, dellefrustrazioni subiti nei lager. Il ricordo della deportazionenon deve essere cancellato dalla mente dell’uomo, soprat-tutto perché deve servire a non ripetere le stesse atrocità.

Sara Podenzana

Ecco cos’è stata la“razza superiore”

Per me “deportazione” significa distruzione fisica e mora-le di una persona, che, strappata dalla propria terra d’ori-gine, è stata obbligata a seguire i soldati tedeschi. Infattiquesto è accaduto agli ebrei, ai partigiani, agli oppositoridel regime nazista e fascista.Dopo il viaggio ai campi di concentramento ormai desertie spogli di Mauthausen e di Gusen, questo termine si è im-presso nella mia mente e nel mio cuore ancora più forte ecertamente per sempre. Ero accompagnata da un ex depor-tato: Romolo, chiamato Ramon durante la sua prigionia.Il piazzale dell’appello mi ha fatto pensare alla paura cheassaliva i deportati al mattino durante la marcia e alla fine

di una giornata di lavoro. Anche un minimo segnodi stanchezza o di malessere significava la fine: ve-nivano esclusi e accomunati a coloro che doveva-no essere subito eliminati perché improduttivi edinutili.Abbiamo visto le stanze delle docce, che mi han-no fatto venire in mente le centinaia di donne cheentravano felici perché finalmente potevano la-

varsi; si spogliavano, superavano la vergogna, tra-lasciavano il senso di pudore di ritrovarsi improvvisamen-te nude tra estranei. Ma il progetto dei capi era atroce: am-massate l’una sull’altra entravano in quelle stanze che sitrasformavano in camere a gas; esse vi avrebbero trovatola morte.Abbiamo visitato le baracche, fredde, umide, stanze simi-li a celle di un alveare, che mi hanno fatto comprendereperché ci si ammalava, perché si moriva. I forni crematorimi hanno fatto molta paura: essi sono le crudeli testimo-nianze che l’uomo doveva diventare cenere, affinché nes-sun ricordo rimanesse a testimoniare la sua presenza in queiluoghi e quindi la follia d’altri uomini, che avevano fattodei deportati oggetti per sperimentare gli strani progetti di“pulizia etnica”.Di fronte alla cava ho provato a scendere la scala della mor-te, ben 186 scalini; ho temuto spesso di cadere, eppure eraanche una bella giornata di sole; ed invece ho pensato aideportati che la scendevano sia d’inverno sia d’estate, lasalivano con indosso soltanto un pigiama, carichi di massipesanti, costretti a non indugiare per la stanchezza. Ma per-ché un uomo ha dovuto subire questi maltrattamenti, inquanto ebreo o straniero?Uscita dal campo, ripensando a tutto ciò che avevo visto,ormai fortunatamente tutto “fuori uso”, ho provato tanta irae tanta disapprovazione per quella gente che compiva azio-ni così indegne, ma soprattutto, per colui che aveva questi“ideali” e li imponeva, convinto che la razza tedesca fossesuperiore alle altre.

Simona D’Angelo

I nostri ragazzi

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La paura li assalivafin dall’alba

A Mauthausen, campo dove sono state sterminate 110.000persone, Ramon ci mostrò il piazzale dove i deportati era-no adunati ogni mattina per l’appello e, di sera, per il con-trappello. Mentre egli parlava, io rivedevo ammassate co-me in un film, migliaia di persone denutrite, sofferenti, de-nudate dei propri abiti, tutti uguali, sempre con lo stessopigiama a strisce per tutte le stagioni.Rasentando una parete cui erano attaccati anelli di ferro,Ramon ci ha indicato quello in cui era stato legato anchelui. Mi sono venuti i brividi a pensare che uomini e donneerano rimasti attaccati ad anelli di ferro anche per lunghigiorni, al freddo e al gelo, sotto la pioggia e la neve. Ancheentrare alle docce, per un deportato costituiva un rischio;infatti se qualche volta andava normalmente, altre volte in-vece i tedeschi decidevano di annientare donne e uomini efacevano fuoriuscire il gas anziché l’acqua. Pertanto quel-

l’uomo che aveva finalmente sperato di lavarsisi trovava a morire con tanti altri sconosciuti.Ho pensato spesso durante la visita perché nes-sun deportato, o quasi nessuno, fosse riuscitoa scappare dal campo: Ramon mi mostrò il fi-lo spinato ad alta tensione che orlava la retedi cinta e la posizione delle guardie semprepronte a sparare. Avvicinandomi ad una ba-racca, ancora intatta, ho pensato agli uomi-

ni, alle donne e ai bambini che, spesso estraneifra loro, si trovavano accatastati uno sopra l’altro in con-dizioni igieniche spaventose, a dividersi un luogo buio esporco. In un campo erano tenuti in quarantena i nuovi ar-rivati che, se resistevano, continuavano in un’altra sezione.Il primo forno crematorio mi ha lasciato esterrefatto: i for-ni furono inventati ed usati perché si doveva distruggere,riducendo in cenere, anche la più piccola testimonianza diquanto era accaduto. La “pulizia etnica” doveva essere com-pletata.Visitando il museo che mostrava la siringa, la frusta ed al-tri piccoli oggetti ho ripensato ad una triste verità: gli uo-mini a volte non sono più uomini ma oggetti, cavie, stru-menti nelle mani di “folli”. Entrando in una stanza dovec’era un “lettino” di pietra, sono venuto a conoscenza chesu quel “letto” di pietra fredda e sporca ai deportati eranoestirpati i denti. Che orrore!A Gusen è rimasto solo il forno crematorio, perché i ter-reni circostanti sono stati svenduti per far dimenticare ilpassato. Che vergogna!Secondo me, si deve conservare il ricordo delle atrocitàcommesse perché l’uomo possa costruire una società dovetutti possano vivere conservando la propria origine, la pro-pria religione, il proprio ideale politico.

Niki Spinoso

A volte mi domandose i sacrifici sono servitiMauthausen: ascolto i racconti di Ramon e mi vengono ibrividi; mi aggiro per le baracche fredde e umide e nono-stante il sole quasi primaverile non riesco a riscaldarmi. Leimmagini dei deportati con i loro abiti tutti uguali, le testerasate, distinti solo da un numero o da una stella, si sonoimpresse nei miei occhi e mi hanno accompagnato per tut-ta la visita del campo.Ramon ci fa un quadro della sua vita da deportato politi-co, ci indica i luoghi dova ha subito maltrattamenti, che loavevano ridotto a quaranta chili e di cui conserva ancora isegni. Mentre parla lo guardo con ammirazione e quasi conriverenza; mi sembra impossibile che quest’uomo alto, bel-lo, elegante e raffinato abbia superato prove così disuma-ne, maltrattamenti e privazioni che nessuno dovrebbe maipensare di infliggere agli esseri umani per conquistare ilpotere e per dimostrare la superiorità della razza.I deportati di Mauthausen per la mancanza di cibo e di igie-ne si ammalavano di gravi malattie come la dissenteria, iltifo e la tubercolosi. I deportati che hanno do-vuto abbandonare con la forza le proprie case, ilproprio lavoro, i propri familiari, si vedevano co-stretti a vivere al freddo, al buio, in ambienti chenulla hanno di umano e/o di rispetto per l’essereumano e cominciavano a morire psicologicamen-te. Tutto ciò alle SS non bastava; infatti il più del-le volte si “divertivano” a seviziare e insultare conogni mezzo uomini, donne e bambini, perché le re-gole dicevano che non si doveva sbagliare: dovevano esse-re eliminati.Ancora più crudele risulta la deportazione quando ci si tro-va davanti ai forni crematori: i corpi dei deportati veniva-no bruciati perché si doveva annullare ogni ricordo di lo-ro.Pensavo che tante barbarie, accadute ben cinquanta anni fa,non si sarebbero più ripetute perché gli uomini, sia quellisopravvissuti che le persone come me, informate dai pa-renti o dai documenti, avrebbero tratto insegnamenti posi-tivi di condanna, di disapprovazione verso chi non permetteche ogni individuo possa avere una sua vita, conservare lapropria origine e la propria individualità anche in un grup-po eterogeneo per nascita e per tradizione.Ma da quanto ho sentito alla Tv, la deportazione di uomi-ni continua, così come la “pulizia etnica”. Allora mi chie-do: “A che cosa è servito il sacrificio degli ebrei? E perchéle autorità non tentano di risolvere i problemi tra le popo-lazioni, con strumenti di pace?”

Sara Mazzei

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Dimenticare maiEcco ora come gli studenti hanno ricordato la loro esperienza, dopo la visita a Mauthausen e Gusen.

Erano accompagnati da Ramon Pavarotti,ex deportato politico.

Con quale coraggioabitano nelle case

dove c’era il campo?Immaginavo Mauthausen come un luogo tetro e pauroso,invece da fuori assomigliava ad un castello e non facevamolta paura, anche perché era una giornata di sole. RamonPavarotti, il nostro accompagnatore, che è un ex deportatopolitico, ha detto che quando era aperto faceva davvero pau-ra: si vedeva che là dentro succedeva qualcosa di terribile.Veramente il vero nome di Ramon è Romolo, ma da quan-do è stato liberato dal campo ha deciso di cambiare il suonome, perché era solo grazie a quello che si era salvato.Infatti prima lavorava nella cava di pietra del campo, dovesi facevano lavori così estenuanti che non si resisteva perpiù di tre giorni. Poi, per fortuna, è stato portato per sba-glio a fare l’elettricista nella baracca degli spagnoli, chehanno cambiato “Romolo” nel nome spagnolo che gli as-somigliasse di più, cioè Ramon, che diventò così il suo nuo-vo nome.Quando siamo entrati nel campo, Ramon ci ha portati a vi-sitare le docce: era il luogo nel quale venivano condotti ideportati all’arrivo al campo, dopo essere stati denudati. Ledocce facevano davvero tanta paura e ho pensato che lì era-no state uccise con il gas migliaia e migliaia di persone, an-che ragazzini della mia età.Il piazzale dell’appello, l’appel-platz, era grandissimo e,mentre camminavo, pensavo che lì dove stavo poggiando ipiedi, era di sicuro morto almeno un uomo, e questa è sta-ta una sensazione che non mi ha lasciato finché non ho ab-bandonato il campo. Ho provato ad immaginare le persone,stanche e distrutte dalla fatica e dalla fame, messe in piediper ore, al freddo, sulla piazza, per essere contate e ricon-tate, e ho provato tanto rimorso per loro.Più avanti siamo andati in una baracca, ora trasformata asede del museo, e abbiamo visto un filmato del campo diMauthausen quando era in funzione e ascoltato alcune te-stimonianze. Il documento era impressionante: le personeerano degli scheletri che camminavano, e a volte non face-vano neanche quello. Ho visto un morto dalla cui pancia sivedeva la spina dorsale. Tra i testimoni c’era anche un exsoldato americano che, a un certo punto, forse ricordandoquello che aveva visto quando è entrato a Mauthausen, èscoppiato a piangere... Lasciato il campo di Mauthausen,siamo andati a Gusen, anzi all’ex campo, perché di Gusenrimane solo il forno crematorio. Infatti è stato distrutto da-gli austriaci, che hanno costruito intorno delle case. Ma conche coraggio la gente ci va ad abitare?

Margherita Stefanelli

I nostri ragazzi

Ho “visto” le vittimenelle camere a gas

Quando sono stata a visitare Mauthausen,ho provato sensazioni e sentimenti che maiavevo provato nel corso della mia vita.Mentre Ramon ci mostrava le docce, mi èsembrato di vedere una scena che si ripe-teva quasi tutti i giorni. Ho visto entrarecentinaia di persone nude, che venivanofrustate dalle SS e fatte entrare nel loca-le delle docce ma, al posto dell’acqua,usciva il gas, che in pochi minuti face-

va cadere tutti a terra. Non so come la mia menteabbia fatto a ricostruire questa scena, però so che nel cor-so della visione sentivo l’odore dei cadaveri gasati, e le ri-sate maligne delle SS che, dall’esterno delle docce, aspet-tavano che tutti fossero morti.In quel momento ho provato paura, ma anche pena e pietàper quelle persone. Anche quando camminavo per il cam-po, dentro le baracche e dentro il museo, mi sentivo terri-bilmente strana, poiché alla mia mente riaffioravano le im-magini di corpi magri e quasi senza più personalità, di mor-ti da tutte le parti, e dentro di me sentivo tantis-sime voci che mi ripetevano in coro:“Ricordati che qui è successo tuttoveramente!”...Quando siamo andati a vedere il cam-po di Gusen, sono rimasta molto stu-pita perché di Gusen è rimasto solo edesclusivamente un forno crematorio.Ramon ci ha detto che le persone chehanno costruito le case sul terreno cheè stato loro dato gratis dal comune, per distruggere le pro-ve che Gusen esistesse, negano che Gusen sia mai esistito.Però io mi chiedo come mai, allora, lì ci sia un forno cre-matorio.Non riesco a capire come della gente possa negare questecose davanti a delle prove così evidenti, e con quale co-raggio abbiano costruito delle case su un terreno dove so-no morte migliaia di persone. Non riesco neanche a giu-stificare il comportamento delle SS che, quando tornavano

a casa, curavano i fiori con tanta at-tenzione e trattavano i loro animali co-me se fossero persone, dopo avere uc-ciso per tutto il giorno uomini inno-centi, accusati solo di appartenere auna razza inferiore.Al mondo non esiste nessuna razzainferiore!

Francesca Taddeo

Il forno era nero e piccolo

Entrando a Mauthausen ho avuto la sensazione di entrarein una grande prigione, perché il campo era cintato da mu-ra alte che facevano pensare a un carcere. All’ingresso c’e-rano i garages e la “piazza dell’appello”, dove i kapos con-trollavano se c’erano tutti i prigionieri e dove facevano leselezioni. A lato del piazzale, le baracche dei deportati. Vedendo i letti nei quali i deportati dormivano, ho prova-to un sentimento di disprezzo nei confronti dei tedeschi na-zisti: è inconcepibile far dormire tre persone in un letto giàmolto scomodo per una sola persona. Poi Ramon, l’ex de-portato politico che ci ha accompagnato durante il viaggio,ci ha fatto vedere le docce nelle quali, a seconda dell’u-more dei kapos e delle SS, poteva uscire acqua o gas.Lo spettacolo più orrendo e osceno che si è presentato al-la mia vista è stato il forno crematorio. Era nero e moltopiccolo all’interno. Non dimenticherò mai quell’immagi-ne! Era tutto come nei libri che avevamo letto in classe,sembravano le loro illustrazioni.Poi siamo andati a vedere la “scala della morte”, una ram-pa di scale molto lunga e ripida; gli scalini erano quasi due-cento ed erano molto piccoli e vicini tra loro. Su questa scala i deportati passavano la loro giornata “la-vorativa”, salendo e scendendo con massi di 50 chili; se

uno cadeva, trascina-va dietro di sé moltealtre persone.Camminando, pensa-vo a quanti uominidovevano essere mor-ti lì. Di Gusen è ri-masto solo il fornocrematorio e alcunelapidi. I tedeschi era-no riusciti ad elimi-nare il resto.A Mauthausen ho ca-pito che quello cheavevo studiato era tut-to vero... E che nes-suno deve dimenti-care ciò che è acca-duto.

Carlo Liotto

Il forno crematorio.Nella foto della pagi-na accanto il camino,da cui “usciva”il fumo del forno

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Dimenticare mai

L’orrore è ancora lì,come negarlo?

Non sembrava affatto un luogo di sterminio, solo un postodimenticato da tutto e da tutti. Camminare in quella speciedi piazza, entrare nelle baracche era una sensazione stra-nissima. Camminare lì, dove così tanta gente era morta, mifaceva diventare triste e in più, pensare che ci sono statepersone che hanno avuto il coraggio di uccidere, in queimodi orribili, altri loro simili mi faceva arrabbiare, ma an-che sentire un po’ in colpa. So che non dovrei, però il fatto che delle persone siano sta-te trattate peggio di animali, costrette alla fame, umiliatee, dopo essere state sfruttate, uccise senza pietà, mentre al-tre, ignare di tutto, vivevano tranquillamente la loro vita,mi fa sentire giù di morale.Una cosa che mi ha dato molto fastidio è stato il fatto che,pur avendo le prove di ciò che è successo, alcune personenon credono a tutto questo: non credono ai forni cremato-ri, non credono alle docce, alla scala della morte e non cre-dono neanche a tutti gli ex deportati che, pur non cono-scendosi, raccontano le stesse cose.A Gusen, sottocampo di Mauthausen, sono rimasta di sas-so quando ho saputo che ci sono persone che vivono sulcampo e che, aprendo le finestre delle loro case, si trova-no davanti il forno crematorio; e che dormono tranquilledove tantissime persone sono morte.La visita ai campi di Mauthausen e Gusen mi è stata mol-to utile perché ho capito quanto le persone siano attaccatealla vita e facciano di tutto per continuare a vivere. Io am-miro tutti quelli che sono sopravvissuti, che hanno avutola forza e il coraggio di lottare per vivere, ma non disprezzocoloro che si sono suicidati o sono stati uccisi perché al lo-ro posto non so che cosa avrei fatto, perché ciò che è suc-cesso è una cosa talmente assurda che non riesco ad im-maginarla; e credo che molti la pensino come me.Questi brutti ricordi non devono essere cancellati, ma bi-sogna fare il possibile perché tutti sappiano e credano inciò che è successo, così che in futuro l’uomo non ripeta piùun errore così sciocco e stupido, quello di credersi supe-riore ad altri, un errore che è costato la vita a più di 15 mi-lioni di innocenti.

Moira Dedé

Hanno inoltre scritto temi eriflessioni: Donato Lillini,Jessica Occelli e ValentinoGreco, Cuni Enkelson, Ma-ria Luisa Floresta, CristinaDodaro, Alessia Vesmile,Gloria Argentieri, RosannaViscella, Miranda Emilia.Hanno scritto poesie: Andrea

Marini, Luca Maddalena,Sara Emilia Dentali, Va-lentino Greco e GiuseppeLemma, Simona D’Angelo.Hanno scritto acrostici: Mi-chela De Rosa, Maria LuisaFloresta, Daniela Pignataro,Adele Leccia, Alessio Pennisi,Luigi Frasca.

Deportati al lavoro

I nostri ragazzi

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“Un pomeriggio di marzo la morte venne a prendermi”

Così una ragazza ha immaginato la terribile sorte di una coetanea.Prima i giorni infiniti del dolore, poi...

Una fredda notte di ottobre dei forti colpi alla porta mi fe-cero svegliare. Già, cominciarono così, prima col rubarmiil sonno, poi col portarsi via i miei giochi, i miei pastelli acera, poi mio fratello e il mio papà e per ultimo si sono pre-si anche quello che avevo di più caro: la mia vita. [...]I sogni e persino gli incubi più tremendi di una bambinanon possono immaginare neanche lontanamente dove puòarrivare la cattiveria umana. Per una bambina è difficile se-pararsi improvvisamente dalle sue cose, così al momentodi partire ero indecisa sulle cose da portare con me. Scelsiun pupazzo e i miei pastellia cera, poiché il primo mi ser-viva da protezione contro idemoni notturni, mentre i se-condi erano chiavi per entrarein universi magici che soloio conoscevo. Il treno era sco-modo. Mancavano acqua, ci-bo e persino l’aria.Quando arrivammo di fronteal grosso cancello ero emo-zionata. Ero curiosa di vede-re che cosa nascondevanoquelle mura e quei fili spi-nati. Se era così ben protet-to doveva essere molto pre-zioso. Quando riuscii a os-servare all’interno, ciò chemi apparve poteva benissimoessere una città. Mentre sta-vamo entrando la prima co-sa che notai fu l’ordine e laprecisione con cui ogni cosaera stata disposta. Ci portarono tutti in un gran-de stanzone. Le baracche erano troppo piccole in propor-zione al numero di gente che ci doveva abitare. Scelsi illetto più isolato, per cercare di sfuggire alla paura nasco-sta negli occhi degli altri bambini che dividevano la stan-za con me.Dopo una settimana di permanenza in quel posto mi ac-corsi con sgomento di aver perduto me stessa. Non ero al-tro che un’ombra. Il mio nome, le mie speranze, il mio ca-rattere erano finiti chissà dove, in qualche luogo sperdutonel tempo e nello spazio. Li ho cercati negli angoli più re-moti e oscuri del mio animo, ma non li ho trovati, poichéessi mi avevano lasciata definitivamente nell’istante in cui

avevo oltrepassato la soglia di quel posto. [...]Durante la mia permanenza lì dentro, ho visto la mammasolamente due volte. L’ultima volta ero nei pressi della cu-cina, lei camminava in fila con altre donne, non aprì boc-ca, ma dal suo sguardo capii tutto il suo dolore. Non la ri-vidi, se non nei sogni. Dopo due mesi da quel giorno miritrovai a dover percorrere quella maledetta strada anch’io.In silenzio. In fila indiana. Da quel momento fino all’istantein cui le docce si aprirono, la mia ragione tacque. L’atroceagonia che possedeva l’altra gente a me era stata rispar-

miata. Forse perché la mia te-sta era talmente satura di tor-menti, da non poterne conte-nere altri.Così un pomeriggio di marzola morte venne a prendermi, edio fui tranquilla perché sapevoche non poteva esistere un mon-do più orribile di questo. Lagrande regina del buio mi hacullato fino ad oggi quando, de-siderosa di conoscere ciò che èrimasto del mio passato, le hochiesto di mandarmi in un luo-go dove avrei potuto trovaredelle tracce della mia vita.Mi trovo in un grande prato ver-de. Davanti a me c’è un alberostrano. Ha solide radici che sembranoavere il compito di strapparlodalla balia del silenzio e di an-corarlo saldamente al nostromondo. Lo slanciato fusto pa-re volersi innalzare tra le bar-

riere del tempo e dello spazio per poter fare ascoltare a tut-ti le sanguinose storie che esso racconta. Foglie di pietramacchiate di sangue si ammassano l’una sull’altra, pesan-ti come ricordi difficili da sopportare. Mi avvicino ulte-riormente. È un monumento, costruito per salvare il ricor-do di milioni di persone che, come me, rischiano di affon-dare nel mare dell’oblio. Oggi, dopo cinquant’anni, ai pie-di dell’albero della storia ho ritrovato me stessa. Ho ritro-vato il mio nome, i miei sogni, la mia vita. I miei ricordicontinueranno così la loro corsa nel vento, in attesa di es-sere ascoltati.

Sara Emilia Dentali

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Una conversazione con Alessandro Natta

La Resistenza in

UNA TESTIMONIANZA CHE NEL 1954 NON SI

sul suo libro dedicato ai militari internati in Germania

Alessandro Natta (nella fo-to) è nato ad Oneglia nel1918 ed ha compiuto gli stu-di universitari alla ScuolaNormale Superiore di Pisadal 1936 al 1941. Lo stessoanno è stato chiamato allearmi e inviato nel 1942 nel-l’isola di Rodi dove dopo l’8settembre viene fatto pri-gioniero dai tedeschi.Al ritorno in Italia si iscri-ve al Pci e viene eletto de-putato per dieci legislature,dal ’48 al ’91. È stato anche

presidente del gruppo co-munista a Montecitorio.Ha fatto parte della dire-zione e della segreteria delpartito ed è stato stretto col-laboratore di Enrico Berlin-guer al quale è succedutonell’incarico di segretariogenerale dal 1984 al 1988.Ha diretto “Critica marxi-sta” e “Rinascita”. Ha la-sciato ogni attività politicanel momento in cui si è de-ciso di concludere l’espe-rienza storica del Pci.

Davanti il mare increspato dalle raffiche della tramontana, sul-la scrivania il bianco volume degli “Struzzi” di Einaudi, in co-pertina un particolare della “Leggenda dei diecimila martiri”del Pontormo. È il libro di Alessandro Natta: “L’altra resistenza- I militari italiani internati in Germania”.L’autore lo scrisse nel 1954 in vista del decimo anniversariodella Liberazione. Ma gli Editori Riuniti, la casa editrice delPci, il partito del quale Natta era deputato, non ritenne di pub-blicarlo. Sinceramente né Enzo Collotti nell’introduzione nél’autore nella premessa danno una spiegazione chiara, con-vincente di quel rifiuto, anche se quest’ultimo, secondo mecon generosità, lo attribuisce al fatto che il suo lavoro non rien-trava nei piani editoriali della casa editrice.Il volume è uscito nel 1996 e rappresenta un prezioso testo diquella scuola della memoria della quale ogni giorno di più sisente la mancanza, in un momento, nota Collotti, “di grandedisorientamento politico e culturale in cui, anche da parte nonsospetta, la voglia di dimenticare o quanto meno di attenuarei momenti conflittuali più ingombranti della nostra storia sem-bra prevalere sulla preoccupazione di preservare la memoriaevitando equivoche confusioni.”I 600 mila soldati e ufficiali italiani catturati dai tedeschidopo l’8 settembre e condotti nei lager vennero definiti dainazisti Imi, sigla che sta per Internati militari italiani, unadenominazione inedita, non prigionieri di guerra ma “tradi-tori” ai quali doveva essere riservato un particolare tratta-mento.

Morte e rinascita della patria

Dal settembre del ‘43 all’a-prile del ‘45 dura l’odisseanei campi di concentramentodurante la quale un Ulisse col-lettivo ritorna, tra sofferenze,speranze, timori, ansie, tena-ce volontà a ritrovare la pa-tria, non quella che il fasci-smo aveva caricato di ridico-li e pericolosi orpelli, ma quel-la che nasce dalla consape-volezza che proprio l’8 set-tembre, dal fondo dell’abis-so, il concetto di patria è ri-sorto per acquisire la sua iden-tità di comunità libera.“Si è trattato” dice Natta “diun grande processo di libera-zione, di catarsi storica. L’8settembre è morta ed è rina-ta la patria.”

L’intransigenza

Dico a Natta che il suo libromi pare voglia essere la ri-

vendicazione di una soffertama cosciente e orgogliosa in-transigenza, il dovere di direun “no” chiaro e deciso al-l’oppressione, alla violenzaed anche alle lusinghe. La ri-sposta è in questo brano: “Sitrattava non tanto di dimo-strare a quanti erano in predaallo smarrimento e cadevanovittime di assurde speranze,l’impossibilità di un rientroin Italia; quanto bisognavaconvincere che non si potevadare una qualsiasi adesione oriconoscimento ai fascisti,nemmeno nella speranza di ri-vedere le proprie case, nem-meno con l’impegno di af-frontare più tardi in Italia lalotta. I fautori della resisten-za immediata e intransigentesi assunsero una grave re-sponsabilità e ne sentirono,soprattutto in seguito, il pesoma non può esservi dubbioche il dovere in quel momentoimponeva di dire di no, che aifini della lotta generale im-

di Ennio Elena

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grigioverde

RITENNE OPPORTUNO PUBBLICARE

ORGOGLIO E STRACCI

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I LAGER DIVENNERO SCUOLE DI DEMOCRAZIA

portava molto di più un rifiu-to immediato e reciso nei con-fronti del nazifascismo chenon magari un successivo con-tributo diretto alla lotta.” Pensoche un po’ di questa intransi-genza servirebbe anche oggi.Ma come matura, si forma neilager, fra uomini oppressi eabbandonati da tutti, questanuova coscienza, questa “ca-tarsi storica”?

8 settembre:“Il re è nudo”In un giorno crolla il grotte-sco e tragico baraccone alle-stito in vent’anni dal fascismosotto lo sguardo compiaciutodella monarchia: richiami al-la grandezza romana con i re-parti della milizia che si chia-mano “legio”, composti inmaggioranza da “tessere delpane”; l’impero che torna asorgere “sui sacri colli”; “ot-to milioni di baionette”; “cuo-ri gettati oltre l’ostacolo”. Tuttofinito, e ingloriosamente.

All’eroica anche se sfortu-nata resistenza a Roma, aLero, a Cefalonia, in altre lo-calità della Grecia, fece davergognoso contrappunto, ri-corda Natta, “il tradimentodi alcuni comandanti che giàavevano scelto la causa e labandiera tedesca, l’incapa-cità di decidere di altri pa-ralizzati tra la paura di fron-te al mito dell’invincibilità edella spietatezza tedesche edil timore di cadere in manoal ‘bolscevismo’ dell’UnioneSovietica.”Toccato il fondo, bisognavatentare di risalire perché nonsoltanto era crollato un eser-cito, ma si era dissolto unostato.

Dalla passione alla ragione

L’8 settembre, nota Natta, “fu,dunque, lo scoppio di una pas-sione antitedesca più che larazionale volontà di un mu-

tamento politico.”“La sera in cui il mio gruppogiunse a Muhlberg sull’Elba,dopo l’interminabile viaggio,il colonnello Imbriani” ricor-da l’autore “mi pregò di fareuna conferenza per ‘tenere suil morale’ dei compagni di pri-gionia. Nella fredda baracca del no-stro primo lager dissi tutto ciòche ricordavo di Carlo Catta-neo, delle 5 giornate, del glo-rioso ‘48. Ascoltarono quasitutti e in tutti vi fu interessee commozione.”Iniziava il faticoso, contra-stato cammino verso la ra-gione, la consapevolezza, “inmodo da mutare in giudiziocritico la ribellione senti-mentale contro il fascismo edin meditato fatto politico ilnostro no.”Così i lager, in special modoquelli dove erano tenuti pri-gionieri gli ufficiali, dall’ar-rivo in Germania separati daisoldati, diventarono scuole didemocrazia.

Come una lunga “moviola”

“C’erano inevitabilmente” di-ce Natta “i resistenti e gli ade-renti fra gli internati.” E ognu-no era arrivato con un suo ba-gaglio politico e culturale.Natta con il suo percorso an-tifascista, il vivo ricordo an-che delle polemiche familia-ri tra sostenitori del sociali-sta Giacinto Menotti Serratie comunisti; altri che, invece,si proclamavano “apolitici”ritenendo che questo atteg-giamento fosse “il rimedio mi-gliore contro la terribile ‘scot-tatura’ del fascismo, quasi unrifugio dal rischio di altri er-rori e pericoli .”Le vicende personali e quel-la collettiva esaminate comein una lunga faticosa “mo-viola” alla ricerca di rispostealle domande: che cos’è sta-to il fascismo; perché la guer-ra e perché la guerra perduta,perché la lotta contro il fa-scismo “non solo responsabi-

L’ARRESTO

IL TRASPORTO

Una conversazione con Alessandro Natta

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PER I SEICENTOMILA INTERNATI

le della guerra sciagurata edella sconfitta, ma del fasci-smo come concezione politi-ca generale, del fascismo, di-ce Natta, “che ha nel suo DNAla violenza e la guerra”; cheha trasformato l’ex socialistamassimalista, direttore del-l’“Avanti!”, anticolonialista,antimilitarista Mussolini in unguerrafondaio che nella guer-ra di Spagna, insieme a Hitlerfa le prove per la conquistadell’Europa. Il 27 maggio del’40, nota nel suo DiarioGaleazzo Ciano, genero del“duce” e ministro degli Esteri,“non è che egli vuole ottene-re questo o quello: vuole laguerra. Se pacificamente po-tesse avere anche il doppio diquanto reclama, rifiuterebbe.”E gli anticorpi, nell’immediatoper respingere gli inviti adaderire al fascismo di Salò eper il futuro per la formazio-ne di una coscienza demo-cratica, sono la discussione elo studio “degli ‘immortaliprincipi’, la Rivoluzione fran-

cese, lo stato liberale e de-mocratico dell’800, la storiadel nostro Risorgimento, ri-percorsa al di fuori delle vi-sioni oleografiche e delledeformazioni propagandisti-che.” Tutto quello che rap-presentava un atto di accusacontro il fascismo.

Pochi aderirono alla Rsi

“Immaginate” scrive Natta“quale impressione potessefare in una massa di ufficialiche da mesi e mesi resisteva-no all’oppressione nei lager,che avevano identificato nelnazismo il nemico loro e delproprio Paese, l’apparizionedi una delle solite grinte fe-roci in camicia nera che sot-to lo sguardo scettico e in-differente del padrone tede-sco sciorinava la serie degliappelli alla difesa della Patria,alla lotta contro i demo-plu-tocratici-giudaici-bolscevici

alleati e concludeva inevita-bilmente con l’offerta di unapiù grossa razione di pane edi margarina!”Certo ci furono le adesioni alfascismo di Salò ma il loronumero, per quanto non irri-sorio, fu decisamente mino-ritario. Il “re nudo” aveva ve-stito i panni di una grottescamarionetta della quale i tede-schi tiravano i fili.

I tedeschi e i libri

Una domanda inevitabile aNatta: nel tuo libro scrivi che“forse non si ha un’idea delnumero notevole di libri chegli internati, in particolare neicampi degli ufficiali, ebberoa disposizione e che costitui-rono la premessa indispensa-bile dell’attività culturale.” Mai tedeschi lasciavano che cir-colassero liberamente, non lisequestravano? “I tedeschi”,risponde Natta, “sequestrava-

no qualunque foglietto scrittoa mano e naturalmente dava-no la caccia alle rudimentaliradio che si potevano costrui-re. Ma ritenevano che ciò cheera stato stampato, pubblica-to, fosse lecito.”

Diversa persecuzione,stesso odio

Nel capitolo delle atrocità na-ziste, scrive Natta, “le pagi-ne di Auschwitz e diBuchenwal fanno impallidi-re le nostre, di Fullen e diWietzendorf. Altri avevanoimpresso a fuoco sulla carneun numero: per noi bastavala cartella segnaletica del de-linquente. La fame fu comune e atroce,ma abbiamo ancora vergognadella nostra fame pensandoal crematorio di Birkenau.Rifiutammo di lavorare e nonci uccisero. Ci promosserosolo da internati a prigionie-ri politici. Quando i tedeschi

La sequenza dall’8settembre ’43 all’aprile ’45.Nella prima foto l’arresto di alcuni giovani militariitaliani, poi un vagonebestiame verso la deportazione e,nell’ultima foto,una messa al campodi concentramento

IL CAMPO

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IL RIFIUTO DI MASSA AL RITORNO IN ITALIA

decisero di usare contro di noila rappresaglia feroce era or-mai troppo tardi. I nostri morti non li contam-mo a milioni, solo a decinedi migliaia. Morirono ancora‘uomini’.Sappiamo dunque quale fu ilnostro posto nel sistema deilager. Ma nel corso della vi-cenda, poiché i campi eranomondi senza finestre, dallapersuasione di essere giuntiall’estremo del sacrificio sca-turì per ognuno un odio estre-mo. Se l’intensità della persecu-zione non fu uguale, ugualefu il sentimento di esecrazionee di condanna dei nazisti.”

“Una crudele saggezza”Così Natta definisce in que-sta conversazione l’atteggia-mento del governo Parri ver-so i reduci perché evitò ognicontrapposizione tra coloroche erano stati prigionieri inGermania e quelli che lo era-no stati nei campi di concen-tramento degli Alleati, tra chiaveva detto “no” ai tedeschie chi aveva detto “no” agli an-gloamericani, tra i reduci e ipartigiani. Si realizzò così ungenerale appiattimento. E nonci fu il fenomeno del “redu-cismo”. Nota Collotti che “sideve in misura sostanziale al-l’esempio ed al comporta-

mento della massa degli exinternati se i reduci della se-conda guerra mondiale nonhanno rappresentato, nel no-stro dopoguerra, un freno nelprocesso di affermazione del-la democrazia, ma al contra-rio una componente di soste-gno contro ogni nostalgia fa-scista.”

Perché bisogna ricordare“Bisogna ricordare”, diceNatta, “perché ci sono stati si-lenzi stesi su pagine di ver-gogna dei vertici politici e mi-litari.” “Perché 600 mila sol-dati e ufficiali furono traditi

e abbandonati a se stessi ep-pure trovarono la forza di ri-fiutare l’adesione al fascismoed al nazismo. Perché ci fu si-lenzio sui 17 generali e sulledecine di migliaia di soldatie di ufficiali italiani morti neilager tedeschi.”“Bisogna ricordare perché cifurono riconoscimenti tardivie anche silenzi da parte dellevittime, per un comprensibi-le desiderio di rimozione, peril timore di non essere ascol-tati e creduti.”“Bisogna ricordare perché conl’altra Resistenza avevamovoluto lottare per i medesimivalori per i quali combatte-vano nelle città e sui monti i

Militari italiani sorvegliati dalle sentinelle nelle “torri”

SORVEGLIATI A VISTA

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PER COLLABORARE CON MUSSOLINI

È tempo di unità per le forze partigiane

Una proposta di Aldo Aniasi e GianfrancoMaris al Convegno per il 50° della Fiap

(f.g.) - È tempo di far cadere in un mondo partigiano sem-pre più ridotto per ragioni anagrafiche, anacronistiche stac-cionate, formali divisioni, incomprensioni che non hannopiù ragione d’essere, figlie di un periodo drammatico de-finitivamente lasciato alle spalle. Corrono gli anni e l’ope-razione urge.In occasione del 50° anniversario della Fiap (Federazioneitaliana associazioni partigiane), una delle tre anime resi-stenziali con l’Anpi e la Fvl, svoltosi a Salice Terme il 9 eil 10 ottobre scorsi, Aldo Aniasi, ex sindaco di Milano, excomandante della 2a Divisione Garibaldi “Redi”, presiden-te della Fiap, ha lanciato un appello per ritrovare “l’unitànon solo politica e morale” ma anche “organizzativa dellediverse Associazioni”.

La proposta è stata ripresa con forza dall’avvocato GianfrancoMaris, presidente dell’Aned, in un intervento che ha riba-dito l’opportunità di trovare momenti organizzativi ed ope-rativi comuni.

Anche se è da molti anni che Fiap, Fvl ed Anpi si ritrova-no uniti al tavolo della Fondazione del Corpo volontari del-la libertà (Cvl) con motivi di unità politica ed operativa, ègiunto il tempo, dopo le drammatiche lacerazioni del 1949,anno nel quale avvenne la separazione, di perseguire il pre-ciso obiettivo di un’unità anche organizzativa delle diver-se Associazioni.

L’avvocato Maris rimarcando la rilevanza di questo tra-guardo, ha prospettato come sia doveroso ed urgente ri-cercare soluzioni federative o confederative. Una strada che,pur preservando l’autonoma esistenza delle tre maggioriAssociazioni partigiane, consentirebbe di far vivere conmaggior autorevolezza, in un momento delicato come que-sto, i principi che furono alla base della lotta di Liberazione.

partigiani e i patrioti italiani.Perché tra i reticolati tedeschieravamo diventati uomini li-beri.”

La memoria ed il futuro

Chi non ha memoria non hafuturo si dice. Ma come la me-moria, il passato può aiutarea intravedere il futuro ? Nattaè preoccupato. “Siamo alleprese con cambiamenti epo-cali, c’è stata una rottura delprecedente equilibrio, siamodi fronte ad un grande disor-dine. In Kosovo l’Osce ha fallito ec’è stata una guerra senza chenessun organismo internazio-nale abbia dato la sua appro-vazione. C’è un forte disequilibrio, nes-suno stato si può considerarepari agli Usa. Siamo alla fa-ticosa ricerca di un nuovo equi-librio. Come si realizzerà? Neicampi di concentramento ab-biamo scoperto l’Europa, cisiamo battuti per la giustiziasociale, per l’affermazione diragioni ideali e politiche, peruna scala di valori che sonostati inseriti nella nostraCostituzione.”

Valori, ideali,giustizia sociale

Sono parole che evocano lafigura di Filippo Buonarroti,il rivoluzionario toscano, ro-bespierriano, comunista, conla cui opera si cimentò Nattanegli studi alla Normale diPisa e che proprio qui, aOneglia, esercitò nel 1794 perconto della Rivoluzione la fun-zione prima di amministrato-re e poi di commissario na-

zionale dei territori occupatie che fece della cittadina li-gure il maggior centro del gia-cobinismo italiano.“Libertà politica e libertà dalbisogno” dice Natta, una ve-rità antica, che è bene ripete-re perché spesso dimenticata.Aggiunge: “Anche in Italia vi-viamo un periodo di transi-zione, sono a rischio alcuniprincipi. L’articolo 1 dellaCostituzione afferma che‘l’Italia è una repubblica de-mocratica fondata sul lavoro.’Sul lavoro o sul mercato?L’articolo 3 dice che ‘tutti icittadini hanno pari dignitàsociale e sono uguali davan-ti alla legge senza distinzio-ne di sesso, di razza, di lin-gua, di opinioni politiche, dicondizioni personali e socia-li. È compito della Repubblicarimuovere gli ostacoli di or-dine economico e sociale che,limitando di fatto la libertà el’uguaglianza dei cittadini,impediscono il pieno svilup-po della persona umana ...”Come viene garantito questodiritto?”Nella voce affaticata di Nattac’è la stessa volontà con laquale nei lager invitava a di-re no al fascismo e non soloper condannare un regime ne-fasto ma anche perché l’Italiafosse realmente una Repub-blica democratica, di uguali,e non soltanto, e formalmen-te, davanti alla legge. Perchédi quella tragica esperienzanon restasse solo un ricordo,per quanto severamente am-monitore. La volontà unita al pessimi-smo dell’intelligenza che haconsentito di sopravvivere neicampi di concentramento eche permette di non rinunciarealla fiducia in un mondo mi-gliore.

Una conversazione con Alessandro Natta

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Gulag: una terrificante macchina In uno dei racconti dellaKolyma, Varlam Salamov ri-corda come si apriva “una stra-da nella neve vergine”. Un uo-mo procede in testa a un grup-po di altri cinque o sei, affon-dando faticosamente. Gli altri lo seguono evitandodi calcare le stesse impronte.Raggiunto il punto prestabi-lito fanno dietrofront e poi an-cora, da capo, fintanto che laneve si spiana: “...tutti, ancheil più piccolo o il più debole,devono camminare su un an-goletto di neve vergine, e nonsulle orme altrui. Quanto aitrattori e ai cavalli, su quellinon vanno gli scrittori, ma ilettori”. Nel paesaggio bianco del-l’inverno siberiano, Salamovtrova anche il modo di dire lasua a proposito dei compiti edei destini della letteratura,nell’immagine di una soffe-renza e di una fatica insop-

re corpo dopo la Rivoluzioned’ottobre: nei campi, al postodei prigionieri di guerra, co-minciarono a entrare gli op-positori politici. Gli ospiti salirono ben prestodi numero: due milioni di per-sone negli anni quaranta, fi-no allo scoppio della guerra.Poi un rapido calo e quindiun’altrettanto rapida ripresanel dopoguerra, fino a tocca-re il tetto di due milioni e ot-tocentomila internati nell’a-prile-maggio 1950. La mostra non può dare ov-viamente la misura generaledi quella persecuzione di mas-sa. Dice però delle condizio-ni di vita. Nelle bacheche so-no le divise, le giacche tra-puntate e i berretti felpati, so-no gli oggetti d’uso comune.Ci sono anche le prove del-l’ingegnosità dei detenuti: l’ac-cendino ricavato da un bos-solo, un cuscino ricamato dal-

vive in Italia, e Nikita Ochotin,storico russo che vive a Mosca,concordavano sul silenzio dioggi e sulle aperture ai tem-pi della perestrojka. La tatti-ca dell’oblio sembra colpirechi vuole ricordare e ricostruirequella storia dolorosa. La rimozione è diffusa: comecapitò in Italia - annotaZaslavsky - dopo la caduta delfascismo e le fallite epura-zioni. Dice Ochotin, membrodi Memorial, una associazio-ne che si presenta appunto conl’obiettivo di ricostruire la sto-ria dei lager, che progetti dimostre e di ricerche vengono“sconsigliati”: niente finan-ziamenti e un invito a non ria-prire le ferite. Eppure la memoria del gulagdovrebbe essere ancora viva:gli ultimi furono chiusi allafine degli anni cinquanta. Ilsistema concentrazionarionell’Urss cominciò a prende-

portabili, nello sfruttamentodi esseri umani meno prezio-si di qualsiasi macchina.Quei campi di neve, queglistessi uomini, le loro barac-che, i loro abiti, persino le lo-ro lettere e i loro disegni ven-gono incontro nella mostrache è stata allestita a Milanonelle Sale Viscontee delCastello Sforzesco, mostra difotografie inedite e di ogget-ti, una mostra rara che per laprima volta, non solo in Italia,si realizza per narrare quellarealtà a lungo ignorata, cen-surata, svelata dalle testimo-nianze dei sopravvissuti (Sa-lamov, naturalmente, ma pri-ma di lui, e con eco ben piùavvertita da noi, Solzenicyncon “Arcipelago Gulag” e mol-ti altri, da Gustav Herling aSergej Dovlatov) e di nuovocensurata.Presentando la mostra, VictorZaslavsky, storico russo che

Milioni di internati garantivano la manodopera per le grandi opere

Una mostra a Milano sui lager sovietici nel periodo staliniano

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I me ciamava per nome:44.787

Le parole della Risiera di San Sabba adattate a testo teatrale,

Le parole delle vittime e dei carnefici della Risiera di SanSabba raccolte da Marco Coslovich e Silvia Bon e adattatea testo teatrale da Renato Sarti, hanno ripreso a risuonareper una settimana di repliche nel suggestivo spazio recen-temente recuperato alla cultura della città di Roma: il ca-pannone industriale ex Mira Lanza chiamato ora teatro India.Per una settimana gli attori Fulvia Falzarano, Galliano Pahor,Tanja Pecar, Nicoletta Ramorino sono tornati a calarsi nel-la sofferenza, nella disperazione ma anche nella speranzadelle vittime, con una efficacia e una totale dedizione benoltre la loro professionalità certamente alta e che deriva di-rettamente dalla loro sensibilità di donne e uomini che han-no interiorizzato tutta la problematica dei lager nazisti.Mi diceva la giovane attrice serba Tanja: “Da quando ho in-contrato questo testo la mia vita, il mio rapporto con il tea-tro è cambiato”.Perché questa è la vera ragione per cui cerchiamo di conti-nuare a parlare e a raccontare la tragedia della deportazio-ne e dello sterminio: la profondità del ragionare intorno aquella frattura che si è prodotta nella civiltà del nostro se-colo e le cui valenze arrivano a segnare le coscienze e in-ducono a guardare la realtà contemporanea con un punto divista altro.Per una settimana le repliche programmate per questo testosono state sempre esaurite: circa duemila ragazzi delle scuo-le romane con i loro insegnanti ed un pubblico serale han-no ascoltato con emozione e, alla fine degli spettacoli, han-no dialogato con i testimoni ex deportati presenti: in primoluogo Riccardo Goruppi (Trieste) ma anche con i socidell’Aned di Roma Mario Limintani, Leone Fiorentino eRosario Militello.Una tavola rotonda dal titolo: “Parole per la memoria” hacercato di fermare l’attenzione sul ruolo del linguaggio: han-no partecipato i deportati Riccardo Goruppi e Ida Marcheria,Tristano Matta (del Civico museo della Risiera di San Sabba),lo scrittore Aldo Zargani, lo studente dell’ITI Daniele Serventie Renato Sarti autore e regista.Il ringraziamento dell’Aned di Roma che si è impegnatanell’organizzazione della presenza delle scuole, va prima ditutto all’assessore alla Cultura del Comune Gianni Borgnae al direttore del Teatro stabile Mario Martone che hannopromosso e sostenuto questo evento con una adesione idea-le e con un calore umano che ci resterà nel cuore.

Vera Michelin-Salomon

Duemila ragazzi delle scuole hanno seguito con emozionele repliche e dialogato con ex deportati e rappresentantidell’Aned.

di sfruttamentosa: e cioè una terrificante mac-china di sfruttamento del la-voro. La rivoluzione che sirealizzava aveva bisogno digrandi opere: canali, dighe,ferrovie, dal canale Mosca-Volga al canale Mar Bianco-Mar Baltico... I dissidenti politici, gli oppo-sitori reali o immaginari, ga-rantivano quella manodoperaessenziale allo sviluppo delsocialismo, con Stalin e pri-ma di Stalin.Marcello Flores, curatore del-la mostra e dell’indispensa-bile catalogo (con FrancescaGori) chiude ponendo la do-manda più importante: quan-to il gulag fosse indispensa-bile al sistema che l’avevacreato, quanto fosse “il frut-to di una scelta soggettiva,giustificata alla luce dell’i-deologia e dell’economia, manon ineluttabile”.

Oreste Pivetta

le donne, il coltello lavoratoa mano, gli scacchi perfettineri e bianchi, torri e cavallie regine, di mollica di pane...Una busta per inviare una let-tera e comunicare con l’altromondo. E poi i disegni: quel-li che ritraggono corpi e vol-ti piegati dalla sofferenza, maanche quelli di panorami per-sino rassicuranti, verdeggian-ti o rosseggianti di albe e tra-monti. Piccoli segni che di-cono però di un orizzonte com-plicato.Naturalmente, muovendocidalle baracche, dalle mense,dai cameroni con i pancacci,si arriva presto ai campi diconcentramento e di stermi-nio tedeschi. Che gli uni, na-zisti, fossero identici agli al-tri, comunisti, viene sostenu-to da molti. Ma proprio que-sta mostra sembra, tangibil-mente, dimostrare che il gu-lag fu innanzitutto un’altra co-

del regime

A sinistra, alcunicostruttori dellaBam (una ferrovia)a pranzo, 1933. Sopra, sveglia allaX compagnia alleisole Solovki, 1924.A destra, lavori di costruzione del Belomorkanal,1932.

BIBLIOTECA

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Una guida critica sugli orrori dei campi“Secondo una recente inda-gine condotta dall’Agenzia diComunicazione Klaus Davi -scrive Marco Coslovich nel-la premessa al suo libro “Rac-conti dal lager”, oltre il 60%degli intervistati tra i 16 e i24 anni non crede che in Italiavi siano state leggi razziali onon sa rispondere nulla circala loro esistenza: circa il 70%ignora cosa sia la Risiera diSan Sabba; il 28% ritiene cheun pogrom sia una festa ebrai-ca; il 17,4% crede che la“Notte dei cristalli” sia unaparata militare; il 10% non safare un solo nome di un lagernazista.”Volessimo consolarci, viven-do oggi sotto chiari di lunadove imperano la disinfor-mazione più totale e la spaz-zatura televisiva, potremmoosservare che, grazie al cie-lo, circa il 40% degli inter-vistati sa che ci sono state inItalia le leggi razziali e cheoltre il 70% non crede chel’infame “Notte dei cristalli”sia stata una gioiosa festic-ciola notturna.Noti storici della linea co-siddetta “revisionistica” nonaffermano, forse, dall’alto del-la loro presunta autorità ac-cademica, che la storia dellecamere a gas è solo frutto del-le esagerazioni degli ebrei edei comunisti? E dunque perché stupirci setanti giovani ignorano vicen-de fondamentali della nostrastoria recente?Tanto più importante, quindi,

far conoscere la ricerca di unostudioso serio e rigoroso co-me Marco Coslovich, che haraccolto, nel suo libro, una se-rie di terrificanti testimonianzedei sopravvissuti ai campi diconcentramento.Testimonianze di uomini edonne che hanno vissuto espe-rienze allucinanti, scampatidall’inferno dei lager per pu-ro caso, che hanno spesso im-plorato la morte per sfuggirea tanto tormento. Certo puòapparire incredibile a uno cheoggi ha vent’anni o giù di lìche nel Paese che ha genera-to Goethe e Beethoven sianostati possibili tali orrori. Macosì è stato e guai a rimuo-vere quel passato.Merito di Coslovich è statoquello di dare voce a tanti te-stimoni, sottolineandone gliaspetti più significativi, gui-dandone la lettura, comple-tandola con approfondimentie ampie indicazioni biblio-grafiche. Un libro prezioso,che dovrebbe essere adottatoin molte scuole italiane. Quiaccanto riportiamo brani didue testimonianze. Ma il li-bro è da leggere tutto: i rac-conti dei sopravvissuti, i per-corsi di lettura e le schede sul-l’antisemitismo, sul regimefascista in Italia, sul nazismoe lo sterminio, sulla secondaguerra mondiale, sulla Resi-stenza.Per conoscere e per non di-menticare.

I.P.

MarcoCoslovich,“Racconti dal lager”,Mursia editore,pp. 272,lire 20.000

Scritte su un murodi un detenuto in un lager

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La mia vita? Contava meno di un passeroDopo l’8 settembre sono tor-nato a Trieste e quindi sono an-dato in Istria a fare il partigia-no. Mi ricordo ancora i conta-dini che venivano con il mo-schetto e con ai piedi delle cia-batte. Erano formazioni combattentiper modo di dire. Quando nel-l’ottobre del 1944 arrivarono itedeschi subimmo una pesantedisfatta. Era impossibile resi-stere alle truppe corazzate.L’ordine era quello di disper-derci, di conservare le armi edi ricongiungerci una volta pas-sato il pericolo più grave. Io minascosi presso una famiglia dicontadini, mentre i tedeschi ca-lavano e bruciavano villaggi epaesi. Era una cosa tremenda!Rientrai fortunosamente aTrieste e divenni vice segreta-rio del Fronte della gioventù co-munista. Lavoravo per il“Lavoratore clandestino” e co-me attività di copertura, facevol’assistente universitario delprof. Viora. Ai primi di maggiodel 1944 fui comunque arre-stato. Forse qualcuno avrà fat-to anche il mio nome, ma dalmomento che non fui pratica-mente sottoposto ad alcun in-terrogatorio, ritengo che abbianosemplicemente arrestato tuttiquelli che avevano qualche pre-

cedente politico. Nella mia cel-la eravamo in sei e due furonoprelevati e fucilati per rappre-saglia, altri furono pestati a san-gue. Insomma, ogni notte arri-vava qualcuno a prelevarci e noivivevamo nel terrore.Quando ci portarono verso lastazione per partire per laGermania, per noi fu una libe-razione. Naturalmente ci in-gannammo.Il giorno che siamo arrivati aBuchenwald c’erano quattro im-piccati che facevano bella mo-stra di sé. Prima di entrare incampo avevamo letto varie scrit-te: alcuni puntini di sospensio-ne e poi di seguito “tuttavia nel-la foresta risuona un canto al-legro”; “a ciascuno il suo”; “giu-sto o ingiusto che sia la mia pa-tria prima di tutto”; e poi da-vanti all’ingresso “Arbeit ma-cht frei” (Il lavoro rende libe-ri). Erano scritte che io capivoperché conoscevo abbastanza iltedesco, eppure, di alcune misfuggiva ancora il senso.Quell’allusione all’allegria delbosco, ad esempio, non ne af-ferravo il significato. L’avrei capito più tardi quandomi sarei accorto, sulla mia pel-le, che la mia sofferenza, perun tedesco, contava molto me-no del cinguettio di un sempli-ce passerotto.

Carolina Ghersetti,deportata ad Auschwitz e Ravensbrück

Ho visto i morti camminareArrestata verso la fine di giu-gno del 1944, dopo circa un me-se ero già in viaggio per Au-schwitz. Eravamo sessanta in un vago-ne merci. Roba da non crederecome stavamo là dentro in lu-glio con il caldo. Quando sia-mo arrivate ad Auschwitz, laprima notte ci hanno fatte dor-mire per terra, sulla nuda terra.All’alba ci hanno fatte spogliare,ci hanno rasate da per tutto, cihanno fatto il numero sul brac-cio, e ci hanno dato quattro stra-ze (stracci) da metterci addos-so. Qualche putela (ragazza) hacominciato a piangere, e io di-cevo: “Ma cosa piangete! An-dremo a lavorare in fabbrica”.La fame sai cos’è? Io appenaarrivata ho detto a una compa-gna: “Ho visto i morti cammi-nare!” Mi credevano matta, mainvece era vero. Ho visto degliuomini con un collo lungo “unaquarta”, gambe come sedani econ una coperta buttata sullespalle. Erano morti che cam-minavano. Io devo dire che queste cose leho capite dopo quando le ho let-te, una volta tornata a casa. Lànon potevi capire niente: so-prattutto chi era appena arriva-to stentava a credere ai propriocchi. E poi i tedeschi ti nascondeva-

no lecose.Quandoarrivavaun convo-glio e noi si eranel lager, ci facevano chiuderetutte dentro le baracche. Unavolta ci hanno rinchiuse in mez-za baracca ottocento deportate.Era incredibile! Non riusciva-mo a star dentro.A Ravensbrück le cose anda-vano leggermente meglio. Dopoqualche tempo però, gli alleatihanno bombardato la fabbricae abbiamo dovuto evacuare ilcampo.Dopo è cominciata la “marciadella morte”. Cammina e cam-mina senza cibo e ormai stre-mate dal lager. A chi si ferma-va, i tedeschi sparavano in te-sta. Ogni cento metri c’era qual-che morto a terra con la divisazebrata del deportato. Eravamo in cinque o sei checercavamo di tenerci unite tradi noi. Per alzarci, dopo le brevi soste,una si tirava su appoggiata adun albero e le altre si tiravanosu assieme come una catenaumana. Un mattino, che erava-mo buttate assieme in un fieni-le, e potevamo ritenerlo un ri-fugio di lusso, sono arrivati irussi. [...]

Ferdinando Zidar,deportato a Buchenwald

TESTIMONIANZE

BIBLIOTECA

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Salvato dalla cultura dopo l’inferno del lagerIl calvario di Lodovico Barbiano di Belgiojoso, famoso architetto oggi novantenne. Il suo studio harealizzato opere tra le più importanti del XX secolo, tra cui la Torre Velasca.

Per chi non è stato in quel-l’inferno è impossibile affer-rarne tutto l’orrore. LodovicoBarbiano di Belgiojoso, fa-moso architetto deportato aMauthausen, ci avvicina allacomprensione quando scrivenel suo sconvolgente libro dimemorie, che intitola “Fram-menti di una vita”, che dopola Liberazione “la difficoltàmaggiore è stata comunquequella di convincermi a vive-re mentre la grande maggio-ranza dei miei compagni nonera sopravvissuta. Ho avutomomenti di perplessità e unagran tentazione di togliermila vita”. Perché io e non al-tri? E nel suo caso, perché luie non il suo carissimo amicoe collega Gian Luigi Banfi,uno dei quattro architetti delcelebre studio BBPR(Belgiojoso, Banfi, ErnestoRogers ed Enrico Peressutti)?Di famiglia nobile e ricca, fi-glio dell’architetto Alberico edella pittrice MargheritaConfalonieri, Lodovico, natonel 1909, trascorse un’infan-zia, un’adolescenza e una pri-ma gioventù dorate. Le duefamiglie, come dicono i loronomi, avevano in comune an-tenati che erano noti comeprotagonisti di primissimo pia-no del Risorgimento, CristinaBelgiojoso Trivulzio e Fede-rico Confalonieri. Palazzi ma-gnifici, stuoli di camerieri edi cocchieri, governanti, pal-co alla Scala, studi nel mi-

gliore liceo milanese (il Pariniche aveva sede allora in viaFatebenefratelli dove ora c’èla Questura e dove aveva stu-diato anche il Manzoni) e poi,nel ’32, a 23 anni, la laureain architettura. Nell’autunnodel ’34 si sposa con CarolinaCicogna Manzoni, dalla qua-le avrà quattro figli fra l’an-no del matrimonio e il ‘39:Margherita, Maria Luisa,Alberico e Giovanni.Poco più che ventenne subi-sce il fascino del fascismo,ma è questione di poco tem-po. Subito dopo avverte tuttala nefandezza di quel regimetotalitario, negatore di ogni li-bertà, ed entra in una crisi chelo porta ad augurarsi, per ilbene del proprio Paese, lasconfitta dell’Italia. Ormai av-verso al regime fascista, pren-de contatto con il Partitod’Azione, partecipa ad azio-ni “sovversive” e, dopo l’8settembre ‘43, entra nel mo-vimento della Resistenza. Il21 marzo del 1944 viene ar-restato. Prima tappa del cal-vario il carcere di San Vittore,poi Fossoli, infine Mauthau-sen. La Liberazione, ad ope-ra delle truppe americane, av-viene nel pomeriggio del 4maggio del 1945.Bisogna essere grati aBelgiojoso per libri come que-sto, intanto perché è un bel li-bro, che fornisce anche un in-teressante spaccato della so-cietà milanese e del clima cul-

turale che si respirava, finoalla vigilia della seconda guer-ra mondiale e poi, dopo il suoritorno dall’inferno di Mau-thausen, fino ai nostri giorni.Ma grati dobbiamo esserglisoprattutto per l’alto signifi-cato del documento, per lospessore morale che lo con-nota per il contributo prezio-so che fornisce per mantene-re viva una memoria che, in

tempi di crescente revisioni-smo, rischia la cancellazione.“Erano venticinque anni - scri-ve - che volevo completarequeste memorie, iniziate al-meno dieci volte con dieci ti-toli differenti, ma poi ho sem-pre rinunciato nel dubbio chefossero di qualche utilità (...).Mi bloccavano anche le preoc-cupazioni di dire tutto, trop-po o troppo poco (...).

LodovicoBarbiano di Belgiojoso,“Frammentidi una vita”,EdizioniArchinto,pp. 140,lire 24.000

LODOVICO BARBIANO DI BELGIOJOSO

Frammenti

ARCHINTO

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Nel frattempo uscivano in tut-ta Europa libri che parlavanodegli avvenimenti recenti edella deportazione nazista: fu-rono questi a sollecitarmi afarmi vivo, a decidermi a par-tecipare al coro di testimo-nianze su questa prima metàdel secolo”.Lodovico Barbiano di Bel-giojoso è uno degli architettipiù importanti del nostroPaese. Lo studio di cui fa par-te ha realizzato opere, tra cuila Torre Velasca, che hannoassunto un ruolo essenzialenell’architettura del XX se-colo. Belgiojoso è membro,fra l’altro, della Royal Societyof Arts di Londra e del-l’American Institute of Archi-tects.Difficile, per lui e per tuttiquelli come lui, il ritorno al-la normalità. “Temevo - scri-ve - di non riuscire più a fa-re l’architetto, parendomi su-perflue tutte le preoccupazio-ni di carattere culturale e inparticolare quelle di ordineestetico, dopo che l’essenzia-le era divenuto per noi la so-pravvivenza fisica”.

Però - come lui stesso anno-ta - anche nei momenti piùtragici “la cultura acquisita ascuola e nell’attività di ar-chitetto mi era stata utile persuperare la disperazione”.Una disperazione talmenteangosciante e ossessiva dafargli pensare al suicidio:“Pensavo di poterlo fare indue modi: o con un fucile dacaccia, che tenevo nell’ar-madio, oppure buttandomi giùdal Duomo. Ho anche fattola prova delle due soluzioni:la prima sdraiandomi sul let-to col fucile puntato sotto ilmento e col dito sul grillet-to, l’altra salendo sul Duomoe sporgendomi dal parapettodai ricami gotici fino a guar-dare la piazza sottostante.Sono stato rimproverato dauno dei custodi e, scusando-mi, sono ridisceso in strada”.Per fortuna sua e nostra, pia-no piano, sono tornati in luiil gusto di vivere e dell’av-ventura appassionante del-l’architettura.

Ibio Paolucci

Il più vecchio aveva 17 anni

La storia di un gruppo spontaneo che si organizzòcontro il fascismo fin dall’inverno del 1942.

I ragazzi di MuggiòUn gruppetto di ragazzi in unquartiere periferico di Milanoche, alla fine dell’inverno ’42-’43, decide di darsi un’orga-nizzazione vera e propria, manon si tratta di un gioco alla viaPaal, perché dietro l’angolo nonc’è un’altra banda di coetanei,ma i fascisti e i tedeschi occu-panti, e il rischio è di esseremessi al muro o di essere de-portati in un campo di stermi-nio in Germania. Nessun pro-blema per il nome da dare al-l’organizzazione, essendo pa-cifico che dovevano chiamarsi“Giovani comunisti”. L’idea diessere “contro” in altro modo -osserva Orazio Pizzigoni, gior-nalista per molti anni all’“Unità”,autore del bel libro di memorie“I ragazzi di Muggiò”, non lisfiorò neppure.Certo, il padre di Orazio era unantifascista da sempre, ma glialtri ragazzi avevano storie di-verse, anche di oratorio.Straordinario, comunque, il fat-to che a un gruppo di ragazzi(il più vecchio aveva 17 anni)prima ancora del 25 luglio edell’8 settembre del ’43, vengain mente, in maniera autonoma,di porsi in forma organica con-tro il regime fascista. “Le nostre scelte - spiega l’au-tore - non erano ideologiche mafacevano parte di quel patri-monio di sentimenti, di aspira-zioni che avevamo messo as-sieme attraverso le esperienzepiù diverse, durante le quali ave-vamo raccolto messaggi a vol-te precisi, a volte più confusi.L’educazione religiosa avevagiocato per molti di noi un ruo-lo importante, ma anche i filmdi Tom Mix avevano avuto laloro parte nelle nostre scelte.Radio Londra, quando entram-mo in un’età più matura, feceil resto, invitandoci a combat-tere il fascismo”.Del tutto naturale, per loro, con-siderarsi, proprio perché “con-tro”, comunisti, anche se nes-

suno di loro aveva letto una ri-ga del “Manifesto” di CarloMarx e non aveva mai visto uncomunista in carne e ossa. Questo verrà dopo, quando al-cuni di essi, e Orazio fra que-sti, entreranno a far parte delleBrigate garibaldine. Prima, lastampa e la diffusione di mani-festini è frutto di una loro spon-tanea decisione. Capitò pure chealcune loro iniziative, tanto au-daci quanto imprudenti, fosse-ro viste da chi rappresentaval’opposizione ufficiale con so-spetto, con il rischio di esserescambiati per provocatori. Poiarrivarono i rapporti con le for-mazioni della Resistenza, conil Partito comunista. E così, fra le tante altre inizia-tive, la mattina del 24 aprile del’45, vigilia dell’Insurrezione,Pizzigoni si offre volontario perdisarmare un soldato dellaWehrmacht. Che, più esperto dilui, spara per primo e lo feriscegravemente. Per giorni e giorni fra la vita ela morte, Pizzigoni finalmenteesce salvo dall’ospedale e puòrespirare nelle vie di Milanoquel clima di libertà, che anchelui, nel suo piccolo, aveva con-tribuito a ristabilire dopo un ven-tennio di dittatura.Il racconto di Orazio si fermanell’ospedale. Ma noi sappia-mo che poco dopo conseguiràla maturità scientifica, per poiiscriversi alla facoltà di scien-ze politiche all’Università diPavia. Infine approderà nella re-dazione dell’“Unità” di Milano.Ma questa è un’altra storia, che,forse, Pizzigoni, racconterà inun altro libro.

I.P.

Orazio Pizzigoni,“I ragazzi di Muggiò”,

Logos editore ,pp. 230 ,

lire 13.000

“La fame era una compagnacostante, fedele. E così era an-che per la sete. L’acqua dei ru-binetti del lavatoio era pom-pata dal fiume e non era pota-bile: un grande cartello lo di-ceva, minacciando sanzioni achi ne beveva. Per dissetarcic’erano soprattutto il brodo del-la minestra e un finto caffè almattino. Un altro, continuo tor-mento era il bisogno di urina-re. Nella baracca, la notte nonfaceva tanto freddo, ma l’e-strema debolezza non consen-tiva di trattenerci neanche unistante. Bisognava, l’inverno,stringersi subito con una ma-no per evitare di bagnare nel-la cuccetta, scendere dal lettoa castello, penosamente aiu-tandosi con l’altra mano, ma-gari tenendo gli zoccoli con i

denti. Bisognava poi calzaregli zoccoli fra le due porte del-la baracca, tuffarsi nel gelo,raggiungere a più di cento me-tri il gabinetto nel Waschraume, scavalcando i cadaveri sulpavimento, sgravarsi nel postogiusto. Ma talvolta, appena ri-tornati in baracca, bisognavauscire di nuovo. Se qualcunoveniva sorpreso a urinare sul-la neve lungo la strada, veni-va ammazzato dai guardianinotturni, con una sbarra di fer-ro che spaccava il cranio dal-l’alto in basso. Così, al matti-no, si trovavano dei cadaverifreschi di qualche ora, con duegrandi macchie sulla neve, unarossa e una gialla.”

(Dal libro di Belgiojoso “Fram-menti di una vita”)

Massacrati per avere urinato nella neve

TESTIMONIANZE

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BIBLIOTECA

“La Resistenza in convento”Einaudi, pp. 250, lire 25 mila.

Enzo Forcella

Pubblicato a meno di un anno dalla scomparsa del grande giornali-sta, il libro affronta il clima della Roma fra l’8 settembre 1943 e ilgiugno del 1944, quando la capitale venne liberata. L’ottica è parti-colare: quella del Vaticano che diventa un protagonista decisivo perla salvezza di ebrei, notabili, industriali, scrittori, politici antifasci-sti, aristocratici; quella degli occupanti tedeschi che fingono diignorare che i conventi ospitano clandestini di ogni tipo e, infine,quella del Cln, impegnato a vincere la sua battaglia. Una fitta retedi misteriosi e impalpabili fili che segnerà il futuro dell’Italiademocratica. Un libro di storia e una deliziosa commedia nellostesso tempo, in cui tutti giocano a non sapere.

“Brigate Nere” (Mussolini e la militarizza-zione del Partito fascista repubblicano)Bollati Boringhieri, pp. 305, lire 48 mila.

Dianella Gagliani

Mettendo a fuoco il Partito fascista repubblicano e le varie edopposte concezioni nei suoi confronti del composito mondo diSalò, il libro affronta il tema della trasformazione del partito in par-tito armato, cioè nel corpo delle famigerate “Brigate Nere”. Unastruttura strettamente vincolata alla guerriglia partigiana e, diversa-mente da quanto sinora raccontato, progettata e voluta con tenaciadal capo del fascismo. Mussolini, il fascismo, il partito costituisco-no, infatti, un trinomio inscindibile per capire la storia di quel fero-ce periodo. È un rigoroso viaggio all’interno della Repubblica diMussolini in cui, da una parte, emerge la linea “politica” dellagerarchia salotina e, dall’altra, balzano fuori prepotenti i percorsidei gruppi e dei singoli militanti.

“Il cappello del banchiereVita di Raffaele Mattioli”Sellerio Editore, pp. 252, lire 30 mila.

Ugo Martegani

È la prima biografia completa di Raffaele Mattioli, “il banchiereumanista”, “il banchiere laico”, simbolo durante il fascismo diun’Italia che non esisteva: laica, azionista, europea, colta e pragma-tica. Una sorta di bandiera che faceva comodo che restasse nellavaghezza del simbolico sia a chi rappresentava l’Italia del tempo,usurpata dal regime mussoliniano, sia a chi avrebbe avuto il com-pito di preparare l’Italia democratica. Questo libro offre la chiaveper fare i conti con il volto autentico di questo uomo straordinario(“the fabulous italian banker” com’era conosciuto in America),attraverso le notizie certe, sullo sfondo della storia non solo banca-ria ed economica del nostro Paese.

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

(a cura di), “Una storia nella Storia - GisellaFloreanini e l’antifascismo italiano dalla clandestinità al dopoguerra”Res Cogitans Editore, pp. 236, lire 20 mila.

Fiamma Lussana

Otto saggi, lettere inedite, scritti, discorsi parlamentari, tenuti assie-me da un filo rosso che attraversa la vita avventurosa, coraggiosa,esemplare di Gisella Floreanini, partigiana, ministro nella liberaRepubblica dell’Ossola, sindacalista, impegnata sino alla fine nellalotta per la libertà. Un libro commovente: si stacca, alto, il volto nobile di una comu-nista, sensibile, sempre in prima linea, tenace assertrice di una poli-tica retta da un elevato senso etico.

“Mostri di gesso”Clueb editore,pp. 338, lire 29 mila.

Luciana Baruzzi

Il racconto della guerra con gli occhi dei bambini, il ricordo filtratodal dolore, incancellabile marchio della violenza degli uomini. Laguerra raccontata e nuovamente subita, lo sforzo di riordinare ipensieri, capire, cercare di sperare. La guerra soprattutto vista dal basso, dai soldati, dalle personesemplici travolte dal dramma. Luciana Baruzzi, laureata in pedago-gia, direttrice didattica da vent’anni nella valle del Senio, splendidoesempio di educatrice, ha parlato e ha fatto parlare i compagni diallora, dei giochi innocenti, parenti, conoscenti, testimoni direttidei fatti. Attraverso loro la guerra è ridiventata viva, evento perso-nale, bruciante.

“Il rifugio precario”La Nuova Italia, pp. 615, lire 58 mila.

Klaus Voigt

È una delle pagine più inquietanti e nello stesso tempo meno cono-sciute della storia recente: Voigt analizza a fondo la vicenda dramma-tica dell’esilio e dei profughi, soprattutto ebrei, in Italia dal 1933 al1945. L’entrata in guerra a fianco della Germania non impedìall’Italia di tollerare nelle sue frontiere profughi fuggiti dai territorisotto il tallone hitleriano. Per quanto in Italia, dal 1938, fossero entratein vigore le leggi razziali, nel corso della guerra il numero di coloroche giunsero nel nostro Paese aumentò notevolmente (oltre 10 milapersone). Voigt ha raccolto documenti, ha ricostruito l’immagine deifuggiaschi, ha studiato il rapporto coi governi fascisti sino alla Rsi, hacercato di analizzare il comportamento tenuto nei loro confronti dallapopolazione. Un esempio: il campo di Ferramonti di Tarsia, il lager-ghetto nel cuore della Calabria. Lì il dramma toccò il suo apice.

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“L’Italia fascista”il Mulino, pp. 509, lire 48 mila.

Danilo Veneruso

È il quadro d’assieme del ventennio fascista con una attenzione par-ticolare ai temi sociali, economici, diplomatici. Dopo la sua dram-matica ascesa al potere, il fascismo, nel passaggio a regime, dovette“costruirsi” come Stato forte e tentare una identificazione con lemasse, in gran parte estranee al processo “rivoluzionario”. Le trasfor-mazioni furono profonde, dalla fine del sistema dei partiti, alla sop-pressione dei sindacati, al sorgere del corporativismo, al concordatocon la Chiesa, all’alleanza con la Germania, sino al tragico sbocconella seconda guerra mondiale. Il libro scava più a fondo ed emergo-no nello stesso tempo la mancata adesione totale delle masse al pro-cesso rivoluzionario, l’indifferenza e l’ostilità del mondo culturale,infine l’opposizione al fascismo della delusa classe borghese, segna-ta dagli orrori e dagli errori di un conflitto perduto.

(a cura di), “La memoria del nazismo nell’Europa di oggi”La Nuova Italia, pp. 403, lire 46 mila.

Leonardo Paggi

Sotto la spinta delle profonde trasformazioni che sono in atto nellamemoria europea del nazismo, il libro, curato da Paggi e a cuihanno contribuito storici di valore internazionale (Klinkhammer,Collotti, Gillis, Maier, Geyer, Browning e altri) analizza questimutamenti, intrecciando la ricostruzione di particolari massacricompiuti in Italia, Olanda, Francia, Polonia con l’analisi delle poli-tiche della memoria in atto nei principali Paesi europei. Esce unquadro che riconferma la centralità della memoria del nazismonella identità dell’Europa di oggi, sottolineando insieme l’esistenzadi forti innovazioni rispetto alle narrative della Resistenza e del-l’antifascismo dopo il 1945.

“Auschwitz spiegato a mia figlia”Einaudi, pp. 77, lire 10 mila.

Annette Wieviorka

È il racconto che l’autrice, direttrice del Centro nazionale per laricerca scientifica alla Sorbona di Parigi, fa dell’Olocausto, rispon-dendo con semplicità alle domande di sua figlia Mathilde.Domande crude e dirette che esprimono l’incredulità di chi nonpuò concepire l’assurda tragedia dei lager nazisti. L’enigma delmale assoluto che vive nell’animo della ragazzina, trova echi ade-guati. Occorre fare in modo che tante altre Mathilde possano ricavare daquesta riflessione un rafforzamento della loro coscienza. Come hascritto nella postfazione Amos Luzzatto, la speranza è che i ragazzi“possano comunicare ai loro coetanei che cosa si può nasconderenelle pieghe di un mondo e di una società che ama autoproclamarsicivile e progredita”.

“Un’infanzia nel ’45”Marsilio, pp. 155, lire 25 mila.

Ulderico Bernardi

Si chiude la guerra ma non finiscono le giornate segnate dalla rab-bia e dall’odio, dopo i decenni del fascismo. Siamo nel Veneto ed èin questa società contadina, che più ha pagato il prezzo del conflit-to, dividendo gli animi a seconda delle scelte compiute (con Salò ocontro Salò), che Ulderico Bernardi, docente di sociologia a Ca’Foscari di Venezia, scrittore delle tradizioni popolari, ambienta ilsuo racconto, fra tragedie familiari, drammi umani, amici controamici, madri fresche vedove con i bambini in spalla alla ricerca diimprobabili aiuti. Giovani fascisti, scampati alle foibe istriane, fini-scono ammazzati sui greti del Piave. Per ciascuno, parole comepatria, onore, libertà e giustizia, non sono suoni retorici ma bandie-re, in una “coda” della guerra devastante. Ma la speranza è chegiunga, in fretta la pace.

“La storia della Repubblica di Mussolini”Mondadori, pp. 353, lire 34 mila.

Aurelio Lepre

Quali furono le cause che portarono il 25 luglio del ’43 all’arrestodi Mussolini, l’8 settembre alla fuga del re e di Badoglio, e pocopiù tardi alla costituzione della Rsi? Che cosa accadde durante icosiddetti 600 giorni di Salò, quando l’Italia restò divisa in due,dilaniata dalla guerra? Con una ricca documentazione, in granparte inedita, lettere e telefonate intercettate dalla censura, rapportidi polizia, pagine di diario, Aurelio Lepre contribuisce ad arricchirela conoscenza di una pagina oscura della storia patria e addiritturaa demolire l’immagine di un Mussolini prigioniero dei tedeschi,costretto a muoversi in spazi ristretti, rivalutando quella “Re-sistenza disarmata” fatta da una larga fetta della società, che fudecisiva per le sorti della democrazia e della libertà.

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“Elogio della libertà”(Biografia di Piero Gobetti)Editrice Il Punto, pp. 190, lire 12 mila.

Alberto Cabella

La brevissima vicenda umana di Piero Gobetti, ricostruita in modoesemplare, dai primi passi nella Torino di Luigi Einaudi e di Gae-tano Salvemini di cui fu discepolo (Gobetti nacque il 19 giugno del1901), è stata raccolta in un volume agile e documentato. A 17anni Gobetti pubblica la prima rivista, “Energie Nove”, a cui colla-borano i maggiori intellettuali italiani. Si appassiona alla storia, alla politica, alla letteratura italiana erussa e fonda una sua casa editrice. Più tardi attorno alla rivista “LaRivoluzione liberale” si sviluppa una rete di militanti antifascisti.Perseguitato dal regime, indebolito dai pestaggi subiti, raggiungeParigi il 3 febbraio 1926, desideroso di sviluppare il suo impegnoeditoriale. Muore tredici giorni dopo, a soli 25 anni. Il suo modellodi vita, sempre coerente ai propri ideali, è un esempio limpidissimoper i giovani di oggi.

“Un italiano vero: Pitigrilli”Baldini e Castoldi, pp. 245, lire 32 mila.

Enzo Magrì

Pitigrilli (dal nome della pelliccia della madre, “petit-gris”, loscoiattolo) alias Dino Segre, torinese, classe 1893, ebreo per partedi padre, letterato precoce, efebo biondo nel salotto di AmaliaGuglielminetti, la scrittrice più in voga del tempo, di cui diverràl’amante, fu l’intellettuale che contagiò con il suo cinismo almenodue generazioni d’italiani. Romanziere a suo modo geniale (celebrigli scandalosi romanzi da “Cintura di castità” a “Mammiferi dilusso” sino a “Cocaina”), mito per i borghesi degli anni ’20, “foto-grafo della morale disgregata”, fondatore e direttore de “Le grandifirme”, antifascista precoce (“La camicia nera? Un abito da sica-rio”), agli inizi degli anni ’30 divenne una spia dell’Ovra, la poliziadi Mussolini. Le sue informative costarono l’arresto a Vittorio Foa,Leone Ginzburg, il confino a Cesare Pavese, la distruzione dellarete di “Giustizia e Libertà” di Parigi. Per sfuggire al carcere dopol’8 settembre del ’43, si schierò sul fronte antifascista, rifugiandosiin Svizzera. Ma il marchio di delatore lo accompagnerà sino allamorte.

“Pittaluga racconta”(Romanzo di fatti veri)il Mulino, pp. 198, lire 24 mila.

Paolo Emilio Taviani

È una raccolta di cronache, piccoli e grandi fatti, di cui RiccardoPittaluga (il senatore Taviani, presidente dei partigiani cattolici,raccolti nella Fvl) fu testimone o di cui sentì raccontare a caldo frail 25 luglio del ’43 e il 23-26 aprile del ’45, i giorni della vittoriosainsurrezione, quando, unico caso quello genovese, un intero Corpod’Armata tedesco si arrese ai partigiani. Taviani-Pittaluga ebbecontatti al massimo livello: con lui trattarono la linea della lotta inuna regione strategicamente decisiva per i nazifascisti, Parri ePertini, Longo e Cadorna, Duccio Galimberti e Martini Mauri,Cefis e Marcora, le Missione alleate ed il “maquis” francese. Un“romanzo di fatti veri” con la freschezza delle emozioni e delletensioni di quelle ore di lotta, quando tutto sembrava difficile senon addirittura perduto.

BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

Il lato “comico” del fascismo in tre cartoline della serie:“Per te, faccetta nera” (Da “Autobiografia del fascismo”- editore La Pietra - Milano)

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“Tessere o non tessere -I comici e la censura fascista”Liberal Libri, pp. 160, lire 20 mila.

Nicola Fano

Utilizzando documenti dimenticati negli Archivi di stato, il libroripercorre la storia della censura fascista nel campo del varietà edell’avanspettacolo dal 1931 al 1943. Da Angelo Cecchelin adAldo Fabrizi, da Enzo Turco ai fratelli De Filippo, da GuglielmoInglese (autore dei testi di Totò) a Nuto Navarrini, viene ricostruitala storia del nostro teatro comico popolare e, con essa, la vita quoti-diana dell’Italia di quel tempo. Non mancano le scoperte, testi ine-diti di Fabrizi, Totò e De Filippo. Al centro il protagonista assolutodella censura teatrale fascista, Leopoldo Zurlo, prefetto del Regno,classe 1875, molisano di origine, uomo di grande cultura classica,celibe. L’esatto contrario del fascista puro. Ma fu lui il censore chedal varo della legge 599 del 6 gennaio 1931 si preoccupò di dare onon dare i necessari visti di approvazione. Un operato che, politica-mente morbido, fu molto duro in chiave estetica.

“Pio XII e la Seconda Guerra Mondialenegli archivi vaticani”Editore San Paolo, pp. 392, lire 38 mila.

Pierre Blet

Sul tema scottante e sempre attuale del colpevole silenzio di papaPacelli sulla tragedia ebraica e sulla polemica rinvigorita di recentedal giornalista britannico John Cornwell, che nel suo “Il papa diHitler” ha dipinto Pacelli come filonazista e antisemita, Pierre Blet,gesuita, storico della chiesa, contrappone una lettura degli avveni-menti tutta basata sui documenti vaticani. Esce il ritratto di un papache, nelle giornate terribili dell’occupazione tedesca della capitale,non manca di dare il proprio contributo a favore dei prigionieri,ebrei compresi. Un’azione riservata, sviluppata attraverso la diplo-mazia vaticana direttamente sui governi. Un altro passo avanti persapere la verità proprio mentre una Commissione di studiosi nomi-nati dalla Santa Sede e da un comitato internazionale di leadersebraici si appresta ad esaminare i materiali dell’archivio vaticanosu quel tragico periodo. Pacelli, se mai si è adoperato per le vitti-me, lo fece in modo sufficiente?

“Vichy - 1940-1944 -Il Regime del disonore”Il Saggiatore, pp. 415, lire 34 mila.

Roberto O. Paxton

Gli anni di Vichy, il periodo più oscuro della vita della Franciamoderna, appaiono in tutta la loro tragica luce. Ma l’importanzadella ricerca (che ha sconvolto la coscienza storica dei francesi) vapiù in là svelando quello che per decenni era parso un tabù: laFrancia meridionale, quella collaborazionista di Petain, non fu unostato fantoccio, asservito ai tedeschi occupanti e quindi non diretta-mente responsabile delle atrocità commesse. Se dal 1940 laFrancia venne divisa in due, con il Nord sotto il controllo delReich, il Sud godette di margini di una certa autonomia di cui feceil peggior uso possibile. Il governo di Pierre Laval diede subito lacaccia ai nemici interni a cui attribuire la responsabilità della scon-fitta militare e consegnò gli ebrei ai tedeschi senza pressioni daparte di questi ultimi. È un affresco illuminante delle radici delladestra francese al potere, con il suo progetto di rinnovamentonazionale su base clericale ed antisocialista, con le sue contorterelazioni diplomatiche coi nazisti e con gli Alleati.

L’Aned di Schio annuncia ladolorosa scomparsa del socio

Igino D’Agostini

di Feltre, ex deportato nel cam-po di Bolzano

L’Aned di Udine annuncia condolore la scomparsa di

Aldo Boscutti

ex deportato a Buchenwald,deceduto nel maggio scorso,e di

Aristide Araldi

ex deportato a Buchenwald,morto nell’agosto ’99

Con profonda tristezza la se-zione Aned di Verona annun-cia la perdita degli amici:

Dario Bragantini

superstite del campo di con-centramento di Bolzano;

Giovanni Longhetto

uno dei soci fondatori dellasezione veronese, vice presi-dente, valido collaboratore permolti anni e componente delComitato internazionale diBuchenwald;

Maria Rossini

superstite del campo di con-centramento di Bolzano;

Mario Venturi

ex deportato nei campi diDachau, Flossemburg, Saal eKehlheim.

L’Aned di Milano annunciacon dolore la scomparsa di

Otello Vecchio

avvenuta il 13 novembre scor-so. Nel 1944, dopo il carceredi San Vittore, era stato de-portato prima a Bolzano e,successivamente, a Dachau,Kaufeling e nell’ospedale diLandsberg.

L’Aned di Schio (Vicenza)partecipa con cordoglio allascomparsa del socio

Felice Bellumat

deceduto a Feltre il 31 otto-bre scorso. Ex deportato nelcampo di Bolzano, matr. n.4934, era molto attivo pressoi compagni di Feltre per man-tenere i contatti con la sezio-ne di Schio. Ogni anno orga-nizzava una cerimonia per ri-cordare i Feltrini che non era-no più ritornati.

Il Consiglio direttivo della se-zione Aned della Spezia an-nuncia, con profondo dolore,la scomparsa di

Nina Tantini Stanzione

ex deportata di Ravensbrück- matr. 77404 - avvenuta aRoma nello scorso luglio, al-l’età di 99 anni.Era stata arrestata a La Speziail 2 luglio 1944 nella sua abi-tazione; con lei furono cattu-rati il figlio Auro, la figliaMirella appena diciassetten-ne, ed Italo Geloni. Il figlioAuro, durante un trasferimento,riuscì a fuggire, mentre Ninae Mirella, dopo estenuanti in-terrogatori e un travagliatoviaggio, furono trasferite nelcampo di Ravensbrück dovegiungero l’11 ottobre 1944.Nina fu in seguito destinata allavoro in fabbrica, sino a quan-do, assieme alla figlia Mirella,venne trasferita in un piccolocampo, che sorgeva vicino al-la Siemens. Qui rimasero en-trambe per sette lunghi mesinella baracca n. 3, stube n. 1,dove Nina fu la “mamma” nonsolo di Mirella ma altresì diBianca, Bice, Jannette, Maria,Albertina, Angela, Carlotta, lealtre ragazze che in quei gior-ni bui trovarono in lei appog-gio, affetto, e da lei presero ilcoraggio di resistere e so-pravvivere.Ritornata a casa, non dimen-ticò mai il lager e fino a chela salute e l’età glielo permi-sero, partecipò ai pellegrinaggie alla attività della sezione,sempre instancabile e di spro-ne ai più giovani.

I NOSTRI LUTTI

50

Il sito dell’Aned consultato da 32 Paesi

Sorprendenti risultati della nostra iniziativa su Internet

Quasi la metà degli accessi viene dall’estero.Tra i più assidui frequentatori un nutrito grup-po di università italiane e straniere. Molto inte-resse per la “biblioteca virtuale”.

Il sito Internet dell’Aned si avvia a compiere il suo secondoanno di vita: i primi progetti risalgono infatti alla fine del 1997,e l’esordio sulla rete all’inizio del 1998. In questo periodo nonavevamo altro riscontro del successo della nostra iniziativa al-l’infuori di un numeratore che abbiamo posto all’“ingresso”del sito, che scatta ogni volta che quella pagina viene consul-tata. Questo numeratore segnava 289 quando, nel marzo 1998,il progetto è stato presentato al Consiglio nazionale dell’Aneda Brescia. Nel marzo 1999 ha toccato quota 20.000. E a metàdicembre, 9 mesi dopo, ha superato quota 50.000.La società Agorà, che ci ospita gratuitamente fin dall’inizio, apartire dall’ottobre scorso ci ha messo a disposizione le stati-stiche ufficiali degli accessi, così come vengono rilevate daisuoi computer. Sono dati che verranno aggiornati con caden-za mensile, e che noi abbiamo deciso di rendere pubblici (chifosse interessato li trova all’indirizzo: “http:///www.deporta-ti.it/deportati.MONTH01.ktm”).

Sono cifre clamorose, che di-cono dell’enorme seguito cheil sito si è conquistato in que-sti due anni in Italia e all’e-stero. Gli utenti sicuramenteitaliani sono stati infatti traottobre e novembre appenapiù della metà del totale, il52,77%. Gli altri provengonoda ben 32 paesi, sparsi per icinque continenti. L’elencocomprende tra gli altri StatiUniti, Argentina, Cile, Mes-sico, Brasile, Uruguay, Sviz-zera, Germania, Francia,Israele, Polonia, Giappone,Australia, Finlandia, Norvegia,Pakistan.Nell’elenco figurano moltedelle maggiori imprese delmondo: Ibm, Unilever, Total,Bosh, Siemens, Telia, Com-paq, Stm, Hp, solo per citar-ne alcune, molte le italiane,tra le quali ricordiamo Mer-loni, Alitalia, Banca Commer-

Chi visita il nostro sito cercaper lo più informazioni (e im-magini) sui campi nazisti. Mahanno una buona “audience”(se mi si passa il termine ra-dio-televisivo) anche le infor-mazioni bibliografiche e le

schede cinematografiche. Particolarmente lusinghiero èstato l’interesse per i testi cheda qualche mese abbiamo co-minciato a rendere disponibi-li online: il “Diario di prigio-

ciale, Eni. Notevole la pre-senza degli organi di infor-mazione: tra i nostri “clienti”abituali troviamo la Rai,l’Ansa, la Dire, “Il Giornaledi Brescia”, ma anche l’ame-ricana Dow Jones e la spa-gnola Retevision.Ma soprattutto è il mondo del-l’università che si mostra as-siduo nella consultazione delnostro indirizzo Internet. Si so-no collegate con noi tutte in-distintamente le maggiori uni-versità italiane, oltre all’ame-ricana Yale, alle università te-desche di Potsdam, Hannover,Lipsia e Passau e a quella diVarsavia e molte altre sparseper il mondo. Tornano infinecon una certa frequenza a cer-care informazioni sui lager ela deportazione gli uffici dimolte regioni, comuni e pro-vince sparsi un po’ per tutta lapenisola.

Paese Ottobre ’99 Novembre ’99 Totale

Argentina 5 27 32Australia 16 1 17Austria 4 3 7Belgio 47 14 61Brasile 49 19 68Canada 4 4Cile 3 3Croazia 14 14Danimarca 55 1 56Finlandia 4 4Francia 26 211 237Germania 308 286 594Giappone 37 9 46Gran Bretagna 70 5 75Israele 158 158Italia 28235 29722 57957Lussemburgo 4 1 5Messico 18 18Norvegia 1 10 11Olanda 3 5 8Pakistan 3 3Polonia 50 4 54Rep. Slovacca 4 4Rep. Ceca 2 2San Marino 4 173 177Slovenia 6 6Spagna 19 15 34Svezia 6 38 44Svizzera 377 426 803Ungheria 2 2Uruguay 3 3Usa 7 3 10

.arpa 68 68

.com 2557 920 3477

.edu 19 8 27

.net 952 1189 2141

.org 2 2Non determinati 16609 23032 39641

Totali 49553 56320 105873

51

nia” di Calogero Sparacino èstato prelevato da ben 134 per-sone nell’arco di 2 mesi; il li-bro su Mauthausen di GiulianoPajetta, fuori catalogo da de-cenni, dopo l’edizione del1946, è stato guardato da 79persone nel solo mese di no-vembre. Ben 51 sono quelliche hanno deciso di prelevarlodal sito e registrarlo sul pro-prio computer, per leggerlocon calma successivamente.Il recente libro “Domani chis-sà” di Felice Malgaroli, su-perstite di Gusen, in 3 giorniè stato visto da ben 16 per-sone. L’idea di una bibliote-ca virtuale, nella quale rida-re vita a testi per lo più in-trovabili da molti anni, è sta-ta dunque premiata.Nell’immediato futuro due so-no le direttrici principali delprogetto di sviluppo. In pri-mo luogo, constatato l’inte-resse che circonda la nostrainiziativa dall’estero, ci sia-mo dati l’obiettivo di tradur-re le principali pagine in in-glese, francese e tedesco. Ungiornalista tedesco, EggertBlum, si è offerto di curaregratuitamente la versione te-desca. In secondo luogo è incantiere un generale restylinggrafico, che sarà visibile al-l’inizio del 2000.L’impianto originario del si-to ha retto più che egregia-mente la prova di questo dif-ficile “rodaggio”, e non saràquindi sostanzialmente mo-dificato. Sarà però rinfresca-ta e unificata la veste graficadelle diverse sezioni, oggi nonesattamente omogenea anchea causa dell’intervento di di-versi mani nella concreta rea-lizzazione del progetto.

Vitalizio e reversibilità:i documenti che servono

Il punto su un problema dolente

I ritardi causano lamentele, ma spesso le richieste vengono respinte perché prive dei requisiti -Quali testimonianze? Camera e Senato impegnati a trovare la copertura delle spese.

Da tempo ricevo lagnanze inmerito alla lentezza con cuivengono evase le domande te-se ad ottenere il riconoscimentodel vitalizio o la sua reversibi-lità alle vedove o ai vedovi.Lagnanze giustificate, soprat-tutto se si tiene conto dell’etàdei richiedenti. E, in manieraneanche troppo sottintesa, ci silamenta della scarsa capacitàfunzionale delle strutture am-ministrative preposte alla istru-zione delle pratiche ed alla lo-ro definitiva evasione. C’è delvero.Le tante pastoie burocratiche,la carenza di personale certa-mente non aiutano ad ottene-re il tanto sospirato snellimento.Tuttavia ritengo doveroso por-tare tutti gli amici a conoscenzadi un serio motivo che aggiungeulteriore lentezza. Da anni, si-curamente da tre almeno, arri-vano alla competente Direzionedel ministero del Tesoro cen-tinaia e centinaia di richiestedi vitalizio da parte di non aven-ti diritto. Lavoratori coatti, mi-litari non internati in KZ, ad-dirittura di lavoratori volonta-ri. Tutte queste richieste, sep-pure destinate ad avere esitonegativo già noto in partenza,obbligano all’istruzione di unapratica. E non può essere al-trimenti, essendo la Commis-sione, di cui faccio parte in rap-presentanza dell’Aned, l’uni-ca a dare parere in merito al-l’ammissibilità alla concessio-ne del vitalizio.Domande che arrivano diret-tamente dagli interessati maanche da parte di patronati, sin-dacati, associazioni varie, spes-so appositamente create.Ecco perché le poche praticheil cui esito è positivo subisco-no un notevole rallentamento

nella loro definizione.Ulteriore e notevole ritardo ècausato dal dover richiedere lacertificazione di Arolsen. I tem-pi per le risposte sono ormaicalcolabili in un periodo noninferiore ai 12 mesi.Colgo l’occasione per far sa-pere che le domande di rever-sibilità alle vedove e ai vedo-vi di ex deportati che fruivanodel vitalizio devono essere pre-sentate alle competenti Dire-zioni provinciali del Tesoro enon alla Direzione romana, inquanto per questi casi non ènecessario il parere della Com-missione. In questo modo si ri-sparmia sicuramente tempo.Veniamo ora alla reversibilitàai familiari di ex deportati chenon hanno fatto domanda divitalizio nei tempi e nei modiprevisti dalla legge 94 del 29gennaio 1994 e siano succes-sivamente deceduti.L’interpretazione autentica del-la legge in questione ha sanci-to che anche questi familiarihanno diritto alla reversibilità.Tuttavia il provvedimento vo-tato al Senato è stato bloccatoin quanto, essendo inserito inun capitolo di spesa più ampiocon altri provvedimenti in ma-teria pensionistica e di assi-stenza, e con una previsione dispesa significativa, è stato ri-tenuto dai ministeri interessa-ti “privo di copertura finan-ziaria”.Le Commissioni della Camerae del Senato sono ora impe-gnate a trovare detta copertu-ra. Sarà mia premura informarele sezioni quando la situazio-ne sarà sbloccata. Per il mo-mento è preferibile non inol-trare domande di questo tipo,perché avrebbero esito negati-vo e costringerebbero poi a do-

mande di riesame, quando nona costosi ricorsi.Infine due parole sulle testi-monianze, in particolare perquanto concerne richieste re-lative a deportati in Bolzano.Gli elenchi compresi nel librodi Appacher sono ritenuti ele-menti di prova. Tuttavia sap-piamo che questo libro foto-grafa una situazione al febbraio1945 e che non è valido, perovvie carenze. Da qui la ne-cessità di testimonianze, anchetenendo in considerazione chegli archivi della Croce Rossain Arolsen sono, per quanto ri-guarda Bolzano, largamente in-completi.Ma le testimonianze per poteressere accettate devono appa-rire non solo veritiere ma cre-dibili e circostanziate. Non so-no testimonianze quelle che di-cono: “Io sono stato a Bolzanoed ho il vitalizio. Il signor XYè stato anche lui a Bolzano equindi deve godere dello stes-so beneficio”. Quale prova vie-ne prodotta? Testimonianza ac-coglibile è invece quella di unex deportato, al quale è statoriconosciuto il vitalizio, che af-ferma: “Il signor XY era conme a Bolzano”. Oppure “Iol’ho visto a Bolzano nel pe-riodo della mia detenzione”.Questi sono elementi di prova.Soprattutto, ripeto, in mancanzadi una certificazione positivadi Arolsen.

Aldo Pavia

Informazioni:

dove e da chi

Spero di aver dato i chia-

rimenti necessari. Per ogni

altra necessità sono a di-

sposizione di tutti gli iscrit-

ti. Basterà rivolgersi alla

sezione di Roma, al se-

guente indirizzo:

via Palestro, 3 - 00185

Roma o al numero

telefonico 06.42.87.07.33.

52

I trasporti dall’Italia verso lo sterminio

Deportati da decine di paesi

Soltanto un prigioniero su dieci fece ritorno

Le cave di pietra e i profitti delle SS

dedicato a Mauthausen

In preparazione del Congresso nazionale dell’Aned

Con il prossimo numero di “Triangolo Rosso”

I 186 gradini della morteLa “scala della morte” diMauthausen, di 186 gradi-ni. I deportati la percorre-vano trasportando sullespalle pesanti macigni.Molti cadevano strematidalla fatica, trascinando al-tri compagni.

La storia del lager dall’apertura (8 agosto1938)alla liberazione(5 maggio1945)

Speciale dossier