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Anno della Fede Albenga, 18-20 settembre 2012 Tre giorni del Clero 2012

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Albenga, 18-20 settembre 2012

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Albenga, 18-20 settembre 2012

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I PARTE:

RELAZIONE DEL PROF. MONS. INOS BIFFI

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INOS BIFFI

LA FEDE: OSSIA LA DIVINA RIVELAZIONE

E LA SUA ACCOGLIENZA ED ESPERIENZA

I l termine fede, se inteso in senso oggettivo, indica la DivinaRivelazione, trasmesso dalla Parola di Dio, o, secondo il ricorrentelinguaggio paolino, il mistero divino, apparso compiutamente nel

Figlio di Dio, morto, risorto e glorioso.Lo stesso termine, inteso invece in senso soggettivo indica l’acco-

glienza della Parola Dio, il consenso al mistero, e quindi l’adesione alCrocifisso glorioso: accoglienza, consenso e adesione, che mirano a inte-riorizzarsi fino a diventare esperienza.

Questa relazione prenderà in esame per linee essenziali la fede da tut-t’e due i profili, non tralasciando di rilevare, via via, sullo sfondo i frain-tendimenti e le confusioni anche gravi che non raramente ricorrono esegnano il nostro tempo ecclesiale, a dispetto della diffusa pretesa diessere dei lettori dei segni dei tempi.

INTRODUZIONE

Ci introduciamo con due rilievi fondamentali.

– Il primo: gli uomini – tutti uomini – sono concepiti e creati da Dioperché divengano credenti, e perciò ricevano il dono della fede e aderi-scano a Gesù Cristo. Nessuno è voluto da Dio, e viene al mondo, in unostato di indifferenza o di neutralità nei confronti della fede. Possiamoallora parlare di destinazione, o predestinazione o inclinazione nativa, osecondo il progetto creatore di Dio, di ogni uomo a credere in Cristo. Elo vedremo più avanti. Ma già verrebbe da dire che una laicità comeimmunità dalla relazione con Dio è insostenibile.

D’altronde – come scrive Tommaso d’Aquino – «il primo uomo èstato creato in grazia così come lo furono anche gli angeli (Summa

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Theologiae, I, 62,3); lo stesso Tommaso parla di «inclinazione della gra-zia nei confronti di Dio» (ibid.), Certamente, a motivo del primo pecca-to, l’uomo non nasce in grazia, ma senza dubbio predestinato, orientato,alla grazia, cioè alla fede in Gesù Cristo.

– Il secondo rilievo: per dire che in una cultura largamente atea, il dis-corso della fede è privo di qualsiasi senso; una ragione, a cui non si rico-nosca la capacità di accedere naturalmente a Dio, o per la quale il linguag-gio riguardante Dio sia insignificante, non potrebbe che essere spaesataquando si tratti della fede come Parola di Dio e come accoglienza delladivina Rivelazione. Una ragione debole non può essere in grado di acce-dervi. Di fatto noi siamo in una stagione culturale mentalmente debole.

Si comprende, allora, perché la Chiesa e l’autentica teologia abbianosempre promosso la ragione. Questa, con la volontà, è stata senza dubbiodestabilizzata dal peccato originale, ma non spenta, e uno degli effettidella grazia è precisamente il restauro della ragione come ragione.

Da queste premesse appare quanto oggi sia difficile parlare della fede;e d’altronde l’annuncio della fede è la missione originaria della Chiesa,inviata a proclamare il Vangelo a tutti. La nuova evangelizzazione, cheviene assegnata come compito della Chiesa oggi, è in realtà l’evangeliz-zazione di sempre. La novità non è cronologica; essa riguarda la caratte-ristica intramontabile intrinseca al Vangelo stesso cosiddetta “nuova”evangelizzazione:in realtà evangelizzazione di sempre.

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I

LA FEDE OSSIA LA DIVINA RIVELAZIONE

CAPITOLO PRIMO

LA GRAZIA DELLA RIVELAZIONE

1. Partiamo dunque dalla fede nel suo significato oggettivo. Essa consiste della Rivelazione divina. Alla sua genesi si trova la sor-

prendente decisione di Dio di manifestare l’intimo mistero. La Parola diDio viene dalla sovranità e dal dono della grazia. È un gesto incom-prensibile di accondiscendenza, che l’uomo non può né attendere né pre-tendere. Ecco perché il primo e permanente sentimento del credente è lostupore e il ringraziamento per questa iniziativa di Dio, il quale per puragratuità chiama l’uomo alla conoscenza e alla comunione della sua stes-sa vita.

Entriamo con la fede così intesa nel mondo della grazia, e anche quipenso si debba constatare che questo mondo di grazia stia divenendosempre più estraneo al nostro linguaggio e alla nostra considerazione. Èraro oggi da parte degli stessi credenti che ricorra il richiamo alla grazia,e forse non tanto per una opposizione, quanto per una desuefazione, peruno smarrimento, fino a non sapere più che cosa essa significhi e com-porti. Con la conseguenza veramente di una evangelizzazione nuova,ossia che riparta dal principio.

Abbiamo detto che la Rivelazione è una accondiscendenza e quindi unvolgersi di Dio verso l’uomo. Mentre la ragione è un risalire dalle crea-ture, mobili e precarie e quindi imperfette e insufficienti, verso Dio, dalquale esse ricevono possibilità e consistenza, ed è come un soffermarsialla soglia del mistero divino, la Rivelazione è uno scendere di Dioall’uomo, un rivolgergli la Parola, uno sceglierlo come interlocutore edepositario del segreto sublime. E infatti si dice di Mosè: «Il Signore par-lava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (Es33, 11); quanto ad Abramo, viene chiamato «amico di Dio» (Gc 2, 23).

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2. La Rivelazione dà inizio alla storia dell’amore divino per l’uomo:una storia di redenzione e di salvezza. Essa non consiste nella pura comu-nicazione di verità o di enunciazioni, ma nell’epifania e nella tradizionedella verità del progetto concreto di Dio sull’uomo e sul mondo, al qualeDio chiede all’uomo di associarsi. Questo ci avverte subito che, per esse-re credenti, non basta aderire a delle enunciazioni, nelle quali per altroviene espressa la fede. Tommaso d’Aquino scrive che «l’atto di fede nonha come suo termine le enunciazioni, ma la realtà (res)» (SummaTheologiae, II-II, 1, 2,) 2m). La Parola di Dio è rivolta ad Abramo, perchéincominci una vita nuova e intraprenda un cammino secondo l’intenzio-ne e l’itinerario fissato da Dio. La fede di Abramo consiste nell’obbe-dienza a quella Parola. In questo Abramo è il modello dei credenti. Come,e più ancora Maria, che, credendo all’annuncio dell’angelo, si mette, intutto il proprio essere, a disposizione della Parola di Dio: «Ecco la servadel Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1, 38).

La predicazione della fede, l’evangelizzazione, ha come fine quellodi suscitare un’adesione reale.

CAPITOLO SECONDO

IL PROGETTO ETERNO: GESÙ CRISTO E LA PREDESTINAZIONE IN LUI

1. Ma ora occorre domandarci: qual è il contenuto originale e fonda-mentale della Rivelazione? Che cosa dice la Parola di Dio? È facilerispondere: il contenuto originale e fondamentale della Rivelazione, odella fede, è Gesù Cristo, Figlio di Dio, fatto uomo, morto, risorto eSignore. La Parola di Dio ci dice Gesù di Nazaret crocifisso ed esaltato,unico e assoluto Salvatore, «per mezzo» del quale, «nel» quale, e «invista del quale» tutto è stato ideato e voluto.

Per cui credere significa esattamente accogliere e aderire al Crocifissoglorioso. È lui, infatti, il mistero della Rivelazione. È l’insegnamento ripetutodi Paolo, che torna ripetutamente e con insistenza sul «mistero», facendolocoincidere con Gesù crocifisso, il risorto «Primeggiante» (Col 1, 18).

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2. Paolo parla di un «sapiente disegno di Dio»(1 Cor 1, 21; Rm 9, 11;1 Tm 1, 4); di «una sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta na-scosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria» (1 Cor2, 6-7); parla del «mistero non manifestato al presente rivelato» (Ef 3, 15;1, 26), del «mistero nascosto da secoli nella mente di Dio» (Ef 3, 9, del«mistero taciuto, ora rivelato» (Rm 16, 25); e precisa: il «Mistero di Dio»«è Cristo» (Col 2, 2); il «Sapiente mistero di Dio», è «Cristo crocifisso»(cfr 1 Cor 1, 21. 23). Per parte sua, Pietro definisce Cristo «il Predestina-to prima della creazione del mondo», che «si è manifestato negli ultimitempi» (1 Pt 1, 19).

3. Il Predestinato è il Crocifisso, cioè il Redentore. Il Figlio di Dio èpredestinato come a offrire la sua vita e a versare il suo sangue «per laremissione dei peccati». E, infatti, fa parte della Rivelazione:

– la realtà del peccato di Adamo;– l’apparizione al mondo di ogni uomo segnato dall’assenza della giu-

stificazione (è questo il peccato originale in noi), e dalle conseguenzedello stesso peccato;

– ma insieme e soprattutto dalla «sovrabbondanza» della grazia reden-tiva (Rm 5, 20), elargita a tutti gli uomini, dal momento che Cristo èmorto per la «moltitudine», cioè tutti (Mt 20, 28).

Anche la realtà del peccato è una verità della fede, e perciò la neces-sità della redenzione. Non esiste una natura umana naturalmente intatta,o innocente, ma una natura umana che porta in sé le tracce del peccato edestinata alla redenzione, in virtù della grazia di Cristo e della fede.

Connessa con la verità del peccato è quella relativa all’esistenza deldemonio, che Cristo definisce «omicida fin da principio», «menzogneroe padre della menzogna», (Gv 8, 44), da lui abbattuto con la sua esalta-zione in croce, e, d’altronde, tuttora insidiante. È vero che non sono man-cati, e non mancano, teologi, che hanno deciso che il demonio non esiste,come non esistono gli angeli. Solo che la loro decisione, che, tra l’altro,banalizza la passione di Cristo, non vale molto di fronte alla Parola diGesù Cristo.

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4. Proseguendo sù Gesù Cristo, il Risorto da morte, non è solo «ilPredestinato prima della creazione del mondo» (1 P1, 19). Egli è il«Primeggiante»: «È prima di tutte le cose, e tutte in lui sussistono»; èl’«immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, poichéin lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili equelle invisibili …Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e invista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono» (Col 1,15-17). In virtù di Cristo esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie alui» (1 Cor 8, 6).

In lui «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza diDio» (Col 2, 3).

Egli totalizza la ragione e rappresenta il fondamento di tutta la realtà,al di fuori del quale esiste solo l’ipotesi.

4. Ma se tutta la realtà, angelica e cosmica, trova la sua ragione, le sue“causalità”, in Cristo, questo vale particolarmente per l’uomo. Infatti«Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo […] ci elesse in Lui primadella creazione del mondo (Ef 1, 4). Egli è l’immagine originaria del-l’uomo, plasmato su di lui come modello.

Gesù Cristo è stato voluto dall’eternità in «intimità ontologica» conl’uomo, attivamente solidale con lui e forma del suo destino, in unacomunione precedente il peccato e da esso infrangibile. In altri terminil’umanità concretamente esistente è l’umanità, se possiamo usare questitermini, «compredestinata» o «impredestinata» con quella del Figlio diDio, ed è l’umanità di grazia, l’unica scelta da lui. e quindi l’unica vali-da e riconosciuta dal suo giudizio. Ogni umanità fuori da quella model-lata su Cristo è ipotetica e astratta.

Nel suo disegno – dichiara l’apostolo Paolo – Dio ci ha «predestinatia essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primo-genito di molti fratelli» (Rm 8, 29) .

La conseguenza è chiara: dal momento che annunciare o predicare lafede significa annunciare la Parola di Dio, per ciò stesso significa annun-ciare Gesù Cristo quale contenuto della Parola o della “locuzione di Dio”«per mezzo del Figlio»: «Ultimamente, in questi giorni, Dio ha parlato anoi per mezzo del Figlio» (Eb 1, 2).

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CAPITOLO TERZO

GESÙ CRISTO: EPIFANIA DELLA SS. TRINITÀ

1. Se il mistero di Dio è Gesù Cristo, si tratta allora per la fede diesplorare il contenuto o di conoscere tale mistero. Ed è quello che laChiesa si è dedicata e si dedica a fare, da sempre. I grandi concili, laricerca delle definizioni, la cura dell’ortodossia provengono esattamentedalla passione di conoscere fedelmente ciò che Dio ha rivelato in Cristo.

Ora, il primo grande contenuto del mistero di Cristo è il mistero dellaTrinità. Il Crocifisso risorto è il Figlio di Dio; in lui Dio si rivela comePadre, Figlio e Spirito Santo. Egli è l’epifania della Trinità.

La ragione giunge laboriosamente a Dio Creatore, ma si arresta allasoglia della sua vita: noi sappiamo chi è veramente Dio quando Gesù celo manifesta come unico Dio in tre Persone uguali e distinte. Il Verbo siè incarnato per disvelarci e comunicarci.

L’unico monoteismo – ossia l’unico Dio esistente, è il Dio trinitario.Un Dio che non sia Padre, Figlio e Spirito Santo non esiste. Negare laTrinità equivale a negare l’univo Dio esistente. Anche il Dio diAbramo,di Isacco e di Giacobbe era trinitario, solo che non si era ancorarivelato come tale. La rivelazione avviene precisamente in Cristo, Figliodi Dio, Figlio del Padre, nella comunione dello Spirito, che da loro pro-cede. Da qui l’espressione a dir poco infelice, in verità equivoca, a pro-posito delle tre religioni monoteiste.

2. La rivelazione del mistero trinitario rappresenta il fondamento e ilvertice della Rivelazione in Cristo. Da questo profilo l’uomo appare pre-destinato fin dall’eternità dall’amore del Padre, del Figlio e dello Spiritoe scelto per essere «figlio nel Figlio». All’origine dell’uomo e di tutto l’u-niverso l’amore trinitario. L’uomo è voluto da Dio per essere figlio diDio, destinato a ripresentare e proseguire il vincolo filiale che lega GesùCristo al Padre.

L’Unità e la Trinità di Dio è primo dei due misteri: il mistero principa-le della fede cristiana. Il Vangelo è la «buona» notizia radicalmente per-ché è annuncio che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo: un annuncio fattoda Chi, abitando nel seno del Padre, lo ha potuto attestare e manifestare

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(Gv 1,, 18) all’uomo che mai avrebbe potuto sospettarlo; un «annuncio»che porta gioia, la stessa sperimentata da Cristo nel suo amoroso legamecol Padre e nella totale dedizione ai suoi comandi la cui osservanza è defi-nita da Gesù come proprio cibo. Se questo è vero, la sostanza della predi-cazione della fede è la Trinità, come lo fu per la predicazione di Cristo.

Non sorprende che la Chiesa si sia chinata a lungo su questo mistero,a cominciare dai suoi primi concili, come al mistero più caro, e non peruna indiscreta pretesa di comprendere, ma per non perdere nulla dellaRivelazione più preziosa.

3. Ma vien da constatare che si trova ad essere un mistero arduo, intri-cato e remoto, astratto, non pratico e in fondo non interessante. È unfraintendimento gravissimo. Da qui l’insistenza sui temi secondari, chesembrano più attuali e incisivi che non quello che fa sapere agli uomini:

– che sono abbracciati dal Padre, nel Figlio Gesù, morto e risorto,nella comunione dello Spirito Santo;

– che ogni uomo viene al mondo suscitato dal Padre, per essere salva-to in Cristo e santificato dallo Spirito; per essere la dimora della Trinità,secondo la promessa di Gesù (Gv 14, 23). Una dimora che inizia col bat-tesimo e che contrassegna proprio l’essere cristiano.

CAPITOLO QUARTO

INCARNAZIONE, PASSIONE, MORTE E RISURREZIONE GESÙ CRISTO FIGLIO DI DIO

Il secondo dei due misteri principali della fede è l’Incarnazione, la pas-sione, la morte e la risurrezione del Figlio di Dio o della seconda personadella SS. Trinità: incarnazione che è redenzione e salvezza dell’uomo.

1. Gesù Cristo, è quindi, l’altro grande contenuto della fede cristiana,che, come per quello della Trinità, da subito ha fissato a lungo e intensa-mente la riflessione della Chiesa, al fine di conservarlo in tutta la suaintegrità, contro ogni rischio di smarrimento o di alterazione.

Le eresie trinitarie e cristologiche, sono tra loro intimamente connesse.

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Tra le eresie – o se vogliamo, tra gli annebbiamenti attuali – il piùgrave riguarda l’identità divina di Gesù, l’essere di Gesù «il Figlio delDio vivente». È questa la singolarità del «figlio del falegname»: che eglifosse vero uomo era la convinzione di tutti; ma non era questa la sua pre-rogativa incomparabile, che poteva essere colta solo in virtù della graziadel Padre, che solo lo poteva rivelare (Mt 16, 17).

Da qui tutto l’equivoco della cosidetta “cristologia dal basso”. In real-tà, Gesù non è l’uomo che diventa Figlio di Dio, ma è il Figlio di Dio chesi fa uomo: «E il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14).

Per non parlare dell’insipiente separazione tra il Gesù della storia e ilCristo della fede, quasi la fede non sia precisa intelligenza e accoglienzadel Gesù della storia, ma ne sia la creazione.

2. L’altro annebbiamento, ma meglio si direbbe eresia, riguarda GesùCristo come Salvatore assoluto di tutti. Egli non è solo il più grande, mal’unico. Gli apostoli e quindi la Chiesa sono inviati ad annunciare ilVangelo per la conversione a Cristo di tutti i popoli della terra, nessunoescluso. Certo, ad annunciare, non a imporre contro le coscienze; adannunciare al mondo la salvezza non a dialogare col mondo, come incerca di un compromesso o di una mediazione.

Ogni uomo è chiamato, per essere salvo, all’adesione a Cristo, fermorestando che, a ogni uomo che cerca la Verità, Dio, per le vie che lui cono-sce, farà incontrare il Signore. Dove si apre una via di salvezza, là, secon-do l’eterno disegno di Dio, è preventivamente presente Gesù Salvatore.

CAPITOLO QUINTO

I SACRAMENTI E LA CHIESA

1. Da Gesù morto e risorto sono suscitati i sacramenti, altro contenu-to della fede. Essi sono, a partire dall’Eucaristia, la sua presenza realenella forma sacramentale, o nel segno efficace. In questi segni, di cuiCristo stesso è l’Autore, e Colui che opera in virtù dello Spirito Santo, èin atto ed è attivo il sacrificio glorioso della Croce. I sacramenti sono pri-mariamente «azioni di Cristo», a cui viene associata la Chiesa.

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E non sono come il punto culminante della simbolicità religiosa naturale.Se è vero che i segni possono essere comuni, tuttavia nei sacramenti

si trovano radicalmente trasformati dalla potestà di Cristo e dello Spirito,così da diventare appunto i segni di Cristo, della sua morte e risurrezio-ne, a cui aggregano. Da la loro incomparabile originalità. Da qui il cele-brante come rappresentanza di Cristo: egli presiede «in persona Christi».

Quanto è detto dei sacramenti, vale per tutta la liturgia, che nel suoinsieme è comunione da parte della Chiesa con l’orazione di Cristo e conla sua adorazione del Padre, poiché questa orazione e questa adorazionesono la sostanza stessa del sacrificio del Calvario. Da qui la centralità diGesù nella liturgia, la sua signoria, il suo essere il Presidente “originario”in ogni celebrazione. Sant’Ambrogio parla, a proposito dell’Eucaristia,del sermo Christi, come operatorius. È la parola di Cristo che opera laconversione eucaristica.

Nella liturgia la Chiesa non guarda se stessa, ma è tutta rivolta a GesùCristo – Tu solus Dominus –, e con Cristo al Padre. L’anima della litur-gia è l’adorazione.

2. E sempre da Cristo proviene la Chiesa. «La Chiesa ha la sua origi-ne nel mistero della provvidenza e predestinazione divine», dal momen-to che «da sempre Dio […la] vede davanti a sé e la vuole» (Schlier).Cristo– è detto in Efesini – «è il capo del corpo, della Chiesa» (Col 1, 18.24). Essa è «il corpo di lui [Cristo], la pienezza di colui che è il perfettocompimento di tutte le cose» (Ef 1, 23)». E diamo al termine “corpo” ocarne secondo la mentalità semitica, il significato di manifestazione con-creta della persona. Risalendo quindi alla genesi, dove Eva è plasmatacon la carne di Adamo, lo stesso Paolo può definire la Chiesa “sposa” diCristo, «santa e immacolata» (cfr. Ef 5, 25 ss.). Da qui la sciocchezza, pernon dire quasi la perversa compiacenza, del diffuso parlare del peccatodella Chiesa, mentre dobbiamo riconoscere il nostro essere peccatori inuna Chiesa santa, e perciò, proprio per il nostro peccato, il non essere pie-namente Chiesa. E, aggiungiamo, la stupidità di scrivere Stato, PartitoComunista con la maiuscola, ma puntigliosamente Chiesa con la minu-scola (Si vedano al riguardo i documenti del magistero editi dallaDehoniana).

«La Chiesa – insegnava sant’Ambrogio con la sua abituale limpidità e

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acutezza – non è ferita non in sé, ma è ferita in noi» (De virginitate, 8, 48).Senza dubbio, la Chiesa è il «Popolo di Dio». Lo si va ripetendo fino

alla noia, proclamando che finalmente il Vaticano II è giunto a sottoli-neare questa prerogativa della Chiesa. In realtà, l’originalità della Chiesanon è di essere il «Popolo di Dio»: questo è già detto chiaramente diIsraele, tant’è vero che dove nel Nuovo Testamento ricorre questa deno-minazione, lo si fa citando l’Antico Testamento.

Si deve invece dire che, a tal punto la Chiesa appartiene a Dio, daessere il Corpo stesso del Figlio di Dio morto e risuscitato: «Corpo misti-co» – espressione, questa, che i Padri usavano per definire il Corpo euca-ristico, ossia corpo nel mistero –.

3. Abbiano accennato agli annebbiamenti a proposito della divinità diCristo.

Non sorprende che questo abbia le sue ricadute:

– sulla verità “storica” di Cristo;– sull’interpretazione dei suoi miracoli ridotti a simbolo, in particola-

re della sua risurrezione, di cui si dissolve o diviene fumosa la realtà sto-rica, in quanto oggetto di fede;

– sulla concezione dei sacramenti, in cui viene enfatizzato il segnonaturale e religioso;

– sulla concezione della Chiesa, a sua volta vista salire dal basso, men-tre è creazione di Cristo e dello Spirito Santo.

CAPITOLO SESTO

GESÙ CRISTO: EPIFANIA DELL’UOMO E DEL SUO DESTINOUNA VITA DI CONMORTE PER UNA CONRISURREZIONE

1. Abbiamo già menzionato il fatto che, in conformità con l’eternoconsiglio di Dio, nel mistero di Cristo crocifisso e risuscitato, è contenu-ta, come nel Primogenito, l’immagine dell’uomo e il suo concreto desti-no. L’uomo è creato per un destino soprannaturale, che non esclude lecomponenti “naturali”, ma le include e le esalta.

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Ogni uomo appare al mondo al fine di diventare consorte con Gesù;con la grazia di commorire con lui e risorgere con lui, per essere con luieternamente nella gloria.

Da questo profilo sarebbe più illuminato parlare, più che di laicità, di“cristicita”. Certo questo è discorso di fede, la quale, aderendo alla Paroladi Dio, rinviene non solo l’intimo legame dell’uomo, e di tutta la realtà,con Dio – la “religiosità” è il fondamento stesso dell’esistenza dell’uomoe di ogni creatura, pena il loro annullarsi –ma la loro relazione storica-mente intrinseca con Gesù Cristo, «per mezzo» del quale, «nel» quale e«in vista» del quale, come sappiamo, tutto è creato.

Questo vuol dire che l’antropologia compiuta – o discorso esaurientee totalmente vero sull’uomo e sul suo fine ultimo – è l’antropologia cri-stiana, senza per questo deprezzare l’antropologia filosofica, elaboratacon la luce della ragione. Al contrario: la ragione non solo non vienedepotenziata dalla fede, ma viene da essa promossa e rinvigorita. Si trat-ta però di un’antropologia che definiremmo interlocutoria, storicamentesospesa e parziale.

2. Abbiamo anche già rilevato che tutta la realtà – visibile e invisibile– ha la sua ideazione e la sua motivazione in Cristo risorto.

Ne consegue che soltanto in una visione cristica universale si com-prende il senso della storia e la motivazione dell’universo.

CAPITOLO SETTIMO

LA VITA DEL MONDO CHE VERRÀ

Il compimento di tutto avverrà al secondo Avvento di Cristo. Diciamonel Credo: «Di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, eil suo regno non avrà fine»: «Aspetto la risurrezione dei morti e la vitadel mondo che verrà».

Possiamo chiederci se questa materia della fede sia oggetto dell’abi-tuale predicazione nella Chiesa. E, pure, è l’articolo culminante dellastessa fede.

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II

L’INGRESSO NEL MISTERO O IL SOGGETTO CREDENTE

Se nel suo significato oggettivo la fede sta a indicare il Mistero rive-lato, nel suo significato soggettivo si riferisce invece al soggetto creden-te: la fede come atto della volontà, che fa aderire alla Parola di Dio, chela fa accogliere come vera, non a motivo della sua evidenza, ma perchéattestata da Dio, al quale ci si affida totalmente.

Procedendo quindi per sintesi:

1. L’ingresso nel mistero, è frutto della grazia, non la necessaria con-clusione di un ragionamento. È la grazia dello Spirito Santo che accendee che dona, per usare una suggestiva espressione teologica, gli «occhidella fede» (oculi fidei). Ma già Paolo parla degli «occhi illuminati delcuore» (Ef 1, 18).

E forse questo aspetto della fede come grazia non è sufficientementeconsiderato.

2. Tale adesione del credente riguarda anzitutto l’intelletto: non consi-ste in una semplice adesione affettiva o pratica, ma comporta l’adesionedella mente a precise verità rivelate ed enunciate; d’altronde, comeabbiamo detto, non perché ci si fermi alle enunciazioni (enuntiabilia), dalmomento che l’intenzione dell’atto di fede è quello della comunione conla res, ossia della comunione con Dio nella visione.

Da qui il valore imprescindibile dei dogmi e dei simboli di fede, nonperché si ritenga che l’infinita e indicibile verità di Dio si possa adegua-tamente racchiudere in una formula, ma perché attraverso la formula essapuò essere obiettivamente trasmessa e custodita nel suo significato e nelsuo contenuto permanente e non evoluzionisticamente modificabile,secondo le culture e sensibilità che si succedono nella storia.

3. La fede non spegne la ricerca, ma la stimola. La teologia nasce daldesiderio dell’intelletto di comprendere e di vedere, per quanto possibi-le, il mistero, nella persuasione che esso dimora sempre di là dalla com-

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prensione. La teologia intellectus fidei. Scrive Tommaso d’Aquino: «Laconoscenza della fede non acquieta il desiderio; anzi, lo infiamma anco-ra di più, perché tutti desiderano vedere ciò che credono» (Summa con-tra Gentiles, III, 40, 4).

Nello stesso Tommaso troviamo questa citazione di Ilario di Poitiers:«Nella tua fede inizia, progredisci, insisti; sebbene io sappia che non arri-verai mai alla fine, mi rallegrerò del tuo progresso. Chi infatti si muovecon fervore verso l’Infinito, anche se non arriva mai, tuttavia va sempreavanti. Però non presumere di penetrare il mistero, e non ti immergerenell’arcano di una natura divina, immaginando di comprendere il tuttodell’intelligibile, ma cerca di capire che si tratta di una realtà incompren-sibile» (ibid., I, 8).

E sempre l’Angelico scrive: «Dio viene onorato con il silenzio nonperché di lui non si dica nulla, o non si indaghi nulla, ma perché, qua-lunque cosa diciamo o indaghiamo su di lui, siamo consapevoli cheabbiamo fallito nella nostra comprensione; per cui al capitolo 43dell’Ecclesiastico si dichiara: “Per quanto possiate glorificare il Signore,egli prevarrà sempre”» (Super Boetium De Trinitate, q. 2, a, 1, 6m).

4. La fede tuttavia non si limita all’adesione intellettiva: essa doman-da il coinvolgimento della vita. Credere vuol dire incominciare sullaParola di Dio un cammino nuovo. Lo abbiamo visto in Abramo, in Maria.Da questo profilo il modello assoluto del credente è Gesù stesso, non per-ché gli mancasse la visione di tutta la Verità, essendo egli personalmenteil Verbo di Dio, ma perché egli ha aderito al volere del Padre fino allaconsumazione della vita.

5. Ma a questo punto dobbiamo tornare a riconsiderare il Soggetto cre-dente, per dire che esso, prima dei singoli, è la Chiesa.

La Parola di Dio è stata affidata ad essa, e in essa particolarmente agliApostoli e ai loro successori, che hanno la missione di essere coloro che,grazie allo Spirito Santo, la custodiscono fedelmente e la tramandano neisecoli. Noi siamo credenti nella misura in cui partecipiamo alla fede dellaChiesa e ne accogliamo il Magistero, che non è superiore alla Parola di Dio,ma ne è l’autorevole e infallibile interpretazione, tradizione e garanzia.

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Mancasse il Magistero della Chiesa, la Verità di fede fatalmente si dis-farebbe. È la sventura del Protestantesimo, nel quale, proprio per averassolutizzato la Scrittura – sola Scriptura –, si è smarrito il senso sicurodel suo contenuto.

La Scrittura, infatti, nata nella Chiesa come testo ispirato e come fontedella Parola di Dio, vive e prosegue nella Tradizione della medesimaChiesa, che ne illustra il senso perenne e lo applica nella varietà dellecongiunture storiche.

Il cristianesimo non è una religione del Libro, giustamente deploratoda Maritain come la “bibliolatria”.

6. E sempre alla Chiesa e al suo Magistero pertiene la formulazione el’interpretazione dei dogmi, che li sottrae alla mobilità e al flusso dellastoria e ne assicura il senso autentico.

Indubbiamente, il linguaggio dogmatico potrebbe cambiare e diventa-re più luminoso e adeguato, ma il giudizio definitivo e l’iniziativa nonspetta al singolo. Alcune formule poi – pensiamo a quelle dei primi egrandi concili – si sono intimamente e provvidamente radicate nel Credodella Chiesa, che continuano a brillare nel loro contenuto e che doman-dano al pastore d’anime di illustrarle e spiegarle.

E quando questo venga compiuto con intelligenza alacre e perseve-rante, la fede e la prassi dei fedeli viene illuminata e soddisfatta, in ragio-ne della stessa bellezza e novità del mistero contenute ed espresse da taliformule antiche e sempre attuali.

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II PARTE:

INTERVENTO DEL VESCOVO

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I

Programma Pastorale del Vescovo, con riferimento alla stagione ecclesiale del Post-Concilio Vaticano II

N el messaggio indirizzato al mio Predecessore, appena nominatoVescovo di Albenga – Imperia, esprimevo in maniera assai spon-tanea il desiderio (e lì la parola stava per volontà) di continuare

con l’intera comunità ecclesiale il cammino soprannaturale di Fede eCarità.

Ho adesso l’ occasione di commentare quelle parole, al cui contenutodo fondamentale importanza, per il mio e il vostro ministero.

1. Il “continuare” non era una captatio benevolentiae del mioPredecessore, ma corrisponde ad una necessità teologica nella realtà enell’attività della Chiesa. Continuità-immubilità della Fede, continuità-immutabilità di tutto quello che Cristo ha compiuto, voluto, annunzia-to,istituito per il compimento del Mistero di Salvezza. Perciò ho scrittonella Lettera quaresimale: “Noi abbiamo la specifica missione di ripro-porre l’annuncio e l’opera di Cristo”.

Questo annuncio deve essere presentato con tutta la forza della novi-tà assoluta che esso comporta, in tutta la verità del suo aspetto sopran-naturale, nella certezza che nulla di più nuovo potrà essere annuncia-to e portato agli uomini, senza nessun adattamento nella sostanza allarealtà che cambia (gli adattamenti, o meglio le variazioni non possonoriguardare se non la forma espressiva).

Per me questa convinzione si basa su argomenti teologici e filosofici,ma anche su una constatazione di fatto. Ho visto nel mio lavoro in diver-se parti della Chiesa il male che ha fatto e sta facendo l’avere abbastan-za spesso e da non pochi parlato, presentato e argomentato sulConcilio Vaticano II come se si fosse trattato di un avvenimento didiscontinuità, di radicali cambiamenti, addirittura di rivoluzione, e non

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invece di sviluppo omogeneo, di continuità sostanziale, di rinnovatoimpegno per “aggiornare” o adattare linguaggi, forme e modi di operare,in modo da riproporre l’immutabile Verità di Cristo, le immutabilirealtà della Divina Rivelazione e del Mistero di Salvezza. Voi ricorda-te il Commonitorium di San Vincenzo di Lerino che dopo aver annuncia-to il grande principio dello sviluppo omogeneo del dogma (in eodemsensu eademque sententia), ammoniva sulla necessità di fare massimaattenzione affinché cum dicas nove non dicas nova.

Da qualcuno mi è stato chiesto di dare alla Diocesi una LetteraPastorale “bella e forte” sul Concilio Vaticano II, per esortare e condurrea vivere con grande e rinnovato entusiasmo la “stagione ecclesiale”inaugurata da quel Concilio.

Ma se dovessi accogliere tale suggerimento, non potrei se non esplici-tare ciò che di positivo è avvenuto dentro tale “stagione ecclesiale”, ed ilpositivo è tutto ciò che si è detto e fatto sul piano di uno sviluppo omo-geneo della Traditio Ecclesiae, con l’intento di trasmettere e di vivere inpiena fedeltà tutto ciò che da essa deriva, con l’impegno di trovare modie forme idonee a trasmettere e comunicare l’immutabile Verità di Cristo,le immutabili realtà della Divina Rivelazione e del Mistero della Salvezza.

In pari tempo dovrei mostrare che non tutto ciò che è stato detto efatto durante la “stagione ecclesiale” inaugurata dal Concilio è avvenutocome sviluppo omogeneo, ma anche e – sotto certi aspetti – soprattuttocome discontinuità, quasi come se il Concilio avesse segnato una diffe-renza sostanziale e profonda tra “il prima del Concilio” ed “il dopoConcilio”, come se non soltanto alcuni modi e forme potessero e doves-sero essere cambiati o migliorati, ma come se quasi tutto il modo diessere Chiesa, o come se quasi tutta la Pastorale della Chiesa, o tuttala sua Missione pastorale (evangelizzante, redimente, santificante),potessero o dovessero essere cambiati.

Penso di poter dire, in base a quanto ormai conosco di questa Diocesidopo ventidue anni della mia presenza e del mio ministero in essa, chequesto secondo modo di realizzare e di vivere la “stagione ecclesiale”

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inaugurata dal Concilio non si è verificato – almeno pesantemente – nellaChiesa particolare di Albenga-Imperia, e ciò per la saggezza, certamentedei miei predecessori, ed anche per quella di quattro Docenti delSeminario che, pur aperti alla novitas in accidentalibus , non hannoabbandonato la vera continuità sostanziale in tutta la Dottrina dellaChiesa, rimanendo fedeli al principio di sviluppo omogeneo ed allanecessità di non dire nova quando si dice nove, sapendo bene che chi vuoldire nove a tutti i costi è spesso perché vuole dire davvero cose nuove sulpiano della Filosofia perenne, della Fede, della Dottrina, della Teologia.Desidero ricordarli nominalmente: i compianti Mons. Palmarini, Mons.Chiappe, Don Ranoisio e Mons. Sappa, grazie a Dio ancora vivente.

La “riforma” (o “aggiornamento”) voluta ed inaugurata dal ConcilioVaticano II, riguardava solamente i modi espressivi e comunicatividella perenne verità e realtà della Chiesa; verità e realtà stabilite daCristo stesso, Eterno Verbo di Dio Incarnato, e promulgate e vissute nellaloro pienezza dagli Apostoli. È ad esse, e sempre ad esse, che occorreriferirsi quando si vuol fare una giusta “ermeneutica” del ConcilioVaticano II e del contenuto dei suoi Documenti. Non si possono re-inter-pretare le verità e le realtà fondanti, come sono state insegnate, comuni-cate e trasmesse dalla perenne Traditio Ecclesiae, alla luce di certi passidei Documenti del Concilio, che al sereno ragionamento di non pochi,suonano come un poco sfasati rispetto al Magistero precedente; ma que-sti passi debbono essere ricondotti a perfetta concordanza con tutta laTraditio Ecclesiae: il Concilio Ecumenico Vaticano II non è tutta laTraditio Ecclesiae, ma non può se non esserne la continuità; non puòse non esserne “omogeneo sviluppo”.

2. Il continuare “insieme” indica la necessità di radicale comunio-ne in seno alla Chiesa, in seno particolarmente ai sacri ministeri total-mente orientati alla comunione della vita divina in Cristo, in seno alPresbiterio, tra il Presbiterio e il Vescovo: l’unità di origine e di finali-tà dei sacri ministeri deve anche guidare l’unità dell’azione pastorale,che pur si esplica in diversi modi. Il nihil sine episcopo, quia sine epi-scopo ecclesia non datur, che ho richiamato il giorno del mio ingresso inDiocesi, l’ho visto sostanzialmente e gioiosamente osservato, con tutti ifrutti che ne derivano per l’intera comunità ecclesiale diocesana.

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3. La parola “cammino” sottolinea la nostra dimensione pellegri-nante, ma la rotta non si può cambiare, per fede sappiamo da dove venia-mo e dove siamo diretti, non si tratta di inventare nuove direzioni. Ladimensione pellegrinante sta altresì ad indicare l’incompletezza di rea-lizzazione di vita soprannaturale, la transitorietà, la non definitività delnostro stato presente, possediamo solamente in germe, solamente inspe; continuiamo a portare e a sentire le conseguenze del peccato fino acadere, anche se siamo stati radicalmente liberati dalla schiavitù e dall’i-gnoranza.

4. L’aspetto che mi stava e che mi sta particolarmente a cuore di met-tere in evidenza è la qualificazione di “soprannaturale” riferita alla vitacristiana, alla natura e all’attività della Chiesa, al ministero sacro. Nullapuò sconvolgere o stravolgere tanto la comprensione della realtàdella Chiesa e la qualità della sua azione quanto l’offuscamento delsenso del soprannaturale od un errato concetto del soprannaturale.Privata della sua dimensione soprannaturale, od anche solo della sua con-notazione soprannaturale, la nostra azione di Chiesa, di cristiani, di mini-stri, decade, si colloca fuori del suo ordine, del piano di Dio, del pianodella Redenzione e della Grazia. Tutto dipende dalla vocazione, assolu-tamente gratuita, alla vita divina, per nulla dovuta all’uomo nella suanatura. Il soprannaturale non è il completamento od il compimento mas-simo di ciò che è insito nella natura dell’uomo; è un quid davvero novum.

Ed ecco allora che tutto si colloca nell’ambito della Fede e dellaGrazia. Tutto si colloca nell’ambito della Fede e della Carità;dell’Evangelizzazione e dei Sacramenti. L’Evangelizzazione è in ordi-ne alla Fede: l’una e l’altra hanno per oggetto centrale il Mistero diCristo, di Cristo Figlio di Dio Incarnato, del vero Dio e del vero Uomo;del Cristo Verbo Incarnato e Redentore; del Cristo morto e risorto. LaFede e i Sacramenti sono ordinati alla Grazia, cioè alla vita divina,alla vita nuova in Cristo, ed alla Carità che è la dimensione operati-va della vita nuova, della vita divina generata in noi dallo SpiritoSanto; dall’essere nuovo deriva la capacità nuova di amare Dio e diamare i fratelli in Gesù Cristo, di agire in modo nuovo di fronte ai fratel-li, di fronte a tutto.

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Al di fuori di questo contesto, di queste realtà portanti essenziali(Fede, Grazia, Carità, Evangelizzazione, Sacramenti, centralità delMistero di Cristo, centralità della vocazione soprannaturale che puòrealizzarsi solamente in Cristo, impossibilità di entrare nel Misterodi Salvezza al di fuori della Fede e della realtà della Chiesa), non hasenso parlare di Pastorale della Chiesa, non ha senso qualsiasi eserciziodel ministero sacro, non ha senso parlare di azione di Chiesa in quantoChiesa, al servizio dell’uomo.

Ci si collocherebbe in un contesto umano, solamente umano e quindial di fuori del Mistero di Salvezza. Non avrebbe neppure senso – ed ilPapa Giovanni Paolo II l’ha solennemente ricordato con l’EnciclicaCentesimus Annus – parlare di dottrina sociale della Chiesa. Comepotrebbe la Chiesa dire come dev’essere organizzata la vita dell’uomo inquesto mondo se dimenticasse che il senso e la finalità dell’uomo si col-loca fuori di questo mondo? Con quale diritto la Chiesa, in quantoChiesa, potrebbe dare orientamenti soltanto terreni?

Come potrebbe collocarsi solamente sul piano della ragione, quandoessa ha – per divina Rivelazione – una visione globale, piena, della real-tà e dei destini della persona umana chiamata a realizzare una voca-zione soprannaturale?

* * *

Detto questo, è detto molto, ma non tutto. Si apre il campo dell’at-tuazione e delle attuazioni pastorali, il campo dei modi, dell’organizza-zione concreta, modificabile, adattabile, anzi da modificarsi quandooccorra, quando sia opportuno; ma neppure quella può essere in statodi continua modificazione, altrimenti l’impegno di modifica del contin-gente finisce per assorbire del tutto o quasi le energie che vanno rivoltealle cose che contano sempre e dovunque, alla sostanza.

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II

La catechesi nella stagione ecclesiale del Post Concilio Vaticano II

La pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica con laCostituzione Apostolica di Giovanni Paolo II Fidei Depositum, in data 11Ottobre 1992, ha significato senza esitazione:

l°) che è possibile e necessaria una enunciazione certa della veritàrivelata;

2°) che tale enunciazione determina la conoscenza della verità rivela-ta: ne è un veicolo ed uno strumento sicuro ed indispensabile;

3°) che la proclamazione e la trasmissione della verità è di primariaimportanza ed ha valore originante su tutta l’azione formativa della vitae della vita cristiana;

4°) che non è possibile avere delle volontà decisamente e stabilmenterivolte al bene se esse non sono illuminate e sorrette dalla conoscenza delvero;

5°) che è possibile avere delle formulazioni della verità rivelata chenon dipendono da questa o da quella cultura, ma che sono tali da poterilluminare ogni vera cultura, cioè ogni vera tensione verso la verità, ognivera ricerca della verità.

La pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, con tutti que-sti significati ed implicanze, non è caduta in un clima ed in un terrenopienamente ricettivi, poiché alcuni orientamenti sul piano filosofico-teo-logico e sul piano della vita concreta della Chiesa, sul piano pastorale,camminavano ormai su altri binari, segnati dalle seguenti caratteristiche:

1°) un desiderio ed una ricerca della novità ad ogni costo, anche inquegli ambiti dove la novità non può essere se non la ri-proposta di ciòche è sempre novum, perché si riferisce alla novità assoluta di GesùCristo, del Mistero di Gesù Cristo, di tutto ciò che Egli è, di tutto ciò cheEgli ha detto e fatto.

Questo desiderio incontrollato del novum aveva spinto il movimentocatechistico (se così si può chiamare tutto il fervore di rinnovamentodella catechesi) a delineare dei progetti catechistici nuovi addiritturanegli obiettivi, nei contenuti e nel metodo.

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Ora, è davvero difficile poter pensare ad una vera catechesi che dopoil Vaticano II possa avere degli obiettivi e dei contenuti nuovi (cioèdiversi, cioè non in continuità od in sviluppo armonico con i contenuti egli obiettivi precedenti), se non a costo di una rivoluzione che tocchi lafede stessa, nella sua sostanza e nei suoi contenuti, in ciò che forma l’og-getto della fede; che tocchi la nozione stessa di fede, di grazia, di veritàrivelata, ecc., e che quindi tocchi tutti i mezzi attraverso i quali si generae si trasmette la fede, che riguardano proprio l’ambito della catechesi.

I mezzi o strumenti catechistici, prodotti sotto l’influsso di una simileimpostazione, non potevano certamente essere i più adatti a suscitare eda nutrire una fede che sia la vera adesione al vero contenuto dellaDivina Rivelazione.

Penso sia di facile comprensione che se si rinnega il principio chenella Chiesa non possono aversi rivoluzioni o cambiamenti radicali, nésul piano dei contenuti della fede né su quello dei mezzi fondamentalidella trasmissione della fede, tutto perde stabilità e consistenza, tuttosfuma verso l’indefinito, verso il dubbio e l’incertezza, verso il relativi-smo ed il soggettivismo.

2°) Insistenza su una qualità o bontà di vita, e di vita cristiana, chenon dipende più dalla conoscenza del vero, della verità rivelata, comepriorità da perseguire affinché anche la volontà si muova al bene e tuttol’essere dell’uomo sia nello stato di giustizia e di santità.

Da ciò deriva l’idea che la catechesi, anziché essere innanzi tutto(anche se ovviamente non esclusivamente) trasmissione di una cono-scenza di fede della verità rivelata, di ciò che Dio dice all’uomo affinchél’uomo giunga sino alla visio Dei, sia invece essenzialmente comunica-zione di una esperienza di vita, legata più che alla conoscenza del vero adun buon “sentire”, a delle buone disposizioni, al trovarsi bene in un deter-minato modo di rapportarsi agli altri.

Ecco allora la svalutazione dell’importanza della catechesi come istru-zione, come illuminazione, come apprendimento della verità. Nella cate-chesi diventa preminente il metodo, il come trasmettere delle buone espe-rienze. I Catechismi diventano prolissi, molto descrittivi, anziché enun-ciativi di contenuti ben precisi.

Viene abbandonato il principio secondo il quale nihil volitum quinprecognitum. Si pensa di poter avere una volontà che ami ciò che è

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buono, che si orienti al bene, senza essere illuminata dall’intelletto, dauna vera conoscenza di ciò che è buono e di che cos’è davvero il bene.

3°) tutto il discorso su Dio, sulla Verità rivelata, sulla Parola di Dio,diventa funzionale rispetto all’uomo: la realtà e l’esistenza dell’uomodiventa centrale, tanto da piegare ad essa tutto il resto.

Così si spiega come si sia giunti ad affermazioni come questa: “Laparola di Dio deve apparire ad ognuno come apertura ai propri proble-mi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valoried insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni” (cfr “Il rinnova-mento della catechesi”, 1970, n. 52). In una simile visione delle cose sifa naturalmente strada il funzionalismo e l’esistenzialismo, e soprattuttosi perde la nozione stessa della gratuità della Divina Rivelazione edella chiamata dell’uomo ad una realtà assolutamente nuova, pernulla dovuta all’uomo, la chiamata cioè totalmente gratuita alla parteci-pazione alla vita divina, alla figliolanza divina, all’adozione a figli, allavisio Dei.

L’attenzione preminente e suprema a Dio, alla sua azione creatrice edelevante, al Mistero della sua Volontà che si rivela nell’Incarnazione delFiglio e che trascende infinitamente la natura dell’uomo, si focalizzasulle domande dell’uomo, sui suoi problemi, sulle sue aspirazioni. Iltotalmente nuovo che viene offerto all’uomo per mezzo di Gesù Cristo edin Gesù Cristo diventa semplice allargamento ai propri valori.

In una tale visione si arriva a mettere sullo stesso piano fedeltà a Dioe fedeltà all’uomo, mentre la seconda si realizza soltanto se e nella misu-ra in cui all’uomo viene comunicata la verità di Dio, la grazia della giu-stificazione, della vita nuova, della rigenerazione che viene dall’alto,della salvezza e della redenzione.

L’indirizzo di diversi strumenti catechistici si è andato piegando aquesto connubio tra antropologismo ed esistenzialismo.

4°) progressiva e consistente confusione (od assenza di distinzione)tra natura e grazia, tra carne e spirito (cfr discorso di Gesù aNicodemo, Gv 3, 1-7), tra ciò che appartiene alla natura dell’uomo e ciòche gli è dato come puro dono di grazia, tra ciò che appartiene a questomondo e ciò che appartiene al regno dei Cieli, tra ciò che rientra nellaricerca del regno di Dio e della sua giustizia e ciò che fa parte del“sovrappiù” che sarà dato in aggiunta (cfr Mt 6,33; Lc 12,31).

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5°) - in alcune parti della Chiesa si è giunti a spingere talmente l’an-tropologismo e l’esistenzialismo, e la confusione tra natura e grazia (conil sopravvento della prima) sì da prospettare gli obiettivi della cateche-si anziché orientati alle finalità soprannaturali ultime, ad una buonavita dell’uomo all’interno dell’orizzonte terreno (e questi sono ovvia-mente degli eccessi, che snaturano la catechesi nella sua vera essenza,perché si collocano al di fuori di una visione e di un contesto di fede).

Tutti questi orientamenti, presenti ed operanti nella vita della Chiesa(benché non ovunque e talora non in maniera immediatamente evidente),non hanno permesso sempre e dappertutto che la pubblicazione delCatechismo della Chiesa Cattolica generasse tutti quei frutti che sonoinerenti alla sua natura ed alla sua importanza. È vero che alcuni stru-menti catechistici sono stati ritoccati e rivisti, tenendo conto del conte-nuto e del significato del Catechismo della Chiesa Cattolica, ma ciò nonha inciso sufficientemente sulle impostazioni che continuano a privile-giare una visione antropologica ed esistenziale, ed i tentativi di trasmis-sione di esperienze e non tanto di verità e del novum assoluto che ineri-sce alla Divina Rivelazione.

Per quanto riguarda l’Italia, va senz’altro detto che il Catechismo dellaChiesa Cattolica, pubblicato allorché l’impostazione del progetto cate-chistico italiano era ormai in fase avanzata, fu inteso ed accolto cometesto effettivo di riferimento per i contenuti catechistici, tanto che i dueultimi catechismi della Conferenza Episcopale Italiana (il catechismodegli adulti e quello dei giovani) hanno evidenziato - mediante rimandiad ogni paragrafo il legame con il Catechismo della Chiesa Cattolica.

Personalmente non saprei dire se siano stati colti tutti i significati dellapubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che ho evidenziatoall’inizio della mia comunicazione.

* * *

Quanto ai progetti ed alle proposte per il futuro, parlando in generale,penso debbano andare nel senso del superamento di tutti quei tentativicatechistici che pur nati con il sincero intento di ridire i contenuti dellafede dentro i canali comunicativi di oggi, e di costruire ponti tra la fedee la vita, si sono lasciati influenzare da quegli orientamenti filosofico-

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teologici che ho descritto come non rispettosi della Traditio Ecclesiae equindi come inefficaci per una sicura traditio fidei.

Il Direttorio Generale per la Catechesi, pubblicato appena cinqueanni or sono, e certamente non ancora ben assorbito in tutto il suo conte-nuto ed in tutte le sue implicanze, contiene delle idee che potranno edovranno sostenere la trasmissione della fede all’interno di tutta la mis-sione della Chiesa.

Mi sembra di poter rilevare dal Direttorio alcune preziose indicazio-ni ed anzi alcune necessità.

1°) La Parola di Dio come anima di ogni catechesi. Il discorso difede proposto all’uomo non può partire da quello che l’uomo scopre di sestesso dai suoi problemi e situazioni esistenziali, ma da quello che Diodice all’uomo; da quello che Dio dice all’uomo nel suo Figlio, nel suoVerbo Incarnato, dentro la sua Chiesa;

2°) La trasmissione o comunicazione della fede avviene congiun-tamente con la parola, con la vita sacramentale e con la vita secondolo Spirito e secondo la carità; ma per la costituzione stessa della perso-na umana, va rispettato il primato della verità, per cui resta di fonda-mentale e primaria importanza l’enunciazione chiara ed obiettiva deicontenuti della fede (non è possibile una fidæs qua che non abbia un pre-ciso contenuto; una fede dubbiosa od incerta nei contenuti non potrà maideterminare un corretto e giusto modo di vivere);

3°) Il rapporto tra fede e vita è proprio quello tracciato dal cap. 3, v.16 del Vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suoFiglio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia lavita eterna”;

4°) La formazione della personalità del credente avviene propriomediante un corretto e completo intreccio tra: intelligenza (verità, dot-trina teologia…) e volontà-atteggiamenti (amore a Gesù Cristo ed al suoVangelo, appartenenza ed amore alla Chiesa, amore alla vita sacramenta-le, ecc…) e comportamento (la vita morale del credente, testimonianzamediante le opere della fede e della carità...);

5°) La necessità di far entrare la formazione catechistica in tutta l’e-stensione della vita del cristiano: la catechesi abbraccia tutta la duratadella vita dell’uomo; ma non è irrazionale una intensificazione della cate-chesi proprio nell’età della formazione della persona umana (già a parti-

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re dall’infanzia e quindi nella fanciullezza e nell’adolescenza);6°) L’attività di annuncio - genericamente chiamata catechistica - date

le mutate situazioni rispetto all’antica implantatio, richiede una doppiaspecificazione: attività di primo annuncio e attività di consolidamen-to. In alcuni casi la doppia attività viene svolta in momenti diversi e susoggetti diversi. In altri casi le due attività debbono intrecciarsi, in quan-to rivolte a soggetti che pur essendo battezzati non vivono in situazionipermeate dalla fede;

7°) La qualità della catechesi dipende in gran parte dalla qualitàdei catechisti, dalla loro formazione seria e continuativa, dalla loro verae sicura conoscenza della fede, dalla loro qualità di vita cristiana e divero inserimento in tutta la vita della Chiesa, ed ovviamente anche dalleloro qualità pedagogiche che non siano soltanto accorgimenti umani,ma che scaturiscano da tutta la realtà cristiana.

A me pare che i due documenti – il Catechismo della Chiesa Cattolicaed il Direttorio Generale per la Catechesi – richiamino con grande ener-gia al primato della verità, al primato della Grazia, al primato di Dio edella sua Parola, all’assoluta necessità dei mezzi della grazia per la tra-smissione della fede, alla necessità della chiarezza dell’insegnamentocirca i contenuti veritativi della Divina Rivelazione; ed altresì al primatodella obiettività del vero e del bene nei confronti della soggettività e del-l’esistenzialismo.

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III

Ambiti pastorali che richiedono concordantia mentium et voluntatum

La terza parte del mio intervento tocca alcuni aspetti particolari del-l’esercizio del nostro ministero sacerdotale e della nostra testimonianzasacerdotale, che richiedono concordantia mentium et voluntatum.

1. LITURGIA

La concordantia mentium et voluntatum in ambito liturgico deve con-durre ad una concezione della Liturgia e ad un modo di celebrarla chedicano con massima chiarezza che la Liturgia è veramente la fonte, ilcentro ed il vertice di tutta l’azione della Chiesa, è la massima espres-sione di tutto ciò che la Chiesa è, è la massima realizzazione di tuttociò che Essa compie. Ne consegue che il Sacerdote deve avere la piùgrande ed attenta cura nel condurre i fedeli alla comprensione dellaLiturgia ed alla partecipazione alla vita liturgica della Chiesa, senzadella quale il cristiano non può vivere da cristiano, secondo la fede e lacarità. Deve avere la più grande ed attenta cura nel preparare le cele-brazioni liturgiche e soprattutto la celebrazione della Santa Messa; deveavere la più grande ed attenta cura nello svolgere le celebrazioni conperfetta fedeltà alle norme e regole liturgiche.

a) Richiamo ancora la necessità di un rispetto convinto delle disposizionistabilite dall’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e laDisciplina dei Sacramenti Redemptionis Sacramentum (su una buonaparte di esse ho attirato l’attenzione nell’Appendice dell’opuscolo “LaDivina Liturgia”). In particolare ora chiedo che si abbia fedele osser-vanza delle disposizioni che regolano il ricorso durante le Celebrazioniliturgiche, ai ministeri istituiti del Lettorato e dell’Accolitato, ed ilricorso all’aiuto di Ministri straordinari della Comunione. Non sianoquesti, e neppure gli Accoliti, a distribuire la Santa Comunione se nonnei casi di vera necessità, e cioè in assenza di Presbiteri o Diaconi che

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possano coadiuvare il Sacerdote Celebrante, ed in presenza di un talenumero di fedeli comunicanti che prolungherebbe di molto – oltre ilragionevole – il tempo della Santa Comunione.

Se in alcune Sante Messe vi è vera necessità di più Ministri dellaComunione, è necessario curare che vi sia l’aiuto di MinistriOrdinari (Sacerdoti e Diaconi) o Straordinari (Accoliti e Ministristraordinari della Comunione, debitamente preparati e che appaianocome tali dal loro abito liturgico appropriato). Non spetta al Parrocood al Sacerdote Celebrante istituire Ministri straordinari dellaComunione. Solamente nel caso in cui il Sacerdote celebrante si trovidi fronte ad una vera necessità, eccezionale, imprevista ed improv-visa, può ricorrere – per quella sola volta – all’aiuto di un membrodell’Assemblea, che possa aiutare a distribuire la Santa Comunione inmaniera degna ed appropriata, e con somma venerazione.

b) A riguardo del modo di distribuire la Santa Comunione ed allafacoltà attribuita ai fedeli, in forza dell’Indulto, di ricevere la SantaComunione anche sulla mano, occorrerebbe aprire un ampio capito-lo, per rendersi conto che la ricezione sulla mano – anche quandoavviene in maniera appropriata – non è il modo più conveniente diricevere la Santa Comunione; lo è invece la ricezione sulla lingua,come era diventata abitudine sacrosanta da secoli.

Il documento del Papa Paolo VI, che concedeva l’Indulto, attri-buendo alle Conferenze Episcopali la possibilità di decidere se dare aifedeli la facoltà di chiedere la Santa Comunione sulla mano, mettevabene in risalto, anzi insisteva, nel proporre le ragioni della grandeconvenienza della Santa Comunione sulla lingua, nella bocca; que-sto modo infatti meglio esprime la verità di ciò che si riceve (omeglio: di Chi si riceve); più chiaramente esprime la fede di chi siaccosta alla Santa Comunione: è più efficace nel generare nell’ani-mo del comunicando somma venerazione ed adorazione, dovute alvero Corpo e al vero Sangue del Signore; salvaguarda assai megliodal pericolo di possibili profanazioni delle Sacre Specie; evita lafacile dispersione di frammenti della Sacra Particola (a tale propositobasta ricordare quanto afferma la sequenza del Lauda Sion: fracto

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demum sacramento, ne vacilles sed memento: tantum esse sub frag-mento, quantum toto tegitur).

Su tutto questo vanno istruiti i fedeli, affinché poi con sicuracoscienza possano accedere alla Santa Comunione con la dovutapreparazione interiore, con la necessaria fede, ed anche nel modoesterno più confacente al Santissimo Corpo e Sangue del Signore.(Su questo delicato argomento è in preparazione un opuscolo, chefarò avere ai Sacerdoti, per essi e per i fedeli).

c) Un altro richiamo riguarda la cura di tutto ciò che anche visibil-mente indica la grandezza e la verità di ciò che si celebra; ha quin-di importanza l’uso degli abiti e dei paramenti liturgici, che ciascunministro dell’Altare deve rivestire in modo completo, secondo ilgrado del proprio ministero. Non v’è, per esempio, alcun ragionevolemotivo per cui il Celebrante della Divina Eucaristia tralasci in qualchecircostanza di indossare la stola o la pianeta o casula.

Ma il Sacerdote non è tale soltanto quando celebra i DiviniMisteri, la Liturgia, i Sacramenti, o spezza il pane della Parola, dellaVerità, come ministro ordinato; lo è in ogni momento, e perciò nellasua identità sacerdotale e ministeriale egli deve sempre presentar-si agli altri, a chiunque altro; nella sua identità egli deve apparire,fatto spectaculum di fronte al mondo. Ha dunque la sua importanza,eccome!, il suo modo di vestire, la sua fedeltà all’abito che lo indi-ca come uomo consacrato, totalmente dedito al Regno di Dio.

Non si può mai dimenticare che l’abito ecclesiastico (talare oclergyman nella sua completezza) richiama innanzitutto a chi loporta la sua identità, della quale non può mai spogliarsi; poi, esso èindicativo della sua identità nei confronti degli altri: lo rende visibi-le in ciò che egli è e nella sua pubblica missione; infine è protettivo,difensivo, affinché sia salvaguardata l’identità di essere e di missionedi chi lo indossa.

Queste considerazioni dovrebbero, mi pare, bastare per invogliareal pieno rispetto ed alla fedeltà al nostro abito ecclesiastico.

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d) Assetto del presbiterio, nel quale opera il Ministro sacro, per iDivini Misteri e la santificazione dei fedeli.

Vi è ancora un ambito, all’interno di tutto ciò che concerne laLiturgia, che richiede concordantia mentium et voluntatum all’internodel Presbiterio e tra Presbiterio e Vescovo: è l’ambito affrontato dalVescovo nella “Tre Giorni” del 2007 ed esposto poi nell’opuscolo“La Divina Liturgia”; esso tocca sia la dottrina sia le applicazioni dellenorme che regolano la celebrazione della Divina Liturgia; tocca anchel’assetto dei presbiterii e la posizione dell’altare dentro i presbiterii.

Non mi stancherò di riproporre alla vostra attenzione ed osservan-za tutto il contenuto di quell’opuscolo. Per quanto riguarda l’assettodei presbiterii e la posizione in essi dell’altare, incarico qui dinanzi avoi il Vicario Generale del compito di verificare se in tutte laParrocchie le disposizioni che avevo date (in conformità alle istruzio-ni della Santa Sede, impartite nei primi anni dell’avvio della RiformaLiturgica) sono state applicate. Se in qualche parte della Diocesi ciònon è ancora avvenuto, il Vicario Generale ne curerà la fedele ese-cuzione, che ormai è opportuno che avvenga senza esitazioni.

2. CATECHESI – AMMISSIONE AI SACRAMENTI

Ferma è la nostra convinzione che la catechesi e la partecipazionealla Divina Liturgia ed ai Sacramenti sono strettamente collegate edentrambe hanno come scopo ultimo il condurre il cristiano all’adorazionea Dio, al divenire offerta gradita a Dio in Cristo Gesù, all’adozione a figlidi Dio. Lo scollegamento tra le due realtà, tra i due ambiti dell’azionepastorale, compromette gravemente il buon “successo” della vita cri-stiana, o meglio: la buona e vera realizzazione della vita cristiana.

Ci siamo interrogati più volte per constatare se questo collegamentostrettissimo esiste nella vita delle nostre Parrocchie, se tutti gli operatoripastorali, Sacerdoti e Diaconi e loro Collaboratori (catechisti, educatori,ministri e ministranti nella Sacra Liturgia, ecc…) operano con convin-zione, con tutto l’animo e le forze, affinché tutta l’azione pastorale coo-

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peri, congiunta in tutte le sue espressioni, alla pienezza della vita del cri-stiano, alla pienezza di vita nella fede, nella grazia, nella carità, nellasperanza di vita eterna. Dobbiamo continuare ad interrogarci, appor-tando poi tutte le correzioni necessarie, se sotto qualche aspetto l’azionepastorale non è adeguata ed appropriata per il raggiungimento del fine.

Fatta questa considerazione di primaria importanza, desidero richia-mare la vostra attenzione sulla necessaria buona esecuzione di due parti-colari richieste delle Costituzioni Sinodali.

a) L’ammissione ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana deve avveniredopo adeguata e sufficiente preparazione catechistica: dei Genitorie dei Padrini, per l’ammissione dei bambini al Battesimo; dei fanciul-li e dei ragazzi per la loro ammissione all’Eucaristia e alla Cresima. Èevidente che la preparazione va valutata nella sua globalità e nella suaavvenuta interiorizzazione, e non principalmente sull’osservanza diadempimenti esteriori, che sono indispensabili tanto quanto valgo-no per la preparazione dell’animo, della mente e della volontà.

Il tutto va valutato dal Sacerdote – Parroco, con l’aiuto dei suoicollaboratori, sempre con molta carità e con grande serenità di giu-dizio. Il prendere in considerazione ragionevoli motivi per delle ecce-zioni, non è andare contro la bontà delle regole, ma dare dovuta atten-zione alle situazioni in cui possono venirsi a trovare le persone.

Vi possono essere talvolta anche motivi perché dei fanciulli e deiragazzi della Prima Comunione o della Cresima siano ammessi a taliSacramenti al di fuori della propria Parrocchia, ma nessuno siaammesso senza aver prima avuto certezza morale della sua buonae regolare preparazione; e ciò può avvenire soltanto se il Parroco alquale viene richiesto di ammettere fanciulli o ragazzi di altraParrocchia non dà positiva risposta prima di aver contattato e di esser-si inteso con il Parroco della Parrocchia di provenienza.

È importante che in tutte le Parrocchie si osservino i tempi stabi-liti dal Sinodo Diocesano per la preparazione ai Sacramenti dell’Ini-ziazione cristiana.

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b) Infine, sento di dovervi riproporre una volta di più la necessità di con-cordantia mentium et voluntatum nell’assai delicato campo della curapastorale di tutti coloro che non si trovano nelle condizioni obiet-tive e soggettive richieste per essere ammessi alla partecipazionecorretta e fruttuosa ai Santi Sacramenti. Mi riferisco in particolareai conviventi come se fossero uniti in matrimonio ed in realtà non losono mai stati, ed altresì ai conviventi che prima erano uniti in veromatrimonio e quindi separatisi o divorziati non possono accedere adun nuovo Matrimonio – Sacramento.

La cura pastorale nei loro riguardi che suggerisse al Parroco, alSacerdote, di ammetterli ai Sacramenti nonostante la loro irregolareobiettiva posizione, non sarebbe una cura pastorale ma un venir menoall’impegno costante di portare il cristiano, o di riportare il cristia-no, a vivere in vera fedeltà alle esigenze della vita cristiana, comesi deducono dal Vangelo, dall’insegnamento dell’unico Maestro eSignore; come si deducono dalla Traditio Ecclesiae; come si deduco-no dalla splendida verità che l’agire, il comportamento del cristianonon possono contraddire la verità del suo essere “nuova creatura inCristo”: è la dignità di figli di Dio, che si raggiunge per fidem et sa-cramenta (ed inizialmente per mezzo del Battesimo) che deve rego-lare l’agire, il vivere, il comportamento.

I Sacramenti vanno rispettati nella loro verità, altrimenti nontrasmettono la grazia che significano, non producono più i loro effettidi grazia. Ad esempio: il Sacramento della Penitenza o della Confes-sione non dà la grazia della riconciliazione con Dio, la grazia del per-dono di Dio, il dono della reviviscenza della grazia battesimale, se nona chi ha il vero pentimento dei suoi peccati ed il vero proposito dievitare il peccato e le occasioni o situazioni di peccato, di non obietti-va correttezza morale.

Di tutto ciò si può e si deve ragionare con coloro che si trovano incondizioni obiettive che non permettono di ricevere i Sacramenti nellaloro verità e nella loro efficacia soprannaturale. Il buon pastore li com-

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prenderà nelle loro difficoltà, ma se è condotto da carità pastorale nonfarà, non dirà nulla che possa condurre chi è in una situazione irrego-lare a pensare che egli può considerarsi un buon cristiano nonostantela sua situazione di vita.

Non è neppure pastoralmente accettabile che coloro che si tro-vano nelle condizioni sopra descritte siano ammessi all’ufficio dipadrino o madrina dei battezzandi o dei cresimandi. Sarebbe infattiuna contraddizione dare un padrino od una madrina che per la lorocondizione di vita non possono essere esempio, stimolo e guida per iloro figliocci. Il significato e la finalità di affiancare ai genitori deipadrini, nel loro grande compito e dovere di educazione dei figli, èproprio quello di essere esempio, stimolo e guida all’autentica vita cri-stiana.

Quando con chiarezza e con pazienza e rispetto delle persone sispiegano le ragioni dell’agire pastorale della Chiesa, generalmente laragionevolezza delle norme e delle regole viene compresa, ed una giu-sta conoscenza della verità conduce abitualmente ad una migliore atti-tudine dell’animo e a convinta obbedienza da parte della volontà.

* * *

In tutta la nostra azione pastorale ed in tutta la nostra vita sacerdota-le, il Signore ci conceda di formare in verità “un cuor solo ed un’ani-ma sola”.

Albenga, 19 Settembre 2012

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