Tracce d'eternità 20

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Tracce Tracce Tracce LE FIRME PHILIP COPPENS, G.R.S. (GRUPPO RICERCHE SARDEGNA), ROBERTO BOMMARITO, LUIGI MILA- NI, DANIELE IMPERI, M.BENEDETTA ERRIGO, ALEXIA BIANCHINI, PIER GIORGIO LEPORI (AM), ROBERTO LA PAGLIA, ANTONELLA BECCARIA, ALESSANDRO DEMONTIS, ANDREA DELLA VENTURA, NOEMI STE- FANI, FABIO MARINO, SIMONE BARCELLI E GIANLUCA RAMPINI La rivista elettronica del mistero d’eternità d’eternità d’eternità 20 Anno V nr. Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito sola- mente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per leventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. LA BIBBIA E GLI ALIENI: MITOPOIESI MODERNA O NEO-EVEMERISMO SOSTENIBILE? (TERZA E ULTIMA PARTE) DI FABIO MARINO ILLUSIONE DI UN SUICIDIO VERITÀ CELATE SUL FUHRER ROBERTO BOMMARITO Chimera Chimera Chimera L’EVENTO DELLA LUCE DEI FORI APICALI DEL NURAGHE RUJU DI TORRALBA L’EGITTO PRIMA DEI FARAONI ROBERTO LA PAGLIA NUOVO INSERTO IL PIÙ ANTICO TEMPIO DEL MONDO PHILIP COPPENS I FILM MALEDETTI M.Benedetta Errigo LE RECENSIONI Daniele Imperi LA NARRATIVA presentata da Luigi Milani Lo spazzino del mietitore un racconto di Alexia Bianchini LA STORIA CHE VERRA’ Simone Barcelli SIAMO DAVVERO LA PRIMA CIVILTÀ AVANZATA DELLA STORIA? PIER GIORGIO LEPORI CONFERENZA AM, CIVITANOVA MARCHE

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La rivista elettronica del mistero

Transcript of Tracce d'eternità 20

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TracceTracceTracce

LE FIRME PHILIP COPPENS, G.R.S. (GRUPPO RICERCHE SARDEGNA), ROBERTO BOMMARITO, LUIGI MILA-NI, DANIELE IMPERI, M.BENEDETTA ERRIGO, ALEXIA BIANCHINI, PIER GIORGIO LEPORI (AM), ROBERTO LA PAGLIA, ANTONELLA BECCARIA, ALESSANDRO DEMONTIS, ANDREA DELLA VENTURA, NOEMI STE-FANI, FABIO MARINO, SIMONE BARCELLI E GIANLUCA RAMPINI

La rivista elettronica del mistero

d’eternitàd’eternitàd’eternità

20Anno V nr.

Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito sola-mente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori.

LA BIBBIA E GLI ALIENI: MITOPOIESI MODERNA O NEO-EVEMERISMO SOSTENIBILE? (TERZA E ULTIMA PARTE) DI FABIO MARINO

ILLUSIONE DI UN SUICIDIO

VERITÀ CELATE SUL FUHRER

ROBERTO BOMMARITO

ChimeraChimeraChimera

L’EVENTO DELLA LUCE DEI FORI APICALI DEL NURAGHE RUJU DI TORRALBA

L’EGITTO PRIMA DEI FARAONIROBERTO LA PAGLIA

NUOVO INSERTO

IL PIÙ ANTICO TEMPIO DEL MONDO

PHILIP COPPENS

I FILM MALEDETTI M.Benedetta Errigo

LE RECENSIONIDaniele Imperi

LA NARRATIVA presentata da Luigi Milani

Lo spazzino del mietitore

un racconto di Alexia BianchiniLA STORIA CHE VERRA’ Simone Barcelli

SIAMO DAVVERO LA PRIMA CIVILTÀ AVANZATA

DELLA STORIA?PIER GIORGIO LEPORI

CONFERENZA AM, CIVITANOVA MARCHE

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ARTICOLI

PAG.22 LA CREAZIONE DELL’UOMO DI ALESSANDRO DEMONTIS

PAG.25 VERITÀ CELATE SUL FUHRER DI ROBERTO BOMMARITO

PAG.33 L’EGITTO PRIMA DEI FARAONI DI ROBERTO LA PAGLIA

PAG.44 L’EVENTO DELLA LUCE DEI FORI APICALI DEL NURAGHE RUJU DI TORRALBA

DEL G.R.S. (GRUPPO RICERCHE SARDEGNA)

PAG.55 IL PIU’ ANTICO TEMPIO DEL MONDO DI PHILIP COPPENS

PAG.62 SIAMO DAVVERO LA PRIMA CIVILTÀ AVANZATA DELLA STORIA? DI PIER GIORGIO LEPORI

CONFERENZA AM, CIVITANOVA MARCHE

PAG.69 KENNEDY, UN PRESIDENTE CONTRO LE BANCHE DI ANDREA DELLA VENTURA

CONTENUTI

Gianluca Rampini [email protected]

Simone Barcelli [email protected]

Fabio Marino [email protected]

Luigi Milani [email protected]

Roberto La Paglia [email protected]

Traduzioni

Sabrina Pasqualetto [email protected]

Anna Florio [email protected]

Antonio Nicolosi [email protected]

Germana Maciocci [email protected]

Carla Masolo [email protected]

QUESTA RIVISTA TELEMATICA, IN FOR-MATO PDF, NON È UNA TESTATA GIOR-NALISTICA, INFATTI NON HA ALCUNA PERIODICITÀ. NON PUÒ PERTANTO CON-SIDERARSI UN PRODOTTO EDITORIALE, AI SENSI DELLA LEGGE N. 62/2001. VIENE FORNITA IN DOWNLOAD GRATUITO SO-LAMENTE AGLI UTENTI REGISTRATI DEL PORTALE E UNA COPIA È INVIATA AGLI AUTORI E AI COLLABORATORI. PER L’EVENTUALE UTILIZZO DI TESTI E IMMA-GINI È NECESSARIO CONTATTARE I RI-SPETTIVI AUTORI.

Progetto grafico e impaginazione a cura di Simone Barcelli.

Revisione testi a cura della redazione.

REDAZIONE

RUBRICHE

PAG. 4 NOTE A MARGINE DI GIANLUCA RAMPINIPAG. 10 POLVERE DI SIMONE BARCELLIPAG. 13 LUCI DALL’OLTREVERSO DI FABIO MARINO PAG. 18 XAARAN DI ANTONELLA BECCARIA PAG. 32 NON PRENDIAMOCI SUL SERIO DELLA REDAZIONEPAG. 39 CONFESSO, HO VIAGGIATO DI NOEMI STEFANI PAG. 53 LIFE AFTER LIFE DI NOEMI STEFANI

POLVERE (PAG.10)

THE ANCIENT ALIEN QUESTION DI PHILIP COPPENS IL LUNGO RACCONTO DELL’ORIGINE DI M.HACK, W.FERRERI E G.COSSARD

ANATOLIA DI ANDREA DE PASCALE DROGHE TRIBALI DI GIORGIO SAMORINILE PORTE DELL’INFERNO DI LINCOLN CHILD MELODIA DI DANIELE BONFANTI

ChimeraChimeraChimeraPAG.6

EDITORIALE DI ROBERTO LA PAGLIA

PAG.74-75

LE RECENSIONI DI DANIELE IMPERI

PAG.76

LA STORIA CHE VERRA’ DI SIMONE BARCELLI

PAG.79

I LIBRI MALEDETTI DI M.BENEDETTA ERRIGO

PAG.83

LA NARRATIVA DI CHIMERA LO SPAZZINO DEL MIETITOREUN RACCONTO DI ALEXIA BIANCHINI(PRESENTATO DA LUIGI MILANI)

TRACCE D'ETERNITÀ DA GENNAIO 2013 E’ IN EDICOLA: LEGGI L’INSERTO DI VENTI PAGINE ALL'INTERNO DEL MENSILE XTIMES, EDITO DA XPUBLISHING.

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"Ho seguito, studiato e presentato quello che poteva essere il vero significato del 21 dicembre 2012:

trasformazione. Ma alla fine di novembre, non mi rendevo conto di quanto straordinario potesse essere

il mio futuro dopo il 2012... Nel mio caso, mi è stato diagnosticato un caso estremamente raro di tu-

more, l'angiosarcoma, che colpisce meno di 200 persone negli Stati Uniti... per me, questa diagnosi,

ha segnato un enorme campanello d'allarme... nessuno considera veramente prezioso ogni giorno come

dovrebbe essere... mi sono reso conto che, in qualche modo, quello che sto imparando in questo momento

temporale - tra livello mentale e terapie mediche - mi stanno offrendo spunti, intuizioni molto profonde

e potenti. In particolare, come i nostri antenati abbiano saputo guarire il corpo. E' buffo che stia im-

parando questa lezione in un letto d'ospedale a Los Angeles, mentre avrei dovuto essere in Egitto, vi-

sitando tutti questi siti. Ma prima, a quanto pare, forse la vera comprensione e la saggezza devono

essere così acquisite... Le conoscenze che ho acquisito in queste settimane sicuramente superano di gran

lunga qualsiasi cosa che la terra d'Egitto mi avrebbe dato... resto convinto che questa conoscenza sarà

quella che mi darà davvero il mio futuro... nella speranza che con solo un paio di giorni prima del 21

dicembre, la gente, attraverso la scelta, abbraccerà un cambiamento positivo nella propria vita per un

viaggio al livello successivo della loro missione, l'unica ragione per cui abbiamo scelto di incarnarci qui

in questo incantevole, pianeta d'acqua blu".

Ecco ciò che scriveva il ricercatore Philip Coppens sulle pagine del suo blog il 16 dicembre scorso, l'ultimo post poco prima di morire.

Ciao Philip.

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Rieccoci. In questo periodo di fermento elettorale, non ho potuto evitare di pensare al futuro. In tutta franchezza sono combattuto tra un otti-mismo sostenuto dalle molte brave persone che conosco e un lugubre presagio rispetto all’evoluzione della nostra società. Non che questo di-penda da chi ha o non ha vinto le elezioni. Succede o-gni volta. Il caos mediatico che si por-tano dietro, sondaggi farloc-chi, insulti, brogli e affini ten-dono a farci dimenticare che niente di ciò che conta si de-cide più a livello nazionale, o più in genere, viene deciso dai politici. In tutte le indagi-ni sui complotti (chiamiamoli intrighi per non urtare la sensibilità di chi la parola co-spirazione non la vuole senti-re) si dice sempre di seguire il denaro.

“Follow the money”. Al gior-no d’oggi non è nemmeno così difficile da fare. Ma po-chi lo fanno. Frescobaldi, Ro-thschild, Amburgo, avete mai sentito i nomi di queste fami-glie al di fuori dei circoli co-spirazionisti? Ho invece recentemente let-to un articolo su Nexus che illustrava molto bene come nelle principali banche e cor-porazioni, a livello mondiale, molte delle persone che go-vernano queste realtà siano presenti in diversi consigli di amministrazione e varie po-sizioni di potere. Vero, niente di nuovo. Però sfugge il fatto che ciò produce sostanzial-mente un’unica frankisteiana entità la cui enorme influen-za sul pianeta produce una massa dalla cui gravità è dav-vero difficile sfuggire. Ora non mi aspetto che i me-dia affrontino, neppure di

striscio, questo genere di ar-gomenti e francamente che lo facciano o meno cambia relativamente. Non spetta più a loro la diffusione delle notizie. Ne mi aspetto che lo facciano i poli-tici di professione. Non lo hanno fatto nemmeno i rap-presentante dei movimenti, delle liste. Nessuno. Sogno il giorno in cui un par-lamentare, seduto in qualche trasmissione a carattere poli-tico, sorprendendo il condut-tore dirà una cosa del tipo: “ Sono stato invitato al Bil-dberg e non ci sono andato”. Oppure : “Ma lo sa che la Banca d’Italia è un istituto privato e che l’Italia compra da lei i soldi pagando non so-lo i costi di lavorazione ma anche il valore nominale del-le banconote?” O ancora: “Lo sa che tutti questi espo-nenti politici di differenti

NOTE A MARGINENOTE A MARGINEDI GIANLUCA RAMPINI

TABÙ MEDIATICI

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schieramenti politici sono membri della stessa loggia massonica? E lo sa che per un massone i valori massonici vengo prima di tutto il resto, compresa la difesa ed il reci-proco aiuto tra fratelli masso-ni?” Per essere onesti fino in fondo, devo menzionare che l’unico politico ad averlo mai fatto, riguardo la Banca d’Italia, è stato Storace. E mi costa ammetterlo, vi assicuro, non condividendo con lui al-cuna visione del mondo. Così come fatico a nominare Ber-

ghezio che oltre ad aver solle-vato al Parlamento Europeo il tema del Bildberg ha persino affrontato il tema degli Ufo, aiutato da Massimo Teodora-ni che abbiamo intervistato su uno dei primi numeri di Tracce. Dopo questi episodi, ricordo ancora la faccia di Vespa che arrancava non sapendo che rispondere a Storace, nulla è più passato sui media tradi-zionali né tra la parole di al-cun politico, attuale o aspi-rante tale.

Bene, detto tutto ciò, come lo si collega a Tracce. Beh, in-nanzitutto perché di queste cose noi parliamo e poi per-ché, volevo dirlo in realtà all’inizio, Tracce è a prova di crisi economica, essendo gra-tuita e digitale, costa solo il tempo e la fatica di chi la rea-lizza. Giudicate voi il risultato. Buo-na lettura (e pensare che non ho nemmeno accennato alle “dimissioni” del Papa).

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CHIMERA N.5 (FEBBRAIO 2013)

EDITORIALERoberto La Paglia

Volendo cercare un termine, una frase, che pos-sa in qualche modo illustrare il mio stato d’animo nello scrivere questo nuovo editoriale, l’unica immagine che mi viene in mente è “…una grande emozione…”.Lungi dal voler trasformare questo spazio in una occasione per dare sfogo ai miei sentimenti, re-sta il fatto che questo nuovo numero di Chimera vede la luce sulla scia di tante forte emozioni che hanno caratterizzato il suo recente percorso, ol-tre che lo scenario degli ultimi avvenimenti rela-tivi non soltanto al mondo dei misteri.La prima novità in assoluto, della quale vi sarete ovviamente già accorti, è che da questo mese Chimera (da pag. 73 in poi) assume il ruolo di allegato a Tracce, la “rivista madre” che, grazie al vostro affetto e alla vostra sempre costante attenzione, riscuote da anni il plauso di un nu-mero sempre più crescente di lettori.Un valore aggiunto, quindi, per tutti i suoi colla-boratori, ma anche un cambiamento propedeu-tico ad una altrettanto importante novità, mi ri-ferisco alla nuova collaborazione con la rivista X Times.Si tratta di un traguardo importante, frutto del lavoro e del grande senso di partecipazione che contraddistingue tutto lo staff di Tracce; mensil-mente X Times proporrà alcuni articoli estratti dalla rivista digitale, presentandoli ai lettori con una nuova veste grafica, una sinergia che segna un importante passo in avanti nel campo della divulgazione.A questa emozione si aggiunge lo struggente ri-cordo del compianto Philip Coppens, il cui volto appare proprio in apertura, subito dopo un ulti-mo pensiero affidato alle pagine del suo blog prima di lasciarci prematuramente.Mi piace estrarre questo piccolo passaggio dall’annotazione di Philip: “…nessuno considera veramente prezioso ogni giorno come dovrebbe

essere…”.In una semplice frase l’essenza di quello che do-vrebbe essere un pensiero globale, una attenzio-ne quotidiana alla quale nessuno di noi dovreb-be sottrarsi; ogni giorno è prezioso, così come preziosi sono tutti i singoli attimi che lo com-pongono, lo stupore di una scoperta, quella sana curiosità che ci pervade, che ci spinge a volerne sapere di più, a confrontarci con l’ignoto, quel ragionevole dubbio che ci porta a varcare i confi-ni della conoscenza dogmatica, a sperimentare la vita come parte unica e inscindibile di uno scenario molto più ampio e ancora, in gran par-te, inesplorato.Questo mese, ancor più che nelle edizioni prece-denti, Tracce/Chimera ha voluto farsi carico di queste emozioni, e non soltanto da un punto di vista strettamente sentimentale; non potevamo non farci carico di quella che è una vera e pro-pria responsabilità, di quell’augurio sentito, re-clamato, ormai necessario per l’umanità intera, che Philip Coppens riassume in queste semplici e toccanti frasi: “…abbraccerà un cambiamento positivo nella propria vita per un viaggio al li-vello successivo della loro missione, l'unica ra-gione per cui abbiamo scelto di incarnarci qui in questo incantevole, pianeta d'acqua blu".Proprio seguendo questa traccia abbiamo cerca-to di dare il massimo, sia come contenuti che graficamente, provando ancora una volta a non solleticare soltanto la pura e semplice voglia di leggere, di incamminarsi tra i misteri di questo pianeta, ma sforzandoci di non perdere di vista l’anima, quel misterioso intreccio di energie, sensazioni, emozioni e turbamenti che caratte-rizza l’individualità di ogni essere umano.Il nuovo percorso sarà aperto dalle preziose No-te a Margine di Gianluca Rampini, note che ci introdurranno ad una interessante galleria di libri magistralmente curata da Simone Barcelli,

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galleria nella quale non poteva mancare “The Ancient Alien Question”, il volume di Philip Coppens dato alle stampe nel 2011, insieme ad altre proposte che, certo, non mancheranno di stupirvi.Continuando su un percorso di grande attenzio-ne ai contenuti, la terza ed ultima parte dello studio di Fabio Marino sul tema Bibbia e Alieni, sarà di certo, e per lungo tempo, argomento di confronti e dibattiti, uno scenario di confronto aperto a tutti coloro che, oltre ogni preconcetto o facile presa di posizione, desiderano realmente osservare i termini della questione da ogni pos-sibile punto di vista.Se finito di leggere questo importante contribu-to, e incontrando il titolo del prossimo articolo, vi troverete a pensare di essere ancora in un re-moto passato, sarete subito costretti a ricreder-vi; quando ci si ritrova a navigare sospinti dai venti generati dall’enigma e dal mistero, il tem-po cessa di esistere, e su tutto domina la ma-schera immutabile dell’ignoto.Proprio per questo Xaaraan, la rubrica curata dalla giornalista Antonella Beccaria, non deve trarvi in inganno; ci troviamo in tempi molto più vicini alla nostra epoca, ma non per certo meno bui. Nessun nome fantasioso di alieni, oppure di mitiche civiltà perdute; Xaaraan è in realtà un termine di origine somala che indica ciò che è oscuro, nascosto, qualcosa che va contro la legge dell’uomo o di Dio; proprio in tal senso non po-teva trovarsi miglior combinazione di intenti, visto che l’articolo ci porterà indietro di circa 43 anni, ai tempi della strage di Piazza Fontana… ma non soltanto… e forse ho già detto troppo, in poche parole un articolo da non perdere e con-servare gelosamente.A ritornare indietro nel tempo ci penserà Ales-sandro Demontis e la sua approfondita indagine sui miti babilonesi relativi alla nascita dell’uomo.Rimbalzando ancora una volta in questa ipoteti-ca macchina del tempo, sarà Roberto Bommari-to a condurci lungo uno dei percorsi più oscuri e intricati della storia, sulle tracce delle verità ce-late in merito alla morte di Adolf Hitler.L’Egitto prima dei Faraoni, un mio modesto contributo a Tracce/Chimera, fungerà invece da intermezzo, una parentesi misteriosa oltre la quale partiremo per un viaggio abbastanza atipi-co; la destinazione sarà Londra, mentre la no-stra compagna di viaggio sarà Noemi Stefani, autrice già conosciuta e apprezzata dai lettori di

Tracce (è in download un suo interessante ebook dal sito della rivista), presente anche questo me-se su Tracce/Chimera con “Life After Life”, un contributo che vi consiglio caldamente di legge-re.Due le ricerche di ampio respiro per quanto ri-guarda il tema Archeologia: un approfondito studio del Gruppo Ricerche Sardegna (G.R.S.) sugli strani eventi della luce dei Fori Apicali del Niraghe Ruju di Torralba, e una splendida tra-duzione di Ario Liberti dell’articolo di Philip Coppens riguardante i numerosi misteri del sito di Göbekli Tepe, in Turchia.Subito dopo il reportage relativo a “La perduta tecnologia delle antiche civiltà”, conferenza te-nutasi nel dicembre 2012 a Civitanova Marche, sarà computo di Andrea Della Ventura riportarci ai nostri giorni con una serrata indagine su John Fitzgeral Kennedy, la sua lotta contro le banche, e i misteriosi avvenimenti che ne conseguirono.Coronano questo nuovo numero (entrando nell’inserto Chimera) le ormai indispensabili recensioni di Daniele Imperi, un coinvolgente racconto di Alexia Bianchini, presentato da Luigi Milani nella sezione Narrativa, una inquietante sequenza di notizie sui Film Maledetti curata da M. Benedetta Errigo, e quello che è ormai un classico appuntamento, ovvero l’annotazione di Simone Barcelli che, per “La Storia che Verrà”, ci introdurrà nel misterioso scenario di Nabta Playa.Cento pagine, tanta passione e tanta voglia di ricominciare; Marcel Proust scriveva: “…il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi...”, ed è proprio con questo augurio che vi lascio alla let-tura di questo nuovo numero di Chimera, l’augurio che si riesca ancora ad osservare e non soltanto a guardare, che si pensi al cambiamento come a qualcosa che deve prima iniziare da ogni singolo individuo, per poi espandersi a macchia d’olio in tutto il pianeta.Se per un attimo il frutto del nostro lavoro vi ha intrigato, stupito, se è riuscito a sollevare quel piccolo, ragionevole dubbio, sul quale si fonda ogni sano confronto e ogni nuova ricerca che possa in qualche modo allargare i nostri orizzon-ti visivi e intellettuali, se siamo riusciti ad accen-dere la scintilla di un proficuo confronto, abbia-mo in parte assolto al nostro compito, quello di rendere indimenticabile uno dei tanti momenti di un altrettanto indimenticabile giorno.Buona lettura.

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Online il primo numero di SIGNS Magazine; si po-trà scaricare dal sito http://signs.orizzonteassoluto.info/ o leggere nella versione flip o attraverso Calameo. Presto sarà disponibile anche negli altri siti e blog aderenti.

Sommario del numero 1:

EditorialeUfo & Cover Up: il gioco delle veritàRoberto La PagliaAll that glitters is not grayAlbert S. RosalesA new world viewPaola Leopizzi HarrisUfo in Sardegna – Cronaca di un avvistamentoGabriele LombardoLinea di ConfineRubrica a cura di Fabio MarinoIl mito di Osiride e la mummificazione: tecniche rianimatorie dimenticate?Le inesplicabili linee di NazcaEnrico VincenziIl diabolico progetto Monarch (prima parte)Fabrizio Rondina – Franco Bertelegni – Luana Bal-drighiSegnali in libreriaSimone Barcelli / Fabio e Marco GarutiSigns Movie VitriolUfo Vintagela foto dei coniugi Trent

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Philip Coppens era un’apprezzato autore di politica e storia alternativa. Avrebbe compiuto 42 anni il 25 gen-naio ma un male incurabile se l’è por-tavo via prima, il 30 dicembre 2012. Scriveva per le riviste Nexus, Atlantis Rising, Legendary Times e tante altre. In Italia, a parte l’edizione nostrana di Nexus, i suoi studi sono apparsi suHera e Fenix. E scriveva libri, undici in tutto: in Italia è stato pubblicato solo “L'Enigma di Rosslyn”, Età dell'Acqua-rio Edizioni, 2005. Molti di voi lo ri-corderanno protagonista nel recente documentario di History Channel “Ancient Aliens: The Series”.Fin da giovane Coppens s’interessò all’opera dello storico Marcel Me-stdagh (che teorizzava come molti monumenti megalitici potessero rap-presentare un complicato sistema stradale, costruito sulla circonferenza degli ovali, con al centro l'antica città francese di Sens), sostenendo che Atlantide era il fulcro di una remota civiltà megalitica.La sua curiosità d’investigatore lo condusse a scrivere controcorrente anche dell’assassinio di Kennedy.Una delle sue ricerche più apprezzate rimane comunque quella dedicata alla cappella scozzese di Rosslyn, so-prattutto in rapporto con la massone-

ria e i Templari.Tra gli ultimi lavori di Coppens c’è The Ancient Alien Question, uscito nel 2011 per New Page Books (13,12 $, Kindle Edition 10,99 $), in cui

l’autore indaga presunti contatti alie-ni nel nostro passato. Un libro (in in-glese) da leggere senza preconcetti, scritto da chi sicuramente ora ne sa più di noi.

POLVEREPOLVEREDI SIMONE BARCELLI

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Il lungo racconto dell’origine (I gran-

di miti e le teorie con cui l’umanità

ha spiegato l’universo), edito da Da-

lai nel novembre 2012, porta in co-

pertina la prestigiosa firma di Mar-

gherita Hack, coautrice con Walter

Ferreri e Guido Cossard. Non sappia-

mo quale sia stato l’apporto

dell’astrofisica in questo lavoro

(forse solamente il nome in coperti-

na) che promette più di quel che

mantiene.

È un libro anomalo per una serie di

evidenti circostanze: l’editing pare

approssimativo (si andava di fretta

per le strenne natalizie?), manca

completamente una bibliografia di

riferimento e non si comprende chi

dei tre autori abbia scritto i vari capi-

toli (così vale anche per la prefazio-

ne). Sinceramente un’occasione

sprecata, si poteva fare di più anche

per il costo al pubblico del volume

(16,50 €). Da leggere con riserva.

Andrea De Pascale ci presenta Ana-

tolia Le origini, edito da Oltre Edizio-

ni (ottobre 2012). È un libro appas-

sionante, ben scritto e ancor più do-

cumentato, che ci permette di sco-

prire con l’autore una terra che cela

ancora molti enigmi, se non anche

l’origine della civiltà come la possia-

mo intendere oggi. De Pascale è uno

stimato archeologo, Conservatore

del Museo Archeologico del Finale,

che ritroviamo ogni mese anche sul-

le pagine della rivista Archeo.

Quattrocento pagine da consultare

alla bisogna e senza fretta, come

fosse una piccola enciclopedia del

mondo antico anatolico. Assoluta-

mente da non perdere (nonostante

il costo quasi proibitivo, 29,90 €), da

conservare gelosamente in libreria

assieme a Costruirono i primi Tem-

pli di Klaus Schmidt (dello stesso

lungimirante editore), anche perché

gli unici volumi (accademici ma non

pedanti) in italiano dedicati a Gobe-

kli Tepe e dintorni.

Droghe tribali (shake edizioni, 2012,

12 €) è l’ultimo, agile saggio proposto

da Giorgio Samorini, stimato ricerca-

tore bolognese in esilio a Siviglia.

Cento pagine che volano via in una

piacevole lettura, scritte da un etno-

botanico specializzato sulle droghe

usate dalle popolazioni tribali. Samo-

rini è ben conosciuto anche in rete

(abbiamo pubblicato un suo studio

sul numero 4 del magazine Chimera)

e il suo sito ospita fra l’altro numero-

se opere (anche di altri autori) che si

possono scaricare gratuitamente.

L’autore si distingue per una scrittura

mai pesante con cui racconta le sue

esperienze sul campo e per la ricerca

spasmodica (in senso buono) delle

fonti da cui attinge per le sue ricer-

che, davvero uniche e fuori da ogni

schema precostituito. Un libro ricco

di curiosità che non troverete in altre

pubblicazioni e che non mancherà di

stupirvi. Da leggere e rileggere.

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Chiudiamo questo primo appunta-

mento di Polvere annotando anche

due romanzi.

Il primo è firmato da Lincoln Child,

autore di successo anche in coppia

con Douglas Preston, che stavolta

presenta Le porte dell’inferno

(Rizzoli, ottobre 2012, 18,50 €).

Un thriller che mescola sapiente-

mente l’archeologia con il paranor-

male, per una lettura tutta d’un fiato

che ci porterà, pagina dopo pagina,

emozioni a catena, con l’alternarsi di

personaggi ben delineati in cui po-

tremo di volta in volta facilmente (e

felicemente) immedesimarci: un ma-

gnate alla ricerca di tesori perduti,

un investigatore dell’incubo, un me-

dico che svolge esperimenti di pre-

morte sui pazienti (compresa la mo-

glie) e una giovane archeologa che

cerca l’impresa, giusto per citare i

principali protagonisti del romanzo.

E poi, tra le righe, il periodo predina-

stico, o quasi, con quel Narmer unifi-

catore dell’Alto e del Basso Egitto, e

di sua moglie Neithotep, una miste-

riosa figura che ancor oggi fa impaz-

zire gli studiosi di cose antiche.

Da leggere, magari perdendo qual-

che ora di sonno. Ne vale la pena.

L’altro romanzo è Melodia di Danie-

le Bonfanti, edito nel 2010 da Edi-

zioni XII (15 €). Sono particolarmen-

te legato a questa Casa Editrice per-

ché ho avuto il piacere immenso di

collaborare con XII, seppur breve-

mente, anche nella selezione di testi

inediti.

Prima ancora mi sono dilettato nel

recensire alcuni dei volumi editati da

Edizioni XII tra il 2007 e il 2012, e tra

questi quello che mi ha maggior-

mente impressionato è stato proprio

Melodia di Bonfanti.

Ancor oggi ricordo la recensione che

feci a questo romanzo, quasi di get-

to, preso da un misterioso demone

che pareva scrivere al mio posto.

Beh, leggendo Melodia ho avvertito

sensazioni così forti e contrastanti

che porto ancora addosso le cicatri-

ci.

Una grande prova di scrittura (e di

precisa documentazione storica) che

fa di Bonfanti uno dei pochi roman-

zieri a cui sono particolarmente affe-

zionato (essendo io, notoriamente,

un divoratore di sola saggistica).

Un omaggio dovuto, soprattutto og-

gi che Edizioni XII ha deciso di inter-

rompere le pubblicazioni, perché

Bonfanti era uno dei dodici fondato-

ri della Casa Editrice.

Inseguendo un sogno, senza per for-

za inseguire il lettore.

Questo mi è rimasto di XII.

Oltre naturalmente agli incubi di

Melodia, un romanzo che consiglio a

chi voglia intraprendere un percorso

interiore simile al mio.

Daniele Bonfanti, uno dei fondatori di Edizioni XII

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Ci eravamo lasciati, nella seconda parte, con alcuni problemi relativi all’origine della “fusione” di El e YHWH nell’unica divinità nazionale degli Israeliti. Ora, è necessario chiudere la questione, almeno per quanto ci riguarda. Prima, però, vorrei fare una brevissima conside-razione in relazione alla vexata quaestio di Elohim, già discussa nel-la parte precedente: quando si cita l’episodio di Cristo che “cammina sulle acque” del lago (Figura 1), parliamo di “acque” in senso plura-le, oppure è semplicemente un mo-do di dire? Non credo che sia neces-saria una risposta …Il problema di El/YHWH, complicato dai numerosi attributi del primo (due per tutti, El Elyon, cioè l’Altissimo, e El Shaddai o Saddai,

probabilmente “Signore della Mon-tagna” –ma esistono numerose al-tre declinazioni del sostantivo El) si osserva anche nella Bibbia, dove, com’è noto, esistono almeno quat-tro “codici” letterari: E, J, P, D. Stia-mo parlando della cosiddetta “ipotesi documentale”, secondo cui la Bibbia fu scritta, riveduta e cor-retta (come appare ragionevole ed ovvio) in diversi periodi e da diversi Autori. Ora, se il neo-evemerismo di taluni fosse adeguato a rappresentare cor-rettamente la realtà, ci si aspette-rebbe, naturalmente, che la fase E (Elohista), quella, cioè, in cui il no-me di Dio è El o Elohim, fosse la più antica. In fondo, “gli” Elohim sareb-bero prima giunti sulla Terra, e solo dopo uno di loro (YHWH o Jahvè, da

cui la tradizione J o Jahvista) si sa-rebbe messo a capo del popolo e-braico: pare ragionevole, non è ve-ro? E invece, la tradizione più anti-ca è quella del codice J, risalente almeno all’XI-IX secolo a.C. Il codice E risale, a quanto sembra, “solo” all’VIII secolo a.C., ed è caratteristi-co del Regno di Israele (quello set-tentrionale, figura 3), la parte della nazione ebraica più propensa all’adorazione di altri dei, non fosse atro che per la forte influenza del potentissimo vicino assiro-babilonese, e tanto prona all’allontanamento dalla tradizione religiosa monolatra/monoteista, da essere il principale obiettivo delle invettive di quasi tutti i profeti, a cominciare da Osea. In più, esistono numerosi indizi di una sostanziale identità (anche eti-mologico-semantica) fra El e Baal, il vituperato dio fenicio-canaaneo. Gli altri due codici (di minore importan-

LUCI DALL’OLTREVERSODI FABIO MARINO

LA BIBBIA E GLI ALIENI

MITOPOIESI MODERNA O NEO-EVEMERISMO SOSTENIBILE?TERZA E ULTIMA PARTEDISCUSSIONE GENERALE E CONSIDERAZIONI FINALI

Figura 1

Figura 2: una Bibbia ebraica

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za in questa discussione) sono il Deuteronomista (guarda caso, pre-valente nelle scritture originarie del meridionale Regno di Giuda, e base per la profonda revisione monolatrico/monoteista operata dal re Giosia nel 621 a.C.) e il Sacer-

dotale (P sta per “Priestercodex”), che raccoglie testi anche molto anti-chi, ma sviluppati solamente in e-poca post-esilica (successivamente, quindi, al 587 a.C.). Che significato ha tutto ciò? Diciamolo in estrema sintesi (lo spazio è tiranno): dall’Egitto non vi fu alcun esodo, come confermato da numerosi ri-trovamenti archeologici. Per lo me-no, non nel senso che noi attribuia-mo all’esodo. Infatti, sembra che gruppi isolati di quelli che sarebbero divenuti successivamente “gli E-brei” (e, quindi, tribù canaanee) si siano stabiliti per un certo periodo (pari a forse uno o due secoli al massimo) nel Basso Egitto. La guida di Mosè, vissuto per lungo tempo in territorio madianita (figura 4), a-vrebbe ricondotto questi individui (valutabili in qualche migliaio, non certamente nel numero sproposita-to riportato dalla Bibbia, pari, solo per i maschi, a 650.000 …) nella pa-tria originaria, nel segno di una “ricongiunzione” e di una fede unifi-cante: quella in YHWH, che poi, “generally speaking”, si fuse con

quella, tutta canaanea, del Dio uni-co chiamato El/Elohim, nei limiti di cui si è detto sopra. Resta da stabili-re donde venga fuori “YHWH”. Un abbozzo di spiegazione c’è già nella parte precedente; ma ora entriamo (perché è importante, ai fini della nostra indagine) un po’ più in detta-glio, confortati anche dai ritrova-menti archeologici.Si dà il caso, in effetti, che il nome YHWH (la cui vocalizzazione è sco-nosciuta, in realtà, ma è comune-mente accettata come "Jahvè") non viene mai trovato nei testi e nelle storie canaanei, per cui nasce natu-rale la domanda di sapere donde abbiano derivato il loro Dio gli Israe-liti. La ricerca archeologica delle ori-gini di questa divinità conduce, ine-vitabilmente e piuttosto sorpren-dentemente, di nuovo nella culla di tutte le civiltà: l'Egitto. A Karnak, infatti, esistono numerosi bassori-lievi che celebrano le vittorie del noto faraone Seti I, padre del gran-de Ramsete II. Ebbene, in una di queste opere celebrative, si ricorda la schiacciante vittoria del sovrano egizio sul popolo degli Shasu. Shasu è un termine dell'antico egizio usata per indicare popolazioni nomadi dell'area palestinese. Questa paro-la, evolutasi a partire dal verbo

(il cui significato letterale è "muoversi a grandi passi"), compare a partire dalla XVIII dinastia e rima-ne in uso fino al terzo periodo inter-medio (1550 a.C. - 750 a.C.), indi-cando esplicitamente uno stile di vita caratteristicamente nomade. Ora, le ricerche archeologiche han-no permesso di appurare che la zo-na di origine in cui con un elevato indice di probabilità erano presenti gli Shasu era situata in quella che la

Figura 3: I due regni di Israele e di Giuda (coesistenti dal 933 al 722 a.C.)

Figura 4: Il territorio della terra di Madian

š3š(w)

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Bibbia chiama "Madian", ovvero una zona posta al confine fra la moderna Giordania e l'Arabia Saudita (figura 4). Capoluogo di questa popolazio-ne era una località conosciuta con il nome di YHW, forse non troppo ca-sualmente; dove, nemmeno in que-sto caso troppo casualmente, “teneva famiglia” Mosè: la moglie Sippora (o Sefora), i figli Ghersom e Eliezer, il suocero e sacerdote Ietro; e sempre per caso –suppongo- è proprio nel territorio di Madian che avviene la teofania del roveto che “ardeva e non si consumava”. Cosa può dunque essere accaduto? E, so-prattutto, la moderna archeologia permette o no di stabilire se un eso-do dall'Egitto alla Terra Promessa è avvenuto veramente? Qual è il signi-ficato dell'esistenza di una località con un nome così simile a quello della Tetragramma ebraico?Per la prima volta il termine compa-re in una lista risalente al XV secolo a.C. riportante un elenco di popola-zioni stanziate grosso modo nell’attuale Transgiordania. In que-sta lista, uno dei territori occupati dagli Shasu è indicato come "YHW, nella terra degli Shasu". Esistono diverse iscrizioni di origine nubiana attribuibili alla XVIII e XIX dinastia in cui è presente la frase “Shasu di YHW”. Un bassorilievo di Amrah può essere attribuito al periodo del regno di Seti I (fine del XIV-inizio del XIII secolo a.C.), mentre l’iscrizione probabilmente più antica è databile alla metà del XIV secolo, quindi al regno di Amenofi III (anche qui, suppongo sempre per caso, si verifi-ca un’altra straordinaria circostanza: Amenofi III è il padre di Amenofi IV, il faraone eretico più noto come A-khenaton, primo monoteista della storia…). La sua origine è il tempio di Amon di Soleb:

Gli studiosi più cauti rimangono pressoché in stallo tra l’idea che una tribù edomita fosse seguace del Dio YHWH oppure che, per pura coinci-denza, il nome di una tribù sia pres-soché identico a quello del Dio degli ebrei. Ovviamente, esiste, sotto il profilo squisitamente teologico e religioso, una terza possibilità: e cio-è che il Dio degli Ebrei si sia manife-stato per la prima volta proprio in quel di YHW, mutuandone il nome; oppure, colà manifestatosi e rivela-tosi, abbia conferito il Suo nome alla località.Sia come sia, gli studi più recenti sembrano aver acclarato, oltre ogni ragionevole dubbio, che nessuna invasione della Palestina a danno dei Canaanei abbia mai avuto luogo; ad esempio, la città di Azor sembra essere caduta sotto i colpi di una rivoluzione interna, non di un attac-co esterno. Ma di questi argomenti, semmai, parleremo un’altra volta; qui è necessario solo sottolineare l’aspetto sincretistico della religione El/YHWH: un solo Dio, più nomi, per coniugare tradizione e rivelazione mosaica.Ed eccoci, infine, giunti al punto fo-cale della discussione sull’insostenibilità della stravagante e poco originale “ipotesi” neo-

evemerista di tanti Autori, attuali o passati. Intanto, bisogna precisare che stiamo parlando semplicemente di una ipotesi. Un'ipotesi è un'idea provvisoria il cui valore va accerta-to. L'ipotesi richiede quindi uno sfor-zo da parte dei ricercatori per con-fermarla o negarla, anche in assenza di dati sufficienti. Così, se io affermo che nella Via Lattea esistono 100 diverse civiltà, sto formulando una ipotesi, non una teoria. Una teoria, secondo la filosofia della Scienza, è un insieme collegato di ipotesi, e-nunciati e affermazioni aventi l’obiettivo, in generale, di spiegare un fenomeno o un’osservazione, oppure di formulare in maniera rigo-rosa, sistematica ed obiettiva i prin-cipi di una disciplina. Una teoria, per avere una valenza scientifica, deve essere falsificabile: si deve potere, cioè, ideare un esperimento che ne sancisca la non validità, come Karl Popper lucidamente indica.Già da queste semplici definizioni si comprende bene, direi, che nella discussione in corso non vi è assolu-tamente nulla di “teorico” in senso scientifico, ma solo ed esclusiva-mente un atteggiamento di fede in argomentazioni non suscettibili di falsificazione. Stiamo, insomma, par-lando di fede! Ma v’è di più. Ammet-

t3 š3 sw y h wa (w) - ta Shasu Yehwa (Yehwa della terra degli Shasu).

Figura 5: Karl Popper, filosofo della Scienza

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tiamo, come ipotesi (!) di lavoro, che la traduzione neo-evemerista della Bibbia (errata in più punti, come ab-biamo brevemente dimostrato) rap-presenti una teoria, e che dunque “gli” Elohim siano alieni, che la Bib-bia racconti di un’invasione aliena o giù di lì, che YHWH fosse uno degli alieni “conquistatori”.Una teoria che si rispetti deve poter fornire risposte e previsioni, in rela-zione al suo proprio enunciato. Non si può, insomma, dire: “Per me è così, ed è così fin qui; il resto vede-tevelo voi”. Quindi, la “teoria” neo-evemerista dovrebbe rispondere con un certo grado di ragionevolez-za, per non essere catalogata come una mitopoiesi moderna di proba-bile ispirazione hollywoodiana, ad una serie di problemi:1 – da dove venissero tali alieni; 2 –perché siano venuti sulla Terra; 3 –come mai non se ne trova traccia nei testi e/o nei miti dei popoli cir-

cumvicini, come gli Egizi (probabilmente i più “interessati” ai fatti); 4 – quando sarebbero avve-nuti tali accadimenti; 5 – come maise ne sarebbero improvvisamente andati. Mi fermo a queste sole do-mande, alle quali la Bibbia (tradotta letteralmente o no, e secondo qua-lunque codice si voglia utilizzare) non dà alcuna risposta. Faccio nota-re, però, che appare quanto meno arduo insistere su certe idee, so-prattutto in relazione ai punti 3 e 4. Infatti, abbiamo visto che la stesura pressoché definitiva della Bibbia avviene intorno al VI secolo a.C.Ora, certamente essa è stata prece-duta dalla trasmissione orale per parecchie generazioni. Non possia-mo quantificare per quanto tempo; ma possiamo azzardare una valuta-zione. Accettiamo come sufficiente-mente accurata, per quanto riguar-da la nascita dei primi racconti bibli-ci (e quindi del molto presunto con-

tatto alieno), una quadruplicazione rispetto al VI secolo? Arriviamo alla metà del II millennio a.C., la data ufficiale, più o meno, della costru-zione delle piramidi di Giza. Aggiun-giamo, per eccesso di scrupolo, un altro mezzo millennio, e stabiliamo così che intorno al 3.000 a.C. i pro-genitori degli Ebrei ebbero questo famigerato (più che famoso…) con-tatto con YHWH l’alieno. Stiamo parlando dunque –forse non è ben chiaro- della trasmissione orale, da parte di un’entità che non era anco-ra né popolo, né nazione, né stan-ziale (ma, anzi, del tutto scollegata e divisa) di uno o più racconti per la bellezza di circa CENTO generazioni. Davvero si può pensare di prendere alla lettera (anche se poi non lo fa nessuno, neanche i proclamatori della letterarietà del complesso bi-blico…) una serie di racconti distorti, deturpati e modificati per cento ge-nerazioni? E dove sono i segni degli

Figura 6: la locandina del film “Stargate”

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alieni in Kemet, l’antico Egitto, che già all’epoca ipotizzata vantava un consolidato sistema religioso, uno stato centralizzato già “vecchio” di quasi 200 anni, e oltre 1.500 anni di documentata storia e protostoria predinastica?Un ulteriore, breve aneddoto. In una cronaca leggiamo, testualmente: “Poi, avendo già compiuto molte opere immortali, mentre insegnava (omissis), eccoti con grande strepito e rimbombare di tuoni che un’improvvisa tempesta con una nebbia densissima lo cinse e lo co-prì, tanto che a tutti gli astanti in seguito non riapparve più”. Sembra qualcosa di deja vu, non è vero? Qualcosa che i neo-evemeristi indi-cherebbero apoditticamente come l’ennesima prova del potere dell’alieno YHWH, insieme al “rapimento” di Elia o alla nota visio-ne di Ezechiele, giusto? Oltre tutto, secondo qualche laico e libero pen-satore YHWH non era altro che il dio della tempesta: che meravigliosa circostanza! Invece, nulla di più sba-gliato! Infatti, ferma restando la possibile valenza clipeologica del brano riportato, esso non fa parte

di alcun episodio biblico. Si tratta, molto più “semplicemente”, del re-soconto della salita al cielo, fra gli dei, di Quirino, più noto con il suo nome di mortale: Romolo. Parliamo, quindi, di tutt’altro contesto, e di tutt’altra epoca (705 a.C. circa). Co-me la mettiamo? Non è forse meglio ipotizzare una sorta di archetipo co-mune a molte culture, anziché sco-modare indimostrabili azioni da par-te di alieni (di cui, a maggior ragio-ne, non si comprende il significato)?Insomma, per il disdoro dei sosteni-tori, sembra proprio che l’ipotesi neo-evemerista, da qualunque parte la si guardi, faccia acqua da ogni do-ve, e rappresenti nulla di più che una forma di mitopoiesi del giorno d’oggi: folklore urbano, in altri ter-mini. Senza contare un’acuta osser-vazione di una mia corrispondente di Facebook: quella che viene spac-ciata come una ricerca frutto del libero pensiero appare, in realtà, come il riconoscimento, oserei dire masochistico, di un’Umanità che non è affatto libera, ma che nasce schiava di crudeli manipolatori tec-nologici e genetici senza scrupoli, e che tale viene lasciata, senza neppu-

re la speranza di conquistare la li-bertà. Se si pensa, poi, che un gigan-te come Galileo, padre fondatore della Scienza moderna e del metodo scientifico, affermò: “Nella Bibbia il Signore ci vuole rivelare come si vada in Cielo, non come vada il cie-lo” (Lettera a Cristina di Lorena, in: Le opere di Galileo, Firenze 1985, V, 319), si capisce bene quanto grande sia la presunzione di volere egua-gliare, senza averne le capacità e la straordinaria grandezza, uno dei veri miti dell’era moderna, il primo tra-ghettatore dell’Uomo verso la Scien-za con la “S” maiuscola.

Bibliografia essenziale e minima (oltre la Bibbia, ovviamente…):Akhenaton, il Faraone del Sole, Cyril Aldred, Newton Compton, 1988;Har Karkom – Montagna sacra nel de-serto dell’Esodo, Emmanuel Anati, Jaca Book, 1984;Il Libro dei Prodigi, Giulio Ossequente, Corrado Tedeschi Editore, 1976;La Bibbia senza segreti, Flavio Barbiero, Profondo Rosso, 2010;L’evoluzione di Dio, Robert Wright, Newton Compton, 2010;Storia dell’antico Israele, John Bright, Newton Compton, 2002-2006.

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XAARAANDI ANTONELLA BECCARIA

Si era ancora innocenti, all’ora di pranzo del 12 dicembre 1969, quan-do il telegiornale delle 13.30 aveva raccontato agli italiani che la Grecia dei colonnelli si era ritirata dal con-siglio d’Europa dove si discuteva della sua sospensione. E aveva rac-contato anche che la vertenza sin-dacale dei lavoratori dell’editoria sembrava mettersi al bene mentre nulla cambiava per i metalmeccani-ci, che restavano in stato di agita-zione. Intanto – proseguiva la cate-na delle notizie – a Palermo non si arrestavano le indagini per la strage di viale Lazio, uno dei momenti più feroci della prima guerra di mafia. Ma in mezzo a tutti quegli scorci di vita e fatti, l’edizione del notiziario si concludeva con un soffio dell’innocenza tramontante degli

anni Sessanta.Lucio Battisti, snobbato dalla sini-stra perché poco o per nulla impe-gnato, un fascistoide per qualcuno, come tutti quelli che non si schiera-vano, continuava a respirare a pieni polmoni la consacrazione del suo successo dopo ostacoli e delusioni. Era stato un anno fortunato, per lui, il migliore di tutti, iniziato in febbra-io con il successo al festival di San-remo dove aveva cantato Un’avventura e proseguito in estate con Acqua azzurra, acqua chiara, pezzo del trionfo al Festivalbar e al Cantagiro. Con una cadenza burina a rivendicare la sua estrazione sabi-na, e mentre confessava con una punta di imbarazzo al microfono di Lello Bersani che non aveva mai stu-diato musica, mescolava la timidez-

za dello sguardo alla caparbietà del suo percorso artistico.«Intanto io canto le canzoni che mi vanno veramente a genio, insom-ma, quelle che sento. E di solito, in partenza, sono sempre quelle un po’ più difficili, che agli altri non piacciono, che gli altri trovano az-zardoso interpretare, ecco».«E lei si prende in pieno la respon-sabilità come autore», lo incalzava Bersani.«Esatto».Pasquale aveva ascoltato distratta-mente le parole del giovane cantau-tore di origini reatine. Anche per lui non era solo Battisti, ma nella testa lo aveva archiviato come Battisti-Mogol: un doppio nome, uno per il musicista e l’altro per il paroliere, che aveva finito per identificare so-

IL GIORNO IN CUI UN PEZZO D’ITALIA PERSE L’INNOCENZA

43 ANNI FA LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA

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lo il volto più noto della neonata stella della canzonetta nostrana. Quella che solo qualche mese pri-ma, d’estate, impazzava allo sfini-mento nelle radio e nei juke-box.Nei tuoi occhi innocenti posso an-cora ritrovare il profumo di un a-more puro, puro come il tuo amor.In Pasquale quei versi avevano sca-vato, senza che lui lo volesse, una nicchia dentro cui si annidavano nostalgia e amarezza. La stagione del sole e del divertimento, da qualche anno un vacanzificio che iniziava in sella alle Lambrette o dentro le Seicento ritratte dai cine-giornali come un unico serpentone spalmato su autostrade sempre più lunghe, per lui coincidevano con la rovina. La rovina di una carriera, ma ancor prima di un’indagine, stroncata a venti giorni dalla sua conclusione. Il trasferimento de-cretato ed eseguito alla velocità della luce, da una Padova sempre più cupa all’immobilismo di Ruvo di Puglia, provincia di Bari. E poi l’incriminazione, la sospensione dal servizio e dallo stipendio.Sapeva, Pasquale, di essere nel giu-sto e sapeva di essere un poliziotto onesto. Ed era convinto che lo sa-pessero anche Molino e il questo-re, quelli dell’ufficio Affari Riservati che avevano fatto a pezzi il suo la-voro e quei delinquenti che voleva incriminare, ma che avevano alla fine incastrato lui. Tuttavia non po-teva dimostrare niente di tutto

questo. O almeno tutti fingevano che fosse così. Nessuno sembrava credergli. E lui zitto, fedele al suo giuramento, intendeva documen-tare prove alla mano che i criminali stavano da una parte precisa. Una parte in cui lui non c’era.Questi pensieri accompagnarono Pasquale per tutto il pomeriggio del 12 dicembre 1969. A chi gli sta-va intorno aveva dato a credere di prepararsi al Natale ormai prossi-mo, si era sforzato di fugare la ten-sione dentro casa fingendo che fos-se una fine d’anno come tante ce n’erano state e tante ne sarebbero seguite. E così facendo erano tra-scorse le ore, era giunto il momen-to della cena e il telegiornale era iniziato di nuovo.Edizione delle 21, Paolo Bellucci al microfono.«Ci sono state esplosioni nel pome-riggio a Milano e a Roma. La più grave è avvenuta a Milano nel salo-ne centrale della sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Per lo scoppio quattordici persone sono morte, un’ottantina è rimasta feri-ta o contusa. Due dei feriti sono gravi. Sembra accertato che sia scoppiata una bomba. Il fatto, per la sua atrocità, per il numero di morti e feriti, è il più grave che ab-bia colpito Milano in tempo di pa-ce. A Roma, anche qui, in pieno centro della città, ci sono state tre esplosioni. Due ordigni sono scop-piati all’Altare della Patria. Il boato

è stato udito in tutto il centro della città. L’altra esplosione di Roma è avvenuta nella sede centrale della Banca Nazionale del Lavoro. I feriti sono più di dieci. Non ci sono vitti-me. Sentiamo da Milano le ultime notizie».Il volto di Bellucci lasciò il posto al servizio che iniziava inquadrando la grande scritta luminosa della banca devastata. In sottofondo si sentiva-no il lamento delle sirene di ambu-lanze e forze dell’ordine e un brusi-o costante, voci che senza sostanza parlavano di qualcosa che non si comprendeva più, era solo rumore bianco.«Molti dei testimoni dicono che erano circa le 4 e mezzo quando nel salone della banca, affollatissi-mo oggi perché era giornata di mercato, è avvenuta la tremenda esplosione. Un boato e una fiam-mata hanno letteralmente sconvol-to l’edificio. Una buca di circa un metro di diametro si è aperta nel pavimento della parte riservata ai clienti che in quel momento stava-no ultimando le operazioni banca-rie. I primi soccorsi sono stati por-tati dai cittadini che a quell’ora si trovavano numerosi nella centralis-sima piazza di Milano che è a pochi passi dal Duomo. È scattato subito l’allarme alla polizia, ai vigili del fuoco e agli ospedali. Sul posto si sono recate immediatamente tutte la autorità della provincia e il cardi-nale arcivescovo la cui sede è a po-

Gli ignoti che si riuniscono sotto la sigla Anonymous promettono battaglia contro censura, imperialismo, finanza d’assalto, devastatori dell’ambiente e militarismo. Questo libro è un’inchiesta su una forma di lotta da nuovo millennio che ha finito per colpire sette religiose, corporation, partiti reazionari e dittature mediorientali. Ogni volta che verrà compiuto un abuso, compariranno gli anonimi fustigatori il cui volto è rappresentato dalla ma-schera del giustiziere Guy Fawkes. E già oggi si può intuire il loro scopo: servizi digitali che garantiscano agli u-tenti la libertà di espressione.

AVVERTENZA di Antonella BeccariaMi rivolgo a voi, Anonymi. Questa non vuole essere la ricostruzione completa al millimetro della vostra storia. Qualcuno di voi me l’ha raccontata o almeno mi ha fornito la sua visione che non per forza è quella di tutti. Poi ne ho letto, rimbalzando un po’ ovunque per il web, e in fase di stesura delle pagine che seguono ho compiuto una scelta arbitraria: estrapolare da ciò che avete firmato, in toto o in parte, alcune operazioni che mi sembra vi descrivano meglio. Rimane fondamentale l’inciso «secondo me». Leggetelo come il necessario imho, in my hum-ble opinion, come si usa scrivere nelle mailing list e nei gruppi di discussione in rete. Quella che voi e altri lettori incontrerete scorrendo questo testo è una specie di biografia non autorizzata. E se alla fine ciò che leggerete non vi piacerà, non “bombardate” troppo forte il mio sito. All’origine del libro c’è la volontà di tributarvi un merito indiscutibile: combattere per la libertà di informazione. Perché, credetemi, almeno un tratto in comune ce l’abbiamo, voi e io: crediamo che l’informazione debba essere libera. A qualunque costo. E comunque la prende-rete, sarà stato un viaggio entusiasmante. Un viaggio all’interno di un enorme scherzo tremendamente serio.

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chi passi dalla banca. Nell’aria c’era un odore acre di esplosivo. La mag-gior parte delle persone che erano presenti ha detto che probabilmen-te si trattava di una bomba. Tutta la zona adesso è presidiata da carabi-nieri e agenti di pubblica sicurezza. Il traffico è stato deviato per con-sentire un rapido movimento dei mezzi di soccorso. Il sindaco ha pro-clamato il lutto cittadino e tutti gli spettacoli sono stati sospesi. Le bandiere abbrunate saranno espo-ste su tutti gli edifici nella giornata di domani. Sono state sospese le illuminazioni natalizie in segno di lutto».Quando la linea tornò in studio, si interruppe il rumore bianco della strada e Bellucci riprese a racconta-re i fatti di quel pomeriggio.«I feriti delle esplosioni di Roma so-no, come abbiamo detto, più di die-ci. Secondo i primi accertamenti la bomba scoppiata alla Banca Nazio-nale del Lavoro era composta da una quantità di esplosivo tra gli ot-tocento grammi e i due chili. Sono passati otto minuti tra la prima e la seconda esplosione all’Altare della Patria. La prima è avvenuta alle 17.16 e la seconda alle 17.24. I due ordigni che sono scoppiati al Milite Ignoto erano ad alto potenziale. U-

no è esploso sulla seconda terrazza davanti alla porta del Museo del Risorgimento. Uno dei battenti è stato scardinato e lanciato a sette metri di distanza. Una signora che si trovava a passare con una Seicento è stata sbalzata in aria e la macchi-na si è rovesciata su un fianco. È stata soccorsa e condotta all’ospedale. Tutti i vetri della basili-ca dell’Ara Coeli e del Museo del Risorgimento si sono rotti. All’interno della chiesa sono crollati alcuni pezzi del soffitto istoriato. L’altra bomba era stata sistemata sotto l’asta della bandiera, sotto la seconda terrazza del Vittoriano. Lo scoppio ha stroncato l’asta e ha fat-to a pezzi una parte della balaustra. L’altra esplosione di Roma è avve-nuto negli scantinati della Banca

Nazionale del Lavoro, in via San Ba-silio, nei pressi di via Veneto. I feriti sono stati medicati al Policlinico. Più precisamente l’ordigno di via San Basilio, sempre secondo i primi ac-certamenti, sarebbe scoppiato in un passaggio sotterraneo che collega i due edifici posti l’uno di fronte all’altro dove hanno sede gli uffici centrali della stessa Banca Naziona-le del Lavoro. Il fabbricato, dove la-vorano duemila persone, è stato fatto sgombrare dal personale. An-che qui l’esplosione ha provocato la rottura dei vetri e sono state le schegge a ferire le persone. Nel pas-saggio sotterraneo i tubi dell’impianto di riscaldamento si sono rotti e l’acqua ha allagato una parte dei locali. Per lo scoppio all’Altare della Patria sono state danneggiate anche molte auto in sosta a fianco del Vittoriano. Per precauzione tutta la zona circostan-te è stata isolata. Tecnici della dire-zione di Artiglieria e vigili del fuoco hanno compiuto un ampio sopral-luogo. Anche gli uomini della polizia scientifica della questura e i carabi-nieri sono accorsi per cercare di ac-certare la natura degli ordigni e-splosivi».Infine le immancabili reazioni dal mondo della politica.«Il consiglio dei ministri sta per riu-nirsi a Palazzo Chigi. Il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, ha indirizzato al presidente del con-siglio, Mariano Rumor, il seguente

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È inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene”, afferma il Divo ritratto nel fortunato film di Paolo Sorrentino. E Giulio Andreotti, l’uomo in carne e ossa, di male ne ha

attraversato tanto o, quantomeno, tante sono state le realtà opache che hanno accompagnato la sua storia. Fin dai tempi della Seconda guerra mondiale e dei suoi rapporti con i servizi segreti alleati, prose-guendo con la stagione dei dossier, l’esplosione del terrorismo, le coperture degli stragisti neofascisti, l’allestimento di apparati non ortodossi, come Gladio e l’Anello, fino alle clientele necessarie per racco-gliere consenso e ai rapporti ambigui con la mafia. Difficile dire se il Divo Giulio sia stato il maggiore stati-sta italiano del Novecento o il grande Belzebù che si è nutrito della parte più oscura della storia naziona-le. Quello che è certo è che ripercorrere la sua vicenda significa attraversare tutti i maggiori scandali ita-liani dal dopoguerra a oggi, dal golpe Borghese al delitto Moro, dalla P2 a Michele Sindona, fino all’omicidio del giornalista d’assalto Mino Pecorelli. Questa biografia di Giulio Andreotti, rigorosa e docu-mentata, ricostruisce per la prima volta senza pregiudizi e senza timori l’intera storia politica, quella uffi-ciale e quella inconfessabile, del ‘grande vecchio’ dell’Italia del Novecento, tracciando un percorso inquie-tante dentro le ombre più dense della prima Repubblica.

NOVITA’Antonella Beccaria, Giacomo Pacini

Divo Giulio Prima edizione marzo 2012

messaggio: “L’orrendo attentato che ha seminato la morte a Milano lascia sgomenta la nazione per l’efferatezza del delitto, per la sua mostruosa enormità, per la sua be-stiale incoscienza. L’attentato di Mi-lano – dice il messaggio del capo dello Stato – è l’anello di una tragica catena di atti terroristici che deve essere spezzata a ogni costo per sal-vaguardare la vita e la libertà dei cittadini. Tocca alle forze dell’ordine democratico, tocca all’autorità giu-diziaria di fronte alla quale giaccio-no numerose denunce per istigazio-ne ad atti di terrorismo restituire alla legge voluta dal popolo l’assoluta sovranità. Tocca ai cittadi-ni assecondare l’opera della giusti-zia e delle forze dell’ordine demo-cratico, della difesa della vita contro la violenza omicida. A lei, Onorevole Presidente, e al ministro dell’interno, Franco Restivo – dice il presidente della Repubblica – espri-mo tutta la mia solidarietà per l’azione che il governo intraprende allo scopo di reprimere inesorabil-mente questi atti criminali rivolti a sovvertire il libero e democratico ordinamento del nostro Paese e La prego di porgere le commosse con-doglianze a nome della nazione e mio personale alle famiglie delle vittime”».L’innocenza era finita, perduta per sempre. Pasquale non se ne rende-

va ancora pienamente conto, ma le parole che aveva appena ascoltato gli piombarono addosso come se una scheggia avesse raggiunto an-che lui, a 850 chilometri di distanza da quella banca milanese. Prima gli venne quasi da ridere a sentire le parole di Saragat, così pompose e al contempo così vuote rispetto alla vera natura di ciò che chiamava «libero e democratico ordinamento del nostro Paese». Poi, però, quella risata morì prima di affiorare e Pa-squale si portò le mani al volto

mentre da qualche parte nella sua testa risuonarono le parole che ave-va scritto solo pochi mesi prima, in uno dei due memoriali inviati al giu-dice istruttore di Padova, Francesco Ruberto: «Erano imminenti degli attentati».

(Questo brano è tratto da Attentato imminente, Stampa Alternativa, 2009, la storia del commissario Pa-squale Juliano)

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In questo articolo vorrei esaminare alcuni passaggi dei miti sumero-babilonesi che raccontano della 'Creazione' dell' uomo. Questi miti vengono sempre letti in maniera allegorica, estremamente interpretativa, senza fermarsi a pen-sare ai reali contenuti e ai processi descritti.Il primo da analizzare, che ho già menzionato più volte, è l' Atra Ha-sis, la 'cronaca del mondo' lasciataci dai babilonesi.Il testo inizia con una collocazione temporale per descriverci come ini-ziò tutta la vicenda degli Anunnaki. Per questa analisi userò la versione tramandataci da James W. Bell:

Before men were created, the Anun-naki –the gods living on the earth – had to till the landand water it to grow their food.They found the work tiresome and too much trouble.So they gave Enlil lordship of the e-arth.He summoned the Igigi, calling down from heaventhe lesser gods, lower divinitieswithout names, to do the work.

Dunque erano gli Anunnaki e gli Igigi a svolgere i compiti e il lavoro ne-cessario alla sussistenza.La parte che ci interessa ai fini di

questa analisi é quella relativa alla 'rivolta' degli dei minori che porta alla creazione dell'uomo:

So Enlil summoned the others, inclu-ding Anu from heaven,and Enki, lord of the Abzu. Together,they stood on the ramparts of the Ekurand addressed the besiegers. “Why do you attack us?”The Igigi answered as one,“The work you have assigned us is killing;we can no longer bear it. We have put a stop to diggingand declared war.

LA CREZIONE DELL’UOMO

ALESSANDRO DEMONTIS

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La soluzione a questo problema è trovata da Enki, che coinvolge la so-rellastra Ninmah, chiamata nel testo 'Mami':

“Look,” he continued, “the goddess Mami is with us.Let her create mortals, creatures to be ourservants and to do our work.Then we can put the yoke of Enlil on these beingsand let the Igigi return to heaven.”

Mami / Ninmah chiede pero l' aiuto di Enki, chiedendo che sia lui a pre-parare la 'argilla adeguata per il la-voro'.Questo particolare dell'argilla è on-nipresente nelle storie della Crea-zione di Sumer, Babilonia, e quella biblica... E vedremo presto il per-ché.Enki risponde che per ottenere qualcosa che sia per metà umano e per metà 'divino', cioè un essere ca-pace d’interagire con gli Anunnaki, bisognava utilizzare il sangue e la carne di un dio. Il termine utilizzato nella versione accadica è Nepisthum che indica sia il sangue sia il 'seme della vita'.

Enki responded, “If we use pure clay to makethese new creatures, they will be like the animals,without intelligence. To make them capableof bearing the yoke of Enlil, we must slayone of the gods so his flesh and blo-odcan be mixed with the clay to be made into a man.Then what we create will be god andman mixed together.”

Il procedimento utilizzato è qui ri-portato dallo stralcio del testo di Bell:

Mami took the mixture and pinched off fourteen pieces,to create seven males and seven fe-males.She presented them to the Anunna-ki, saying,“I have done all you asked. You have slaina god of intelligence and mixed his fleshand blood with clay so I could en-gender men.I relieve you of wearisome work by imposingyour yoke upon them. I have also bestowed upon themthe ability to use the spoken word,so they may call to oneanother to help fulfill their tasks”

La creazione, dunque, una volta tro-vata la 'ricetta ideale', avviene tra-mite l'utilizzo di 14 'pezzi' con cui creare 7 maschi e 7 femmine. Una 'clonazione'?Abbandoniamo questo testo per-ché, per esaminare ancora meglio la creazione dell'uomo, dobbiamo an-dare all'originale testo sumero. Il testo 'chiave' in questo senso è il mito sumero classico chiamato 'Enki

e Ninmah', nel quale vengono de-scritti i tentativi (andati male) di creare questo 'nuovo essere'. Vedre-mo, analizzando il testo, che le cose sono molto più 'tecnologiche' di co-me si pensa generalmente.Il mito è composto di quattro parti distinte, delle quali ci interessano la seconda e la terza. Nella seconda parte, Ninmah crea 6 esseri, tutti malati, per i quali Enki ‘decide i destini’, cioè dispone per loro un compito che possano svol-gere nonostante le loro menoma-zioni.Nella terza parte, poiché Ninmah é desolata di non essere riuscita a cre-are un ‘uomo perfetto’, Enki decide di provare un nuovo procedimento, utilizzando il seme di un maschio e impiantandolo nell’utero di una femmina (Ninmah stessa?) mi-schiando questo seme con una for-ma d’argilla (ancora...) da lui pro-dotta. Anche questo esperimento però produce un essere imperfetto, chia-mato Umul (che in sumero significa appunto ‘creatura malata’), con molte menomazioni. Ninmah, constatando che questo essere non è in grado di badare a se stesso, si lamenta con Enki. Questi però ricorda a Ninmah di come lui abbia comunque badato ai 6 esseri prodotti da Ninmah.Ciò che ci interessa maggiormente è la risposta che Enki dà a sua madre Namma, la quale diede l'originale idea di creare l' uomo. In sumero la risposta è:

30. ama.gu10 mud mu.gar.ra.zu i3.gal2.la.am3 zub.sig3dingir.re.e.nekeshe2.i331. shag4 im ugu abzu.ka u3.mu.e.ni.in.shar232. sig7.en sig7.hi im mu.e.kir3.kir3.re.ne za.e me.dim2u3.mu.e.ni.gal233. d.nin.mah.e an.ta.zu he2.ak.e

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34. d.nin.imma3 d.shu.zi.an.na d.nin.ma.da d.nin.barag35. d.nin.mug d.shar.shar.gaba d.nin.gun3.natud.tud.a.zu ha.ra.gub.bu.ne

traducibile in:

“Madre, la creazione di cui parli a-vrà luogo, imponiamo ad essa il la-voro degli dei,mischia l’ argilla della terra a nord dell’ Abzule dee della nascita ti aiuteranno a lavorare l’ argilla, e la forma sarà realizzataNinmah sia tua aiutante,Ninimma, Shuzianna, Ninmada, Nin-barag,Ninmug, Sharshargaba, Ningunna,ti aiutino nella nascita”

La frase che ho sottolineato è la chiave per comprendere il 'mistero' che ruota intorno a questa 'creatura'. La traduzione infatti è controversa perché in sumero non è possibile stabilire con certezza il 'tempo' di una situazione o azione.Dunque alla luce del significato dei singoli termini si può tradurre anche come 'La creazione di cui parli esi-ste' intendendo con 'la creazione' in effetti 'il creato' (mud) dunque un essere vivente. Si noti che 'gar' (ngar) ha anche il significato di 'immagine / aspetto / forma'.

Dunque a essere 'legato' può essere sia il 'lavoro' ma anche l'immagine degli dei.Parliamo ora dell'argille. Come mai questo materiale sembra così insi-stentemente coinvolto nei miti? E se nella Bibbia Dio creò l' uomo 'dalla terra', un termine generico, come mai in tutti i miti sumeri e ba-bilonesi che descrivono questo tipo di Creazione ritorna sempre l'argil-la? La spiegazione che ci viene data di solito è che Sumer era un territorio argilloso, bagnato dal Tigri e dall'Eu-frate, e che quindi l'argilla era la scelta più normale nello scrivere i testi. Del resto anche i miti sumeri ci son giunti in tavolette d'argilla. Ma se ci fosse un'altra spiegazione?Ebbene, alcuni studi nel campo del-la biologia hanno identificato, nelle argille organiche come la montmo-rillonite, dei 'catalizzatori ideali' per operazioni di combinazione e ricom-binazione dell'RNA e del DNA. L'argilla organica sembra partecipa-re come 'protettrice' nelle reazioni che coinvolgono mix cellulari, favo-rendo una maggiore stabilità di rea-zione e aumentando le percentuali di riuscita delle combinazioni in mo-do sensibile.Ma abbiamo parlato del procedi-mento seguito da Enki, diverso da quello seguito da Ninmah. Esaminiamo il testo sumero:

a gish3 ak shag4 munus.a.ka ri.a

tradotto in:

“versa il seme maschile nell’utero di una donna”

Come è possibile versare il 'seme maschile' nell'utero di 'una donna' se l'uomo non è ancora stato crea-to? A questa domanda è possibile ri-spondere con il ragionamento, e abbandonando i classici 'canoni' che prevedono una 'Creazione da zero': una delle due parti coinvolte è la 'creatura che esiste', l'Homo Erec-tus, del quale viene utilizzato il cor-redo genetico. L'idea che si delinea è che si sia uti-lizzato lo sperma di un Anunnaki, unendolo all'ovulo di una ominide (mescolandoli nell'argilla), e succes-sivamente impiantandolo nell'utero di una o più femmine Anunnaki. Infatti ricordiamo che le 'dee della nascita' dovevano aiutare nel lavo-ro. Esse erano appositamente SET-TE, per creare 7 maschi e 7 femmi-ne!

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La morte storica del Führer

Nella psicologia esiste un fenomeno chiamato «Illusione della verità». Alcuni studi, ad esempio quello del

professore Ian Maynard Begg, della McMaster University in Ontario, evi-denziano come di norma le persone tendano a ritenere vere le narrative con cui hanno più familiarità. In altre

parole, si tende a credere a ciò che viene ripetuto più spesso. Questo fenomeno potrebbe aiutarci a comprendere come mai si diano per scontati avvenimenti che ci sono

ILLUSIONE DI UN SUICIDIO

VERITÀ CELATE

SUL FUHRERROBERTO BOMMARITO

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stati presentati come autentici dalle istituzioni educative e dai media senza però alcun fondamento di ba-se. Un importante esempio è il suicidio di Adolf Hitler.Secondo la storia che conosciamo tutti, il dittatore e la moglie Eva Braun Hitler si tolsero la vita nel Fü-hrerbunker di Berlino il 30 aprile 1945. Le salme, sempre secondo questa versione dei fatti, vennero incenerite per evitare che venissero esibite come trofei di guerra da Josif Stalin. C'è una domanda, però, che in pochi si pongono. Ovvero quali fatti esi-stono a supporto di tutto ciò?L'autore principale della storia del suicidio di Hitler è stato lo storico Hugh Trevor-Roper, agente dell'intelligence britannica durante il secondo conflitto mondiale. Fu proprio il governo inglese, infatti, a incaricarlo di investigare le sorti del Führer. I risultati di questa inve-stigazione vennero pubblicati nel 1947 all'interno del suo libro The last days of Hitler, tradotto: Gli ulti-

mi giorni di Hitler. Come muore una dittatura.

Purtroppo il lavoro di Trevor-Roper è tutt'altro che attendibile. Hanna Reitsch, pilota della Luftwaf-fe che avrebbe tentato all'ultimo momento di salvare Hitler atterran-do con il suo Fieseler Fi 156 Storch nel cuore di Berlino, dichiarò uffi-cialmente di non essere mai stata intervistata dall'autore, come invece sosteneva quest'ultimo. Altri intervi-stati, quale ad esempio il chauffeurdel Führer, Erich Kempka, hanno apertamente dichiarato di aver rac-contato ciò che i loro interlocutori, incluso Trevor-Roper, volevano sen-tire, come sottolinea il giornalista investigativo Gerrard Williams nel suo libro Grey Wolf - The Escape of Adolf Hitler. Per di più lo storico non intervistò mai di persona coloro che si nascosero nel Führerbunker insie-me a Hitler. Di alcuni di loro lesse solo le dichia-razioni scritte.Alla luce dei fatti, sarebbe ingenuo non sospettare che il lavoro di Tre-vor-Roper sia più un'operazione propagandistica che altro. Affinché il nazismo fosse sconfitto del tutto, l'uomo che lo incarnava doveva es-serlo pure. Non c'è da sorprendersi, quindi, se l'agente dell'intelligencebritannica propagò una tesi che, pur non essendo fondata su alcun fatto concreto, venne negli anni presen-tata come genuina e accurata. Lo stesso Stalin, durante la Confe-renza di Potsdam del luglio 1945, dichiarò di non credere alla morte di quello che era stato il suo principale nemico, dato che nessuno dei corpi rinvenuti apparteneva a Hitler, rite-nendo invece che il dittatore fosse evaso in Spagna o Argentina.Alcuni, chiamandola Operatsiya Mif (Operazione Mito), sospettano che questo fu solo un tentativo di Stalin di confondere le acque. Forse. O forse no. J. Edgar Hoover, direttore dell'FBI, ben vent'anni dopo la fine

della guerra continuò a raccogliere informazioni sugli avvistamenti di Hitler, molti dei quali provenienti dall'Argentina, dove si trova ancora oggi una vasta comunità tedesca. Alcuni di questi file sono accessibili, ma non tutti. La maggioranza di queste testimonianze sono ancora mantenute segrete dai governi ame-ricani e inglesi. In ogni modo, l'inte-resse dell'FBI potrebbe essere indi-cativo di incertezze che riguardano le sorti del dittatore tedesco condi-vise anche in ambito governativo.

I denti di Hitler. O no?

Lo scienziato forense Hugh Thomas, nel suo libro The Murder of Adolf

The last days of Hitler di Hugh Trevor-Roper Eva Braun

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Hitler, sottolinea come le bruciature delle ossa che sarebbero appartenu-te a Führer, descritte nei documenti dell'autopsia pubblicati parzialmen-te nel 1968, siano consistenti con temperature superiori ai 1000°C. Tali temperature sono ottenibili solo in un crematorio e non bruciando i corpi all'aperto con la benzina come vorrebbe la storia. Opinione, que-sta, condivisa da W. F. Heimlich, alto ufficiale dell'amministrazione ameri-cana a Berlino nel 1947. A parte ciò, secondo i resoconti dell'autopsia, il corpo carbonizzato di Hitler sarebbe stato ritrovato privo del piede sini-stro e delle costole del lato destro. Se il corpo fu davvero seppellito im-mediatamente dopo essere stato bruciato, non si spiega che fine a-vrebbero fatto le parti mancanti.Ma dopotutto le ossa erano davvero

quelle del dittatore?L'esame genetico della calotta crani-ca rinvenuta nei pressi del Führer-bunker che secondo Mosca sarebbe stata quella di Hitler, ha rivelato che in realtà apparteneva a una giovane donna. L'archeologo che ha effet-tuato l'indagine, lo statunitense Nick Bellantoni dell'università del Connecticut, ha aggiunto che il cra-nio non poteva nemmeno apparte-nere alla moglie in quanto «non c'è nessuna indicazione che Braun si sia sparata o sia stata raggiunta da un colpo d'arma da fuoco.»La mandibola conservata negli archi-vi dell'FSB (ex KGB) – l'altro reperto che sarebbe appartenuto al dittato-re – per quanto corrisponderebbe alla ricostruzione fatta dal dentista personale del Führer, Hugo Bla-schke, nel 1945, non è mai stata sot-

toposta all'esame del DNA. Le auto-rità russe, anche dopo – o forse so-prattutto dopo – la scoperta che il cranio appartiene in realtà a una donna, si rifiutano di concedere l'autorizzazione.

A questo punto è giusto domandarsi se è davvero così assurda l'ipotesi che la mandibola possa essere anch'essa un falso? Come escludere la possibilità che l'assistente del dentista Blaschke, Kaethe Heuse-mann, ovvero colei che avrebbe i-dentificato il reperto, non abbia vo-luto ingannare i sovietici?Quando i russi si recarono nello stu-dio del professore Blaschke al Kur-fuerstendamm 213, vi trovarono invece un altro dentista che aveva preso il suo posto, il dottor Fedor Bruck.Fu questo a consigliare ai sovietici di rintracciare l'assistente di Blaschke, per l'appunto Kaethe Heusemann, e il tecnico dentale Fritz Echtmann, dato che tutte le documentazioni relative agli interventi su Hitler – al contrario di quelli di Heinrich Him-mler, Hermann Goering e Joseph Goebbels – non si trovavano più ne-gli archivi dello studio.Una volta rintracciata, la Heuse-mann venne condotta alla Rei-chskanzlei (Cancelleria del Reich) in cerca delle documentazioni che pe-rò, ancora una volta, non vennero trovate. La donna fu così portata nei quartie-ri generali della SMERSH, il diparti-

Hitler strangolato dalle forze alleate in una vignetta propagandistica sovietica

La calotta cranica che sarebbe dovuta appartenere a Hitler, in realtà quella di una giovane donna non identificata

Frammento della mandibola che apparterrebbe a Hitler

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mento di controspionaggio sovietico. Lì le mostrarono la mandibola che era già stata estratta dal corpo car-bonizzato, conservata all'interno di una scatola di sigari. L'assistente dis-se che i denti appartenevano al ditta-tore, affermando di riconoscerne i segni lasciati dalle trapanature di Blaschke. Aggiunse pure di essere stata presente durante l'intervento, osservando tutto da vicino con molta attenzione. Purtroppo, come vedre-mo, fu lo stesso professore a smen-tirla.Questa non fu nemmeno l'unica falsa testimonianza della donna. La Heu-semann, cosa poco nota questa, mentì anche riguardo a Eva Braun, sostenendo di riconoscerne la man-dibola che, secondo lei, avrebbe pre-sentato un ponte dentario. In realtà il ponte non venne mai applicato alla

moglie del Führer, come ammesso da Echtmann. Avendo mentito sulla Braun, quanto rimane credibile la testimonianza della Heusemann su Hitler? L'attendibilità della Heusemann si fa ancora più dubbiosa se prendiamo in considerazione le affermazioni dello stesso professore Blaschke. Nel 1948 il dentista disse in un'inter-vista che la donna non l'aveva mai accompagnato durante gli interventi effettuati su Hitler. La Heusemann, che eseguì anche uno sketch della

mandibola, aveva invece dichiarato agli agenti sovietici, a quanto pare mentendo, di aver assistito Blaschke non solo durante l'intervento della trapanazione, come detto in prece-denza, ma anche in ben altre cinque operazioni dentali – per un totale di sei – effettuate al dittatore a cavallo

fra il 1944 e 1945. La donna, secondo il dentista, avreb-be visto solo le lastre dei raggi X. Quelle giunte fino a noi sembrano coincidere con la mandibola. A questo punto, però, bisogna affi-darsi alla buona fede del professore Blaschke, fidandoci che le lastre ap-partenessero davvero a Hitler. Al dentista venne pure chiesto di ri-costruire un modello dei denti del Führer. Questo sarebbe corrisposto al reperto custodito dai russi. Ma l'u-so del condizionale è d'obbligo in quanto la prova non è stata mai pub-

blicata, come delinea Giordan Smith nel suo saggio Fabricating the death of Adolf Hitler. Bisognerebbe perciò limitarsi a cre-dere sulla parola le autorità russe? E, in ogni modo, chi ci assicura che il modello di Blaschke fu davvero quel-lo dei denti di Hitler e non l'ennesi-mo tentativo di depistaggio? In uno scenario dove Hitler invece di suicidarsi si dà alla fuga, fornire false prove ai sovietici che gli danno la caccia – come probabilmente tentò di fare la Heusemann, che fu poi de-portata in Russia dove sparì per sem-pre – sarebbe tutt'altro che assurdo.I dubbi sono tanti. Le certezze riguar-dano solo le incongruenze delle testi-monianze rilasciate da Kaethe Heu-semann.In ultima analisi, non esistono prove forensi certe che i corpi carbonizzati ritrovati davanti al Führerbunker fos-sero davvero quelli di Hitler e della moglie Braun. Le prove continueran-no a mancare finché non si effettue-rà per lo meno il test del DNA sui frammenti della mandibola.Cosa accadde quindi al dittatore te-desco?

La fuga

L'agenzia di stampa britannica Reu-ters, fra le più importanti del mondo, insieme all'altrettanto nota Associa-ted Press, pubblicarono la testimo-nianza di Peter Erich Baumgart da-vanti alla corte di Varsavia, nella qua-le sosteneva di aver pilotato l'aereo a bordo del quale Hitler e sua moglie evasero da Berlino.Baumgart era un pilota della Luftwaf-

Lo sketch di Heusemann. Fino a che punto è affidabile?

Hugo Blaschke

Junkers Ju-52

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fe esperto in voli clandestini, la sua bravura attestata dalla Croce di Fer-ro di prima classe. Il 28 aprile 1945 atterrò con il suo apparecchio – un Ju 52 assegnato alla Kampfge-schwader 200, il braccio della Luf-twaffe dedicato alle operazioni spe-ciali – a Hohenzollerndamm, una stazione del distretto Wilmersdorf di Berlino. Imbarcò i suoi passeggeri, prima di decollare per la volta di Tønder in Danimarca, volando a bassa quota per evitare il fuoco ne-mico. Il pilota scoprì che fra i suoi passeggeri c'erano Hitler e Braun solo dopo che questi erano saliti a bordo.Baumgart dovette fare una sosta inaspettata a Magdeburg, per evita-re il traffico aereo nemico, ma il giorno dopo, il 29 aprile, arrivò final-mente con il suo equipaggio a desti-nazione.La testimonianza del pilota è sup-portata da quella di un ufficiale del-le SS, Friedrich von Angelotty-Mackensen, il quale dichiarò che il

Führer fece un ultimo discorso pro-prio a Tønder, nel quale preannun-ciava la resa della Germania nazista, prima di imbarcarsi di nuovo sull'ae-reo diretto a Travemünde. Ad attendere la coppia ci fu il colon-

nello della Luftwaffe Werner Baum-bach, colui in carica del reparto spe-ciale Kampfgeschwader 200. Fu lui, come possiamo evincere dai suoi diari, a disegnare il piano di volo di sei ore che da Travemünde avrebbe portato i due in Spagna, per la preci-sione a Reus in Catalonia, a bordo di uno Ju 252. Quest'altro trimotore aveva infatti una durata di volo su-periore allo Ju 52.

Dato l'appoggio del regime fascista, la scelta della Spagna come trampo-lino di lancio per il Sud America ap-pare abbastanza logica. Il generale sovietico Nikolai E. Ber-zarin qualche tempo dopo dichiarò: «La mia personale opinione è che Hitler sia evaso da qualche parte in Europa, forse nella Spagna di Fran-co. Aveva la possibilità di farlo.»Dalla base militare spagnola di Reus, di nuovo a bordo di un Ju 52 ma questa volta con coccarde spagnole, la coppia fu trasportata nella base militare nazista di Jandía, una peni-sola disabitata delle isole Canarie. Da lì una U-Boat tipo IXC, l'unico dei sommergibili tedeschi capaci di in-traprendere un viaggio così lungo, li avrebbe portati in Sud America.La ricostruzione della fuga di cui so-

pra segue quella delineata da Ger-rald Williams e Simon Dunstan. Ri-costruzione che vedrebbe Hitler e la moglie sbarcare infine in Argentina. L'uso del condizionale è ancora una volta d'obbligo in quanto le tappe del viaggio sono basate sulle testi-monianze di coloro che avrebbero accompagnato o incontrato la cop-pia di fuggitivi. Non c'è quindi alcu-na certezza che le cose siano andate esattamente in questo modo. Allo stesso tempo però non bisogna dimenticarsi che anche la versione ufficiale – basata soprattutto sul li-bro di Trevor-Roper – è stata messa in piedi affidandosi esclusivamente ai resoconti che presentavano diver-se incongruenze e addirittura in al-cuni casi, come in quelli di Erich Kempka, Hanna Reitsch e Kaethe Heusemann, dimostrati falsi o, in ogni modo, falsificati.Le contraddizioni riguardano anche coloro che affermarono di aver visto i corpi senza vita di Hitler e la moglie all'interno del Führerbunker. Il resoconto del 1956 di Heinz Linge, cameriere del Führer, non coincide con quello di Otto Günsche, Stur-mbannführer delle SS. La posizione dei corpi varia nelle due versioni. Secondo Linge, la coppia fu ritrovata

Werner Baumbach

U-Boat tipo IXC

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sul divano. Günsche dichiarò invece che solo Eva Braun sedeva sul diva-no, mentre Hitler si sarebbe tolto la vita nella sua poltrona. Le testimo-nianze variano anche per quanto riguardano la ferita mortale. In una versione il dittatore si sarebbe spa-rato in bocca. In un'altra in testa. Günsche dichiarò anche, al contra-rio di altri, di non aver sentito il col-po di pistola. Ricapitolando: per quanto sia vero che non possiamo essere certi dei

dettagli che riguardano la fuga di Hitler, è altrettanto vero – e questo è il punto essenziale – che possiamo invece ritenerci sicuri che la versio-ne storica della sua morte non è corretta. Per di più manca qualsiasi prova concreta, forense o meno, a sostegno del suicidio del Führer te-desco.

In Argentina

Nel 1939, all'inizio della guerra, in Argentina risiedevano circa 237.000 tedeschi non ebrei, di cui 60.000 erano membri del partito nazional-

socialista. I nazisti sembrava avesse-ro in mente una conquista ideologi-ca delle Americhe. Ernst Hasse, pre-sidente della Alldeutscher Verband o «lega pangermanica», predisse che le repubbliche argentine e brasiliane avrebbero accettato l'influenza nazi-sta. Nel giro di un secolo, sosteneva sempre Hasse, anche il Nord Ameri-ca avrebbe accolto con favore l'ide-ologia nazionalsocialista. Ne fu tan-to sicuro da dichiarare, probabil-

mente con una nota d'ironia, che «l'imperatore germanico risiederà forse a New York.»Anche se le cose non andarono co-me previsto da Hasse, l'influenza politica esercitata sui governi del Sud America e in particolar modo su quello argentino di Juan Perón da parte delle forze naziste fu rilevan-te. Nel 1943, l'autore americano Al-lan Chase scrisse: «Le Falange dell'America Latina appartengono a Hitler.»Prendendo in considerazione tutto

Too late Adolf (Troppo tardi Adolf) per l'Argenti-na, come illustrava A. W. Mackenzie in questa

vignetta del 1944, o no?

Adolf Hitler ed Eva Braun

Hitler in sei varianti diverse, di Eddie Senz

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ciò, la scelta dell'Argentina come destinazione della fuga del Führer e della moglie Eva Braun appare sen-sata.Nel 1944 l'FBI americana compilò dei documenti che segnalavano i possibili luoghi dove il dittatore te-desco avrebbe potuto rifugiarsi in Argentina dopo la caduta della Ger-mania nazista. Un anno prima, il giornalista ameri-cano Drew Parsons aveva scritto che i tedeschi stavano costruendo un rifugio, sempre in Argentina, per il loro Führer.Non fu solo l'FBI a occuparsi della scomparsa del dittatore tedesco. Un documento della CIA risalente al 1955 testimonia un avvistamento di Hitler, anche se questa volta in Colombia. Ma già dopo il D-Day del 6 giugno 1944, l'OSS, Office of Stra-tegic Services, predecessore della CIA, aveva incaricato Eddie Senz, un make-up artist di New York, di ripro-durre una foto del Führer, variando-ne le apparenze, per aiutarne l'iden-tificazione nel caso fosse evaso dalla Germania. L'interesse dell'FBI, come già evi-denziato in precedenza, rimase vivo negli anni, continuando a collezio-nare testimonianze. Come riportato dall'International

Business Times nel 2011, l'FBI ha rilasciato 867 pagine di documenti, centinaia dei quali trattano l'ipotesi che Hitler sia fuggito in Argentina, dichiarando esplicitamente che il dittatore avrebbe inscenato il suici-dio. Negli anni le testimonianze di gente che dice di aver incontrato Hitler in Argentina si sono accumulate. In alcuni casi, come in quello del fa-legname del dittatore croato Ante Pavelic, Hernán Ancin, l'incontro si sarebbe ripetuto più volte, anche un decennio dopo la fine della guerra negli anni '50. Le innumerevoli dichiarazioni di per-sone che avrebbero incontrato il Führer tedesco e altri funzionari na-zisti scoparsi dal radar della storia come Martin Bormann sono troppe per poter essere elencate tutte in questo articolo, analizzandone la veridicità. Quello che conta è com-prendere che la possibilità di un esi-lio in Sud America è tutt'altro che impossibile, dato che anche durante il periodo della guerra sia l'intelligence alleata che la stampa riteneva questa ipotesi molto con-creta.In conclusione, possiamo dire che le

falle sono tali da non giustificare la certezza dogmatica con la quale og-gi viene preso per vero il suicidio di Hitler. Le istituzioni accademiche e i princi-pali media rischiano di creare, come detto nelle battute d'apertura, un'il-lusione della verità che trasforma la storia in un simulacro narrativo pri-vo di fondamenta. La possibilità di una fuga in Argentina è di fatto pro-babile, per quanto non sicura, ma proprio per questo l'investigazione sulle sorti del dittatore tedesco an-drebbe ripresa, affidandosi sull'evi-denza dei fatti piuttosto che non su motivazioni propagandistiche come fu probabilmente il caso con Trevor-Roper. Finché non sarà fatto questo – e un buon punto d'inizio sarebbe l'estra-zione del DNA dai frammenti mandi-bolari, comparandolo poi con quello dei parenti di Hitler, sperando in u-na loro collaborazione che finora purtroppo non è mai stata data –rischiamo di credere all'illusione di un suicidio, forse il più importante del secolo passato, ma che appartie-ne nondimeno alla coscienza storica attuale di noi tutti.

Sinopsi di un documento dell'FBI che investiga la presenza di Hitler in Argentina

Portrait of German leader Adolf Hitler in old age (Ritratto del leader tedesco Adolf Hitler

anziano) di Andrzej Dragan

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NON PRENDIAMOCI

SUL SERIO...

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Per quanto la materia sia stata ampiamente trattata, alcune zo-ne d'ombra rimangono ancora nella storia dell’antico Egitto, so-prattutto quando si prova a leg-gere un documento che sembra provocare un notevole imbaraz-zo nell’archeologia ufficiale: il papiro di Manetone.Si tratta in pratica di una crono-logia dei faraoni che comprende anche notizie relative agli avve-nimenti accaduti prima del 3000 a.C., data della comparsa di Me-nes, primo Faraone ufficialmen-te riconosciuto dall’egittologia.Nello stesso periodo è però de-gno di nota registrare il fatto che apparve sorprendentemente u-na forma perfetta di scrittura, una misteriosa competenza tec-nica in campo architettonico e precise conoscenze astronomi-

che; da dove provenne questo improvviso balzo in avanti?L’egittologo inglese Toby Wilkin-son così commentò l’avvenimento: “…sembrano non avere antenati o periodi di svi-luppo, sembra che siano apparsi dal nulla…”; anche il francese Gaston Maspero ammise l’enigma dell’Egitto prima dei Faraoni: “…la religione e parte dei loro testi sacri erano già esi-stenti in un periodo antecedente la prima Dinastia…per capire non possiamo che tentare di en-trare nello stato d’animo di colo-ro che vissero in quel periodo…”.Gli antichi Egizi consideravano la loro civiltà come un retaggio proveniente direttamente da es-seri divini, un retaggio che esi-steva in Egitto migliaia di anni prima delle dinastie faraoniche

oggi conosciute; il Canone Reale contenuto nel Papiro di Torino, scritto in caratteri geroglifici e risalente a Ramses II, presenta un elenco di tutti i faraoni che regnarono nel paese d'Egitto; questa lista comprende non solo i faraoni storici ma anche quelli che regnarono per retaggio divi-no e che provenivano da “altrove”; il Canone, infine, ci informa che questo periodo, an-tecedente a Menes, durò circa tredicimila anni!Certo non è facile ignorare tutto questo, così come è altrettanto difficile dare consistenza a quel-lo che fino ad oggi è stato consi-derato soltanto un mito, ma lo è stato veramente?Nonostante il Canone Reale ri-sulti mancante del nome di que-sti misteriosi Faraoni, possiamo

L’EGITTO PRIMA DEI FARAONI

ROBERTO LA PAGLIA

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aiutarci con la Stele di Palermo, sulla quale sono riportati i mitici regnanti, oltre che aiutarci con i resoconti storici di vari scrittori dell’epoca.Secondo Manetone uno di que-sti Faraoni fu Thoth che regnò all’incirca dall’8.670 al 7.100 a.C.; a tal riguardo è curioso os-servare come lo stesso Maneto-ne venga ritenuto affidabile dai ricercatori ufficiali per tutto ciò che riguarda le dinastie cono-sciute, mentre viene costante-mente taciuto per tutto il resto.Manetone ci fornisce dettagli molto interessanti su queste mi-steriose dinastie chiamate “divine”, che suddivide in tre di-stinte categorie: divinità, eroi e "Manes". Allo stesso modo, an-che la categoria degli Dei viene suddivisa in sei sezioni, ciascuna

comandata da un dio: Horus, A-nubi, Thoth, Ptah, Osiride e Ra; queste divinità, continua Mane-tone, provenivano dalla Terra, divennero in seguito celesti e vennero associate con le stelle quando raggiunsero il cielo.A cosa si riferiva? Semplici argo-mentazioni mitiche o resoconti di avvenimenti realmente acca-duti e successivamente descrit-ti?La categoria degli eroi compren-de invece esseri di natura terre-stre ma con poteri che oggi defi-niremmo soprannaturali; in ulti-mo troviamo i Manes o Khus, esseri gloriosi corrispondenti a-gli spiriti degli antenati venerati in altre culture.Sia queste fonti che altri storici ed eruditi quali Plutarco ed Eu-sebio di Cesarea ci parlano di u-

na stirpe di divinità che regnaro-no ciascuna per diverse centi-naia di anni, soltanto dopo ven-gono citati i nomi dei regnanti che oggi conosciamo.Ovviamente nella nostra visione della storia e dell’evoluzione del-la civiltà umana è quasi impossi-bile pensare che dei sovrani di origine divina abbiano regnato per centinaia di anni, anche se poi, solitamente, nessuno batte ciglio quando si leggono le vetu-ste età riportate nella Bibbia in merito ai vari profeti e patriar-chi.E’ possibile trovare una giustifi-cazione a quanto riportato da Manetone?

Saremmo tentati a questo pun-to di riprendere le teorie del fi-losofo Schwaller de Lubicz e dei

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suoi “Seguaci di Horus”, oppure quelle portate avanti dall’orientalista Zecharia Sitchin, ma esiste un mistero ancora più intrigante, legato forse alle teo-rie dei due autori appena citati, un mistero che riguarda gli enig-matici crani dolicocefali.La dolicocefalia è una particolare deformazione del cranio, ma an-ticamente era anche una pratica molto diffusa sia tra gli Aztechi che tra gli stessi egiziani.Con l’ausilio di fasciature rituali, e in seguito di assi di legno, si

tentava di modificare la normale saldatura delle ossa del cranio al fine di renderlo allungato.Si trattava soltanto di un rituale? O forse era soltanto un tentati-vo, di certo cruento, di riprodur-re l’antica immagine di qualcuno che, in epoche remote, aveva attirato l’attenzione proprio per questa sua strana anomalia?Parlavamo prima di un gruppo di persone, presumibilmente scomparso intorno al 4000 a.C., con conoscenze sofisticate e no-tevolmente avanzate; forse lo

stesso gruppo di persone che viene ricordato negli elenchi de-gli antichi regnanti.Il professor Walter B. Emery, scomparso nel 1971, eccellente archeologo, condusse per più di 45 anni scavi in Egitto; tra i suoi ritrovamenti figurano alcune tombe contenenti i resti di per-sone che vissero in epoca pre-dinastica nel nord dell’Egitto. La caratteristica principale di questi scheletri è il cranio di dimensioni abnormi, dolicocefalo.Gli scheletri sono più grandi ri-

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spetto all’altezza media regi-strata nella zona del ritrova-mento, la loro struttura è più pesante; una civiltà completa-mente sconosciuta, forse la stessa che si tentava di emula-re con il rituale di allungamen-to del cranio.Non si trattava comunque di una caratterizzazione propria dell’Antico Egitto; scheletri con i crani allungati vennero alla luce in diverse regioni del mon-do; In Perù sono state identificati ben tre gruppi con le stesse ca-ratteristiche, tutti appartenenti al periodo pre Incarico: i Chin-chas, gli Aymara e gli Huancas.Anche in questo caso venne

confermato che il rituale si rife-riva ad avvenimenti realmente accaduti, immagini di uomini che materialmente avevano vissuto insieme gli abitanti del luogo.I Chinchas, ad esempio, pre-sentavano un cranio con tratti dolicocefali dovuti alle bende con le quali erano soliti fasciare le teste dei neonati, ma questo non avveniva in un contesto religioso bensì con lo scopo di assomigliare ai componenti de-gli altri due gruppi che, pur presentando questa caratteri-stica, non avevano mai esegui-to il bendaggio del cranio.Queste persone erano già co-nosciute e rispettate ancor pri-

ma del mitico Manco Capac, il Primo Inca, e probabilmente influenzarono anche la cultura Maya e quella egiziana; forse non a caso crani dolicocefali si trovano nella storia dell’antico Egitto e contemporaneamente esposti nel museo di Tihuana-co.Possiamo quindi ipotizzare l’esistenza di una razza antidilu-viana, i cui resti sono stati ritro-vati in molte parti del mondo, che si distingueva per il cranio di forma conica allungato natu-ralmente?E come se non bastasse…per quale motivo molti crani doli-cocefali conservati presso il Museo della Valletta, a Malta,

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Roberto La Paglia

CANARIE: UN VIAGGIO NEL MISTERO

Editore Paranormaltour

Non è facile spiegare in poche righe quali strade,

quali sensazioni ci portino ad affrontare tematiche

che, a prima vista, potrebbero apparire infinitamente

lontane da quello che è il nostro quotidiano. Una del-

le tante risposte potrete trovarla proprio tra le pagi-

ne che state per leggere, una selezione per certi ver-

si unica nel suo genere, la prima che si prefigge di

raccogliere e sottoporre all’attenzione del grande

pubblico uno degli aspetti forse meno conosciuti ma

estremamente affascinante delle Canarie, i suoi anti-

chi e moderni misteri. Molto spesso questo incredibi-

le “paradiso terrestre” viene ampiamente menziona-

to soltanto negli spazi pubblicitari delle agenzie turi-

stiche, questo scenario ha portato, nel tempo, ad accantonare spesso la storia

dell’arcipelago, con le sue numerose leggende, i luoghi mitici e gli innumerevoli fatti

misteriosi che ancora oggi ne disegnano i contorni.

RITORNA SIGNS MAGAZINE, RIPRENDE IL VIAGGIO TRA ANTICHI E MODERNI MISTE-RI, TRA GLI ENIGMI DELLO SPAZIO E GLI O-SCURI SCENARI CHE CARATTERIZZANO IL COVER UP, LA COSTANTE NEGAZIONE DI UNA VERITÀ CHE DOVREBBE RENDERCI LI-BERI, NON CERTO SCHIAVI DEL MONDO CHE CI CIRCONDA.

SIGNS SARÀ PRESENTE OGNI MESE IN RETE, SCARICABILE GRATUITAMENTE DA QUE-STO SITO E DAI SITI E BLOG CHE ADERI-SCONO AL PROGETTO. VI ASPETTIAMO PER INDAGARE INSIEME CIÒ CHE APPARE CO-ME NOTO E QUELLO CHE SPESSO SI VOR-REBBE FAR PASSARE COME IGNO-TO...SCOPRIREMO DI VOLTA IN VOLTA QUANTO QUESTI DUE TERMINI SIANO AM-BIVALENTI, E COME, ALTRETTANTO SPESSO, POSSANO APRIRE IMPREVEDIBILI SCENARI. SIGNS MAGAZINE...FEBBRAIO 2013...NOI CI SAREMO...

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sono stati ritirati alla vista del pubblico?Molti di questi enigmatici re-perti, circa 700, vennero ritro-

vati a Malta, negli ipogei di Hal Saflieni e nelle tombe dei tem-pli megalitici di Taxien e Ggan-tja

Esiste poi una strana serie di coincidenze: l'antico nome di Malta è Melita, riferito al voca-bolo latino per miele, mentre il suo simbolo è un’ape e un alve-are esagonale.L’ape era anche uno dei simboli del Faraone, oltre che uno dei suoi titoli, mentre il miele era un prodotto esclusivo riservato allo stesso Faraone e ai capi dei sacerdoti.Tenuto conto che la scomparsa di questa misteriosa popolazio-ne è avvenuta nello stesso pe-riodo sia a Malta che in Egitto si potrebbero aprire molte nuove strade per una ricerca sull’argomento.

I LIBRI DI ROBERTO LA PAGLIA

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Torno in Inghilterra, stanno chia-mando il volo. Mi metto in coda a una lunga fila e mi accorgo che il cellulare è "morto". Provo e ripro-vo ma non da segni di vita. Comin-ciamo bene dico tra me e me.<Mi raccomando chiamami appena arrivi, che ti vengo incontro>... Sì, certo. E adesso non so proprio co-me, ma in qualche modo farò. Do-po quasi un anno riabbraccerò mia figlia e non sto nella pelle all'idea di tenermela stretta forte per un po’. Lo so, è adulta sa badare a se stessa, ma per me è ancora la mia piccolina. Quella che non mangiava se non l'imboccavo e raccontavo

una storia, quella che faceva i primi passi nel girello con i pastelli in ma-no e colorava i muri di casa... Arte e libri, la mia stessa passione. Una sensibilità esasperata al limite che faceva di testa sua sempre e sempre contraria. Sempre.Sono pochi giorni ma per me è tanto. Vuol dire staccare dalla tran-quilla quotidianità e fare un sal-to nel paese dei balocchi. Ah! Quanto ho amato l'Inghilter-ra. Anni fa con la famiglia avevamo fatto il giro della Gran Bretagna, su fino alla Scozia.Mentre aspetto il mio turno al ban-co del gate la mente vaga.

La Scozia... Ricordo il verde intenso dei boschi e le curve a gobba di cammello delle Highlands. I la-ghi (che poi erano fiordi)... Strisce azzurre scintillanti e increspate che si insinuavano tra le scogliere a picco.Era estate, il vento scuoteva, e i rami si incurvavano gentilmente. Macchie d'ombra sulla strada che si snodava in ripide salite e discese in sequenza continua. Su e giù, alti e bassi, una perfet-ta parafrasi della vita.Non c'era traffico. Le poche perso-ne che abbiamo visto erano den-tro ai pub dove ci fermavamo per

CONFESSO, HO VIAGGIATO DI NOEMI STEFANI

APRILE A LONDRA

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una sosta e avevano l'aspetto e la parlata tronca dei contadini scoz-zesi... Come Braveheart... Sorrido.Che posto da pecore. Tanti branchi di pecore segnate di blu che con sguardo assente ci ve-devano passare da dietro ai retico-lati. Pascolavano sotto il sole. Mac-chie bianche tra cespugli smeral-dini che costeggiavano la strada.Tempo d'estate, e più a nord anda-vamo e più il giorno sembrava lun-go, non diventava mai buio. Invece la fila si accorcia e tra poco tocca a me. Se mi chiedessero che ricordo mi è rimasto di Londra, non avrei esita-zioni.Descriverei l'Inghilterra con il pro-fumo dei saponi alla rosa dei picco-li alberghi dove sostavamo. La teie-ra elettrica sempre pronta con qualche bustina di gusti differenti da scegliere, bei giardini curati e fioriti, grandi distese verdi con poche fattorie. Dietro ai recinti cavalli che pascolano tranquilli dove nulla sembrava tur-bare quella quiete… L'azzurro di un cielo gonfio di nuvole bianche, grevi, che corrono veloci, e il ven-to che gioca a sospingerle qua e là.Chissà se avrei avuto ancora le stesse impressioni, se Lon-

dra sarebbe stata ancora la stessa.Una mega metropoli che per attra-versarla sembrava non avesse mai fine.Il mio è un volo economico. Prepa-gato e prenotato, tutto regolare... Quindi che problema c'è?Lo diventa quando nel bagaglio a mano che ho già riempito di preli-batezze, chiedono di riporre anche la borsa. Mi fermano al gate d'im-barco, mentre forzo la cerniera e il mio colorito deve essere prossi-mo al bordò perché sto bloccando i passeggeri.Riesco a far rientrare quello che straborda e la zip grazie a Dio tie-ne.

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Sull'aereo il mio posto prenotato è già stato preso, tutto occupato e la borsa non ci sta. Non c'è più spazio per riporre nulla, tutto stivato al centimetro e siamo in molti.La hostess gentilmente mi dice di sedermi dove mi pare che intralcio il traffico e poi il decollo.Dopo un po’ arrivano con il carrello delle bevande, snack e panini. Tut-to a pagamento s'intende. Prima dell'arrivo gli assistenti di volo cer-cano di piazzare persino i biglietti della lotteria gratta e vinci, ma nes-suno li compra. Volo al rispar-mio stile Fantozzi e gente tacca-gna...Appena arrivo, fuori dall'aeroporto respiro profondamente, qui c'è un'aria diversa. Che meravi-glia, aria pulita. Leggera brezza, venticello pungente un Apri-le ancora quasi freddo. Ma quanti corvi...Si rincorrono tra loro, parlano e si rispondono gracchiando.Dopo circa un'ora di autobus la metropoli si offre in tutta la sua estensione e grande magnificenza. Londra dagli autobus rossi a due piani, le cabine telefoniche rosse anche quelle, che rimangono su-perstiti nonostante la tecnologia avanzata dei cellulari le dichiari or-mai obsolete. Un traffico caotico, i ponti sul Ta-

migi, e tutto scorre come fosse un film, ma sono veramente lì e sto pregustando quello che verrà.La vedo, testina bionda che sobbal-za tra la folla della stazione, mi vie-ne incontro con passo svelto, sorri-de. Un abbraccio interminabile e le stampo un paio di bacioni sulle guance. Mi guarda le scarpe con il tacco e scuote la testa, <Non van-no bene. Preparati a scarpinare> dice. Indossa ancora un giaccone pesante. Insomma, la temperatura non è proprio primaverile, sole e pioggia si alternano continuamen-

te.Vittoria Station e il nostro pri-mo lunch insieme per sciogliere la tensione. Tante cose da chiedere e da ascoltare, poi incominciamo a fare programmi per il fine settima-na. Un bus per andare all'hotel, lasciare la valigia e capire dove sa-rò per orientarmi.Cosa fare nel tempo che rimango l'ho già progettato e immaginato nel dettaglio. Vorrei assolutamente vedere la Chiesa dei Templari che è proprio vicino al Blackfriars Bri-dge (ponte dei frati neri) dove è stato trovato impiccato il noto ban-chiere Calvi e se riesco vorrei tor-

nare a Stonehenge.Naturalmente le cose vanno in mo-do diverso. La Chiesa dei Templari è chiusa per restauri, ci sono delle Gallerie d' arte da vedere, e poi il mercato di Portobello Road a Not-ting Hill. Non c'è tempo per Stone-henge.Prendiamo la "tube", metropolita-na londinese. La prima cosa che noto sono le mura ai lati della fer-rovia. Accipicchia, sono mura ro-mane. I nostri antenati hanno la-sciato segni tangibili anche qui.L'hotel è gestito da indiani, tutto al

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risparmio. Se si brucia una lampa-dina, pazienza. Manca lo shampo-o? Lo chiedi e ti portano cinque buste di bagnoschiuma. Per quel poco che rimango, mi vanno bene anche le bruciature di siga-retta nelle tende. Ma anche que-sta è Londra.Vicino alla National Gallery, c'è la Galleria dei Ritratti e vale la pena di entrare. Ci sono cose che non ho potuto fotografare, e lo sapevo, nelle Gallerie non lo permettono.A volte sono inquietanti. Il ritratto di Aleister Crowley, noto satanista e occultista che per un certo perio-do era stato collegato ai Beatles, quando erano all'apice della loro carriera. Come non associarlo ad una stra-na composizione di oggetti e piu-me appesi a un trespolo che for-mano un' ombra sulla parete... Completo di corna, e del tutto im-probabile per quel luogo, ne esce fuori l'ombra del dannato.Inghilterra, l'isola degli angeli. Il chakra del cuore del mondo. Ma non solo questo mi sembra. Guardo i gadget nelle vetrine, por-tachiavi con angeli o diavoli a scel-ta. Nel pomeriggio facciamo un gi-ro al mercato di Portobello Road a Notting Hill.

Ci sono ragazzi che suonano le can-zoni dei Beatles, ed è suggestivo camminare tra le bancarelle con le canzoni più belle della mia vita.Non mancano tipi strani, come un uomo anziano che attraversa la strada, tutto vestito di ne-ro, persino il cappello che porta in testa e il mantello che svolazza nel vento, tipo Dracula. Che dire, mol-to suggestivo.Il tempo passa in fretta, ci si stanca a camminare, fa freschetto e co-sì entriamo a bere qualcosa den-tro ai pub. Non sono esattamente come i nostri bar. Ci si trova per socializzare ma si mangia an-che come al ristorante. Locali mol-

to frequentati dai Londinesi, che mi pare bevano tantissimo. Tempo di finire la birra e loro ne hanno già ordinate almeno tre. Sono allegri, parlano e bevono.Prendiamo il bus e ci portiamo ver-so il centro di Londra. Dopo Marble Arch, ancora un po’ di percorso e l'autobus rallenta per una curva stretta. Sull'angolo del muro di un palazzo, proprio davanti a me, in bella evidenza vedo il "caprone". Il simbolo del male.C'è un negozio che attira la mia attenzione e decidiamo di entrare a fare shopping <All Saints>. Riti-riamo il nostro acquisto e indovina un po’ cosa c'è sulla shopper?Ebbene si, ancora lui... Sulla busta, sempre un cranio con le corna den-tro a un cerchio magico.Si vede che qui ha una certa impor-tanza. Pare che la famiglia reale faccia parte dei famosi tredici illu-minati che governano il mondo, e se così fosse i conti tornano. Tutto potrebbe essere, visto la fo-to del principe William con lo stemma sul petto, sempre lo stesso (satanasso) che è il simbolo del-le Royal Air Force a cui appartiene.Potrai dire che sono strane coinci-denze... Ma sono tante, e fanno pensare.Per quello che mi riguarda, meglio cercare il bello delle cose. Una visi-ta alla Tate Galleria d'arte moder-

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na, e per arrivarci passiamo dal Millenium Bridge. Da qui lo sguar-do spazia lungo un bel tratto del Tamigi fino al Tower Bridge, che è il ponte più conosciuto di Londra e poi proviamo a entrare al-la Cattedrale di St. Paul, una delle chiese-monumento più famose di Londra.C'è una scritta sulla porta a vetri all'ingresso. Dice che questa è <La porta del paradiso>.Non ti nascondo il mio disappunto quando sono entrata e fatti pochi passi, un tipo mi chiede 15 Pounds per poter fare la visita.Son talmente contrariata che deci-diamo di uscire subito.La domenica, dove vanno i Londi-nesi? Ma al Covent Garden natural-mente e lì andiamo anche noi... Un grande edificio di forma rettangolare nel cuore di Lon-dra all'interno del quale gli artisti di strada si esibiscono, suonando o facendo giochi di prestigio.Ci sono anche negozi e una pastic-ceria-pub dove fanno dei dolci deli-ziosi, sia esteticamente che come qualità.Questa volta porterò con me il ri-cordo dei gelsomini fioriti vicino all'hotel, e il comportamento diver-so e disinibito delle persone.

Il sole fa capolino tra le nuvole e dopo un po’ riprende a pioviggina-re, e così va avanti per tutto il tempo che resterò.C'erano gruppi di ragazze che gira-vano con infradito e camicette scollate come fosse luglio e altre persone con tanto di paltò e pellic-cia. C'è anche chi gira con i bigodini in testa, ma non desta l'interesse di nessuno sguardo. A quanto pare il perfetto "self control" degli inglesi non è soltanto un modo di dire.Strano Paese dove una ragazza

seduta accanto a me sul bus, toglie lo specchio dalla borsa e con disin-voltura incomincia a strapparsi le sopracciglia e i peli dal naso.Il guidatore è uno spilungone di colore dalla bocca larga. Deve aver visto la mia espressione allibi-ta nello specchietto retrovisore perché si volta indietro e mi sorri-de rassicurante.Il momento peggiore è quello del distacco. Dover andar via...Profumo di gelsomini, negozi di gadget, traffico di una Megalopoli all'imbrunire, che se attraversi con il quasi-rosso corri veloce perché ti investono senza pietà.Rabbrividisco ma non è per il fred-do. Come è faticoso cercare di non piangere, "sorridere con le lacrime agli occhi", come dice una vecchia canzone, e nell'ultimo abbraccio voltare la testa dall'altra parte per non far vedere lo sforzo...Ma so che è giusto così.Sapere che le persone che ami so-no felici, (una figlia ha trovato il suo spazio vitale) è l'unica cosa che fa felice anche me. Ogni giorno è un nuovo giorno, e ogni giorno ricomincia una nuova vita. La mia vita.

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Strane coincidenze all’interno dei “castelli nuragici”

Come sappiamo i nuraghi sono consi-derati, dalla maggior parte degli ar-cheologi, delle strutture di carattere militare; eppure in questi ultimi anni la loro unica funzione di fortezza è venuta meno, sostituita gradualmen-te da altri ruoli, come quello di ma-gazzini o residenze reali. Pochissimi cattedratici hanno ipotizzato che fos-sero templi, il più noto fra questi è sicuramente il Prof. Massimo Pittau. Sono ormai storici gli studi di Carlo Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad aver portato come prova della fun-zione del Nuraghe-Tempio, i singolari

eventi che accadono periodicamente all’interno di questi monumenti. Fu-rono proprio questi due studiosi ad aver messo in evidenza il singolare evento da noi chiamato “fenomeno della luce dal foro apicale”. Gli eventi all’interno del nuraghe Aiga di Abba-santa, e del nuraghe Biriola di Dualchi furono da loro scoperti. A questi due casi si sommarono quello del nura-ghe Is Paras di Isili (Zedda 1992) e altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani di Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi studiato e reso noto, assieme ad un accurato studio su altri eventi analo-ghi, nel libro “La luce del toro” (G.R.S Gruppo Ricerche Sardegna, PTM 2011). L’evento in questione si verifica quando il sole, nei giorni del solstizio d’estate, raggiunge una determinata altezza. In questo giorno così partico-lare è possibile ammirare uno degli eventi più sbalorditivi che animano queste antiche torri. Un sottile raggio di luce penetra attraverso il foro rica-vato dagli antichi costruttori all’apice

della cupola costruita all’interno del nuraghe. Tale raggio attraversa tutta l’ampia volta e va ad illuminare (se presente) la nicchia in sala, oppure la base della camera (Is Paras di Isili).

Tecnicismo del fenome-

no della luce dai fori api-

cali (sezione)

In quest’ultimo nuraghe da noi visita-to, un nuraghe complesso a due ca-mere sovrapposte, il Ruju di Torralba,

L’EVENTO DELLA LUCE DEI FORI APICALI DEL NURAGHE RUJU DI TORRALBA

Interno camera secondaria

G.R.S. (GRUPPO RICERCHE SARDEGNA)

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l’evento si è materializzato puntual-mente, secondo quanto da noi ipo-tizzato. Il corridoio di ingresso della camera secondaria (frazionato dal raggiungimento della scala elicoidale ascendente) del Nuraghe Ruju è o-rientato al passaggio del sole all’alba del solstizio d’inverno. Un dato che andrà confermato empiricamente al prossimo solstizio.Ciò che è innegabile, a nostro pare-re, è che il fenomeno che qui si veri-fica è assolutamente voluto. Fu nelle

intenzioni degli antichi costruttori di non chiudere immediatamente l’ultimo corso anulare della volta con la pietra apicale ma sviluppare un prolungamento definito tecnicamen-te lanterna (un lucernaio) per supe-rare lo spessore del terrazzo e rag-giungere il suo piano di calpestio on-de poter chiudere l’apertura. Questa condizione, assolutamente singolare, ha come unica finalità quella di po-ter rimuovere liberamente la pietra apicale dal terrazzo per consentire il verificarsi dell’evento solare. L’eccezionale stato di conservazione dell’ultima parte della cupola e dell’intera sala (avente altezza di 4,88 m e una base circolare di 3,45 metri di diametro), nonché lo scru-poloso tecnicismo dell’illuminazione della nicchia centrale, è la prova del-la volontarietà e della predittività dell’evento, oltre ad attestarsi come il caso maggiormente preciso, tra tutti quelli finora conosciuti.

Il fenomeno della luce dal foro apica-le (Làcanas – anno x numero 57, IV 2012, Pag. 20) come mostrano le foto, è straordinario. Il raggio solare procede lentamente verso il basso, man mano che il sole prosegue il suo cammino apparente nel cielo, per poi andare ad illuminare l’architrave della nicchia, creando inaspettata-mente la precisa forma di una bipen-ne. Pochi minuti dopo, alle 10:45 solari, quando il sole si trova ad un azimut di 121° e ad un’altezza (angolazione) di 63°, il raggio supera l’architrave e taglia esattamente a metà la nicchia illuminandone l’interno. Avendo preso le misure della nicchia (base inferiore 66 cm, al vertice 40 cm, h 1,39 m, profondità 1,62 m, sopraelevata dal piano di calpestio di 95 cm) ci siamo resi con-to che le dimensioni sono sufficienti affinché una persona adulta ci possa stare comodamente seduta. Dopo qualche minuto l’evento si esaurisce, poiché il raggio prosegue il suo cam-mino spostandosi lateralmente ri-spetto alla nicchia. Il nuraghe Ruju è ubicato a 40° 29’ 48”N – 8° 48’46”E , a questa latitu-dine il passaggio del sole al momen-to cruciale del solstizio d’estate in meridiano si contrassegna intorno ai 74°. Il perché gli anti-chi costruttori abbiano voluto antici-pare l’evento di qualche ora e in vir-tù di questo edificare lo stesso mo-numento per espletare questa con-dizione non ci è dato sapere, ma quello che sorprende è che in questo preciso punto di sosta, ove avviene l’evento dal foro apicale ( ai 121° e a una altezza di 63°) si identifica con la direzione dell’alba del solstizio d’inverno.Le ipotesi su come potesse venir sfruttato tale evento ovviamente sono molteplici . Si ipotizza che una figura sacerdotale o un capo allog-giasse in tale spazio. La visione sa-rebbe stata sicuramente sbalorditi-va, e avrebbe recato diverso presti-gio agli individui capaci di creare e controllare un simile fenomeno, ol-

visuale dall’esterno

visuale interno camera

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tre a dargli la conoscenza della misu-ra dell’anno e del progressivo deca-dere della stagione estiva, da questa data in poi, infatti, si accorcia sem-pre di più la durata delle ore solari. In virtù della paternità di questa scoperta se ci è permesso una no-stra personalissima interpretazione, non possiamo esimerci innanzitutto dall’ enfatizzare la grandi capacità e le conoscenze architettoniche dei nostri padri, capaci di saper “ amma-estrare” con il linguaggio della pietra e della luce, un evento “sbalorditivo”, generando uno sce-nario simbolico, raffigurativo, del sacrificio del Toro-Sole. È interessante notare che i nuraghi nell’arco della loro edificazione regi-strano manufatti e cultura materiale propensa all’aniconico. Questo è confermato anche dal singolare riuti-lizzo come materiale da costruzione (per nuraghi e tombe dei giganti)

delle enigmatiche statue menhir ico-nografiche del periodo eneolitico insulare del terzo millennio avanti Cristo. Non sarà difficile inquadrare l’archetipo del nuraghe come il più grandioso “Monolito” architettonico realizzato dall’uomo, espressamente destinato alle conoscenze astrono-miche e alle funzioni sacre e in cui si

potevano manifestare divinità icono-grafiche, tuttavia in forma immate-riale; un simbolismo segreto, celato all’interno del monumento, custode e dispensatore. Il nuraghe è il tempio del Bronzo Medio.

Un evento simile accade anche nel Pantheon (tempio di tutti gli dei) di Roma, dove tale

evento, da sempre sotto gli occhi di tutti, è stato messo in relazione ad una spettacola-rizzazione del fenomeno, sfruttato per illu-

minare l’imperatore in una particolare ceri-monia in una data precisa, per dimostrare

maggiormente il suo potere divino (Il Fatto Storico, 23-08-2011 “Il Pantheon era una

meridiana romana?”).

La fisionomia del nuraghe nata dai dettami del ciclo solare

Lo stesso Giovanni Lilliu nel 1998, nell’interrogarsi riguardo ai nuraghi monotorre così scriveva : “ la loro forma monumentale e il volume troncoconico quasi simbolico delle torri che si elevano come un altare e alla loro ubicazione spesso in luo-ghi dominanti e attrattivi come quelli delle chiese e di santuari montani” . Afferrata questa preziosa intuizione abbiamo incluso anche un altro difficile quesito ; sul perché vi

La nicchia centrale illuminata

la Bipenne sull’architrave della nicchia

l’Evento da un’altra angolazione

Nuraghe Bidd’è Pedra Il menhir all’interno della camera di un Nura-

ghe Ingresso camera Frammenti menhir nelle mura

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sia una netta inferiorità dei vuoti strutturali rispetto alla massa mura-ria costituente il monumento e per quale motivo avere delle camere intenzionalmente lasciate in uno stato di semioscurità. Queste condi-zioni indirizzarono la nostra princi-pale linea guida di ricerca, unita-mente alla comprensione delle pla-nimetrie di progetto e le soluzioni tecniche del pensiero architettonico dei nuraghi monotorre. La risposta soddisfacente dai risultati palesati dal Fenomeno della luce dei fori a-picali , della Luce del Toro e di altri eventi e studi (che non tratteremo in questa sede) confermerebbero la destinazione dei nuraghi a templi del sole, che effettivamente con-trollano eventi astronomici sensibili, come l’alba del solstizio d’inverno, l’alba del solstizio d’estate ed il suo zenit, oltre alla luna e altri astri di particolare visibilità.

Il fenomeno della luce del toro

In sintesi il fenomeno della Luce del Toro si identifica nei nuraghi che presentano la porta d’ingresso o-rientata in un range che va dai 122° ai 145° nella fase del solstizio d’inverno. Il tecnicismo del fenomeno della luce del toro è operato dall’allineamento del sole con il finestrino di scarico dell’architrave del nuraghe, Il quale a sua volta genera, all’interno, un fascio luminoso che percorre tutto il corridoio e la stessa sala.

L’espressione massima, l’apice, di questo fenomeo è l’impatto della luce sulla parete o addirittura den-tro la nicchia centrale, che visiva-mente realizza la forma taurina, ni-tida ed inconfutabile, oppure che si definisce semplicemente, come altri casi osservati, con una fisionomia stilizzata.

Le Stanze del Sole

In questo excursus, sono state og-getto del nostro studio anche le Torri aggiunte, dette “finestrate” dei nuraghi complessi, ribattezzate nel nostro caso come “le Stanze del Sole”. Questa particolare tipologia di torre, rispetto al nuraghe origina-

Tecnicismo del fenomeno della luce del toro

Evento della Luce del Toro al nuraghe S.Barbara di Villanova Truschedu

Nuraghe Arrubiu Orroli, un particolare del paramento esterno

Evento nuraghe Zuras

Evento nuraghe Caddaris

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rio, è caratterizzata principalmente dal fatto di essere provvista di “ fi-nestrelle” disposte a raggiera intor-no alla camera ( in un numero che non supera generalmente le dieci aperture, raramente dodici ) per la maggiore realizzate ad una certa quota dal piano di calpestio. Le fine-strelle attraversano tutto lo spesso-re murario, sovente in modo strom-bato verso la camera, esternamente invece la finestrella si riduce ad una stretta fessura o di poco più larga. Seppure sia accertato che queste torri siano costruite per addossa-mento oppure allacciate attraverso cinte murarie alla torre principale (per questo motivo ritenute più re-centi della stessa) il tutto palesa la progressiva evoluzione della civiltà nuragica, la sua continuità cultuale, ma soprattutto quella architettoni-ca. Perché Le torri nuragiche dotate di finestrelle, in ogni caso, ingloba-no tutta l’arte delle antiche mae-stranze Sarde, caratterizzate dall’uso della camera voltata ad ogi-va e da tutti i criteri tipici dell’edilizia nuragica. Le torri Fine-strate, si può affermare con sicurez-za, sono strettamente subordinate alla torre originaria e presenti solo in questo contesto, vale a dire che questa tipica torre non potrà mai essere osservata in modo isolato, inoltre questa si distingue per non possedere la scala elicoidale (intesa a partire dal corridoio), mentre in alcuni casi invece è presente quella sviluppata ad una certa altezza nella camera. Ne consegue che non sono mai visibili le classiche nicchie di

camera che caratterizzano le torri principali, salvo alcuni casi (nuraghe Arrubiu di Orroli), tantomeno sarà presente la nicchia d’andito, dispo-sta immediatamente dopo l’ingresso.

Le torri secondarie (con finestrelle e non), per motivi a noi sconosciuti non hanno mai superato, per di-mensioni e soluzioni tecnico/architettoniche le torri arcaiche. Ugualmente, non esiste esempio di complesso nuragico che racchiuda la realizzazione con due torri “principali” gemelle con le stesse caratteristiche, delineando in un certo senso una vera e propria invo-luzione edilizia (eccezion fatta per il Duos Nuraghe di Borore ). Per que-sto motivo e per le condizioni so-praelencate sono da ritenere anche il marcatore più evidente della ce-sura esistente tra il periodo della costruzione dei monotorre a svilup-po verticale (a più camere sovrap-poste e dotati di scala elicoidale ) e quello delle torri “finestrate” unite da cinte murarie. Le torri con fine-

strelle, dalla tipica planimetria ca-ratterizzante il loro “spirito architet-tonico”, si diffondono in modo o-mogeneo nel territorio aumentando di molto l’impianto di quelli che di-venteranno poi dei nuraghi com-plessi. Addizionando appunto alla torre principale altre torri seconda-rie, tramite il semplice addossamen-to, oppure con la connessione attra-verso le cortine murarie. Di conse-guenza le torri secondarie si distri-buiscono in riferimento alla torre principale, in modo frontale, latera-le, circolare, oppure con altri im-pianti. Identificati per il numero di torri componenti, i nuraghi com-plessi sono stati pertanto classificati per tipologie: bilobato, trilobato, quadrilobato, pentalobato e così via. Anche queste torri finestrate, a loro volta in alcuni casi, subiranno una parziale cesura o mascheramento dettato dalla fase in cui si realizza-vano i poderosi rifasci nell’intero paramento esterno del complesso, con incremento notevole sia della superficie di base del complesso che della superficie dello stesso Ter-razzo. E bene sottolineare che In diversi nuraghi Polilobati dove sono presenti i robusti antemurali (Su Nuraxi di Barumini), che operano puramente con lo scopo di delimita-re lo stesso complesso, si ripropo-nevano ancora e di numero le clas-siche torri perimetrali finestrate, realizzando infine dei veri e propri complessi architettonici di alto pre-stigio monumentale.Resta di fatto che le torri finestrate sono anch’esse edifici da noi identi-ficati come possessori di una preci-sa funzionalità, quella di controllare plurimi eventi astronomici.Coscienti che i misteri dei nuraghi, ormai bistrattati da secoli da innu-merevoli ipotesi formulate da stu-diosi ufficiali e outsiders, non po-tranno mai essere pienamente sve-lati; resta per ora come soluzione quella di indagare il nuraghe nella sua planimetria e architettura, su

La stanza de sole nuraghe S.Barbara

Alba Equinozio

Alba Solstizio d’inverno

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quella pietra sapientemente posata da mani antiche, che ancora oggi paradossalmente racconta ad occhi che sanno osservare. Quello che Il gruppo G.R.S. propone non sono nient’altro che palesi testimonianze fotografiche a prova del più scettico “San Tommaso” e null’altro voglia-mo dare da queste ricerche, se non una flebile possibilità di riflessione. Alla “luce” di questi avvenimenti,

sempre più numerosi e non casuali, è palese come sia arrivato il mo-mento di abbandonare la visione unidirezionale del nuraghe fortezza o dimora del capo, in voga ormai da quasi un secolo e di gettare nel di-menticatoio quella di abitazione, luogo di riposo o magazzino, per iniziare a considerare l’ipotesi che tali strutture fossero dei templi de-dicati al culto solare, cosa che acco-muna quasi tutte le civiltà megaliti-che e ciclopiche, e che i costruttori di tali edifici avessero delle avanza-te conoscenze in campo astronomi-co.

Approfondimento bipenne

La Labrys o ascia bipenne è un ar-ma simbolo, dai forti significati di-struttivi e riparatori, mediatrice dell’uomo con il divino. Di questo simbolo antichissimo si trova testi-monianza in tutto il Mediterraneo, nel Medioriente, in Africa e in Nord Europa e soprattutto anche in Sar-degna. L’ascia bipenne è facilmente associata come arma tipica dei guerrieri indoeuropei, grazie agli scavi archeologici diffusi in questi siti sono stati ritrovati reperti esem-plari appartenenti sia alle culture Celtiche e Vichinghe, alla Grecia Classica, e alla civiltà Nuragica; e-sempi di ascia bipenne, databili at-torno al 1500 a.C. sono stati rinve-nuti in Spagna, in Danimarca e a Creta, in Sardegna (Santa Vittoria di Serri e altri siti) e anche in Etruria. Questa arma di grande potere sim-bolico è stata attribuita a diverse divinità guerriere maschili o femmi-

nili. Secondo alcuni studiosi rappre-senterebbe il sole, il tuono, la forza dell'elemento celeste e la regalità, nelle culture Minoica e Cretese si pensa rappresenti rapporti stretta-mente legati al culto taurino come simbolo della potenza generatrice della natura, l'ascia dunque sarebbe utilizzata come strumento rituale per sacrificare gli stessi tori nei riti di tauromachia.

Nella Grecia Classica e nella cultura Celtica rappresentava anche la grande dea Madre, la più antica di tutte le divinità cretesi, simbolo della Terra, della fertilità e del po-tere femminile, creatrice universa-le. Per i Celti in particolare era il simbolo di Rosmerta “La Grande Dispensatrice” e dea della fertilità, che veniva sempre rappresentata con un'ascia bipenne al collo o in mano. In età romana, ma anche precedentemente, la labrys era lo strumento rituale usato nel sacrifi-cio del toro e di altri animali offerti alle divinità. Anche in massoneria l’ascia bipenne infissa nella pietra cubica assume un significato simbo-lico particolare, il cercare di pene-trare il vero significato delle cose.

Sincretismi in riti e feste popolari.

Da una canzone popolare raccolta da Francesco Enna in Sos cantos de foghile, si racconta una storia dalle antiche origini, trasmessa oralmen-te (in versi) per non perderne la me-moria. Nella canzone di Maria Giu-sta come interpreta la Dolores Tur-chi riemerge con evidenza il culto delle acque praticato da sacerdotes-se munite dell’ascia bipenne a scon-giurare i drammi e le tragedie della calamità e in primis della siccità.

Palazzo di Malia(Creta), e chiesa di San Giovanni Battista di Tramatza (Or) rappre-

sentazione della bipenne

Foto 1

Foto 2

Foto 3

1 )Chiesa si Sant’Andrea apostolo a Villanova Truschedu: bipenne e altri simboli scolpiti sui lati delle finestre. ( 2) San Pietro Ponte a Quartu S.E. Archetti pensili con teste di toro scolpiti. (3) Chie-sa di S. Andrea (Quartu) loggiato sorretto da travi in legno in forma taurina.

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A Nuoro è ancora vivo il ricordo di donne che durante periodi persi-stenti di siccità, radunavano gruppi di bambini che muniti de “sas ruchit-tas” stecche di canne verdi incrocia-te e sostenute da un bastone di feru-la nella forma ricordante la sacra bi-penne, andavano in una sorta di pro-cessione al fiume per fare cessare questa avversità.

Scavi archeologici

Santa vittoria di SerriAl santuario nuragico S. Vittoria di Serri siamo di fronte all’autenticità della testimonianza di fede della reli-giosità “Nuragica” e dei riti svolti da-gli antichi sardi. Il sito comprende sia un pozzo sacro, un nuraghe, un re-cinto delle feste e numerose altre costruzioni, oltre all’omonima chie-setta di Santa Vittoria. I ritrovamenti dei ricchi depositi votivi attorno al tempio a pozzo e nelle numerosissi-me capanne cultuali hanno restituito un tesoro inestimabile composto da spade, pugnali, lance, contenitori di bronzo, oltre ai classici bronzetti of-ferenti, madri con figlio in grembo, sacerdotesse, oranti, arcieri, capotri-bù con bastone di comando, inoltre ancora rappresentazioni miniaturisti-che di contenitori in bronzo per der-rate, carri, figurine di colombe, tori, cervi, capre volpi, protomi animali di navicelle nuragiche, aghi crinali in bronzo, pugnali ad elsa gammata, bracciali, anelli, ceramiche e tanto altro ancora, segno incontrastabile di secoli di frequentazione di questa area sacra. Tra i reperti ritrovati ven-nero alla luce sculture zoomorfe as-solutamente rilevanti, due protomi taurine in calcare, dimostrazioni dell’arte scultorea a tutto tondo pro-venienti dal tempio a pozzo, da rife-rirsi a quella divinità –toro adorata sin dall’età neolitica.

In quasi tutto il sito , nelle capanne del recinto delle feste, nel tempio ipetrale, nella torre con finestrelle, nel recinto dei fonditori, e in altre, ancora persiste allo stato stratigrafi-co i resti di pasti sacrificali composti da bovini, suini, ovini, cervi, e le im-mancabili valve di molluschi (Cardium o Mythilis) . In particolare portiamo all’attenzione la “Capanna della Bipenne” all’interno della quale è stato ritrovato, ai piedi dell’altare, un pilastrino che si inseriva in una basetta con una dentellatura supe-riore in pietra calcarea ed una gran-de ascia bipenne in bronzo lunga 27 cm (Inspiegabilmente non visibile in nessun museo). Lo stesso Taramelli la definì la “Sacra Bipenne Betilica” ad uso di sacrifici rituali di animali, confermato dallo stesso recinto delle feste e altre parti dell’area sacra che ne mantenevano le tracce.

Foto 4

Foto 5

(4 ) Chiesa di San Pietro di Bulzi, Testa taurina scolpita sui pilastrini degli archetti. ( 5 ) Santua-rio di San Bachisio, Bolotana. Tre teste di toro scolpite sul cordone dell’architrave della porta d’ingresso. ( 6 ) Chiesa di San Francesco, Ori-

stano. Toro scolpito.

Una estrapolazione del disegno di Elio Moncelsi ( Dolers Turchi Maschere, miti e feste della Sardegna)

Capanna della bipenne

Foto 6

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Anche nella capanna delle Bipenne, presso la base dell’altare, sono stati rinvenuti resti di abbondanti pasti, ma quello veramente sorprendente e che il Taramelli operò un saggio di scavo sotto il pavimento lastricato in calcare, e portò mise alla luce u-na sottostante pavimentazione sempre realizzata in lastre di calca-re. Lo strato di terriccio tra i due pavimenti conteneva oltre ai resti di pasto anche (sicuramente offerte votive) manufatti nuragici, cerami-che, frammenti di pugnale, anelli, statuette bronzee e anche un mo-dellino di bipenne immanicato. Alla luce di questo ultimo reperto lo stesso Taramelli ne testimonia la persistenza del culto della bipenne nelle due fasi edilizie della capanna. Questo modo frettoloso di identifi-care “due fasi edilizie” appare poco convincente ed è prova invece di una persistenza del culto con le me-desime modalità, testimonianza della prosecuzione dei riti religiosi senza che vi sia stata alcuna cesura “etnica”. In questi ambienti dediti al culto gli occupanti non ripulivano intenzionalmente il luogo e anzi, sovrapponevano a più strati le of-ferte sacrificali di pasto o di oggetti in ceramica e bronzo lasciando il tutto in uno stato di conservazione volontario ( La luce del Toro PTM Mogoro 2011 capitolo VII). Questa

condizione di fatto è riscontrabile in molti siti dove si è operato uno sca-vo stratigrafico vuoi che essi siamo templi a pozzo, capanne “cultuali”, e gli stessi Nuraghes.

Il complesso nuragico Antigori Sarroch

Il complesso nuragico di Antigori è un insediamento costituito da diver-se torri, rocce naturali e cortine ret-tilinee a circondare un colle che si innalza a dominare visivamente cir-

ca venti chilometri di spiaggia, da Cagliari sino a Punta Zavorra. La stessa collina va a consumarsi verso il mare non prima dell’attuale stabi-limento petrolifero di Sarroch. Di tutto questo complesso prendia-

mo in esame il vano A che presenta una pianta quadrangolare (3.20 /2.20 m) nonostante gli scavi clandestini abbiano in parte rovina-to le sequenze stratigrafiche della parte centrale, sono stati conseguiti comunque scavi stratigrafici dei de-positi che residuavano lungo le pa-reti orientale e occidentale. Di que-sto vano permane il dubbio che fos-se coperto a volta ogivale anche se risulta molto più probabile una co-pertura a frasche come le classiche capanne. La ceramica nuragica in associazione a quella Micenea (alcuni frammenti sono stati datati con certezza al Miceneo IIIb e al IIIc ) è stata ritrovata nei diversi strati recenti e antichi e in quest’ultimo e altri è stata rinvenu-ta solo ceramica nuragica. Questo conferma il sito prettamente di ma-trice nuragica, che tuttavia mostra una certa consuetudine con contatti diretti con Micenei in loco oppure di plausibile diretta importazione nu-ragica. Una curiosità allo strato 2 è il ritrovamento di una quarantina di pesi da “rete” di forma cilindrica con base piatta rinvenuti disposti in strati sovrapposti e con costante andamento a semicerchio, i quali fanno pensare per la loro giacitura a una rete da pesca arrotolata a dete-riorarsi in situ (questo secondo l’interpretazione dell’archeologa R. Assorgia). Questa lettura lascia al-quanto perplessi nel giustificare una disposizione regolare di pesi cilindri-ci (in piombo o litici non è stato chiarito ) di una rete da pesca, non fosse peraltro che l’abbandono di tale rete in un vano così esiguo, troppo evidente e ingombrante, avrebbe ingenerato il buon senso del recupero di tali pesi o molto più semplicemente la rimozione (pulizia). Le disposizioni regolari di

Arbus località Riu D’Ome e S’Orcu Bipenne miniaturistica in piombo IX – VIII a. C.

Reperto dell’alta Marmilla

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questi oggetti cilindrici son più da ascrivere a dei gesti cultuali, visto anche lo stato di rinvenimento e la loro particolare disposizione in stra-ti sovrapposti, la quale sarebbe si-curamente stata sconvolta dalle successive frequentazioni antropi-che di poco successive.Nel saggio di scavo lungo la parete Est del vano A, oltre a restituire frammenti ceramici Nuragici e Mi-cenei è stata portato alla luce la straordinaria doppia Ascia Bipenneminiaturistica votiva in piombo con foro impervio per infissione sul ma-nico h 2,5 / 3 cm largh. 5 cm. Recen-ti indagini (non chiarite) hanno ap-purato che tale reperto proviene dalla grotta sepolcrale “O”.Risalenti all'età del bronzo, anche in

Sardegna, l’ascia bi-penne (uno dei sim-boli più belli e carat-teristici da osservare) è presente sia come reperti che come po-tente simbolo cultua-le. Secondo alcuni archeologi quella for-ma era per l'uomo nuragico la rappre-sentazione delle cor-na del toro, oppure

della falce lunare, associando il bi-nomio "toro-sole" e "vacca-luna".

I TRE ASSI e il primigenio simbolo della Bipenne

È ormai noto che i punti cardini del sole e della stessa luna non hanno subito sostanziali variazioni in rela-zione al fenomeno della precessio-ne degli equinozi, poiché la diffe-renza misurata è di 40’ primi. Di conseguenza la posizione del sole alla sua levata e al suo tramonto è sostanzialmente quella che osserva-vano gli antichi Sardi dell’età del bronzo. Una persona dedita ad os-servare l’astro del sole in uno stesso luogo nell’arco di un anno, munita di semplici mezzi, come dei paletti, poteva raggiungere lo scopo di ave-re un quadro generale del moto ap-parente del sole, fattore che in quel periodo sicuramente manifestava un livello di conoscenza elevato.La figura della bipenne dunque, per nostra in-terpretazione, si può inserire in uno schema o in un simbolo che rappresenti la levata e il tramonto del sole nei periodi principali dell'anno come solstizi ed equinozi. In modo elementare gli antichi potevano raffigurare, inciso come un simbolo appunto, una formula riassuntiva, un “progetto di realizzazione generi-ca”, che racchiudeva in sé gli ele-

menti basilari per la realizzazione dell’opera, stilizzata con la forma della croce di Sant’Andrea ovvero come la Bipenne. Lo schema dei tre assi dimostra come in modo empirico si potevano rilevare gli orientamenti del sole nei momenti più importanti du-rante il trascorrere

dell'anno. Nello schema si osserva la disposi-zione dei tre assi seguendo una logi-ca semplice ma efficace, in primis si inserisce un palo per terra in dire-zione di un solstizio, in un secondo tempo il secondo palo segue la linea dell'altra alba del solstizio, cosi a formare in quella determinata posi-zione un intersecarsi delle due om-bre.

Di conseguenza il terzo palo posto al centro dell'incrocio rileverà gli equinozi. In questo modo la figura che si crea è quella di una bipenne, infatti quando il sole sorge a 58°, l’alba del solstizio d'estate, la luce solare che colpisce l’asticciola di legno crea un ombra che va in dire-zione dei 238° dove avviene il tra-monto al solstizio invernale. E di conseguenza l'ombra creata dall'asse posizionata verso i 122°, l’alba del solstizio invernale, darà la direzione opposta cioè 302°, tra-monto del solstizio d'estate.

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Senza fare sforzi non avre-ste nulla. Non possedete un'anima per avere tutto presto. Altro pensiero è stare bene con voi stessi e per questo non vi serve alcuna passio-

ne. Non avete nessun bisogno di mettervi in gioco per co-se che non sono date.Quando una Creatura sente delle necessità che la spin-gono a cercare, vuol dire

che tutto quello che la cir-conda non corrisponde alle sue esigenze.Una cosa è cercare il bene della propria salute e un'al-tra cercare cose che ti tur-bano il cuore.

LIFE AFTER LIFE DI NOEMI STEFANI

IL DESTINO È NELLE NOSTRE MANI.

MAI ARRENDERSI (DETTATO DA JESUS)

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Meglio essere senza denti e avere il pane o perdere tutto il cibo perché nessu-no pensa a te come tu ti senti di essere?Non siete umani per avere tutto. Siete umani per ave-re ciò che viene dato per tenervi sollevati dalle trap-pole del dannato. Quello che vedete scintilla-re non è oro vero. È solo un pessimo percorso che vi viene mostrato per sviare ciò che veramente vale.L'allegria e la capacità di sentire le paure di chi ti sta accanto, sono doni che porti. Secondo te valgono poco?Una sola cosa vale quanto il tesoro più grande di tutto l'universo. Un bel sorriso per te. Nessuno può portartelo via, nessuno può turbare la tua serenità se riesci a im-pedire ai mostri che vi stanno perseguitando di fare che vi tolgano la pace. (Politici)Una sola cosa potreste fare e ve lo voglio dire perché lo sappiate.Insegnare ai vostri figli una sana esatta "inconcludente" vita per-ché possano avere una vita esatta e incontrare le op-portunità che desiderano

vivere."Inconcludente" non signi-fica senza scopo. Significa che non segue i dettami e gli scopi che loro vorrebbe-ro che voi viveste.Non state a pensare al fu-turo che verrà. Non state a preoccuparvi se le cose possono essere peggiori o migliori.Il caso non può fare danni, il destino che vorreste è de-ciso da chi una volta decise di essere umano.Sarà secondo la vostra par-ticolare decisione, senza seguire nessuno.Avete bisogno di stare in pace, avete bisogno di ave-re una sicurezza che vi dia serenità.Lasciate che tutto sia se-condo le vostre decisioni e poi se tutto è conforme alle aspettative, avrete una se-rena vittoria.Se togliete le aspettative e lasciate che il destino prov-veda, sarà soltanto un ri-piego e perderete il senso di ciò che volevate.Non perdete il senso della volontà. Decidete ciò che volete e poi portatelo fino alla fine, senza avere pau-ra di quello che sarà. Alla fine avrete già avuto la vo-stra vittoria, una vita se-condo le vostre decisioni, e

non un seguire il pessimo interesse che vi distoglie da voi.Vedrete che le cose sono facili, sono più facili di quello che pensate. Abbiate fede in voi stessi e state attenti a non cadere nei tranelli di chi vi vuole separare dal vostro Credo.

Faccio un breve commento perché so che non è facile da comprendere.Per quanto riguarda la pri-ma frase, Jesus dice che dentro di noi abbiamo già tutto per stare bene.E questo lo diceva anche nei Vangeli. Ma qui scende nel detta-glio e spiega qual è la diffe-renza del sapersi accontentare e subire pas-sivamente il destino che è frutto delle nostre scelte, e decidere noi stessi.. Dice invece che è gioia es-sere consapevoli, dice di fare un progetto di vita, e viverla fino in fondo. Secondo i dettami del no-stro vero "io" e non quello che è giusto secondo il resto del mondo.Non è bellissimo?

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Con la pubblicazione di questo studio ricor-diamo il ricercatore Philip Coppens, recen-temente scomparso.

Simone Barcelli

Un tempio antico di 12.000 anni che è oggetto di scavi in Turchia sta ri-scrivendo la storia. Sembra apparte-nere ad una civiltà più vasta sino ad ora sconosciuta e che si sta sco-prendo lentamente.Cinque millenni ci separano dalla nascita dell'Egitto antico verso il 3100 a. C. Aggiungiamo ancora cin-que millenni e siamo nel 8100 a. C., l'inizio dell'era del Cancro. Aggiungiamo un altro millennio e mezzo ed otteniamo la data in cui Göbekli Tepe, è stata costruita negli altipiani della Turchia vicino alle frontiere irachena e siriana.Archeologicamente classificato co-

me sito preceramico, un periodo neolitico (verso il 9.600-7.300 a. C.), il tempio più antico del mondo è situato nella prima parte di quest'e-poca ed è stato datato al carbonio 14 al 9.500 a. C. È l'epoca in cui sa-rebbe sparita l'Atlantide di Platone. Ed è stato costruito 5.000 anni pri-ma dell'emergere di ciò che molti considerano come la civiltà più anti-ca Sumer, non molto distante da Göbekli Tepe quando si discende l'Eufrate e si lasciano gli altipiani dei monti Taurus in Turchia.Göbekli Tepe è un sito incredibile. David Lewis-Williams, professore di Archeologia all'Università di Witwa-tersrand a Johannesburg, dichiara che "Göbekli Tepe è il sito archeolo-gico più importante del mondo". Si tratta di una piccola collina all'o-rizzonte, a 15 chilometri a nord-ovest della città di Sanliurfa, più co-munemente conosciuta con il nome di Urfa, che è stata legate con l'A-bramo biblico (alcuni pretendono che Urfa era la città di Ur menziona-ta nella Bibbia) e che ha un tempo accolto il Santo Mandylion, on lega-me con la Passione del Cristo. Anche conosciuto con il nome di Edessa, Urfa è sul bordo della zona piovosa dei monti Taurus, fonte del fiume che attraversa la città e rag-giunge l'Eufrate. Urfa era (ed è an-

cora) un'oasi, il che potrebbe spie-gare perché Göbekli Tepe è stata costruita nelle vicinanze. Una statua di grandezza naturale in calcare che è stata trovata ad Urfa, presso lo stagno Bailli Gol, è stata datata al carbonio 14 tra i 10.000 e 9.000 anni a. C., il che ne fa la più antica scultura in pietra mai scoper-ta. I suoi occhi sono fatti di ossidia-na.Un vecchio pastore curdo, Savak Yildiz, ha scoperto la vera natura di Göbekli Tepe nell'ottobre del 1994, quando, scorgendo qualcosa, ne rimosse la polvere che espose una grande pietra di forma oblunga. Uno scavo del sito era stato effet-tuato dall'archeologo americano Peter Benoît nel lontano 1963, ma identificò la zona come un cimitero bizantino. Quando gli scavi dell'ar-cheologo tedesco Harald Haup-tmann e Adnan Misir e Eyüp Bucak del Museo di Urfa hanno iniziato nel 1995, hanno subito capito che il sito era qualcosa di più.Göbekli Tepe è una serie di struttu-re di circoli ed ovali situati soprat-tutto sui pendii di una collina, cono-sciuta con il nome Göbekli Tepe Zi-yaret. "Ziyaret" significa "visita", ma questo è spesso escluso da questo nome. Alcuni traducono "Göbekli Tepe" con "Ombelico del Mondo",

IL PIÙ ANTICO TEMPIO DEL MONDO

PHILIP COPPENS(TRADUZIONE DI ARIO LIBERT]

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"Göbek" non significa "ombelico" o "ventre" e "Tepe" significa "colline", la traduzione più corretta del nome del sito deve essere "la collina pan-ciuta".I media sensazionalisti hanno fatto per di più dei tentativi per legare Göbekli Tepe con il giardino biblico dell'Eden. Göbekli Tepe è molto an-tica, ma non è unica, né un giardino. Tuttavia, durante gli ultimi 50 anni, l'epoca dell'inizio della civiltà è stata progressivamente spostata indietro rispetto all'ascesa della civiltà su-mera sino alla costruzione di Göbe-kli Tepe. Ahimé, questo spostamento non ha ricevuto l'attenzione che meritava.

Retrodatare la nascita della civiltà

La scoperta della biblica città di Ge-rico e delle sue mura in pietra, data-ta a circa l'8.000 a. C. fu la prima a sospingere la data di nascita della "civiltà". ‘Ain Ghazal che è spesso considerata come un sito gemello di Gerico con i suoi 15 ettari, è il più grande sito neolitico del Medio Oriente ed è quattro volte più gran-de di Gerico. L'americano Gary O. Rollefson, il suo principale archeolo-go, è stato capace di datare la città

al 7.250 a. C., ed esistono prove che l'agricoltura nella regione risale al 6.000 a. C. più tardi della creazione della città stessa. Al suo apogeo, 2.000 persone vivevano a Ain Gha-zal.Tuttavia, nel 5.000 a. C. la città è completamente deserta. Trenta sta-tue sono state scoperte, misuranti dai 35 ai 90 centimetri, sono degli esseri umani apparentemente, ma che potrebbero rappresentare delle divinità o gli spiriti degli antenati. La scoperta di Gerico dà ulteriore peso all'argomento secondo il quale la Bibbia è storia, non un mito. Ma quando si viene a sapere suc-cessivamente che esistevano anche dei siti più antichi di Gerico, "sfortunatamente" che non si trova-no in Palestina, ma più a nord, in Anatolia, nel sud-est della Turchia, l'interesse dei media per queste nuove scoperte sembra esaurirsi.Il più famoso di questi siti è Çatal Höyük. È stato scoperto nel 1958 dall'archeologo britannico James Mellaart, che ha cominciato gli scavi nel 1961 e che ha infine datato il sito tra il 7.500 ed il 5.700 a. C. È il più grande ed il meglio conser-vato dei siti neolitici scoperti sinora. Mellaart lo ha descritto come una "Roma del neolitico", ed essa è ve-ramente degna di questo nome: "città". Le sue costruzioni mostrano dei segni evidenti che i suoi abitanti possedevano una religione, etichet-tata da alcuni come un culto della Dea Madre, benché questa teoria sia stata oggetto di numerose con-troversie.Ciò che sappiamo, è che i morti era-no sepolti sotto il pavimento degli edifici, e che molte di queste strut-ture contengono delle rappresenta-zioni di tori. Alcune persone hanno anche lasciato intendere che esiste probabilmente un'origine comune tra Çatal Höyük e la civiltà minoica di Creta, a dispetto del fatto che le separino 3.000 anni.Çatal Höyük era la prima di alcune scoperte che hanno svelato lenta-

mente la storia antica della regione turca. Göbekli Tepe non è che uno dei numerosi siti molto antichi ed è il più antico scoperto sino ad oggi. Tuttavia, l'esistenza di questi siti non è stata segnalata che sulla stampa specializzata, benché ogni sito abbia un carattere sensaziona-le.Il sito di Çayönü, situato a circa 96 chilometri da Göbekli Tepe, è con-forme ad una concezione che è nota come "pianta a griglia". Ciò rivela che una pianificazione minuziosa entrò nella sua costruzione. Gli Americani Linda e Robert Brai-dwood, in collaborazione con l'ar-cheologo turco Halet Cambel, han-no cominciato a scavare Çayönü nel 1964 ed hanno constatato che i pia-ni delle costruzioni erano fatte di granito (calce viva e argilla), anche se al momento della scoperta, si pensò che ciò era stato utilizzato dapprima dai Romani. Il sito ha an-che rivelato l'utilizzo di metalli e la prima prova della fusione del rame, benché alcuni sostengano, tuttavia, che il rame sia stato martellato a freddo piuttosto che fuso. L'utilizzazione del rame non è una sorpresa totale, perché il sito è a portata dei giacimenti di minerale di rame (ed anche di ossidiana) di Er-gani nella vicina provincia di Diyar-bakir. E tutto ciò in un sito datato tra il 7500-6600 a. C. Çayönü è spesso considerato come il sito in cui cominciò l'era che dove-va approdare a Çatal Höyük.Çayönü presenta delle prove dei primi porci da allevamento, ma ha rivelato anche un tesoro di crani umani, se ne scoprirono sotto un altare, a forma di lastra e macchiato di sangue umano. Alcuni hanno con-cluso che si trattava di un'indicazio-ne di sacrificio umano, mentre altri non hanno voluto trarre questa conclusione avendo a disposizione un solo tipo di questo manufatto. Altre prove archeologiche suggeri-scono che alcune persone sono sta-te uccise in enorme fosse della mor-

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te, mentre dei bambini sono stati sepolti vivi dentro pozzi o grandi contenitori di bronzo. Çayönü è dunque una civiltà, ma forse non come ci piacerebbe conoscerla.Un altro sito importante è Nevali Cori, nella provincia di Hilvan tra Diyarbakir e Sanliurfa. Qui, gli scavi di Harald Hauptmann sono iniziati nel 1979 ed egli ha potuto scoprire delle statue di pietra calcarea. Nel 1991, il sito è stato sommerso da un lago dopo la costruzione della diga Atatürk. Condivide numerosi paral-leli con Göbekli Tepe ed è datato tra il 8400-8000 a. C. Tutti gli oggetti ritrovati sono ora nei musei, com-presa una testa a forma d'uovo a grandezza naturale con delle orec-chie rozze ed una coda di cavallo scolpita, essa fu ritrovata in una nic-chia al centro di un muro nord ovest. Fatto interessante, la coda di cavallo è infatti un serpente a fregio che termina con un fungo a forma affusolata. Qualsiasi cosa essa cer-chi di rappresentare, l'archeologo tedesco Klaus Schmidt pensa che si tratti di un idolo.Nevali Cori ha preparato il terreno a Göbekli Tepe: poco tempo dopo la sua scomparsa sotto le acque, Göbekli Tepe è stata sommersa dal-le sabbie. Numerosi sono coloro che sottolineano la forma a T, Dei pila-stri di Göbekli Tepe come la "firma"

del sito. Tuttavia, pilastri a T, sono stati trovati anche a Nevali Cori. Nevali Cori è più quadrato che di forma circolare, anche se una cinta quadrata è stata trovata a Göbekli Tepe. Benché esistano alcuni paral-leli tra i due siti, i pilastri di Nevali Cori sono tuttavia più piccoli ed il suo santuario è situato nel cuore di un villaggio.

Il sito Göbekli Tepe rivelato

In paragone al sito di Göbekli Tepe è debole. L'autore britannico Andrew Collins ha paragonato la sua dimensione a quella di "tre campi da tennis". I suoi principali scavatori sono Klaus Schmidt e Harald Hauptmann dell’Istituto te-desco di archeologia, a Istanbul. Tutti i complessi a Göbekli Tepe che essi hanno scoperto sinora sono caratterizzati da strutture conte-nenti dei pilastri a T.Questi pilastri sono stati utilizzati come "delle tavole da disegno" e molti rappresentano degli animali, con una preferenza evidente per i cinghiali, le volpi, dei rettili, dei leo-ni, dei coccodrilli e degli uccelli, così come per gli insetti ed i ragni. La maggior parte tra di loro erano intagliati sulle superfici piane dei pilastri. Tuttavia, alcuni sono delle sculture tridimensionali, di cui una

scoperta, nel corso della stagione di scavi 2006, rappresenta un rettile che scende sul lato di un pilastro a T, il che dimostra che colui che ha creato quest'ultimo aveva padro-neggiato l'arte della scultura su pie-tra su un piede di eguaglianza con quelle che, migliaia di anni dopo, vedremo a Sumer ed in Egitto.Sino ad ora, quattro complessi cir-colari, ovali sono stati scavati. Le mura sono fatte di pietra a secco e grezze e suoli terrazzati. L'interno delle mura hanno in genere alcuni pilastri a T divisi lungo queste stan-ze in un motivo raggiante, la pro-fondità del pilastro normalmente contro o vicino al muro affinché le due facce principali del pilastro pos-sano essere scolpite e viste da chi-unque è presente all'interno del complesso. Un banco basso corre lungo tutto il muro esterno di ogni complesso.Le strutture sono situate sul versan-te sud della collina, orientato ap-prossimativamente nord-sud, con la loro entrata a sud. Tutti i pilastri a T sono stati ricavati da una cava di pietra sulla pendenza sud-ovest in basso alla collina. Uno dei pilastri è rimasto in situ nella cava, ha sette metri di lunghezza e tre metri di lar-ghezza, e se fosse stato interamen-te scavato sarebbe pesato 50 ton-nellate, ciò evidenza che la costru-zione con pietre che pesano tonnel-late non è iniziata in Egitto o in In-ghilterra con Stonehenge.Il complesso A, la prima struttura circolare ad essere stata scavata, è detta "l'edificio a colonne di serpen-te", perché le rappresentazioni del serpente prevalgono nelle sculture sui pilastri a T. Una è una rete di serpenti. Un altro pilastro, tuttavia, rappresenta una "triade" il toro, la volpe e la gru, posti uno sull'altro. Alcuni pilastri rappresentano soltan-to un toro, altri soltanto una volpe, e così via.Il complesso B misura nove metri di diametro, misurato da est ad ovest e da 10 a 15 metri da nord a sud

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(parte ancora non scavato). È tuttavia il solo complesso scavato sino al livello del pavimento che ri-vela la superficie del terrazzamento. Due pilastri centrali hanno una grande volpe rappresentata su di essi. Il pilastro centrale, n° 9, è di 3,4 metri di altezza; il pilastro n° 10 è di 3,6 metri di altezza, il loro peso è di 7,1 e 7,2 tonnellate rispettiva-mente. Il complesso è stato chiara-mente concepito per ospitare que-sti pilastri monolitici, il che prova che i nostri antenati si trovavano a loro agio nel lavorare pietre gigan-tesche, e non soltanto nello scavo di cave ma anche nell'elaborazione e la decorazione. Gli archeologi pen-sano che 200 pilastri a T erano in origine a Göbekli Tepe. Se ognuno pesava "soltanto" cinque tonnella-te, ciò significherebbe che 1000 tonnellate di pilastri sono stati estratti e decorati, e ciò sottolinea l'importanza del sito e lo sforzo che è stato fatto per crearlo.Il complesso C è chiamato "il cer-chio del cinghiale", perché descrive alcuni maiali selvatici. Restano nove pilastri intorno il muro, ma alcuni sono stati rimossi ad un certo mo-mento in passato. Un pilastro mo-stra una rete di uccelli. Più tardi, altre culture sono conosciute per aver catturato delle gru migratrici nelle reti, ciò potrebbe essere un'usanza che si praticava molto prima di quanto si fosse creduto sinora?Il complesso C è interessante per-ché una pietra a forma di U è stata trovata lì, e si ritiene che essa possa essere stata la pietra d'accesso. Questa pietra ha un passaggio cen-trale di 70 centimetri di larghezza, ed un lato della U è sormontata da una rappresentazione di un cinghia-le; l'altro lato è purtroppo mancan-te. Ancora una volta, la forma a U ed il cinghiale sottolineano le com-petenze tecniche degli artigiani nel-la scultura, il che è dimostrato an-cor più sul pilastro 27, che raffigura la creatura rettile tridimensionale

citata prima. Questa scultura com-plessa potrebbe essere considerata come su un piede di eguaglianza con il David di Michelangelo.Il complesso è chiamato "lo zoo dell'Età della Pietra". Il pilastro 43 presenta degli scorpioni, ed alcuni pilastri sono infatti così abbondan-temente decorati, molto più inten-samente che negli altri complessi, tanto che Zoo "è del tutto una buo-na descrizione". Una volta ancora, vi sono due pilastri, i 18 e 31, molti altri pilastri rivelano dei simboli, come uno a forma di lettera H così come di una H ruotata di 90°. Il sito ha rivelato altri simboli, più precisamente una croce, una semi-luna decrescente e delle barre oriz-zontali, la prova che l'origine della scrittura è probabilmente molto più antica di quanto si pensi. Il pilastro 33 è la protagonista del complesso. Schmidt dichiara che le sue forme su questo pilastro sono vicine ai geroglifici egiziani, da cui egli pone l'esistenza di un linguaggio pittogra-fico durante il decimo millennio a. C.Insieme questi quattro pilastri e gli altri, rimasti intatti sono una serie di elissi e somigliano alla disposizione a forma ovale dei complessi dell'età della pietra ritrovati a Malta. Ciò è tanto più notevole in quanto le forme ovali di Malta sono state considerate come uniche, benché

alcuni megalitici in Sardegna pre-sentino ugualmente alcune tenden-ze alla forma ovale ma non così net-tamente come a Göbekli Tepe.Un tempio di "pietra" più in basso sul pendio è anch'esso di forma o-vale ed ha un'apertura verso la ca-mera di "sepoltura". Considerando che in altri siti queste aperture sono così strette che gli uomini non pos-sono penetrarvi all'interno, qui è abbastanza ampio da poterci entra-re. Da un'altra parte sul sito, sul ver-sante nord della collina, vi è una costruzione rettangolare chiamata "la costruzione con la colonna di leone". I suoi quattro pilastri hanno delle rappresentazioni di esseri leo-nini, che potrebbero anche essere delle tigri o dei leopardi. Un pilastro ha un graffito di 30 cen-timetri di altezza che rappresenta una donna rannicchiata che sembra partorire.

Speculazione su Göbekli Tepe

Gli scavi di Göbekli Tepe sono sem-pre in corso. Soltanto un quarto dei 200 pilastri a T sono stati scoperti sino ad ora, e tutte le strutture non sono state rinvenute. In breve, altre sorprese possono venire ancora fuori. È dunque presto per trarre delle conclusioni importanti, ma cosa può rappresentare tutto ciò? Il sito dimostra definitivamente che

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le cose che ci sembravano molto più recenti sono molto più antiche e tutte le persone presenti in un solo sito, situato in una regione che mo-stra che una civiltà degna di questo nome esisteva là, durante il X mil-lennio a. C., millenni prima di quan-to lo si sarebbe potuto supporre soltanto alcuni decenni prima. Klaus Schmidt ha qualificato Göbekli Tepe come "primo tempio" ed un "santuario del cacciatore dell'età della pietra". Egli vede il sito nel quadro di un culto della morte, non specificatamente legato ad un grup-po sedentario, ma è una specie di santuario centrale per molte tribù viventi nella regione. Si pensa che gli animali scolpiti siano lì per pro-teggere i morti. A Çayönü, come detto poco sopra, una sola struttura dispone di una cava in cui è stata constatata la presenta di crani uma-ni e di ossa. Sino ad ora, tuttavia, a Göbekli Tepe non vi è prova di alcu-na abitazione, sembra dunque esse-re stata puramente un centro reli-gioso.Una volta ancora, sembra che, così come era per gli antichi Egiziani, la civiltà che ha costruito Göbekli Tepe aveva molto più considerazione per i suoi edifici religiosi che per ogni altra struttura di carattere "pratico" o più materialista. Eppure sino ad oggi, il solo Complesso B è stata sca-vato sino al livello del suolo, non si

è scoperto nessuna tomba o nessu-na sepoltura. Alcuni hanno espresso delle critiche sul fatto che i caccia-tori-raccoglitori abbiano potuto cre-are una struttura come quella di Göbekli Tepe. Le numerose punte di freccia in silice (e la mancanza di utensili da costruzione) trovate in-torno al sito sembrano appoggiare questa critica, e si potrebbero an-che concepire questi oggetti nel quadro di cacce sacre piuttosto che nel quadro delle attività quotidiane per mettere procurarsi il nutrimen-to.Schmidt sostiene che i cacciatori-raccoglitori si sarebbero radunati in questi luoghi durante certi periodi dell'anno. Se questi incontri erano determinati da cicli solari o lunari, lo si ignora, ma è tuttavia una que-stione interessante su cui meditare. Allo stesso modo si può logicamen-te concludere che coloro che hanno costruito il sito vi vivevano e aveva-no una risorsa dedicata fornita da altri che li hanno sostentati nei biso-gni alimentari e di alloggio. Gli ar-cheologi hanno stimato che sino a 500 persone sarebbero state neces-sarie per estrarre i pilastri di 10-20 tonnellate e per spostarli dalla cava alla loro destinazione, su una di-stanza che andava dai 100 ai 500 metri. Tuttavia, Schmidt pensa che il mantenimento della comunità dei costruttori è stata la vera ragione per la quale i nostri antenati hanno "inventato" l'agricoltura: essi hanno iniziato a coltivare le erbe selvatiche sulle colline per nutrire questa po-polazione sedentaria. In breve, egli stima che "la religione ha motivato i popoli ad intraprendere una coltiva-zione agricola".E manifestando un significato ritua-le, Göbekli Tepe, con i suoi grandi blocchi di pietra decorate con gu-sto, rivela che i suoi creatori aveva-no una straordinaria capacità e fa-miliarità con l'arte muraria e la scul-tura. Che i nostri antenati nel 10.000 a. C. siano stati così abili è una scoperta archeologica che can-

cella convinzioni durate a lungo sull'origine della civiltà. In quanto alle sculture, perché alcuni animali sono stati scelti e altri no? Perché le rappresentazioni non sembrano avere un'organizzazione chiara ed evidente, ma sembrano essere una raccolta casuale? La verità è: non lo sappiamo. Nelle civiltà successive, tutti questi animali hanno ricevuto degli attributi divini. Alcune culture hanno scelto di dipingere dei ser-penti perché questi animali cambia-no la pelle, che essi consideravano simbolo di rinascita. Altre hanno optato per lo stesso animale per motivi diversi. Sino ad ora, non c'è alcun mezzo per conoscere le cre-denze dei creatori e di coloro che risiedevano a de Göbekli Tepe.Alcuni osservatori hanno evidenzia-to che alcune delle gru sono dipinte con ginocchia simili a quelli degli uomini ed hanno suggerito che una forma di sciamanesimo è stato pra-ticato in questo tempio. I siti fratelli hanno rivelato delle sculture rap-presentanti un intreccio animale ed umano, in particolare quella con un corpo di uccello ed una testa uma-na. Gli Egiziani, migliaia di anni do-po, hanno utilizzato questo simbolo come uno geroglifico rappresentan-te il ba, l'anima dell'uomo liberata dal corpo al momento del decesso o durante il volo sciamanico.Andrew Collins ha particolarmente insistito sul potenziale sciamanico di questi siti nell'attuale Turchia. L'immagine della donna nuda men-zionata precedentemente descrive i suoi capelli a forma di cappella di fungo. Il lato di un pilastro a Göbekli Tepe comporta una serie di serpenti dalla testa a forma di fungo, quattro che scendono verso il basso ed un quinto che sale loro incontro, men-tre l'altro mostra alcuni serpenti allacciati tra di loro che portano del-le cappelle di fungo, otto emergono sulla cima ed un nono in basso. È questa la prova di un rituale impli-cante i funghi allucinogeni o sostan-ze simili che alterano la psiche?

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Delle ossa di avvoltoio sono state trovate a Nevali Cori, Göbekli Tepe e Jerf el-Ahmar (in Siria). Un sito di grotta comunitaria, Shanidar, nei monti Zagros nel nord dell'Iraq, con-teneva una serie di ali di uccelli recise ricoperte di ocra rossa. I resti sono stati datati al 8.870 a. C. Le ali si presumono siano state uti-lizzate in alcune cerimonie, ma co-me resta ignoto.Tuttavia, si sa che, in un passato remoto, la gente di questa regione poneva i corpi dei morti su delle grandi strutture e lasciavano che gli avvoltoi mangiassero la carne dei morti. Le rappresentazioni di una tale scarnificazione neolitica sono state trovate su un affresco a Çatal Höyük. Fatto interessante, delle os-sa umane sono state recentemente trovate nel suolo che riempivano le nicchie dietro i megaliti a Göbekli Tepe. Schmidt afferma: "... gli anti-chi cacciatori portavano i cadaveri dei parenti qui, e li esponevano in nicchie aperte tra le pietre. I cada-veri erano in seguito scarnificati. "Non soltanto gli avvoltoi ma anche gli animali selvatici sembrano aver preso parte a questo rituale. Questo può spiegare perché un così gran numero di animali è rappresentato sui pilastri a T: forse il popolo che ha costruito questi siti ha creduto che "qualcosa" dei morti viveva in questi animali.

Culla della civiltà

Sappiamo che Göbekli Tepe ed i suoi siti fratelli hanno respinto l'età delle costruzioni monolitiche, molto più lontano nel tempo. In preceden-za, abbiamo cercato dei monumenti come Stonehenge e le piramidi d'Egitto, ma ora,constatiamo che i nostri antenati hanno trasportato delle pietre massicce per le loro co-struzioni 12.000 anni fa circa. Anche se una struttura come la Sfinge fos-se improvvisamente ritrovata e risa-lente a 10.000 anni fa, la reazione immediata sarebbe ora: "E allora?

non è unica". D'altronde, se le date di alcuni di questi siti in Turchia an-ticipano il tempo presunto dal ca-lendario degli avvenimenti come la scomparsa di Atlantide o il Diluvio Universale, ciò significa che questi antenati più antichi non possono essere considerati come "sopravvissuti di un diluvio".La nostra storia antica è diventata molto più interessante e complessa. Le culture che sono seguite alla creazione di Göbekli Tepe hanno addomesticato i porci, le pecore, i bovini e le capre e le specie di cereali coltiva come il farro. Infatti, una recente analisi ha dimo-strato che la prima cultura di cerea-le addomesticato è avvenuta a Karacadag, una montagna a 32 chilometri da Göbekli Tepe. Gli altri cereali addomesticati, come la segale e l'avena provenivano anch'essi da qui. Secondo Schmidt, quest'avventura è iniziata verso l'8000 a. C.È facile ed allettante considerare questa regione come "la culla della civiltà", ma il fatto è che è già stato provato che il mais è stato concepi-to in Messico alla stessa data, sotto-lineando il modo in cui le frontiere della "civiltà" sono respinte sui due continenti. Infatti, esistono delle prove che le pecore di Barbaria so-no state allevate dai nostri antenati

nel nord Africa sin dal 18.000 a. C. Inoltre, alcuni semi di farro sono stati trovati sul sito palestinese di Nahal Oren, che suggerisce che la coltivazione di questa pianta è avve-nuta sin dal 14.000 a. C.È chiaro, ad ogni modo che Göbekli Tepe non è isoalata. Può ricevere molta attenzione, ma un altro sito, Karahan Tepe, a 63 chilometri ad est di Urfa sui monti TEKTEK, merita attenzione. Scoperto nel 1997 e stu-diato dall'archeologo Bahattin Çelik della Società di storia turca, è stato datato tra il 9.500-9.000 a. C. C'è un certo numero di pilastri a T, così come degli altorilievi di un ser-pente e altre sculture simili a quelle di Göbekli Tepe. Coprendo una su-perficie di 325.000 mq, Karahan Te-pe è molto più grande di Göbekli Tepe. I pilastri di pietra sono distan-ziati ad 1,5 a 2,0 metri e sporgono dal terreno, aspettando che un ar-cheologo li porti del tutto alla luce. Altre pietre scolpite includono un torso martoriato di un uomo nudo e della pietra levigata con forme di capre, gazzelle e conigli.È Troppo presto per trarre delle conclusioni straordinarie su questi siti, a parte il fatto che la nostra storia non è più così come la cono-scevamo. Ma proprio come Gerico ha in parte dimostrato che la Bibbia contiene dei fatti storici, questi siti

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possono anch'essi dimostrare alcuni dei miti sumerici, che affermano che l'agricoltura, l'allevamento e la tessitura sono stati dati all'umanità da sacro monte Du-Ku, che era abi-tato dalle divinità Annuna. Benché sia poco probabile che questa mon-tagna sia stata Göbekli Tepe, siamo probabilmente nelle vicinanze del monte Taurus.Intorno all'8.000 a. C., i discendenti dei creatori di Göbekli Tepe si ribel-lano contro le realizzazioni dei loro antenati ed il loro tempio è stato sepolto sotto tonnellate di terra, creando così la collina artificiale, il "ventre", che vediamo oggi. La ragione per la quale essi hanno fatto ciò è sconosciuta, benché la decisione ha conservato il monu-mento per i posteri, benché ciò im-plicò anche una quantità straordina-ria di tempo e di fatica. Schmidt sostiene che il paesaggio locale ha cominciato a cambiare durante quest'epoca:che gli alberi venivano abbattuti, il suolo comin-ciò a perdere la sua fecondità, la regione è diventata arida e nuda, e le persone erano costrette a spo-

starsi altrove. Forse è in questo mo-mento che essi hanno cominciato la loro discesa e che, mille anni dopo, fondarono ciò che chiamiamo la civiltà sumera? Un tale scenario è soltanto una del-le possibilità.Anche nell'Egitto antico, delle co-struzioni religiose erano spesso ab-bandonate se non smantellate dopo un certo periodo perché appartene-vano ad un "ciclo" di tempo partico-lare oramai trascorso. Se questo fosse il caso di Göbekli Tepe, ciò vorrebbe dire che la cono-scenza dell'astronomia* è più antica di molti millenni. Gli ultimi cinque anni hanno così radicalmente modi-ficato la nostra comprensione del periodo tra il 10.000 ed il 4.000 a. C., più precisamente il livello di "civiltà" che i nostri antenati aveva-no raggiunto durante quest'epoca, che ciò non dovrebbe essere del tutto una sorpresa. E sembra che sia un dato di fatto che da qualche parte, delle città, ancora più antiche siano in attesa di essere scoperte.Tuttavia, è altrettanto chiaro che entrare nella mentalità di questi

cacciatori-raccoglitori, come essi vedevano questi animali e ciò che essi credevano accadesse dopo la morte, è un argomento difficile, che richiederà anni di studio. Ahimè, è un campo in cui pochi ar-cheologi osano arrischiarsi, e molto probabilmente, essi salteranno da un sito all'altro, come hanno fatto per molti decenni, scoprendo "soltanto" che la civiltà è molto più antica di quanto non lo si era sup-posto. Già altri siti sono in competi-zione con Göbekli Tepe. Il sito men-zionato in precedenza Jerf d’el-Ahmar, situato lungo l'Eufrate in Siria, è stato datato tra il 9.600-8.500 a. C. Altri siti presenteranno certamente presto le loro candida-ture. È probabile che tutti riveleranno di fare parte della nostra storia, ma non così come la conosciamo.

Più che dell'astronomia in termini generici, del meccanismo della precessione degli equinozi, concetto centrale e fondativo della mentalità arcaica di tutte le culture mondiali, nozione trasmessa esotericamen-te sino ai nostri giorni attraverso il mito, l'iconografia sacra, l'architettura e l'urbani-stica. Cfr. Giorgio de Santillana, Il mulino di Amleto e l'opera pionieristica "soppressa" di Charles François Dupuis L'Origine de tous les cultes del 1795 (nota del tradutto-re).

LINK al post originale:http://www.philipcoppens.com/gobekli.html

This article appeared in Nexus Magazine, Volume 16, Number 4 (June-July 2009) and Darklore (Volume 4).

Goodbye Fil...

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PremessaSe qualcuno approdando in Confe-renza sperava di assistere ad una carrellata di Oopart è rimasto delu-so. Si perché, inoltre, di Oopart veri ve ne sono molto pochi e siamo dell'idea che come out of place arti-facts non siano – ad esempio – clas-sificabili le Linee di Nazca o il com-plesso architettonico di Al-Jizah, i giganti di pietra nei pressi di Campa-na (Cosenza) o il Trilithon di Baalbek. Un Oopart è un oggetto appartenen-te per logica ad un'epoca necessaria-mente incompatibile col periodo a cui l'oggetto appartiene. Le mappe di Oronzio Fineo o di Mercator dove si evince l'Antartide sono affatto Oo-part poiché l'epoca è antecedente al periodo ufficiale della scoperta del continente ghiacciato. Gli esempi precedenti testimoniano semmai risultati di un'altra tecnologia a noi

sconosciuta e catalogarla nell'ambito degli oggetti fuori dal loro tempo è riduttivo delle vette cognitive sulle quali gli antichi ci hanno imposto la riflessione. Nemmeno i boomerang ritrovati nel-la tomba di Tut-Ankh-Amun possono definirsi tali: i 'bang' erano conosciu-ti fin da tempi immemori tra le po-polazioni dell'odierno Sudan, area piuttosto raggiungibile dall'Egitto pur con mille difficoltà. La riflessione è invece necessaria sulla presenza dei manufatti anche in Australia e possibilmente, sulla scorta di ulterio-ri indizi probatori o vere e proprie prove, ipotizzare contatti tra popola-zioni aborigene ed afro-orientali in periodi insospettabili. Siamo oltre-tutto dell'idea di relegare l'acronimo Oopart tra le inquietudini dell'Orto-dossia poiché per l'Eterodossia si tratta semplicemente di manufatti

antichi e neanche troppo sorpren-denti. È infatti tra i fondamenti ete-rodossi considerare lo sviluppo della civiltà come un processo ciclico, ripe-tibile, secondo canoni diversificati rispetto ai vari periodi (nessuno tranne i millantatori sognerebbe di trovare un 'Macintosh' nelle Grotte di Qumran; ma il 'meccanismo di An-tikythera' - per esempio - demolisce di misura il percepito di un passato a tenuta stagna, compartimentato tra 'clave e grugniti' da un lato e missio-ni odierne marziane dall'altro), forie-ro di condizioni in cui il 'comfort' so-ciale non è ascrivibile esclusivamen-te agli ultimi 60 anni.Questa Conferenza ha preso spunto da un'anomalia – presunta – ineren-te la capacità avionica degli antichi per sottolineare un paradigma evo-lutivo fondato sul percepito generale erroneo:

LA PERDUTA TECNOLOGIA DELLE ANTICHE CIVILTÀSIAMO DAVVERO LA PRIMA CIVILTÀ

AVANZATA DELLA STORIA?

CONFERENZA AM, 1° DICEMBRE 2012 BIBLIOTECA 'S, ZAVATTI' – CIVITANOVA MARCHE

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" l'evoluzione è a tenuta stagna e lineare ". Non è così e a dirlo non è l'Eterodos-sia: è l'Ortodossia...ExcursusL'agenda dell'incontro prevedeva tre punti fondamentali tra loro legati:- evoluzione umana- mito- anomalieQuale impianto espositivo? Dimostrare, anzi ricordare, le effetti-ve posizioni scientifiche sull'annoso problema evoluzionistico e in special modo quello inerente il genere Ho-mo; collegare al risultato derivato dalla riflessione evoluzionista il con-cetto di mito e sue differenze da quello di leggenda nonché sottoline-arne le implicazioni nell'intellettuali-tà umana e nella storia sociale; ana-lizzare le anomalie cronologiche –secondo la visione ortodossa della scienza – in particolare una molto di frontiera riguardante l'avionica teo-rizzata come possibile ed applicata in un remoto passato della nostra vi-cenda planetaria.Quale filo logico?Presentare una ciclicità di periodi caratterizzati da civiltà sviluppate pari a quella dei nostri giorni, la con-vivenza con specie umane contem-poranee ma con un profilo dato dal diverso sviluppo tecnologico e socia-

le, la presenza del mito come collan-te culturale che sottende a diverse epoche e culture ma ricco di archeti-pi comuni ad ogni civiltà e infine di-mostrare attraverso manufatti con-troversi l'eco effettiva di organizza-zioni e vette umane anacronistiche in senso positivo.EvoluzioneLa premessa, fondamentale, è stata

introdotta attraverso una domanda: 'dalla scimmia o insieme alla scim-mia?'. Abituati come siamo a pensare per stereotipi spesso non ci accorgiamo di ciò che davvero viene formulato aldilà del nostro percepito, complice una cattiva educazione culturale e la pigrizia nell'approfondimento – non in chiunque chiaramente – aspetti questi dannosi per la conoscenza

reale del mondo circostante. Il secondo quesito, fortemente ac-cessorio al primo: 'trasformazione o evoluzione?'. E ancora: 'prima e do-po o durante?'.Esiste una rappresentazione oramai sedimentata nel nostro percepito che lancia un messaggio erroneo i-nerente l'evoluzione umana.Questa (sotto):

Basata su uno schema a due dimen-sioni, non aiuta a comprendere il cammino complesso delle varie spe-cie ominidi; al massimo può diventa-re esplicativa del cammino fatto dal Genere Homo e della Famiglia Homi-nina ma non rende giustizia delle convivenze che la stragrande mag-gioranza degli esseri umani primor-diali ha vissuto.La stessa immagine (a fianco) così arricchita ci svela invece che cosa è effettivamente accaduto alle specie Sapiens e Neanderthalensis insieme ai Rhodensiensis, Heidelbergensis e altri protagonisti: si sono sviluppate contemporaneamente all'interno di lassi temporali estremamente estesi. Non solo: l'ominide subito fuori il riquadro rosso rappresenta l'homo Erectus, più conosciuto come Pithe-canthropus, presente sul pianeta da 1,8 milioni di anni, convissuto con i precedenti per quasi 600.000 anni.L'Ortodossia stessa sostiene questa tesi arrivando ad ipotizzare tre sce-nari tesi a giustificare una condizione poco coerente con gli inizi dell'evolu-zione darwiniana ma al contrario perfettamente adatta all'interdisci-

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plinarietà dell'evoluzionismo non ultimo l'apporto sostanziale della genetica. La visione scientifica è sempre più improntata al progenito-re comune; eppure non è mai stato trovato.Si tratta infatti solo ed esclusiva-mente di una teoria, al momento la più accreditata, che pone l'evolversi di un gruppo di primati nel Gran Rift africano intorno ai 6 milioni di anni or sono e che poi si siano differen-ziati definitivamente con l'Homo Habilis e l'Erectus tra i 2 e gli 1,8 mi-lioni di anni or sono (Out of Africa I -II). Essi erano differenti dall'Austra-lopithecus che prese una via evoluti-va diversa, si estinse 1 milione di anni fa pur presentando nelle varie specie caratteristiche utensili (molto semplici) nonché capacità di macel-lazione delle prede. Ancora una volta, comunque, l'e-stinzione dell'Australopithecus è ca-ratterizzata da convivenza con Habi-lis ed Erectus questi ultimi 'apparsi'almeno 1 o addirittura 1,5 milioni di anni prima.L'evoluzione, in particolar modo quelle umana, non è compartimen-tata in periodi successivi a tenuta stagna bensì è un processo comples-so ricco di molte interazioni periodi-che e giocoforza ipotesi di incontri tra Hominina.

Ritornando alla teoria esposta in precedenza dobbiamo sapere che non è l'unica, anzi: ve ne sono altre due che meritano una ricognizione per avere il quadro della situazione più chiaro.Una di queste è l'Ipotesi Multiregio-nale, nata con l'antropologo F. Wei-denreich e successivamente elabo-rata nel 1988 da M. H. Wolpoff. In breve essa sostiene che l'attuale u-manità sia la risultante di un proces-so interattivo tra le varie specie Ho-mo a partire dall'inizio del Pleistoce-ne 2,5 milioni di anni fa. In realtà l'analisi dei tratti morfologici alla base dell'enunciazione riporterebbe a fasi di semplice convergenza evo-lutiva ovvero dimostrando la somi-glianza non per scambio genetico ma adattamento a condizioni am-bientali comuni. La diatriba, però, non è ancora chiusa: questa tesi ri-lutta l'evoluzione parallela preferen-done la cosiddetta variazione clina-le, ossia la gradualità del fenotipo per ogni singola specie in una pecu-liare area geografica.Altra teoria molto interessante in tal senso è l'Eva Mitocondriale: una evi-denza cromosomica femminile, defi-nita Eva, che avrebbe dato origine ad una sola stirpe , linea genetica di femmine da oltre 200.000 anni a partire dall'Africa sud-orientale.

Questo implica che la totalità degli esseri umani avrebbero di fatto un progenitore femminile unico. La comparsa dell'Adamo Y-cromosomale avrebbe fatto il resto influendo sulla totalità degli esseri umani e si sarebbe originato 75.000 anni fa.La veridicità di questa teoria, che prevede un collo di bottiglia nell'e-voluzione poiché sia l'Adamo Y-cromosomale e l'Eva Mitocondriale avrebbero contato pochissimi indivi-dui, è suffragata da un evento cata-strofico avvenuto proprio tra 75 e 70.000 anni fa noto come la Cata-strofe di Toba, un supervulcano che avrebbe ridotto l'umanità a poche migliaia di individui (S. H. Ambrose, 1998) a causa del prolungamento dell'Era Glaciale Pleistocenica. Anco-ra una volta entra in gioco il cata-strofismo che smentisce di fatto cer-te velleità lineari assolutamente fuo-ri luogo data la scala temporale con la quale ci misuriamo.Un fatto è certo: la retrodatazione umana, giunta fino a 6 milioni di an-ni or sono, ancora non riesce a tro-vare il famigerato 'anello mancante' e anche gli studi sui Proconsul, scim-mie antropomorfe risalenti a circa 18 milioni di anni fa, sembrano con-fermare la mancanza di requisiti so-stanziali per poter essere considera-te 'il progenitore', la 'specie Alfa', vera spina nel fianco della teoria Out of Africa I e II.La considerazione che invece ci inte-ressa fare è che a furia di retrodata-re l'umanità perdiamo di vista la sua milionaria interazione credendo im-possibile condizioni cicliche della civiltà in epoche decisamente più ancestrali degli ultimi 6.000 anni co-me ad esempio in contemporanea con la 'comparsa' (o meglio 'arrivo sulla scena') dei Sapiens, conviventi dei Neanderthanlensis per periodi mediamente 60 volte superiori all'i-nizio di ciò che noi definiamo 'Storia' (comparsa della scrittura, 3.000 a.C. ca.). A volte il buonsenso sembra abban-

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donare gli Accademici.È bastata l'osservazione di questa composizione per comprendere la contemporaneità di gruppi umani dai diversi stili di vita e di progresso intuendo come sia assurdo conside-rare esclusivamente in questa fase odierna una così ampia differenzia-zione e non per esempio in passato. Liberatoria la domanda all'assem-blea: 'ma perché oggi si e ieri no...?'L'Eterodossia sostiene questa idea: - né prima né dopo bensì 'durante';- non vi sono trasformazioni fondan-ti ma selezioni entro le quali posso-no verificarsi mutazioni;- l'evoluzione parallela è insufficien-te rispetto alle ipotesi di convergen-za;- il progenitore comune potrebbe non esistere e conseguentemente fare i conti con un processo di spe-ciazione ossia una vera e propria comparsa dell'uomo come unicità.Pertanto, considerando il lasso tem-porale in analisi è inconcepibile un'impennata gaussiana nell'evolu-zione né si possono escludere a priori civiltà tecnologicamente e so-cialmente avanzate – con gradi di intensità pari all'odierna – in periodi insospettabili.MITOSulla scorta delle riflessioni prece-denti abbiamo l'obbligo di trovare il sostrato, la sedimentazione comune che possa effettivamente teorizzare un passato luminoso ma al contem-po chiuso in periodi ciclici e non li-neari.Una delle caratteristiche salienti di questa ipotesi è l'oblio in cui scom-pare la memoria della realtà e con-temporaneamente insorge un feno-meno che potremmo definire attra-verso il linguaggio psicoanalitico 'transfert'. Questa rimozione è di fatto il Mito. Ma cos’è esattamente? E cosa lo differenzia dalle leggende?Il Mito rappresenta la sacralità con-ferita al racconto delle origini, è im-mutabile nel Tempo e almassimo si può assistere a sue decli-

nazioni in segmenti cronologici ca-ratterizzati da parametriculturali, sociali, filosofici, tecnologi-ci e morali di una civiltà in particola-re rispetto ad un’altra. Ilsostrato però è il medesimo. Le leg-gende, al contrario, sono racconti fantastici contingentati indeterminate sezioni temporali e si caratterizzano come compartimenti stagni tra un periodo e ipropri precedenti o successivi. La leggenda è in termini esemplificati sinonimo di fiaba; il Mitosinonimo di Sapienza, conoscenza.In questa Conferenza ho utilizzato il concetto di massima espresso dagli Autori de ‘Il Mulino diAmleto’ ovvero il valore puramente cosmologico del Mito ma al contem-po - in apparentecontraddizione - ho scelto di illu-strarne la parte invisa a De Santilla-na più in linea con MirceaEliade che riguarda la funzione di cover-up del Mito e di sostanza delle religioni: i miti esprimonoancestrali condizioni sociali e cultu-rali spazzate via da violenti catacli-smi. Aldilà dunque del Mitocome struttura che deduce e condu-ce da e verso archetipi comuni ad ogni civiltà ho preferito portareun esempio più legato alla metafora

che all’antropologia e alla metafisi-ca.È quantomeno controverso conside-rare il Mito come realtà a sé stante ma poi legarloindissolubilmente all’osservazione celeste e in particolare alla Preces-sione degli Equinozi(Intermezzo tra i capp. IV e V de ‘Il Mulino’ op. Cit. pagg. 83 - 101) con-ferendo ad esso de facto unvalore di cover-up anche se non connesso ad eventi particolarmente cruenti o comunquecaratteristici di un periodo, di un’esperienza diretta ma esclusiva-mente cosmologica.È da questa osservazione in fase preparatoria che mi venne in mente la leggenda di San Giorgio edel Drago: dietro il racconto popola-re, infatti, si celano cognizioni astro-logiche possenti e forsepersino astronomiche provenienti da periodi insospettabili. La scelta del metodo di Eliade è statadettata anche dall’aver scoperto u-na forte colonna mitica a sostegno di una leggenda che ne ‘IlMulino’ è percepita come antitetica al Mito; la realtà è che potrebbe a-vere un valore pedagogico.‘ О μύθος δελοι οτι... ‘ Il Mito inse-gna che... Dicevano i greci antichi.

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Se ad esso è possibileattribuire valenze morali questo si-gnifica giocoforza che deve essere anche occultamento di realtàriscontrabili oltre che metafora di verità ineffabili.La tradizione narra che presso la cit-tà di Selem in Libia vi fosse uno sta-gno ove dimorava un dragoassassino. La gente del luogo lo pla-cava con due pecore al giorno ma il drago divenne più famelicoe si rese necessario il sacrificio di una pecora assieme ad un fanciullo o una fanciulla tirati a sorte.Un giorno il destino si fece beffe del Re e fu estratto il nome della figlia, Silene.Il Re tentò per 8 giorni di distoglierla dal rito mortale ma poi cedette. Giunse nel frattempo Giorgioche prese le difese della giovane rendendo innocuo il drago e pregan-dola di avvolgere il collo dellabestia che si fece trascinare docil-mente in città.Allora Giorgio proclamò che a fronte di una conversione a Cristo egli a-vrebbe ucciso il mostro ecosì andò con buona pace dei libici che vissero serenamente mentre l’animale fu portato via da 4coppie di buoi.Ad una mente allenata risaltano im-mediatamente alcuni aspetti lapalis-siani:- la fanciulla si chiama Silene; l’etimo è assai analogo al termine greco Σελήνη (Seléne) chesignifica ‘luna’- l’eroe è Giorgio, il cui etimo è affat-to originario greco Γεωργός (Gheorgòs) il cui significato è‘agricoltore’- i tentativi di distogliere la propria figlia dal sacrificio sono in numero di 8, numero stranamenteidentico alle fasi lunari:1 Luna nuova (o congiunzione o fase di novilunio)2 Luna crescente3 Primo quarto4 Gibbosa crescente5 Luna piena (o opposizione o fase

di plenilunio)6 Gibbosa calante7 Ultimo quarto8 Luna calante- anche l’uscita della fanciulla con il drago reso inoffensivo reca i segni del periodo lunare, ovvero4 coppie di buoi (8) che lo trascina-no fuori dalle mura- altra situazione enigmatica è la ri-chiesta da parte di Giorgio affinché la ragazza imbrigli il dragoed esso si fa trasportare docilmente in città: pochi istanti prima era di-sposto a divorarla- la richiesta di conversione al Cri-stianesimo sembra essere la vera leggenda in tutto questo,assolutamente disallineata rispetto ad un contesto dai forti connotati astronomici.Ci viene in soccorso Mircea Eliade nel suo celeberrimo ‘Storia delle Religioni’ una grande opera diermeneutica del credo e del mito inerente le fedi religiose di tutto il mondo e dislocate nel corsodella storia.La luna ha un’importanza strategica nella formazione spirituale dell’umanità e il suo culto, sottodiverse forme, è presente costante-mente. Essa rappresenta le maggiori funzioni biologiche: dallapioggia alle maree, l’acqua in genere fino alla sua caratterizzazione fem-minile legata alla suaciclicità nel ciclo mestruale del tutto simile (28 giorni) all’orbita del satel-lite (intorno ai 29 giorni).Non solo: la ciclicità ne fa simbolo dei periodi di fecondità e in senso trasposto anche di quellaagricola. In questo senso inizia a far-si strada il perché sia un Γεωργός ad interessarsi della ‘salute’lunare (Siléne).Ma la luna gestisce le acque, dun-que essa è nelle acque; il suo simbo-lo è la spirale che vienerappresentato dal serpente; o dal ‘drago’ che del serpente è trasposi-zione. Questi è sinonimo ditrasformazione, divenire ed è indis-

solubilmente legato all’attività luna-re. Lo stesso movimentoceleste della luna è rappresentato attraverso un altro movimento tipi-co del serpente ovvero lasinusoideo più volgarmente le ‘spire’ del ser-pente o del drago. Il calare e il sor-gere della luna, secondol’antica concezione del cielo, preve-deva un’emersione al di sopra dell’equatore celeste - ovvero laterraferma - e una discesa al di sotto che era un luogo rappresentato dal-le acque. Si capisce quindiperché il drago della leggenda di San Giorgio dimorasse in uno stagno.È per questo che Siléne imbriglia il drago ed egli si fa docilmente ripor-tare in città o diremmo oggialla normalità. Il Mito che si nascon-de dietro questa leggenda esprime il rapporto astronomico produttivo(agricolo) che l’umanità intratteneva con le fasi lunari; ancora oggi del restospecialmente in fase di messe o pro-duzione vinicola. La paura che que-sto equilibrio venisse menoindusse probabilmente gli antichi a computare le fasi salienti del proces-so lunare con il fine dianticipare i tempi fecondi e quelli non fecondi. O forse anche di evita-re che la luna fuggisse via daGaia.Vi sono però delle inquietanti coinci-denze con alcune delle attuali cono-scenze scientificheapparentemente non giustificabili in periodi antecedenti la nostra civiltà:- L'origine della Luna è terrestre, probabilmente da impatto, con al-loggiamento orbitale progressivo'a spirale'- La Luna è alla base dell'ecosistema planetario, senza di essa non sareb-be stata possibile la Vita- La paura di 'perdere la Luna' po-trebbe essere un trauma cognitivo che interessò studiosi eosservatori del cielo quando del sa-tellite ne calcolarono il comporta-mento orbitale

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- 'Ad oggi' sappiamo che la Luna si sta allontanando dalla Terra ad una velocità di 3,8 cm/anno e lamodalità di allontanamento è una 'spirale' orbitale.Sono solo coincidenze? Oppure è lecito pensare a cognizioni ancestrali ma cover-up? Dunque laconoscenza è di tipo circolare e in fondo noi, con Platone, ricordiamo sostanzialmente?AnomalieIl filo logico della Conferenza ha il suo termine nella terza parte, la più controversa. Ho volutoappositamente tirare in ballo l’argomento più di confine proprio per sottolineare la possibilità di una evoluzione diversificata in passato e soprattutto indicare alcuni argo-menti finiti sotto la cover-up del Mi-to.Affermare un terzo livello nella leg-genda di San Giorgio e il drago di tipo astronomico stretto è unaprovocazione violenta ma supporta-ta da coincidenze ed indizi probatori difficili da eludere consuperficialità- Il primo livello è dato dalle consi-derazioni morali insite nella lotta tra bene e male- Il secondo livello da concezioni co-smologiche che si riflettono nell’astrologia come abbozzoastronomico e socio-culturale- Ma il terzo livello è astronomia pu-ra difficilmente collocabile secondo la nostra concezione inepoche precedenti all’odierna: ep-pure i dati coincidono.Siamo dell’idea che gli antichi non solo alzarono gli occhi al cielo ma fossero anche in grado dipercorrerlo. La spiegazione della Macchina di Antikythera fu salutata così da colui che la studiò afondo e ne ricostruì le capacità di orientamento stellare e planetario simile a ciò che potremmo oggi chia-mare non astrolabio bensì GPS:“ ...il 'computer' di Antikythera? E' stato come trovare un aereo a rea-zione nella tomba di Tut-Ankh-

Amun...! “ (Derek de Dolla Price -YALE University - di fronte alla tec-nologia finalizzata allanavigazione del meccanismo di Anti-kythera).Forse non si era poi così lontani dal-la faccenda dell’aereo a reazione.Il volo nella preistoria è un argo-mento affascinante a rischio satura-zione fantasy se però non vifossero stati studi approfonditi su alcuni reperti talmente controversi da ribaltare la visione canonicaad oggi accettata dalla comunità scientifica internazionale.Fermo restando il linguaggio del Ma-habaratha o del Ramayana che nar-ra storie appartenentiall’impero di Rama assieme a strani racconti di velivoli detti Vimana e tecniche avioniche correlate,un reperto ligneo ben più tangibile dei testi sacri rigveda ancora oggi è oggetto di polemica tramondo accademico e avanguardia.Si tratta di un reperto 'aeriforme' risalente a ca. 4000 anni a.C. (oltre 6000 ad oggi) scoperto nel1898 in una tomba interna all’area

archeologica di Saqqara.L’oggetto n. 6347 è passato alla sto-ria con la denominazione di 'Uccello'.Nel 1969 i primi dubbi di Khalil Mes-siah (Prof. di Anatomia Artistica Uni-versità di Helwan emembro dello Egyptian Aeronautical Club) ruotano attorno alla confor-mazione poco ornitologicadell'oggetto al contrario affatto 'avionica' non ultima la posizione della coda perpendicolare rispetto al corpo e non parallela come è ampia-mente dimostrato in natura per gli uccelli, dando più l’impressione di un timone di coda.Fu istituito un pool da parte dell'al-lora Ministro della Cultura Egizia Mohammed G. el DinMoukhtar il 23 dicembre 1971 per sancirne la tecnologia aeronautica. Di esso facevano parte:- H. Riad - Dir. Museo Ant. Egizie- A. Q. Selim - Vice Dir. Museo Egi-ziano Ricerche. Archeolologiche- H. Nessiha - Dir. Dipartimento Anti-chità- K. Naguib - Pres. Unione Aviazione

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EgizianaCosì il mondo accademico fece i conti con personalità credibili dispo-ste ad accettare e confermareuna tesi disarmante e foriera di rivo-luzioni culturali dalla portata non indifferente. Ci pensò lasolerte ricostruzione di Martin Gre-gorie allora progettista di alianti ed aeromobili a sancire lasmentita sulle possibilità di volo dell'Uccello di Saqqara. Erano gli An-ni ’70. Nel 2006 l'esperto diavionica Simon Sanderson ricostruì un modello in scala dell'Uccello di Saqqara 5 volte più grande ein galleria del vento ne dimostrò - al contrario di Gregorie - le possibilità/capacità di volo('Cryptids: The Saqqara Bird' By Doug Aamoth for TIME - June 09, 2010http://techland.time.com/2010/06/09/cryptids-the-saqqara-bird/)Un caso isolato non darebbe ragione del tutto ad un’ipotesi così di confi-ne se non fosse stato per un altro reperto, questa volta numericamen-te più cospicuo (una dozzina circa di pezzi), composto da monili aurei conservati al Museo dell'Oro di Bo-

gotà risalenti ad un’epoca datata I sec. a.C. cherappresenterebbero stilizzazioni zo-omorfe di volatili e/o insetti. Talimanufatti sono ufficialmenteappartenenti alla cultura pre-incaica Calima o Sinu ognuno dei quali non è più lungo di 10 cm.Anche qui le presunte forme zoo-morfe inducono più ad uno chassis piuttosto che ad una strutturanaturale dove ancora una volta la sezione caudale, e non solo, non dà ragione a rappresentazionientomologhe o ornitologiche di tipo alcuno bensì aerodinamiche più consone ad un aircraft, unvelivolo.L’ing. J. A. Ulrich ex pilota di jet rico-nobbe uno dei monili come del tutto analogo allo chassis di unSAAB 37 Viggen (JA 37) in dotazione all'Aeronautica Militare Svedese mentre Peter Belting, ing.aeronautico tedesco, si spinse oltre arrivando a riprodurre nel 1997 un modello 1:6 di un 'Monile di Bogotà' perfettamente volante e facilmente manovrabile.Il video che segue non necessita di ulteriori commentihttp://www.youtube.com/watch?

v=oP3P3vDNjqQIn conclusione la Conferenza ha tracciato un iter attraverso alcuni punti fondamentali suddivisi intre aree:Evoluzione- l'evoluzione umana non è lineare e sembra essere decisamente lontana dagli scimpanzè/bonobi- per ora non presenta un 'anello mancante'- l'origine dell'Uomo è costantemen-te retrodatataMito- il Mito non è un'invenzione o una leggenda più articolata bensì un si-stema cognitivo metaforico emnemonico (la tradizione era infatti trasmessa oralmente) ad altissima valenza cosmologica- le sue principali caratteristiche so-no la sacralità, l'univocità degli ar-chetipi originari e la percepitaesistenza di civiltà antichissime e assai progredite come mankind craddleAnomalie- le Anomalie esistono e prendono il nome di indizi probatori- non sono affatto solo invenzioni di appassionati della cosiddetta 'archeologia misteriosa'.Parafrasando un grande pensatore al tempo considerato ultra-eterodosso come Galileo Galilei, misono immaginato - assieme a tutti coloro impegnati nel dare spiegazio-ni agli enigmi che cicircondano - sul banco degli imputa-ti nel processo che l’Ortodossia por-ta con cura e costanza contro l’Eterodossia.E in quest’aula austera, opprimente, sinistra in cui l’Eterodossia è già messa all’indice preconcettoosammo sussurrare, dopo esser sta-ti violentemente costretti all’abiura:‘...eppur volano...’

(Pier Giorgio Lepori ARCHEOMISTERICA)

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Banche e grande crisi globale

Il 4 Giugno del 1963 un decreto presidenziale di John Fitzgerald Kennedy, detto Ordine Esecutivo 11110, fu firmato impedendo alla Federal Reserve Bank di prestare soldi a interesse al Governo Fede-rale degli Stati Uniti. La FRB sarebbe presto fallita e l’America sarebbe tornata l’unica vera detentrice del proprio debi-to. JFK fu il primo presidente della storia a comprendere quanto lo strapotere delle banche private avrebbe ben presto creato un col-lasso dell’intero sistema economi-co. Fu fatto un piccolo tentativo per togliere alla Federal Reserve Bank il suo potere di affittare la moneta al governo facendosi pagare un interesse. In quel giorno, il presi-dente degli USA firmò l'ordine che ripristinava al governo americano

il potere di emettere moneta sen-za passare attraverso la FRB.

Lincoln e gli altri Presidenti assassinati

Il 27 settembre del 1964 negli Sta-ti Uniti venne pubblicato il famige-rato rapporto della commissione Warren, incaricata di indagare sull'omicidio di Kennedy. In tale rapporto si sosteneva che unico responsabile dell'assassinio era Lee Harvey Oswald. Tale rapporto fa tremare ancora oggi anche i nostri politici più “coraggiosi”. Su “Libertà” del 27 settembre di 39 anni dopo, infatti si leggono le parole di Bossi sul debito pubbli-co: "Dal 2008 in avanti il sistema cam-bia, perché altrimenti la gente si sparerebbe, perché i titoli di stato

diventerebbero tutta carta strac-cia". Cosa significano queste parole? Perché qualcuno non chiarisce la questione?Prendiamo quattro nomi: Abramo Lincoln, James Garfield, William McKinley, John Fitzgerald Ken-nedy.Chi sono questi quattro signori? Cosa hanno in comune? I quattro signori in questione sono stati tutti Presidenti degli USA, tutti sono stati uccisi durante il mandato presidenziale e, analiz-zando bene i particolari, tutti si proponevano di cambiare il sis-

KENNEDY,UN PRESIDENTE CONTRO LE BANCHEANDREA DELLA VENTURA

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tema monetario americano es-tromettendo la Banca Centrale. I primi tre avevano cominciato a pensarlo, Kennedy lo stava met-tendo in atto. Seguiamo poi la pista dei soldi e mostriamo com’è connessa diret-tamente con JKF, e cosa JFK fece per cercare di aiutare il popolo americano riguardo al debito nazi-onale e bancario. Per spiegare la pista dei soldi, il modo più facile è quello di far riferimento alla storia di Abraham Lincoln. Lincoln fu presidente durante la Guerra Civile Americana. La guerra tra il Nord ed il Sud sulla questione dello schiavismo. Gli Yankees contro i Confederates. Il Presidente Lincoln aveva bisogno di raccogliere denaro per finan-ziare l’esercito nordista. Ci sono tre modi con cui il governo può trovare il denaro: può tassare i cittadini, prendere in prestito denaro o stampare contante e spenderlo.

Le parentesi monetarie di Lincoln e Kennedy

Secondo JFK le banche private non potevano essere i creditori di un’intera nazione e, cosa più im-portante, non potevano avere il potere di stampare moneta. Le somiglianze fra la Federal Re-serve e la BCE, nonché la nostra cara Bankitalia, sono a dir poco imbarazzanti. L'ordine di Kennedy dava al Mini-stero del Tesoro il potere "di e-mettere certificati sull'argento contro qualsiasi riserva d'argento, argen-to o dollari d'argento normali che erano nel Tesoro". Questo voleva dire che per ogni oncia di argento nella cassaforte del Tesoro, il governo poteva met-tere in circolazione nuova mone-ta. In tutto, Kennedy mise in circola-zione banconote per 4,3 miliardi di dollari. Le conseguenze di que-sta legge furono enormi. Con un

colpo di penna, Kennedy stava per mettere fuori gioco la Federal Re-serve Bank di New York. Se fosse entrata in circolazione una quanti-tà sufficiente di questi certificati basati sull'argento, questa avreb-be eliminato la domanda di ban-conote della Federal Reserve. Oggi il coraggio necessario per attuare una fiscalità sociale a mi-sura d'uomo non esiste proprio. Lincoln e Kennedy ebbero invece quel coraggio, ma lo pagarono ca-ro. Lincoln creò le banconote "green-backs", e venne ucciso po-co dopo, nel 1865. Durante la guerra civile americana, i Ro-thschild di Londra finanziarono il Nord, e i Rothschild di Parigi il Sud. Per ridurre il livello del debito che il suo governo avrebbe affron-tato, Lincoln fece quel denaro. Le banconote "green-backs" erano come dovevano - e come dovreb-bero - essere, e cioè prive di inte-ressi bancari.

Il sistema bancario mondiale

John Fitzgerald Kennedy aveva iniziato a mettere in atto il “cambiamento”, quando, coinci-denza delle coincidenze, fu ucciso, nel 1963, a Dallas proprio dove ha sede il più grande socio finanziario della Federal Reserve Bank (la Banca Centrale degli Stati Uniti). L’assassinio di Kennedy cos’altro fu se non un avvertimento ai futu-ri Presidenti e ai politici di tutto il mondo, che chi comanda sono i banchieri, attraverso un sistema mafioso potentissimo e interna-zionale? Lincoln invece decise di stampare le banconote degli Stati Uniti per finanziare la guerra. Questo modo evitava la tassazione e l’indebitamento. Lincoln stampò contante e lo usò per la guerra. Non c’era bisogno di

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tasse e debiti. I banchieri volevano trarre profitto dalla guerra e volevano che Lincoln stampasse il contante e lo consegnasse alle banche al prezzo del costo di stampa del denaro. Poi i banchieri avrebbero restituito il denaro al governo sotto forma di prestito bancario per poi chiedere ai con-tribuenti di pagare una tassa per ripagare gli interessi ai banchieri. L’onesto Abraham Lincoln disse di NO ai banchieri e fu assassinato.

Morte di Kennedy

JFK fu il primo ad opporsi alle ban-che private ma purtroppo anche l’ultimo. Il suo assassinio fece desistere qualsiasi altro presidente, non so-lo americano, dal dichiarare guerra alle banche private. L’Ordine Esecutivo 11110 avrebbe messo fine all’attuale sistema bancario mangia-soldi. La FRB, come tutte le banche del resto, prestava (e presta ancora) soldi che non ha. Solo un decimo dell’intero ammontare di capitale che le banche private danno in prestito, é realmente detenuto dalla banca. La FRB crea a piacimento ricchez-za, un potere immenso per dei privati. L'ordine esecutivo avrebbe impedito al debito pubblico di rag-

giungere il livello attuale, poiché avrebbe dato al Governo la possibilità di ripagare il suo debito senza utiliz-zare la Federal Reserve e senza essere gravato dall'interesse ri-chiesto per la creazione di nuova moneta. Il 11110 dava agli USA la possibili-tà di crearsi la propria moneta ga-rantita da argento. Quando Kennedy fu assassinato, dopo appena cinque mesi non vennero più emessi certificati ga-rantiti da argento. "Final Call" (“Final Call” è un sito di contro-informazione politica statunitense, NDR) è a conoscenza del fatto che l'ordine esecutivo non venne mai cancellato da nes-sun presidente attraverso un altro ordine esecutivo, quindi è ancora valido. Perché allora nessun presi-dente successivo l'ha mai usato? Virtualmente tutti i seimila miliar-di di dollari di debito sono stati creati a partire dal 1963. Se un

presidente statunitense avesse utilizzato il 11110, il debito non sarebbe assolutamente ai livelli correnti. Forse l'assassinio di JFK fu un av-vertimento ai futuri presidenti che avessero pensato di estinguere il debito eliminando il controllo che la Federal Reserve esercita sull’emissione monetaria.

Oltre la verità ufficiale

Lincoln fu assassinato da John Wil-kes Booth che, secondo alcuni stu-diosi, era un agente della Casa Ro-thschild. Dopo la morte di Lincoln cessò ovviamente anche la stam-pa dei green-backs. Kennedy propose la stessa solu-zione e subito dopo fu anch'egli ucciso a Dallas in Texas, nel 1963. I suoi obiettivi principali erano di prendere il controllo della moneta della nazione, togliendola dalle mani delle Banche della Federal Reser-ve e di terminare così la guerra in Vietnam. Il vero motivo del suo assassinio è percepibile a ogni essere umano pensante. Dopo quello storico omicidio il vicepresidente J.B.Johnson, appena assunta la carica di Presidente ordinò infatti il ritiro di tutte le banconote fatte stampare da Kennedy. Kennedy aveva infatti ordinato l'emissione da parte del Tesoro di 4.292.893.815 dollari, con banco-Non a caso sui 5 dollari emessi dal Ministero del Tesoro

su indicazione di JFK compare l’immagine di Lincoln

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note che non riportavano più la scritta "Federal Reserve Note", ma quella di "United States Note". Obiettivamente fece un intelligen-te tentativo per cominciare a to-gliere alla Federal Reserve il suo potere di affittare il denaro al go-verno facendosi pagare un inte-resse.

La Federal Reserve e l’IRS

I banchieri ottennero il loro scopo di nuovo nel 1913, quando la FRB e le tasse di tipo IRS divennero legge. I banchieri avevano bisogno di u-na nuova tassa che ripagasse gli interessi sul denaro che essi a-vrebbero creato e dato in prestito allo stesso governo. Il governo stampa una banconota da 100 dollari chiamata bancono-ta della Federal Reserve. La banca prende i 100 dollari di contante per 3,5 centesimi di dollaro (costo di produzione). Poi la banca pre-sta gli stessi 100 dollari al gover-no. Adesso il governo ha 100 dol-lari di debito e NOI dobbiamo pa-gare le tasse IRS per ripagare la banca dei 100 dollari più gli inte-ressi. Con un costo di 3,5 centesi-mi di dollaro la banca può ottene-re dai 5 agli 8 dollari di interesse

ogni anno. Le banche lo chiamano un buon affare. Questo è il modo come loro [americani] creano un debito di 6 trillioni di dollari, più il debito di ciascuno stato, paese e città. Metà o più delle nostre tas-se IRS vanno ai banchieri. I ban-chieri danno poi i soldi ai politici per assicurarsi che siano eletti ed aumentare la tassazione a nostro scapito. Immenso e rischioso. È un enorme castello di carte, ba-sta un semplice soffio di vento per farlo crollare. L’intero sistema si basa su soldi che le banche non hanno. JFK aveva compreso a pieno quan-to tutto ciò fosse sbagliato. Aveva intuito che di quel passo l’intera economia mondiale sarebbe finita male. Aveva anticipato la crisi eco-nomica mondiale che ci sta afflig-gendo. Con il suo Ordine Esecuti-vo, il Dipartimento del Tesoro a-vrebbe avuto il potere di “emettere certificati d’argento a fronte di ogni lingotto di argento/dollari d’argento della Tesoreria.” Questo significa che la Tesoreria degli Stati Uniti poteva introdurre soldi in circolazione basandosi esclusivamente sui lingotti d’argento fisicamente presenti nelle casse dello Stato. Niente più speculazioni, niente più creazione

ad hoc di falsa ricchezza. Solo una economia solida, costituita sul va-lore dell’argento realmente dete-nuto dal governo. L’FRB non avrebbe più potuto pre-stare soldi ad interesse all’America. Gli uomini più ricchi del mondo non avrebbero più a-vuto in mano lo scettro del pote-re. Gli stavano per portar via il loro amato giochetto per fabbricare soldi. JFK si era già messo contro tutta l’ala conservatrice e milita-rizzata dell’America schierandosi contro la guerra in Vietnam, ci mancavano solo i banchieri privati da indispettire. La sua morte era già praticamente scritta. Kennedy aveva sfidato il governo monetario attaccando i due sistemi che sono sempre stati usati per aumentare il debito: la guerra e la creazione della moneta da parte di una banca centrale pri-vata. Memorabili infatti suoi sforzi per far uscire dal Vietnam le truppe americane entro il 1965.

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Non c’è mondo

di Riccardo

Coltri

La leggenda di

Sigurd e Gudrún di J.R.R. Tolkien

LA STORIA CHE VERRA’ Nabta Playa

Simone Barcelli

I FILM MALEDETTI M.Benedetta Errigo

LA NARRATIVA presentata da Luigi Milani

Lo spazzino del

mietitoreun racconto

di Alexia Bianchini

CHIMERA

LE RECENSIONI DI Daniele Imperi

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Non c’è mondo di Riccardo ColtriDaniele Imperi

Primo romanzo dell’autore del capolavoro horror La corsa selvatica, una storia che si basava sul fantastico italiano, attingendo ai miti e alle leggende del nostro paese, in un quadro storico ben preciso: i primi anni del Regno d’Italia.In questa prima opera dell’autore siamo invece ai giorni nostri, anche se Coltri cre-a un interessante intreccio con la storia di Romeo e Giulietta. Le vicende del prota-gonista Roberto Crinti si legano a quelle della coppia shakespeariana e a quelle di un’altra coppia del suo periodo.Siamo molto lontani dalla forza del suo ultimo romanzo, La corsa selvatica, anche se qui si comincia a delineare lo stile che ha contraddistinto l’autore nelle sue pub-blicazioni successive, Zeferina e il raccon-to Venim etiam dell’antologia Carnevale.Ci sono esperimenti stilistici che, se da un lato rallentano un po’ la lettura, dall’altro credo siano serviti a formare lo scrittore, dando al suo linguaggio un’impronta in-confondibile. In Non c’è mondo lo stile an-cora non trasporta come nelle altre ope-re, anche se intuiamo una ricerca dell’autore nel volersi discostare da altri stili e affermarne uno proprio.Si possono notare dei piccoli particolari che secondo me sono propri di un autore alle prime armi. Il nome del protagonista, Roberto Crinti, ha le stesse iniziali dell’autore e suona come l’Arthur Gordon Pym di Edgar Allan Poe. Come se lo scrit-tore volesse partecipare, in un certo sen-so, al suo stesso romanzo. E che dire del

don Coltri che fa la sua comparsa nella storia?Il romanzo ha comunque una sua forza, non annoia, anzi ha un buon ritmo. Le at-mosfere sono cupe, tenebrose, ma non pesanti. Nel modo di descrivere le azioni troviamo un Coltri acerbo, ma già padro-ne del linguaggio.Tutta la storia, anche se ambientata per la maggior parte ai nostri tempi, è avvolta dal mistero e da un’aura di leggenda. Questa sarà una caratteristica di Riccardo Coltri, che ritroviamo anche nel suo rac-conto in Carnevale.Come se per l’autore ogni mondo nascon-desse un angolo fantastico, soprannatura-le. Non c’è storia, altrimenti, al di fuori di esso. Non c’è mondo, anzi, oltre quello della fantasia.

Non c’è mondo di Riccardo ColtriBonaccorso Editore110 paginegiugno 2001

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Il volume ha un suo valore storico e anche narrativo, poiché rappresenta un’altra opera del maestro Tolkien, questa volta in forma poetica. Siamo ben lontani da opere come Il Signore degli Anelli o Lo Hobbit, quindi chi de-cide di acquistare La leggenda di Si-gurd e Gudrún è perché davvero inte-ressato a possedere opere di Tolkien e a conoscere ogni aspetto della sua cultura e della sua scrittura.Al di là di questo, il libro in realtà con-tiene ben poco di ciò che ha scritto Tolkien, limitandosi a Il nuovo lai dei Volsunghi e Il nuovo lai di Gudrún. Meno di metà libro, dunque.Il resto è, come al solito, una lunga teoria di commenti del figlio, che ho avuto modo di conoscere nelle raccol-te di racconti e che già a quel tempo trovai noiosi e inutili. La minuziosa mania con cui il figlio Christopher spiega ogni passo e ogni (probabile) decisione del padre risulta di lettura pesante e anche noiosa il più delle volte.Ciò che rende prezioso La leggenda di Sigurd e Gudrún, quindi, è ciò che ha realmente scritto Tolkien. Interessanti sono invece le appendici finali, di na-tura storica, e la postfazione all’edizione italiana.Per quanto riguarda i versi, purtroppo

la traduzione italiana non rende meri-to alla poesia di Tolkien. È un libro da leggere in lingua originale, perché i versi sono spesso banali per come so-no resi in italiano. Sembra una poesia forzata, mentre leggendoli in inglese funzionano.Forse sarebbe stato più onesto pub-blicare l’opera in versi di Tolkien pri-ma, con l’aggiunta di un breve saggio per spiegarne la genesi alla fine del libro.

La leggenda di Sigurd e Gudrún di J.R.R. Tolkien (tit. orig. The Legend of Sigurd and Gudrún)Bompiani436 pagineottobre 2009

La leggenda di Sigurd e Gudrún di J.R.R. TolkienDaniele Imperi

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Marcatori nel ‘deserto’

Il cosiddetto Primo Tempo, l’alba della civiltà nell’Egitto di Osiride, è testimo-niato dai Testi delle piramidi risalenti al-la V dinastia. Stando al racconto mitolo-gico, la divinità avrebbe riunificato, sot-to la sua corona, l’intero regno. La storia narra, invece, che fu re Narmer, forse identificabile nella figura del mitico Me-nes, a riunire le terre d’Egitto alla fine del III millennio a.C. Già nel VI millennio a.C. un’antica popolazione si rese prota-gonista della costruzione, nel Sahara o-rientale, di elaborate strutture perfetta-mente allineate con il Sole e alcune stel-le, simili per molti aspetti a quelle di Stonehenge. I misteriosi costruttori di Nabta Playa, una località della Nubia si-tuata quasi sul tropico del Cancro, a un centinaio di chilometri da Abu Simbel, eressero (tra il 5.000 a.C. e il 4.700 a.C.

nei sedimenti depositati sulla depres-sione) queste pietre formando anelli cir-colari, strutture sepolcrali e linee di me-galiti da cui osservavano l’orizzonte, puntando lo sguardo verso il giorno del solstizio d’estate. A Nabta Playa, l’archeologo Fred Wen-dorf della Southern Methodist University di Dallas, scava dal 1973 e, tra l’altro, ha portato alla luce centinaia di focolari, pozzi d’acqua in profondità, ceramiche, ossa animali e resti di ca-panne. L’astrofisico John McKim Malvil-le della University of Colorado, a sua volta, ha determinato gli allineamenti di alcuni megaliti, in direzione nord-sud e del sorgere del sole all’orizzonte. Un cir-colo di pietre del diametro di quattro metri, con otto pietre accoppiate, per-metteva all’osservatore di guardare ver-so est, il giorno del solstizio d'estate di 7.000 anni fa. L’astrofisico Thomas

LA STORIA CHE VERRA’ Nabta Playa

Simone Barcelli

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Brophy (coautore con Robert Bauval de “Il mistero della Genesi”, Corbaccio, 2011) si spinge oltre, suggerendo che le linee di megaliti siano correlate con al-meno sei stelle importanti della costel-lazione di Orione (Alnitak, Alnilam, Min-taka, Betelgeuse, Bellatrix, e Meissa), così come dovevano apparire nel 6.270 a.C. Un grande centro cerimoniale in cui già ottomila anni fa convergevano i gruppi provenienti da piccoli accampa-menti stagionali, per registrare gli even-ti astronomici di quei megaliti (una trentina di strutture complesse, sia in superficie sia interrate), che servivano anche per stabilire l’arrivo delle piogge. Curioso costatare che, in quel tempo remoto, gli allineamenti potevano an-che essere sommersi dal livello dell’acqua di un antico lago che si anda-va formando durante la stagione delle piogge, quasi fossero dei marcatori an-che per quell’elemento.

Il culto del bestiame

Quasi tremila anni prima della datazio-ne, comunque controversa, assegnata alla piramide a gradoni di Saqqara, eret-ta all’incirca nel 2670 a.C. e attribuita al genio di Imhotep, un popolo nomade ma socialmente organizzato era deposi-tario di una scienza che potrebbe per-dersi nelle pieghe del passato.Un periodo che potrebbe corrispondere a quello della Sfinge di Giza, almeno se-condo il parere del geologo stratigrafo Robert Schoch, perché quest’opera scul-

toria, come il vicino tempio della Valle di Chefren, presenta un’erosione diver-sa rispetto ad altri monumenti, dovuta essenzialmente a insistenti precipitazio-ni piuttosto che all’azione classica della sabbia portata dal vento. Poiché il mo-numento è stato ricoperto e quindi in qualche modo protetto dalla sabbia per quasi tremila anni, quelle piogge torren-ziali all’origine dell’azione erosiva po-trebbero risalire al periodo pluviale, ca-ratteristico dell’Africa settentrionale tra 9.000 e 13.000 anni fa, all’incirca quan-do terminò l’ultima glaciazione. La Sfinge è uno dei monumenti più anti-chi al mondo. Non risale, come si vuol far credere, al tempo della costruzione delle piramidi: almeno questa era l’opinione diffusa tra i primi archeologi che visitarono il sito all’inizio del XX se-colo. Anche la Stele della Sfinge, opera del faraone Tutmosi IV, certifica, secon-do le ultime interpretazioni, che la sta-tua fu liberata dalla sabbia, ancor pri-ma, dallo stesso Chefren. La stele d e l l ’ i n v e n t a r i o , r i n v e n u t a dall’archeologo Mariette nel 1850, non è altro che una copia dell’originale di Chefren, in cui il faraone sostiene che

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prima del suo dominio esistevano già sulla piana di Giza sia la Casa della Sfin-ge sia l’attigua Casa di Iside (da inten-dersi la Grande Piramide); il sovrano non fece altro che erigere due piramidi di più ridotte dimensioni, una per se e l’altra per la figlia Henutsen. Erodoto, nelle sue opere, non parla della Sfinge, quindi è possibile che all’epoca il monu-mento fosse completamente ricoperto dalla sabbia del deserto. Qualche farao-ne, periodicamente, la riportava alla lu-ce ma nel giro di qualche centinaio d’anni la Sfinge, inevitabilmente, era di nuovo sepolta. Le conoscenze astronomiche nel pro-fondo del Neolitico, in quelle che sono ora depressioni desertiche, destano meraviglia ma anche qualche problema d’incastro nella cronologia accettata. Dal VI millennio a.C., in seguito al pro-gressivo inaridimento di Nabta Playa, ci furono costanti migrazioni di questa gente nomade verso nord, in direzione del delta del Nilo. Il sito era occupato probabilmente solo nella stagione esti-va, tra il 9.000 a.C. e il 2.800 a.C., con parentesi d’abbandono tra il 5.500 a.C. e il 4.500 a.C. (due i periodi di grande siccità: tra il 5.300 a.C. e il 5100 a.C. e tra il 4.700 a.C. e il 4.500 a.C.). Il ritorno a Nabta Playa, prima del definitivo ab-bandono, presenta una rilevante evolu-zione nel sistema e nell’organizzazione sociale degli occupanti. Potrebbero es-sere loro, questo misterioso popolo proveniente dall’Africa più profonda, ad aver fondato l’Antico Regno d’Egitto che

tutti conosciamo. Un tumulo di pietra del diametro di ot-to metri conteneva i resti completi di una mucca, sepolta in una camera sca-vata nel pavimento. Nella stessa zona sono stati rinvenuti altri sette tumuli di pietra contenenti resti di bestiame, sen-za camere sotterranee, con le ossa po-ste tra le pietre; non sono stati invece rintracciati resti umani. Un pezzo di le-gno della copertura ha prodotto una datazione al radiocarbonio attestata al 4.470 a.C., forse la data di un ultimo ri-to propiziatorio prima dell’abbandono del centro cerimoniale. Il culto del be-stiame divinizzato era destinato a pro-seguire altrove. Come scopriremo, da lì a poco sarà proprio una mucca a essere considerata la madre del sole (il “Toro del Cielo”): Hathor rappresentata come una mucca mentre il marito Horus co-me un toro possente, con le rispettive raffigurazioni astrali.Nella parte inferiore della tavoletta di re Narmer (3.100 a.C.), il toro che ab-batte le mura della città e schiaccia il re nemico è la rappresentazione del sovra-no paragonato a Horus, rappresentato sia come falco sia come toro possente.

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Ci sono dei film che si portano dietro un alone di mistero oltre che di male-dizione. Film che vengono ricordati per esempio per la fine tragica del protagonista, come Il Corvo che ha vi-sto morire il giovane Brandon Lee du-rante le riprese, o Il Cavaliere Oscu-ro,ultima interpretazione di Heath Le-dger, morto in circostanza ancora po-co chiare.Ma ce ne sono altri che portano den-tro di loro leggende nere, profumo di terrore, sospetti di patti con altre en-tità. Questa sorta di maledizione è le-gata soprattutto ad alcuni film di ini-zio Novecento, quando forse si speri-mentava di più o forse tutto era an-cora da scoprire. Vediamone alcuni.Vorrei partire parlando del film No-sferatu il Vampiro,un film del 1922 che mi ha sempre colpito molto, so-prattutto da quando ho scoperto che la prima volta è stato proiettato il giorno in cui poi sarei nata io, il 5 marzo.La trama di questo film è nota a tutti: si tratta del rifacimento della storia di Dracula, visto che gli eredi di Stoker non avevano concesso al regi-sta Friedrich W. Murnau i diritti d'au-tore. Perciò il geniale regista creò sul-la falsariga di Dracula la figura del Conte Orlok,la cui parte fu assegnata

all'attore teatrale Max Schreck. Chi-unque di noi, anche se non ha visto il film, ricorda qualche fotogramma di questa creatura, alta, nera, spettrale, senza capelli e con mani dalle dita lunghissime. Bene, la creatura era Schreck che stava interpretando il personaggio che l'avrebbe reso un'i-cona del mondo cinematografico. Pe-rò. Tutto il film è attraversato da un alone di mistero. Iniziamo dall'attore, da Max Schreck. Già il nome suona strano, visto che in tedesco queste

I FILM MALEDETTIM.Benedetta Errigo

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due parole significano "Grande terro-re". Si trattava forse di un nome d'ar-te scelto ad hoc? In teoria parrebbe di no, visto che pare che in alcune lo-candine di piccole compagnie teatrali tedesche di inizio Novecento ci sareb-be il nome, scritto molto piccolo, di questo attore: Friedrich Gustav Max Schreck. Qualcuno le ha però mai viste? No.Proseguiamo. Alcuni dicono che in re-altà Murnau si sarebbe recato nei Carpazi e lì avrebbe scovato un vero e proprio vampiro che lui avrebbe con-vinto a recitare. "Nella parte di se stesso", insomma!Questa diceria si sarebbe diffusa so-prattutto per il fatto che le riprese con il Conte Orlok si svolgevano di notte e che nessun provino era stato fatto per assegnare la parte, ma il re-gista era arrivato con questo attore, comparso dal nulla. Se a questo si ag-giunge il fatto che durante le riprese molti membri della troupe subirono incidenti anche mortali, si può capire come la leggenda della maledizione iniziasse già allora a farsi sentire.Alla fine gli eredi di Stoker bloccarono l'uscita del film e Murnau fu costretto a bruciare tutte le copie del girato. Tutte tranne una che è quella che ci ha permesso di vedere questo film ai giorni nostri.Forse per questo, forse per altri moti-vi, Max Schrek esce di scena e non ri-

compare in altri film famosi. Questo è però strano, visto che era stato il pro-tagonista assoluto di questo film e che quindi avrebbe dovuto avere al-tre offerte e altri parti di primo piano. Ma niente, di Max Schreck non si sa più nulla. Ecco perché si diffuse la leg-genda che in realtà Max Schreck fosse lo stesso regista Murnau, che aveva deciso di travestirsi e di essere lui il protagonista prefetto, quello che lui aveva in mente.Un'idea di quello che successe duran-te la lavorazione del film si può avere guardando "L'ombra del vampiro", pellicola di Elias Merhige con John Malckovich nella parte di Murnau e Wilem Dafoe in quella di Schreck.Veniamo a Freaks. Freaks è uno dei film più spaventosi della storia del ci-nema. Girato nel 1932 da Tod Bro-wing, venne ambientato in un circo ed interpretato da veri fenomeni da baraccone, esseri deformi e spavento-si, i "freaks" appunto.

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La storia è presto detta: in questo cir-co la bellissima trapezista Cleopatra è amata dal nano Hans. Lei accetta di sposarlo, ma in realtà è interessata solo ai soldi dell'uomo, quindi proget-ta di ucciderlo con l'amante Hercules, anche lui lavorante del circo come uo-mo forzuto.Ma gli altri freaks, che non avevano mai amato questa donna e sospetta-vano che lei volesse uccidere Hans, scoprono che Cleopatra e Hercules stanno lentamente avvelenando il na-no. Così, durante la notte, inseguono armati la donna e il suo amante. Lui viene ucciso subito,mentre a lei ven-gono tagliate le gambe, cavato un oc-chio, schiacciate le mani e mozzata la lingua. Ora anche lei è un freak, e in-fatti dopo qualche tempo si vede che viene presentata dal padrone del cir-co come "la donna gallina". Niente male eh?Sta di fatto che il regista dovette ta-gliare delle scene,dopo la prima mes-sa in scena. Per inciso: Browing chiu-se con Hollywood dopo questo film.

Nessuno lo fece più lavorare.Fu indispensabile tagliare le scene nelle quali si mostrava esattamente la mutilazione della donna da parte dei freaks. Non si contarono infatti i ma-lori tra gli spettatori presenti, tra i quali una donna incinta che abortì verso la fine della proiezione.Purtroppo le scene tagliate sono per-se per sempre, tra le quali la vera fine di Hercules che invece di morire per mano dei circensi viene castrato e co-stretto ad esibirsi come una pseudo donna, anche lui come fenomeno da baraccone, quindi.Va da sé che questo film fu vietato per circa vent'anni in tutto il mondo, rinnegato in maniera così totale che persino alcuni attori decisero di non dire mai di avere partecipato a questa pellicola. Facciamo un salto avanti di qualche anno e arriviamo al 1968. Questo è l'anno in cui Roman Polanski gira Rosemary's baby, film che posso immaginare si sia pentito mille volte di girare.In questo film si racconta della nascita dell'Anticristo e Polanski, proprio per essere il più fedele possibile ai rituali descritti nella pellicola, chiama come consulente un erede di Alesteir Cro-wley, fondatore della Chiesa di Sata-na.Purtroppo Charles Manson vide quel film. L'uomo, che già percorreva una strada satanica, pare non avesse gra-

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dito molto che nel film si parlasse di alcuni rituali segreti. E pare che fu proprio questa la causa della morte terribile un anno dopo di Sharon Tate, moglie di Polanski, massacrata nella sua villa da Manson e da suoi compli-ci. Il regista era all'estero e a malin-cuore aveva lasciato a casa la moglie che era incinta di otto mesi e non si sentiva di viaggiare. Anche per Mia Farrow, la protagonista, il film si lega a un cattivo ricordo, anche se non tra-gico come l'uccisione della Tate: suo marito Frank Sinatra le portò sul set i documenti del divorzio da firmare.Anche L'Esorcista non gode di buona fama. A prescindere dalla trama e dalle scene impressionanti, pare che buona parte dei parenti della troupe sia morta durante le riprese, mentre Linda Blair si ruppe alcune vertebre girando qualche scena.I film maledetti sono davvero tanti, impossibile da racchiudere tutti in un articolo solo, magari se ce ne sarà possibilità in futuro vi racconterò di altre leggende. Per il momento ho de-

ciso di chiudere questo articolo con la maledizione di Superman.Pare infatti che qualsiasi attore abbia interpretato il supereroe abbia avuto una vita sfortunata. Tutti noi ricordia-mo Christopher Reeve, protagonista del film del 1978, che nel 1995 cadde da cavallo e rimase paralizzato, mo-rendo poi agli inizi del Duemila. Ma anche i primi due Superman non eb-bero vita facile: il primo, Kirk Alyn, si vide chiudere davanti tutte le porte del cinema, visto che ormai lo si iden-tificava solo con l'uomo volante. Morì povero e solo. Anche George Reeves, il Superman degli anni Cinquanta, ri-mase senza lavoro per lo stesso moti-vo e purtroppo si suicidò.Come dire, non è tutto oro quello che luccica...

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Alexia Bianchini è un’instancabile tessitrice di storie: con CIESSE edizioni ha pub-

blicato MINON, un romanzo Dark Fantasy, Io vedo dentro Te, un’opera sci-fi, e

l’antologia D-Doomsday di cui è curatrice. Con Linee Infinite il romanzo Scarn, la

nuova era dei vampiri, a breve in nuova versione. Con GDS Edizioni l’antologia

SYMPOSIUM, di cui è curatrice, le novelle Sibilla, visioni di morte e Il cerusico.

Con EDS ha la raccolta cyber punk Alter Ego e quattro racconti di fantascienza. È

stata selezionata in diversi concorsi fantasy, horror e di sci-fi.

Non paga, collabora con Speechless e ST-books ed è editor, curatore di collana e

direttore del webmagazine Fantasy Planet.

Lo spazzino del Mietitore, la storia proposta alla nostra rivista, è un’altra prova

della versatilità di questa autrice. L’ambientazione e l’andamento horror-fantasy

riveleranno al lettore una terribile verità, offrendo al contempo più piani di lettu-

ra e di riflessione.

Buona lettura.

Luigi Milani

LA NARRATIVA DI CHIMERApresentata da Luigi Milani

Lo spazzino del mietitore

un racconto di Alexia Bianchini

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Lo spazzino del mietitoreun racconto di Alexia Bianchini

«Nulla, Mio Signore, non ho lasciato tracce dopo il suo passaggio» disse

l’ombra scarna di quello che un tempo era un uomo.

«Bravo, servo fedele, persevera nel tuo dovere, prostrati ai piedi di colui

che semina morte e non abuserò del tuo corpo per sentire grida di stra-

zio» enunciò una voce possente. Apparteneva alla figura più letale che il

genere umano avesse mai temuto. Il Mietitore aveva appena finito di se-

minare morte, tranciando vittime, ora esigeva riposo. Il suo corpo im-

menso divenne impalpabile, un fumo nero si espanse nell’antro del ripo-

so, scavato nelle profondità della terra, e svanì attraverso le viscere.

Nihil era rimasto solo, nel nulla.

«Ho finito di ripulire le macchie di sangue, aspirando gli avanzi con e-

strema riluttanza, ma sono spinto dalla necessità di mantenere

l’apparenza e non ho il potere di rifiutare» pronunciò a voce alta, consa-

pevole che le sue parole non avevano più peso.

«Sono colui che giunge dopo il Mietitore e ripulisce le tracce dell’atroce

violenza che il male dell’uomo scatena. L’odio chiama odio, scatenando le

belve che il mio padrone libera contro chi si è macchiato. Esse annusano

scalpitanti l’odore di marcio che il sudore dei malvagi emana.

L’eccitazione sovrasta i loro sensi e non distinguono più gli innocenti»

sussurrò, mentre la figura di una giovane dilaniata dalle fauci delle bestie

del suo padrone aleggiava nell’aria davanti al suo sguardo. Gli sembrò di

udire di nuovo le grida di terrore, poi tutto svanì, ma non il dolore che

stritolava il suo petto.

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Nihil, che non rammentava chi fosse stato un tempo, era chiamato ad a-

gire dopo lo scempio, e l’odore del sangue penetrava le sue narici.

Quale essere osceno era mai stato, se doveva assorbire la feccia, la spor-

cizia e l’ipocrisia dimoranti nei resti sparsi di membra squartate?

«Ero uno di voi, ero umano, ero …» si ritrovò a ripetere per l’ennesima

volta. Un pensiero che lo torturava dentro, perché il ricordo era ormai

svanito.

«Ora sono solo lo Spazzino dell’oscuro Signore, piegato dal tempo che

più non mi condanna, segnato dal dolore che ormai non mi sfiora» di-

chiarò, nella convinzione che esprimere il proprio fato potesse dargli un

tono, una forma. Era troppo il tormento indotto dalla consapevolezza di

essere stato scelto per ciò che aveva commesso.

«Chi sono stato? È questo il prezzo da pagare per i peccati che ho com-

messo?» domandò, gridando le sue ansie.

Appoggiato a un muro freddo e levigato cercò riposo. Strinse le meningi

nella vana speranza di un vago ricordo, ma solo l’orrore tornava a galla,

nulla di terreno e palpabile, solo sangue e carne.

«Ieri e domani la mia condizione sarà immutabile» disse a denti stretti,

cercando di accettare l’orrida situazione.

«Nihil!» gridò il padrone, «alzati dal tuo giaciglio e seguimi!».

Il servo non rispose, la paura di sbagliare era immane. I demoni dalle

fauci immonde, ancora legati a grosse catene, latravano, sbavando desi-

derosi di attaccare.

«Attendete ancora miei cari, vediamo se l’uomo è in grado di arretrare

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sui suoi sbagli. Non sono ingordo, voglio che impariate a vedere se il no-

stro intervento sia necessario» disse il Mietitore ai suoi amati cuccioli.

Il suo abito nero si polverizzava e ricomponeva davanti a quella landa,

dove un manipolo di uomini armati stava attaccando un accampamento

di agricoltori.

«Guardateli, poveri illusi. Hanno distrutto il loro mondo, tornando alle

origini della specie. La civiltà si è ritorta su se stessa e loro sono ancora a

caccia, nella speranza di sopravvivere evitando la fatica, schiacciandosi

l'un l'altro» disse con un ghigno malefico.

Nihil rimase davanti alla scena che stava per svolgersi. La furia ingorda

degli assalitori fu devastante.

«Inutile perdere tempo, attaccate!» esclamò il mietitore, sguinzagliando

le belve.

Per gli umani non ci fu sentore di ciò che il fato aveva in serbo per loro.

Nemmeno le vittime che tentavano invano la fuga furono risparmiate

dalle fauci spalancate e voraci. Grida di terrore saettarono nel cielo che si

terse di viola e schizzi di sangue tinsero la scena. Parvero innocui e inno-

centi persino i carnefici, inermi davanti alla potenza dei demoni della

notte.

Nihil deglutì, senza voltare lo sguardo. Era convinto che farlo avrebbe si-

gnificato non portare rispetto al suo Signore. Fece un passo avanti, pron-

to per il suo lavoro di spazzino, ma una mano scarna, grande il doppio

della sua figura, gli si parò davanti.

«Aspetta che l’ultimo sia stato trucidato, poi potrai scendere» lo ammonì

il Signore della Morte.

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«Sì padrone» riuscì solo a dire.

Nihil discese il pendio. La sua veste di stracci si mescolava, nei suoi tanti

lembi, ai lunghi capelli neri. Non doveva pensare, solo agire e ingurgita-

re. La sua bocca si spalancò disumanamente e iniziò ad aspirare l’odio

che aleggiava fra le anime dei defunti. Poi venne il turno dei resti che,

sbriciolati nel turbine che si librava dalla sua bocca, si infilarono nel suo

corpo.

Rigonfio d’immondizia umana Nihil rimase in attesa del suo Signore, che

giunto nel luogo della battaglia, sprofondò il suo bastone nella terra, cre-

ando un varco.

«Liberati!» ordinò al suo servo, che obbedì, lasciando che tutto sprofon-

dasse nell’abisso.

Quando il padrone richiuse il varco le belve si ammansirono.

«Nessun richiamo d’odio nell’aria. Torniamo al riposo!» proferì il Signo-

re, e il vento li trasportò nel loro antro, ma non per molto. L’uomo, si sa,

è un debole che cede velocemente, incapace di vivere in pace, soprattutto

se non ha più niente.

Nel silenzio del buio profondo Nihil cercò il sonno. Sequenze di numeri

riempivano i suoi sogni, scatenando stati d’ansia devastanti, alternandosi

con sensazioni di assenza e presenza che non riusciva a decifrare.

Chi era stato? Più cercava la risposta e più si confondeva. Poteva uno co-

me lui, che provava disgusto nel vedere il sangue e sentiva pietà

nell’osservare il dolore delle vittime, essere stato malvagio al punto da

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meritarsi quel lavoro? Il tormento lo consumava dall’interno.

Quanto fu il tempo del riposo nessuno lo può dire.

«Andiamo!» sentì pronunciare, e un attimo dopo erano davanti a un vil-

laggio di case diroccate dove i sopravvissuti cercavano di resistere.

«Eccoli, pochi e miseri umani. Questo luogo sembra in quiete, ma c’è un

crescendo d’odio che mi ha richiamato. Vedrai fra poco la pace fasulla

spazzata dalla mano dell’uomo malvagio. Se non impareranno, entro po-

chi anni non resterà più nessuno!» esclamò il Signore.

Nihil guardò il suo Signore e non trovò ingiustizia nelle sue parole, poi

tornò a dare un’occhiata a quei ruderi, dove figure femminili stendevano

stracci al vento. Non riuscì a evitare di incrociare lo sguardo con una gio-

vane dai capelli corvini e dalle labbra cremisi.

«Padrone…» sussurrò a fatica.

«Leggo i tuoi pensieri Nihil, ma non c’è pietà per l’umanità, quando essa

rifiuta l’evoluzione facendosi dominare dalla smania del possesso. Merita

solo la falce!» sentenziò il Mietitore, tirando le catene, per tenere a freno

le belve.

Gli assalitori entrarono nel villaggio, con i loro mezzi blindati coperti per

sembrare mercanti. Solo quando la gente uscì allo scoperto si rivelarono.

«Solo lei…» disse di nuovo Nihil, mentre l’attacco era partito inesorabile.

«Guarda piccolo servo, guarda di cosa è capace l’uomo» disse il Signore,

ignorando volutamente la supplica.

La giovane che Nihil non smetteva di seguire con lo sguardo cercava ripa-

ro fra le rovine. La vide arrampicarsi lesta su un traliccio ritorto su se

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stesso che un tempo ostentava alta nel cielo una grande scritta pubblici-

taria. Tra le lamiere ritorte la ragazza trovò una nicchia e sembrò quasi al

riparo dai soprusi, quando due uomini videro il lembo del suo abito svo-

lazzare. Il cuore di Nihil ebbe un tumulto, un battito improvviso, e quasi

desiderò che le belve indemoniate si lanciassero sulla folla, pur di rispar-

miare la violenza di uno stupro a quella giovane. Il suo padrone sembrò

quasi leggergli nel pensiero e sguinzagliò le bestie immonde, ma due as-

salitori avevano già raggiunto la preda e la trascinarono a terra, strap-

pandole i vestiti di dosso.

Non vi fu premeditazione nel suo pensiero, né consapevolezza del perico-

lo in quell’azione di disobbedienza, ma Nihil iniziò a correre verso il vil-

laggio.

Quando raggiunse la ragazza, i due uomini si voltarono verso di lui, stra-

niti, disorientati. Non doveva avere un aspetto normale, visto ciò che da

tempo immemore faceva per il Mietitore. I due si guardarono, proruppe-

ro in una grassa risata, prendendolo in giro per i suoi miseri stracci.

«Ci penso io a questo, intanto occupati della femmina!» esclamò il più

grosso, mentre l’altro teneva una sciabola puntata al collo della vittima.

Il grido esultante delle bestie affamate si mischiò con il fragore della bat-

taglia, ma nel luogo dove si trovava il servo i due assalitori non capirono

cosa stesse avvenendo nel villaggio e perseverarono nel loro atto diaboli-

co.

«Lasciatela!» intimò Nihil.

«Ti distruggo!» disse il suo assalitore.

Il servo spalancò la bocca, un turbine ne fuoriuscì. La forza di quel potere

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era tale che l’uomo davanti a lui si sbriciolò, schizzando sangue ovunque.

Lo sguardo di orrore dipinto sul volto del compare era una maschera di

terrore, si staccò dalla giovane riversa a terra e si allontanò di corsa.

Nihil raggiunse la ragazza. Mentre l’aiutava a rialzarsi lei guardò il suo

assalitore scappare e poi salire su un cumulo di macerie, quando un ani-

male nero di dimensioni spropositate fece capolino sulla cima di quella

collina di detriti. Si udì solo un grido, l’uomo si voltò su se stesso per cor-

rere verso di loro venendo istantaneamente braccato dalle fauci che lo

stritolarono squartandogli le carni.

«Scappiamo!» gridò la ragazza.

Nihil la prese fra le braccia e iniziò a correre, non sapendo se le belve lo

avrebbero risparmiato, trovandolo lì, in mezzo ai Peccatori.

L’odore del sangue aumentava d’intensità, ma il servo correva veloce ver-

so il suo padrone.

«Perdonatemi, non ho resistito!» disse il servo, tenendo ancora fra le

braccia la giovane, che tremava convulsamente, tenendo gli occhi spalan-

cati sull’orrore che si stava compiendo nel suo villaggio.

Il padrone non rispose, forse troppo indignato per quell’atteggiamento

poco consono ai doveri di un servitore.

«Le belve hanno finito, lasciala a terra e vai a fare il tuo lavoro» sentenziò

il padrone.

La ragazza, in stato di evidente confusione, si rannicchiò a terra, strin-

gendo a sé le ginocchia, terrorizzata.

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«Gonfio del male appena assorbito, mi sento straripante di odio. È mio

dovere, il mio obbligo verso questa società ormai persa, ma non sarò mai

pronto ad accettare tutto questo. Trattengo il rigurgito per riversare tutto

nelle viscere della terra, eppure questa mia condizione sembra non avere

mai fine, quasi non bastasse aspirare il male» disse Nihil, osservando gli

scarti che stava per risucchiare.

«Il tuo lavoro è stato eccellente» disse il padrone, osservando il villaggio

ripulito da ogni traccia.Il grande vento trasportò il padrone e il suo segui-

to nell’antro del riposo. Il signore della Morte accettò di buon grado che

la donna sopravvivesse alla fame indomabile delle belve. Svenuta, sop-

portò il viaggio, svegliandosi di soprassalto nell’oscurità di un luogo sco-

nosciuto.

«Dove sono?» chiese la ragazza con voce treante.

«Nell’antro del riposo. Il mio Signore necessita di pace fra una missione e

l’altra» rispose umilmente il servo.

«Ho paura, portami via di qui» implorò la ragazza.

«Non devi temere nulla nella sua dimora. Dimmi come ti chiami e di cosa

hai bisogno, farò di tutto per accontentarti» sostenne Nihil.

«Mi chiamo Alidia. Ho molta fame e vorrei un po’ di luce» sussurrò la ra-

gazza.

«Dovremo spostarci da qua» pronunciò il servo con disagio, ma d'altron-

de si era proposto di aiutarla, non poteva più tirarsi indietro.

Prendendole la mano, attraversò cunicoli stretti, dove serpi immense

dormivano sonni eterni.

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Giunsero in un'asettica stanza rettangolare, dove uno strano sole quadra-

to illuminava il luogo. Nihil guardò quell’ambiente senza sapere dove re-

almente si trovassero. Mai aveva osato allontanarsi dal suo giaciglio, il

luogo dove il padrone lo riportava dopo ogni sporco lavoro.

«Conosci la combinazione?» chiese la ragazza.

Nihil rimase in silenzio, poi lei gli prese la mano e la poggiò su un riqua-

dro luminoso. Si sentì un rumore strano, poi la porta si spalancò.

«Andiamo!» lo esortò Alidia.

Si incamminarono lungo stanze illuminate straripanti di macchinari di

ogni genere.

«Dobbiamo trovare l’uscita!» disse la ragazza, muovendosi svelta fra i lo-

cali.

«Ma io non posso andarmene, devo stare con il mio padrone, o subirò le

ire della sua furia immane. Possiamo cercare ciò di cui tu hai bisogno, ma

io devo tornare al mio lavoro» disse Nihil.

«Quale lavoro?» chiese la ragazza, fermandosi e fissandolo curiosa.

«Io pulisco i resti, assimilo l’odio per nascondere la violenza. Mi chiamo

Nihil, sono lo spazzino del Mietitore e non posso negarmi a lui» spiegò il

servo.

«Quale Mietitore? Parli di quella macchina di morte e dei suoi tentacoli

mostruosi sulle cui estremità sono state montate delle falciatrici?» do-

mandò Alidia.

Nihil rimase in silenzio, perplesso da quelle parole senza senso. Il suo Si-

gnore era immenso, orrendamente elegante nelle sue movenze. Come po-

teva quella giovane paragonarlo a una macchina?

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«Ti ricordi qual è la tua codifica e per cosa sei stato assemblato?» do-

mandò di nuovo Alidia.

«Assemblato?» chiese Nihil interdetto.

«Lascia stare, cerchiamo le stanze dove ci sono i computer a cui siete col-

legati, prima che quel mostro si risvegli» disse Alidia, trascinando con sé

Nihil basito e confuso.

Camminavano spediti e Nihil vide le serpi dormienti che mutavano

d’aspetto. Non respiravano più, erano divenuti semplici cavi dal diametro

di trenta centimetri. I meravigliosi e quadrati soli che incontravano lungo

il cammino persero la loro fattezza, per divenire semplici lampade. Tutto

ciò che vedeva mutava, persino i suoi capelli fluttuanti sembravano ora

fili elettrici.

«Eccolo, dev'essere quello!» esclamò Alidia.

Una grande porta in acciaio si spalancò dinanzi a loro ed entrarono in un

salone immenso, dove enormi vetrate si aprivano su quella che un tempo

doveva essere stata una metropoli. Nihil guardò fuori, osservando il disa-

stro. L’aria frizzante entrava dalle vetrate rotte, migliaia di detriti erano

sparsi ovunque. La devastazione era totale.

«Sono passati cinque anni, ma sembra un’eternità» disse Alidia, acco-

standosi a lui per osservare quel panorama terrificante.

«Sono passati da cosa?» chiese il servo, che ricordava bene dalle parole

del suo padrone che il mondo era collassato per colpa di uomini malvagi.

«Che sia stato un errore umano o dei computer non lo sappiamo, ma tut-

to è esploso!» spiegò Alidia.

«Esploso…» ripeté l’androide accanto a lei.

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«Dovresti essere un modello base per l’aiuto in casa, per le faccende do-

mestiche, anche se il tuo aspiratore è stato modificato e reso molto po-

tente» constatò Alidia, accarezzando Nihil.

«Mi sento confuso!» dichiarò l’androide guardandosi le mani, arti metal-

lici privi di carne, dalla parvenza umanoide.

«Ne avevo uno come te da bambina. Anche lui sentiva. Venne portato via

per essere disassemblato. A quei tempi non era previsto che un androide

potesse avere emozioni, poi il genere umano ha compreso. Peccato che

quando la società ha iniziato a evolversi nel verso giusto, e l’umanità ha

scelto il percorso più corretto, tutto è collassato. Abbiamo toccato il para-

diso con un dito, per poi risprofondare nell’inferno» si rammaricò la ra-

gazza.

«C’è odore di odio nell’aria, è questo che alimenta il mio signore» asserì

Nihil, tentennando sulle ultime due parole.

«Qualcosa di strano deve essere successo durante l’esplosione. È solo un

macchinario antisommossa che si è auto-modificato e auto-

programmato, non è affatto il tuo Signore. Dobbiamo disattivarlo!» disse

Alidia.

«Disattivarlo? Ma lui elimina i violenti, i banditi. Hai visto come ha dife-

so il tuo villaggio!» esclamò l’androide.

«Difeso? Certo, mi hai salvata, ma quanti innocenti sono morti? Ogni

giorno venivamo attaccati e ogni giorno riuscivamo a difenderci. Quella

macchina non è in grado di distinguere il bene dal male e continuerà nel-

le sue stragi. L’eco dei morti si è diffuso fra molte comunità, ma nessuno

è riuscito mai a disattivarlo» disse la ragazza.

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Un allarme prese a suonare e Alidia si allarmò, cercando l’origine di quel

suono. Nihil rimase immobile per qualche secondo, aveva riconosciuto

quel suono che antecedeva il solito richiamo al dovere. Ripensò al suo pa-

drone e alla sua visione distorta di ciò che vedeva. L’immagine di

quell’essere superiore vestito di nero con i suoi cani enormi al guinzaglio

era fasulla? Forse una distorsione della realtà prodotta da un difetto del

suo chip mnemonico. Frugò nei ricordi ripensando a tutte le disposizioni

che gli intimavano di credere che la sua missione fosse un obbligo inde-

rogabile nei confronti del suo Signore, per poi confrontarle con le parole

nuove di Alidia, la giovane donna che gli aveva rivelato la verità.

«Di qua» gridò Nihil, deciso ormai ad aiutare la ragazza.

Ora sapeva dove andare per disattivare XP8, la grande macchina anti

sommossa che aveva perso il controllo dopo l’esplosione.

Appena entrati nel laboratorio Nihil vide il suo padrone che ancora tene-

va gli occhi socchiusi, mentre le catene immense ricadevano pesanti sul

terreno, dove le belve dormivano. L’allarme suonava e un computer se-

gnalava che in una zona poco distante c’erano movimenti sospetti. Il sen-

sore segnalava il livello due, mentre l’allarme impazzava. Al livello suc-

cessivo XP8 si sarebbe attivato, scatenando le bestie.

«Muoviamoci!» gridò Alidia osservando Nihil imbambolato a guardare il

suo padrone.

«Servo, cosa fai qui!» disse una voce cupa che risuonò nella stanza.

«Perdonatemi, io …» disse Nihil, mentre Alidia cercava di scuoterlo per

richiamarlo alla realtà.

«Non oserai ribellarti ai tuoi doveri?» domandò furiosa quella figura o-

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scura e potente.

«Non è il Signore della Morte, non è il tuo padrone!» urlò più volte la ra-

gazza, mentre Nihil sentiva le catene che vibravano per richiamare le bel-

ve.

«Ma io …» sussurrò il servo confuso, terrorizzato dagli occhi furenti, ros-

si di sangue, che il suo padrone fissava su di lui. Poi sentì un latrato e si

voltò verso le belve con le fauci spalancate, ma un frame si sovrappose a

ciò che vedeva e l’animale si smaterializzò, lasciando spazio a un oggetto

meccanico.

«Svegliati! Dimmi come faccio a spegnerlo!» disse Alidia.

Grandi maglie taglienti si mossero verso le due figure e lo stridore del

ferro ricoprì il rumore dell’allarme. Un solo frammento di tempo e tutto

sarebbe diventato vano.

«Ora ricordo … l’alimentazione si trova dietro, ma non servirà a nulla

staccarlo» spiegò Nihil.

«Non dire così, proviamoci!» esclamò Alidia. Ancora pochi istanti e la

forza deviata di quella grande macchina ne avrebbe fatto poltiglia.

«Io sono il tuo servo, sono nulla senza di te, ma tu sei niente senza di

me» gridò al suo padrone, aprendo uno sportello sul suo addome, strap-

pando con violenza i fili al suo interno e cadendo fragorosamente a terra.

«Noo…!» gridò Alidia, accasciandosi.

Tutto si spense, il mostro era morto per mano del suo umile servitore, un

androide nato per raccogliere immondizia nelle case degli umani e dive-

nuto artefice e creatore del suo stesso carnefice. Quando la sua program-

mazione era andata in tilt, Nihil aveva mutato il suo status e la sua mis-

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sione, plasmando il Signore della Morte fra i detriti vicino al laboratorio

dove era stato assemblato in origine.

«Non piangere, siamo riusciti a spegnerlo» sussurrò Nihil a fil di voce.

«Ma perché? Potevi ricominciare!» esclamò la ragazza.

«Ho dato vita io alla versione distruttrice di XP8. Sarebbe stato in grado

di autoalimentarsi, ma con il suo telecomando fuori uso è solo un am-

masso di ferraglia. Perdonami se puoi, non riuscivo a vedere la realtà, a

distinguere il bene dal male» spiegò, spegnendosi per sempre.

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