Tomaselli Alessandro, Sport e unione europea un binomio vincente?

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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna www.koreuropa.eu SPORT E UNIONE EUROPEA: UN BINOMIO VINCENTE? Alessandro Tomaselli Assistant Professor di Diritto dell’Unione Europea nell’Università Kore di Enna ABSTRACT: L’articolo intende ricostruire in chiave critica l’attuale regolamentazione relativa allo sport in ambito europeo e derivante dal Trattato di Lisbona, sottolineandone incongruenze, lacune e contraddizioni, sostanzialmente derivanti dall’ormai consueto tacito dialogo intercorrente tra il legislatore di Bruxelles e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea: in particolare, si rimarca come il diritto europeo, in forza della sentenza Meca Medina della stessa CGUE, riduca, rectius, sia costretta a ridurre anche l’attività sportiva al rango di attività economica ai fini della comprensione della stessa all’interno dell’orbita normativa dell’ordinamento UE. Ciò si spiega facendo rimando all’architettura fondamentalmente mercantilistica e d economicistica caratterizzante già dalle proprie origini il comparto normativo istituzionale medesimo, a nulla sostanzialmente valendo i reiterati quanto sterili tentativi, di matrice dunque essenzialmente politica, compiuti al livello extraterritoriale in esame di caratterizzare l’azione dell’UE anche in direzioni aliene rispetto a rationes e finalità di mercato PAROLE CHIAVE: Sport, Unione Europea, Trattato di Lisbona, Mercato 1. Lo sport nel diritto europeo: gli atti delle Istituzioni UE Ai sensi dell’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (di seguito TFUE), norma d’apertura del titolo XII del medesimo relativo all’istruzione, formazione professionale, gioventù e sport, ambiti a loro volta espressamente attribuiti alla competenza dell’Unione Europea in forza del contenuto di cui all’art. 6 TFUE 1 , l’Unione Europea, tra l’altro, “contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed 1 Il quale, ricompreso all’interno del titolo I appunto riguardante le categorie e settori di competenza dell’Unione, individua proprio l’istruzione, la formazione professionale, la cultura e lo sport come quelle materie, tra le altre, relativamente alle quali “L'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri”. Per dovere di completamento e precisione, a tal ultimo riguardo è da aggiungere come la disposizione in esame vada ricondotta alla previsione generale di cui all’art. 2, § 5 TFUE a norma della quale “In taluni settori e alle condizioni previste dai trattati, l'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro competenza in tali settori. Gli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione adottati in base a disposizioni dei trattati relative a tali settori non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”.

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L’articolo intende ricostruire in chiave critica l’attuale regolamentazione relativa allo sport in ambito europeo e derivante dal Trattato di Lisbona, sottolineandone incongruenze, lacune e contraddizioni, sostanzialmente derivanti dall’ormai consueto tacito dialogo intercorrente tra il legislatore di Bruxelles e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea: in particolare, si rimarca come il diritto europeo, in forza della sentenza Meca – Medina della stessa CGUE, riduca, rectius, sia costretta a ridurre anche l’attività sportiva al rango di attività economica ai fini della comprensione della stessa all’interno dell’orbita normativa dell’ordinamento UE. Ciò si spiega facendo rimando all’architettura fondamentalmente mercantilistica e d economicistica caratterizzante già dalle proprie origini il comparto normativo – istituzionale medesimo, a nulla sostanzialmente valendo i reiterati quanto sterili tentativi, di matrice dunque essenzialmente politica, compiuti al livello extraterritoriale in esame di caratterizzare l’azione dell’UE anche in direzioni aliene rispetto a rationes e finalità di mercato

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SPORT E UNIONE EUROPEA: UN BINOMIO

VINCENTE?

Alessandro Tomaselli

Assistant Professor di Diritto dell’Unione Europea nell’Università Kore di Enna

ABSTRACT: L’articolo intende ricostruire in chiave critica l’attuale regolamentazione relativa

allo sport in ambito europeo e derivante dal Trattato di Lisbona, sottolineandone

incongruenze, lacune e contraddizioni, sostanzialmente derivanti dall’ormai consueto tacito

dialogo intercorrente tra il legislatore di Bruxelles e la Corte di Giustizia dell’Unione

Europea: in particolare, si rimarca come il diritto europeo, in forza della sentenza Meca –

Medina della stessa CGUE, riduca, rectius, sia costretta a ridurre anche l’attività sportiva al

rango di attività economica ai fini della comprensione della stessa all’interno dell’orbita

normativa dell’ordinamento UE. Ciò si spiega facendo rimando all’architettura

fondamentalmente mercantilistica e d economicistica caratterizzante già dalle proprie origini

il comparto normativo – istituzionale medesimo, a nulla sostanzialmente valendo i reiterati

quanto sterili tentativi, di matrice dunque essenzialmente politica, compiuti al livello

extraterritoriale in esame di caratterizzare l’azione dell’UE anche in direzioni aliene rispetto

a rationes e finalità di mercato

PAROLE CHIAVE: Sport, Unione Europea, Trattato di Lisbona, Mercato

1. Lo sport nel diritto europeo: gli atti delle Istituzioni UE

Ai sensi dell’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (di seguito

TFUE), norma d’apertura del titolo XII del medesimo relativo all’istruzione, formazione

professionale, gioventù e sport, ambiti a loro volta espressamente attribuiti alla competenza

dell’Unione Europea in forza del contenuto di cui all’art. 6 TFUE1, l’Unione Europea, tra

l’altro, “contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue

specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed

1Il quale, ricompreso all’interno del titolo I appunto riguardante le categorie e settori di competenza dell’Unione,

individua proprio l’istruzione, la formazione professionale, la cultura e lo sport come quelle materie, tra le altre,

relativamente alle quali “L'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o

completare l'azione degli Stati membri”. Per dovere di completamento e precisione, a tal ultimo riguardo è da

aggiungere come la disposizione in esame vada ricondotta alla previsione generale di cui all’art. 2, § 5 TFUE a

norma della quale “In taluni settori e alle condizioni previste dai trattati, l'Unione ha competenza per svolgere

azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro

competenza in tali settori. Gli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione adottati in base a disposizioni dei trattati

relative a tali settori non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari

degli Stati membri”.

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educativa” (comma 1). Inoltre, e più specificamente, il disposto in questione rimarca che

l’azione della stessa è anche “intesa a sviluppare la dimensione europea dello sport,

promuovendo l'equità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli

organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in

particolare dei più giovani tra di essi” (comma 2), aggiungendo al riguardo che “L'Unione e

gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni

internazionali competenti in materia di istruzione e di sport, in particolare con il Consiglio

d'Europa”(comma 3), e statuendo infine che “Per contribuire alla realizzazione degli obiettivi

previsti dal presente articolo il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando in conformità

della procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale

e del Comitato delle regioni, adottano azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi

armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il Consiglio,

su proposta della Commissione, adotta raccomandazioni” (comma 4).

Al riguardo pare necessario specificare come in forza del contenuto delle norme testé

richiamate, e dunque solo grazie all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione

Europea sia stata finalmente investita di una competenza specifica in materia di sport2, e ciò

nonostante il processo d’integrazione affondi, come noto, le proprie radici nei Trattati di

Roma risalenti a più di cinquant’anni or sono.

Ciò, tuttavia, non significa che l’Unione non si sia occupata di sport antecedentemente

alla recente riforma dei propri Trattati istitutivi: al riguardo è, infatti, noto come le istituzioni

di Bruxelles abbiano già da tempo palesato un certo interesse nei confronti della materia

2A tal proposito v., tra gli altri, BASTIANON, Sport, antitrust ed equilibrio competitivo nel diritto dell’Unione

Europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 3/2012, pp. 495 ss.; Ib. (a cura di), L’Europa e lo sport. Profili

giuridici, economici e sociali, Milano, 2012; Ib., La funzione sociale dello sport e il dialogo interculturale nel

sistema comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2009, pp. 391 ss.; Ib., Da Bosman a

Bernard: note sulla libera circolazione dei calciatori nell’Unione Europea, in Il Diritto dell’Unione Europea,

3/2010, pp. 707 ss.; NASCIMBENE – BASTIANON, Diritto europeo dello sport, Torino, 2011; Ib., Lo sport e il

diritto dell’Unione Europea, in GREPPI – VELLANO( a cura di), Diritto internazionale dello sport, Torino, 2010;

TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, Padova, 2011; CARBONE, Lo sport ed il diritto

dell’Unione Europea dopo il Trattato di Lisbona, in Studi sull’integrazione europea, 2010, pp. 597 ss.;

COLANTUONI, Diritto sportivo, Torino, 2009; TOGNON(a cura di), Diritto comunitario dello sport, Torino, 2009;

ZYLBERSTEIN, The specificy of sport: a concept under the threat, in BLANPLAIN( a cura di), The future of sports

law in the European Union: beyond the EU reformTreaty and the White paper, The Hague, 2008, pp. 95 ss.;

SANINO – VERDE, Il diritto sportivo, Padova, 2008; ALVISI(a cura di), Il diritto sportivo nel contesto nazionale ed

europeo, Milano, 2006.

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oggetto del presente studio, e non solo con riferimento all’attività in tal direzione svolta dalla

Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito, CGUE). “Tale apparente contraddizione

trova la sua naturale spiegazione nella duplice dimensione che lo sport può rivestire. Lo sport,

infatti, soprattutto quando praticato ad alti livelli, può costituire a tutti gli effetti un’attività

economica (c.d. dimensione economica dello sport), come tale assoggettata alle regole

europee in materia di mercato interno e concorrenza e, pertanto, certamente rientrante nel

novero delle competenze generali dell’Unione Europea. Lo sport, tuttavia, rappresenta anche

un fenomeno sociale di straordinaria importanza: basti pensare, ad esempio, ai benefici dello

sport e dell’attività fisica in genere per la salute degli individui, ovvero alla funzione

educativa che lo sport svolge, soprattutto nei giovani, ”veicolando” valori fondamentali quali

l’amicizia, la solidarietà, il rispetto degli altri e la tolleranza (a loro volta in grado di produrre

effetti sotto il profilo dell’integrazione sociale), ovvero ancora alla natura volontaristica e

gratuita che caratterizza l’attività di tutti coloro che si adoperano per promuovere lo sport a

livello locale offrendo a chiunque la possibilità di praticare attività sportive a livello

dilettantistico (c.d. funzione sociale dello sport)”3. Oltretutto, al riguardo non va trascurato

che “L’Europa, inoltre, è caratterizzata dalla capacità di accogliere ed organizzare grandi

eventi sportivi e lo sport comunitario (adesso UE, ndr) essendo strutturato, organizzato e

portatore di valori e tradizioni secolari, non può che rappresentare un’immagine altamente

positiva del “vecchio continente”4.

Ma procediamo con ordine.

I principali atti delle istituzioni UE relative al fenomeno sportivo, da sempre investito in

ambito europeo di un ruolo preponderante sotto il profilo sociale – pedagogico – culturale,

che paiono meritare certamente menzione sono innanzitutto rappresentati:

1. dalla c.d. “Europa dei cittadini” (meglio nota come Relazione ADONNINO),

presentata al Consiglio Europeo di Milano del 1985, a tutti gli effetti da considerarsi come

l’input decisivo alla base delle azioni di comunicazione e di sensibilizzazione del cittadino

europeo con riguardo alla sua appartenenza all’UE;

3 Così BASTIANON, Sport, antitrust ed equilibrio competitivo nel diritto dell’Unione Europea, cit., p. 486. 4 Così TOGNON, Unione Europea e sport: evoluzione e sviluppi di un rapporto “particolare”, in Ib. (a cura di),

op. cit., p. 5.

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2. dalla Comunicazione della Commissione del 31 luglio 19915 relativa al tanto

delicato quanto controverso tema dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, ed in occasione

della quale l’esecutivo di Bruxelles ha sottolineato come lo sport debba essere preso in

considerazione in sede di sviluppo delle politiche europee in materia di salute, ambiente,

tutela dei consumatori, turismo ed educazione;

3. dalla Dichiarazione n. 29 allegata al Trattato di Amsterdam del 1997, ove si

rimarca la rilevanza sociale dello sport con particolare riguardo ai processi di formazione

dell’identità personale e di ravvicinamento tra i cittadini dell’Unione Europea: “La conferenza

sottolinea la rilevanza sociale dello sport, in particolare il ruolo che esso assume nel forgiare

l’identità e nel ravvicinare le persone. La conferenza invita pertanto gli organi dell’Unione

europea a prestare ascolto alle associazioni sportive laddove trattino questioni importanti che

riguardano lo sport. In quest’ottica un’attenzione particolare dovrebbe essere riservata alle

caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico…”;

4. dalla Relazione della Commissione al Consiglio Europeo “nell’ottica della

salvaguardia delle strutture sportive attuali e del mantenimento della funzione sociale dello

sport nel quadro comunitario (c.d. Relazione di Helsinki)6 del 1999, attraverso la quale la

Commissione ha fornito una visione globale dello sport e della sua fondamentale funzione di

integrazione sociale ed educativa, suggerendo al riguardo una strategia finalizzata al

contemperamento della dimensione economica dell’istituto in oggetto con quelle popolare,

educativa, sociale e culturale allo stesso afferenti. In tale sede, oltretutto, l’esecutivo UE si

sofferma su ciò che a ragione ritiene costituiscano vere e proprie minacce ad un armonioso

dipanarsi del compito socio – pedagogico di cui sopra, nello specifico da individuarsi nel

tristemente noto fenomeno della violenza negli stadi, nell’aberrante diffusione ed espansione

delle pratiche di doping, nel bieco sfruttamento a fini di lucro dei giovani sportivi da parte di

sedicenti procuratori e/o comunque di soggetti privi di scrupoli in cerca di guadagni facili,

con conseguente pregiudizio di un’equilibrata crescita dell’intero sistema, nonché, con i

dovuti distinguo, nella pericolosa deriva economicistica (al riguardo v. oltre p. 3) che dunque

già alla fine del secolo scorso almeno astrattamente turbava gli animi delle istituzioni di

5In GUCE-SEC (91) 1438, 31 luglio 1991 dal titolo “La Comunità Europea e lo Sport”. 6In GUCE.,COM (1999) 644 def.

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Bruxelles ed infine nella c.d. internazionalizzazione dello sport seguito della moltiplicazione

delle competizioni sportive europee e mondiali7;

5. dalla Dichiarazione del Consiglio Europeo di Nizza risalente al dicembre del

2000 e “relativa alle caratteristiche specifiche dello sport e alle sue funzioni sociali in Europa

di cui tenere conto nell’attuazione delle politiche comuni”8, ispirata al principio guida della

salvaguardia della coesione e dei legami di solidarietà che uniscono tutti gli aspetti delle

pratiche sportive, l’equità delle competizioni, gli interessi morali e materiali e l’integrità fisica

degli sportivi (specie se minorenni) ed in occasione della quale è stata per la prima volta

teorizzata la tesi della c.d. specificità sociale dello sport. In particolare, “Nell'azione che

esplica in applicazione delle differenti disposizioni del trattato, la Comunità deve tener conto,

anche se non dispone di competenze dirette in questo settore, delle funzioni sociali, educative

e culturali dello sport, che ne costituiscono la specificità, al fine di rispettare e di promuovere

l'etica e la solidarietà necessarie a preservarne il ruolo sociale”. “In quest’ottica le istituzioni

europee e gli Stai membri sono stati invitati ad esaminare le proprie politiche in materia di

sport nel rispetto dei Trattati, in base alle rispettive competenze e in conformità ai principi

generali enunciati nella dichiarazione stessa, che possono essere così riassunti: a) lo sport è

un’attività umana che si fonda su valori sociali, educativi e culturali essenziali e costituisce

pertanto un fattore di inserimento, di partecipazione alla vita sociale, di tolleranza, di

accettazione delle differenze e di rispetto delle regole; b) la pratica delle attività fisiche e

sportive rappresenta, per i disabili, fisici o mentali, un mezzo privilegiato di sviluppo

individuale, di rieducazione, di integrazione sociale e di solidarietà; c) le federazioni sportive

svolgono un ruolo centrale nella solidarietà necessaria fra i vari livelli di attività in quanto

consentono l’accesso di un vasto pubblico alle manifestazioni sportive, il sostegno umano e

finanziario alle pratiche dilettantistiche, la promozione della parità di accesso da parte delle

7 A tal ultimo proposito la Commissione, in particolare, evidenzia le principali fonti di tensione e di

contraddizione che, tra l’altro, minaccia il fenomeno sportivo nel perseguimento dei fini innanzi descritti: il

sovraccarico dei calendari quale causa di espansione delle pratiche dopanti, l’esponenziale moltiplicazione degli

avvenimenti sportivi a scopo di lucro che va a discapito della funzione sociale, la tentazione di alcuni operatori

di uscire dal quadro delle federazioni sportive per sfruttare al meglio il potenziale economico ad uso

commerciale, la ricerca di guadagni immediati come effetto diretto dell’eccessiva commercializzazione. 8Consiglio Europeo di Nizza, 7 – 10 dicembre 2000, Conclusioni della Presidenza, Allegato IV – Dichiarazione

relativa alle caratteristiche specifiche dello sport e alle funzioni sociali in Europa di cui tener conto

nell’attuazione delle politiche comuni, consultabile in www.europarl.europa.eu/summits/nice2_it.htm.

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donne e degli uomini all’attività sportiva a tutti i livelli, la formazione dei giovani, la tutela

della salute degli sportivi, la lotta contro il doping, la lotta contro la violenza e le

manifestazioni razziste e xenofobe; d) è indispensabile assicurare un’attenzione particolare

all’educazione e alla formazione professionale dei giovani sportivi di alto livello, affinché il

loro inserimento professionale non sia compromesso dalla carriera sportiva, al loro equilibrio

psicologico e ai loro legami familiari nonché alla loro salute”9.

6. dalla Dichiarazione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati

del 5 maggio 2003 relativa al valore sociale dello sport, tramite la quale è stato rimarcato che

“promuovendo la tolleranza, l’accettazione e il rispetto della diversità nei confronti di altri

giovani atleti lo sport può fornire un importante contributo alla comprensione interculturale e

per combattere il razzismo, la xenofobia, il sessismo e altre forme di sfruttamento10;

7. dalla Decisione n. 291 del 2003 adottata dal Parlamento Europeo e dal

Consiglio11 mediante la quale il 2004 veniva dichiarato l’Anno Europeo dell’educazione

attraverso lo sport, “creato (…) per accrescere la consapevolezza sul potenziale dello sport

quale strumento sociale di elevata ed estesa portata. Il messaggio che si voleva trasmettere era

quello dell’integrazione nelle società moderne, pluri culturali e pluri etniche, quale veicolo da

utilizzare nell’apprendimento formale e informale: e un tanto si poteva fare incoraggiando la

collaborazione tra istituti scolastici, organizzazioni sportive e Istituzioni”12;

8. dal Libro Bianco sullo Sport presentato dalla Commissione in data11 luglio

200713, a detta di molti “il più corposo e completo documento attraverso il quale la

Commissione ha cercato di dare un orientamento strategico sul ruolo dello sport in Europa,

evidenziando quelle che costituiscono le tre principali aree d’intervento dell’azione europea,

vale a dire il ruolo sociale dello sport, la dimensione economica dello sport e le regole di

9 Così BASTIANON, Regole sportive, regole del gioco e regole economiche nel diritto dell’Unione Europea, in ID.

(a cura di), L’Europa e lo sport, cit., pp. 78 - 79. 10In GUUE.,C 134 del 7 giugno 2003. 11In GUCE L 43 del 18/02/2003. 12Così TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., p. 124. 13COM (2007) 391 def.. Al riguardo è da specificare come l’atto atipico da ultimo citato sia accompagnato da un

documento di lavoro dei Servizi della Commissione quale sintesi della valutazione d’impatto [SEC (2007) 936],

dal d.c. Piano d’azione De Coubertin [SEC (2007) 934], dai documenti accompagnatori del Libro Bianco [SEC

(2007) 935 ed infine dalla vera e propria valutazione d’impatto [SEC (2007) 932].

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organizzazione dello sport”14. In particolare, il Libro Bianco sullo sport si pone l’obiettivo di

“fornire un orientamento strategico sul ruolo dello sport nell’Unione Europea, incoraggiando

il dibattito su alcuni problemi specifici, migliorando la visibilità dello sport nel processo

decisionale europeo e sensibilizzando – per quanto di ragione – il pubblico in merito alle

esigenze e alle specificità del settore. L’iniziativa è tesa a creare la massima chiarezza

giuridica per le parti interessate facendo, per la prima volta, il bilancio della giurisprudenza

della Corte di Giustizia del Lussemburgo e delle decisioni, specialmente in materia di

concorrenza, della Commissione nel settore sportivo. Viene ripreso e sviluppato il concetto di

specificità dello sport seppure, probabilmente, non nella direzione che i grandi players

dell’organizzazione dello sport mondiale auspicavano precisando che le organizzazioni

sportive e gli Stati membri hanno una responsabilità di primo piano nel gestire le questioni

relative allo sport con un ruolo centrale attribuito alle Federazioni sportive nazionali e

internazionali”15. Inoltre, pare utile specificare come con riguardo all’accennato e dibattuto

tema della specificità dello sport il documento in questione, dopo avere differenziato la

specificità delle attività e regole sportive, da intendersi come le gare distinte tra uomini e

donne, nonché come il mantenimento dell’equilibrio fra le società che partecipano alle

medesime competizioni, dalla specificità della struttura sportiva, comprendente l’autonomia e

la diversità delle organizzazioni dello sport, una struttura a piramide delle gare dal livello di

base a quello professionistico di punta e meccanismi organizzati di solidarietà tra i diversi

livelli e operatori, l’organizzazione dello sport su base nazionale e il principio di una

federazione unica per sport, in pratica conferma il principio di un’autonomia “a scartamento

ridotto” del fenomeno sportivo, le cui regole cioè non potrebbero mai comunque sottrarsi alla

forza cogente del diritto UE. Segnatamente, a tal ultimo proposito viene espressamente

confermata la valenza di un’indagine caso per caso come linea interpretativa principale in

sede di esame di compatibilità di una regola sportiva con la normativa europea, con ciò, tra

14Ancora BASTIANON, Regole sportive, regole del gioco e regole economiche nel diritto dell’Unione Europea, in

Ib. (a cura di), L’Europa e lo sport, cit., p. 79. 15Ancora TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., pp. 133 – 134.

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l’altro, sgombrando il campo dalle c.d. regole puramente sportive, ultimo appiglio per

l’ordinamento sportivo lato sensu inteso in ottica autonomista16;

9. dalla Comunicazione della Commissione “Sviluppare la dimensione europea

dello sport”, risalente al 18 gennaio 2011, tramite la quale, secondo le espresse indicazioni

fornite dall’esecutivo UE medesimo all’interno dell’introduzione, non si intende certamente

sostituire il Libro Bianco del 2007, ma al contrario nata sulla base dei risultati ottenuti proprio

in forza dell’implementazione dell’ultimo documento innanzi richiamato. Non a caso, ad

esempio, viene ribadito l’approccio già indicato all’interno del Libro Bianco con riguardo al

controllo caso per caso da svolgersi in riferimento al giudizio di compatibilità o meno di una o

più regole sportive con il diritto europeo, ed in genere vengono confermati altri principi

richiamati dallo stesso atto atipico innanzi sommariamente esaminato: libera circolazione e

nazionalità degli sportivi, equità della competizione sportiva, la lotta al doping anche in ottica

di protezione della salute degli atleti, rispetto della normativa riguardante la concorrenza;

10. ed infine dalla conseguente Risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio

2012 sulla dimensione europea dello sport (2011/2087(INI)17, documento che sostanzialmente

conferma le linee guida per lo sviluppo di una "dimensione" continentale del fenomeno

16A tal ultimo proposito v. anche qui TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., pp. 138

– 139. Tuttavia, sembra utile fin d’ora rimarcare come l’indirizzo ermeneutico cui si è appena fatto cenno

all’interno del corpo principale del testo sostanzialmente riprenda quanto “suggerito” in sede giurisprudenziale

dalla CGUE, per un’analisi maggiormente dettagliata delle cui posizioni al riguardo si rinvia al p. successivo. 17COM (2011) 12 def.. Relativamente agli atti emanati ed alle iniziative intraprese in ambito sportivo da parte

delle Istituzioni di Bruxelles meriterebbero astrattamente attenzione anche l’art. III-282 della Costituzione

sull’Europa, il cui contenuto è stato quasi interamente trasposto all’interno del citato art. 165 TFUE, nonché la

Risoluzione del Parlamento Europeo del 29 marzo 2007 relativa al calcio professionistico in Europa; a causa

della mancata entrata in vigore del primo documento citato, e dell’estrema settorialità del secondo, tuttavia, si

preferisce in tale sede non soffermarsi più di tanto sugli stessi. Inoltre, ed a prescindere da in iniziative più o

meno ufficiali da parte dell’UE, è da dire come il contesto oggetto del presente lavoro sia stato, dagli anni ’80 in

poi, fortemente influenzato da vari fattori, i più rilevanti dei quali vanno certamente individuati a)

nell’abolizione da parte del Comitato Olimpico Internazionale dell’ormai anacronistica distinzione tra sport

dilettantistico e professionistico, con conseguente autorizzazione da parte del CIO stesso alla sponsorizzazione

commerciale dei Giochi Olimpici (evento epocale e da iscriversi anche come momento di svolta con riguardo

all’ormai irreversibile processo di commercializzazione generalizzata dello sport), b) nell’avere infranto il tabù

della televisione di Stato come unico soggetto abilitato a trasmettere eventi sportivi attraverso l’introduzione di

una libera concorrenza in materia di diritti televisivi, a tutt’oggi da ritenersi la fonte principale di finanziamento

dello sport di vertice e c) nella dissoluzione dell’ex blocco sovietico a seguito della caduta del muro di Berlino,

evento che ha di fatto segnato la fine di ogni restrizione nei confronti di coloro che si dedicano allo sport, tra

l’altro con conseguente allargamento dell’Unione Europea, e dunque moltiplicazione a dismisura del fenomeno

sportivo.

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sportivo, di cui viene riconosciuto il contributo per la “realizzazione degli obiettivi strategici

dell'Unione, poiché pone in rilievo valori pedagogici e culturali fondamentali e costituisce un

vettore di integrazione, nella misura in cui si rivolge a tutti i cittadini, a prescindere dal sesso,

dall'origine etnica, dalla religione, dall'età, dalla nazionalità, dalla condizione sociale o

sessuale. In particolare, si ribadisce come l'attività sportiva comporti vantaggi diffusi sul

piano sanitario sociale, culturale ed economico. Essa, da un lato, richiede un adeguato

sostegno a livello finanziario e politico, ma, al contempo, apporta un contributo enorme a

valori positivi quali la correttezza, il rispetto e l’inclusione sociale. Dai “considerando” che

aprono la Risoluzione emerge l'apprezzamento delle molteplici peculiarità e caratteristiche

che fanno dello Sport un settore con dinamiche, finalità e meccanismi originali, tanto da

affermarne la irriducibilità a “... qualsiasi altro settore di attività, comprese le attività

economiche”, caratteristiche cui il Parlamento auspica sia tenuto conto nelle sentenze della

Corte di Giustizia e nelle decisioni della Commissione. Fermo il riconoscimento dello sport

professionistico, viene in particolare valorizzata la funzione sociale e promozionale che

compete allo sport.

Si enfatizza, soprattutto, la dimensione volontaristica ed associativa di un fenomeno che

coinvolge 35 milioni di sportivi non professionisti, contribuisce in maniera determinante alla

protezione della salute nella società moderna, e rappresenta un elemento essenziale per una

istruzione di qualità, in grado di aiutare, anche, i cittadini più anziani alla realizzazione

personale e che contribuisce, altresì, al risparmio di una quota importante della spesa pubblica

in ambito sanitario. La Risoluzione riconosce le peculiarità che caratterizzano il fenomeno

sportivo, per le specificità proprie e quelle del suo modello organizzativo, basato sulle

federazioni “il cui funzionamento non è simile a quello delle aziende commerciali” e che

rendono detta attività non equiparabile ad una normale attività economica, nonostante

l'incidenza e l'impatto che lo sport ha nel contesto economico generale. Inoltre, Si menziona la

valenza che può avere come traino al turismo che si lega ai c.d. grandi eventi sportivi; emerge

la sensibilità alle problematiche legate alla instabilità finanziaria per i riflessi che la stessa può

avere sullo sport (professionale e di base); vengono evidenziate le problematiche legate ai

trasferimenti internazionali dei giovani atleti, piuttosto che quella legata alla difficoltà per le

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singole federazioni di prendere provvedimenti efficaci contro le partite truccate. Con

riferimento al "Ruolo sociale dello sport", il Parlamento esorta la Commissione “... a

proporre, nell'ambito del prossimo quadro finanziario pluriennali, una dotazione di bilancio

dedicata e ambiziosa destinata alla politica in materia di sport ...”. Si chiede di potenziare il

ruolo sociale dell'attività, istituzionalizzando in ogni ordine di scuola le lezioni di educazione

fisica, promuovendone le potenzialità, anche, “... per aiutare giovani socialmente vulnerabili a

rimettersi in carreggiata", e per proteggere la salute e l'interazione sociale degli anziani

attraverso la pratica sportiva. Viene espressamente riconosciuto il lavoro svolto dalle

organizzazioni che offrono attività sportive alle persone con disabilità intellettuali o fisiche, e

sono incoraggiati gli Stati membri e le istituzioni della UE a incrementare le sovvenzioni

offerte a quelle che operano per l'integrazione, attraverso lo sport, delle persone a rischio di

esclusione sociale o che promuovono la pratica sportiva per le persone fisicamente o

mentalmente disabili ed, ancora, alle iniziative utili a realizzare effettiva parità di genere e per

il superamento delle discriminazioni, anche di carattere sessuale. Il Parlamento si esprime

auspicando che anche nello sport venga valorizzata la presenza delle donne, creando i

presupposti affinché possano continuare nella pratica anche in età adulta, e possano assumere

maggior peso e presenza tra gli organi direttivi delle organizzazioni sportive”. Il Parlamento

auspica, più in generale, una maggiore cooperazione tra Commissione e Stati membri in

materia di aspetti tecnici e di ricerca correlata allo Sport che, nella sua componente di base

dovrebbe “... beneficiare del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale

europeo, i quali dovrebbero prevedere investimenti in infrastrutture sportive”, ed esorta la

Commissione e gli Stati membri a dotare l'Unione di uno specifico programma di bilancio nel

settore dello sport, come è ormai consentito in virtù dell'articolo 165 del TFUE. Nella sezione

dedicata alla “Organizzazione dello sport “ si prende atto della esistenza del principio di

nazionalità e territorialità su cui poggiano le strutture sportive continentali, e viene ribadito

l'impegno in favore di un “modello sportivo europeo” che sappia tutelare e valorizzare le

realtà locali, riaffermando il proprio favore verso la norma di formare i giocatori localmente

(«home-grown player rule») ritenendo che la valorizzazione di nuovi talenti rappresenti una

delle attività principali delle società sportive e che un'eccessiva dipendenza dal trasferimento

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dei giocatori possa minare i valori dello sport, sottolineandosi, altresì, l'importanza delle

indennità di formazione quale efficace meccanismo di protezione dei centri di formazione,

atto a garantire una giusta redditività del capitale investito. Insomma, la Risoluzione 2

febbraio 2012, comunque, riconosce ancora una volta la peculiarità originale di un sistema e

mondo che non può essere, sic et simpliciter, ridotto a fenomeno da regolamentare

esclusivamente per la sua sia pur rilevantissima componente economica, proponendo linee

guida articolate affinché lo Sport possa assumere ed interpretare al meglio il ruolo che gli

viene attribuito nella sua doppia valenza di contenitore e promotore di valori ed obiettivi fatti

propri dal Parlamento europeo18.

2. (segue) La giurisprudenza della Corte di Giustizia in ambito sportivo

Un’analisi, per quanto sommaria, del fenomeno sportivo con riferimento

all’ordinamento giuridico europeo non può non tenere conto del decisivo apporto prestato

anche in tale ambito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione, in particolare

(e non a caso) avuto riguardo all’individuazione delle peculiarità e dei limiti della dimensione

economica dello sport nel confronto con tutte le altre attività riconducibili al contesto

mercantile.

Segnatamente, la prima sentenza rilevante ai fini indicati può ben essere identificata con

quanto dalla CGUE sancito in occasione della pronuncia Walrave e Koch del 1974, tramite la

quale i giudici lussemburghesi, interrogati in ordine alla compatibilità del regolamento

dell’Union Cycliste Internationale con gli artt. 7, 48 e 59 dell’allora Trattato CEE (adesso

sostanzialmente art. 13 TUE e artt. 54 e 66 TFUE) nella parte in cui lo stesso prevedeva che la

nazionalità degli allenatori dovesse coincidere con quella degli atleti, dopo avere specificato

che lo sport deve ritenersi assoggettato alle regole del diritto europeo solo ove costituisca

un’attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CEE (adesso art. 3 TUE), hanno

provveduto a limitare l’operatività della regola testé richiamata rimarcando come esuli dal

divieto di non discriminazione “la composizione di squadre sportive e in particolare delle

18In tal senso v. CARANCI, Sulla Risoluzione del Parlamento Europeo del 2 febbraio 2012,

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rappresentative nazionali – operata esclusivamente in base a criteri tecnico-sportivi; è perciò

impossibile configurare tale attività sotto il profilo economico”19.

Il successivo arresto della CGUE di sicuro rilievo relativamente al contesto sportivo

europeo è costituito da quanto dalla stessa sancito un paio di anni più tardi con riguardo al

caso Donà/Mantero del 14 luglio 197620. Specificamente, in tale sede alla Corte era stato

domandato di pronunciarsi in merito alla compatibilità con le medesime disposizioni di cui

all’accennato proprio precedente Walrave e Koch questa volta di alcune disposizioni del

regolamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio a norma delle quali poteva riconoscersi

il diritto di disputare incontri in qualità di professionisti o semi-professionisti solamente a

favore di coloro ad essa legati da un vincolo di affiliazione, oltretutto in linea di principio non

attribuibile a calciatori non in possesso della nazionalità italiana. Secondo l’interpretazione

fornita in tale occasione dalla CGUE le regole di diritto UE non si oppongono “ad una

disciplina o prassi sportiva che escluda i giocatori stranieri dalla partecipazione a certi incontri

per dei motivi non economici, ma inerenti al carattere ed alla fisionomia specifica di detti

incontri, ed aventi natura prettamente sportiva, come ad esempio è in occasione di incontri tra

squadre nazionali di Paesi diversi”.

Da quanto sommariamente esposto ed anticipando brevemente fin d’ora quanto si

tenterà successivamente di specificare in forma maggiormente esaustiva, appare piuttosto

evidente lo sforzo (sostanzialmente rivelatosi poi volutamente vano – v. oltre) compiuto dai

giudici europei, già a partire dagli anni ’70, al fine specifico di distinguere all’interno del

vasto complesso delle regole c.d. sportive (ossia, di quelle regole disciplinanti lato sensu

l’attività sportiva) le regole economiche, riguardanti cioè gli aspetti economici che la singola

attività sportiva può rivestire, dalle regole c.d. puramente sportive, nello specifico relative

invece ai soli profili tecnico-sportivi, ed a loro volta riconducibili alla c.d. eccezione sportiva

(o sporting exception), ossia a quella sfera di autonomia che l’ordinamento sportivo da

sempre rivendica nei confronti dei tradizionali apparati normativi - istituzionali. Ciò, si ripete,

allo scopo della sottomissione al diritto dell’Unione delle norme rientranti solo nella prima

della categorie testé indicate, in particolare in nome di un concetto di specificità che non può

19Corte di Giustizia, sentenza 12 dicembre 1974, causa 36/72, Walrave e Koch, in Raccolta, p. 145. 20In Racc., p. 1333.

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tuttavia significare, nell’opinione della Corte, sottrazione generalizzata delle attività sportive

ai principi del diritto dell’Unione europea.

Proseguendo nel breve excursus giurisprudenziale con riferimento al contesto sportivo

in rapporto al diritto europeo, pare imprescindibile il richiamo alla “storica” sentenza Bosman,

pronunciata dalla CGUE dopo quasi vent’anni di assordante silenzio dall’ultimo arresto

riguardante il fenomeno che in tale sede ci occupa21, e che, pur ponendosi nel solco

dell’accennata giurisprudenza della CGUE, è fuor di dubbio tuttavia da considerarsi un punto

di svolta decisivo con riguardo ai rapporti tra diritto dell’Unione e diritto sportivo.

Segnatamente, in forza dell’arresto da ultimo richiamato la Corte lussemburghese ha

innanzitutto statuito che la normativa nazionale che impone il pagamento di un’indennità in

occasione del trasferimento di un calciatore (nel caso specifico, il belga Bosman, appunto) in

scadenza di contratto costituisce un ostacolo alla libera circolazione degli atleti all’interno del

territorio dell’Unione Europea, pronunciandosi poi sulla illegittimità della regola che limita il

numero degli atleti stranieri partecipanti ad un incontro (c.d. regola del 3+2) in quanto ipotesi

di discriminazione fondata sulla nazionalità con riferimento all’accesso al mondo del lavoro,

così facendo in sostanza sconfessando la ratio decidendi alla base delle citate sentenze

Walrave e Koch e Donà con precipuo riguardo alla distinzione tra regole economiche e regole

puramente sportive.

A tal ultimo proposito, la CGUE, infatti, dopo avere evidenziato che relativamente alla

fattispecie adesso in questione “le norme sulla cittadinanza non riguardano incontri specifici

tra rappresentative nazionali, ma si applicano a tutti gli incontri ufficiali tra società calcistiche

e, quindi, alla parte essenziale dell’attività esercitata dai calciatori professionisti”, non ha

21Corte di Giustizia, sentenza del 15 dicembre 1995, causa C-415/93, in Racc., p. I-4921. Al riguardo v., tra gli

altri, DI FILIPPO, La libera circolazione dei calciatori professionisti alla luce della sentenza Bosman, in Rivista

italiana di diritto del lavoro, 1996, pp. 232 e ss.; CLARICH, La sentenza Bosman: verso il tramonto degli

ordinamenti giuridici sportivi?,MANZELLA, L’Europa e lo sport. Un difficile dialogo dopo Bosman?,TIZZANO .

DE VITA, Qualche considerazione sul caso Bosman, ROMANI – MOSETTI, Il diritto nel pallone. Spunti per

un’analisi economica della sentenza Bosman, ANASTASI, Annotazioni sul caso Bosman, DIEZHOCHLEITNER –

MARTINEZ SANCHEZ, Le conseguenza della sentenza Bosman per lo sport spagnolo ed europeo, BASTIANON, LA

libera circolazione dei calciatori e il diritto della concorrenza alla luce della sentenza Bosman, COCCIA, La

sentenza Bosman: summumius, summa iniuria?, tutti in Rivista di diritto sportivo, 3/1996; BASTIANON, Bosman,

il calcio e il diritto comunitario e VIDIRI, Il caso Bosman e la circolazione dei calciatori professionisti

nell’ambito della Comunità Europea, entrambi in Foro italiano, 1996, IV, 1 ss..

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esitato a ritenere la disposizione controversa in contrasto con l’attuale art. 54 TFUE22, in

quanto tale norma “sarebbe altrimenti privata del suo effetto utile e il diritto fondamentale di

accedere liberamente ad un’occupazione, che essa conferisce individualmente ad ogni

lavoratore della (allora, ndr) Comunità sarebbe vanificato”. “Ritenendo che l’eccezione

sportiva come teorizzata nelle precedenti pronunce potesse trovare applicazione solo con

riferimento alle regole relative alla composizione delle squadre nazionali, la Corte di giustizia

ha sancito il carattere restrittivo della regola del 3+2 ed escluso l’esistenza di qualsiasi

giustificazione, posto che l’asserito legame tra una società calcistica e lo Stato membro non

può considerarsi inerente all’attività sportiva, mentre, con riferimento alla necessità di tutelare

l’equilibrio competitivo impedendo alle squadre più ricche di ingaggiare i migliori calciatori

stranieri, la regola del 3+2 non risulta idonea a conseguire questo scopo giacché nessuna

norma limita la loro facoltà di ingaggiare i migliori calciatori nazionali, che compromette in

misura non diversa il detto equilibrio”23.

Dunque, in occasione della pronuncia sul caso Bosman la Corte, preso atto che l’attività

sportiva rappresenta oggetto di disciplina da parte del diritto dell’Unione Europea in quanto

configurabile come attività economica e considerato che l’attività svolta dai calciatori

professionisti è da considerarsi a tutti gli effetti caratterizzata dai crismi dell’economicità, non

ha conseguentemente esitato nel ricondurre le regole sottoposte al suo esame, in quanto non

puramente sportive, al novero delle materie regolate dal diritto UE, oltretutto specificando,

sulla scia dell’accennata sentenza Donà, come il principio dell’eccezione sportiva non possa

di certo essere richiamato al fine di escludere un’intera attività dalla sfera di applicazione del

diritto in questione, né con riguardo a norme o prassi giustificate da motivi economici.

L’arresto della Corte di Giustizia successivo alla sentenza Bosman che si ritiene meriti

attenzione è certamente rappresentato da quanto lo stesso organo giudicante lussemburghese

22A norma del quale “Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede

sociale,l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini

dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati

membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società

cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società

che non si prefiggono scopi di lucro”. 23Così BASTIANON, Regole sportive, regole del gioco…, cit., p. 84.

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ha statuito con riguardo al caso Meca Medina e Majcen24, principalmente contraddistinto

dalla presunta incompatibilità, a detta dei ricorrenti, tra alcune norme regolamentari emanate

dal Comitato Olimpico Internazionale in materia di controlli antidoping e quanto stabilito in

materia di concorrenza e libera prestazione di servizi dai Trattati istitutivi dell’Unione.

In particolare, in tale occasione la Corte, con un deciso passo indietro rispetto a quanto

in precedenza stabilito, ha affermato che “la sola circostanza che una norma abbia un carattere

puramente sportivo non sottrae tuttavia dall’ambito di applicazione del Trattato la persona che

esercita l’attività disciplinata da tale norma o l’organismo che l’ha emanata (…). Dunque,

quand’anche si consideri che tali norme [antidoping, ndr] non costituiscano restrizioni alla

libera circolazione perché riguardano questioni che interessano esclusivamente lo sport e,

come tali, sono estranee all’attività economica, tale circostanza non implica né che l’attività

sportiva interessata esuli necessariamente dall’ambito di applicazione degli artt. 81 e 82 CE

[adesso artt. 101 e 102 TFUE, ndr] né che le dette norme non soddisfino i presupposti per

l’applicazione di detti articoli25”.

24Corte di Giustizia, sentenza 18 luglio 2006, causa C-519/04, in Raccolta, p. I-6991. A dire il vero, anche

precedentemente alla pronuncia da ultimo citata la CGUE aveva avuto modo di esprimersi con riguardo al

fenomeno oggetto del presente studio, in particolare con riferimento al concetto di regola puramente sportiva ed

ai criteri differenziatori rispetto alle regole sportive dotate del carattere dell’economicità: in particolare, sia in

occasione del caso Deliège(sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, in Raccolta, p. I-2549)

che in relazione alla causa Lehtonen(sentenza, infatti, 13 aprile 2000, causa C-176/96, in Raccolta, p. I-2681) la

Corte ha, infatti, specificato come per regola puramente sportiva sarebbe da intendersi quella che preclude ai

giocatori stranieri la partecipazione ad alcuni incontri per motivi non economici, ma inerenti al carattere e alla

fisionomia specifica di detti incontri e che hanno quindi natura prettamente sportiva, nonché quella relativa ai

periodi entro i quali è possibile effettuare il trasferimento di un atleta da una squadra all’altra. In considerazione,

tuttavia, del maggiore clamore e, soprattutto, dei numerosi spunti critici di riflessione suscitato e derivanti dalla

sentenza Meca Medina, si è in tale sede optato per un’analisi maggiormente approfondita solo dell’ultimo arresto

della Corte richiamato. 25Art. 101 “1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di

associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e

che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del

mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto

o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo

sviluppo tecnico o gli investimenti;c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;d) applicare, nei

rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, così da determinare

per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da

parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non

abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente

articolo, sono nulli di pieno diritto.3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate

inapplicabili:— a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,— a qualsiasi decisione o categoria di

decisioni di associazioni di imprese, e— a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,che

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In sostanza, attraverso l’arresto sul caso Meca Medina e Majcen la CGUE ha

definitivamente sancito l’abolizione del concetto, peraltro dalla stessa in precedenza

teorizzato (v. pp. precc.), di regola puramente sportiva, in quanto tale sottratta all’applicazione

del diritto europeo, con la non indifferente conseguenza, tra l’altro, della totale assimilazione

di ogni attività sportiva (economica o puramente tale) ad ogni altra attività economica.

Infine, un’ultima pronuncia dei giudici lussemburghesi meritevole di citazione, non

fosse altro per il mutamento di prospettiva rispetto al suo precedente orientamento, pare

quanto dagli stessi statuito con riguardo al caso Bernard v. Olympique Lyonnais26, in forza

della quale la CGUE ha ritenuto compatibile con il diritto europeo una normativa nazionale che

prevedeva il pagamento di un’indennità di formazione nel caso in cui un giovane calciatore

avesse stipulato, al termine della propria formazione, il suo primo contratto da professionista

con una società diversa da quella che lo aveva formato, a condizione che l’importo di detta

indennità sia commisurato soltanto agli effettivi costi di formazione sostenuti dalla società e

non rappresenti, al contrario, una sorta di risarcimento del danno conseguente alla perdita del

calciatore. Segnatamente, dopo avere anche in tale sede ricordato che l’attività sportiva è

disciplinata dal diritto dell’Unione Europea se ed in quanto configurabile come attività

contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o

economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando dia) imporre

alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;b) dare a tali

imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi”.Articolo

102 “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al

commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante

sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:a)

nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non

eque;b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;c) nell'applicare

nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioniequivalenti, determinando

così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;d) nel subordinare la conclusione di contratti

all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi

commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”. 26Corte di Giustizia, sentenza 16 marzo 2010, C-325/08, in Raccolta, p. I-02177. Al riguardo sembra opportuno,

tra gli altri, segnalare COLUCCI – VACCARO (a cura di), Vincolo sportivo e indennità di formazione. I regolamenti

federali alla luce della sentenza Bernard, Sports Law and Policy Centre, 2010; AGRIFOGLIO, Diritto

comunitario, diritto interno e classificazione dei contratti: il contratto di lavoro sportivo punto d’incontro tra

ordinamenti, in Europa e diritto privato, 2011, 1, pp. 257 ss.; CAPUANO, La libera circolazione dei calciatori

nell’Unione Europea tra vecchie questioni e nuovi scenari: il caso “Bernard”, in Rivista italiana di diritto del

lavoro, 2011, v. 30, 1, parte II, pp. 189 ss.; CARINI, Libertà di circolazione degli sportivi extracomunitari e la

tutela dei vivai giovanili, in Europa e diritto privato, 2011, 1, pp. 287 ss.; BASTIANON, Da Bosman a Bernard:

note sulla libera circolazione dei calciatori nell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione europea, 2010, 3, pp.

707 ss..

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economica, ed altresì ribadito che qualora un’attività sportiva rivesta il carattere di prestazione

di lavoro subordinato essa vada ricondotta alla disciplina di cui all’art. 45 TFUE27, la Corte

rimarca come il regime oggetto della causa principale appaia astrattamente idoneo a

dissuadere il giocatore stesso (nel caso specifico Bernard) dall’esercizio del suo diritto alla

libera circolazione, rappresentandone quindi a tutti gli effetti una restrizione.

La CGUE, in conclusione, ammette l’esistenza di una misura che ostacoli la libera

circolazione del giocatore a condizione, però, che a) persegua uno scopo legittimo e

compatibile con il Trattato, b) sia giustificata da motivi di interesse generale e c)

l’applicazione di una simile misura sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo di

cui trattasi senza peraltro eccedere quanto necessario per conseguirlo, ammettendo in ultima

analisi che in applicazione del principio di specificità di cui all’art. 165 TFUE sia possibile

derogare ad alcuni fino ad ora intoccabili dogmi del diritto dell’Unione Europea.

3. Profili critici del diritto sportivo europeo

Il quadro normativo – giurisprudenziale innanzi sommariamente descritto lascia spazio

a non poche perplessità, in primis riconducibili alle posizioni assunte dai giudici

lussemburghesi nei termini testé esposti.

In particolare, ciò che innanzitutto non convince appieno è certamente rappresentato

dall’accennata sostanziale assimilazione dell’attività sportiva lato sensu intesa (e dunque a

prescindere dall’esistenza al suo interno di elementi di cui al contesto mercantile) a qualunque

altra attività economica operata dalla CGUE in occasione della pronuncia sul caso Meca

Medina e Majcen, decisione non sufficientemente suffragata, nell’opinione di chi scrive, da

motivazioni giuridicamente fondate e dunque condivisibili: ricondurre, infatti, ogni regola

27A norma del quale “1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata.2. Essa implica

l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto

riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.3. Fatte salve le limitazioni giustificate da

motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:a) di rispondere a offerte di

lavoro effettive;b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;c) di prendere dimora in

uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro,conformemente alle disposizioni legislative,

regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali;d) di rimanere, a

condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione,sul territorio di uno Stato

membro, dopo aver occupato un impiego.4. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli

impieghi nella pubblica Amministrazione”.

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afferente il contesto sportivo alla regolamentazione normativa di Bruxelles, per tal via

sancendo, come detto, l’abolizione della distinzione tra regole puramente sportive e regole

sportive economiche, il tutto in funzione specifica dell’allargamento delle logiche e dei

meccanismi caratterizzanti il mercato, non sembra giustificabile non fosse altro perché,

contraddicendo tra l’altro la giurisprudenza della stessa CGUE dei precedenti quindici anni,

costituisce il decisivo colpo di grazia alle velleità autonomiste da sempre rivendicate da parte

del fenomeno in esame, in re ipsa al contrario contraddistinto da assolute peculiarità

naturalmente fondanti, almeno parzialmente, un comparto a sé stante in qualche modo

indipendente. In altri termini, e richiamando al riguardo autorevole dottrina, si sottolinea

come “fino al 2006, lo sport godeva nel diritto comunitario di un regime giuridico particolare

a causa della sua specificità. Per quanto difficile da definire, questo concetto può essere

espresso come l’insieme degli aspetti singoli ed essenziali dello sport che lo distinguono

fondamentalmente da qualsiasi altro settore di attività e prestazione di servizi. La specificità

dello sport sta nel suo carattere poliedrico – lo sport svolge allo stesso tempo una funzione

sociale, educativa, ricreativa culturale e di tutela della salute pubblica -, nella sua

organizzazione piramidale28, nei valori morali che esprime, nella dipendenza sportiva

reciproca tra le squadre o gli atleti che vi partecipano”29.

Oltretutto, è da dire come la Corte, in modo perlomeno contraddittorio, intanto non

chiarisca affatto come possa una regola relativa a mere questioni sportive, in quanto tale

dunque estranea a qualunque attività e logica economica, nello stesso tempo rientrare

nell’ambito di applicazione della normativa in materia di concorrenza, in ultima analisi

arrestandosi quindi ad una sostanziale petizione di principio; poi, e richiamando anche qui

autorevole e già citata dottrina, va rimarcato come la stessa CGUE non abbia “dato prova di

alcun discernimento nella sua analisi e nella metodologia applicata alla realtà: le regole del

28“Le modalità di organizzazione dello sport in Europa (il famoso “modello sportivo europeo”) si basano su una

struttura a piramide. La base più ampia è costituita dai giocatori e dai club in cui giocano. I club sono affiliati

alle federazioni nazionali responsabili per l’organizzazione dei campionati e della gestione della loro disciplina a

livello nazionale. Le federazioni nazionali costituiscono poi le federazioni continentali. Il vertice assoluto della

piramide si compone della federazione internazionale. Ne esiste solo uno per disciplina. La Commissione

europea, il Consiglio europeo ed il Parlamento europeo si sono espressi a favore di questo modello, prodotto

della società civile europea e vera e propria espressione della nostra cultura”. 29Così ZYLBERSTEIN, La specificità dello sport nell’Unione europea, in Rivista di diritto ed economia dello

sport, IV, 1, 2008, pp. 59 – 60.

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Trattato sulla concorrenza possono valere soltanto per i comportamenti delle compagnie e

allora, come ha potuto la Corte applicare tali norme a delle entità che si occupano di

regolamentare le attività sportive (le federazioni sportive, ndr)? (…) Questo errore di

valutazione è ulteriormente aggravato dal fatto che sin dall’inizio, i giudici hanno omesso di

rilevare che la pratica sportiva non sia, per sua natura, un’attività economica: la relazione tra

gli atleti è di natura unicamente sportiva. Essi si affrontano sul campo di gioco e non, come le

imprese, su un mercato per beni e servizi. Le norme sportive non soggiacciono ad alcuna

considerazione economica o di carattere discriminatorio. (…) Inoltre l’errore della Corte è di

non avere definito l’oggetto stesso della pratica separandolo dall’elemento secondario di

natura economica”30.

Ma vi è di più. Ritenere applicabile allo sport le regole di diritto europeo sulla

concorrenza, si ribadisce in funzione dell’allargamento delle competenze UE, presta il fianco

ad un’ulteriore critica laddove si consideri che peculiare in ambito sportivo appare anche il

concetto stesso di concorrenza, radicalmente differente da quello afferente il contesto

economico tradizionalmente inteso: mentre con riguardo a quest’ultimo, infatti, concorrenza

equivale a presenza, all’interno del medesimo contesto commerciale, di più soggetti in

competizione tra loro al fine di sottrarre ai rivali il maggior numero possibile di utenti –

consumatori, e dunque all’interno di una prospettiva sostanzialmente monopolistica, con

conseguente necessità di una normativa atta a prevenire ed eventualmente porre rimedio ad

atti od iniziative di c.d. concorrenza sleale, con riguardo al fenomeno sportivo, invece, per

concorrenza è da intendersi come un imprescindibile elemento al fine, non solo e non tanto

del corretto svolgimento della singola gara o competizione, ma della sussistenza della stessa,

atteso che in mancanza di concorrenti nessun evento sportivo potrebbe mai avere luogo. In

altri termini, mentre nel caso della concorrenza “commerciale” la presenza di più soggetti è da

intendersi come un’eventualità (che nella speranza di ogni singolo azienda concorrente non si

verifichi o che, perlomeno, si riduca il più possibile), con riferimento al caso di concorrenza

sportiva la stessa è da intendersi come una necessità.

30Ancora ZYLBERSTEIN, La specificità dello sport nell’Unione europea, cit., p. 66.

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Preso, dunque, atto della totale diversità assiologica tra i due differenti significati

attribuibili all’accezione in questione nei termini testé sommariamente esposti, appare ancor

più incongruo ogni accostamento tra i due concetti, soprattutto avuto riguardo all’estensione

all’ambito sportivo della normativa in materia di concorrenza.

Tuttavia, a ben guardare, la pronuncia in esame non dovrebbe stupire più di tanto, e ciò

nonostante le incongruenze ed i dubbi di varia natura che presenta e cui dà adito; anzi, proprio

la presenza di dette contraddizioni sembra ahimè confermare i sospetti in altre sedi sollevati31.

Non rappresenta certamente, infatti, una novità l’imbattersi in pronunce dei giudici

lussemburghesi sfrontatamente ispirate a rationes essenzialmente mercantili e segnatamente

funzionali all’allargamento delle competenze dell’Unione, e dunque al rafforzamento della

normativa di cui alle medesime istituzioni di Bruxelles nei confronti degli ordinamenti dei

singoli Stati membri: la teoria del primato del diritto europeo, di matrice appunto

giurisprudenziale, o anche il quantomeno discutibile avallo prestato dalla CGUE alle c.d.

direttive self executing, vere e proprie violazioni del Trattato, solo per citare un paio di

esempi, possono a pieno tiolo accomunarsi alla sentenza da ultimo richiamata, ennesima

allarmante tappa di un percorso di auto rafforzamento ed auto legittimazione già da tempo

intrapreso dalla complice giurisprudenza lussemburghese, anch’essa in ultima analisi

rivelatrice dell’autentico orizzonte di senso ed, al tempo stesso, della natura ultima ascrivibile

all’intero progetto integrazionista, la costruzione sempre più incondizionata di un mercato

unico, appunto. Non può né deve, infatti, dimenticarsi come l’idea stessa di Europa unita non

fosse certamente contraddistinta, perlomeno nei suoi intenti originari, da finalità sociali o

solidaristiche che dir si voglia, al contrario caratterizzandosi per una funzione essenzialmente

mercantilistica: in particolare, gestire in comune le risorse carbo – siderurgiche prima, ed

eliminare poi ogni ostacolo alla libera circolazione persone, ma soprattutto di merci, servizi a

capitali tra gli Stati membri32.

31Al riguardo sia consentito, ad esempio, rinviare a TOMASELLI, Corte di Giustizia, primato del diritto e direttive

dell’Unione Europea, Roma, 2011. 32In tale prospettiva essenzialmente di natura economicistica si ritiene vadano inserite anche le nuove adesioni

all’UE, composta adesso da 28 paesi non certo desiderosi di condividere un’esperienza normativo – istituzionale

idealmente finalizzata alla tutela ed esaltazione di valori quali la pace, l’uguaglianza o l’armonia tra i popoli, ma

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Sbandierare ogni altra utopica velleità di stampo umanistico, in tal direzione

introducendo all’interno dei Trattati istitutivi (v. ad esempio Maastricht) norme e principi

almeno astrattamente alieni al contesto mercantile, somiglia più al tentativo di volere ad ogni

costo recitare un ruolo non proprio, da considerarsi dunque più come il frutto di

un’operazione sostanzialmente politica, che il risultato di un concreto mutamento di

prospettiva. Il tentativo di conseguire, cioè, risultati estranei alla creazione al consolidamento

del mercato unico sostanzialmente contraddice la natura stessa di Europa unita, teorizzata e

conseguentemente forgiata in una ben precisa direzione. A tal ultimo riguardo, l’anomala

architettura istituzionale dell’ex Comunità Europea, non certamente contraddistinta da una

netta suddivisione tra il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo ma, al contrario,

decisamente ispirata ad un’ibrida commistione tra gli stessi, per quanto valga ad attribuire

all’UE il carattere dell’unicità in ambito gius – internazionalistico, al tempo stesso, ed anzi

proprio per questo, sembra confermare quanto in tale sede sostenuto, rivelandosi come

ulteriore indizio in merito allo svelamento dei reali intenti originari dei padri fondatori

dell’Europa stessa: quest’ultimi, intuendo le potenzialità insite nella gestione comune di

alcuni beni e quindi interessati semplicemente alla creazione di una super entità capace di

rappresentare il punto di sintesi tra le diverse volontà statali fin a quel momento quasi

permanentemente in conflitto per ragioni unicamente economiche, non nutrendo dunque

desiderio od aspettativa alcuni, in altri termini, al fine della costruzione di basi per la nascita

di un soggetto istituzionale extraterritoriale che ricalcasse le orme dei singoli ordinamenti

nazionali in quanto a compiti, funzioni ed obiettivi, non si preoccuparono affatto degli

eventuali risvolti socialisti o solidaristici riconducibili al progetto unitario, continuando

invece a considerare tali ultimi aspetti e scopi citati come materia esclusiva dei singoli Stati.

L’idea di Europa, insomma, si contraddistingue già ab origine per i suoi palesi intenti di

natura meramente mercantile.

D’altro canto, tale ultima richiamata peculiarità rappresenta, in quanto limite all’azione

dell’UE, anche una sorta di seppur parziale giustificazione dogmatico – operativa con

riferimento alle decisioni prese in ambito europeo, avuto particolare riguardo all’attività della

più realisticamente e brutalmente interessati ai benefici (ammesso che ancora ve ne siano…) derivanti dal

mercato “comune”.

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Corte di Giustizia. Dovendo, cioè, necessariamente e permanentemente confrontarsi con

l’orizzonte mercantilistico appena descritto, i giudici lussemburghesi sono quasi costretti a

“tradurre” in termini economicistici qualsivoglia materia sottoposta alla propria attenzione, e

ciò a pena di irrilevanza della stessa per il diritto UE: quanto sopra esposto, in altri termini,

sembra comunque recare con sé (anche) il carattere dell’inevitabilità, attesa la sostanziale

impossibilità a carico della CGUE di prendere cognizione di un quiche non sia in qualche modo

suscettibile di valutazione economica. E tale necessaria transizione di una determinata materia

o di un certo bene dall’ambito del giuridicamente irrilevante all’economicamente

rimarchevole ai fini della considerazione dello stesso da parte dell’ordinamento UE

costituisce, inutile a dirsi, l’inoppugnabile precipitato logico – sistemico gravante su

un’architettura istituzionale inserita fin dagli intenti originari all’interno di una ben precisa

prospettiva: emblematica, in tal ultimo senso indicato, la bislacca sentenza pronunciata

relativamente al caso Meca Medina e Majcen.

A tal ultimo proposito, potrebbe anche sostenersi come la ratio alla base dell’arresto

della CGUE da ultimo richiamato rappresenti il riflesso di un’attenzione sempre più crescente

da parte di tutto il diritto dell’Unione Europea nei confronti del fenomeno sportivo proprio in

ragione dell’enorme sviluppo economicistico che ha interessato lo sport professionistico e non

soprattutto nel corso degli ultimi anni: non deve, infatti, trascurarsi come ultimamente lo sport

abbia sempre più acquisito i caratteri di un vero e proprio business, e ciò in considerazione di

vari fattori, i più rilevanti tra i quali sono fuor di dubbio da identificarsi nell’adozione

soprattutto da parte delle società professionistiche calcistiche di diversificare le proprie

attività e dunque le proprie fonti di ricavo in conseguenza dello sviluppo di politiche di

marketing avuto particolare riguardo alla vendita di biglietti e abbonamenti, alla cessione

temporanea o definitiva di propri atleti, al conseguimento di premi legati ai risultati sportivi

conseguiti a livello nazionale ed internazionale, alla cessione dei diritti televisivi, alle

sponsorizzazioni, al merchandising.

Dunque, se con riferimento a tale ultimo fenomeno indicato il richiamo alla normativa

europea in materia di concorrenza appare certamente più coerente, ciò non vale tuttavia a

fugare i dubbi già esposti in merito alla prospettiva economicamente orientata di cui sopra,

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valendo semmai a confermare quanto in tale sede sostenuto. In particolare, e proprio

prendendo le mosse da quanto appena descritto, la netta sensazione è che l’UE si sia

progressivamente interessata al fenomeno sportivo parallelamente all’accennato esponenziale

accrescimento in termini economici dallo stesso conosciuto nel corso degli ultimi anni33: lo

sport non era forse degno di considerazione in prospettiva sociale, educativa e formativa

anche precedentemente a quando i valori e gli ideali di cui lo stesso è portatore sono stati

improvvisamente “scoperti” dalla Corte di Giustizia? Solo adesso ci si accorge

dell’importanza da attribuire allo sport sia in termini di supporto (economico e non) che di

incoraggiamento alla sua pratica e dunque dei benefici fisici e mentali alla medesima

riconosciuti? E’ forse un caso che tutta retorica in merito alla assoluta positività di cui il

fenomeno in esame è contraddistinto caratterizzi la lettera del legislatore nonché l’opinione

dei giudici della Corte solo con riguardo a tempi recenti, coincidenti con la considerazione

dello sport sempre più come business che come attività di fatto scevra da ulteriori

implicazioni di matrice economica differenti da quelle alla stessa tradizionalmente ascrivibili

(ad esempio, il compenso riconosciuto agli atleti professionisti)?

Né quanto appena sostenuto pare possa essere realmente smentito da quanto dalla Corte

sostenuto con riguardo al citato caso Bernard, da alcuni interpretato come una sorta di

cambio di rotta rispetto a quanto testé brevemente descritto34, ma da considerarsi,

nell’opinione di chi scrive, un’ulteriore, seppur parziale, conferma di quanto appena espresso:

nel momento, infatti, in cui la CGUE considera ammissibili misure nazionali che, sebbene a

talune condizioni, abbiano l’effetto di dissuadere o comunque rendere meno agevole la libera

circolazione all’interno del territorio dell’Unione, se da un lato pare mitigare la concreta

applicabilità del “sacro” principio del primato del diritto UE, dall’altro sembra nei fatti

sconfessare quanto dalla stessa Corte statuito in occasione della sentenza Bosman, ciò facendo

attraverso, in particolare, una palese attribuzione di maggior rilievo all’elemento economico

rispetto alla componente più strettamente sportiva. In altri termini, legittimando l’effetto

scoraggiante della singola normativa statale recante la previsione del pagamento di

33Sotto tale angolazione acquisiscono un valore sostanzialmente politico le iniziative ultimamente intraprese

dalle istituzioni europee, soprattutto dalla Commissione, con riferimento allo sport. Sul punto v. oltre. 34V. ad esempio TOGNON – STELITANO, cit., pp. 181 ss..

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un’indennità con specifico riferimento alla mobilità nell’UE, i giudici lussemburghesi

sembrano sostanzialmente dare nuovamente ingresso a ciò di cui invece gli stessi sancirono

nel lontano 1995 l’insostenibile sussistenza per l’ordinamento europeo, e cioè la presenza di

un ostacolo anche allora di matrice indennitaria allo spostamento di un soggetto da un Paese

membro all’altro. Oltretutto, tale sostanziale contraddizione con quanto al riguardo stabilito

ormai diciotto anni or sono è dal medesimo organo giudicante compiuta in nome, si badi

bene, del pregiudizio economico che deriverebbe alla singola società sportiva dall’eventuale

stipula da parte dell’atleta dalla stessa formato con un club differente, e non invece, come

avrebbe dovuto essere qualora fosse davvero lo sport il reale obiettivo di tutela dell’intero

ordinamento europeo, della libertà del giovane calciatore di accasarsi con la squadra da lui

ritenuta maggiormente gradita.

Insomma, il parametro ultimo di riferimento pare anche in quest’ultimo caso richiamato

pur sempre l’elemento economicistico, e ciò a dispetto della tanto decantata (a questo punto

presunta) funzione pedagogico - sociale retoricamente attribuita al fenomeno sportivo proprio

da parte della CGUE, nonché delle Istituzioni di Bruxelles all’interno dei propri atti normativi,

tipici o atipici essi siano.

A tal ultimo riguardo, è da notare come anche la Commissione pare condividere

l’opinione della giurisprudenza lussemburghese espressa, in particolare, in occasione del caso

Meca Medina e Majcen, e ciò con riferimento ai due, con ogni probabilità, più importanti

documenti promulgati avuto riguardo al fenomeno sportivo ed alla stessa riconducibili, e cioè

i citati Libro Bianco del 2007 e la propria comunicazione del 2011: entrambi tali ultimi atti

richiamati, infatti, espressamente fanno proprio l’indirizzo ermeneutico caratterizzante la

sentenza Meca Medina e Majcen con espresso riferimento alla sostanziale indifferenza tra

attività sportive “pure” ed attività sportive contraddistinte da elementi economici, in ultima

analisi anch’essi ponendosi come ulteriore conferma di una sorta di vero e proprio dialogo

istituzionale peculiare in ambito UE. Non può certamente considerarsi, infatti, una novità la

trasposizione in termini testuali di un indirizzo interpretativo della CGUE da parte del

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legislatore di Bruxelles35 e, nell’opinione di chi scrive, anche avuto riguardo allo sport tale

non affatto casuale circostanza si è appieno verificata.

Segnatamente, il Libro Bianco dopo avere ribadito, almeno astrattamente l’autonomia

del fenomeno sportivo, si affretta a sancirne la sottomissione al diritto UE non semplicemente

con riferimento alle regole da quest’ultimo previsto in materia di mercato interno e

concorrenza, ma anche in relazione all’applicazione di altri principi (divieto di

discriminazione, cittadinanza, parità tra uomo e donna), confermando una volta di più

“un’autonomia a scartamento ridotto del fenomeno sportivo, poiché lo stesso - vieppiù

quando in gioco vi sono interessi di natura economica – è comunque sottoposto alla forza

cogente del diritto dell’Unione. La Commissione (…) esprime chiaramente il principio che la

compatibilità di una certa regola sportiva con le norme di diritto comunitario deve essere

valutata caso per caso (al riguardo v. Meca Medina e Majcen, espressamente richiamata36ndr)

con questo respingendo la nozione di regole puramente sportive ma svolgendo un controllo ex

post su qualunque tipo di norma sportiva ai fini - appunto - della compatibilità con il diritto

UE”37.

Principi ed indirizzi interpretativi del tutto analoghi a quanto contenuto all’interno del

Libro Bianco sono rinvenibili con riguardo alla lettera della Comunicazione dalla stessa

Commissione redatta con espresso riferimento allo sviluppo della dimensione europea dello

sport, ove intanto si rileva come la natura specifica dello sport sia un concetto ribadito dalla

Corte di Giustizia in varie decisioni cui fa riferimento anche il Libro Bianco medesimo, per

poi confermare ancora una volta che la specificità del fenomeno in questione debba

necessariamente prevedere un’assistenza e un controllo caso per caso.

Quanto appena sommariamente rimarcato sembra avallare i dubbi ed i “sospetti” già

avanzati in precedenza, da aggiungersi ad ulteriori considerazioni in merito alla tipologia

35V. ancora TOMASELLI, op. cit. 36P. 15 del Libro Bianco: “La Corte ha riconosciuto che la specificità dello sport deve essere presa in

considerazione nel senso che gli effetti restrittivi per la concorrenza inerenti all’organizzazione e a uno

svolgimento adeguato delle competizioni sportive non infrangono le norme UE sulla concorrenza, purché tali

norme siano proporzionate all’interesse sportivo legittimo perseguito. L’esigenza di accertarsi che tale

proporzionalità sia rispettata implica la necessità di considerare le caratteristiche specifiche di ogni caso e non

permette di formulare orientamenti generali sull’applicazione al settore dello sport delle norme relative alla

concorrenza”. 37V. TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., p. 139.

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specifica di atti per cui ha optato la Commissione ai fini dell’esternazione della propria

posizione avuto riguardo al fenomeno sportivo, nonché alla reale valenza agli stessi

attribuibile.

Più specificamente, si segnala innanzitutto come il ricorso ad iniziative riconducibili al

novero degli atti atipici (Libro Bianco e Comunicazione, ma anche tutti gli altri relativi allo

sport ed emanati da altre istituzioni UE), e dunque non contraddistinte dal carattere della

vincolatività, in primis non aiuta certamente nel tentativo di districarsi tra i vari input che, a

vario titolo, interessano il fenomeno in esame, dando oltretutto adito ad ulteriori perplessità

avuto riguardo alla reale posizione ricoperta dalla Commissione, ed in genere dal legislatore

UE lato sensu inteso, in merito allo sport: dall’avere, infatti, optato per atti para – normativi,

certamente non paragonabili in quanto ad efficacia ed obbligatorietà alle fonti legislative

“ufficiali”, pare potersi argomentare nel senso di una scelta fondamentalmente politica, e ciò

in considerazione del peso comunque ascrivibile ad iniziative di tal fatta, senza che le stesse

peraltro vadano a “compromettere” più di tanto l’Istituzione emanante. La scelta, cioè, per un

atto atipico, in quanto contraddistinta da un grado di flessibilità certamente maggiore rispetto

ad una direttiva o un regolamento, consente al soggetto al medesimo riconducibile di

smarcarsene alla bisogna, permettendo in ultima analisi un eventuale ed opportuno cambio di

rotta, al contempo consentendo però di tradurre in termini di diritto (quasi) positivo la propria

posizione non a caso quasi mai non coincidente da quella assunta dai giudici lussemburghesi.

E ciò ad ulteriore conferma, da un lato, e rafforzamento, dall’altro, del carattere

essenzialmente nebuloso caratterizzante l’intera architettura istituzionale dell’Unione

Europea: un apparato ordinamentale, cioè, che prevede il ricorso ad atti para – normativi dal

peso fondamentalmente politico ma non formalmente vincolanti, e dei quali si alimenta con

preoccupante regolarità, non può che rispondere ad una precisa strategia atta, si ritiene, a

furbescamente aumentare il tasso di incertezza in ordine all’autentica posizione imputabile

alla singola istituzione, legittimata quindi a non sbilanciarsi in merito alla stessa se non in casi

estremi.

Oltretutto, atteso il contenuto degli atti da ultimo richiamati, si ritiene che iniziative di

tal fatta rispondano anche all’esigenza di celare, dietro pomposi e ridondanti proclami

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sull’importanza dello sport anche in ottica socio – pedagogica, gli intenti ultimi caratterizzanti

le iniziative e le politiche dell’Unione in merito al fenomeno in questione, e cioè il suddetto

rafforzamento della propria normativa attraverso, in particolare, la riduzione anche dello sport

a bene di mercato.

Né quanto appena descritto pare possa realmente essere sconfessato dalla previsione di

cui all’accennato art. 165 TFUE, norma di cui invece si tenterà di dimostrare la sostanziale

inutilità.

In particolare, innanzitutto è da rimarcare l’estrema genericità e vaghezza dei contenuti

del disposto adesso in esame con riguardo ad espressioni quali “profili europei dello sport”

(comma 1) e “dimensione europea dello sport” (comma 2, ultimo punto) alla cui promozione

l’Unione, sempre a mente dell’articolo in questione, rispettivamente contribuisce e a

sviluppare la quale l’azione della stessa è intesa: la previsione legislativa da ultimo

richiamata, infatti, non contribuisce certamente a chiarire quali siano, né cosa si intenda

esattamente per profili europei e men che meno per dimensione europea dello sport, non

indicando altresì a tali fini criteri sussidiari di sorta.

In secondo luogo, la norma in esame non soccorre neanche in ordine all’individuazione

e specificazione della tanto decantata (ma nei fatti ignorata) specificità dello sport, meramente

citata senza il supporto o il rinvio, anche qui, di strumenti o ad elementi esterni funzionali alla

sua corretta specificazione.

Ancora, altra non indifferente questione sembra trarre origine dall’infelice utilizzo del

termine che nella versione italiana del Trattato in questione è tradotto con “equità” (altro

obiettivo cui, ai sensi dell’ultimo punto del cpv. II dell’art. 165 TFUE, sarebbe destinata

l’azione dell’UE) atteso il diverso significato, e dunque, la diversa valenza attribuibile a tale

locuzione in forza della sua trasposizione nelle varie lingue di cui ad alcuni Paesi membri:

segnatamente, se si analizzano le altre versioni del Trattato, si coglie una diversità di termini

riconducibile di fondo ad un duplice orientamento. Nel testo inglese e in quello tedesco

compare il sostantivo fairness, che evoca anche etimologicamente il fair play e può essere

sicuramente collegato alla lealtà. Nel testo olandese si è scelto il vocabolo eerlijkheid, grosso

modo corrispondente dal punto di vista letterale all’onestà, ma più vicino semanticamente alla

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lealtà. La versione danese si discosta parzialmente da questo primo orientamento,

ricorrendovi l’espressione retfærdighed, da intendere come giustizia nel senso di ciò che è

giusto. Nella sostanza, questa soluzione sembra comunque inquadrabile nel concetto della

lealtà. Al contrario, le versioni francese, spagnola e portoghese del Trattato accolgono tutte il

termine equità. Da quanto testé indicato, appare piuttosto evidente la difficoltà di individuare

un punto di sintesi tra i vari significati attribuibili alla locuzione in questione, soprattutto se si

considera che con riguardo specifico al nostro ordinamento il termine “equità” possiede una

propria peculiare utilizzazione in ambito civilistico quale fonte d’integrazione del contratto

(art. 1374 del nostro Codice Civile)38.

Inoltre, non trascurabile appare l’inciso a chiusura del disposto in esame laddove il

legislatore europeo sancisce espressamente che “per contribuire alla realizzazione degli

obiettivi previsti dal presente articolo” Parlamento e Consiglio adottino azioni

d’incentivazione “ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e

regolamentari degli Stati membri”, oltretutto prevedendo altresì l’adozione di mere

raccomandazioni ai fini appena indicati. Al riguardo, una previsione che, per quanto contenuta

all’interno di una fonte c.d. primaria del diritto UE, sancisca che gli unici atti adottabili in

materia di sport siano esclusivamente delle raccomandazioni certamente “non depone per la

vincolatività degli strumenti potenzialmente attuativi, lasciando, piuttosto, il serio dubbio che

si tratti di una misura non idonea a raggiungere gli scopi prefissati”39, per tal via ponendo di

fatto anche il contenuto di cui all’art. 165 TFUE all’interno della medesima prospettiva

fondamentalmente politica, ma non certo genuinamente giuridica, tracciata con riguardo al

Libro Bianco del 2007 ed alla Comunicazione della Commissione del 2011. La norma in

38E’ da dire, d’altra parte, come tale ultimo rilievo critico con riferimento al contenuto dell’art. 165 TFUE rimandi

ad un non trascurabile ostacolo, nell’opinione di chi scrive, sulla strada di una compiuta integrazione in ambito

europeo, e cioè quello rappresentato dalle diversità linguistiche riscontrabili all’interno dello stesso, appunto: è

innegabile, infatti, che le differenze semantiche, sovente recanti con sé anche dissimilitudini di ordine

assiologico – concettuali, non incoraggino certamente la realizzazione dell’ambizioso progetto in merito alla

costituzione degli Stati Uniti federali d’Europa, non potendo di certo sopperire nella direzione appena indicata

l’adozione dell’idioma anglosassone come linguaggio “ufficiale” dell’ex Comunità europea. Tale eventualità, in

particolare, non risolverebbe affatto la questione relativa all’individuazione della lingua europea non essendo in

grado di rappresentare un soddisfacente momento d’incontro tra le differenti istanze letterali traspositive, e ciò in

ragione, si ritiene, della radicale lontananza dalle tradizioni di civil law cui, al contrario, si rifanno la maggior

parte degli ordinamenti degli Stati membri. 39Così ancora TOGNON – STELITANO, Sport, Unione Europea e diritti umani, cit., p. 148.

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questione, cioè, lungi dal rappresentare una fonte normativa da considerarsi realmente tale

atteso a) l’estrema genericità dei propri contenuti e b) la non vincolatività degli strumenti

dalla stessa previsti al fine del perseguimento di un obiettivo comunque non uniformante, non

può che alimentare i sospetti su una valenza autenticamente strategica alla medesima

attribuibile, e ciò sia con riguardo alle istanze autonomistiche ma allo stesso tempo di tutela

da sempre avanzate dai soggetti operanti in ambito sportivo, sia in riferimento alla sua

collocazione all’interno del Trattato sul funzionamento dell’Unione: il dubbio, in altri termini,

è che tale disposizione, in virtù della propria espressa lettera in merito alla specificità del

fenomeno sportivo e forte del proprio rango di fonte primaria, si ponga come reale obiettivo

l’immediata (quanto vacua) soddisfazione dei soggetti di cui sopra, oltretutto attraverso

l’equiparazione dello sport a nobili e quanto mai attuali valori quali l’istruzione, la

formazione professionale e la gioventù (v. Titolo XII del TFUE di cui l’art. 165 costituisce la

norma d’apertura), senza che però sia in concreto al riguardo prevista l’adozione di atti dotati

di un grado di obbligatorietà sufficiente tale da conferire al disposto in oggetto la capacità di

intervenire ed operare in maniera realmente efficace con riguardo al contesto sportivo.

Infine, si ritiene non possa condividersi l’opinione di chi considera l’art. 165 TFUE

comunque necessario ai fini del riconoscimento di una competenza specifica all’Unione

Europea in materia di sport, visto che, in forza di quanto statuito dalla giurisprudenza

lussemburghese nei termini in precedenza evidenziati, altresì supportati nei propri intenti e

contenuti dalle posizioni assunte dalla Commissione attraverso il Libro Bianco e la

Comunicazione più volte richiamati, l’UE poteva già ben considerarsi legittimata ad operare,

come visto oltretutto con poteri pressoché illimitati, con riferimento al contesto oggetto del

presente studio già antecedentemente l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Al contrario,

la norma in questione, non rifacendosi, almeno in astratto, agli indirizzi giudiziali di cui sopra,

rischia concretamente anche di generare (ulteriore) confusione dogmatico – applicativa avuto

riguardo ad un ambito che di certo non ne sente il bisogno.