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Z. D’Aleo TOLAS TALES OF LIGHTS AND SHADOWS L’Amuleto Libro Primo ______________________________ TriskEdizioni

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Z. D’Aleo

TOLAS

TALES OF LIGHTS AND SHADOWS

L’Amuleto Libro Primo

______________________________

TriskEdizioni

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Tales of Lights And Shadows – L’Amuleto Advance Reading Copy ©Z. D’Aleo TriskEdizioni by Triskelion srl – 2020 Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi riproduzione dell’opera. Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi riferimento a fatti, luoghi o persone, esistenti o esistite è puramente casuale.

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Prologo – L’arrivo dell’elfo a Sol

Anno 3079, prima luna

Sol, capitale di Ignis,

cittadella accademica, Sala Rossa

uesta storia inizia agli albori, tempi di cui si è persa memoria. Il culto principale era ancora quello dei quattro elementi. Prima di allora vi era solo il

caos…» Il Magister parlava con tono solenne, la sua voce rauca risuonava forte all’interno della sala grande dal legno rosso. Gli astanti ascoltavano in silenzio, ma non tutti erano realmente interessati. «Mi chiedo perché si ostini a utilizzare la stessa frase ogni anno.» «Sam, è un memoriale, ci sarà un copione da… seguire.» «Finisce che mi addormento veramente.» «Male per te che non dormi la notte…» Un’occhiataccia arrivò fulminea e i due ragazzi abbassarono subito il capo, ridacchiando tra loro. La cerimonia di inizio anno accademico era uguale da secoli e i due ragazzi ne avevano già vissute fin troppe, ma mai la sala era sembrata loro così piccola; il numero degli allievi iscritti negli ultimi anni era salito vertiginosamente, arrivavano ormai da ogni dove. La sala grande dal legno rosso si trovava in un edificio a pianta pentagonale posto al centro della cittadella accademica, del quale la sala costituiva l’unico ambiente. Il colonnato esterno, i pilastri e buona parte delle mura erano di granito rosso imperiale, le due porte di aramen verde, mentre il resto, come suggeriva il nome stesso della sala, era in legno rosso. Erano in legno il pavimento, il porticato e perfino la cupola a cassettoni, che terminava all’apice con una grande apertura, detta occhio di luna, che consentiva l’illuminazione dell’ambiente interno. La moltitudine

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di ragazzi in uniformi rosse, blu e bianche, tutti seduti a gambe incrociate in anelli concentrici, veniva riflessa dagli specchi presenti su tre delle cinque pareti. Esattamente in corrispondenza dell’occhio di luna una cinquantina di uomini vestiti in nero faceva da corona al Magister. Gli allievi sedevano direttamente sul legno, mentre i maestri sedevano su delle stole, ed erano tutti scalzi, indistintamente. Secondo la tradizione, nell’intera cittadella bisognava camminare a piedi nudi; erano i ragazzi stessi a occuparsi, con meticolosità, della pulizia dei locali, con particolare attenzione alla lucidatura e alla manutenzione delle passerelle di legno. Come insegnavano i maestri: il sudore sulla fronte di un ragazzo oggi, rende nobile l’uomo che sarà domani.

Dopo pochi attimi di silenzio meditativo, il vecchio Califa riprese il proprio eloquio: «Anno 0, un tempo di pace, ripresa e crescita segnò l’intera umanità. Un grande Impero emerse e, a capo, un solo sovrano…». «…Taaf» continuò la sala. «Tutti indistintamente nutrivano grande stima e ammirazione per Taaf, l’Imperatore che riunì le terre, che istituì il gran consiglio e che per la prima volta convocò i tribali a Sol. Fu Taaf a suddividere l’Impero in cinque regioni, assegnando un nome a ciascuna delle cinque Terre. Nacquero così: Petram, Aer, Aqua, Ignis e Nemo. Infine, per decisione del consiglio, l’Imperatore prese in sposa Emalaya, l’erede della maggiore dinastia tribale, al fine di onorare le loro tradizioni, garantendo una nuova discendenza al suo popolo. La principessa giunse a Sol scortata da un corteo della sua gente. Le persone giungevano da ogni dove per portare doni e offerte alla coppia. Solo una pazza si oppose. Durante la festa di nozze, che avrebbe dovuto segnare per sempre la fine dei conflitti con le popolazioni tribali ristabilendo la pace con l’amore e non col sangue, la donna accusò il giovane re di aver fondato il suo Impero abusando dell’Amuleto della Luce, un amuleto leggendario in grado di richiamare i poteri degli elementi e a lui donato per uno scopo più grande. Prima ancora che potessero allontanarla dalla vista dell’Imperatore

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prese a cantare: “Tu che buon re ti credi e intendi mescolare col tuo il sangue della mia gente, ascolta attentamente le mie parole” disse la donna. L’Imperatore decise di ascoltarla, facendo segno ai suoi uomini di non intervenire. “Il ventre fertile della tua giovane moglie ti darà due eredi” riprese lei “saranno tanto uguali quanto diversi. Uno sarà il Sole, l’altro la Luna. Ogni giorno il Sole nascerà spodestando la sorella che morirà sui monti. La vita del Sole alla sera si spegnerà e la Luna riprenderà il suo posto, per poi avvicendarsi nuovamente in una lotta eterna. Un solo Sole e una sola Luna. Verrà il giorno in cui il potere nelle tue mani passerà ai tuoi figli.” Disse indicando l’Amuleto: “in quel giorno gli elementi riprenderanno il sopravvento e allora sarà solo l’inizio del caos. Dei due eredi, uno sopravvivrà, l’altro perirà e, con lui, ognuno al suo seguito. Un solo Sole, una sola Luna, un solo Impero”. E con l’ultima parola, in uno scatto fulmineo, la donna afferrò la lama della guardia più vicina e, sotto gli occhi increduli della folla, si tolse la vita, suggellando quanto detto col suo stesso sangue. Dal matrimonio nacquero due figli, Yin e Yang. I fratelli, col tempo, come predetto, iniziarono a odiarsi. Giunto all’età adulta il maggiore, Yin, decise di partire alla conquista delle terre dell’estremo Nord, rimaste in mano ai tribali ribelli. Anni dopo tornò come loro capo a reclamare il trono e ne seguì una guerra che durò molti anni mettendo a dura prova l’intera popolazione. Taaf ne uscì annientato. Non riuscendo a parteggiare per uno dei due figli e a ristabilire l’ordine decise di distruggere l’Amuleto sperando di fermare la maledizione e di portare la pace, ma ciò non accadde.»

Il Magister, dopo aver preso fiato, riprese: «Le ostilità cessarono solo alla morte dell’Imperatore. Yin si ritirò oltre la Cintura. Yang cercò di essere un re buono e giusto: tentò di ristabilire l’ordine istituendo un nuovo consiglio in cui i tribali del Nord, nonostante il tradimento, se avessero voluto, sarebbero stati riammessi, ma qualcosa era cambiato profondamente. Negli anni gli umani avevano visto cosa queste popolazioni fossero in grado di fare: iniziarono a chiamarli

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maghi e, spaventati, decisero di sterminarli. La guerriglia che seguì fu peggiore della guerra stessa. Da allora i maghi si nascosero tra la gente occultando i loro poteri e dei domatori di elementi, dei leggendari guerrieri di Taaf che crearono l’Impero e lo difesero dai pericoli dell’Oltre, si perse memoria. L’Impero si divise nuovamente e le cinque regioni divennero cinque regni di cui solo il regno del fuoco, Ignis, rimase in mano alla dinastia Yang, per volere dei suoi sudditi. Negli altri si susseguirono lotte per la supremazia tra i potenti delle nobili case. L’Impero di Taaf era morto per sempre… ma è proprio qui che inizia la dinastia…». «Ti prego svegliami quando sarà tutto finito» disse ancora Samas, sbuffando. L’amico ridacchiò. La voce del Magister era monotona e tutto procedeva lentamente, molto lentamente, troppo lentamente… I suoni pian piano divennero sempre più distanti e, tanto più Samas cercava di concentrarsi sulla voce del Magister, tanto più forze invisibili tentavano di chiamarlo a loro nel dolce mondo onirico. E ci riuscirono.

Giochi di fuoco apparvero a illuminare il tetto che si era trasformato in un cielo stellato di tii-kandram, luminoso e lontano. Samas era disteso sull’erba a contemplare le stelle e una brezza tiepida gli accarezzava il volto quando si rese conto di non essere sveglio; sapeva gestire quel dono, navigava spesso nei sogni. Si guardò attorno. La moltitudine di ragazzini era svanita, l’intera sala grande dal legno rosso si era dissolta; tuttavia, suo malgrado, la voce del Secondo Magister, Califa, riprese a risuonare limpida nella sua mente e il sogno gli apparve come un ricordo lontano: “Passarono molti anni” diceva la voce “un nuovo tradimento segnò la fine della dinastia Yang. Correva l’anno 3063, l’anno del drago di fuoco; il consiglio a Sol si riunì d’urgenza…”. Il cielo stellato si squarciò, una luce tenue entrò dall’alto a illuminare un tavolo rotondo in pietra nera lucida e una quantità indefinita di figure, come ombre, vi si riunirono attorno, in una lenta danza macabra. Le ombre erano avvolte in mantelli

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fluttuanti e neri che a ogni passo liberavano scie fuligginose, dense e scure. Le ombre nascondevano il capo sotto larghi cappucci. «Dal regno di Petram, un infante porta il sigillo» annunciò una delle ombre. «Un solo Sole, una sola Luna. Un figlio di Yang segnerà la fine della nostra storia» disse un’altra. «Non è ammissibile» aggiunse un’altra ancora. Poi le voci iniziarono ad accavallarsi freneticamente. «Non succederà davvero.» «Concordo.» «Pazzie!»

«La storia sta per ripetersi. La guerra dei mondi è vicina.» «Non siamo sciocchi!» «I nostri antenati ci tramandano forse sciocchezze?» «Se non ci fossero più discendenti di Yin?» «Le terre del Nord sono inaccessibili!» «Prima che sia troppo tardi, la dinastia deve interrompersi» sentenziò, infine, una delle ombre. «Yang e i suoi discendenti hanno fatto sempre del bene per i popoli» replicò velocemente un’altra. «Ma uno di loro segnerà la nostra fine. Erano secoli che non nascevano domatori di elementi.» Il Magister Califa continuava: “Il mito era storia e, tra i consiglieri a Sol, la paura della maledizione sfociò presto in terrore: la dinastia Yang doveva essere interrotta prima che la maledizione potesse compiersi. Il verdetto arrivò veloce…”. «Zelda deve morire.» “Il Primo Magister, il maestro Yoshiaki, il consigliere del re, avvertì la regina Zelda Yang del pericolo, ma fu inutile. Zelda e il suo neonato Armes furono uccisi per il volere del gran consiglio e per il bene del regno. Tutti i nati in quello stesso anno vennero strappati dalle loro madri e uccisi, fu una strage inutile. Il 3063 fu denominato l’anno del drago di sangue per mantenere memoria dell’eccidio. E tu s…”

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Uno strepito di pianti sovrastò la voce del Secondo Magister, le ombre si dissolsero e tutto divenne rosso. Qualcosa lo afferrò per un braccio e iniziò a scuoterlo… «Sam!» L’amico gli diede pesantemente di gomito. «Samas!» Samas si destò, stiracchiando le braccia ancora intontito; un’eco di voci saturava la sala grande dal legno rosso. Il Magister Califa doveva aver finito di raccontare anche l’ultimo episodio della dinastia già da tempo, forse aveva anche già letto i nomi di coloro che avrebbero potuto ottenere la licenza in quell’anno, e forse avrebbero potuto già suddividersi per classi per iniziare finalmente le lezioni. Strofinandosi le ginocchia, indolenzite per la posizione assunta da troppo tempo, si tirò su, come gli altri. Si sentiva osservato: talvolta le ombre in nero continuavano a perseguitarlo anche da sveglio. Quel sogno era un sogno antico, ricorrente esattamente quanto la luna piena nel cielo scuro. Cercò sguardi invadenti tra la folla, ma, sospeso tra il tirare un sospiro di sollievo e una nuova delusione, per l’ennesima volta, non ne trovò. «Ho dormito, vero?» chiese. «Non per troppo tempo. Credo» suppose l’amico, distratto. «Maestro Califa… non lo reggo» si giustificò sbadigliando. «Fortuna che non ti ha beccato Yoshiaki, altrimenti…» «Tarau!» lo bloccò Sam. «Cosa?» chiese Tarau cercando di interpretare l’espressione accigliata di Sam e di capire cosa o chi indicasse. «In bianco?» chiese perplesso. Samas stava indicando una ragazzina dalla corporatura esile e dai capelli rossicci distrattamente legati in una crocchia sul capo. Indossava anche lei l’uniforme chiara, simbolo di appartenenza alla Scuola Bianca, ma non era certamente della sua misura: la camicia era troppo larga e i pantaloni troppo lunghi ma nonostante ciò manteneva il comportamento serio che si addice a un maestro. Tarau individuò la ragazzina dall’uniforme bianca e fatto un respiro profondo, sbuffò. Le classi delle scuole inferiori avevano già lasciato ordinatamente e in silenzio la sala, accompagnati dai loro

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maestri dalle uniformi nere con le cinte blu o rosse. Ora erano rimasti in venti, quindici ragazzi in uniforme bianca e cinque maestri in alta uniforme nera e cinta bianca. Quattro uomini e una donna dal portamento fiero, tre dei quali molto avanti con l’età. Al centro, il Primo Magister, Yoshiaki, indossava la tunica lunga in satin nero dai bordi argento. Torreggiavano su di loro a distanza, gambe leggermente divaricate e braccia dietro la schiena, pancia in dentro e petto in fuori. La sala dal legno rosso era, ora, tornata immensa. Quando ci fu silenzio i ragazzi avvolsero la mano destra sulla sinistra, chinando leggermente il busto, facendo attenzione a mantenerlo perfettamente allineato con la testa, porgendo il saluto formale. «La cerimonia è durata troppo» continuò a lamentarsi Samas. Avevano appena lasciato la scuola. Era una giornata grigia e fredda, tipica della prima luna dell’anno. Pioveva e camminavano velocemente sotto il pergolato della cittadella accademica. Sol, esattamente così come si raccontava per i draghi, possedeva tre grandi cuori e la cittadella, che ospitava allievi provenienti da quasi tutto il regno, era uno di questi. Fin da piccoli avevano ascoltato storie che parlavano di come la cittadella fosse stata fondata ancora prima della costruzione del castello superiore e, nel tempo, avevano constatato loro stessi come le tradizioni accademiche non si fossero ancora interrotte, bensì arricchite. «No, Sam! È la stessa identica da centinaia di anni.» «Beh, comunque è stata stancante» rispose il ragazzo con fare assonnato. Profonde occhiaie gli segnavano il volto. «Sam! Per gli dei! Ora basta!» Tarau gli si avvicinò marcando il più possibile la differenza di altezza. «Dimmi cosa fai di notte o falla finita con queste stupide allusioni!» Samas sorrise, in realtà non aspettava domanda migliore. «Mi alleno» disse lui, aprendo il volto in un ampio sorriso e allontanandosi. «E perché di notte?» domandò l’amico perplesso, seguendolo. «Perché di giorno ho da fare» rispose Sam, ridendo.

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«Cioè?» Samas si fermò. «Mi alleno.» Tarau scoppiò a ridere. Samas riusciva a fare perdere la pazienza a tutti meno che a lui: Tarau preferiva ridere. «Mi alleno… diversamente» continuò Samas col mezzo ghigno e una particolare luce negli occhi. Si stavano dirigendo ai cancelli Nord, quelli che portavano alla Strada Perduta. Si erano già cambiati, ma continuavano a percorrere la passerella scalzi. Avrebbero recuperato le scarpe nei gabbiotti prima dei cancelli. «Se vuoi, più tardi ti faccio vedere» continuò Samas. «Vedere cosa?» esclamò entusiasta una voce alle loro spalle. «Mizu! Tu non c’entri!» La ragazzina li aveva seguiti di nascosto e, a un certo punto, colti di sorpresa. «Ora sono vostra compagna di scuola» osservò lei con un sorriso a trentadue denti. «E quindi?» sbottò Tarau. «E quindi possiamo studiare assieme.» Tarau e Samas scoppiarono a ridere. «Lo so come funziona alla Scuola Bianca, saremo nella stessa classe!» «Ovvio, Mizu, tutti alla Scuola Bianca sono nella stessa classe! Tuttavia, ognuno viene seguito individualmente, quindi in realtà siamo tutti con tutti, ma tutti con nessuno.» «Sì, ma…» «Sì, ma?» fece Tarau chinandosi per mettersi alla sua stessa altezza e imitando la voce infantile di lei. «È giusto che io sappia degli allenamenti nascosti» concluse lei in un soffio. Tarau e Samas si scambiarono uno sguardo. «Tu origli troppo» la rimproverò il fratello. «E male» aggiunse Samas. Mizu si voltò offesa incrociando le braccia, il naso per aria. I lunghi capelli ramati seguirono fluenti il movimento del capo. «Sei troppo piccola» rincarò Tarau. «Tarau ha ragione: ci vogliono sedici anni per affrontare la prova. Tu quanti ne hai, tredici?» domandò Sam.

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«Tu neanche li avevi, sedici anni.» «Li avrei compiuti nello stesso anno» precisò subito Samas. «Non è vero» sbraitò lei seria, sempre a braccia conserte e con il muso proteso in avanti. Samas si girò di scatto verso Tarau e, senza più considerare la presenza di Mizu, in un balzo gli fu al collo.

Tarau non sapeva se difendersi o ridere. Alla fine, per necessità, si ritrovò a fare entrambe le cose. «Scusa!» cercò di dire nel tentativo di bloccare gli attacchi di Samas. «Tu! Lo! Sai! Che! Rischio la vita!» gridò menando colpi a destra e sinistra, calci e pugni. Tarau scansò il primo, deviò il secondo, ma incassò il terzo e anche il quarto. A un certo punto si ritrovarono entrambi fuori dalla passerella, scalzi, sul fango e sotto la pioggia. Samas era molto veloce, ma qualsiasi dei suoi colpi aveva poco effetto sull’amico vista la stazza di lui, due volte tanto la sua. «Solo lei!» disse rialzandosi Tarau. Aveva sul volto un’espressione a metà tra un sorriso e una smorfia di dolore. «Me l’ha chiesto» continuò il biondo per giustificarsi, avanzando verso l’amico ancora a terra nel fango. «Sei un traditore!» ringhiò Sam rifiutando la mano protesa in suo aiuto. «Ma è mia sorella!» «Non mi importa! Devi tenere la bocca chiusa!» gridò puntellando le mani sul fango per rialzarsi. «Dai Sam!» «Avevi giurato!» «Lo avrebbe scoperto comunque. È Mizu! Non lo dirà a nessuno!» «Così come avresti dovuto fare tu?» gridò Samas, avvicinandosi nuovamente al ragazzo. «Yoshiaki non mi ha raccomandato altro! Se lo scoprono sono finito. E tu dovresti essere il mio migliore amico?» In tutto questo, Mizu, dopo essersi goduta tutta la scena e ridendo a crepapelle, riuscì a convincere Samas a far vedere loro il posto in cui si allenava tutte le sere.

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Camminarono per più di quattro giri di clessidra a passo veloce, giungendo al confine Nord della Foresta Perduta che fungeva da collegamento tra il regno di Ignis e quello di Aqua. «Qui non siamo solo fuori da Sol!» esclamò Mizu entusiasta. «Vuoi tornare dalla mamma?» la schernì Tarau. «No, assolutamente. Tu?» «No, ovviamente. E comunque siamo ancora a Ignis.» Samas faceva finta di non ascoltarli: i fratelli Ston sapevano essere alquanto fastidiosi. «Allora, siamo ancora distanti?» chiese Mizu. «No, ci siamo quasi» rispose Sam avanzando. «La grotta è proprio qui vicino.» Gli occhi di Mizu brillarono. «Grotta?» chiese, mentre stormi di corvi si libravano in cielo, riempiendo la foresta delle loro grida. «Forse sarebbe meglio tornare indietro» suggerì a quel punto Tarau. Mizu scoppiò a ridere. Aveva ripreso a piovigginare e tuoni in lontananza annunciavano l’arrivo imminente del brutto tempo. «Allora sei tu che vuoi tornare!» «Finiremo per bagnarci!» si giustificò il ragazzo. «Tu, forse» lo schernì Mizu. «Siamo arrivati» Samas li interruppe, seccato, indicando un punto nella roccia lì di fianco. Una fessura, nascosta da una fitta e confusa vegetazione, si apriva nella parete rocciosa. Samas si avvicinò, spostò un mucchio di trecce di foglie e fece loro segno di entrare. Mizu si avviò per prima e, esile com’era, riuscì a entrare con estrema facilità, il secondo fu Tarau che la seguì con difficoltà, infine passò Samas che, una volta dentro, lasciò scivolare dietro di sé le foglie a nascondere nuovamente l’uscio. I pochi raggi di sole che penetravano attraverso il passaggio costituivano l’unica fonte luminosa all’interno della caverna, dove diffondevano una luce debole e verdognola. «E dunque?» chiese la ragazzina. «Questa è una grotta di drago» annunciò loro Samas. «Come fai a dirlo?» domandò ancora la ragazza.

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«Guarda le pareti! Sono lisce, lucide e nere. E non è tutto…» Samas avanzò nella penombra. «Qui c’è un corridoio che porta dall’altra parte delle rocce gemelle.» «Un passaggio segreto?» chiese Mizu entusiasta. «Una specie» rispose Samas con un mezzo sorriso. «Forte! Ma com’è che nessuno ne è al corrente?» La luce era sempre più fievole, quasi impercettibile. I tre si addentrarono nel buio, lentamente. «In realtà non sono sicuro che sia così. E non è ancora tutto.» Giunto alla fine della galleria si fermò e, inginocchiatosi, iniziò a tastare il terreno quasi alla cieca. «Cosa… cosa stai facendo?» tentò di domandare Mizu. «Questa.» Samas trovò una torcia, l’aveva lasciata lui stesso lì. Afferrò anche una pietra che sfregò velocemente sulla parete esattamente sopra la fiaccola. Quella si accese. «Eh?» Ghignò con fare soddisfatto. «Sam, non te lo vorrei dire, ma ci riusciamo anche noi ad accendere una torcia. Corso di sopravvivenza, parte prima» lo canzonò Mizu. «Non così!» tagliò corto lui, quasi offeso. Le loro voci rimbombarono nella galleria. Alla luce della torcia, Mizu e Tarau videro quanto immensa fosse la seconda caverna su cui si apriva il corridoio. Dentro la grotta la temperatura sembrava ancora più bassa. «Lungo le pareti ci sono dei disegni e delle scritte» riprese Samas, illuminando i simboli con la fiaccola. «Le scritte sono in brahma.» Mizu ripassava con le dita quei disegni di aria, acqua, fuoco e terra. «Sembra quasi familiare» disse in un fiato. «Perché certamente sei stata anche qui, vero?» domandò Tarau cinico. «E dunque? Cos’è che fai qua?» chiese Mizu ignorando la provocazione del fratello. «Vi faccio vedere.» Samas lasciò la fiaccola alla parete dove vi era una specie di incavo adatto a sorreggerla. Fece loro cenno di allontanarsi e lui

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stesso si allontanò dalla fiaccola di almeno dieci passi. Allargò le braccia, poi poggiò la mano sinistra sulla spalla destra, portò il gomito sinistro all’altezza del mento, l’altro braccio dritto e la mano a formare un angolo retto col resto dell’arto. Si concentrò intensamente su quel fuoco. La fiaccola, al suo comando, iniziò a bruciare più velocemente, scoppiettando. La fiamma divenne sempre più luminosa fino a quando Samas lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e la torcia di colpo si spense. «Beh… sì… sorprendente» esordì Tarau, con una punta di delusione nella voce. «E basta?» chiese Mizu perplessa. «Riesci a spegnere una torcia? Comodo per quando si va a dormire» disse lei ridendo. «Non avrei dovuto portarvi qui!» rispose freddo Samas. «E tu sei troppo piccola.» Mizu continuò a ridere. «Sei solo invidioso, Sam.» «No, niente affatto!» «Sì, invece!» «Ora che si fa?» chiese Tarau. Erano al buio e avevano già iniziato a percepire il freddo. La grotta era satura di quell’aria umida che riesce a penetrare sgradevolmente al di sotto della pelle e che resta lì a consumare le ossa poco per volta. Per raggiungere le rocce gemelle avevano dovuto attraversare il fiume Arx in piena da giorni e, per accorciare i tempi, avevano passato il fiume all’altezza del ponte piccolo che, nonostante le kaa kandram fossero terminate, era ancora sommerso. Si erano così inzuppati scarpe e calzoni, ma non tutti e tre, solo Tarau e Sam. Mizu avrebbe potuto impedirlo ma aveva deciso di non aiutarli; in quella giornata l’avevano chiamata “piccola” troppe volte. A un tratto, un lampo li accecò. Fu così sfolgorante da illuminare a giorno l’intera grotta per una frazione di secondo. Il boato che seguì fu terribile, come se fosse stata tirata giù mezza montagna. Quando fu nuovamente buio si accorsero di un sottile raggio di luce proveniente dalla parete opposta. Vi era un’apertura. Mizu fu la prima ad andare a vedere. Si muoveva a passi lenti sulla roccia scivolosa, facendosi guidare un po’ dalla

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vista, un po’ dal tatto e dall’udito. Oltre alla luce e ai forti boati, infatti, a richiamare la sua attenzione fu un suono cadenzato, dolce, di acqua che scorre e non si arresta. Il mondo fuori dalla caverna era in tempesta: tuoni e lampi si abbattevano sulla terra di Aqua e una nebbia fitta e densa avvolgeva il basso bosco. Mizu raggiunse la seconda estremità del passaggio tra le rocce e guardò fuori. L’apertura si trovava a circa tre iarde da terra dunque, diversamente da quello che avevano pensato, non erano scesi di livello, bensì saliti. Mizu attendeva l’arrivo del nuovo tuono per misurare la distanza del temporale, quando a un tratto delle urla attirarono la sua attenzione. «Lasciatemi!» gridava una donna. Mizu lì per lì non riuscì a scorgere da dove provenisse la voce, la nebbia le impediva di vedere qualsiasi cosa a più di dieci passi da lei. «Sam! Tarau! C’è una ragazza che grida!» li avvertì. Samas e Tarau accorsero immediatamente. «Allora?» «Ero convinta di aver sentito…» «Te lo sarai immaginato» concluse Tarau, riportando indietro la testa e scrollando i biondi capelli grondanti. «Aiuto!» tornò a supplicare la voce, alla ricerca disperata di orecchie che potessero udirla. «Ora avete sentito?» li rimproverò la rossa. I tre si tennero schiacciati sulla parete esterna per cercare di vedere oltre la pioggia fortissima, oltre la vegetazione, oltre la nebbia, ma non fu possibile. «Scendo a vedere» sussurrò Samas e, senza aspettare consulto alcuno, si tirò giù. Scivolò lungo la parete aggrappandosi a foglie e ceppi. Giunto a terra iniziò a correre nella direzione delle grida e individuò subito una ragazza che correva goffamente tra gli alberi, inciampando tra le radici, zigzagando tra le pozzanghere. Aveva capelli argentei fradici e indossava una veste una volta bianca, ora logora e sporca. La ragazza continuava a gridare, cercando pietà nei suoi assalitori: due guardie a cavallo; la goccia azzurra, simbolo dell’affiliazione alla regione di Aqua, ricamata all’altezza delle spalle sui mantelli di satin blu, sventolava al loro passaggio.

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Le guardie dall’armatura argentea l’avevano quasi raggiunta, sembrava non esserci più speranza per lei. Era quasi spalle a muro lungo la stessa parete rocciosa dove c’era l’ingresso della grotta. Samas intervenne: di gran corsa le si pose davanti, dandole le spalle e impedendo alle guardie di assalirla. «Lasciatela!» gridò Samas, agitando le braccia e spaventando i cavalli. Questi si impennarono. «Via ragazzo! Non ti intromettere. Noi siamo la legge. La donna argento viene con noi» rispose una delle guardie a gran voce senza togliere l’elmo. Anche Mizu e Tarau si erano avvicinati. «Che male avrà mai fatto? È indifesa!» Una delle due guardie portò la mano destra ad accarezzare l’elsa della spada in modo minaccioso. L’altro teneva strette le redini. Forti boati continuavano a spaventare gli animali. Samas vide Mizu a pochi passi da lui: si nascondeva dietro un’alta quercia bianca dal fusto spesso, aveva appena alzato le braccia in direzione di Samas. Samas capì cosa stava per accadere, avrebbe dovuto temporeggiare ancora per poco; Mizu avrebbe sfruttato la pioggia, come solo lei sapeva fare. «Perché volete arrestarla? Se avete un’accusa pronunciatela e io mi farò da parte» gridò, continuando a guardare Mizu con la coda dell’occhio. Mizu portò il braccio destro al petto, chiudendo le dita in pugno e la pioggia cadde al suo comando in un vortice. «Torna da dove sei venuto, è l’ultimo avvertimento…» continuò a gridare la guardia, ma non riuscì a finire di pronunciare la minaccia che una barriera d’acqua si frappose tra i cavalieri e gli altri due. «Presto! Non avere paura, afferra la mia mano!» disse Samas. La ragazza lo guardò spaventata. Forse non conosce la lingua pensò Samas. «Vieni con me, sarai al sicuro.» Scandì bene ogni parola e le sorrise. Lei accettò la mano e iniziarono a correre lungo la parete. Una volta che Samas e la fuggiasca furono al sicuro, Mizu lasciò che la barriera d’acqua si scatenasse contro i cavalieri. Questi iniziarono a dare di speroni scappando e, scossi e increduli,

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dopo aver calmato gli animali, decisero fosse assai più saggio interrompere l’inseguimento. Con l’aiuto di Tarau, Samas portò la ragazza al sicuro nella grotta dove Mizu li raggiunse. La ragazza lasciò la mano del suo salvatore e indossò nuovamente il cappuccio, lasciandosi scivolare in un angolo, ginocchia alte e mani a nascondere il volto. Nessun grazie, nessuna parola. Mizu, scuotendo i capelli bronzei zuppi d’acqua, cercò di avvicinarsi per fare conoscenza. «Ciao, io sono Mizu!» disse tutta contenta. «Sono di Kyla, ma viviamo a Sol… e tu?» La ragazza non rispose. «Loro sono mio fratello Tarau e Samas» continuò la ragazzina. «Tarau è quello bello, alto, muscoloso; quello più basso è Sam, sembra antipatico, ma in realtà…» Un brusco movimento di Tarau le impedì di continuare a infierire sul silenzio della ragazza. Lei si oppose, strappandosi via la mano dalla bocca e, offesa, si sedette di botto. «Non stavo facendo nulla di male» brontolò. «Puoi fidarti di noi...» tentò anche Samas, inutilmente. Le uniche parole di lei furono: «Devo raggiungere Sol, devo vedere il Gran Maestro Yoshiaki, devo arrivare in tempo per la cerimonia. Se è vero ciò che dici, portami da lui, ti prego». I ragazzi si guardarono con aria perplessa. Samas le promise quanto voleva. Quando terminò il diluvio era già pomeriggio inoltrato e, infreddoliti e stanchi, s’incamminarono tutti e quattro verso il distretto di Sol. Usciti dalla grotta Tarau e Samas rimasero incantati dalla bellezza della ragazza. La fanciulla, più che muoversi, sembrava danzare. Ogni suo movimento era leggiadro e aggraziato. Doveva venire da molto lontano, una bellezza così da quelle parti non era usuale, non sembrava neanche umana. Pelle chiarissima, lunghe trecce argentee che le uscivano dal cappuccio e occhi di ghiaccio.

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Era quasi sera: le nubi scure e minacciose che avevano avvolto il pomeriggio ora lasciavano il posto a un cielo terso e luminoso, un alone purpureo avvolgeva le strade di Sol. Samas sorrise guardando il sole sprofondare oltre il promontorio su cui si ergeva il castello. Sol era casa, l’unica che Samas avesse mai avuto. Arrivarono alle porte del palazzo e ad accoglierli con un imbarazzante rimprovero li aspettava Tessa, la madre dei fratelli Ston. «Dove siete stati? Ero in pensiero per voi!» gridò. «Che cosa avrei dovuto pensare? Con questo freddo! E questa nebbia! Siete tutti bagnati e… l’argine del fiume che confina con Arx ha ceduto… e le strade per il ritorno sono del tutto allagate e piene di fango. Sareste potuti non tornare a casa!» Non aveva ancora finito di rimproverare i figli che sopraggiunse Yoshiaki, il Gran Maestro. «Suvvia Tessa, non vi adirate con loro, sono sani e salvi. Tarau è un uomo ormai e Mizu adora l’acqua: stanno entrambi bene. Per quanto riguarda il fiume… sai bene che se anche fossero tornati prima, le strade non sarebbero state percorribili. Il fiume è in piena da giorni! Tessa cara, ora andate, devo parlare con i ragazzi, tutti e quattro.» Samas e Tarau tirarono un sospiro di sollievo, Mizu scoppiò in una risatina isterica. Non capivano perché avesse reagito così, non si era mai adirata tanto nei loro confronti. Che pericolo potevano mai correre? Conoscevano bene la foresta! E poi per un po’ di pioggia! Mizu domava l’acqua come elemento e, con lei al loro fianco, non avrebbero avuto alcun problema. Nel frattempo, la ragazza argentata si era inchinata alla vista del maestro Yoshiaki: «Gran Maestro, sono Mayra Leveris del regno di Aer, figlia di Arthur Leveris di Ventus e di Clearnn maga del Sud…». «Allora lo hai un nome…» si lamentò Mizu prima che il fratello riuscisse a zittirla tirandole una leggera pacca sulla spalla. «Se sua madre è una maga… potrebbe esserlo anche lei» bisbigliò subito Samas a Tarau. «So bene chi sei: ho detto io a tuo zio di condurti da me, qui a Sol. Ora andate a cambiarvi, indossate pure qualcosa di caldo

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e asciutto. Domani mattina all’alba vi farete trovare qui. Tutti e quattro!» Mizu stava per congedarsi, quando… «Non così in fretta, Mizu Janey Ston.» Mizu rabbrividì. Non era mai un buon segno quando veniva chiamata col suo nome per intero e soprattutto dal Gran Maestro. «Sì, Maestro!» bofonchiò. «Mostra gentilmente alla nuova ospite la sua stanza.» «Come faccio a sapere…» Sbiancò. «Non vorrà dire…» «Prima stanza in cima alle scale di legno della torre Ov...» «…Ovest» completò la frase lei. «Sì, Maestro.» Tarau e Samas a stento si trattennero dal ridere. Tutti e quattro porsero il saluto formale e si congedarono. «No! Non se ne parla nemmeno!» continuò a protestare la rossa. «Mizu, forse non hai capito bene, non è una richiesta, è un obbligo.» «No! No! E no!» «Ma dai! Sono anni che ti lamenti perché vuoi anche tu un compagno di stanza!» «Io voglio un compagno di stanza come Sam! Non quella! Non lei! Ti prego Tarau, fai qualcosa! Qualunque cosa!» «Sai che farei volentieri cambio…» ridacchiò il fratello. «Beh, se volessi prenderti tuo fratello, l’elfo me lo accollo io» disse Sam, con un ghigno stampato sul volto. «No, non è giusto.» Mizu aveva cambiato espressione, iniziava a capire che non esistevano alternative, avrebbe dovuto condividere la sua stanza con un’altra persona, un’altra ragazza. Avrebbe dovuto condividere la stanza con la bella Mayra, l’elfo scorbutico. Su una cosa erano tutti e tre d’accordo: Mayra era una creatura magica. «Forza, Mizu! Torna a dormire, tra un po’ dovremo alzarci.» Mizu, di malavoglia, lasciò il letto del fratello e si avviò verso l’uscio, lentamente, con sguardo triste e in cerca di compassione. «E se russa?»

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«Non credo che gli elfi russino» rispose Sam, ridendo. «Ma di sicuro lo scopriremo domani mattina» continuò Tarau. «E se mi fa un incantesimo?» «Non credo tu possa diventare più insopportabile di così, di sicuro ti sistemerebbe in meglio.» Mizu lasciò la stanza con le braccia conserte e il broncio e fece come per socchiudere la porta, quando: «E se mi uccidesse nel sonno?». I due scoppiarono a ridere. «Ti vendicherò, sorellina mia adorata. Ma ora, ti prego Mizu, vai a dormire!» Mizu lasciò la stanza chiudendo la porta alle sue spalle e, sbuffando, si allontanò a passi pesanti lungo il corridoio. «Ci pensi tu?» Tarau indicò la candela posta sullo scrittoio in fondo, l’unica luce rimasta accesa nella stanza e si lasciò cadere sul letto. «Certamente!» Samas si concentrò sulla fiamma, questa iniziò a tremolare e subito si spense. La voce di Mizu risuonò limpida nella sua mente: «Utile per quando si va a dormire». Aveva ragione. Samas sorrise, pensando a una Mizu imbronciata che tornava nella sua stanza infestata dall’elfo. Con questo pensiero si addormentò. Sognò una morsa allo stomaco e la sensazione di quando si fiutano i lampi. Sognò la sensazione del calore improvviso, dell’aria che brucia. Sognò la sensazione del fuoco nelle vene, sognò la pelle che arde. Un sogno che ovviamente a chiunque sarebbe potuto sembrare più un incubo, il più terribile forse, ma non a Sam: era il suo preferito. Aprì gli occhi. La stanza di allenamento gli stava attorno. Lasciò che il calore prendesse il sopravvento. E sorrise, ancora.

Quando riaprì gli occhi, nel mondo reale, la fievole luce fredda di nuova Kandram illuminava la stanza entrando copiosamente attraverso le grandi vetrate, lasciando sulla pavimentazione le ombre nere delle guide tra i vetri multicolori. Il vento ululava facendo sbattere le finestre, ma non era l’unico rumore nella notte.

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Uno strepitio di tavole che cigolano lo svegliò del tutto dallo stato di dormiveglia. Poi, a un tratto, il pomello della porta inizio a ruotare; destra, sinistra, destra, ancora destra, sinistra, sinistra. «Tar!» Cercò di avvisare l’amico. Tarau tirò su con il naso, cambiò posizione; ora era supino con un braccio che gli penzolava giù dal materasso, il suo sonno proseguiva indisturbato. Samas sbuffò lasciando il letto con un balzo e si avvicinò alla porta in punta di piedi. «Per gli dei! È chiusa!» imprecò una voce lieve da dietro la porta. Sam la riconobbe all’istante. «No, Mizu, è aperta.» I rumori dietro la porta cessarono. La ragazzina era stata presa alla sprovvista. Probabilmente non sapeva che fare, forse addirittura stava architettando una fuga veloce. Era stata colta in flagrante. Samas si avvicinò e aprì. «Destra, sinistra e una piccola spinta.» le ricordò simulando nuovamente il movimento sul pomello. Mizu divenne incredibilmente paonazza in viso; tra le lentiggini e il rosso dei capelli arruffati sarebbe sembrata un tutt’uno con la fiamma della lanterna che reggeva se non fosse stato per la candida camicia da notte e lo zainetto, azzurro. Appena vide Sam si sciolse in un sorriso a trentadue denti. Temeva, infatti, che potesse essere stato il fratello ad aprire. Lasciò la lanterna sul pavimento, giunse subito le mani e chinò il capo implorando. «Ti prego Sam! Non mandarmi via!» disse in un fiatò. Samas le riavviò i capelli. «Forza, entra! Ma non fare chiasso, altrimenti svegli Tarau che ti rimanderà in camera tua. Puoi dormire nel letto di Natan.» Mizu abbraccio Sam e corse a dormire. Da quando Natan aveva lasciato Sol per raggiungere Yokan, Mizu aveva sperato davvero di prendere quel posto, ma non solo per una notte.

Stavano nascendo le prime luci dell’alba quando il Gran Maestro raggiunse le porte del palazzo di Sol. Sotto una cappa in satin bianco dal cappuccio largo Yoshiaki indossava una tunica lunga, candida, dai preziosi ricami in argento raffiguranti

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piccoli falchi in volo e stringeva in pugno il bastone bianco con un cristallo blu incastonato in cima. Con un’espressione ancor più austera del solito, attendeva. «Il tempo è giunto» proferì solennemente non appena riconobbe Samas, Mizu, Tarau e Mayra nelle quattro figure che gli vennero incontro. Seguirono il Maestro; si spinsero oltre i confini della Foresta Perduta, superarono anche i confini della Foresta dell’Est. Raggiunsero i piedi delle grandi montagne nere. Giunsero così presso una zona considerata dagli abitanti della capitale proibita e inaccessibile La vegetazione era fitta ma lasciava intravedere una maestosa struttura che i quattro ragazzi non avevano mai visto, un grande tempio nascosto dal verde, un tempio di pietra bianca, liscia e lucente. Alcune guardie in bianco stazionavano attorno al perimetro; neanche Samas, che viveva nella capitale da sempre, era in grado di capire se si trattasse di una struttura sacra o militare. Enormi colonne reggevano il maestoso edificio a pianta circolare, erano rifinite in oro e argento e tempestate di gemme colorate che alla luce del sole brillavano. Nell’aria risuonava una melodia cantata dal vento nell’attraversare le piccole fessure tra le colonne che andavano a delimitare un cortile. Una volta all’interno del cortile salirono una gradinata che portava al cuore del santuario: un’enorme struttura chiusa da una porta che non sembrava possedere né chiavistelli, né serrature, ma solo disegni. Disegni di acqua, fuoco, aria e terra, gli stessi simboli che avevano visto nella grotta. Doveva essere proprio quello, il leggendario tempio degli elementi: il Tempio della Luce. «Spesso l’apparenza inganna le giovani menti, tutte le porte hanno una chiave, e tutti i templi hanno un custode» disse il saggio, ammonendo Mizu ancor prima che aprisse bocca. Lei rimase stupefatta. Il Gran Maestro pose la sua mano al centro della porta come per accarezzarla. «Presto: avvicinatevi e fate come me, con delicatezza.» I quattro fecero esattamente quello che aveva detto Yoshiaki e, al loro tocco, con un frastuono rauco, la porta si aprì.

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Entrando, rimasero accecati dalla luminosità di quel luogo… Era come se fosse rinchiuso lì tutto lo splendore di una stella. Piccoli fiumi argentati scorrevano tra i tasselli del mosaico che ricopriva il pavimento dell’enorme stanza circolare; le pareti erano rivestite di specchi e al centro vi era una piattaforma rotonda, simile a un altare. Tutta la luce confluiva in un unico punto chiamato Letto del Sole. Non appena furono entrati, Yoshiaki fece un gesto col bastone e la porta alle loro spalle si richiuse. «Questo è il Tempio della Luce, edificato all’inizio dei tempi per onorare il culto degli elementi» spiegò Yoshiaki. «È qui che venne forgiato il prezioso Amuleto di cui avete già tanto sentito parlare ed è anche qui che venne distrutto, poi, dall’Imperatore stesso, nella speranza di fermare la maledizione lanciata contro la propria progenie. L’Amuleto venne così diviso in quattro schegge, ognuna delle quali venne poi affidata a un domatore assieme al compito di nasconderla. Il Tempio della Luce, ormai privo del suo artefatto, fu dimenticato.» Il saggio prese fiato. «Venti anni fa, in seguito alla deviazione del fiume, il tempio venne ritrovato» disse, allisciandosi la barba. «Non pensate si tratti di una casualità. Oggi il tempio è stato riaperto e voi avete un compito importante: ripercorrere i passi dei vostri antenati, ritrovare e riportare le schegge qui, prima che avvenga il prossimo allineamento planetario. Solo così sarà possibile dare nuova vita all’Amuleto della Luce, riunire gli eserciti e proteggere il regno dalla minaccia che viene da Nord.» Yoshiaki smise di parlare e calò il silenzio. «Tuttavia,» riprese, guardando non casualmente Mizu che seguiva con molto interesse i rivoli argentei che si muovevano sinuosamente tra i tasselli del mosaico «nonostante ora conosciate il destino che vi attende, non siete ancora pronti! Avrete un anno di tempo a partire da oggi per prepararvi a questa missione. Oggi stesso, Mizu Janey Ston e Mayra Leveris, inizierà la vostra luna di noviziato. Come ben sapete alla Scuola Bianca non esiste alcuna suddivisione in classi, tuttavia esistono dei clan. Al termine di questa luna di noviziato verrete smistate, in base alle vostre più forti inclinazioni, in uno dei tre clan. Se supererete la vostra prova

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potrete prendere le ali ed entrare a far parte del clan a cui sarete assegnate. La suddivisione in clan vi permetterà di approfondire meglio le vostre attitudini grazie al confronto diretto con gli altri membri. La vostra fedeltà al clan porterà onore a voi, alla vostra famiglia e alle famiglie che prima di voi ne hanno fatto parte.» «Sì, Gran Maestro!» risposero in coro. «Se non ricordo male, le lezioni inizieranno a breve.» «Sì, Gran Maestro!» «Mi raccomando, per il bene della causa è di fondamentale importanza che nessuno oltre a voi venga a conoscenza della missione. Sono stato chiaro?» «Sì, Gran Maestro!» Tutti e quattro porsero il saluto formale e si congedarono per raggiungere la cittadella accademica.

“Mayra l’elfo” divenne Mayra e poi May, ma solo molti mesi dopo: nessuno riusciva a entrare in confidenza con lei, era come se sapesse tutto prima ancora che chiunque aprisse bocca. Mizu era molto seccata da questa cosa. Mayra era una creatura magica; era la bella Mayra, dal portamento fiero di chi sa di possedere tutta quanta la bellezza. Tarau e Samas non riuscivano a staccarle gli occhi di dosso, lei lo notava e diventava esageratamente schiva, misteriosa. Tutti alla scuola erano incantati da così tanta bellezza. E, mentre i tre amici si perdevano in avventure e giochi nel bosco dopo le lezioni, l’elfica bellezza preferiva passare le sue giornate a contemplare le montagne di Petram che si intravedevano dall’altura di Sol, finestra sulla valle della roccia, oppure passeggiando sulla riva del ruscello ai margini del boschetto. Amava starsene sulle sue, sempre in compagnia di qualche libro dalle scritte strane, in brahma o in lingua antica, Yerieris. L’unica ad avere una reale possibilità di contatto con lei era la piccola Mizu, che per questo veniva spesso stressata da Samas e dal fratello, sempre in cerca di dettagli di qualsiasi genere sulla nuova inquilina del palazzo di Sol. I due, infatti, riuscivano a incontrarla solo durante gli allenamenti con Yoshiaki e, nonostante spesso provassero a inseguirla, a fermarla e a scambiare qualche parola con lei, nulla

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funzionava, Mayra sapeva bene eluderli. Quel continuo fuggire nel suo rifugio elfico non faceva che far aumentare notevolmente la sua aura di mistero. Nel frattempo le lune passavano. Mizu venne affidata al clan delle Aquile, guidato da Loras Sylver e composto da Lena, Aron, Tarau, Teodor e Samas. Mayra invece venne affidata al clan delle Civette, guidato da Pit Delota. Samas, Tarau, Mizu e May riuscirono a tenere nascosti i preparativi della missione, ma non fu semplice. Gli scontri per la supremazia tra i tre clan, le Aquile, le Civette e i Falchi, si susseguirono per l’intero anno accademico e sfociarono in qualcosa di terribile: uno degli allievi perse la vita durante l’ultima missione e un altro, in risposta a questi eventi, decise di allontanarsi per sempre da Sol, da Ignis, forse da Tolas stessa. La morte di un allievo della scuola era una grave perdita non solo per amici e parenti, ma anche per l’intero regno. Samas, Tarau, Mizu e May, per quanto si ritenessero responsabili, decisero fosse più saggio non parlare di quanto accaduto nell’ultima impresa con il grande viaggio alle porte.

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Episodio 1 – La partenza

(Tessa)

Anno 3070, prima luna

enza sosta, la pioggia batteva sui vetri, senza sosta. Nella terra della roccia infuriava da giorni la tempesta. Tessa, distesa su un fianco, stringeva tra le braccia il suo cuscino:

troppi pensieri affollavano la sua mente precludendole ogni possibilità di dormire. Di tanto in tanto, i lampi illuminavano a giorno la stanza da letto e in quegli istanti la donna appuntava lo sguardo sul volto di Esdrom. Tessa vegliava il sonno del marito, beandosi di quella quotidianità che tanto amava. A ogni lampo la luce si rifletteva sulla sua barba chiara, ispida sul mento, sui biondi capelli lucenti. Tessa vegliava sul suo respiro, sui suoi più lievi movimenti, constatando che in quello stato di quiete il Signore di Kyla sembrava più piccolo, più giovane e quasi indifeso. Tessa avrebbe voluto avvicinarsi, stringersi a lui, intrecciare le proprie dita alle sue, percorrere la linea ferrea della sua mandibola per poi raggiungere i capelli, baciarlo sulla fronte, dolcemente, come faceva ogni sera prima di addormentarsi al suo fianco, ma non voleva svegliarlo, così si costrinse a restare immobile. Da quando gli attacchi si erano fatti più frequenti la presenza del Signore di Kyla era divenuta indispensabile in qualsiasi ora del giorno e della notte. Negli ultimi tempi il marito aveva dormito pochissimo e il suo sonno si era fatto sempre più

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leggero e irrequieto, ogni lievissimo movimento avrebbe potuto metterlo in allarme. Il rumore della pioggia la rilassava, le ricordava casa, ma in quella pioggia Tessa udiva qualcosa di sbagliato. L’aria che si respirava quella sera era diversa. Il ticchettio monotono sui vetri sembrava quasi un’illusione, una trappola. In quell’anno così torrido, infatti, siccità e carestia avevano messo a dura prova il suo popolo, tanto da portare alla fame gli uomini di roccia. Avevano iniziato a razionare le risorse, e da quanto era riuscita a capire - nonostante non amasse intromettersi negli affari del marito - nella prospettiva migliore, quello si sarebbe rivelato un inverno particolarmente rigido e pieno di stenti, ma non le importava, l’amore per la sua famiglia, per Esdrom e per i figli le avrebbe permesso di superare tutto, ne era sicura. I suoi timori ben presto si concretizzarono, nel buio notò con la coda dell’occhio uno strano bagliore proveniente dalla finestra. Contò mentalmente fino a tre, poi si alzò così velocemente che per poco non inciampò nella veste da notte. Dagli alloggi padronali i signori di Kyla potevano vedere tutta la valle. I fuochi del confine Nord avevano iniziato ad accendersi, uno dopo l’altro. Il fronte era stato attaccato in piena notte, nonostante la tempesta. Kyla era sotto attacco da settimane, gli incursori provenivano quasi sempre da Nord. L’esercito di Petram aveva smesso di intervenire. Prima di allora, le terre della valle di roccia erano sempre riuscite a difendersi, ma la siccità, l’isolamento e le epidemie avevano contribuito alla conquista delle aree vicine a Kyla. Una dopo l’altra le varie contee avevano cambiato bandiera e si erano rivoltate contro la capitale che aveva preferito perdere dei territori piuttosto che ingaggiare una guerra che non avrebbe potuto vincere, abbandonando così i villaggi superstiti. In tutto ciò, Kyla resisteva. Da quando era cominciato l’assedio le risorse erano state ulteriormente decimate. No, no, no pensò, voltandosi verso la porta. Tessa avrebbe voluto correre verso la stanza dei bambini per prendere la più piccola tra le braccia, stringerla, tranquillizzarla, cullarla, dirle

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che sarebbe stato tutto per sempre bellissimo, che avrebbe per sempre vissuto al sicuro nella sua fortezza felice, con la sua famiglia perfetta. Avrebbe voluto sedersi ai piedi del letto del suo figlio maggiore per dirgli che sarebbe stato sempre al sicuro tra quelle mura, che suo padre lo avrebbe protetto da tutto e da tutti per sempre e che un giorno avrebbe ereditato tutto ciò che vedeva. Il cuore le si strinse in una morsa tornando a osservare i fuochi che continuavano a illuminare a giorno il confine. Poi, a peggiorare la situazione, sopraggiunse lo sferragliare stridulo dei ferri di una carrozza i cui cavalli erano spinti al galoppo nonostante la tempesta e il fango. Le sentinelle accesero il fuoco lungo le mura. Le porte della fortezza di roccia si aprirono, il cuore di Tessa si strinse ancora, stava sparendo nel petto lasciando un vuoto enorme. La sua mente iniziò a vagare, interrogandosi su chi potesse far loro visita a quell’ora della notte, in una situazione del genere. «Amore…» Tessa represse un grido riconoscendo la calda mano del marito poggiarsi sulla sua spalla. «Cosa sta succedendo?» chiese lui. «Abbiamo ospit…» e non riuscì a concludere la frase che tre tonfi rimbombarono tra le mura dell’alloggio padronale. «Signore…» gridò uno dei domestici, bussando più forte.

«Arrivo» rispose lui. «Vado a vedere di cosa si tratta, tu aspettami qui» disse, allacciandosi gli stivali. Tessa cercò di eliminare il nodo che aveva alla gola, seguì il marito fino alla porta per poi buttarsi tra le sue braccia. Accarezzò le sue guance soffermandosi sul contorno della barba, ispida sotto i polpastrelli. Scorrendo con delicatezza le dita incontrarono i capelli, lunghi, biondi, morbidi. «Ho una bruttissima sensazione…» gli disse. «Dai cara…» la allontanò lui gentilmente, abbozzando un sorriso. Il signore di Kyla era bravo a nascondere i propri sentimenti, ma non a lei. Dietro quel volto duro si nascondeva la preoccupazione di un amorevole padre e di un dolcissimo marito. «Vai a dormire, ti raggiungo prima dell’alba…» promise, allontanandosi fino a richiudere la porta alle proprie spalle.

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Tessa si sedette sul letto; passarono solo pochi istanti poi decise di vestirsi. Indossò l’abito del giorno precedente e si acconciò i capelli nel modo più veloce possibile. Pensò di raggiungere la stanza dei bambini, in silenzio per non spaventarli, ma non arrivò nemmeno a metà strada che Martha, la bambinaia, le venne incontro. «Madama» disse con tono di urgenza, ma chinando il capo rispettando l’etichetta. «Il signore richiede la sua presenza.» Tessa annuì, seguendola giù per le scale. La donna non ricordava ci fossero così tanti gradini per raggiungere la sala degli ospiti, li scese a due a due, di corsa. Entrò nel salotto che aveva quasi il fiatone. Le sue paure si concretizzarono all’istante. I domestici avevano acceso il fuoco e tutte quante le candele rendendo il salotto caldo e accogliente, ma nonostante ciò il sangue le si raggelò in corpo. Tessa si costrinse a concentrarsi su come conquistare il prima possibile la poltrona più vicina per non crollare a terra. Quando Esdrom la vide entrare le venne incontro e l’accompagnò a sedersi; lei gli fu immensamente grata per quel sostegno. «Tessa, siete sempre più bella» proferì a voce alta l’ospite rompendo il silenzio. La donna in risposta abbozzò un sorriso, girandosi verso il marito. «Non è mio solito fare visite così irruente nel cuore della notte» continuò il vecchio «ma vedo che avete più volte ignorato le mie missive e il tempo è giunto…» Lo sguardo di Esdrom si fece cupo, Tessa gli strinse la mano, intrecciando le dita alle sue. «Non abbiamo ancora deciso» disse lui, prendendo posto sul poggiabraccio della poltrona. «Credo che sia arrivato il momento giusto per prendere questa decisione. Non è mia intenzione usare mezzi termini. Mizu e Tarau sono singolari, devono essere nascosti. Il loro destino è segnato. Come vi ho già spiegato più volte, verranno con me, insegnerò loro a domare gli elementi e, quando saranno pronti…» Ma era già tardi, Yoshiaki era arrivato troppo tardi, non c’era più tempo per le spiegazioni. La porta si spalancò interrompendo il discorso, un consigliere si avvicinò al marito

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per sussurrargli qualcosa all’orecchio. Tessa non riuscì a sentire una sola parola, tuttavia capì.

«Tessa, dovete fidarmi di me. Non avete alternative… stanno per arrivare. Dovete fuggire ora con me.» «Il maestro dice il vero, siamo sotto attacco… Date l’allarme» comandò Esdrom, alzandosi dalla poltrona con enorme calma. «Preparate la carrozza più veloce e sicura, prendete solo il minimo indispensabile per il viaggio, uscirete dalla porta Sud e ordinerete che sia chiusa al passaggio subito dopo.» Tessa crollò nello sconforto, il futuro le divenne di colpo buio. «No, no, no» continuava a ripetere con gli occhi pieni di lacrime. Il Maestro si alzò e fece un gesto con il capo. Afferrò la mano di Esdrom in segno di saluto. In quella stretta si dissero celatamente tutto quello che lei non avrebbe mai voluto sentire. Quando il Maestro lasciò la presa venne scortato subito fuori dai due domestici. «Vi aspetto» disse, rivolgendosi a lei. Quando uscì, il signore di Kyla fece segno ai propri uomini di lasciarli soli. La luce tremolava e il silenzio della notte era squarciato dalle campane che davano l’allarme. «Tess, vai a prendere i nostri figli…» chiese Esdrom. Tessa scosse il capo. «No, no, no» disse, afferrandosi il volto con entrambe le mani. «Vieni con me, ti prego.» «Ti raggiungerò, Tessa.» «La Resistenza è una causa persa, lo hai detto anche tu» lo rimbeccò. «Sono uno Ston! Non abbandonerò la mia gente, anche se si tratta di una causa persa.» «Allora rimarrò con te, sono una Ston anch’io, ormai» lo supplicò afferrandogli le mani. «Ogni uomo deve fare la propria parte, tu proteggerai i nostri figli e io rallenterò l’avanzata. La Resistenza è viva.»

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Tessa baciò il marito, prese i bambini nel sonno e fu costretta ad allontanarsi, per sempre. Esdrom tornò a combattere una battaglia che non vinse.

Anno 3080, prima luna

Tessa si svegliò. Il cuore le batteva forte in petto, le lacrime le rigavano il volto mentre il sole sorgeva. «E il giorno è arrivato» sussurrò Tessa asciugando le lacrime sul cuscino. Parlava rivolgendosi al posto vuoto del marito, parlava ricordandosi il volto di lui al suo fianco. Lei sapeva già, da molto tempo, ma non sarebbe bastato tutto il tempo del mondo per accettarlo. Era un dolore troppo grande. «Proteggere i nostri figli… come farò ora, Esdrom? Come farò, amore? Madre, Dea tra le Dee, Dea delle Dee, dammi la forza. Tu che sei nella natura del mondo, Tu che di loro mi hai fatto il dono. Tu che a loro hai dato il tuo dono, doni di Terra e Acqua, proteggili! Manda i tuoi spiriti a vegliare su di loro, guidali nella strada, nascondili al nemico. Fa’ che possano tornare da me sani e salvi. Possa la luce essere sempre con loro.»

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(Samas)

amas non aveva dormito. Il sangue gli ribolliva nelle vene e si sentiva febbricitante. Quando le prime luci del mattino iniziarono a filtrare dalle pesanti tende tirate a nascondere

le alte vetrate lui era già vestito di tutto punto, pronto per andare al tempio. Le assi di legno scricchiolarono sotto i suoi piedi. «Che ore sono?» chiese allarmato il compagno di stanza. «È presto, Tarau, ma non ci posso più stare qui…» si giustificò. Il ragazzo annuì, arrotolandosi nelle coperte. «Ci vediamo per la colazione?» chiese prima di tornare a dormire. «No, ci vediamo direttamente al tempio» affermò l’altro, lapidario. Non pervenne risposta, Samas afferrò il pomello della porta e se la richiuse alle spalle. Girare per i corridoi degli alloggi non gli aveva mai fatto tanto male. Le candele ormai quasi esaurite traballavano al suo passaggio, modificando l’ombra ai suoi piedi. Samas avanzava spedito nonostante il buio. Viveva in quelle quattro mura da sempre, non aveva mai visto una casa diversa da quella e non gli era mai importato e ora gli pesava lasciare Sol per così tanto tempo. Scese anche l’ultimo gradino e si ritrovò nel salone comune. Anche se non era ancora del tutto sorto il sole il rumore di stoviglie e vettovaglie si allungava dalla cucina alla sala. Il

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profumo del pane appena sfornato lo avvolse portandolo a raggiungere la tavola imbandita per richiederne un pezzo. Una ragazza, vedendolo arrivare, gli sorrise in segno di saluto. Samas riconobbe Sofie. La ragazza aveva iniziato a lavorare in cucina quell’anno e le avevano affidato i turni delle colazioni. Sam accennò un sorriso in risposta ma non volendo fare conversazione si dissolse tra la folla. Diversi soldati concludevano il turno notturno e passavano dalla sala per rifocillarsi prima di andare a dormire, altri passavano dalla cucina prima di iniziare la nuova giornata di lavoro. Il tavolo imbandito era carico di cibo fumante. Samas si avvicinò per prendere una ciotola, versò del latte bollente da una delle caraffe e afferrò due fette di pane e una di torta. In genere non c’erano torte ma quelle erano giornate di festa e in cucina venivano preparati molti più dolci di quanti se ne riuscissero a consumare, in più tutto quello che i nobili non riuscivano a mangiare passava su quel tavolo. E Samas non avrebbe potuto esserne più felice. Sul tavolo su cui si trovava il cibo Sofie aveva appena appoggiato un altro vassoio pieno di biscotti appena sfornati. Se non fosse stato per il blocco allo stomaco Samas sarebbe tornato volentieri a rimpinguare il piatto. Per un paio di secondi pensò di lasciarsi tentare poi lo sguardo ricadde sulla divisa ufficiale. I dettagli argentati a forma di drago che la sarta aveva magistralmente ricamato sulle maniche del cappotto gli ricordarono il suo dovere. A Samas venne un groppo alla gola, lasciò la ciotola sul vassoio, si alzò e si diresse fuori dalla sala. Il cortile era un via vai di guardie, raggiunse il piazzale degli addestramenti in pochi attimi. Ebbene, e ora? si chiese osservando la piazza d’armi deserta. Avrebbe dato chissà che cosa pur di potersela prendere con qualcuno e sfogare così un po’ di energia repressa. Si sentiva così agitato che temeva di poter dare fuoco al castello da un momento all’altro. «Te la sei presa comoda…» Samas si girò di scatto. Tarau, in tenuta da allenamento, gli porgeva un bastone di legno.

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«Non stavi dormendo?» chiese Sam, afferrando l’arma bianca. «Non posso dormire quando posso picchiare il mio migliore amico…» Samas rise. «Non puoi picchiare qualcuno che non riesci a prendere… quante volte te lo dovrò spiegare?» Tarau si avvicinò mostrando la maglia da allenamento. «Se non vuoi prenderle seriamente evita di sporcarti l’uniforme.» Samas non se lo fece ripetere due volte, adagiò con cura sulla staccionata sia la tunica che il cappotto e, afferrando saldamente il bastone tra le dita, si lanciò all’attacco.

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(Mayra)

ayra condivideva da quasi un anno la stessa stanza con Mizu, la prima stanza in cima alle scale di legno della torre che dava sul cortile di addestramento. La torre

confinava con gli appartamenti degli ospiti del palazzo di Sol e gli appartamenti della guarnigione. In un intero anno Mayra aveva raramente rivolto la parola alla sua coinquilina. Era il giorno del 3080° capodanno, sesto ciclo di Taaf, penultimo anno dell’Antico Zodiaco. Mizu si era alzata all’alba, molto prima del solito e aveva fin da subito cominciato a rovesciare tutto ciò che si trovava nella stanza, immergendosi nel suo perenne disordine. Mayra per l’ennesima volta, si era svegliata di soprassalto. «Che co-sa sta-i fa-cen-do?» gridò stanca, scandendo bene ogni parola. «Nulla» rispose la ragazzina. «Nessuno fa tutto questo chiasso per nulla!» la rimproverò. Mizu fece per asciugarsi gli occhi passandosi una manica sul volto, poi abbassò lo sguardo e riprese a rovesciare il contenuto del suo baule per terra con falsa indifferenza. Aveva pianto. Mayra prese un respiro, le sembrava di aver vissuto già fin troppe volte quella scena. «Che hai perso oggi?» le chiese gentilmente. «Non ti riguarda» rispose seccata. Mayra si rigirò tra le coperte cercando di farsi coraggio. Ne era consapevole, non poteva capitarle situazione migliore, aveva atteso quasi un anno e aveva pensato molto bene alle possibili

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conseguenze, avrebbe voluto evitare… ma il Maestro era stato intransigente con lei, da quel giorno sarebbero dovute cambiare un bel po’ di cose. «E sia…» sussurrò prendendo un altro respiro. Sei proprio sicura che io non possa darti una mano? chiese. Mizu si girò e guardò il volto di Mayra completamente immobile, gli occhi fissi su di lei e le labbra serrate. «Ah!» gridò. «Com’è possibile? Che diavoleria è mai questa?» domandò perplessa. May rise di gusto. «Riesco a parlare attraverso la mente. Ti ho detto che sono una maga, no?» confessò. «No!» Gli occhi di Mizu brillarono. «No, sapevo, ma…» Mayra si tirò a sedere sul letto e le fece spazio. Mizu la raggiunse e iniziarono a parlare. «So che può sembrare strano, so che avrai infinite domande da pormi. Puoi chiedermi quello che vuoi…» «Se sei una maga allora conoscevi le nostre intenzioni. Perché non mi hai risposto?» «Risposto?» chiese Mayra teatralmente, pur sapendo già a cosa si riferisse; la ragazzina avrebbe voluto porle quella domanda da tanto tempo.

«Esattamente un anno fa, nella grotta, dopo che ti abbiamo salvato le chiappe» spiegò la rossa. «Ah, beh, non è così semplice come sembra, non sapevo ancora se potevo fidarmi di voi. Per quelli come me è una continua lotta per la sopravvivenza. Avrei voluto risponderti» mentì Mayra. «Credo di avere un modo più semplice per trovare l’oggetto che cerchi» disse, tentando di cambiare argomento e di sviare le altre possibili domande. «Sapresti descriverlo? Immaginalo.» Mizu aggrottò le sopracciglia. «È un anello che porto come ciondolo. Sul fronte vi è inciso il simbolo della mia famiglia, una specie di croce su un rombo nero. L’anello è di ematite, la catenina è d’oro.» Mayra non dovette nemmeno concentrarsi per recuperare quell’informazione. L’immagine del ciondolo era chiara e limpida tra i pensieri della ragazzina. Provò a fare mente locale

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e ricordò di aver letto tra le intenzioni di Tarau quella di rubarlo, ma si trattava ovviamente di uno scherzo. «Lo ha tuo fratello…» disse. «No, non è possibile» rispose la rossa, allontanandosi. «Fa’ come vuoi.» «Lo hai preso tu e ora accusi mio fratello!» protestò la ragazzina. «Con il quale non hai mai litigato» ribatté ironicamente Mayra. «Puoi anche essere una maga, resti comunque insopportabile!» sbottò Mizu. Mayra sospirò, non rispose, riprese a ignorarla. Aveva ancora molti preparativi da compiere ed era tardi, non aveva tempo da perdere. Capì di essere in ritardo solo quando, suonate le campane che segnavano l’inizio dell’ottava ora del mattino, si accorse che sia lei che la compagna di stanza erano ancora in abiti da notte. Infilarono in fretta le loro divise ufficiali e uscirono.

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(Tarau)

arau e Samas erano già nel cortile interno, davanti al tempio di Sol, in uniforme e sull’attenti, quando giunsero Mayra e Mizu. Le ragazze erano in leggero ritardo, il

maestro Yoshiaki le fulminò con lo sguardo. Questa volta non era solo. Alle sue spalle vi erano una donna e quattro uomini scortati da alcune guardie reali e funzionari di alto rango del regno di Ignis. Tarau era un fisionomista. Amava pensare che quel suo dono dipendesse dall’attaccamento alla Dea Madre e al suo elemento. Per la Terra tutti i suoi figli sono diversi e importanti allo stesso modo. Tarau aveva imparato a cogliere e a memorizzare anche i più piccoli particolari di ciascuno. Facendo tesoro di quel dono, il ragazzo si concentrò sugli ospiti scortati dal Primo Magister. La donna, con quei suoi capelli estremamente lunghi e candidi dai riflessi argentei e gli occhi acquosi contornati da piccole rughe, sembrava la più anziana. Vestiva una tonaca di lino bianca sopra un abito lungo di un blu profondo, i fianchi esili erano cinti da una stoffa argentata. Tarau la riconobbe nonostante non l’avesse mai vista, portava al collo la goccia del regno dell’Acqua, aveva sentito tanto parlare di lei, era il Gran Maestro Siar, il saggio del Tempio di Pluvia. Dietro di lei si trovava un uomo avanti con l’età, dai capelli un tempo neri. Era più alto di Siar e portava la barba molto più corta di quella di Yoshiaki; gli occhi erano piccoli, profondi e attenti, incastonati nel cranio magro proprio sopra gli zigomi spigolosi. Indossava una veste color sabbia sotto una tunica nera stretta sui fianchi con un nastro di cuoio dove era

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marchiato a fuoco il rombo, simbolo del regno delle Rocce; era Cromo, il saggio del Tempio di Petram. Dietro di loro altri due uomini: il primo, con i capelli un tempo color dell’oro raccolti in una lunga coda bassa, senza barba, indossava una veste molto chiara. Riconobbe in lui Itemar, saggio del Tempio di Ventus, grazie al sigillo del regno di Aer. Infine il più giovane, in gran forma, dallo sguardo e portamento fiero: occhi color miele, capelli neri, barbetta sul mento molto curata. Portava, sotto un ampio mantello dorato, un farsetto rosso vermiglio e una cinta dorata su cui era inciso lo stemma reale. Nonostante fossero passati anni dal sul arrivo a Sol, Tarau non lo aveva incontrato una sola volta al castello, era il Re di Ignis, Arguos Saladar. Anche il Primo Magister, il Gran Maestro Yoshiaki era in tenuta ufficiale: indossava una veste che gli arrivava fino alle caviglie; i piedi erano coperti da calze di cuoio portate sui sandali. La veste, con colletto e maniche lunghe molto larghe all’altezza dei polsi, era fissata ai fianchi da un’ampia cintura rosso scuro che spezzava il bianco della tunica. «Avevo perso…» «…la cognizione del tempo, forse, piccola Ston?» ruggì Yoshiaki. «Scusi Gran Maestro» farfugliò May chinando il capo. Tarau sperò vivamente che la sorella non ricominciasse a parlare. «È inaccettabile che a quattro mocciosi venga affidato un compito tanto grande, Yoshiaki! Non mi sembrano neanche dei grandi guerrieri! E poi, per quale utilità? Come faranno a fermare l’avanzata di Akronn? Come faranno a riunire le Terre?» «I loro cuori sono puri, sono figli di grandi eroi e detengono il potere degli elementi; quali altri segni vuoi che ti mostri? Itemar, il loro destino è stato già scritto dai nostri antenati.» Itemar mosse il capo in segno di profonda disapprovazione, mentre Yoshiaki, ignorandolo, li invitò a entrare. Le porte del tempio vennero aperte. I saggi furono i primi a varcare la navata, si fermarono una volta raggiunto l’altare. La luce entrava copiosa dai vetri multicolore.

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Samas avanzò seguendo la scorta del Re, rigido come un tronco. Tarau lo seguì, augurandosi che la sorella continuasse a non aprire bocca. Giunti al cospetto dei saggi, come da etichetta, porsero il saluto formale. Il Primo Magister, in risposta, allungò le mani verso di loro e fece segno di avvicinarsi. «Miei cari amici» disse, rivolgendosi ai saggi, «vi presento i domatori. Mizu Janey e Tarau Ston, Mayra Leveris e Samas di Sol. Mizu Janey Ston porta il sigillo dei poteri acquatici, Tarau Ston quello di terra e custodisce una forza fuori dal comune. Mayra Leveris controlla gli alisei e il cuore di Samas arde del fuoco di Ignis. Miei cari amici, per anni ho allenato personalmente Mizu, Tarau e Samas di Sol. Mayra ha coltivato in sé grandi poteri sotto l’amorevole guida del mio caro amico Remus, che voi ben conoscete.» Seguirono dei lievi sussurri che si estinsero subito dopo. Il silenzio fu anche peggiore. Sebbene avesse nevicato quella mattina e il tempio fosse anche più freddo e umido del cortile d’armi prima del sorgere del sole, Tarau si rese conto di star sudando. Avrebbe voluto spogliarsi del cappotto, uscire dal tempio e prendere una boccata d’aria. Quello che fece realmente fu invece trattenere il respiro. «Nel nome della Grande Madre io invoco il potere degli spiriti della terra» proferì solennemente Cromo, rompendo il silenzio. «Nel nome della Grande Madre io invoco il potere degli spiriti dell’acqua» seguì a gran voce la sacerdotessa Siar, portandosi una mano al cuore. «Nel nome del Grande Padre io invoco il potere degli spiriti dell’aria» continuò Itemar, senza nascondere l’irritazione nelle sue parole. «Nel nome del Grande Padre io invoco il potere degli spiriti del fuoco» disse infine Yoshiaki. Tarau avrebbe voluto guardarsi attorno alla ricerca di qualche cambiamento visibile all’interno del tempio. Aveva atteso da una vita quel momento e gli sembrò sbagliato. Le navate alle sue spalle erano vuote, i cittadini di Sol erano ignari di ciò che stava

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accadendo lì. Tarau aveva assistito a diverse investiture e mai nessuna era stata così intima e segreta. «Domatori…» la voce di Yoshiaki suonò solenne e riportò la sua attenzione sull’altare. «Ora, alla presenza degli spiriti che vi hanno fatto dono dei poteri di acqua, aria terra e fuoco, tocca a voi giurare la vostra fedeltà alla causa, al vostro regno, al vostro Re, alla Dea Madre e al Dio Padre che sono creatori e detentori di tutto nel mondo.» Tarau abbassò immediatamente il capo in segno di assenso. Gli altre tre fecero lo stesso. Il re Arguos aveva preso posto sullo scranno e li studiava. Tarau sentiva gli occhi puntati sulla sua nuca.

«Giurate sul vostro onore di fare sempre e solo del vostro meglio per servire la causa?» domandò il Maestro. «Lo giuro!» rispose, facendo coro agli altri tre. «Anche se ne andrà della vostra stessa vita?» «Sì, Gran Maestro!» «Anche se ne andrà della vita delle persone che amate?» «Sì… Gran Maestro!»

«Giurate sul vostro onore di fare sempre e solo del vostro meglio per servire il vostro Re?» domandò il Maestro. «Lo giuro!» risposero ancora. «Anche se ne andrà della vostra stessa vita o di quella delle persone che amate?»

«Sì, Gran Maestro!» «Giurate sul vostro onore di fare sempre e solo del vostro

meglio per servire la Dea Madre e la sua volontà?» domandò ancora una volta il Maestro.

«Lo giuro!» «Anche se ne andrà della vostra stessa vita o di quella delle persone che amate?» «Sì, Gran Maestro!»

«Giurate sul vostro onore di fare sempre e solo del vostro meglio per servire il Dio Padre e la sua volontà?» domandò un’ultima volta il Maestro.

«Lo giuro!» risposero infine.

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«Anche se ne andrà della vostra stessa vita o di quella delle persone che amate?» «Sì, Gran Maestro!»

«Avrete un anno di tempo: contate le lune. Fate buon uso degli aiuti che vi porgerà la Resistenza, ma non fidatevi di nessuno, seguite solo la strada che vi indicherà il vostro istinto. Il nostro futuro dipende da voi. Siate invisibili! Per la gente dei vari regni i domatori non sono altro che leggende da raccontare ai bambini... Partirete domattina. Ora, inginocchiatevi.» Tutti e quattro fecero come richiesto e i saggi imposero le mani, uno per volta, sopra il loro capo, bisbigliando nell’antica lingua. Quando fu il suo turno, Tarau percepì la terra sotto di sé muoversi, l’aria avvolgerlo; una nebbia leggera e calda si abbassava velocemente e gli sembrò che la luce all’interno del tempio fosse divenuta più luminosa. Chiuse gli occhi, sperando davvero che la benedizione dei saggi servisse a proteggerli. Dalla morte di… No, non l’avrebbe più nominata… Aveva capito quanto in realtà le situazioni di pericolo fossero incontrollabili. Riaprì gli occhi, prese un grosso respiro e pregò in cuor suo tutti gli dei che conosceva.

Dei, vi prego, lasciate che io sia all’altezza.

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(Mizu)

izu giocherellava arrotolandosi i capelli tra le dita. Era nervosa ed entusiasta allo stesso tempo. Erano anni che si preparava per quell’avvenimento, eppure

sembrava che tutti gli insegnamenti dei maestri non fossero serviti a molto. Nell’ultimo mese aveva avuto modo di prendere atto di quanto la realtà fosse dura, tremenda. Mentre preparava lo zaino per la partenza si interrogava su quale sarebbe stato il loro percorso. “I sigilli vogliono farsi trovare, l’uno chiamerà l’altro, voi ne sentirete l’energia, saranno loro a trovare voi.” Sapeva quando e sapeva perché, eppure mancava ancora un dettaglio importante: come? Come avrebbe potuto trovare qualcosa che non aveva mai visto? E se anche ci fosse riuscita, come avrebbe mai potuto con le sue azioni restaurare l’Impero? Prima dell’ora di cena si ritrovarono nell’atrio, dove lasciarono i bagagli già pronti. Samas, al quale era stato affidato il compito di caposquadra, mostrò loro la mappa. «Dove andremo?» domandò il fratello. Samas dispose la cartina raffigurante i cinque regni ben stirata ai suoi piedi. Otto occhi erano fissi sulla mappa. «Andremo lì.» Il dito di Mizu indicò un posto ben preciso. Mizu era tra tutti quella che conosceva meglio il proprio compito, l’unica che riusciva a domare già con destrezza il suo elemento. «È da sempre che voglio andare lì. Ed è lì che dobbiamo andare.» «Non è una gita, Mizu!» osservò Tarau. «Hai un’idea migliore?» chiese, infastidita. Non pervenne risposta.

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«Allora è deciso» decretò Samas. Non seguirono obiezioni, Mizu sorrise, lasciando la stanza a passo veloce, non voleva perdere un secondo di più, quella sarebbe stata l’ultima sera a Sol e aveva un’idea precisa di come passarla.

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(Mayra)

a sala dove era consuetudine consumare i pasti era quasi vuota, fredda e più buia del solito. Durante i giorni delle lanterne gli alloggi si svuotavano drasticamente. La

mensa continuava a essere utilizzata solo dalle milizie di turno; gli allievi, non avendo lezioni in quei giorni, preferivano tornare a dormire dalle proprie famiglie. «Dove sono tutti?» chiese May, rivolgendosi a uno dei commensali. Il soldato alzò gli occhi lentamente, squadrandola. Mayra si pentì all’istante di aver aperto bocca. Abbassò il capo, allontanandosi di fretta. A ogni passo, suo malgrado, il rumore dei tacchi sulla pietra si andava ad aggiungere all’eco delle vettovaglie proveniente dalle cucine. Guardandosi attorno andò a sedersi sulla panca dove solevano mangiare le Civette. Mentre si allisciava il vestito di lana scura ricamato interamente con piccoli fiori d’argento, lungo fin sotto le caviglie e stretto in vita, si guardava attorno alla ricerca di un viso amico. La scelta di indossare degli abiti eleganti non era stata sua ma della ragazzina dai capelli rossi che non voleva perdersi per nessuna ragione al mondo i festeggiamenti di inizio anno. Tutti i preparativi per la partenza del giorno dopo erano pronti e Tarau e Samas avevano deciso di assecondarla: avrebbero cenato fuori dalle mura del castello, ma sarebbero tornati tutti e quattro agli alloggi prima del coprifuoco. Si pentì fin da subito di aver accettato. I suoi alloggi confinavano con la torre d’arme: lei e gli altri allievi della Scuola Bianca, per volere del Maestro, condividevano gli spazi

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con le guardie del castello di Sol. Raramente aveva varcato le porte della sala comune con una veste diversa dall’uniforme e mai prima di allora aveva desiderato tornare tanto velocemente a indossare quei panni. «May! Di qui…» la chiamò una voce. Mayra si girò in direzione della stessa e subito si scontrò con lo sguardo di Tarau. Il ragazzo le sorrideva, sembrava appena arrivato, premeva la schiena sugli stipiti in modo da tenere la porta aperta alle sue spalle, la aspettava. Rincuorata, la ragazza afferrò il mantello che aveva lasciato su una delle panche, se lo buttò sulle spalle e corse verso di lui, attraversando velocemente la sala fino a raggiungere l’uscita che portava al cortile d’armi.

«Wow» esclamò il ragazzo vedendola. «Sei bellissima.» Mayra arrossì, avrebbe potuto dire lo stesso di lui. Anche Tarau era elegante. Dal cappello marrone sfuggivano alcuni riccioli chiari che ricadevano morbidi sul viso, sfiorandogli gli zigomi. Sotto il mantello bordeaux un farsetto damascato esaltava la sua corporatura atletica. Portava il cappotto sottobraccio segno che doveva aver lasciato gli appartamenti da poco. Mayra si passò istintivamente una mano tra i capelli per controllare che fossero in ordine, non amava acconciarli sopra la nuca, senza le sue lunghe trecce a proteggere le spalle si sentiva scoperta. «Perciò? Dove andiamo?» chiese lei schiarendosi la voce. Il biondo le porse un braccio. «Alla taverna, gli altri sono già lì.» Mayra storse il naso, ma cercò di non darlo a vedere. Le feste mondane non le andavano troppo a genio soprattutto la notte prima della partenza per la missione più importante della sua vita. Non avevano ancora oltrepassato l’ultimo cancello del castello e i piedi già le dolevano, a ogni passo rimpiangeva gli stivali assai più comodi e caldi delle eleganti scarpine di cuoio che si era costretta a indossare per l’occasione. Tanto il castello sembrava deserto quanto, d’altra parte, le strade di Sol erano in festa.

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Durante il periodo delle lanterne ogni abitazione veniva riccamente addobbata. Una doppia striscia di lucerne colorate si dipartiva dai balconi per raggiungere gli edifici dall’altra parte della strada, illuminando di mille colori sia le vie principali che quelle secondarie. Gli abitanti di Sol si riversavano per le strade, condividendo cibo e auguri. La maggior parte dei cittadini della capitale apriva al pubblico le porte delle proprie abitazioni per permettere di visitare gli altari allestiti all’interno delle loro case. La visita, il riconoscimento e la consacrazione di altari, simulacri e tavole votive era uno dei punti fermi della festività delle lanterne. Tutti gli dei, vecchi e nuovi, venivano ringraziati a Sol durante la grande festa di inizio anno. Alcune confraternite lanciavano addirittura dei concorsi per premiare i migliori altari. L’ultimo giorno delle lanterne un’unica grande processione portava indistintamente omaggio a tutte le divinità pregate a Sol. Ognuno festeggiava i propri dei, nel rispetto degli altri; tutti i templi venivano aperti al pubblico. I giorni delle lanterne erano gli unici in cui, a Sol, non vigeva il coprifuoco all’interno delle mura cittadine. I turni di guardia venivano però intensificati. Le ronde erano organizzate in quattro drappelli che si alternavano e che si occupavano di sorvegliare la zona abitata. Le guardie non si occupavano solo dei soliti furti, ma vigilavano anche sugli incendi, non necessariamente dolosi. Mayra aveva studiato la storia della capitale e sapeva bene che in uno dei capodanni precedenti, a causa di uno scoppio, si era sviluppato uno dei più grossi incedi mai visti a Sol. Il pensiero del grande incendio le ricordò la loro ultima missione, il capannone al fuoco, le grida del clan rimasto intrappolato, le urla di Aron… «Stai bene?» le chiese Tarau riportandola alla realtà, lei gliene fu grata. «Sì» Si aggiustò il cappuccio. «Se hai freddo posso darti il mio» disse il ragazzo, slacciandosi il mantello. Mayra rifiutò cortesemente.

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«No, grazie, ho solo voglia di sedermi, queste scarpe mi stanno uccidendo.» Tarau sorrise. «Siamo quasi arrivati.» Svoltarono altri due o tre vicoli prima di raggiungere un cortile riccamente decorato dove, oltre al solito fruscio di sottofondo, si potevano già udire i canti festosi e la musica. «Eccoci» disse il ragazzo, cedendole il passo. Mayra entrò nella taverna. L’atmosfera era calda e accogliente. Un buon odore proveniva dalle cucine e dai piatti che le dame portavano ai tavoli. Appena arrivarono Mizu si alzò e le fece un cenno. Al tavolo sedevano anche Samas, Ronnie, Teodor e Liam. L’atmosfera era gioiosa. Mayra si accomodò al fianco di Mizu. Tarau si sedette dall’altra parte del tavolo, al fianco di Samas. Mayra afferrò la carta sul tavolo, non c’era molta scelta, e non era la prima volta che desinavano in quella taverna. Non avendo neanche troppa fame ordinò la solita zuppa di zucca e pane della casa. I piatti arrivarono in fretta e, mentre gli altri ridevano e scherzavano, lei si ristorava tenendo entrambe le mani sulla ciotola fumante. Ci teneva ad assaporava a uno a uno ogni sorso di quello che probabilmente sarebbe stato il suo ultimo vero pasto caldo per chissà quanto tempo. «Sorella, ti trovo più silenziosa del solito, la festa non è forse di tuo gradimento?» domandò a un tratto Tarau. «O forse hai perso qualcosa?» continuò il ragazzo. Mizu, stranita, aprì la bocca senza dire nulla. Gli sguardi di tutti i commensali si portarono sui fratelli, seduti l’uno di fronte all’altra. Mayra lesse subito le intenzioni di entrambi, sapeva già quello che stava per accadere. Cercando di non darlo a vedere si spostò sulla panca fino a raggiungerne l’estremità. «Cercavi forse questo?» cantilenò sottovoce Tarau lasciando oscillare un ciondolo appena fuori da una delle maniche. «Dammelo subito!» sussurrò Mizu in un ringhio sommesso, allungandosi sulla tavola. Alcune delle stoviglie si rovesciarono. Tarau si tirò indietro e perse la presa sul ciondolo che cadde nella brocca dell’acqua. Mizu sorrise, Mayra si spostò ancora. Il

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contenuto della brocca esplose investendo il ragazzo che rimase spiazzato e fradicio. Mizu allungò la mano per recuperare l’anello. Tarau non fu l’unico a bagnarsi. Ronnie al suo fianco iniziò a ridere come non mai, Samas, invece, si alzò di scatto, poggiando entrambi i pugni sul tavolo. Lo sguardo che rivolse prima alla ragazzina e poi all’amico al suo fianco avrebbe potuto incenerire un esercito. Non disse una sola parola. «Sam, ha iniziato lui…» cercò di scusarsi Mizu. Samas si allontanò, afferrando uno dei boccali sul tavolo. Mayra afferrò il mantello e lo seguì, non sarebbe rimasta a quel tavolo un secondo di più. «Non sanno quello che fanno. Possono essere davvero insopportabili» si scusò Sam accortosi della sua presenza. Mayra prese posto al suo fianco sullo sgabello alto davanti al bancone, facendo attenzione a non impigliarsi col vestito buono. «Sono fratello e sorella: è normale che litighino. Anche a me capitava… non spesso, ma capitava.» Sam alzò le spalle in un “certo.” «Tu non hai fratelli?» continuò May, cercando di leggere i suoi pensieri. Non era la prima volta che provava a entrare nella mente del ragazzo, ed era difficile, per di più la presenza di un numero così alto di persone nelle strette vicinanze non aiutava a favorire la sua percezione. Samas scosse il capo, sorpreso. I capelli neri bagnati gli incorniciavano il volto, mettendo in risalto il suo sguardo. Quando manifestava i suoi poteri il colore il verde delle sue iridi si ritirava, lasciando spazio al colore dell’oro fuso che prendeva il sopravvento. La rabbia nel suo sguardo si era dissolta e i suoi occhi erano ritornati al solito verde brillante di una sfumatura inconfondibile. «Se ci pensi bene è una bella fortuna! Da quando sono nati i miei fratelli, mia mamma non ha avuto più tempo per pensare a me… È anche per questo che mi hanno spedito a vivere da mio zio. Sei fortunato, i fratelli possono essere una scocciatura… E

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poi, essendo figlio unico, i tuoi genitori ci terranno molto a te… saranno…» «Io non ho mai conosciuto la mia famiglia» disse piano, con calma, interrompendola. Mayra divenne rossa, un rossore che non avrebbe potuto nascondere, né giustificare, data la sua pelle di porcellana. Chiuse la testa in mezzo le spalle e chinò il capo per porre le sue scuse. Le labbra del ragazzo, strette in una linea rigida, tradirono un sorriso. «Da te sono tutti così… “cortesi”?» «Cortesi?» chiese lei, sorridendo di rimando. «A Jalid, se non sei “cortese” fai una brutta fine!» «Jalid?» Il ragazzo afferrò due bicchieri, poi prese la brocca e ne versò il contenuto nei calici. La brocca era stata portata al tavolo da ormai almeno un giro di clessidra eppure il liquido ne uscì fumante. «Sono nata e vissuta a Jalid che è un bellissimo villaggio del regno di Aer, scavato nelle rocce ai piedi della montagna più alta di tutta la regione. Gli abitanti di Jalid sono proprio come la montagna che li ospita, all’esterno molto freddi ma con un cuore molto caldo, come recita un antico detto… Davvero non hai mai sentito parlare delle terme di ghiaccio e dei potenti geyser innevati?» «Veramente no… ma sembra bello.» «Sì, lo è…» Il ragazzo afferrò il bicchiere, lo alzò abbassando il capo e bevve. Mayra, in risposta, emulò il suo movimento con il secondo bicchiere, portandolo alle labbra, inumidendole. L’idromele era caldo e dolce, si decise a berne un vero sorso. Si rese conto di aver fatto un’espressione di troppo quando notò il ragazzo al suo fianco sorridere.

«Non siete soliti bere dalle vostre parti? Eppure dovrebbe fare freddo.» Il nettare le scendeva giù per la gola riscaldandola. Sentì le guance cambiare colore ancora una volta. «Io no» si limitò a dire.

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«Ti manca Jalid?» aggiunse cortesemente Sam. «Un po’… ma molto di più mi manca la mia famiglia» mentì lei. I pensieri del ragazzo si intrecciarono più volte cercando di ricomporsi in qualcosa che non c’era. Mayra riconobbe un vuoto perenne. Sam non poteva aggrapparsi a ricordo alcuno. In Samas la parola famiglia evocava l’immagine di Tarau, Mizu, Tessa e, seppure in modo controverso, perfino il Secondo Magister, il maestro Yunim e il Primo Magister, il Gran Maestro Yoshiaki. «Parlami di loro… cioè, se ti va, ovviamente…» Mayra annuì, giocherellando col bicchiere. «Mia mamma, Clearnn, è una delle poche maghe rimaste» disse abbassando la voce. «Vivevamo a Jalid prima che arrivassero le milizie nemiche, allora lei e i miei fratelli furono mandati in esilio. Invece mio padre, Arthur, è scomparso qualche anno fa. Mio zio Remus dice che è stato preso prigioniero. A Jalid, se non sei “cortese” fai una brutta fine!» ripeté con un sorriso triste e tanta ironia nella voce. «E i tuoi fratelli?» chiese velocemente Sam, afferrando nuovamente la brocca. Mayra passò una mano sopra il bicchiere, il ragazzo riempì solo il suo e bevve. «Lorex e Tray. Sono più piccoli e sono gemelli» rispose, quasi con freddezza. «Dimmi di più…» la incalzò Samas, tentando di nascondere un imbarazzo che Mayra leggeva chiaramente tra i suoi pensieri. Il ragazzo, così come la piccola Mizu, aveva desiderato più volte intraprendere quella conversazione. Mayra sospirò platealmente. «Anche loro vivono in esilio. Negli ultimi anni è stato mio zio a prendersi cura di me. Anche lui è un mago. È stato lui a insegnarmi quello che so sui miei poteri ed è stato sempre lui a dirmi che avrei dovuto compiere questo viaggio. Mi ha accompagnato fino a Pluvia, lì le guardie ci hanno sorpreso. Lui è stato fermato, io sono riuscita a scappare.»

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I pensieri di Samas divennero assillanti, rievocavano il loro primo incontro, la pioggia, la grotta, le guardie. «E quindi… sei anche tu una maga?» domandò quasi in un sussurro. Mayra si girò verso di lui anche con il busto. «Sì, ma per metà. E non devi dirlo a nessuno» gli confidò. «So mantenere i segreti» si affrettò a dire. Mayra annuì. «E cosa sanno fare i maghi? È vero che potete volare?» I musici avevano smesso di suonare, Mayra si voltò verso il palchetto per capirne il motivo. Vide alcuni dei musicisti cambiare posizione. Era solito per le giornate di festa che gli artisti si alternassero dando vita a spettacoli improvvisati che potevano durare anche tutta la notte. Il nuovo musico prese a suonare e i giovani seduti davanti al palchetto lo seguirono subito battendo le mani e i piedi a tempo. Mayra si girò nuovamente verso il ragazzo che attendeva ancora una risposta. «I più anziani sanno smaterializzarsi, ma “volare” non l’ho mai sentito!» disse infine con un sorriso, passando il bicchiere ancora tiepido da una mano all’altra; avrebbe voluto chiedere dell’altro sidro solo per riscaldarsi le mani. «Esistono diverse tipologie di maghi: mio zio, ad esempio, è un alchimista, mia madre invece ha memoria ipertattile.» «Ipertattile?» «Riesce a risalire e a vedere i ricordi di persone, luoghi e oggetti attraverso il tatto.» «Wow! È fantastico! Quindi sa tutto?» «Non è semplice come sembra…» «E la bacchetta?» Questa è la cosa più stupida che si possa sentire, Samas di Sol, non so chi abbia messo in giro questa voce, ma purtroppo non sei il primo a pensarlo. La magia ha un potere misurato, i maghi hanno semplicemente un ritmo più lento, riescono ad ascoltare la natura. Lei ci parla. Noi col tempo impariamo a risponderle. Possiamo rintracciare oggetti e persone, esistono alcuni incantesimi di levitazione… ma non posso dartene dimostrazione perché io non ci riesco. Però esiste una cosa che mi riesce bene ed è proprio questa.

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Sam era estasiato da come quelle parole fluissero così limpide nella sua mente, proprio come se le sentisse attraverso le orecchie e, prima ancora che formulasse una domanda, lei rispose. «Telepatia. Posso parlare attraverso il pensiero. Si può comunicare a distanza anche attraverso immagini e suoni, sensazioni o profumi. Questa è la mia specialità. A proposito, i due fratelli ci stanno cercando.» Non gli lasciò il tempo di rispondere, si alzò dallo sgabello con un unico movimento leggiadro, si portò il mantello sulle spalle e si diresse verso la porta divincolandosi tra la gente con un piccolo aiuto: degli sbuffi d’aria spingevano la folla al suo posto, gonfiando il mantello quando e dove necessario. Non ebbe bisogno di voltarsi, sapeva già che il ragazzo la stava seguendo.

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(Mizu)

ora della partenza era giunta. Era appena l’alba e una nebbia sottile invadeva il cortile del palazzo di Sol e i pochi presenti. Il cancello grande era aperto. Era ora

di andare. Mizu attraversava il cortile a grandi passi, entusiasta e fiera, gettando occhiate furtive a destra e a sinistra. «Di buonora piccola Ston!» la salutò il garzone del panettiere. «Ciao Ronny! Hai visto mio fratello?» «Sì, lì!» disse indicando delle figure al cancello. «Grazie! A presto!» si congedò. «Aspetta! Dove andate?» chiese lui afferrandole un polso, Mizu sorrise. «Piccola missione per la scuola, niente di particolare» mentì. Sopraggiunsero Teodor e Liam. «Ehi, rossa!»

«Ragazzi!» Li abbracciò Mizu sorpresa, non si aspettava di vederli.

«Mi raccomando rossa!» le scompigliò i capelli Teodor. «Fai impazzire Sam anche da parte nostra.»

«Ci puoi contare!» Mizu rise ripensando all’evento della sera precedente, poi tornò seria, un’espressione che non le si addiceva proprio. «Loras? Lena?» chiese. Teodor scosse il capo. «Mi dispiace partire proprio ora.» «È la vostra missione, la vostra impresa. Non devi pensarci, troveremo una soluzione.» Mizu sperò fosse vero.

«Sei già in ritardo!» le ricordò subito Liam. «Tuo fratello e gli altri sono già al cancello.»

L’

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Mizu tirò su lo zaino, annuì e riprese a camminare. «Mizu!» la fermò ancora Ronny. «Quando tornate?» chiese.

Liam e Teodor si guardarono. «Presto Ronny, presto» si limitò a rispondere Mizu,

avviandosi. Attraversare il portone risultò più difficile del previsto. Ad attenderla vi era una donna dai capelli di un rosso ormai scolorito, lunghi fino ai fianchi, sciolti, lisci e appiattiti ai bordi del volto, come a nascondere le piccole rughe. Aveva gli occhi umidi, ma manteneva comunque un’espressione seria che ben si addiceva a una donna del suo rango. «Mamma, prendi questo…» Mizu afferrò le mani di Tessa Ston, fredde e tremanti. «Così saremo sempre con te… sempre. Torneremo tra un anno. Solo un anno, mamma… non piangere.» Mizu porse il ciondolo alla madre, salutò il Maestro e raggiunse i tre che si erano già avviati. Tutti e quattro tornarono alla cittadella accademica, attraversarono il porticato in silenzio fissando quasi con nostalgia quei luoghi dove si erano tanto allenati negli ultimi anni. Entrarono in armeria e scelsero le armi con le quali si sarebbero battuti per la prima volta con nemici veri, che non avrebbero avuto alcuna pietà. Mizu afferrò arco e frecce, Samas spada e pugnale, Tarau una sciabola, Mayra scelse la naginata, un’arma inastata dal difficile utilizzo per il singolare bilanciamento che richiedeva. I tre, davanti alla scelta di Mayra, soffocarono a stento le risa, era luogo comune che la naginata fosse un’arma da difesa e non di attacco. Zaini in spalla, stivali ai piedi, mantella da viaggio, carta alla mano, equipaggiamento verificato e pronto. Partirono a piedi per non destare sospetti: in poche ore lasciarono il distretto e proseguirono nella terra di Aqua percorrendo la strada maestra. L’avrebbero abbandonata solo se avessero intravisto pericoli.

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«Veramente avevo chiesto di sostenerla già appena compiuti i dodici. Da quando vi era entrato Tarau non mi preparavo per altro, ma il Gran Maestro Mada mi obbligò a completare almeno il primo livello della Scuola Blu. Diceva che non potevo essere pronta altrimenti… Eppure, mi annoiavo. Così ho insistito, riuscendo a sostenere la prova a tredici anni. Ne avrei compiuti quattordici lo stesso anno. È stato un buon compromesso.» «Mizu…» «Sì, Samas?» attese esasperata. «Cosa ti ha spinto a farlo?» Mizu si fermò e alzò le braccia, il cappuccio della mantella bluastra scivolò all’indietro scoprendo il volto e liberando i lunghi capelli ramati. Gocce di pioggia iniziarono a turbinarle attorno raggruppandosi in una sfera che si pose al centro tra le sue mani. Mentre abbassava le braccia con estrema delicatezza, la sfera d’acqua, la cui superficie sembrava di cristallo, mostrava al suo interno surreali correnti che andavano a mescolarsi in una centrifuga senza inizio né fine.

TOLAS

TALES OF LIGHTS AND SHADOWS

L’Amuleto

Aprile 2020

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