Tevere Sodalizio Lazio - giugno 2012

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EORUM CLARITATEM VESTIG ATIONES JULY 23, 2005 TEVERE (TRIBUNA) GIUGNO 2012 ANNO 1 - NUMERO 9 RACCONTI DI VITA, DI CAL- CIO E DI LAZIO DA E PER IL SODALIZIO BIANCOCELESTE ESTATE... CHIAMANO E LA

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Rivista Tevere Associazione Sodalizio Biancoceleste SS Lazio Giugno 2012

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EORUM CLARITATEM VESTIG ATIONES ! JULY 23, 2005TEVERE(TRIBUNA)

GIUGNO 2012ANNO 1 - NUMERO 9

RACCONTI DI VITA , DI CAL-CIO E DI LAZIO DA E PER IL SODALIZIO BIANCOCELESTE

ESTATE...CHIAMANO

E LA

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le iniziative dell’Associazione Sodalizio

TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 2

Scuola di tifo.L’Associazione ha organizzato, sabato 12 maggio

2012, una serata in cui verrà spiegato come di

facevano e come di fanno le bandiere. Alla sera-

ta hanno partecipato anche tifosi di altre for-

mazioni calcistiche. Sono state mostrate delle

nuove bandiere in anteprima, tra cui la bandiera

dedicata a Giorgio Chinaglia “Oltre il tempo” e

la bandiera fatta in ricordo del grande giocato-

re della Lazio del primo scudetto Luciano Re

Cecconi. E’ stata un interessante serata quella

al Vecchi Spalti, in un pub stracolmo come nelle

grandi occasioni, sembrava quasi di essere in

Curva Nord in occasione della sfida stracittadi-

na. Fabio, creatore di tante nuove bandiere, che

vedete ogni domenica garrire spavalde al vento

nel “nostro” ( è bene ricordarlo in questi tempi

), ci ha spiegato come nascono le sue idee e

perché le bandiere sono così importanti oggi, in

cui il calcio italico sta inesorabilmente cam-

biando…in peggio. Ci ha fatti tornare indietro

con la mente, a quando adolescenti ci recavamo

alle partite insieme a nostro padre, che ci ha

infuso linfa Laziale, e gli chiedevamo appena

giunti vicino ai cancelli, che ci avrebbero im-

messo dentro al grande stadio : “ mi compri

quella bandiera ? ”, perché la bandiera era il

nostro primo modo per esprimere la passione,

verso quelle maglie con i colori del cielo di

Roma in un bel giorno di primavera. Era il no-

stro modo per tutti a tutti : “ io sono della

Lazio”. Allora le nostre prime bandiere avevano

pochi trofei al loro interno, addirittura solo

la Coppa Italia del 1958 per i più “grandi” o

Coppa Italia e scudetto del ’74 per tanti di

noi, che siamo arrivati alla fatidica tappa de-

gli “anta”. Oggi invece, ci spiegava Fabio, fare

una bandiera, con tutti i trofei vinti della SS

Lazio è diventato davvero complicato, perché ne-

gli ultimi tempi, grazie a Sergio Cragnotti, nei

abbiamo vinti fin troppi. Qualche volta…si è co-

stretti a mettere più date…sotto un trofeo,

avendo poco spazio sulla bandiera per poterli

mettere tutti. Fabio poi ha giustamente fatto

notare come la bandiera è un bene collettivo di

tutta una tifoseria, in cui in tanti si identi-

ficano, molto di più di uno stendardo, spesso

espressione più di un gruppo di tifosi. La ban-

diera è un bene comune di una tifoseria, è il

vanto di tanti tifosi. Una dietro l’altra così

sono state mostrate, da vicino, ai tanti presen-

ti tante bandiere vecchie e nuove, che in tanti

vediamo sventolare spavalde ogni domenica. Ha

chiuso la carrellata della bandiera, quella con

su scritto “ anni buttati”. Antica bandiera

spettatrice e protagonista in tante partite del-

la nostra SS Lazio. Alla serata erano presenti

anche i tifosi del Monopoli, che hanno portato

alcune delle loro creazioni, sia sotto forma di

bandiere che di stendardi. Hanno raccontato del-

la loro passione, e della loro ricerca del par-

ticolare nel crearle, cercando sempre di essere

originali e comunque legati alle tradizioni dei

loro colori. Particolarmente bella l’idea di

creare una bandiera con i giocatori della loro

formazione abbracciati, in cui si vedono i nume-

ri delle casacche, che formano la data di nasci-

ta del loro gruppo. Nel corso della serata hanno

anche ammesso con coerenza, di essersi spesso

ispirati ai tifosi Laziali, nel creare i loro

vessilli da esporre o da sventolare. Ci ha poi

fatto piacere la presenza alla serata di tanti

tifosi di altre formazioni, iniziando dai tifosi

interisti scesi nella Capitale per la partita di

oggi, ai tifosi del RCD Espanol, a quelli della

vecchia Salernitana 1919. Erano poi presenti

sulle “gradinate” del Vecchi Spalti anche i ti-

fosi Laziali provenienti dall’Inghilterra e dal-

la Grecia. Grazie a tutti per la bella serata !

Ben Sherman

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 3

La bandiera della S.S. Lazio ...svedese. La mia prima bandiera della SS Lazio, fatta da me insieme a due miei compagni di scuola, fu quella classica a scacchi bianco e celesti. Avevamo visto le tante bandiere del Liverpool, nella finale di Coppa dei Campioni giocata da loro qui a Roma nel 1977 contro il Borussia M’Gladbach, e volevamo farne una simile alla loro. Dopo aver comprato la stoffa ed averla consegnata alla madre di uno dei miei amici, che pur essendo una sar-ta, abile con la macchina da cucire, ci disse con nostro grande dispiacere che era molto difficile fare una bandiera con tanti scacchi, come quelle del Liverpool ( io ne avevo una che avevo scambiato a fine partita con un tifoso inglese, per una della Lazio. Quella bandiera dei Reds, sarebbe tornata allo stadio solo nel 1984, in occasione di una serata in-dimenticabile per tanti di noi ) quindi ci dovemmo accontentare di solo quattro scacchi, due per colore. Quella bandiera iniziò male la sua carriera, che durò poi solo una giornata. Infatti avevamo pensa-to di portarla allo stadio in occasione della sfida stracittadina, che a breve avrebbe atteso la nostra amata SS Lazio. Era il 1979, noi eravamo degli adolescen-ti. Quella giornata purtroppo restò alla storia per un fatto terribile accaduto nella Curva Nord, la morte del tifoso La-ziale : Vincenzo Paparelli. La nostra bandiera sventolò pochissimo quel giorno, perché arrivò, insieme a noi allo stadio poco prima dei razzi maledetti. La nostra bandiera andò smarrita nei concitati mo-menti dopo il razzo maledetto, prima che la gara iniziasse, penso che la stoffa sia finita in terra, mentre l’asta abbia continuato la sua vita in mano a qualche tifoso Laziale. I ricordi delle bandiere però non devono essere tristi, perché il mondo del tifo è soprattutto gioia di vi-vere. La bandiera che mi è rimasta nel cuore è una fatta dagli Eagles’ Suppor-ters nei primissimi anni ottanta, quando c’era ancora il Vecchio Muretto, c’erano ancora i tamburi e la nostra SS Lazio giocava nella serie cadetta. La bandiera in questione era fatta di un blu scuro con al centro l’aquila della …Svezia, si avete capito bene proprio quella svedese

che potete vedere sulle maglie della loro nazionale di hockey su ghiaccio, in bella evidenza. L’ideatore di codesta bandiera fu un ( allora ) giovane tifoso Laziale, che nel corso degli anni avrebbe fatto e creato tantissime cose a beneficio dei tifosi della SS Lazio. Bene, il giovane tifoso Laziale, mentre era in un pub, al-l’estero, aveva visto per caso questa aquila e subito aveva pensato di trasfor-marla in bandiera. Certo direte voi, ma-gari in vacanza, all’estero si potrebbe pensare a qualcosa d’altro, ma quando si hanno certe passioni è difficile tenerle a freno. Ora vorrete certo sapere chi era il tifoso in questione, beh vi dico che non è chi scrive, ma che lo potrete in-contrare in Tribuna Tevere ancora ogni domenica.

Con la stessa passione di allora !

Giorgio Acerbis

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 4

Non abbasserò mai la mia bandiera! La bandiera, dopo la maglia, è l’oggetto che più incarna l’essere ultras ed il senso di appartenenza che ti lega ad una squadra. Se la sciarpa (naturalmente tu-bolare) ed ovviamente lo striscione, rap-presentano un po’ il biglietto da visita di un Gruppo, la bandiera può dar sfogo a mille risorse da parte di giovani e meno giovani, che attraverso un disegno, una creazione, ostentata poi allo stadio, co-municano il proprio pensiero, i propri ideali (talvolta non solo sportivi). In questo senso sono tantissime le creazioni attraverso le quali si sfoggiano veri e propri capolavori, frutto dell’ingegno e della passione smisurata. Personalmente ne ho ideata una della quale vado molto fiero, che rappresenta il Milan degli al-bori, quello del terzo scudetto datato 1906-07 (il Vecchio Diavolo era nato qualche anno prima, nel 1899 grazie a Mr. Herbert Kilpin da Nottingham che ne aveva imposto anche i bellissimi colori socia-li, “il rosso come il fuoco - ma anche per un piccolo omaggio al Nottingham Fo-rest F.C. - ed il nero come la paura che incuteremo ai nostri avversari” ed il simbolo, inevitabilmente un Diavolo che ne incarnava lo spirito) e che ha riscos-so molto successo tra gli appassionati. E’ un pezzo (unico) che richiama la sana, genuina passione dei nostri avi (basti notare la differenza di tenuta da gioco tra un footballer e l’altro, per non par-lare poi dei calzettoni, tutti differenti tra loro), i quali per poter giocare in una squadra di club dovevano versare una quota mensile. Erano gli antesignani de-gli attuali calciatori che ormai di pas-sionale e senso di appartenenza hanno ben poco. Naturalmente questa bandiera è “griffata” Maglia Rossonera, Old Style Ultras Casciavìt, cioè quelli di una vol-ta (oserei dire quelli di sempre …), quelli che nella migliore delle ipotesi hanno i capelli brizzolati, quelli che hanno portato in giro per gli stadi d’Italia e d’Europa le proprie bandiere, la propria voce, il proprio ego. Le due cose stanno a significare quindi una fu-sione tra l’Old Football e l’Old Style, appunto, tanto amati e tanto apprezzati dai Vecchi Cuori Ultras. Sto progettando un’altra bandiera, sempre relativa ad una

formazione ad 11 calciatori, questa volta però del 1972-73, stagione a me partico-larmente cara, anche se perdemmo disgra-ziatamente lo scudetto all’ultima giorna-ta nella fatal Verona dopo aver combattu-to (e vinto) tre giorni prima una batta-glia in quel di Salonicco contro gli in-glesi del Leeds United nella Finale di Coppa delle Coppe, grazie anche alla Ju-ventus che si interpose con la Lega Cal-cio, non concedendo il rinvio della par-tita, così come chiesto dai vertici ros-soneri. Ma quella squadra, per me, meri-tava comunque di essere celebrata, immor-talata, vuoi perché è stata comunque una splendida stagione da ricordare, vuoi perché erano i miei primi periodi da ti-foso, vuoi perché mi innamorai di “quel-la” Maglia a strisce strette in lanetta pesante con la coccarda della Coppa Ita-lia ed il colletto a V nero, semplicemen-te strepitosa, vuoi perché conservo anco-ra uno splendido poster della William di quell’annata che mi ha dato l’idea rea-lizzativa, vuoi perché in quella squadra ci giocavano, tra gli altri, Gianni Rive-ra, Romeo Benetti, Luciano Chiarugi, Pie-rino Prati (ricordo ancora una bellissima bandiera a 4 scacchi rossoneri con i mez-zibusti disegnati di questi 4 campioni ed una stella al centro che era stata ap-prontata per celebrare un evento che pur-troppo non si realizzò). Insomma, una moltitudine di motivi e motivazioni, che mi hanno portato a pensare di poter (do-ver) immortalare i miei Eroi, coloro che mi hanno “iniziato” al calcio, e per que-sto li omaggio come meritano. Tra l’altro sono anche un collezionista, oltre che di altro materiale calcistico, anche di ban-diere (ne avrò una sessantina), le quali “raccontano” un po’ tutta la mia vita da tifoso. Ho dei pezzi molto belli, anche precedenti al mio primo periodo da prota-gonista degli stadi, tipo una bandiera risalente alla conquista della prima Cop-pa dei Campioni del 1963 a Wembley, oppu-re dei foulard rossoneri anni ’60, ed an-cora le mitiche bandiere quadrate anni ’70, alcune un po’ scolorite dal tempo, ma per questo ancora più preziose, anche perché fatte sventolare là dove gli 11 ragazzi in Maglia Rossonera mi rappresen-tavano. Una volta, nel giugno del 1978, assieme ad un amico, andai a vedere

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 5

un’amichevole estiva del Milan a Catanza-ro, non c’era molto pubblico, ma ricordo che quando arrivò il pullman del Milan quasi mi presero le convulsioni dall’emo-zione nel vedere, seduti davanti, uno ac-canto all’altro Nereo Rocco e Gianni Ri-vera, e mi misi ad agitare, freneticamen-te, la mia bandiera rossonera, in verità abbastanza grande (che ovviamente ancora conservo). Loro mi guardavano incuriositi facendo un cenno di saluto, ma una volta che scesero per recarsi negli spogliatoi rimasi impietrito e non ebbi il coraggio di avvicinarmi a quei due mostri sacri. La gente mi guardava, tra cui qualcuno in cagnesco, un altro mi disse “qui siamo a Catanzaro, non a Milano, abbassa quella bandiera …”, ma io, imperterrito, senza dire nulla – ed anche rischiando, in un certo senso -, continuai a sventolarla, alchè un’altra persona, vista la scena, ammirò il mio carattere e mi disse “bravo ragazzo, hai dimostrato di avere le pal-le!”, e sinceramente mi sentii molto or-goglioso. Si andava formando in me quel carattere che poi avrei forgiato nel cor-so di tutta un’esistenza dedicata a fre-quentare gli stadi e che a distanza di parecchio tempo mi vede ancora, in qual-che modo, sulla breccia, sempre e comun-que orgoglioso dei miei colori.

Colombo Labate, Maglia Rossonera, Old Style Ultras Casciavìt !

Li ho visti... Li ho visti avvinghiati ad una bandiera a sventolare la loro anima, respirare fumo-geni, sbranare tamburi e disintegrare la loro voce strozzando l’urlo di un goal. Li ho incontrati in treni distanti, pit-tati di trasferta, in pellegrinaggio ver-so un ricordo, un sogno. Li ho scoperti in algide notti d’inverno, seminudi in balaustra, scaldati dal fuoco della fede, con un megafono in mano e il Toro tra i denti. Li ho scorti in dure stazioni di guerra, tra alamari di rabbia e il feroce lampeggìo delle sirene, lacrime di lacri-mogeni, in notti d’invasione. Ho udito i loro cori in curva dal profumo di mari-juana, in cerca di un paradiso mai avuto, di una donna che non attende più, di un sistema che non può comprenderli. Ho in-tinto la mia penna nell’inchiostro della Maratona, ho bruciato parole, pittato la loro rabbia e ne sono fiero. La curva lancia il suo richiamo e il tifoso ne viene attratto, nel luogo dove il teschio bianco si sposa con il drappo granata ho trovato un mondo duro ma autentico, dove i pensieri all’unisono scandiscono i co-ri, unici, importanti e veri. Oltre il confine tra la realtà, oltre l’impalpabi-le comprensione, oltre, oltretutto e so-prattutto, un solo nome: Ultras Granata.

Claudio Boffa Tarlatta

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 6

Una bandiera, due squadre.Ogni squadra ha una sua storia, ogni squadra ha i suoi tifosi e tutti i tifosi del mondo esprimono i loro sentimenti, per la loro squadra del cuore, con modi diversi. Il modo più comune è di creare delle bandiere, delle scenografie e degli striscioni. Alcuni sono piccoli, alcuni sono grandi, ma nascono tutti dalla passione.Sono un tifoso dell’ Olympiakos in Grecia, ho visto tante partite in campionato, in Champions League e in Eu-ropa League. Ma non voglio parlare della mia squadra e dei miei giocatori ... ma parlerò di una bandiera particolare rea-lizzata dagli ultras della mia il squa-dra, il Gate 7 insieme ai tifosi della Stella Rossa di Belgrado, chiamata Deli-je. Il gemellaggio tra il Gate 7 e i ti-fosi del Delije inizia nel 1992. La Stel-la Rossa stava giocando contro il Pa-nathinaikos qui in Grecia. Il Gate 7 fan si è recato in albergo dove c’erano i ti-fosi ultras del Delije chiedendo di dar-gli dei biglietti per vedere la partita insieme e sostenerli contro il Panathi-naikos spiegando loro, che odiano il Pa-nathinaikos, nello stesso modo in cui i tifosi della Stella Rossa di Belgrado odiano il Partizan Belgrado ( sportiva-mente parlando si intende ). Gli ultras del Delije hanno dato i biglietti ai ra-gazzi del Gate 7 e così durante la parti-ta gli ultras dell’ Olympiakos e tifosi Stella Rossa erano insieme in tribuna. Ma poi c’è stato un seguito. Nella partita di ritorno giocata in Serbia, i tifosi dell’ Olympiakos, al fine di ringraziare gli ultras del Delije per i biglietti ri-cevuti, sono andati in Serbia, per soste-nere la Stella Rossa in quella importante partita. Più di sessanta tifosi dell’ Olympiakos erano andati, facendo rimanere i tifosi serbi a bocca aperta. Così i ti-fosi del Delije e del Gate 7 sono diven-tati amici. Nel 1994 in una partita ami-chevole a Belgrado tra Stella Rossa e Olympiakos, la curva del Delije ha fatto un grande striscione con scritto: “ ben-venuti fratelli ortodossi del Gate 7”.Da allora, nel corso degli anni, i fan delle due squadre vanno e vengono a Belgrado e in Grecia per sostenersi a vicenda. Sia nelle gare di campionato che in quelle europee. I tifosi della Stella Rossa, poi

partecipano ogni anno alla commemorazione delle vittime del Gate 7 avvenuta nel 1981. Lo scorso anno entrambi i club fan hanno fatto un grande tributo a questo gemellaggio attraverso una grande ban-diera. I tifosi del Delije hanno fatto la prima e poi noi abbiamo fatto la nostra. E’ uscita una partita contro il Paok Sa-lonicco (sono amici con il Partizan per-ché hanno gli stessi colori ). Tutti i tifosi presenti nella curva Gate 7 dell ‘Olympiakos hanno avuto dei cartoncini colorati blu rosso e bianco. In entrambe le curve, attraverso una combinazione cromatica, c'erano sia lo stemma degli Ultras del Gate 7 e gli emblemi del Deli-je uniti insieme. Quando la partita è iniziata tutti i tifosi hanno fatto sali-re le bandierine colorate e il risultato fu questo che vedete nella foto in alto del mio articolo. Una grande bandiera. Un omaggio perfetto alla grande amicizia che c’è tra le due tifoserie.

Nikos Siaflas

Olympiakos - Atene

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 7

Ma quanto corri Leo ? Il Mister e' teso. Cerca di spronarci ma si vede

lontano un miglio che non vede l'ora che finisca

la partita. In un modo o nell'altro. Eppure noi

siamo il Milan, la squadra più titolata d'Ita-

lia. Accanto a me ci sono ragazzi come Zlatan,

Clarence, Massimo, Christian. Gente abituata a

stare sotto pressione. E a vincere. Ma lui e'

Massimiliano Allegri. E noi lo sentiamo che sta

per confrontarsi con un avversario più grande di

lui. Il Barcellona. La squadra più forte del

mondo. Leo Messi. Il giocatore più forte del

mondo. Io sono Alessandro Nesta. E sono stato il

difensore più forte del mondo. Scendiamo in cam-

po con ancora nelle orecchie le ultime parole

del Mister: "E' importante non prendere goal,

ragazzi..."Questo deve essere il nostro credo,

oggi. Per noi che siamo cresciuti dominando, e'

un passo indietro. Mentale più che tattico. Noi

siamo il Milan. "...e mi raccomando il raddoppio

di marcatura su Messi. E' fondamentale. Fonda-

mentale. Fondamentale. Fondamentale. E i suoi

occhi attraversano i miei, quelli di Philippe,

Antonio, Daniele, Massimo, Luca. Sei uomini. Do-

dici occhi per due gambe. Argentine e corte. Ma

imprendibili. Fino a qualche anno fa, lo avrei

fermato da solo. Magari lasciandolo andare via

per poi riprenderlo in scivolata. E pettinarmi

subito dopo. Fino a qualche anno fa. Entriamo a

San Siro. C'è il pubblico delle grandi occasio-

ni. Record assoluto di presenze. Ci ha informato

il dottor Galliani prima del match. Ma quello

non e' un problema. Mi preoccupano solo quelle

gambe argentine e corte. Il Barcellona e' per-

fetto nel suo blaugrana. Elegante e storico. Noi

abbiamo la maglia bianca delle grandi occasioni

e dei grandi trionfi. Quella degli Invincibili.

Suona l'inno della Champions League e mi guardo

intorno. San Siro può far paura. Ti può uccidere

ed esaltare. Io sono morto e risorto varie vol-

te. Non mi fa più paura. È casa mia, ormai. E la

mente vola via. A quel pomeriggio d'aprile di

diciotto anni fa. Il campo di calcetto dove sta-

vamo facendo una partitella di allenamento. Io,

giovane, talentuoso difensore della Primavera

laziale. E Paul Gascoigne. L'idolo di una tifo-

seria intera. Lui mi entra male. Duro. E si rom-

pe tibia e perone. Io sto sotto shock. La Lazio

e i laziali perdono il suo idolo. Il giorno do-

po, sto su tutti i giornali. "Il giovane Nesta

rompe Gazza". Amen. Salutiamo gli avversari. In-

crocio i suoi occhi. Lui e' un finto umile. Con-

sapevole della propria forza e della propria su-

periorità. Mi saluta con il capo. Ci conosciamo

già. Ma questo e' un duello definitivo. Quelli

di qualche mese fa erano solo scontri tra due

squadre consapevoli di superare entrambe i giro-

ni a braccetto. Ci sistemiamo in campo. Mi si-

stemo i capelli lunghi. Quei capelli che mi han-

no accompagnato per una carriera. Mi abbraccio

con Ambro. Cerco lo sguardo di Philippe. Scambio

un cenno d'intesa con Antonini e con Bonera.

Faccio il pollice a Christian in porta. Sono

pronto. E dove non arrivo io, sono sicuro che

arriverà un mio compagno. A raddoppiare. Raddop-

piare. Raddoppiare. L'arbitro fischia l'inizio.

E il Barcellona comincia il suo giochetto di

passaggi. Che mi snervano. Xavi, Keita, Xavi,

Iniesta, Xavi, Busquets, Iniesta, Xavi. E palla

a Messi che fa il primo scatto della sua parti-

ta. Veloce. Imprendibile. "Ma quanto corri,

Leo?"Lo fermo non senza difficoltà. Passo la

palla a Massimo. Mi pettino. E una e'

andata.Attacchiamo noi. E la carriera mi passa

davanti. La Lazio mi passa davanti. Finale di

Coppa Italia, quattordici anni prima. Lazio con-

tro Milan. Strano il destino. Abbiamo perso uno

a zero all'andata con un goal di Weah all'ultimo

minuto. Al ritorno, Albertini segna su punizione

dopo pochi minuti dall'inizio del secondo tempo.

Zero a uno. E tutti a casa. Poi, pero', si ac-

cende il Mancio. Che e' sempre stato come quegli

amici più grandi che ti risolvono sempre le si-

tuazioni e sanno sempre ciò che fare nei momenti

di difficoltà. Mancio fa segnare Gottardi. Poi,

Jugovic lancia Guerino che viene steso da Maldi-

ni. Calcio di rigore. Vladimir non sbaglia mai

un colpo. Non per niente, lo chiamiamo "Mezza-

squadra". Lo Stadio diventa una bolgia. C'è un

calcio d'angolo. Io vado in area di rigore. An-

che se non ho mai segnato. C'è una mischia.

Fuser prova a buttarla dentro. C'è una respinta,

la palla resta lì. Arrivo io. E gonfio la rete.

Capitano, io capitano. Che sarò, dopo quella se-

ra. Esulto con il dito alzato e non ci capisco

più niente. Diego alza la Coppa Italia al cielo.

È il primo trionfo di una lunga serie. Ma Xavi

ruba palla. E io torno collegato a San Siro. Xa-

vi, Iniesta, Busquets, Sanchez, Messi, Iniesta,

Xavi. Poi Messi che riparte. Ma lo chiudiamo in

due. Philippe e io. Il Mister ci dice bravi.

Perché abbiamo chiuso bene gli spazi. Cominciamo

a soffrirlo. Ma resta innocuo. Due per uno. Nem-

meno al supermercato del calcio, fanno offerte

così. Christian rilancia. Massimo salta di te-

sta. Kevin Prince la prende e imposta l'azione.

Io volo a Birmingham. Villa Park. Lazio contro

Maiorca. Ultima finale di Coppa delle Coppe del-

la Storia. Siamo uno pari. Bobo Vieri ha fatto

un goal impossibile ma i rossi di Cuper hanno

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moviola

TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 8

pareggiato poco dopo. Mancano pochi minuti alla

fine. Quando Vieri si avventa su un pallone

sporco e la prepara per Pavel. Che la infila al-

l'angolo. E mi fa alzare l'ennesimo trofeo. Con

la maglia gialla e nera. Xavi, Iniesta, Bu-

squets, Puyol, Dani Alves, Sanchez, Xavi. Non

finiscono più. Keita, Iniesta, Messi, Iniesta,

Xavi, Messi, Xavi. Messi. Messi. Messi. Mi fa

male la schiena. "Ma quanto corri, Leo?"Gli tiro

la maglia. È piccolo, veloce. Argentino. E im-

prendibile. Lo fermo insieme a Daniele. Lo fer-

mo. E mentre passo la palla a Kevin Prince, ri-

penso a Montecarlo e al goal di Salas contro lo

United. Siamo la squadra più forte d'Europa. Ci

manca solo lo Scudetto. Io, Capitano di una

squadra di Capitani. Sono cose che Capitano. Lu-

ca, Paolo, Nestor, Giuseppe, Sinisa, Matias,

Diego Pablo, Juan Sebastian, Pavel, Roberto,

Dejan, Marcelo, Alen. Carisma, tecnica, ego al-

l'ennesima potenza. Mister Sven che miscela il

tutto. Il trionfo e' dietro l'angolo. Ma l'arbi-

tro fischia la fine del primo tempo. Zero a ze-

ro. Abbiamo tenuto. Chiuso. Raddoppiato. E limi-

tato i danni. Tanti anni fa, il Milan di Capello

ne fece quattro al Barcellona di Crujiff in fi-

nale di Coppa Campioni. Ora noi stiamo elemosi-

nando uno zero a zero. E proteggendolo con le

unghie. E siamo sempre il Milan e loro sono sem-

pre il Barcellona. Loro erano sempre blaugrana e

il Milan aveva sempre la maglia bianca.Negli

spogliatoi, il Mister ci fa i complimenti per la

fase difensiva ma dice che dobbiamo essere più

incisivi in avanti. Zlatan e' nervoso. Vuole se-

gnare a tutti i costi. E chiudere il suo conto

personale con Guardiola. Mentre il Mister parla,

ripenso a quel giorno di Maggio. Ai tre goal al-

la Reggina. Al diluvio di Perugia. Al goal di

Calori. All'Olimpico invaso e in estasi. A me

che sono il Capitano dello Scudetto. Romano e

laziale. Il massimo della vita. Penso al Mister

in lacrime che dice: "Si deve credere sempre".

Al trionfo di una vita. A noi nudi nello spo-

gliatoio che saltiamo e cantiamo. Penso che un

sogno così non ritorni mai più. L'arbitro fi-

schia l'inizio del secondo tempo. E loro rico-

minciano. Lo chiamano "tiki-taka" ma sembra una

goccia cinese. E' una tortura lenta e costante.

Xavi, Iniesta, Xavi, Busquets, Sanchez, Keita,

Puyol, Alves, Xavi, Messi. E poi ancora Xavi,

Iniesta, Busquets, Xavi. San Siro li applaude e

li teme. Dottor Jeckyll sportivo e Mr. Hyde ti-

foso. Pubblico esigente e mai sazio di vittorie

e trionfi. Attacchiamo noi. Zlatan vuole lascia-

re il suo segno. La sua Zeta sulla partita. Men-

tre io ripenso al Derby. Non ai quattro derby

consecutivi. Non alla punizione di Veron. No. A

"quel" Derby. E a quella difesa a tre mai prova-

ta. A Dino esterno di centrocampo. A noi che ci

guardiamo intorno stupiti. A Montella che mi vo-

la intorno tre volte in pochi minuti. E mi ucci-

de. Lui piccolo aeroplano giallorosso. Io kami-

kaze biancazzurro. Mi costringe alla resa nel-

l'intervallo. Scappo. E sbaglio. Fernando mi ag-

gredisce. Io sto sotto shock. Ho la fascia al

braccio. Ma non la sento mia. Non quel giorno. E

sbaglio. Sbaglio. Sbaglio. Ma chi non sbaglia?

Pure Messi sbaglia uno stop e la palla finisce

in fallo laterale. Io ritorno sulla terra. Leo

e' un UFO. Da vicino ancora di più. Mi costringe

a scatti che il mio fisico non può più permet-

tersi. La schiena mi chiede aiuto. Le gambe van-

no da sole. Ma non ce la fanno a stargli appres-

so. Nonostante tutto lo contengo. Con la malizia

e l'esperienza. E con l'aiuto dei compagni."Ma

quanto corri, Leo?"Lui mi guarda, capisce e sor-

ride. Il Calcio e' una lingua internazionale.

Guardo il tabellone e vedo che mancano cinque

minuti. Zero a zero. Non abbiamo segnato. Ma non

abbiamo nemmeno preso goal. Questo era il nostro

obiettivo.Proviamo l'ultimo affondo. E io mi ri-

trovo al 31 di agosto del 2002 a Formello. Manca

poco alla fine del calcio mercato. Mi chiama il

nostro Direttore Sportivo. Sono stato venduto

per salvare la Lazio. Salvare la Lazio. Salvare

la Lazio. Shock. Rewind. Montella che mi uccide.

Lo Scudetto del 2000. La Supercoppa con lo Uni-

ted. La Coppa delle Coppe. La Coppa Italia e il

mio goal. La fascia di Capitano. L'esordio in

serie A. L'infortunio a Gascoigne. La prima ma-

glia bianco azzurra. La mia vita a ritroso. Tut-

ta davanti in pochi secondi.Non posso rifiutare.

Devo accettare. Per forza. La Lazio e' in crisi.

Io al Milan. Hernan all'Inter.Piango. Finisce un

Amore. Inizia un lavoro.E mentre Messi prova

l'ultimo allungo della sua partita, trovo la

forza chissa' dove per fermarlo. Gli tolgo la

palla. San Siro mi applaude. Passo la palla a

Kevin Prince. E mi sistemo i capelli dietro le

orecchie. La schiena mi urla per il dolore. Non

ce la fa più. Leo corre troppo. E come lui, cor-

rono troppo in tanti. Me ne rendo conto oggi. Di

fronte alla squadra più forte del Mondo. Dico

basta. Oggi. Il mio corpo me lo chiede. Me lo

urla. L'arbitro fischia la fine della partita.

Zero a zero. Missione compiuta. Ancora una vol-

ta. Contro il più forte del mondo.Perché io sono

Alessandro Nesta. Il difensore più forte del

mondo. Ed ero il Capitano della mia Città.

Alessandro Aquilino

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moviola

TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 9

La bambina ed il Grande Torino.Dimenticate il resto della vostra vita per due minuti. Immaginate. Immaginate la primavera del 1949, appunto. Calatevi nella realtà di quell’epoca. Chiudete gli occhi per un attimo, poi riprendete a leggere. Il Grande Torino imperversava. I giocatori di questa meravigliosa squadra erano famosissimi. Una bambina li conosce tutti. E’ una bambina molto piccola vive in mezzo ai prati ed ai boschi. Ogni tan-to li vede arrivare questi ragazzi, pro-prio dove lei abita…. e i suoi occhi so-no carichi di curiosità. Andate al Parco del Meisino o giù di lì e guardate la Collina di Superga. Da sotto la Basilica, tracciate una linea immaginaria verso il basso. Arriverete senza ostacoli al Trun o Tron, una misteriosa villa, situata a mezza costa, quasi una sentinella sulla collina e sulle lenzuola bianche messe ad asciugare dalle lavandaie di Bertolla. Villa Trun, con l’annesso antico comples-so agricolo è situata nel tratto di col-lina tra la Borgata Rosa e Superga, in un’area frequentata da tutti gli abitanti della Borgata, sia per raggiungere la Ba-silica, sia per le scampagnate domenicali delle famiglie della zona, che trovano ampie possibilità di svago, in quest’am-biente molto ricco di vegetazione. Trun, casa padronale e cascina, vigna con l’or-to, mezzadri, animali di proprietà ( muc-che, galline, conigli ). Una spianata di 10.000, forse 12.000 mq; muri, muri alti fino a 18 metri, muri di pietra e mattoni tenuti insieme dalla famosa calce di Su-perga. Gli scoli delle acque, costruiti con i mattoni. Nella villa ci sono quat-tordici grandi camere, tutte riscaldate con stufe di Castellamonte. Il Trun è il palazzotto del dirigente accompagnatore Ippolito Civalleri, tifosissimo granata e braccio destro di Ferruccio Novo, il Pre-sidente del Grande Torino. Civalleri, di-rigente SNIA Viscosa, è un vero signore, piemontese di vecchio stampo, simpatico, gentile, disposto alla chiacchiera, cor-diale e di buon carattere ma, quando s’inalbera, è meglio girare a largo. I giocatori lo amano, si fidano di lui e lo temono, anche. La villa dicevamo è situa-ta in uno stupendo complesso rurale e An-dreina, la bambina che conosce tutti i giocatori è la figlia del mezzadro. Il

Trun fu costruito per volontà di un nobi-le spagnolo, nel 1700, spianando un’area molto estesa a forza di braccia e poveri attrezzi. Fra il tempo di un’occupazione militare in Piemonte, una della tante. La prova della presenza degli spagnoli ? Le coltivazioni di alberi da frutto tipici della penisola iberica. La villa in ori-gine aveva un altro nome che si è perduto nel tempo, a favore dell’attuale, in quanto è stata sempre identificata come “Villa del Trun” proprio dagli abitanti della Borgata Rosa. “L’etimo toponomasti-co” deriva dal fatto che quando le cor-renti calde arrivano dal Levante, evol-vendo in temporali, le prime folgori e i primi tuoni ( “trun dal dialetto Torinese ) si scatenano nella zona tra la villa e la sommità di Superga. Questo era consi-derato dai locali un “avvertimento” del-l’imminente temporale, in arrivo anche sulle rive del Po. Bene, il Trun è di proprietà di Civalleri e, quando il Gran-de Torino gioca in casa, capita spesso, il sabato, che la squadra si raduni per una merenda sinoira, magari nel giardino, nei pressi del viale di malva ed ibisco. La cappelletta, i sentierini. Angoli per meditare e trovare forza. I giocatori fanno gruppo, si rilassano, si concentra-no. Parlano degli avversari, studiano la tattica. Erbstein, parla bene l’italiano e nel corso della riunione tattica pre-senta ai giocatori la partita dell’indo-mani. Nei pressi circolano il cane lupo di Civalleri e Layla, la cagnetta della figlia del “Civa”. Il Torino si muove con il “Conte Rosso” che viene parcheggiato a lato della strada per Superga, a poche centinaia di metri dalla villa di Cival-leri. L’accesso alla carrareccia è in faccia ai giardini della famiglia Camera-na, l’arco d’ingresso non c’è ancora, si passa dal cancello grosso. I giocatori si fanno una breve passeggiata. Anche la gente del posto cammina. Tanto cammina per il bosco anche il bosco ecco. E’ una ricerca importante. Fornisce cibo. I gio-catori del Grande Torino. Si divertono, ridono, esplorano; discutono tra di loro, ascoltano i tecnici, preparano la parti-ta, guardano il passaggio. Guardano in basso, verso il fiume, verso Torino, dal-la spettacolare terrazza-belvedere. Guar-dano in alto, verso le montagne, verso la

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schegge di storia

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Basilica, verso il cielo. Sì guardano la Basilica. La Basilica di Superga, che è a poche centinaia di metri, in linea d’aria, esattamente sopra di loro. Un’al-tra delle incredibili storie del Toro: i nostri eroi preparano le sfide, esatta-mente sotto la Basilica dove il Fato li vincerà. I 4 dell’Ave Maria. Il personale che lavora al Trun li chima così. Sono Bacigalupo, Loik, Martelli e Gabetto: chiacchierano tanto, scherzano e si sfot-tono, sempre con garbo, senza usare paro-lacce, frequentano il campo di bocce, sempre ben curato. Antonio è il fratello di Andreina e fa il raccoglibocce. I vin-citori sono portati in trionfo dai per-denti. Il festeggiamento è un po’ criti-cabile a volte, come nel caso dello stra-no giro d’onore di Baci e Gabetto, ficca-ti dentro ad una botte usata come pozzo nero per i prati e portati a destra e a sinistra, su un traballante carretto a due ruote. A volte i giocatori del Torino sono un po’ bizzarri, anche se ammirati ovunque e considerati dai brasiliani come i migliori del mondo, sono ancora molto giovani, sono i “ragazzi”. Sono simpati-ci, ognuno a modo suo. L’esuberante Bal-larin. Il più che esuberante Rigamonti. E’ Bacigalupo, però il più scatenato: batte anche il “Riga”. Valerio per le bocce, poi impazzisce proprio. Il calcio, in fondo non gli piace così tanto, anche se i bocia che abitano vicino a lui lo invitano sempre a tirare due calci al pallone e Baci non rifiuta mai: non può deludere i sui piccoli tifosi. Capitan Valentino è affidabile, simpatico anche lui, ma gira da solo, supera le siepi di bosso, le piante si spirea, il biancospi-no, i cespugli di aromi, i gusti; il Ca-pitano cammina per i prati, per poi fare una breve siesta sotto l’ippocastano. Per gli antichi Celti, l’ippocastano era sim-bolo di integrità e lealtà. Ossola è un po’ schivo, un po’ timido. Casigliano. Qualcuno dice che è un tipo truce. La gente che lavora al Trun pensa che non sia vero, anzi. Il suo famoso numero del-la monetina, infilata nel taschino con un colpo di tacco. Maroso è ancora più bra-vo, però come giocoliere. Maroso è alle-gro. Maroso con i suoi completini grigini e Rigamonti con le sue giacche Principe di Galles, hanno una passione per le muc-

che, non vedono l’ora di precipitarsi nella stalla, interessandosi alla mucca tale, al vitellino, a questo, a quello. E’ il 4 maggio del 1949. Dal Trun nessuno si accorge di nulla. Nessun rumore, Nien-te radio, per il personale. Poco sotto nell’allagata Borgata Rosa, invece la gente guarda con apprensione all’acqua che minaccia le case, c’è un po’ di caos e il ponte di San Mauro è pericolante. All’improvviso viene avvertito un gran boato; qualcuno dice di intravedere un enorme colonna di fumo. E’ successo qual-cosa di molto grave sicuramente. Molti uomini della Borgata si vestono veloce-mente e alla meglio, la pioggia è scro-sciante: s’inerpicano sulla collina, unendosi ai residenti di Superga. Con ri-tardo la notizia arriva anche al Trun : “ Sono morti tutti! Il signore ! il signore è andato a Lisbona! E’ morto anche lui! E’ morto il commendatore ! Monsù Civalle-ri!”. Il resto lo sapete.

Diego Il Condor

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La bandiera con la rosa dei venti....l'idea di fare una bandiera tutta nostra venne a Paolo ...premetto ...eravamo tutti 17/18enni. Già da qualche anno frequentatori della curva senza affiliazioni specifiche, anzi direi piuttosto per conto nostro, in comune il fatto d'essere, un bel nume-ro di noi, tutti studenti (va beh...è una parola grossa) nello stesso Liceo, poi ovviamente dagli studenti ci al-largavamo ad altri ragazzi che ognuno di noi frequentava nell'extra scuola. Il nucleo principale era però quello dei ragazzi del Liceo si ma che prove-nivano dalla zona sud occidentale del-la città, e parecchi erano coloro che, non della stessa scuola, stavano co-munque assieme a loro ritrovandosi nei vialoni di periferia a perdere tempo specialmente nei lunghi pomeriggi pri-maverili ed estivi in virtù di un'in-fanzia e di una quotidianità comune. Eravamo, nel massimo splendore, una quarantina anche più di ragazzi inna-morati della nostra città, della no-stra squadra e soprattutto del tifo...di quell'essere comunque e sem-pre protagonisti o avere anche solo l'illusione di esserlo, pur tifando per una squadra spesso e volentieri perdente anche se di nobili tradizio-ni! Io ero un po' l'isolato ...i miei amici d'infanzia stavano tutti altrove...nel senso che avevan tutti smesso di studiare dopo le scuole me-die, tutti fedelissimi ai colori pre-feriti in città ovviamente...ma la frequentazione assidua di quei ragazzi di Legnaia (il quartiere appunto a sud ovest) mi aveva piano piano reso molto più familiari , che i vecchi amici del quartiere ...insomma Paolo, uno dei ragazzi di Legnaia, ebbe l'idea ...avevamo già tutti noi avuto il no-stro battesimo del fuoco qualche anno prima in occasione dell'arrivo delle valanghe barbariche romaniste (una volta qualche tempo dopo avemmo pure il piacere di conoscere anche quelle laziali, con quel famoso treno...ma è un'altra storia)...quindi eravamo as-sai uniti e sempre entusiasti...dopo lo striscione da noi realizzato in oc-casione di una partita contro la Juve

"Via la merda da Firenze" , Paolo pro-pose di fare una mega bandiera, sul modello di quella spettacolare dei milanisti...quella con la rosa dei venti...lo ammetto ...decidemmo di co-piare da chi sicuramente aveva molta più storia di noi ragazzetti...i no-stri Ultras (almeno quelli storici an-che se non potevano più esibire quel nome, fuorilegge dal 1983), infatti, li vedevamo come esempi irraggiungibi-li e talmente tanta era la soggezione che alla fine ci riusciva più semplice cercare di essere protagonisti restan-do ai margini piuttosto che cercare di integrare direttamente...poi, alla fi-ne, il fare e creare in curva automa-ticamente ti dava l'occasione di integrarti...solo che, ecco, non era la nostra finalità principale. Ini-ziammo la colletta questuante a scuola (e dove sennò?) ...raggiungemmo un di-screto gruzzoletto nel giro di una de-cina di giorni ...comprare la stoffa (bianca) e i colori e pennelli (viola e fucsia) fu un attimo...poi a dise-gnare sul tessuto nel garage del T. Bandierone bianco di domensioni spa-ventose, esagerammo, non ponendoci il problema della sventolata che doveva seguire, insomma una roba da oltre 15 m2...strisce viola e fucsia ai bordi...e rosa dei venti viola e fuc-sia al centro...i bordi li facemmo cu-cire a mia mamma che era una sarta so-praffina e si prestò, non senza bofon-chiare ("tu stai sempre dietro a que-ste bischerate quando tu dovresti stu-diare per l'esame"...di Maturità...) ...nel frattempo io e Paolo ci siamo messi alla ricerca dell'asta...troppo cara la canna da pesca...alla fine op-tammo per i tubi da idraulico in pvc ...quelli che si inseriscono uno den-tro l'altro...opportunamente rafforza-ti con del nastro da pacchi ...insomma poteva reggere...esordimmo contro il Bari...in casa...il 24 novembre 1985...almeno così mi pare...entrati in curva ci rendemmo subito conto che NON riuscivamo manco a sollevarla ...figuriamoci a sventolarla... i no-stri sforzi ammirevoli ma nel contempo ridicoli non sfuggirono al resto del pubblico di curva...e subito una dele-

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gazione di quelli che per noi erano miti si manifestò per chiederci che cosa stavamo cercando di fare...spiegammo, non senza imbarazzo ...si misero a ridere ed ecco uno che prende la bandiera e..."non è roba da ragazzini...". Scavalca l'inferriata, entra in campo, se la fa passare tra le sbarre (all'epoca non c'era il plexiglass bensì le sbarre) e entra nella zona tra il campo e la curva do-ve c'era la pista d'atletica (bellis-sima poi eliminata nel corso dell'ob-brobrioso progetto di ristrutturazione per Italia 90...un crimine ancora impunito...vabbè)...inizia a sventola-re ...BELLISSIMA...e che soddisfazione a vedere all'unisono la nostra curva e il resto dello stadio applaudire la nostra bandiera, eravamo gonfi e tron-fi, dopo dieci minuti rientra e ci re-stituisce la bandiera..."ragazzi...ma che siete matti...m'aveta ammazzato per far sventolare questa bandiera...per almeno tre giorni mi riuscirà difficile anche bere ì caf-fè...". Arrotolammo il tutto e assi-stemmo, sempre tifando ma non svento-lando, ad un orrido 0 a 0. La nostra

bella bandiera ci ha seguito per un po'...fece anche la trasfertona in treno a Lecce, dove riuscimmo a perde-re 2 a 1...era il Lecce che retrocesse ma vinse alla penultima a Roma contro i giallorossi privandoli di uno scu-detto ormai quasi cucito sulle maglie...e fornendo a voi laziali l'occasione di una serie di cori com-memorativi assai divertenti anche se feroci...da qualche parte devo avere la foto di noi e della nostra bandiera a Lecce...la mostrammo, ammainata, du-rante il tragitto dalla stazione allo stadio...tutto senza scorta...e poi approfittando del fatto che il settore ospiti era nel secondo anello riuscim-mo anche a sventolarla...meglio dire a scenderla e a farla muovere usando co-me supporto la transenna...dopo il match venne sfilata dai tubi e messa nello zaino...i tubi servirono come bastoni da passeggio nel difficile ri-torno al treno...ma questa è un'altra storia...

Alessandro Rabbiosi

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Il City a Newcastle nel 1968.Non sarò in grado di spendere parole di saggezza, sulla partita del Man City a Newcastle del 2012, perché l’ho guardata su Sky e non è proprio come essere allo stadio. Anzi è davvero differente ! "NEW-CASTLE, 16:45, 11-5-68", recita così l'etichetta del Dymo label sul mio picco-lo pacchetto a tenuta d'aria, dove con-servo ancora la zolla d’erba presa dal dischetto dell’area di rigore, da cui Franny Lee ha segnato il quarto goal del-la nostra vittoria. L'erba non è più così verde come un tempo, ma visto che è stata nel mio portafoglio ( ho una piccola par-te “di backup” in un luogo sicuro nel ca-so in cui venga aggredito e derubato ) per gli ultimi 40 anni, il che non è sor-prendente. Nel 1968 ero uno studente di ingegneria. Tra gli studenti di allora, i tifosi del City erano solo in tre : io, Dave Cooper e Brian Chapellow. Anche i docenti erano “Rags” ( tifosi del Manche-ster United ). Quell’anno però li avevamo battuti, per 3-1 nel derby che si era giocato nel mese di marzo, quindi erano un po’ meno arroganti del solito. In quei giorni la mia solita routine era di anda-re alla partita, in casa o fuori, e poi correre di nuovo al Lowenbrau Bier Keller a Piccadilly dove l'atmosfera era incre-dibile, con tanti tifosi di calcio che intonavano i canti, appresi il sabato sulle gradinate di tutti gli stadi del-l’Inghilterra. Andavamo spesso avanti tutta la notte, senza troppe difficoltà, incuranti della giornata lavorativa o di studio che ci attendeva. L’organizzazione della trasferta di Newcastle mi resta difficile da ricordare con esattezza ora, ma credo che Brian Chapellow ed io abbia-mo preso un pullman Fingland da Leven-shulme. Ricordo bene come eravamo stupiti che tutto il traffico sembrava essere di-pinto di blu e bianco. In quei giorni non so se ho davvero creduto che avremmo po-tuto vincere il campionato, ma Joe e Mal-colm rivoluzionarono tutto. Il City vin-se, quell’11 maggio del 1968, per 4-3 sul campo del Newcastle. Prima della gara, ci speravamo, ma temevamo anche il peggio! Al St James 'Park eravamo in attesa di entrare all’interno dello stadio, circon-dati da un sacco di Geordies e tutto sem-brava essere molto tranquillo. Dalle gra-

dinate il campo di gioco si vede bene, ma c’erano tanti tifosi del City festanti sugli spalti, che non ho visto quando Summerbee ha segnato. A fine partita una volta entrato sul terreno di gioco, per festeggiare la nostra vittoria, sono an-dato fino all’area di rigore di fronte all’altra curva, per prendere la zolla d’erba dal punto esatto in cui Franny Lee aveva segnato la sua rete. Fu davvero difficile da prendere quella piccola zol-la, perché sul campo era pieno di tifosi del City….che avevamo avuto la stessa idea.Ovviamente il viaggio verso casa è stato ancora più divertente, il pullman si fermò un sacco di volte e ovunque c'erano Blues a cantare e a ballare. A un certo punto fummo raggiunti anche dal pullman con i giocatori del City che vi-cino a noi e stavano festeggiando con la stessa intensità di tutti gli altri. Sia-mo finalmente tornati in città, ma i fe-steggiamenti sono durati ancora, al punto tale che sono tornato dentro la mia casa solo …. il giorno successivo. Da allora ho fatto ancora tantissime trasferte sia in Inghilterra che in Europa ... ma que-sta è stata la mia prima esperienza nel vincere qualcosa di davvero importante. Poi sono stato a Wembley per due volte per la FA Cup e la League Cup, a Vienna per la finale di Coppa delle Coppe. Ma ho pensato che quella giornata del 1968 è stata la migliore della mia vita!

PS: Se qualcuno vuole vedere la mia zolla erba…. deve venire fino in Inghilterra.

John

A MCFC fan

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La finale di FA Cup del 1927, un gatto e una maglia inadatta.Re George V e due primi ministri della Gran Bretagna, del 20th secolo in tempo di guerra, David Lloyd George e Winston Churchill, hanno visto il Cardiff battere l'Arsenal davanti a 93.000 spettatori su-gli spalti dello stadio di Wembley, il 23 aprile 1927, in una finale di FA Cup. Quel giorno una squadra non inglese vin-se, quella che allora si chiamava la En-glish Cup, per l'unica volta nei suoi 137 anni di storia. Ad oggi resta ancora l’unica squadra non inglese ad aver vinto questo trofeo. La partita del 1927 è sta-ta anche molto importante, perché fu la prima finale di coppa che andò in onda in diretta sulla BBC Radio e perché fu anche la prima il finale in cui l’ inno della FA Cup “Abide With Me” fu cantata prima dell’inizio dei novanta minuti. La frase 'Back to One Square' è stata coniata per la finale di FA Cup del 1927, dato che i commentatori radiofonici utilizzavano una griglia pubblicata sul Times per descri-vere l'azione della partita. Era un campo di calcio, che i giornalisti del tempo, avevano diviso in tanti quadrati numera-ti, così alla radio, potevano dire agli ascoltatori in quale quadrato era in gio-co il pallone in quel momento. L’azione si svolge in A 4….davvero altri tempi! Il Cardiff City aveva adottato un gatto nero come mascotte, Trixie, per questa impor-tante gara, perché il suo attaccante Hu-ghie Ferguson, stella della squadra ed idolo dei suoi tifosi, aveva pensato che fosse di buon auspicio. Ferguson l’aveva trovato a vagare smarrito, sul campo del Royal Birkdale quando i giocatori del Cardiff City stavano allenandosi in vista della partita del quinto turno di FA Cup contro il Bolton Wanderers. Ferguson chiese a tutti gli abitanti delle case nelle vicinanze e finalmente trovò il proprietario del gatto che accettò la proposta di farne la mascotte della squa-dra nella finalissima di Wembley, otte-nendo in cambio però due biglietti. L’ accordo fu stipulato e il gatto portafor-tuna consegnato. Al Cardiff furono tirati degli ortaggi appena il pullman della squadra arrivò a Wembley, ma l’ agguato più pericoloso sarebbe stato sul campo di gioco. L’attendeva infatti la forte

formazione londinese dell’Arsenal. Il Cardiff era già stato sconfitto dallo Sheffield United nella finale di FA Cup 1925 e non voleva certo ripetersi. Hughie Ferguson segnò però al 74’ minuto di gio-co la rete della vittoria. Il portiere dell’Arsenal, Dan Lewis, in questa circo-stanza non fu però impeccabile, perché il tiro di Hughie non era certo imparabile, e il portiere dei londinesi si fece pas-sare il pallone sotto il corpo con un goffo intervento. I teorici della cospi-razione dissero che il portiere gallese Lewis aveva volutamente aiutato i suoi connazionali, ma Lewis disse che colpa del suo errore era da imputarsi alla sua maglia nuova, che era di un tipo di lana troppo spessa, che gli impediva di af-ferrare la palla correttamente. Da allo-ra, quelli dell’Arsenal hanno lavato sem-pre le maglie dei loro portieri, prima di ogni partita. Proprio per evitare dei so-spetti. Chissà quando questo prestigioso trofeo tornerà ancora in Galles ? Le for-mazioni di quella finale :

Cardiff City: Farquarson; Nelson, Watson; Keenor, Sloan, Hardy; Curtis, Irving, Ferguson, Davies L., M'Laclan

Arsenal: Lewis; Parker, Kennedy; Baker, Butler, John; Hulme, Buchan, Brain, Blyth, Hoar

Charles Harvey Lynch

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era il 19 giugno 1919.Affiancato da Antonio Calabritto, Vincen-zo Giordano ed Adalgiso Onesti, Schiavone affiliò la Salernitana al comitato campa-no. Ci fu l'autorizzazione a giocare, ma non si era pronti. Successivamente in una lunga riunione durata tutta una notte, i 4 organizzatori ed 11 giocatori decisero di giocare. Adalgiso Onesti fu nominato presidente. si approntò la prima casacca: maglia a strisce verticali bianco cele-ste. Il primo campo fu Piazza d' Armi. Primo campionato: girone a tre squadre oltre la Salernitana, Stabia, Savoia e Pro Italia. Il debutto a Castellammare: treno e carrozzelle i mezzi di trasporto della squadra e di un nutrito gruppo di tifosi. Lo Stabia era uno squadrone, ma autorità e cuore portarono la Salernitana a vincere1-0 con un goal dell' ala Ali-berti. Fu la prima di 6 vittorie, chiusu-ra del girone a punteggio pieno e quali-ficazione per la finale. Avversario il Brasiliano. Si perse 5-0 a napoli. Si vinse 5-0 a salerno. la bella sul campo neutro di Nocera: il brasiliano non si presentò per protesta e la SAalernitana ottenne la prima promozione a tavolino. Nella prima Serie A non ci fu gloria. Pu-teolana, Naples e Savoia erano molto più forti. Non ci fu retrocessione perchè si decise di fare due campionati: uno orga-nizzato dalla Figc ed un altro dalla Cci. La Salernitana si aggregò a quest'ultima e partecipò al suo secondo campionato di Serie A. Non andò bene, fini ultima in-sieme al Naples. Si tornò, nella stagione 22/23 ad un unico campionato. La Sa-lernitana partecipò alla 2 divisione ( attuale serie B). Ritornò subito in Serie A. Ma anche quell'anno, nel mas-simo campionato, ci fu una magra figura.....la serie A era fatta per i blasoni. Crisi di crescita degli ultimi anni 20, ma almeno ci avevamo provato ed il cuore salernitano era andato al di là di tanti ostacoli. Il secondo decen-nio di vita vide il rilancio della Sa-lernitana. Sino al 29 i campionati erano frazionati a gironi, dopo nacque il tor-neo unico. si privilegiarono le beneme-renze sportive e la Salernitana fu collo-cata nel campionato di prima divisione l'equivalente Serie C. Tornei di alta classifica e l' aumento smisurato di ti-

fosi fecero andare in pensione il " piaz-za d'armi". il comune spostò il cimitero a Brignano e lo stadio, al centro della città, prese corpo poco alla volta. il glorioso Vestuti fu inaugurato nel 1932. Per due stagioni consecutive si sfiorò la serie B. il salto di qualità, dopo un quinquennio di delusioni, arrivò nel 1937/38: nell'ultima giornata, la Saler-nitana ottenne la promozione. A Potenza fu festa grande. La prima volta in una serie B a girone unico, i salernitani chiusero al penultimo posto, ritornando in serie C. C'e' un nome che nessuno co-nosce: Kertesz. fu un allenatore unghere-se che, prima di Delio Rossi, infilò 16 risultati utili consecutivi, grande serie positive: al Vestuti......nessuno passa-va. Negli anni trenta i calciatori più rappresentativi furono Antonio Valese, Giovanni Pilato ed il portiere Giovanni Scannapieco detto " gatto magico". in questo decennio apparve la figura del massaggiatore: Angelo Carmando ne inter-pretò cosi bene il ruolo da non lasciare più " spugna e secchio granata" per de-cenni. I figli Bruno e Salvatore sono stati capostipiti di una famiglia di fi-sioterapisti. Noi over 40 siamo legati alla figura di bruno come i nostri nonni erano legati a quella di angelo: pura Sa-lernitanità.

Roberto Cocozza

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calcio d’angolo

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Swindon Town.Paolo Di Canio in versione singer per la festa finale. Look alla Doctor House, barba incolta e giacchetto di pelle, Pao-lo Di Canio chiude la festa per la promo-zione in League One cantando, sul palco assieme alla band Toploader, "Dancing in the moonlight" di King Harvest. Tanta gente si è riversata al County Ground nella giornata dedicata ai ragazzi in biancorosso: palco in mezzo al terreno di gioco su cui si sono alternate diversi gruppi musicali, tenda vip riservata ai tifosi “facoltosi” che, in cambio di con-grua offerta, hanno cenato spalla a spal-la con i giocatori della loro squadra e tanto divertimento, questi gli ingredien-ti di una riuscitissima giornata. Ovazio-ne finale per il singer Di Canio, diven-tato in un solo anno vero e proprio idolo locale. Il giusto finale di un anno vis-suto alla grande tra sconfitte (terribile la serie negativa iniziale), tante vitto-rie (sfiorato il record di vittorie con-secutive di una squadra inglese), imprese (il passaggio del turno in F.A. Cup), de-lusioni (la finale di Johnstone’s persa a Wembley) e dolori (la morte di entrambi i genitori del mister italiano) che ha sa-puto lanciare Di Canio tra gli allenatori emergenti (per lui si è parlato dell’in-teressamento di Leeds e West Ham).

Renato Cignoni

Cinque fratelli in campo. Siamo davvero nella preistoria, a cavallo fra gli anni 10 e 20. Un calcio molto di-verso da quello odierno, un calcio sicu-ramente più genuino. Ed in questo clima romantico, è sicuramente bello raccontare di cinque fratelli in maglia granata. Di loro sono arrivati a noi notizie frammen-tarie. Alla fine della prima guerra mon-diale, si riprende anche con l'attività calcistica, e un giornale dell'epoca ri-porta un amichevole fra Vigor Trapani e Palermo F.c. finita 5-0 per i palermita-ni. In quell'incontro si distingue Zolli secondo. I fratelli Zolli parteciparono successivamente al campionato 1921-22. In quell'anno a livello nazionale vennero disputati due campionati: uno, gestito dalla FIGC e l'altro gestito dalla CCI. Quest'ultimo campionato era diviso in tre leghe: la nord la centro e la sud. La le-ga sud (che non partecipava però all'as-segnazione dello scudetto vinto poi dalla Pro Vercelli) comprendeva una serie di gironi regionali, e in quello siciliano era inserita la Vigor Trapani. Il campio-nato fu ingloriosamente chiuso all'ultimo posto, con dieci sconfitte su dieci par-tite e con ben sei rinunce. Di quel cam-pionato ci arriva notizia di un gol di Zolli primo in un Vigor Trapani- Libertas Palermo 2-3. Nel 1924 nasce una nuova so-cietà dalla fusione fra Vigor Trapan e Drepanum: la U.S. Trapanese, e fra i gio-catori vengono ancora chiamati i cinque fratelli. Poi non ci arriva più alcuna notizia, ma cinque fratelli in una squa-dra per tanti anni se non rappresenta un record ...poco ci manca.

Vito Galuppo

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moviola

TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 17

30 maggio 1984, scritto neutrale...Bob Paisley si è ritirato al termine del-la stagione precedente, il suo posto sul-la panchina dei Reds è stato preso dal suo secondo, Joe Fagan. Il Liverpool è alla nona partecipazione consecutiva alla Coppa dei Campioni, non salta un'edizione dal 1976. La squadra è cambiata rispetto a quella che trionfò nel 1981 contro il Real Madrid a Parigi: negli ultimi anni hanno raggiunto Anfield Road il teatrale portiere Grobbelaar, lo stopper Lawren-son, il mediano irlandese Whelan, il tut-tofare Nicol e soprattutto il bomber Ian Rush. L'avventura in Coppa comincia con-tro i danesi dell'OB Odense, superati co-modamente. Il secondo turno pone di fron-te ai Reds i baschi dell'Athletic Bilbao. Il sorprendente pareggio a reti bianche dell'andata a Anfield costringe il Liver-pool a conquistare la qualificazione in trasferta, grazie a una prodezza di Rush, che comincia a lasciare il segno su que-sta edizione. Nei quarti la squadra di Fagan incontra il Benfica, che limita i danni in Inghilterra (0-1) e viene tra-volto a Lisbona per 4-1 in una delle mi-gliori prestazioni esterne del Liverpool. In semifinale è la volta della Dinamo Bu-carest: Sammy Lee garantisce il primo round ai Reds in casa, ma è Ian Rush con due gol in Romania a mettere il timbro sul passaporto per la finale. Il Liver-pool torna a Roma dove sette anni prima aveva vinto la sua prima Coppa Campioni contro il Borussia Mönchengladbach. Di fronte c'è la Roma di Falcão, che gioca in casa. I giallorossi sono al debutto; nel tunnel che conduce in campo, con gli atleti già schierati ad aspettare l'in-gresso sul terreno, le loro facce sono tesissime, i comportamenti nervosi. Gli esperti inglesi mostrano invece grande tranquillità, cantando tutti insieme. Do-po un leggero predominio della Roma, al quarto d'ora scende il gelo sull'Olimpi-co: Johnston "carica" Tancredi uscito per intercettare un cross, il portiere perde la palla.Bonetti cerca di allontanare, ma il rinvio finisce sulla testa di Tancredi a terra e poi sui piedi di Neal, che por-ta in vantaggio il Liverpool. La Roma tenta di reagire, ma è Tancredi a dover compiere un miracolo su un contropiede di Rush. Poi, sul finire del primo tempo,

Pruzzo fa esplodere lo stadio "pettinan-do" di testa un pallone crossato da Bruno Conti, che si insacca alle spalle di Grobbelaar. Il bomber romanista lotta co-me un leone, ma in avvio di ripresa si infortuna e dovrà uscire sostituito dal tornante Chierico. La Roma perde incisi-vità, il Liverpool si rende pericoloso in contropiede con Dalglish e Neal. Termina-no in parità i tempi regolamentari e neanche nei supplementari si sblocca il risultato. Per la prima volta la Coppa viene assegnata ai calci di rigore. Nicol sbaglia subito per gli inglesi, Conti fallisce il secondo tentativo dei romani. Dopo tre rigori a testa il risultato è ancora in parità: tocca a Rush che non sbaglia, quindi va dal dischetto l'affa-ticato Ciccio Graziani, che colpisce la traversa. Alan Kennedy, che già aveva da-to ai Reds la coppa del 1981, non trema e infila Franco Tancredi. Per il Liverpool è la quarta vittoria in quattro finali.

Claudio Boffa Tarlatta

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 18

Football Rivalries ...l’importanza del derby.Tutti quelli che hanno la fortuna di vi-vere in una città che ha due squadre cit-tadine, conosce bene l’importanza del derby. Sappiamo bene che vincere la stra-cittadina, può cambiare il corso di una stagione calcistica, può regalarti sensa-zioni ed emozioni uniche, che rimangono indelebili nella tua mente, per anni, en-trando a far parte del tuo patrimonio di ricordi più belli. Potremmo dimenticare ricorrenze, festività e compleanni, ma non scorderemo mai la rete di Nicoli, se-gnata quasi allo scadere, le due gemme di Vincenzo D’Amico contro una formazione, che sulla carta partiva favorita, la pu-nizione magistrale di Veron, e la zampata del centrattacco teutonico nei minuti di recupero. Il derby evoca, bandiere al vento, abbracci con persone che neppure conosci, il tornare adolescenti per no-vanta lunghissimi minuti, l’odore dei fu-mogeni che salgono forti e spavaldi al cielo, saltare pazzo di gioca sopra un seggiolino, ma anche uscire disperato con la morte nel cuore. Il derby è tutto que-sto, nella mia città, ma anche in ogni parte del mondo. Perché noi tifosi di calcio, che abitualmente andiamo tutte le domeniche allo stadio, ci assomigliamo un po’ tutti, in ogni angolo del pianeta. Vincenzo Paliotto, per Urbone Publishing, ha scritto un bel libro intitolato : “ Football rivalries – Derby e rivalità calcistiche europee“ che parla, per l’ap-punto di derby, visti ad ogni latitudine del vecchio continente. Si inizia come d’obbligo, per ogni appassionato di cal-cio, dalla Gran Bretagna, analizzando i motivi, che spesso hanno origini che si perdono nei meandri della storia, come quella tra il West Ham Utd ed il Mill-wall Fc, che portano spesso ad una riva-lità esasperata che si esaspera ancora di più con il trascorrere degli anni. Ci fa immergere nel clima derby di città cono-sciute nel mondo, solo per la loro forma-zione di calcio, come il caso di Manche-ster, ci racconta di cori, striscioni e trasferte, negli infuocati derby di Gal-les ed Irlanda. Dalla Gran Bretagna ini-zia così il nostro viaggio attraverso città e tifoserie, più o meno conosciute, di cui apprendiamo storie, tradizioni e

cultura. Sembra di essere, su un treno virtuale, in viaggio per l’Europa con la tua sciarpa al collo. Scendiamo in Olanda e scopriamo che il paese dei tulipani e dei mulini a vento, non è solo questa cartolina, ma che ci sono tifoserie orga-nizzate e sfide infuocate, che talvolta travalicano i soli motivi calcistici. Sentiamo quasi parlare tedesco e ci ve-diamo nella curva dell’Hertha Berlin men-tre i cori all’unisono con le bandiere di alzano dai settori più popolari del vec-chio stadio della capitale tedesca. Pas-sione e voglia di stare insieme che acco-munano tanti tifosi teutonici, quando la fredda e compassata Germania diventa qua-si un paese latino. Passando per la Fran-cia ed il suo derby per antonomasia, che infiamma un’ intera nazione, come quello tra il PSG ed il Marsiglia, si arriva poi nelle terre in cui la stracittadina è davvero qualcosa che si vive, quasi tutti i giorni dell’anno. Siamo arrivati in Grecia per poi passare in Turchia. Qui le sfide stracittadine sono qualcosa che non è solo calcio, ma è una sfida tra quar-tiere e quartiere, tra tradizioni vecchie ed antiche che risalgono addirittura ad un secolo fa. Il derby è qualcosa di uni-co, in ogni parte della vecchia Europa, vissuto ovunque con la stessa trepidazio-ne. Perché una vittoria nel derby vale più di ogni altra vittoria, perché in ogni angolo del mondo, vedere i tifosi avversari uscire sconfitti e tristi, men-tre tu canti e sventoli i tuoi vessilli, non ha davvero paragoni. Fate anche voi questo lungo viaggio nell’Europa calci-stica, ne vale davvero la pena.

Giorgio Acerbis

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 19

Tutto il Catania minuto per minuto.Una passione inossidabile, la stessa che ci faceva marinare la scuola pur di vedere gli allenamenti dei nostri eroi al vecchio Ciba-li. Un sentimento che resiste tutt’oggi in un pianeta del pallone diverso anni luce già da quello di una decina d’anni fa, e canni-balizzato dalle pay TV. L’amore tramandatoci dai nostri padri per due incantevoli colori “il rosso fuoco dell’Etna e l’azzurro del mare”. La consapevolezza che perfino il più grande dei successi ha poco significato se ci si dimentica di quelli raggiunti nel pas-sato attraverso tante tribolazioni. Ma so-prattutto la presa di coscienza che la città e la squadra meritano un’opera che racconti una storia che ha fatto innamorare centinaia di migliaia di catanesi. Queste parole degli autori (Antonio Buemi, Roberto Quartarone, Alessandro Russo, Filippo Solarino) sinte-tizzano le motivazioni alle spalle dell’ope-ra omnia sulla storia del calcio rossazzurro : “Tutto il Catania minuto per minuto” edito dalla GEO edizioni di Carlo Fontanelli e giunto alla seconda edizione, dopo il suc-cesso della prima andata esaurita in pochi mesi. Un volume enciclopedico di 500 pagine recentemente insignito del patrocinio da parte della facoltà di Storia dell’Universi-tà di Catania per il rigore scientifico nel-la ricerca, e che custodisce gli oltre 3000 tabellini completi di ogni gara ufficiale giocata dal 1929, centinaia di foto storiche inedite, ed il romanzo di ogni stagione. Ma soprattutto l’inedito excursus della prei-storia del football catanese a partire dal 1908, ed il racconto della vera storia del Catania, ch,e rinato del 1946, vede invece le sue origini nella S.S Catania fondata nel 1929 su impulso delle autorità politiche del tempo. Leggendo le 500 pagine dell’opera scorreranno le immagini e le gesta degli “eroi” contemporanei Lodi,Maxi Lopez,Go-mez,Mascara, ma anche dei loro bisnonni,”i matti di Piazza d’Armi” capitanati da Tano Ventimiglia. Si parla del mitico stadio di Piazza Verga prima culla della passione ros-sazzurra, del Duca di Misterbianco e del suo mentore calcistico Geza Kertesz morto da eroe nel 1945, degli anni d’oro di Marcoc-cio,di Angelo Massimino, e della squadra che Nino Pulvirenti ha proiettato definitivamen-te nel firmamento del calcio nazionale.

Filippo Solarino

Tutti i colori del calcio. Gli autori Salvi e Savorelli, attraverso una storia universale del calcio come gioco e come istituzione, tracciano una mappa dei colori di centinaia di squadre e ne rintraccia l'origine. Dagli usi ca-vallereschi della guerra e dei tornei, il calcio ha ereditato il suo aspetto così affascinante di spettacolo a colori. La scelta dei colori delle sue casacche, e le regole che la governano, hanno infatti origine nel linguaggio cromatico della battaglia medievale, di cui, a sua insa-puta, il calcio è la più stupefacente in-terpretazione moderna, oggi che i cava-lieri si vedono soltanto al cinema. Que-sto libro, attraverso una storia univer-sale del calcio come gioco e come istitu-zione – che è anche la storia dei suoi club più famosi –, traccia una mappa dei colori di centinaia di squadre e ne rin-traccia l'origine; a proposito della qua-le, innestate su una rigorosa sintassi araldica, la moda, l'appartenenza socia-le, la politica, la religione e soprat-tutto il caso e il gusto sono stati spes-so determinanti. Insomma: come e perché la maglia del Chelsea è azzurra, quella del Liverpool rossa, quella del Celtic biancoverde? E perche la Juventus ha mu-tato il suo rosa iniziale nell'ormai tra-dizionale bianconero? Un capitolo è dedi-cato ai marchi dei club; il sistema dei segni probabilmente più noto al mondo, che sfata l'opinione comune secondo la quale la scienza del blasone sarebbe un passatempo per iniziati, incomprensibile e misterioso.

Ruben Lombardi

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TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 20

La nascita del movimento casual in Inghilterra.Il movimento casual inglese è iniziato alla fine del 1970, quando i tifosi del Liverpool FC, hanno esibito a tutto il resto dell'Inghilterra i migliori marchi europei che avevano trovato seguendo la loro squadra, nel 1977 nella trasferta, per i quarti di finale di Coppa dei Cam-pioni, contro i francesi del St Etienne. I tifosi del Liverpool, dopo quella sto-rica partita, sono tornati in Inghilterra con costosi “sportswear” sia italiani che francesi. I tifosi hanno introdotto così molti marchi di abbigliamento che non si erano mai visti nel Regno Unito, fino al allora. Poco dopo però anche gli altri tifosi inglesi volevano poter indossare sulle loro gradinate, questi rari oggetti di abbigliamento, come le polo Lacoste o Sergio Tacchini e le scarpe da ginnastica Adidas, che sono ancora oggi, dopo tanti anni, associate ai tifosi del Liverpool FC. Fino a quel momento sugli spalti bri-tannici incontravi, in certi punti delle curve, solo skinheads che indossano gli anfibi Dr. Martens. Quindi, senza timore di sbagliare si può dire che la cosiddet-ta “cultura Casual" sia iniziata con i tifosi del Liverpool FC. Ecco proprio da quei primi giorni gloriosi nasce l'evolu-zione della moda, negli stadi inglesi. Oggi alcuni tifosi del Manchester United si lamentano del fatto che anche loro hanno viaggiato all'estero in quegli anni e preso gli stessi capi di abbigliamento, ma che però la tifoseria del Liverpool gode sempre di maggiore credito presso gli altri tifosi. Chi è cresciuto a Man-chester è abituato a considerare il resto del paese un po’ più lento di loro, nella corsa della moda, che iniziò in quei tem-pi. Tuttavia prima della fine degli anni settanta i londinesi sembravano aver bru-ciato, anche culturalmente, i tempi. Tut-ti i media li dipingevano come coloro che dettavano i modelli di moda, sia nel ve-stire, che addirittura nel parlare. Il resto della Gran Bretagna sembrava non essere in grado di fare altrettanto, di essere alla loro altezza. Sembra di par-te, ma non c'è fumo senza fuoco. L'unica città che è stata in grado di sovvertire la loro egemonia è stata Liverpool. Biso-gna tornare indietro addirittura ai vec-

chi coffe shop dei primi anni '60, quando band come The Beatles, Wayne Fontana and the Mindbenders, Billy J. Kramer and The Dakotas e Herman’s Hermits hanno suonato dal vivo in posti leggendari come il The Cavern. Tornando alla polemica con i ti-fosi dei Red Devils, ci sono discussioni addirittura su come Manchester abbia co-struito i canali navigabili e le ferro-vie, prima di Liverpool e questo odio tra le due città si perde nei secoli, ma pen-so che nei primi anni '60 eravamo entram-bi, dentro una casa in fiamme. Nella sta-gione 1977-78 direi che le due città han-no condiviso, per prime in Gran Bretagna, la passione per la moda casual. A metà degli anni '70 in Inghilterra erano ini-ziati a comparire nei negozi sportivi i primi capi di abbigliamento firmato, so-prattutto sotto forma di repliche delle maglie da calcio delle squadre più impor-tanti e di borse sportive, le più richie-ste erano dell’ Adidas. Le prime scarpe da ginnastica Adidas, ( economiche e doz-zinali ) fecero la loro comparsa, pro-prio in quei tempi. Ma solo quando i ti-fosi del Liverpool FC sono andati in Francia e hanno visto tante boutique sportive pieni di giacche, di polo e di maglioni Lacoste e Adidas con stili e co-lori incredibili mai visti prima, la scintilla è scoccata. Non so, sinceramen-te, se queste marche avessero già in men-te una politica si sviluppo qui in In-ghilterra, ma solo grazie ai giovani ti-fosi del Liverpool FC hanno iniziato a produrre ed esportare una grande varietà di capi di ogni colore. Significava anche che allora, tutti noi, avevamo la libertà di esprimere il nostro gusto. Non c'erano altre regole che avere un buon istinto al momento dell’acquisto dei capi di abbi-gliamento. Una spilla infilata nel naso e un paio di calzini verdi luminosi non so-no stati più di moda…per fortuna. Il mo-vimento post-punk, definito new wave ('78-'79) ha creato un nuovo modo di con-cepire la moda. Se guardate le band in-glesi e americane di quel periodo, è ov-vio che avevano un look più semplice di quanto visto prima, ma era davvero più "in" per gli appassionati. I pantaloni a zampa d'elefante erano improvvisamente scomparsi, così come i grandi colletti "goon" della prima metà degli anni '70. I

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ragazzi iniziarono a vestirsi come David Bowie ed i Roxy Music e sembravano un vecchio mod ma soprattutto, nessuno volle più indossare abiti punk, o skinhead. Questa non fu come le mode giovanili pre-cedenti, quelle erano solo un modo per apparire. Ora invece era l’esatto contra-rio, si cercava di …non apparire. Tutto quello che c’era stato prima era conside-rato vecchio e sorpassato. La musica del tempo era un guazzabuglio di Blondie, The Motors, Elvis Costello, Sham 69, Buzzcocks, Squeeze, The Stranglers, Boom-town Rats, Devo, Ramones, The Jam. Una cosa da ricordare quando si parla di moda casual è che questo nuovo tipo di abbi-gliamento ti faceva passare più inosser-vato quando andavi allo stadio. Era sem-pre stato molto facile, da identificare chi indossava pantaloni a zampa d'elefan-te di grandi dimensioni, stivali Doc Mar-ten, tagli di capelli skinhead o sciarpe da calcio legate intorno ai polsi. A poco a poco (molto poco) tuttavia anche i ca-suals furono ben identificati, non tanto per il loro abbigliamento ma piuttosto per il loro taglio di capelli “The wedge “, a cuneo. The wedge era in realtà un taglio di capelli quasi femminile, usato da David Bowie, ed è stato un completo cambiamento dai tagli precedenti tipo skinheads e punk. Una vera rivoluzione. L'idea di andare allo stadio sotto menti-te spoglie, nasce dal fatto che questi ragazzi non indossavano i colori del club o stivali minacciosi. Ma all'interno del-la comunità casual una maglia, un maglio-ne con una minuscola etichetta poteva essere individuata da un miglio di di-stanza, soprattutto se chi lo indossa camminava in un certo modo, e indossava anche certi tipi si calzature. Quando si dice "sfoggiare vestiti costosi allo sta-dio", questa frase riassume tutto il mo-vimento casual, per quanto mi riguarda. Un cosa che non piaceva qui nel nord-o-vest era che i casuals di Londra andavano spesso allo stadio con maglie rosa e lo-ghi enormi. Noi invece, ci siamo concen-trati più sulla qualità della stoffa, i tipi di cuciture, il taglio, ecc… Questo non vuol dire però che anche a Londra non ci siano stati dei tifosi fantastici, solo che vestivano un po’ peggio di noi. Oggi, tutti vogliono dirti che il movi-

mento casual è nato tre o quattro anni prima nella loro città, rispetto a Liver-pool e Manchester. Ma credo che il 1979 fu il primo anno in cui si è visto questo movimento, non indossare un solo marchio. Alcuni ragazzi di Liverpool avevano ini-ziato ad indossare Lacoste, Fila, Adidas, ecc.. dai loro viaggi sul continente per le partite di calcio e siamo nell'autunno del 1979,: una polo, jeans e scarpe Adi-das. Inizialmente si trattava di una polo t-shirt Fred Perry, jeans Levis e scarpe da ginnastica Adidas Kick trainers. Poi, verso la fine del '79 divenne una Polo Peter Werth, jeans Lois e Adidas Stan Smith. Oggi il calcio ed il mondo del ti-fo in Gran Bretagna è totalmente cambia-to. Fa tutto parte del progresso, come sbarazzarsi dei servizi igienici esterni che avevamo quando eravamo solo dei bam-bini, e come il divieto di fumare nei luoghi pubblici. Gli stadi di calcio sono tutti posti a sedere. Tutte le vecchie gradinate sono scomparse, come la nostra leggendaria Kop. Ogni posto ha il suo bi-glietto e il suo numero, e ci sono tele-camere a circuito chiuso, che riprendono ogni istante della partita.. La sponta-neità e l'entusiasmo sono stati schiac-ciati, come il succo da un limone. Alcuni dicono che il movimento casual stia tor-nando…. ma solo nelle partite importanti puoi ancora incontrare le vecchie facce delle vecchie firms, sulle gradinate e prima della partita all’interno del loro pub di riferimento. I tifosi allora ave-vano anche un atteggiamento verso la po-litica diverso. proprio come per l'abbi-gliamento, ognuno aveva il suo modo di fare e di pensare . Chelsea, Leeds, Gla-sgow Rangers e Millwall avevano la repu-tazione di essere delle tifoserie nazio-naliste. Alcune squadre, come il Manche-ster City, il Birmingham City e il Car-diff, erano famose per essere più multi-razziali. Tra le firms delle squadre di Liverpool praticamente non c’erano facce di colore. Il Manchester United aveva in-vece una forte tendenza di sinistra e c’erano molti casuals di colore. Oggi quel mondo è cambiato, inesorabilmente perso. Che nostalgia per quei tempi eroi-ci.

Bill - 5 times

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Pasquino e le statue parlanti.Se a Londra, in Hyde Park, si trova Spea-ker’s Corner ovvero lo spazio dove chiun-que può parlare in pubblico per esporre le sue idee, noi a Roma abbiamo “Pasqui-no”. La statua di Pasquino, che dal 1500 ha sede nella omonima piazza, tuttavia non è l’unica statua parlante ma, come diceva il principe Antonio de Curtis (ov-vero Totò) “abondantis abondantum” ne ab-biamo altre cinque che con Pasquino danno vita al cosiddetto “Congresso degli Argu-ti”!!! La statua di Pasquino rappresenta una figura maschile, probabilmente il re greco Menelao, con il volto sfigurato e corroso dall’usura del tempo. Purtroppo non è dato conoscere l’origine del nome: alcuni pensano che forse era quello di un barbiere o di un oste che aveva la botte-ga nelle vicinanze, altri che il nome gli sia stato affibbiato dagli studenti della vicina Sapienza (non l’università attuale ma quella antica) per la somiglianza con un loro professore. Le Pasquinate, ovvero i cartelli appesi al collo della statua, erano sempre dirette contro l’autorità sia temporale che spirituale che nel 1800 erano incarnate nel Pontefice Romano, al-l’epoca “il Papa Re”: a proposito, il re-gista romano Luigi Magni fece un bel film intitolato “Il Papa Re” il cui protagoni-sta era il compianto Nino Manfredi, vale la pena di rivederlo. Tra le pasquinate più famose ricordiamo “Quel che non fece-ro i barbari fecero i Barberini” riferi-ta, appunto, a Papa Urbano VIII della fa-miglia Barberini che nel 1625 fece stac-care per fondere gli antichi bronzi roma-ni del Pantheon, per costruire il baldac-chino all’interno della Basilica di S. Pietro e i cannoni per Castel Sant’Ange-lo. Ieri si rubava il bronzo oggi ci sono i furti di rame…ma, almeno, con i primi se ne ricavavano delle opere d’arte! Un Papa straniero, l’olandese Adriano VI tentò di togliere la statua di Pasquino ma senza risultato anzi, Pasquino è rima-sto e lui è sepolto, ironia della sorte, nella chiesa di S. Maria dell’Anima che si trova a poca distanza dalla statua me-desima. A Pasquino fungeva da spalla un’altra statua: quella di Marforio (che rappresenta Nettuno o una divinità delle acque), una statua gigantesca che possia-mo ammirare salendo al Campidoglio al-

l’interno del cortile dei Musei Capitoli-ni. Marforio dialogava a distanza con Pa-squino con una sorta di botta e risposta tipo “ E’ vero che i francesi sono tutti ladri?” e Pasquino rispondeva “ Tutti no, ma Bona Parte si!” Scendendo dal Campido-glio e avvicinandosi al lato di Palazzo Venezia troviamo, adagiata su di un basa-mento in marmo una statua di epoca romana rappresentante una sacerdotessa della dea Iside: quella statua è Madama Lucrezia che molti identificavano con una dama di nome Lucrezia che era l’amante del re di Napoli. In via Lata, invece, c’è la fon-tana del Facchino (altra statua parlante) mentre su di un muro della chiesa di S. Andrea della Valle possiamo vedere la statua dell’Abate Luigi, altra scultura di epoca romana che deve il suo nome, pa-re, a quello del sacrestano della chiesa. Ultima statua parlante è il Babuino, nel-la via omonima, una figura di satiro che serve da elemento decorativo per una va-sca una volta utilizzata come abbevera-toio per i cavalli. Tra le sei statue la più importante e conosciuta rimane Pa-squino, voce degli oppressi che sbeffeg-giava il potere con i suoi cartelli iro-nici. In molti pensano che gli autori delle pasquinate fossero i popolani ma dobbiamo ricordare che, all’epoca, quasi nessuno era in grado di leggere o scrive-re quindi i cartelli provenivano da poe-ti, scrittori o, addirittura, da eccle-siastici che, magari, non avevano ricevu-to i privilegi che si attendevano e quin-di si vendicavano in tal modo. L’ironia cinica e corrosiva è sempre stata una prerogativa dello spirito romano, oltre alle statue parlanti esisteva anche, in carne ed ossa, un uomo che si prendeva gioco del potere nella Roma papalina: Ghetanaccio. Gaetano Santangelo, questo era il suo vero nome, nacque nel 1872 e per vivere faceva il burattinaio ambulan-te, infatti girava per il centro di Roma portandosi a spalla il “castelletto” cioè il teatro dei burattini: per intenderci quello che c’era (e forse c’è ancora) al Pincio e a villa Borghese con Pulcinella e Arlecchino. Ghetanaccio spesso, metteva in bocca ai suoi burattini battute pesan-ti contro il Papa, i preti ed i potenti del tempo e per questo molte volte finì in prigione; purtroppo morì in miseria

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la palla

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poiché nel 1825 fu proclamato l’Anno San-to e, di conseguenza, furono proibiti gli spettacolo di ogni genere così Ghetanac-cio si ridusse a chiedere l’elemosina. Gigi Proietti, verso la fine degli anni 70, mise in scena uno spettacolo dedicato a questo personaggio poco conosciuto così come spesso ha citato e rifatto nei suoi spettacoli un altro grande attore satiri-co romano: il grandissimo Ettore Petroli-ni, altro campione dello sberleffo, che ricordiamo soprattutto nelle sue mac-chiette più famose quelle di Nerone e di Gastone. L’ ironia romana, dicevo prima, è acida, cinica propria di un popolo che ha fatto la storia e ha visto la storia scorrere nelle sue strade e, quindi, niente gli fa impressione, nulla lo mera-viglia perché ha già visto tutto. Quando muore il re gli inglesi dicono “E’ morto il re, viva il re” a significare la con-tinuità della monarchia che non finisce con la morte di un uomo ma continua nei secoli. I romani, invece, dicono “Morto un Papa se ne fa un altro” che oltre al senso di continuità ne racchiude un al-tro: che nessuno, anche se Papa, è inso-

stituibile e alla fine siamo tutti uguali potenti e non.

Vorrei terminare questo articolo con una poesia di un altro romano: Giuseppe Gioa-chino Belli.

La vita dell’omo”

Nove mesi a la puzza: poi in fassciolaTra sbasciucchi, lattime e llagrimoni:Poi p'er laccio, in ner crino, e in ve-sticciola,Cor torcolo e l'imbraghe pe ccarzoni.

Poi comincia er tormento de la scola,L'abbeccè, le frustate, li ggeloni,La rosalìa, la cacca a la ssediola,E un po' de scarlattina e vvormijjoni.

Poi viè ll'arte, er diggiuno, la fatica,La piggione, le carcere, er governo,Lo spedale, li debbiti, la fica,

Er zol d'istate, la neve d'inverno...E pper urtimo, Iddio sce bbenedica,Viè la morte, e ffinissce co l'inferno.

Paola Bracci

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il regista

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Il piccolo tifoso, il derby e gli Ultras,: una storia a lieto fine.Ricordate la storia di quel bambino im-possibilitato ad andare a vedere il derby di Milano essendo sprovvisto della tesse-ra del tifoso? Di appena 12 anni, figlio di un mio caro amico in Calabria, era ri-uscito ad ottenere il consenso, dopo anni di rinvii e scuse varie, per poter final-mente andare ad assistere alla “partitis-sima” in quel di San Siro e poter, quin-di, ammirare dal vivo, per la prima vol-ta, le gesta dei suoi beniamini in maglia nerazzurra. Ma qualcosa aveva spezzato anticipatamente l’entusiasmo di quel pic-colo tifoso. La burocrazia e le assurde disposizioni sulla Tessera del Tifoso avevano, di fatto, impedito l’acquisto dei biglietti al padre e al figlio. L’In-ter, infatti, in qualità di squadra ospi-tante, aveva incredibilmente stabilito che l’acquisto dei tagliandi per accedere allo stadio in occasione del derby pote-vano essere acquistati esclusivamente dai possessori della famigerata tessera del tifoso. Tessera del tifoso che, per al-tro, doveva essere, obbligatoriamente, sottoscritta entro il 30 Marzo scorso, nonostante la vendita dei biglietti fosse iniziata il 12 Aprile. Sembrava non ci fosse nulla da fare. Sembrava che il cal-cio moderno avesse mietuto l’ennesima vittima, in nome e per conto del dio de-naro. Ed invece questa volta le cose sono andate diversamente. L’articolo da me scritto e successivamente pubblicato sul sito del Sodalizio, e su vari portali di controinformazione, subito dopo, non è passato inosservato. Ed infatti, dopo un paio di giorni, ecco che, grazie anche al Sodalizio della Lazio che si è da subito attivato per risolvere questo problema, vengo messo in contatto con Angelo, uno dei leader del gruppo dei Templari del-l’Inter. Angelo, appresa l’intera vicen-da, mi promette che farà il possibile per far si che il sogno del piccolo tifoso interista si possa realizzare. Passano i giorni, ed ecco che finalmente arriva la notizia sperata. Angelo ha ottenuto la possibilità di fare due biglietti per far assistere, al giovane nerazzurro e a suo padre, il tanto agognato derby. Inviamo quindi la copia dei documenti per acqui-stare i tagliandi e, finalmente, nella

mattinata del 6 Maggio, padre e figlio si imbarcano sull’aereo che dalla Calabria li porta direttamente in quel di Milano.L’appuntamento è alle 19, nei pressi del-l’ingresso 3 dello Stadio San Siro, dove Angelo gli consegna i biglietti tanto am-biti. Sono due tagliandi per il secondo anello arancione, e da qui il piccolo ti-foso interista ha potuto ammirare, con gli occhi sgranati, la bellissima coreo-grafia della Curva Nord, esposta durante l’ingresso in campo delle squadre, e ha potuto assistere, successivamente, ad uno dei più bei derby di Milano degli ultimi anni, terminato con la vittoria della compagine nerazzurra per 4 a 2. Una volta tanto, quindi, una storia a lieto fine, grazie, ovviamente, all’interessamento e al fondamentale aiuto di Angelo e del suo gruppo. Quello stesso gruppo che incarna i valori e lo spirito di moltissimi altri gruppi di Ultras e di tifosi italiani. Quegli stessi gruppi, sparsi in tutta Italia, troppo spesso accusati e addita-ti, ingiustamente e quanto mai frettolo-samente, come l’unico male di questo cal-cio. Un calcio fatto di scommesse, risul-tati a tavolino, doping, soldi, partite comprate, veline, letterine, presidenti arroganti, giornalisti compiacenti ed istituzioni incompetenti. Uno sport dove i tifosi sono rimasti, ormai, l’unica parte realmente pulita di tutto il siste-ma, nonostante i media e gli opinionisti da salotto vogliano farci credere il con-trario. Ma in questo caos generale, men-tre lo sport più bello del mondo va, ormai irrimediabilmente, a rotoli, il sorriso entusiasta di un bambino che sale i gradoni di uno stadio e rimane estasia-to di fronte a quel turbinio di colori, odori e suoni incessanti, è pur sempre una bellissima notizia!

Daniele Caroleo

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storia schegge di storASSOCIAZIONE CULTURALE SPORTIVA SODALIZIO BIANCOCELESTE sstoria storia

TRIBUNA TEVERE N.9 - GIUGNO 2012 PAGINA 25

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“ASSOCIAZIONE SODALIZIO BIANCOCELESTE”

...e... STADIO “OLIMPICO” di ROMA - TRIBUNA TEVERE

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