Testo trascritto da: Roberto Coslovi Anshin il: 28 giugno ... · il freddo di tutti gli anni....

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1 revisione: Donatella Celoni Yoten il: 5 febbraio 2018

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SESSHIN DI GENNAIO 1988

SESSHIN KOKUHO 8 gennaio 1988

La prima sesshin del 1988. Siamo qui, come gli anni passati, ai primi di gennaio e come sempre conil freddo di tutti gli anni.Ognuno di noi, per abitudine o perché lo impara dagli altri, vuole cominciare l'anno, il primogennaio, in un modo che impronti tutta la vita di questi trecentosessantacinque giorni che hadavanti o che almeno spera di vivere, e allora chi mangia lenticchie per contare i soldi, chi si dà agliauguri, chi sta sveglio perché l'anno nuovo lo vuole vedere in piedi, chi si fa i bagni freddi perchépensa così di andare avanti bene con la salute, chi fa la cosa, che ama di più sperando di poterlafare tutto l'anno. Noi, anche se non è il primo gennaio, siamo qui a sederci in meditazione, a vivereinsieme la sesshin, a continuare lo sforzo, a continuare il lavoro che ormai alcuni di noi hannocominciato già da lungo tempo. Che si viene a fare qui? Si viene a ripetere azioni conosciute, aripetere frasi usate, a compiere qualcosa che sappiamo a memoria, a ritrovare sapori, rivederepanorami, sentire odori conosciuti, ma soprattutto veniamo qui per entusiasmarci di nuovo, pertrovare il modo di mettere una mano nell'entusiasmo. Se pensiamo alla nostra vita come fatti cheaccadono uno dopo l'altro senza che mai succeda qualche cosa, la nostra vita sarà piatta eduniforme. Ma la nostra vita, ad ogni angolo, ad ogni secondo, dopo ogni respiro, può far scaturiredal profondo di noi stessi quella gioia verso la quale tutti quanti tendiamo. Ma per fare sì chequesta gioia scaturisca, ci deve essere l'entusiasmo in noi, noi stessi dobbiamo andare verso la vitacon gioia perché dalla vita questa gioia venga fuori. Non possiamo andare avanti mosci mosci!Ecco, allora, che cosa è una sesshin: fare uno sforzo per venire qui e questo sforzo dimostra che c'èuna molla che ci spinge a muoverci, fare uno sforzo per venire qui e trovare di nuovo l'entusiasmodal quale fare uscire - come sempre diciamo - la nostra reale natura di Buddha. Questa sola vale lapena di essere perseguita. Quante volte è stato detto! Se si aspira al denaro, alla gloria al potere,alla salute, alla bellezza, tutte queste aspirazioni verranno deluse, prima o dopo. Ma se si aspira arealizzare la propria reale natura di Buddha, questa aspirazione qua, sicuramente, non ci porteràdelusioni, anzi! Renderà la nostra vita realmente valida, realmente valevole di essere vissuta.Allora, entusiasmiamoci in questi due giorni che stiamo insieme, e affrontiamo tutti gli avvenimentiche ci verranno incontro e verso i quali noi andiamo incontro, con gioia. Nessuno ci ha imposto divenire qui, non stiamo qui a fare dei sacrifici, ma stiamo qui per nostra scelta profonda, personale,soltanto perché noi vogliamo essere qui e se noi vogliamo essere qui significa che ci piace esserequi per cui, dall'essere qui, trarremo sicuramente soddisfazione.Allora, forza!

JUNKEI 9 gennaio 1988

Il freddo di questa mattina mi fa pensare a quello che, ormai una ventina di anni fa, io sentivo aShofukuji al mattino appena alzati, d'inverno quando ero lì i primi tempi, soprattutto i primi tempi.Appena alzati, così presto, che si usciva dall'unico posto caldo di tutto il monastero che era ilproprio sacco, bisognava correre per recitare i sutra e poi si aspettava con piacere quei dieci minutidi riso bollente che ci avrebbe scaldati e, ancora di più, dopo quello, tornati nello zendo, quellamezz'ora in cui ci saremmo buttati addosso la coperta rimanendo seduti e lì, avvolti in questacoperta, appoggiati all'armadietto che c'era dietro di noi avremmo potuto dormicchiare quella

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mezz'ora. Non che fosse tanto caldo, perché si poteva tenere soltanto una coperta addosso, mainsomma, tutti ben accartocciati, avvoltolati bene, si arrivava fino al momento in cui si cominciavala pulizia del giardino e poi alle otto ancora meditazione, ancora quello che ci doveva essere, e poiil teisho del maestro. Nel monastero zen giapponese, almeno nel tempo in cui ci sono stato io, le gioie dei monaci, ipiaceri possiamo dire, erano pochi: mangiare, dormire, i piaceri fisici ai quali si poteva attingere.Mangiare anche per scaldarsi e naturalmente, per il piacere di gustare dei cibi, questo piacere cosinaturale e così ancorato alla sopravvivenza, e poi dormire. Quando si dormiva, quelle poche ore, siera caldi e si stava bene. Se andiamo a vedere bene, in fondo, agli esseri umani non servono poitante altre cose. Meditando, i monaci erano capaci di entrare in qualunque mondo e la loro menteera occupata nella maniera più totale. Tutto il resto - al mattino già si vedevano e si sentivano itreni che ricominciavano a correre, gli autobus, le automobili, ricominciavano a spegnere le luci deineon che erano state accese per tutta la notte - il mondo esterno al monastero riprendeva a vivere,ma i monaci ugualmente riprendevano a vivere senza aver mai interrotto la propria vita e sirendevano conto - quelli che volevano - che bastava loro poco: un po' di mangiare e un po' didormire. Da quel po' di dormire e di mangiare si riusciva a trarre tutti i piaceri corporali e per ilresto: il lavoro che assorbiva tutta la giornata, o la meditazione appena il lavoro finiva. Gli esseri umani non hanno bisogno di tanto se scoprono la capacità di gustare a fondo le pochecose di cui hanno realmente bisogno.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. VIII° pag. 81-83 “IL SENTIERO DEL BUDDHA”_________________________

Un Bodhisattva presente, di nome Manifestazione Universale, chiese a Vimalakirti: "Chi sono i tuoigenitori, tua moglie e i tuoi figli, i parenti e i congiunti, gli amici ufficiali e personali, e dove sono ituoi paggi e le fanciulle, gli elefanti e i carri dei cavalli?".In risposta, Vimalakirti cantò ciò che segue: "la perfezione della saggezza è la madre delBodhisattva, il padre è il metodo opportuno. perché i maestri di tutti gli esseri viventi derivano soltanto da questi due (upaya e prajna). La moglie è la gioia della legge del Dharma; La benevolenza e la pietà sono le sue figlie,I suoi figli la moralità e la sincerità,La vacuità assoluta la sua quieta dimora.Le passioni sono i suoi discepoli;Che trasforma a piacere.I Bodhipaksita dharma sono i suoi amiciChe lo aiutano a conquistare la suprema illuminazione.Tutte tre le perfezioni sono i suoi compagni.I quattro metodi vittoriosi sono le sue cortigiane,Gli inni, i canti e le intonazioniDel Dharma sono le sue melodie.Il controllo assoluto delle passioni è il suo parco,L'impassibilità il suo boschetto.I (sette) gradi della bodhi sono i fiori

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Che danno il frutto della liberazione della saggezza.Il laghetto dell'ottuplice liberazioneContiene un'acqua tranquilla che è chiara e profonda.I sette fiori della purezza sono benPredisposti per bagnare quest'uomo (Bodhisattva) senza macchiaI cui cinque poteri soprannaturali sono gli elefanti e iCavalli in marcia, mentre il Mahayana è il suo veicoloChe, controllato dalla mente unica,Corre sugli otto nobili sentieri.(Trentadue) segni caratteristici nobilitano il suo corpoMentre (otto) perfezioni vi aggiungono la loro grazia.Il pudore è il suo abbigliamentoE la mente profonda la sua acconciatura.Le sette ricchezze che possiede sono i suoi beniChe, utilizzati per insegnare agli altri, guadagnano un utile maggioreDedicando tutti i meriti (alla Buddhità), la sua praticaDel Dharma così sostenuta conquista un profitto di gran lunga superiore eI quattro Dhyana sono il suo letto diMeditazione che deriva dal vivere puro.La vasta erudizione sviluppa la saggezzaAnnunciando l'auto-risveglio.Il suo brodo è il sapore della liberazione.I precetti sono il suo balsamoProfumato e la pura mente il suo bagno.Per l'uccisione del klesa colpevole,La sua audacia è insorpassata.Per la disfatta dei quattro demoniPianta il suo stendardo trionfante come un bodhimandala.Benché sappia che non esiste né la nascita né la morte,Rinasce per mostrarsi a tuttiApparendo in molti paesiCome il sole è visto da ognuno.Nel fare offerte a BuddhaInnumerevoli nelle dieci direzioniEgli non discriminaTra se stesso e loro.Benché sappia che le terre di BuddhaSono vuote come gli esseri viventiSeguita a praticare (il Dharma) della PuraTerra per istruire e convertire gli uomini.Nel carattere, nelle fisionomie,Nella voce e nel portamento,Questo Bodhisattva impavidoSi può mostrare simile a loro.

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TEISHO 9 Gennaio 1988

Questo capitolo "Il sentiero del Buddha" lo abbiamo già visto in due volte. La prima domanda allaquale doveva rispondere Vimalakirti era: "In che modo un Bodhisattva entra nel sentiero delBuddha?" e un'altra la successiva, già presa in considerazione, era: "Quali sono i semi delTathagata?". Qui invece, un altro bodihisattva chiede a Vimalakirti chi sono i suoi genitori, lamoglie, i figli, e tutto il resto che può interessare.Non gli chiede che titolo di studio ha, dove ha studiato, quanto guadagna, dove lavora, mainsomma tutte queste sono le cose che, in fondo, quelli che vogliono conoscerci meglio - secondoloro o secondo noi anche, quando ci troviamo in questa posizione - ci chiedono e Vimalakirtirisponde in modo supremo. Non si può rispondere meglio di così, cioè senz'altro Vimalakirti ha lamoglie, i figli, il padre, la madre - che li abbia o li abbia avuti - amici ufficiali e amici stretti, etc. etc.Però è molto importante che non risponda in quel modo, ma risponda in un modo che qui sipotrebbe definire anche non aderente al Ch'an. Risponde in una maniera da bodhisattva, dabodhisattva cioè come ci si aspetterebbe che risponda un bodhisattva. Un maestro di ch'anrisponde ugualmente da bodhisattva ma non come ci si aspetterebbe la risposta di un bodihisattva.Se ci aspettiamo la risposta di un bodhisattva, risponde da persona normale, se ci aspettiamo larisposta di una persona normale risponde da persona stravagante che potrebbe essere sia unbodhisattva che uno stravagante e basta o uno che è venuto qua.Qui Vimalakirti, da bodhisattva risponde da bodhisattva e noi ne prendiamo atto perché quello chedice in fondo ci colpisce, anche sapendo che un bodhisattva che risponde da bodhisattva non puòdare una risposta diversa da questa. Ma ci colpisce e ci interessa - e ci interessa perché può aiutarci- in quanto anche noi siamo spesso di fronte alle situazioni in cui dobbiamo decidere chiaramentechi è veramente - come in questo caso in cui Vimalakirti comincia dicendo: "La perfezione dellasaggezza è la madre del bodhisattva e il metodo opportuno è il padre". Chi sono i nostri veri genitori? Sono quelli dai quali per un accoppiamento sessuale noi siamo nati,perché appunto, fecondato quello che doveva essere fecondato e naturalmente poi nati e aiutati acrescere, oppure sono quelli veri, cioè la perfezione della saggezza e il metodo opportuno, comedice Vimalakirti? Quando si riceve un'iniziazione, in qualunque situazione ci troviamo - non deveessere affatto un grande maestro o chissà chi a darci questa iniziazione, o il grande maestro dellamassoneria o il maestro di ch'an o il Dalai Lama. Dal momento in cui noi ci avviciniamoall'insegnamento e qualcuno ci aiuta a comprenderlo e noi rivoltiamo completamente la nostravita, praticamente rinasciamo perché abbiamo scoperto qualcosa che prima non conoscevamo, percui il momento in cui la scopriamo e ne diventiamo padroni, siamo un'altra persona da quella cheera prima, i nostri genitori, effettivamente, chi sono?Quella persona che ci ha permesso di diventare un'altra persona, un altro, diverso da quello cheeravamo prima o quelli che ci hanno fatto nascere all'inizio quando abbiamo cominciato a contarezero anni, zero giorni zero mesi e poi un giorno e poi un mese, e poi un anno e così via? Ilmomento in cui noi entriamo direttamente in contatto con la perfezione della saggezza ed ilmetodo opportuno di cui parla qui Vimalakirti, non siamo più quello che eravamo prima. Cosìcome il momento in cui noi nasciamo nella pancia di nostra madre, non siamo più quello cheeravamo prima: prima eravamo un ovulo fecondato, dopo dentro la pancia fino a un certo puntosiamo un embrione di essere umano, e poi siamo un essere umano piccolo, appena nato.Attraverso la nostra esistenza noi entriamo ed usciamo continuamente da morti e nascite,moriamo a quello che eravamo un giorno fa e rinasciamo a quello che siamo ora o che saremodomani. Queste nascite non vengono procurate soltanto dal nostro lavoro su noi stessi, ma

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vengono procurate, spesso, dall'incontro accidentale o voluto con altre persone, ma non soltantoaltre persone, anche altri paesaggi, anche scritti, anche suoni: c'è qualcosa che ci colpisce e che cifa essere diversi da quello che eravamo fino al momento prima.E così possiamo comprendere come Vimalakirti, con sicurezza e con grande benevolenza - perchéinvia questo messaggio a tutti quanti noi - continui nell'enumerare tutti i suoi parenti, amici, e viadicendo. "La moglie è la gioia della legge del Dharma; la benevolenza e la pietà sono le sue figlie": unbodhisattva emana benevolenza e pietà, che sono le sue due figlie, queste due bellezze che vannoin giro per il mondo a portare felicità. "I suoi figli la moralità e la sincerità; la vacuità assoluta la suaquieta dimora. Le passioni sono i suoi discepoli che trasforma a piacere" e via dicendo.Dobbiamo arrivare alla fine dove dice: "Benché sappia che le terre di Buddha sono vuote come gliesseri viventi seguita a praticare il Dharma della Pura Terra per istruire e convertire gli uomini. Nelcarattere, nelle fisionomie, nella voce e nel portamento, questo bodhisattva impavido si puòmostrare simile a loro". Benché tutti quanti noi sappiamo che questo mondo sia vuoto,essenzialmente vuoto, tutti quanti noi viviamo in questo mondo e ci mostriamo impavidamentecon un volto simile a tutti quelli degli altri. Ma non dobbiamo lasciarci trarre in inganno: dobbiamoveramente trasformarci, tanto da sapere con esattezza quando entriamo in un mondo e quandoinvece ne usciamo per entrare in un altro. Il mondo dell'assoluto e il mondo del relativo sono due mondi separati ma nello stesso tempo unitie noi dobbiamo imparare a camminarci, a percorrerli con la tranquillità e con la sicurezza di unvero praticante.Ritornano spesso alla mente le parole di Lin-Chi il quale diceva che era capace di entrare e di usciredal mondo delle trasformazioni. Tutto quello che dice Vimalakirti può essere accettato in blocco enon c'è bisogno che lo ripercorriamo tutto quanto: lo abbiamo già letto bene e basta andarselo arileggere in qualsiasi momento. Dobbiamo sviluppare una finezza, dobbiamo sviluppare la nostracapacità evolutiva affinché, appunto, si sia capaci di entrare e gioire nel mondo della relatività, cosìcome nel mondo della relatività sapere che non è tutto lì, c'è qualche altra cosa, qualche altra cosadi cui noi siamo anche abitanti, anche inquilini. C'è questa cosa che è una casa di cui siamo inquilinie di cui possediamo la chiave e nella quale possiamo entrare ed uscire a nostro piacimento, aseconda delle circostanze in cui ci troviamo.Questo è il lavoro che dobbiamo fare con tutta la nostra forza perché è questo l'unico lavoro che cipermetta di essere esseri liberi e non imprigionati, o condizionati, o legati, o plagiati da qualunquealtra cosa.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI9 Gennaio 1988

In questi giorni che sono stato ad arrampicare, ho parlato agli allievi presenti dell'allenamento edella sofferenza che l'allenamento a qualunque disciplina: sportiva, artistica, o ascetica, comporti.Se non c'è sofferenza se non si riesce a morire a questa sofferenza, non c'è la possibilità di rompereper entrare in una dimensione di capacità, capacità creativa. Qualche giorno fa una persona mi ha scritto chiedendomi delucidazione sul fatto che noi sediamodurante tutto l'arco della notte e, siccome è praticante di buddismo tibetano, volendo fare deiparagoni con quello che lui fa, gli sembra di trovare in questa nostra abitudine soltanto un fattoredi allenamento alla pazienza, mentre invece non è affatto questo. A parte che non è unallenamento a qualcosa: questo attraversamento notturno di un giorno della nostra vita èun'avventura che noi viviamo con tutte le nostre forze. Ma è questo quello che ci permette di

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scoppiare in qualche modo. Se non ci impegnamo tutti completamente, tutte le nostre giunturetutti i nostri pori, tutti i nostri desideri e se tutti i nostri sensi non sono messi a tacere e rimane unospiraglio a cui attaccarsi allora non va bene.Ora una notte passata d'inverno o d'estate - l'inverno ha i suoi problemi e l'estate ne ha altri - unanotte passata così, con i suoi dolori di gambe naturalmente, con questo sonno che ci prende, conquesta impazienza, con questa difficoltà di esserci sempre, in ogni secondo, in ogni istante.Tutte queste difficoltà fanno sì che noi siamo impegnati con tutte le nostre forze al massimo.Soltanto se si dà il massimo, si riesce a comprendere: Il piccolo cabotaggio, il traccheggiamento, ildire: "Beh, questa sera ho fatto abbastanza, domani farò di più", questo non porta lontano, nonporta assolutamente lontano ma neanche vicino, non porta e basta. Bisogna arrivare a morire, se siriesce a morire allora si rinasce; se invece si ha la paura di andare oltre allora si rimane semprevecchi e questa vecchiaia con gli ospizi così come sono messi adesso e con la solitudine che c'è ingiro, non è una situazione bella.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI10 Gennaio 1988

Qualunque problema, quando siamo riusciti a risolverlo, è semplice. Così sono i koan: una voltacapiti, ci rendiamo conto che stiamo lavorando su cose semplici. Se ne avessimo il coraggiopotremmo dire pure che stiamo lavorando su delle sciocchezze, ben sapendo che non sonosciocchezze perché coinvolgono tutto il nostro essere e si mettono in relazione a tutta la nostraesistenza. Comunque, una volta superati: "Ah quanto era facile! È facile quando comprendiamo, èimpossibile quando invece la porta della comprensione non l'abbiamo ancora aperta. E questopassaggio dall'impossibile alla semplicità più grande è immediato, immediato nella comprensione,anche se il tragitto spesso è molto lungo. L'immediatezza è una caratteristica di tutte lecomprensioni. Quando si capisce, si capisce in un colpo d'occhio, in un momento, oppure vuol direche non si sta capendo, si stanno immagazzinando informazioni per poi dopo, chissà quando, tirarefuori la comprensione. Anche queste piccole comprensioni che noi immagazziniamo attraverso ikoan o attraverso tutti i problemi, fanno parte dell'accumulo di nozioni - possiamo dire - per unasuccessiva grande comprensione e, in fondo, anche questa successiva grande comprensione di unessere umano non è altro che il gradino sul quale poi costruire una successiva grandecomprensione dell'umanità. Il mondo si muove verso la comprensione, la nostra mente si evolveverso la comprensione, dobbiamo soltanto trovare il modo affinché riesca a comunicare con questacomprensione per trarne tutti i benefici possibili. Ma il fatto che all'inizio si sia detto che unproblema una volta risolto è poi semplice, non significa che dobbiamo assumere un'aria disufficienza perché tanto, poi, la comprensione è semplice. La comprensione richiede una lungaapplicazione. Il raggiungimento della comprensione poi è immediato è semplice, ma fino al puntodel raggiungimento c'è molto lavoro da fare ed è quello che in qualche modo, stiamo facendoanche noi.

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VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. VIII pag. 84 - 86“IL SENTIERO DEL BUDDHA”_________________________

Conosce i danni che fanno i demoniMa appare come uno di loroServendosi di saggi metodi opportuniPer sembrare, a piacere, simile a loro.O appare vecchio, malato e morentePer far comprendere agli esseri viventiChe tutte le cose non sono altro che un'illusione,Per liberarli da tutti gli ostacoli.O mostra la fine dell'eoneCon il fuoco che distrugge il cielo e la terraPerché coloro che si aggrappano alla permanenzaComprendano l'impermanenza delle cose.Allora innumerevoli esseri viventiVisitano questo Bodhisattva,E lo invitano alle loro casePer essere convertiti al sentiero del Buddha.Di libri eterodossi, di incantesimi Di abilità, magie, arti e attitudini,Si mostra espertoPer aiutare e beneficare (tutti) gli esseri viventi.Apparendo tra loro, si unisce al SanghaAllo scopo di liberarli dalla contaminazionePer evitare che cadano nell'eresia.Quindi lo si vede come il sole, la luna o il cieloCome Brahma o il signore di (tutto) il mondo,A volte come la terra o l'acquaO come il vento e il fuoco.Quando si ammalano o le epidemieInfieriscono, prepara Erbe medicinaliPerché essi le prendano per guarireLa loro malattia o infezione.Quando regna la carestiaProduce cibo e bevandePer salvarli dalla sete e dalla famePrima di insegnar loro il Dharma.Nei periodi di guerra insegnaLa benevolenza e la pietàPer convertire gli esseri viventiPerché possano vivere in pace.Quando gli eserciti si allineano per la battagliaDà a entrambi una forza uguale.

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Con la sua autorità e il suo potere, li costringeA riconciliarsi e a vivere in armonia.In tutti i paesiDove vi siano inferniGiunge inaspettatamentePer alleviare le loro sofferenze.Dovunque gli animaliSi divorino l'un l'altroEgli appare tra loro Esortandoli a essere buoni.Mentre sembra che abbia i cinque desideriEgli medita semprePer sconfiggere i demoniEd evitare i loro danni.Come quella cosa rarissima, un lotoche fiorisca in un fuoco ardente,Egli medita tra i desideri,E anche questa è una cosa rarissima.O appare come una prostitutaPer attirare coloro che si abbandonano alla lussuria.Dapprima usa la tentazione per prenderli all’amoE in seguito li conduce alla saggezza del Buddha.Appare come un magistrato del distretto, o come un capodella casta dei mercanti,Un precettore di stato o un alto ufficialePer proteggere gli esseri viventi.Ai poveri e agli indigentiAppare con una borsa illimitataPer consigliarli e guidarliFinché non sviluppino la mente della bodhi.Agli orgogliosi e agli arrogantiSi mostra potentePer domarne la vanitàFinché non percorrano il sentiero supremo.Allora viene a confortareLe persone vili,Dapprima le rende impavide,In seguito le esorta a ricercare la verità.O si mostra senza desideri e agisceCome un veggente con cinque poteri spiritualiPer convertire gli esseri viventi insegnando loroLa moralità, la pazienza e la compassione.A coloro che hanno bisogno di sostegno e aiutoPotrebbe mostrarsi come un servitore Per soddisfarli e persuaderliA coltivare la mente del TaoProvvedendoli di tutto ciò di cui necessitanoPer entrare nel sentiero del Buddha;

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Servendosi così di metodi opportuniPer provvedere a tutti i loro bisogni.Inoltre, le sue azioni, come sono dotate della veritàIllimitata, sono anche eterne;Con la sua saggezza che non ha limiteLibera innumerevoli esseri viventi.Se tutti i Buddha dovesseroPassare eoni innumerevoliA elogiare i suoi meritiNon potrebbero mai calcolarli interamente.Chi, dopo aver udito questo Dharma,Non sviluppa la mente della bodhi,Non può essere altro che un uomo indegno,Un somaro senza saggezza.

TEISHO 10 Gennaio 1988

Questo lungo poema di Vimalakirti che inizia dicendo che i suoi genitori sono la perfezione dellasaggezza e il metodo opportuno, ovvero gli stratagemmi o upaya, si divide in due parti: la primaparte quella che abbiamo già osservato, è quella della perfezione della saggezza. Adesso, nellaseconda parte, parla soprattutto del metodo, dell'upaya, degli stratagemmi che il bodhisattvamette in atto per propagare e per sviluppare il Dharma, per aiutare, per qualunque cosa, così comeviene detto qui, che serva ad attirare nel campo della buddità e a render poi bodhisattva e Buddhapiù esseri viventi possibile. Aiutarli con tutti i mezzi, come: "Quando regna la carestia produce ciboe bevande per salvarli dalla sete e dalla fame prima di insegnar loro il Dharma". Questo è moltoimportante e cioè come gli esseri umani abbiano una scala di bisogni, di bisogni primari la cuiprimarietà è attinente al corpo, quello che ci è più vicino in fondo, quello che è nato prima nellalunga evoluzione dell'umanità quello che bisogna soddisfare per passare poi a quei bisognisuccessivi, che non sono bisogni secondari. Sono bisogni primari e bisogni successivi perchéentrano nella mente, si evidenziano in una fase successiva di evoluzione. Per cui, prima di tutto,l'essere umano ha bisogno di mangiare e di bere; successivamente, quando questo mangiare ebere è soddisfatto, si sviluppa nell'essere umano una facoltà successiva che è quella di un altrobisogno primario, che è quella del Dharma. Appunto qui Vimalakirti dice: "Quando regna lacarestia produce cibo e bevande per salvarli dalla sete e dalla fame prima di insegnar loro ilDharma". Se insegnasse prima loro il Dharma non userebbe a luogo e a tempo, soprattutto, il suostratagemma perché in fondo, abbiamo già visto che diceva: "Non date le perle ai porci e le cosesante ai cani", e qui Vimalakirti vuol dire la stessa identica cosa: ai porci e ai cani prima bisognadare da mangiare quello che i porci e i cani hanno bisogno di mangiare. Successivamente, quandodallo stato di porci e cani passano a quello di esseri umani, allora si può dare loro l'insegnamentodel Dharma perché sono in grado di poterlo accettare, di poterlo apprezzare per quello che è.Quello dell'uso degli stratagemmi è molto importante nel buddismo mahayana e naturalmente nelchan - perché noi apparteniamo a questo grande filone di buddismo - perché con tutti gli esempiche in questo lungo poema Vimalakirti fa, ci possiamo rendere conto di quante siano le occasioni incui dobbiamo agire in un modo e, allo stesso tempo, al contrario del modo in cui abbiamo agito. Aseconda delle persone con le quali ci troviamo a trattare, dobbiamo porci di fronte a loro inmaniera completamente diversa, rispettivamente, e questo giudizio sul nostro comportamento

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può essere dato soltanto dalla nostra comprensione della realtà. Chi ci osservasse dall'esternopotrebbe avere dei dubbi sul nostro trasformismo e pensare che esso sia dovuto a incapacità oanche a disonestà, e cioè dire una cosa da una parte e dirne un'altra dall'altra parte. Come enunciain questo poema Vimalakirti, il bodhisattva nell'uso dei suoi stratagemmi si presenta in tantissimimodi: lo abbiamo visto anche prima. "Conosce i danni che fanno i demoni ma appare come uno diloro servendosi di saggi metodi opportuni per sembrare, a piacere, simile a loro. O appare vecchio,malato e morente per far comprendere agli esseri viventi che tutte le cose non sono altro cheun'illusione, per liberarli da tutti gli ostacoli. Ma può benissimo apparire sano, giovane e forte perfarli aspirare a questa sanità, gioventù e forza affinché con queste capacità fisiche ormai placatepossa dedicarsi successivamente al risveglio delle capacità più fini, più spirituali, che sono appuntoquelle che gli permettono di avere la comprensione del Dharma. Tutto quello che dice Vimalakirtipossiamo dirlo così come lo dice lui e il contrario di quello che dice, perché tutto quanto dice e ilcontrario di quanto dice, possono essere usati come stratagemma in quanto se noi pensiamo chein quel momento quel metodo lì sia il migliore, sia per sviluppare le qualità fisiche delle persone,come pure per fare sviluppare le loro qualità spirituali noi, con la nostra coscienza in grado dicapire quello che dobbiamo fare, lo possiamo fare. Ma qual'è questa coscienza in cui si riesce acavalcare la linea che separa il bene dal male senza fare del male alle persone con le quali siamo incontatto? Questo è molto difficile da decidere, è molto difficile da comprendere e perciò,successivamente, decidere. Non si può dare una spiegazione esatta di come si possa agire.Certamente noi nella nostra pratica quotidiana, o mensile, nella pratica che abbiamo con il koan,siamo posti spesso di fronte alla risoluzione di problemi che richiedono la nostra partecipazionecompleta e che ci fanno vedere delle situazioni sotto un aspetto che non avremmo maiimmaginato. Per cui ci danno la capacità - possiamo dire usando una terminologia geografica - unacapacità di muoverci a trecentosessanta gradi. Nessuna possibilità è interdetta all'essere umano.L'importante è che sappia comprendere questo confine tra il bene e il male. È imperativo il fattoche non si faccia del male agli altri esseri umani. Spesso nel passato abbiamo avuto delle guerre direligione dove la ragione con la quale eserciti andavano a distruggere altri esseri umani era nelfatto che anche se morivano, morivano per il bene dell'umanità, per il bene della religione e Dio liavrebbe sicuramente fatti andare nei paradisi della loro religione. È facile essere presi, coinvolti inun atteggiamento del genere ma dobbiamo sempre stare molto attenti e saper giudicare bene leazioni che stiamo compiendo, senza lasciarci prendere dalle idee degli altri e sempre rimanendoconsapevoli del male che si potrebbe procurare agli altri, anche con l'idea di voler fare del bene. Imetodi opportuni, gli upaya che noi, bodhisattva abbiamo a disposizione e che possiamo utilizzarea nostro piacimento, vanno naturalmente utilizzati con il più grande discernimento possibile equesto discernimento ci viene dalla nostra pratica, dalla nostra esperienza, dalla nostra capacità dicomprensione che si allarga sempre più man mano che li utilizziamo. Così come uno strumento dilavoro diventa sempre più maneggevole nelle mani di chi lo sa usare e di chi lo usa continuamente,anche questi upaya più si usano più siamo pronti a utilizzarli, più siamo pronti a dare, più siamopronti ad aiutare, più siamo pronti ad andare incontro agli altri e più diventiamo capaci di utilizzarlinel modo migliore, giusto. La perfezione della saggezza, i metodi opportuni: ecco i genitori e i figli del bodhisattva.

ESORTAZIONI FINALI

10 Gennaio 1988

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Gli esseri umani hanno stabilito delle convenzioni, si sono messi d’accordo nel dividere il tempo, ilgiorno dalla notte, di contare queste notti e questi giorni in base alla luna, in base al giro che laterra fa intorno al sole; sono venuti gli anni e sono anche stati divisi gli anni in periodi così come imesi, rispetto alla posizione in cui la terra sta nei confronti di certe costellazioni. I cinesidell'antichità hanno diviso gli anni in dodici animali ciclici e quest'anno abbiamo vissuto la primasesshin dell'anno del dragone, un animale mitico che appare spesso nelle storie cinesi egiapponesi, un animale dotato di forza straordinaria, capace di imprese meravigliose, di volare altonel cielo e di scendere sulla terra a bruciare qualunque cosa gli si pari davanti. Gli esseri umani hanno la capacità di volare in alto nel cielo con la propria mente, di salire oltre lenuvole, però spesso questo salire in alto impedisce loro di vedere la realtà delle cose cheavvengono sulla terra. È importante, pertanto, che si sia in grado sì di salire più alto possibile, inqualunque modo, soprattutto con le nostre capacità di pensiero, di comprensione, diimmaginazione, ma che questo non comporti lo stacco dai problemi del mondo e, soprattutto, checi sia in noi la capacità, quel fuoco, in grado di bruciare la sporcizia, i rifiuti, le distorsionisoprattutto l'egoismo del nostro proprio cuore. Essere forti, capaci di grandi imprese, certe volte-anzi spesso - è causa di un ingrandimento della propria personalità, del proprio ego che ci porta arimanere sulle nuvole, senza vedere anche gli altri, che sono come noi, che spesso hanno bisognodi noi. Per cui, dopo questa prima sesshin di quest'anno, di questo gennaio iniziato attraversandola notte come ormai avviene d'abitudine nelle nostre sesshin, una notte in cui spesso il ventoavrebbe voluto portarci sopra le nuvole, speriamo di attraversare questo anno dei draghi da draghi,nel senso migliore della parola.

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SESSHIN DI FEBBRAIO 1988

SESSHIN KOKUHO 5 febbraio 1988

Questa è la seconda sesshin di quest'anno, l’anno del drago, un anno molto importante sia comesegno ma soprattutto per noi perché significa l'inizio di qualche cosa che stiamo costruendo ormaida tanti anni, piano piano. Ma le costruzioni di cemento non reggono e sono molto menoimportanti delle costruzioni che erigiamo nel nostro cuore. Tutti i maestri dell'antichità si sonoaffannati a sconsigliarci e ad insegnarci a non costruire le case sulla sabbia. Qualcuno ha detto dicostruirle sulla roccia perché sono più solide, ma qualcuno ancora ha detto che la nostra casa che èil nostro rifugio, il nostro luogo più importante, la nostra reale natura, è quella che una voltacostruita non si distrugge, non tanto costruita con le nostre mani perché già c’è di per sè, macostruita perché noi attraverso i nostri sforzi, attraverso la nostra ricerca riusciamo a penetrarla e arenderla realmente nostra. Questa volontà di voler diventare degli esseri completamente liberiprobabilmente non agita profondamente le menti degli uomini di questo mondo perché moltinostri fratelli o compagni o comunque esseri umani come noi si affannano in tutto il mondo alcuniammazzandosi per guerre economiche o di religione altri litigando su altri argomenti, altri –soprattutto – lasciandosi accalappiare dal sogno di possedere qualche cosa e di pensare che la vitasia riuscire ad ottenere ad avere qualche cosa tra le proprie mani.Venendo qui ad una Sesshin si deve avere chiaro lo scopo principale della nostra vita: realizzare lanostra reale natura di illuminazione e soltanto in questo modo riuscire a compiere il nostro votoche è quello di salvare tutti gli esseri. Se non si realizzano queste due cose che poi sono soltantouna, la nostra vita non vale neanche un centesimo, anche se riuscissimo ad ottenere tutto il denarodel mondo, tutto il potere del mondo, ad ottenere tutto quello che vogliamo. E allora alla sesshin siviene soltanto per realizzare questo. I nostri sforzi durante questi due giorni devono essere rivoltisoltanto a questo conseguimento, non c'è altro da fare. Se non apriamo gli occhi a questa realtà,saremo come dei fantasmi che vagano da un posto vuoto ad un altro e se non vogliamo rimanere odiventare dei fantasmi che vagano da un posto vuoto ad un altro mettiamocela tutta in questì duegiorni: sono una grande occasione che abbiamo. Insieme, la nostra forza può aiutare ognuno dinoi, reciprocamente, a diventare un essere realmente libero.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI6 Febbraio 1988

Il due di febbraio, quando ero a Shofukuji, penso si faccia ancora, era il cambiamento dei sei mesi:di sei mesi in sei mesi i monaci di un reparto si scambiavano con i monaci dell'altro reparto eavveniva questa rotazione e poi, tranne i monaci che rimanevano perché erano addetti ai serviziessenziali, gli altri tornavano alle proprie case per un mese e mezzo circa. Febbraio, così come poiavviene il due agosto, è il momento forse più freddo dell'anno o perlomeno più inverno, come ildue agosto è il momento più estate dell'anno. In questi momenti, forse quando gli esseri umanidovrebbero starsene fermi, perché appunto sono i più duri da un punto di vista naturale, invecesono i momenti in cui febbraio per le gite sulla neve e agosto ancora di più per le ferie a cui tuttiquanti aspirano, tutti si muovono. Ci sono delle esigenze della natura che ci fanno sentire che è

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bello rimanersene fermi. L'inverno sarebbe bello starsene intorno al fuoco a chiacchierare, intantofuori piove la terra non si può lavorare - non è questo il momento - e invece tutto quanto al mondoprosegue come se le stagioni non esistessero più. Forse il progresso tecnologico farà in modo -come già ha fatto - che le strade siano sempre pulite e che ci siano strade ancora più sicure, veicoliancora migliori di quelli che circolano, possibilità di riscaldare le case in maniera più economica eche tutti quanti, l'inverno e l'estate, qualunque stagione, sia sempre uguale. Forse si arriverà aquesto progresso tecnologico e le persone che nasceranno durante questo periodo saranno ancheesse diverse, più tecnologiche.Non sappiamo come evolverà l’umanità fisicamente e mentalmente, però è certo quello chepossiamo affermare, osservando l’evoluzione che è avvenuta da un milione di anni a questa parte:che le esigenze degli esseri umani in fondo sono sempre le stesse; la tranquillità, il poter ottenereciò che si desidera, il non essere disturbati, il non soffrire e appunto il non essere disturbaticomprende tutte le sofferenze che ci possono venire. L’inverno ci porta una piccola sofferenza maper alcuni che non hanno le case riscaldate e che soffrono di indigenza, non hanno a sufficienza damangiare probabilmente questa sofferenza è molto più grande rispetto al passato. Ma noicerchiamo di lavorare su queste cause esterne.Ecco che rendiamo le nostre case meno dispersive di calore, i nostri abiti più caldi, il nostro cibo piùcalorico e così andiamo avanti meglio nell’inverno. Questo però anche se elimina queste sofferenzeesterne, non elimina le altre che ci vengono dall'interno e al riguardo, sappiamo come andrà ilprocesso tecnologico però è probabile che queste sofferenze che vengono dall‘interno il progressonon riesca a risolverle con tanta facilità e a questo progresso ulteriore bisogna dedicarsi. Questonon è soggetto alle stagioni, a differenza del nostro corpo c'è una stagione sola che è quella dellavoro continuo perché si può lavorare sempre; non è come i campi che quando sono bagnati nonci si può entrare, anzi! Qui più sono in condizioni brutte e più il lavoro può andare in profondità.Questo lavoro non va lasciato possibilmente mai e questi momenti che siamo qui sonosicuramente i migliori per potercisi dedicare.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. IX° pag. 87 - 89“L’INIZIAZIONE AL DHARMA NON DUALE”_______________________________________

Allora Vimalakirti disse ai Bodhisattva presenti: "O Virtuosi, prego ciascuno di voi di dire qualcosasul Dharma non-duale secondo la vostra comprensione”.Nell'assemblea un Bodhisattva di nome 'Consolazione del Dharma' disse: "0 Virtuosi! la nascita e lamorte sono una dualità, ma nulla è creato e nulla è distrutto. La comprensione di questa pazientesopportazione che conduce al non-creato è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva di nome “guardiano delle Tre Virtù" disse:” Il soggetto e l'oggetto sono una dualitàpoiché dove è l'io vi è anche l’oggetto (di questo), ma dal momento che fondamentalmente non viè alcun io, il suo oggetto non ha origine: questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva 'Colui che non sbatte mai le palpebre' disse: "La sensibilità (vedana, il secondoaggregato) e l'insensibilità sono una dualità.

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Se non vi è alcuna reazione ai fenomeni, questi non si potranno rinvenire in alcun luogo quindi nonvi è né l'accettare né il rifiutare (di un qualcosa), né attività karmica né discriminazione; questa èl'iniziazione al dharma non-duale".Il Bodhisattva 'Suprema Virtù' disse: "La contaminazione e la purezza sono una dualità. Quando sipercepisce distintamente la natura sottostante della contaminazione, anche la purezza cessa diaver origine. Dunque questa cessazione (dell'idea di purezza) è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva 'Colui che ha conquistato il samadhi Osservando le Stelle’ disse: "L'agitazione(esterna) e il pensare (interno) sono una dualità; quando l'agitazione si calma, il pensare giungealla fine e l'assenza dei pensieri conduce al non-discriminante; il raggiungere questo stato èl'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva 'Occhio Abile' disse: "La forma monistica e il senza forma sono una dualità. Se sicomprende la forma monistica come (fondamentalmente) senza-forma con l'abbandono del senza-forma allo scopo di raggiungere l'imparzialità, questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva 'Braccio Meraviglioso' disse: "La mente del Bodhisattva e la mente dello sravaka sonouna dualità. Se si esamina la mente come vuota e illusoria, non vi è né la mente del Bodhisattva néla mente dello sravaka; questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva Pùsya disse: "ll bene e il male sono una dualità se non hanno origine né il bene né ilmale cosi che sia realizzato il senza forma per conseguire la Realtà, questa è l'iniziazione al Dharmanon duale.”Il Bodhittva Simhav (Leone) disse: “La prosperità e la miseria sono una dualità. Se si comprende lanatura sottostante della miseria, la miseria non è diversa dalla prosperità. Se si usa la saggezza di“diamante” (indistruttibile) per esaminare ciò senza (che entrino in azione) la schiavitù o laliberazione, questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva ‘impavidità del Leone' disse: "Il terreno e l'ultraterreno sono una dualità. Se siesaminano tutte le cose imparzialmente non avranno origine né il terreno né l'ultraterreno, senzaalcuna differenziazione tra la forma e il senza forma. Questa è l’iniziazione al Dharma non duale IlBodhisattva 'Pura Interpretazione. disse: -"L'attività (Ju wei) e la non-attività (wu wei) sono unadualità ma se si trattiene la mente da tutte le condizioni mentali sarà (vuota) come lo spazio e lasaggezza pura e immacolata sarà libera da tutti gli impedimenti. Questa è l'iniziazione al Dharmanon-duale". Il Bodhisattva Narayana disse: “il terreno e l’ultraterreno sono una dualità, ma la naturasottostante del terreno è vuota (o immateriale) e non è altro che l'ultraterreno che non può esserepenetrato né abbandonato e non straripa (come il corso della trasmigrazione) né si disperde (comeil fumo). Questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva ‘Mente Abile" disse: "Il samsara e il nirvana sono una dualità. Se si percepisce lanatura sottostante del samsara non esiste né la nascita né la morte, né la schiavitù né laliberazione, e né l'ascesa o la caduta. Una tale comprensione è l’iniziazione al Dharma non duale".

TEISHO6 Febbraio 1988

L'iniziazione al Dharma non-duale è un capitolo in cui un praticante di ch'an dovrebbe sguazzareperché, per quanto riguarda la nostra scuola Lin-Chi, noi nell'affrontare i koan siamocontinuamente posti di fronte al problema di andare oltre la dualità. Tutti questi Bodhisattva chevengono fuori uno per volta a parlare dicendo qualcosa sul dharma non duale secondo la propriacomprensione, si ritrovano di tanto in tanto lungo il cammino della penetrazione dei koan. Ilpraticante di ch'an è sempre messo di fronte alla dimostrazione e cioè al dover dimostrare come

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andare oltre la dualità. Qui abbiamo dei bodhisattva che danno una descrizione, una spiegazionedegli opposti e di come il Dharma non duale sia oltre quegli opposti. Lo stesso Vimalakirti alla finepoi, quando gli chiederanno di dire anche lui qualche cosa su questo dharma non-duale darà unarisposta che è, a differenza di quelle che sono state date dai bodhisattva precedenti, unadimostrazione; per cui non si limita soltanto a dire, ma dimostra la qualità del Dharma non duale. Ecosì è sempre avvenuto: se noi scorriamo i testi che riportano gli episodi riguardanti i maestrich'an, abbiamo un'idea molto chiara di come appunto questi maestri non si limitassero - anzi! -non prendessero in considerazione la spiegazione della possibilità di andare oltre la dualità, maquando si presentava loro l’occasione dimostrassero questa loro capacità di essere oltre la dualità,di dipendere dal Dharma non duale. Tutti i bodhisattva che uno per uno enunciano le qualità delDharma non duale, dimostrano la vastità della scuola mahayana - e naturalmente anche la vastitàdella scuola ch'an che fa parte di questo grande veicolo che è il mahayana - e noi, osservando unoper uno questi enunciati, possiamo renderci conto di come saltino fuori di tanto in tanto deimaestri - e questi li possiamo anche riconoscere - che prendono come riferimento una soltanto diqueste qualità. Certo, - si potrebbe dire: "Se uno vuole sapere il sapore del mare basta che mettauna mano dentro al Mediterraneo, che sia questo il Tirreno, lo Ionio o l'Adriatico, non haimportanza, per conoscere anche il sapore del Pacifico, dell'Atlantico, dell’oceano Indiano e cosìvia. Per cui, se uno è in grado di avere una penetrazione e una comprensione del Dharma non-duale la può avere penetrando e comprendendo anche uno soltanto di questi opposti e poi, a suavolta, se è in grado di spiegarlo bene, può fondarci anche sopra una scuola e per mezzo di questascuola insegnare ad andare oltre. Questo sutra di Vimalakirti come abbiamo visto già nelle pagineprecedenti e come vedremo ancora andando avanti, espone tutte le vaste possibilità che sipresentano di fronte al praticante. Il bodhisattva di nome "Consolazione del Dharma" dice: “OVirtuosi, la nascita e la morte sono una dualità, ma nulla è creato e nulla è distrutto". Questa è unalegge della fisica, uno dei primi postulati che noi abbiamo imparato sui banchi di scuola: "Nulla sicrea e nulla si distrugge". Ecco, una volta che si comprende questo nulla si crea e nulla si distruggenoi abbiamo una illuminazione e questo può essere sufficiente a darci una visione in qualche modocompleta del mondo. Però lo stesso può fare quello che successivamente, come il Bodhisattva dinome 'Guardiano delle Tre Virtù' dice: "Il soggetto e l'oggetto sono una dualità poiché dove è l’io viè anche l'oggetto (di questo), ma dal momento che fondamentalmente non vi è alcun io, il suooggetto non ha origine". Per cui, noi che ci arrovelliamo sempre per comprendere la differenza chec'è tra noi e gli altri, io e il prossimo quello che è di fronte a noi, la non-differenza tra me e quelloche è di fronte a me; eppure nello stesso tempo la separazione che c'è tra il soggetto e l'oggetto.Una volta che noi siamo arrivati alla comprensione profonda di questo, anche in questa manieraraggiungiamo una capacità di illuminazione che ci fa fare il satori e comprendere. E così ancoratutti gli altri bodhisattva, quello che parla della sensibilità e dell'insensibilità, quello che parla dellacontaminazione e della purezza, dell'agitazione esterna e il pensare interno: sono una dualità."Quando l'agitazione si calma il pensare giunge alla fine e l'assenza dei pensieri conduce al nondiscriminante; il raggiungimento di questo stato è l'iniziazione al dharma non-duale".Il momento in cui noi comprendiamo il Dharma non duale comprendiamo il Dharma naturalmente,abbiamo una comprensione della realtà delle cose così come sono. Per cui, ognuno di noi puòleggere ma non può praticare tutti questi enunciati dei bodhisattva interrogati da Vimalakirti, peròpuò leggerli tutti e può sentirsi toccare maggiormente da uno di questi enunciati, di queste qualitàdel Dharma non-duale e sentirsi portato maggiormente ad approfondirne uno o invece un altro.Infatti i bodhisattva sono tutti diversi: ognuno di loro ha una sua peculiare capacità, è in grado piùdegli altri di capire qualche cosa di quella specifica materia, che poi quando noi andiamo astringere, è sempre la stessa materia: la comprensione del Dharma non-duale. Come noi volessimosapere qual'è il sapore del cibo, eh? Il cibo è tutto: può essere la verdura, può essere il riso,

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possono essere i legumi o la carne, tutto quanto è cibo. Noi riusciamo a saziare il nostro corpomangiando anche solo uno di questi alimenti, non c'è bisogno che li mangiamo tutti. Se vogliamoavere una salute, certamente dobbiamo mangiarne un po' di tutti e secondo certe regole che perognuno di noi sono diverse. Però noi possiamo senz'altro mantenere in vita il nostro corpo earrivare a una comprensione del cibo mangiando soltanto una qualità di cibo. Così è la stessa cosacon queste qualità del Dharma non duale che vengono esposte dai bodhisattva, una per una, e noici ritroviamo tutti i problemi di fronte ai quali, di tanto in tanto, ci troviamo a dover investigare. "Ilterreno e l'ultraterreno sono una dualità, ma la natura sottostante del terreno è vuota (oimmateriale) e non è altro che l'ultraterreno che non può essere penetrato, né abbandonato e nonstraripa né si disperde e Il samsara e il nirvana sono una dualità. Se si percepisce la naturasottostante del samsara, non esiste né la nascita né la morte, né la schiavitù né la liberazione e nél'ascesa o la caduta. Una tale comprensione è l'iniziazione al Dharma non-duale". Però ecco: "unatale comprensione!” Come ho detto subito, all'inizio, c'è differenza tra esposizione ecomprensione. Possiamo essere dei bravissimi espositori di dottrina ma la comprensione di quelladottrina può sfuggirci e non riuscire a penetrarla sufficientemente. Quello che dobbiamo sforzarcidi fare sempre, è di non fermarci al livello superficiale delle delle parole, ad accontentarci diquanto i maestri, i bodhisattva, i Buddha ci vengono dicendo ma se arriviamo a una comprensionementale dobbiamo cercare di eliminarla il più presto possibile senza accontentarcene, per arrivaread una comprensione reale, che vada oltre la comprensione delle parole.Di queste dieci o quindici esposizioni (e poi ce ne sono altre ancora) dei bodhisattva con questinomi fantasiosi, noi potremmo fare un dizionario filosofico, in quanto la comprensione di tuttoquanto i bodhisattva dicono, può accontentare qualunque mente e ci rendiamo anche conto chequesta comprensione è la comprensione di cui dobbiamo essere alla ricerca.Certo, ogni giorno abbiamo bisogno di capire qualcosa. Se non sappiamo come si guida unaautomobile possiamo procurare un incidente a noi e agli altri, se non sappiamo come si scrive lacartella delle tasse possiamo ricevere una multa e questo ci infastidisce; se non sappiamo come simangia possiamo averne un guasto del nostro organismo e questo ci procura anche una certasofferenza. Ma tutte queste sono cose che si possono imparare con una certa facilità quello chedobbiamo veramente arrivare a conoscere e a comprendere è quanto i bodhisattva che abbiamovisto fino adesso ci hanno esposto. Questo dà una comprensione del Dharma, non duale in questocaso, ma una comprensione del Dharma che ci permette di comprendere quello che valeveramente la pena di comprendere e senza dimenticare che bisogna imparare ad adoperare anchele mani e i piedi, la testa, gli occhi e tutti gli altri organi di senso.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 6 Febbraio 1988

Capita ad ognuno di noi di trovarci di fronte a qualcosa, una lingua straniera, un esercizio fisico,uno strumento musicale, una legge matematica, qualunque cosa e dire: "È difficile" o addirittura:"È troppo difficile per me" e passare oltre. Anche nell'arrampicata, fino a qualche anno fa sipassava sotto alcune pareti e si diceva:" Impossibile!".Adesso non si dice più. Quando diciamo: "Impossibile" o "È troppo difficile" senza aggiungerci "perme", ma lasciato così in senso generico, già significa che noi stiamo passando a qualche altra cosa,stiamo passando oltre, non ci soffermiamo a sufficienza su quel problema per vedere se veramenteci riusciamo o non ci riusciamo, se siamo capaci di dire: "Ancora non ci riesco, non sono ancora ingrado di farlo, di capirlo". Certo, sarà anche difficile, ma cosa significa difficile, facile? Significa che

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se qualcuno è riuscito a fare quel qualcosa prima di noi c'è una possibilità o chissà quante altrepossibilità anche per noi, di riuscire a compierlo. La bellezza di questa nostra pratica si basasull'insegnamento che ci dice che è possibile, è possibile così come colui che lo ha iniziato, èpossibile anche per noi arrivare a comprendere quello che duemilacinquecento anni faShakyamuni ha compreso diventando Buddha. Non ci siamo ancora riusciti? Però ci stiamoprovando! Non è che dobbiamo rendere conto a qualcun altro, che ci sia un carceriere dietro di noiil quale continuamente ci chiede a che punto siamo, Ma siamo noi stessi che ci chiediamo sestiamo facendo lo sforzo giusto e se stiamo veramente mettendoci tutta la forza che possiamosprigionare, e ancora di più. Bisogna mettercela tutta. Non bisogna lanciarsi con una tattica che cidice: “Beh, risparmiati un po'. Lascia stare, non mettere tutta la forza che puoi mettere, lasciane unpo' da parte perché potrebbe servirti chissà quando”.Questo è un modo di ragionare che ci farà sempre rimanere magari con le cartucce noncompletamente scariche, ma non ci farà penetrare nel punto più profondo e allora, cominciamo acambiare da queste piccole cose la nostra mentalità.” Per quanto sia difficile io ci provo, e se non ciriesco ci provo ancora." Con questa mentalità non ci sono ostacoli insuperabili perché gli ostacoli,andando avanti nella vita, anche se arriva l'età della pensione, ci saranno sempre e andrannosempre affrontati con questo spirito perché se uno passa sotto e dice: "È difficile, pensando discansare un ostacolo, ne troverà sicuramente un altro ancora più difficile da superare e arriverà ilmomento in cui non potrà più dire: "È difficile, me ne vado", perché sarà sopraffatto e sommersodalle difficoltà che non gli lasceranno scampo.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI7 Febbraio '88

Ormai siamo abituati a vedere, soprattutto la domenica mattina, nelle città delle persone, uomini odonne di qualsiasi età che corrono nei parchi o lungo le strade; molti di questi trotterellano esicuramente fanno un certo sacrificio ad alzarsi prima la mattina (che potrebbero dormire di più),uscire nel freddo se è inverno e poi però sicuramente quando tornano a casa, sono tutti contenti esi vanno a pesare per vedere di quanti grammi sono dimagriti. Altri, magari una volta ogni tanto,a casa propria o a casa d’altri, si seggono e fanno mezz’ora di zazen. Altri ancora svolgono altreattività sempre così, in maniera blanda, però dentro di sé pensano di stare facendo qualche cosache li alleni, qualche cosa che li eserciti. Questi sono soltanto trucchetti, sono scherzetti che lanostra mente ci fa per tenerci buoni e perché possiamo continuare a fare quello che abbiamo fattofino a quel momento. II vero esercizio o ascesi è quello in cui si dà tutto, in cui anche se è per unminuto o per un’ora diamo tutta la forza che abbiamo, senza paura che ci finisca. Nei monasteri zengiapponesi le mezze misure quasi non esistono. Quando si parte per una sesshin, soprattuttoquelle più importanti, si parte con l'idea che si potrebbe anche morire. Quando si va dal maestro siva come si va dalle bestie feroci; se non abbiamo compreso questo, difficilmente riusciremo adottenere i frutti dei nostri esercizi. Perché il nostro corpo venga superato, perché la nostra mente venga acquietata, ci vuole un lavoroallo spasimo, un lavoro in cui noi arriviamo alla soglia della sofferenza e andiamo oltre quellasofferenza che disperatamente ci chiede di interrompere, di fermarci, che basta così, che ormaiabbiamo fatto abbastanza, magari domani faremo di più, o il prossimo mese. Questi sono i trucchi della mente! Quando stiamo facendo dobbiamo fare al massimo, dando tutto:questo è l'unico modo per esercitarsi; gli altri non sono esercizi, sono giochetti.

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VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. IX° pag. 89 - 91“L’INIZIAZIONE AL DHARMA NON DUALE”_______________________________________

Il Bodhisattva 'Intuizione Immediata' disse: "L'esauribile e l'inesauribile sono una dualità. Se siesaminano tutte le cose in modo esauriente non si può esaurire sia l'esauribile sia l'inesauribile el'inesauribile è identico al vuoto che è al di là di entrambi (l'esauribile e l'inesauribile). Una taleinterpretazione è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva 'Sostenitore dell'Universalità' disse: "L'io e il non io sono una dualità. Dal momentoche non si può trovare l'io, dove si può trovare il non io? Colui che percepisce la natura reale dell'ionon darà origine alle dualità; questa è l'iniziazione al Dharma non-duale". Il Bodhisattva 'Percezione Fulminea' disse: "L'illuminazione e la non illuminazione sono una dualità,ma la natura sottostante della non-illuminazione è l'illuminazione che pure si dovrebbeabbandonare; se tutte le relatività sono lasciate da parte e sostituite dall'imparzialità non-duale,questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva Priyadarsana disse: "La forma (rupa) e la vacuità sono una dualità, (ma) la forma èidentica alla vacuità, e ciò non significa che la forma distrugga la vacuità, perché la naturasottostante della forma è il vuoto stesso. Nello stesso modo sono gli altri quattro aggregati: laricezione (vedana) la concezione (sanjna), la discriminazione (samskara) e la coscienza (vijnana inrelazione alla vacuità). La coscienza e la vacuità sono una dualità (eppure) la coscienza è identicaalla vacuità, e ciò non significa che la coscienza distrugga la vacuità perché la natura sottostantedella vacuità è il vuoto stesso. Una comprensione totale di questo è l’iniziazione al Dharma nonduale. Il Bodhisattva’ Colui che comprende i quattro elementi’ disse: “i quattro elementi (la terra,l'acqua, il fuoco e l'aria) e la loro vacuità sono una dualità, (ma) la natura sottostante dei quattroelementi è identica a quella della vacuità. Come il passato (prima che i quattro elementi fosseronati) e il futuro (in cui sono dispersi) che sono entrambi vuoti anche il presente (in cui compaiono)è vuoto. La comprensione identica della natura sottostante di tutti i quattro elementi è l'iniziazioneal Dharma non duale.Il Bodhisattva 'Pensiero Profondo' disse: "L'occhio e la forma sono una Dualità (ma) se si conosce lanatura sottostante dell'occhio senza desiderio o ira od ottusità nei confronti delle cose viste,questo è il nirvana. Similmente l’orecchio e il suono, il naso e l 'odore, la lingua e il sapore, il corpoe il contatto, la mente e l 'ideazione sono una dualità ma se si conosce la natura sottostante dellamente senza desiderio, ira e ottusità nei confronti delle cose (viste, udite, assaporate, toccate),questo è il nirvana. Il rimanere in questo stato (del nirvana) è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva ‘ Mente Inesauribile' dìsse: ·"La perfezione della carità (dana-paramita) e la dedica(parinamana) dei meriti di questa alla realizzazione della conoscenza assoluta (sarvajna) sono unadualità, ma la natura sottostante della carità è la dedica alla conoscenza assoluta "Similmente laperfezione della disciplina (silaparamita), la perfezione della pazienza (ksanti-paramita), laperfezione dello zelo (Viryaparamita), la perfezione della meditazione (dhyna-paramita) e laperfezione della saggezza (prajna-paramita), con la dedica alla Conoscenza assoluta, sono (cinque)dualità, ma la loro natura sottostante non è altro che la dedica alla Conoscenza assoluta, mentre lacomprensione della loro unicità è l'iniziazione al Dharma non-duale”.Il Bodhisattva 'Saggezza Profonda’ disse: "La vacuità, il senza-forma e la non-attività sono trediverse porte della liberazione e quando ciascuna è confrontata con le altre due vi sono tre dualità,(ma) la vacuità è senza-forma e il senza-forma è non-attivo. Perché quando si stabiliscono lavacuità, il senza-forma e la non-attività, non vi è né la mente, né l'intelletto, né la coscienza, e la

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liberazione conseguita con una qualsiasi di queste tre porte è identica alla liberazione conseguitacon le tre insieme. Questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".

TEISHO7 Febbraio 1988

Questa continuazione del capitolo che abbiamo iniziato ieri è una presa in considerazione di altrielementi di dualità la cui comprensione permette l'iniziazione al Dharma non-duale. Noi possiamosicuramente osservare ognuno di questi bodhisattva con una spiccata qualità come un maestro diuna qualunque disciplina differente una dall'altra e che permette, per mezzo di questa disciplina, aipropri seguaci di raggiungere, di ottenere la comprensione del Dharma non-duale. Ogni essereumano ha delle tendenze, ha un fisico diverso dagli altri, non soltanto da un punto di vistasessuale, ma anche all'interno dello stesso sesso, una differente forza, una differente educazione,una differente estrazione sociale, differenti abitudini anche alimentari e climatiche, per cui ognunodi noi si sente portato, si sente attratto per una questione di attrazione, di simpatia, per unaspecifica scuola. Questa specifica scuola è quella verso cui noi ci sentiamo più attratti, chepensiamo di essere più capaci di poter seguire e attraverso questa scuola dovremmo, nel momentoin cui l'abbiamo scelta, arrivare alla comprensione del Dharma non duale, andare al di là delladualità, entrare nella comprensione del Dharma. Ora, se la scuola verso cui ci rivolgiamo invece difare questo, intanto ci fa sviluppare un senso di separazione da tutte le altre scuole e nello stessotempo non ci fa avere una visione globale della nostra pratica e delle altre pratiche in generale esoprattutto - e appunto questa è la cosa peggiore - non ci permette attraverso il metodo che seguedi arrivare alla comprensione del Dharma non duale, è ovvio che abbiamo sbagliato scuola, che lascuola a cui ci siamo rivolti non è in grado di guidarci per ottenere quello che noi vogliamoottenere. Questo è molto importante; ovviamente, e questo è anche importante, tutte le scuolesono ognuna alla portata di quelli che ci si rivolgono per praticare. Però, anche tutte queste scuolesono a vari livelli di evoluzione proprio perché possano permettere a tutti gli esseri che anche essisono a livelli di evoluzione, diciamo spirituale diversa, possano tutti quanti trovare la maniera dipoter andare avanti e di accedere a poco a poco, al livello superiore. Per cui, senza disprezzarequelli che pensa siano dietro e senza invidiare quelli che pensa che siano avanti, ognuno di noideve lavorare il meglio possibile nell'ambito della propria scuola per sviluppare la capacita dicomprensione del Dharma non duale, e questo è lo scopo principale. Per quanto riguarda la nostrascuola lo scopo principale è quello di arrivare alla comprensione della nostra reale natura.Ogni scuola ritiene di essere la migliore, quella più alta nell'evoluzione, ma non c'è una scuola alpunto più alto dell’evoluzione perché noi non sappiamo l'evoluzione fino a quale punto arrivi.Certamente, guardandoci intorno per quanto ci è dato di vedere, possiamo vedere che molte altrescuole sono ancora a livelli molto bassi di comprensione e di evoluzione, ma questo non significa diessere i migliori, significa che si deve sviluppare sempre più e cercare di comprendere sia la nostrascuola che indirettamente anche le altre scuole, averne una comprensione in qualche modo. Seosserviamo attentamente noi non siamo allievi o discepoli di una sola scuola; certamente c'è lascuola alla quale teniamo di più e che è quella per mezzo della quale noi vogliamo ottenere quelloche ci sembra più alto e cioè l'illuminazione. Bene! però abbiamo anche occasione di frequentarealtre scuole che collateralmente ci permettono di andare avanti in qualche altra direzione, andareavanti e nello stesso tempo, entrare in contatto con altre persone anch'esse persone dalle qualitrarre qualche insegnamento e alle quali dare qualche indicazione della via che noi stiamoseguendo. Questa interconnessione, questo scambio che avviene a tutti i livelli tra gli esseri umanitutti quanti nell’ambito sempre di una ricerca, ed anche naturalmente seguaci di una scuola –

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consciamente o inconsciamente - questo qui se noi possiamo osservarlo dall'esterno, possiamovederlo come quasi un grande campo di fiori che a poco a poco, man mano che la stagione vaavanti, fioriscono sempre più alto sulla costa di una montagna; vediamo che i fiori a poco a poco,man mano che saliamo, man mano che la stagione avanza, fioriscono sempre di più.Cosi è questo nostro cammino nell'umanità. Noi siamo l'umanità e siamo nello stesso temponell'umanità e siamo in un grande movimento che comprende non soltanto noi, non soltantoquesta terra, ma naturalmente comprende tutti gli altri esseri disseminati per tutto l'universo. Enaturalmente, andando avanti nella nostra evoluzione, starà a noi andare a scoprire i misteri che cisono dietro e fare la conoscenza con questi nostri … possiamo dire fratelli sparsi nell'intero cosmo.Mi pare che siamo andati quasi un po' fuori. Il Vimalakirti-sutra può essere interpretato a varilivelli, però è certo che questi bodhisattva sono dei maestri, grandi o piccoli tutti quanti con dellespiccate qualità e tutti quanti cosi come uno insegna la musica, un altro insegna uno sport, un altroinsegna a lavorare la terra un altro insegna a guidare l'automobile e così via; tutti quantinell’ambito dello sforzo spirituale sono ad insegnare una particolare tecnica per arrivare allacomprensione del Dharma non-duale. Ma tutte queste altre tecniche di cui ho parlato possonoessere la musica, una attività sportiva, lavorare la terra o adoperare un attrezzo tecnologico anchetutte queste possono permetterci di arrivare alla comprensione del Dharma non-duale, perché senoi facciamo questo durante tutta la giornata, questa è anche la nostra via, la via per mezzo dellaquale comprendere: non possiamo staccarci da essa.

ESORTAZIONI FINALI7 febbraio 1988

Andando al gabinetto dell'orto, si vedono alcuni fiori di albicocco già sbocciati. Noi andiamo asciare sulle montagne sulla neve e i fiori di albicocco sbocciano. Stiamo alzati la notte a camminare,a fare meditazione e quelli, anche se noi soffriamo il freddo e il vento, disinteressati di tutto,pensando soltanto a sé stessi, vengono fuori.Forse anche noi dovremmo lasciare che i fiori sboccino dai nostri rami da soli, senza andare tanto acercare da una parte e dall'altra. Ma questo cercare da una parte e dall'altra serve proprio a farcicapire che non c’è da cercare e c’è da rimanere immobili così come l’albicocco e poi tutti gli altrialberi e saper essere fermamente convinti che quando sarà il momento i fiori sbocceranno.Se non realizziamo questa ferma convinzione, tutto quello che facciamo procurerà soltantoconfusione.Allora, la sesshin dovrebbe essere servita proprio a questo scopo farci fermare per un momentonella nostra agitazione quotidiana per lasciare che la natura che è in noi, così come quella che ènell'albero, lavori e faccia sbocciare il nostro fiore dell'illuminazione.Può darsi che due giorni non siano sufficienti ma l'importante è avere capito l'immobilità dellameditazione e riuscire a portarsela dietro nelle nostre case e darle modo di continuare a lavorare.

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SESSHIN DI MARZO 1988

SESSHIN KOKUHO 4 marzo 1988

Marzo è la sesshin della primavera e i giorni passati facevano proprio pensare che ormai lastagione del freddo fosse arrivata alla fine. Anche gli esseri umani vivono le stagioni e per ognunodi noi ci sono i momenti del freddo, i momenti del tepore della primavera, i momenti del caldodell’estate e di nuovo la stanchezza che precede il periodo invernale. Tutti questi momenti, tuttequeste onde sulle quali saliamo e scendiamo spesso senza poter far niente, sono la nostra vita.Pensiamo di essere padroni di noi stessi eppure ci sono altre forze che ci muovono, le stesse forzeche questa sera fanno piovere e domani potranno far uscire il sole e faranno spuntare l'erba verdedove prima c'era la neve.Allora, che cosa è a marzo venire qui a fare la sesshin? Non si viene certo a Scaramuccia con l'ideadi trovarci il caldo rispetto ai paesi più freddi del nord, non si viene per trovare delle comoditàperché ora tutti quanti noi in casa le comodità le abbiamo. Si viene per cercare qualche cosa di piùessenziale delle comodità o del tepore della natura; si viene a cercare, per poterla realizzare, lareale natura di noi stessi; si viene a provare a mettere le mani su quel qualche cosa che ci può farattraversare le stagioni, ci può far attraversare le città, i cambiamenti della nostra vita in unamaniera vera da esseri umani realizzati, evoluti che non si lasciano attaccare dagli incidenti dipercorso che tutti quanti noi ci troviamo ad affrontare. Ci deve essere un momento della nostravita in cui decidiamo che dobbiamo essere noi a decidere di noi stessi.Non possono essere né i maestri del passato né i libri sacri come dice il signore Buddha né gliuomini politici né i nostri genitori, né i nostri figli né i nostri amici né il nostro corpo debole o forteche sia né la nostra cultura né i soldi che abbiamo o non abbiamo. Ci deve essere qualcosa che èoltre tutte queste cose e noi dobbiamo comprenderla per poterla padroneggiare. Una sesshin puòa chi viene qui con la giusta determinazione dare questa possibilità.Ci sono scuole che insegnano un'arte o un altra, scuole che insegnano a usare i soldi, scuole cheinsegnano a decifrare l'etrusco scuole che insegnano a sciare come altre che insegnano ad andaresott’acqua, scuole che insegnano a capire l'astronomia o l'astrologia, i movimenti della mente, imovimenti del corpo. Qui a Scaramuccia, in questa scuola, si impara qualche cosa che è piùimportante di tutte queste cose messe insieme: realizzare l’illuminazione, portare al risveglio lanostra reale natura di esseri illuminati, perché se non si è illuminati si è nel buio, essere nel buio èuna condizione di confusione e di sofferenza.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI5 Marzo 1988

Quest'inverno, mentre eravamo a sciare, facendo la fila per la colazione, un bambino ha ordinato iltè e la madre invece voleva che prendesse il latte e a me ha detto: "Eh, quante difficoltà per fargliprendere il latte. A casa bisogna inventarsi i modi più strani per farglielo prendere: con i frullati, coigelati, con gli yogurt, etc. etc.". Anche nello zen, per quanto riguarda la nostra scuola, sembra di assomigliare a quella madre chevuole far prendere al figlio il latte e usa tutti gli stratagemmi possibili per, in qualche modo,farglielo arrivare, che questo latte poi - questa bevanda meravigliosa - contribuisca alla crescita delproprio figlio in maniera sana e poi, quando sarà grande deciderà da sé stesso se continuare aberlo in maniera nascosta o alla luce del sole. Il latte di Scaramuccia, che è lo zen, si cerca di

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dimostrarlo in qualunque momento della giornata, si cerca di dimostrarlo attraverso le attivitàsportive e lo si indica - per quelli che non praticano queste attività sportive - anche nella pratica dialtre attività, artistiche, di qualunque genere. Per cui: l'alpinismo come zazen, il tai-chi come zazen,la meditazione in movimento, la meditazione camminando, la meditazione correndo, lameditazione zappando, e così via. Ma la meditazione sedendo non va certo dimenticata! La meditazione sedendo racchiude in sétutto, come il latte della madre ai ragazzini. La nostra vita, la nostra attività, la limitatezza del nostrotempo, anche le nostre simpatie ci impediscono di dedicarci completamente a questa meditazionesedendo, ma nella meditazione seduta c'è tutto.Avevamo una volta qui una fotografia di una ragazza giapponese seduta in meditazione con sottoscritto: "In un respiro tremila mondi". Seduti in zazen possiamo entrare non solo in tremila mondi,ma in diecimila mondi, in centomila, in un miliardo di mondi; zazen è il modo che ci permette dientrare in qualunque mondo. Sforziamoci di praticarlo bene!

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. IX° pag. 91 - 93“L’INIZIAZIONE AL DHARMA NON DUALE”_______________________________________

Il Bodhisattva “Organi Sensoriali Tranquilli" disse “Il Buddha, il Dharma e il Sangha sono tre tesoridiversi e quando ciascuno è confrontato con gli altri due vi sono tre dualità, (ma) il Buddha èidentico al Dharma e il Dharma è identico al Sangha. Perché i tre tesori sono non-attivi (wu-wei) esimili allo spazio, con la stessa uguaglianza verso tutte le cose. La realizzazione di questa(uguaglianza) è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva "Mente Non Ostacolata" disse: "Il corpo e il suo sradicamento (nei nirvana) sono unadualità, ma il corpo è identico al nirvana. Perché? Perché se si percepisce la natura sottostante delcorpo non avrà origine alcuna concezione del corpo (esistente) e della sua condizione nirvanicaperché entrambi sono fondamentalmente non-duali, non essendo due cose diverse. L'assenza diagitazione e paura nell'affrontare questo stato finale è l'iniziazione al Dharma non-duale". Il Bodhisattva "Virtù Superiore" disse: "I tre karma (frutti) del corpo, della bocca e della mente sono(diversi quando ciascuno è confrontato con gli altri due e formano tre) dualità, (ma) la loro naturasottostante è non-attiva; quindi il corpo non-attivo è identico alla bocca non-attiva, che è identicaalla mente non-attiva. Poiché questi tre karma sono non-attivi anche tutte le cose sono non-attive.Similmente, se anche la saggezza (prajna) è non-attiva, questa è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva "Campo di Beatitudine'" disse: "La buona condotta, la cattiva condotta e l'immobilitàsono (diverse e quando ciascuna è confrontata con le altre due) costituiscono tre dualità, (ma) lanatura sottostante delle tre è la vacuità che è libera dal bene, dal male e dal l'immobilità. Il nonaver origine di queste tre è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva "Bocciolo Maestoso" disse: "L'io e il suo obiettivo sono una dualità; (ma) se siesamina a fondo la natura sottostante dell'io, questa dualità svanisce. Se la dualità è abbandonatanon vi sarà alcuna coscienza, e la libertà dalla coscienza è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva “Tesoro della Triplice Potenza" disse: "La realizzazione implica il soggetto e l'oggettoche sono una dualità, ma se non si considera nulla come una realizzazione, non vi sarà nél'afferrare né il rifiutare, e la libertà dall'afferrare e dal rifiutare è l'iniziazione al Dharma non-duale".

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Il Bodhisattva "Luna al Mezzo cielo" disse: "L'oscurità e la luce sono una dualità. Dove non vi è néoscurità né luce, questa dualità non esiste più. Perché? Perché nello stato del samadhi che derivadall'estinzione totale della sensazione e del pensiero non vi è né oscurità né luce, mentre tutte lecose svaniscono. L'atto di entrare disinteressatamente in questo stato è l'iniziazione al Dharmanon-duale". Il Bodhisattva Ratna Mudra (Simbolo Prezioso) disse: "La gioia del nirvana e la tristezza delSamsara sono una dualità che svanisce quando non vi sia più la gioia e la tristezza. Perché? Perchédove è la schiavitù vi è anche (il desiderio del) la liberazione, ma se fondamentalmente non vi èalcuna schiavitù, chi cerca la liberazione? Dove non è né schiavitù né liberazione, non vi sarà négioia né tristezza; questa è l’iniziazione al Dharma non duale.Il Bodhisattva "Gemma sul Capo” disse: "L'ortodossia e l'eterodossia sono una dualità, (ma) chirisiede (vale a dire comprende) nell'ortodossia non discrimina tra l'ortodossia e l'eterodossia.L'astenersi da questi due estremi è l'iniziazione al Dharma non-duale".Il Bodhisattva "Gioia della Realtà" disse: "Ia realtà' e l'irrealtà sono una dualità, (ma) chi comprendela realtà neanche la percepisce e ancor meno percepisce l'irrealtà; Perché? Perché la realtà èinvisibile agli occhi comuni e appare soltanto all'occhio della saggezza. Dunque la realizzazionedell’occhio della saggezza che né osserva né non osserva è l 'iniziazione al Dharma non-duale". Dopo che i Bodhisattva ebbero parlato, chiesero a Manjusri la sua opinione sul Dharma non duale.Manjusri disse: "Secondo me quando tutte le cose non sono più entro la sfera della parola o deldiscorso, dell'espressione o della conoscenza, e sono oltre le domande e le risposte, questa èl'iniziazione al Dharma non-duale"·Quindi, Manjusri chiese a Vimalakirti: "Noi tutti abbiamo parlato. Ti prego di dirci quale sial'iniziazione del Bodhisattva al Dharma non duale".Vimalakirti rimase silenzioso senza pronunciare una parola. Allora, Manjusri esclamò: ·"Eccellente, eccellente, come vi potrebbe essere una vera iniziazione alDharma non duale finché le parole e i discorsi siano ancora scritti o pronunciati?"Una volta spiegata questa iniziazione al Dharma non duale cinquemilaBodhisattva presenti all’assemblea vi furono iniziati e realizzarono cosi la paziente sopportazionedel non-creato.

TEISHO 5 Marzo 1988

Finisce il capitolo de "L'iniziazione al Dharma non-duale". In queste esposizioni dei diversibodhisattva vengono prese in considerazione tutte le possibilità che si hanno di attivare - possiamodire - il Dharma in maniera non dualistica. È una contraddizione quello che ho detto perché ilmomento in cui attiviamo il Dharma, il Dharma di per sé è non-duale e perciò attivandolo nonesiste neanche la dualità. Così come, a proposito del Dharma, quando noi auspichiamo che ci siauna maggiore diffusione del Dharma non diciamo una cosa giusta, perché che cosa significa unamaggiore diffusione del Dharma? Come se dicessimo che ci sarebbe bisogno di una maggiorediffusione dell'aria. L'aria che c'è nel mondo, inquinata o pulita, è la quantità di cui questo mondoin cui viviamo ha bisogno.Come facciamo a diffonderla? Possiamo metterci a ventilare, ad attaccare i ventilatori affinchéquesta aria si diffonda maggiormente? Così avviene, naturalmente, per quanto riguarda il Dharma.Se noi volessimo dire che la quantità di ossigeno che c'è nell'aria è insufficiente perché i corpiestranei che ormai sono in essa e che la inquinano sono diventati esorbitanti per cui ne viene unmale per tutta quanta l'umanità allora questo discorso è diverso. Qui stiamo parlando della

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composizione dell'aria: se l'aria è composta con i componenti giusti ed equilibrati oppureno. E allora, quando si tratta di dire della diffusione del Dharma, dobbiamo stare attenti anche inquesto caso alle parole e dire non una 'diffusione del Dharma' perché il Dharma così com'è èdiffuso, il mondo così com'è è perfettamente giusto per com'è; ci si può auspicare che da partedegli esseri umani ci sia una maggiore comprensione del Dharma che già c'è. Tutti quanti noiabbiamo il Dharma disteso di fronte ai nostri occhi c'è chi riesce a vederlo in parte, ocompletamente, e chi invece non riesce a vederlo. Così come per vedere la quantità di ossigenoche c'è nell'aria abbiamo bisogno di strumenti più o meno sofisticati, per comprendere il Dharmain cui siamo immersi c'è bisogno di strumenti più o meno sofisticati della nostra comprensione,della nostra mente capace di comprendere il Dharma. I Bodhisattva che parlano uno dopo l'altroqui, con i loro nomi fantasiosi - non è giusto dire fantasiosi ma senz’altro se non ci fosse unatraduzione italiana dei loro nomi forse ce li prenderemmo così come sono senza sapere che cosasignifica Mahakasyapa o Ananda, o Shakyamuni senza chiedercelo e prendendoli soltanto con deinomi che non sono degli indicatori della qualità di comprensione da questi Bodhisattva raggiuntaperché poi, attraverso la loro istruzione, questa comprensione la possiamo ottenere. Sonoabbastanza evidenti le cose che dicono loro: prendiamone in esame soltanto qualcuno e, peresempio, il Bodhisattva ‘Mente non Ostacolata’ il quale dice: Il corpo e il suo sradicamento nelnirvana sono una dualità, ma il corpo è identico al nirvana. Perché? Perché se si percepisce lanatura sottostante del corpo, non avrà origine alcuna concezione del corpo esistente e della suacondizione nirvanica perché entrambi sono fondamentalmente non duali. L'assenza di agitazione epaura nell'affrontare questo stato finale è l'iniziazione al Dharma non duale". L’assenza diagitazione e paura è molto importante l'assenza di ansia, l'assenza appunto di paura nell'affrontarequesto stato finale, nell'affrontare qualunque situazione possiamo dire, l'assenza di ansia che ci faessere dubbiosi sulla nostra capacità di poter accedere allo stato finale nirvanico o non-duale odharmico questo impedimento naturalmente è un impedimento che causa sofferenza. La capacitànostra di saper calmarci e di avere fiducia: questa è la condizione fondamentale, la condizioneiniziale che deve avere il praticante.Il praticante deve sapere di stare sulla strada giusta e deve far cadere l'ansia che gli fa domandarein ogni momento: "Sto’ sulla strada giusta o non sto sulla strada giusta? Si vede la cima dellamontagna o non si vede la cima della montagna? Ci sarà la cima della montagna dietro quellacurva, dietro quel dosso? Arriveremo o non arriveremo?" Questi stati di agitazione naturalmentesono deleteri e se possibile, un praticante deve abbandonarsi a uno stato di accettazione, di fiduciache le cose poi …Le cime delle montagne sono ugualmente distanti sia per chi è agitato che per chi è calmo e forseper chi è calmo e ormai non è più preoccupato di arrivare in cima alla montagna, la cima dellamontagna si avvicina di più.Poi vediamo quest'altro punto: "La buona condotta, la cattiva condotta e l'immobilità sono diversee quando ciascuna è confrontata con le altre due costituiscono tre dualità, ma la natura sottostantedelle tre è la vacuità che è libera dal bene, dal male e dall'immobilità. Il non aver origine di questetre è l'iniziazione al Dharma non-duale". Quando noi abbiamo una natura sottostante simile,uguale, per tre componenti diversi, questi elementi diversi hanno qualche cosa in comune e per cuipossiamo dire come nel caso della vacuità: "È libera dal bene, dal male e dall'immobilità”. C'è unaltro punto da meditare: "L'oscurità e la luce sono una dualità. Dove non vi è né oscurità né luce,questa dualità non esiste più. Perché? Perché nello stato del samadhi che deriva dall'estinzionetotale della sensazione e del pensiero non vi è né oscurità né luce, mentre tutte le cose svaniscono.L'atto di entrare disinteressatamente in questo stato è l'iniziazione al Dharma non-duale".Entriamo in uno stato di samadhi quando possiamo, anche qui potremmo dire che lo stato disamadhi è al di là dell'interesse e del disinteresse, è lo stato di samadhi per cui uno stato di

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purezza, di distacco, non duale, però c'è quel centesimo di secondo che lo precede, che precedequesta entrata e che è quello che ci permette di entrare o di non entrare; è un atto disinteressato,un atto non egoistico, e quest'atto disinteressato è quello che, se noi guardiamo bene, sottendequalunque nostra vera azione, qualunque azione di cui "possiamo andare orgogliosi", è un'azionein cui c’è questo atto di entrare disinteressati. Entrare in un'azione disinteressatamente rendel'azione vera, giusta, perfetta. Se ci entriamo con interesse, già questa azione ha perso la suapurezza."Dove non è né schiavitù né liberazione, non vi sarà né gioia, né tristezza; questa è l'iniziazione alDharma non duale". Quando mi capita di parlare di questo stato - ho avuto recentementeoccasione di essere interrogato sullo stato di non attaccamento - tutti quanti si preoccupano delfatto che l'essere distaccati sia uno stato meccanico per cui, come un robot noi stacchiamo i nostricontatti e rimaniamo freddi e isolati. Non si riesce ad andare al di là di questa divisione cosìmateriale: o siamo attaccati alle cose e allora siamo passionali soffriamo la perdita soffriamo ilcambiamento d'umore della persona o della cosa a cui siamo attaccati, oppure se siamo distaccatisiamo freddi, calcolatori. Per cui ci può essere uno stato di non-schiavitù né liberazione e in questostato di non-schiavitù né liberazione che è indefinibile non riusciamo a definirlo, non lo definisceneanche lui - non vi è né gioia né tristezza, è uno stato di non-gioia né tristezza, uno stato che va aldi là della gioia, uno stato che va al di là della tristezza. Come è? Beh, bisogna darsi da fare atrovarlo. Quindi Manjusri chiese a Vimalakirti: "Noi tutti abbiamo parlato; ti prego di dirci quale sial'iniziazione del Bodhisattva al Dharma non duale”. Vimalakirti rimase silenzioso senza pronunciareuna parola. Abbiamo spesso dimostrazioni di altri maestri del Chan di fronte alla domanda diqualcuno che chiede loro di dimostrare la non-dualità, di dimostrare al di là del bene e del male,dimostrare al di là del buono e del cattivo, dimostrare al di là dell’alto e del basso, del grande e delpiccolo e in qualche modo - nel modo giusto di quel momento - questi maestri hanno dimostratochi dando un calcio alla bottiglia, chi gridando chi alzando un dito, etc. etcVimalakirti, come un grande maestro zen, dà la sua dimostrazione rimanendo perfettamente insilenzio e dimostrando con questo silenzio la sua comprensione, la sua dimostrazione del Dharmanon-duale. Tutta la pratica del Ch'an si risolve in questo superare la dualità dei problemi che ci si pongono nelsuperarli naturalmente in una maniera vimalakirtiana, non con il silenzio, ma con l'azione, con leparole, con qualunque cosa che riesca a sbloccare questa immobilità in cui ci troviamo di fronte aldover scegliere tra il si e il no, il bene e il male, il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il vecchio e ilgiovane, morte e vita. C'è una via, la via del Ch'an che attraversa questi stati in maniera diretta, inmaniera libera, in maniera vera e noi, con la nostra pratica siamo in grado, siamo stati in grado,saremo in grado, mano a mano che andiamo avanti, man mano che la nostra comprensione siallarga, di riuscire a passarci con sempre maggiore tranquillità.

ES0RTAZIONI DURANTE JUNKEI5 Marzo 1988

Lo stato di malattia di un figlio è sicuramente una condizione in cui penetriamo a fondo ecomprendiamo la nostra incapacità di fare qualche cosa in maniera diretta e comprendiamo chel'unico modo per uscirne fuori è dare completamente fiducia sia a questo essere come personamalata con un corpo malato - sia alla natura intrinseca di questo corpo malato che lavora perritornare in uno stato di sanità, per uscire dalla condizione di malattia in cui è entrato, in qualche

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modo, ed uscirne fuori più forte, più temprato, con un numero di anticorpi superiore a quello cheaveva inizialmente. Tutto questo a parole sembra molto semplice ma ognuno di noi devecombattere contro la non-fiducia. Per affermarsi la fiducia deve essere superiore a una forzacontrapposta che è quella della non-fiducia, al pensiero che ci fa dire che forse c'è bisogno di daremedicine più forti, forse c'è bisogno di andare dal medico, forse c'è bisogno di fare qualche altracosa. La condizione del discepolo, sebbene non sia una condizione di malato, è però molto simile aquella del figlio affidato completamente ai genitori e che dai genitori si aspetta quell'aiuto che glipermette di uscire da uno stato di confusione fisica - per quanto riguarda il figlio - e mentale perquanto riguarda il discepolo. Come il discepolo, proprio perché discepolo, ha fiducia nel propriomaestro, il maestro deve ricambiare questa fiducia con altrettanta fiducia nella possibilità, nellacapacità intrinseca di questo discepolo di uscire fuori da se stesso, con le proprie forze, con i proprianticorpi che aumentano di volta in volta, uscire fuori dal suo stato di confusione, di "malattia” eguarire, trasformarsi.Come i bambini quando hanno la febbre crescono di qualche millimetro o centimetro, non so,anche il discepolo, attraverso continui stati di febbre in cui produce anticorpi sempre più forticresce e diventa più alto, più grande, più maturo, più forte e capace di andare poi per il mondo conle proprie forze.Ci vuole la fiducia da una parte e la fiducia dall'altra, perché la natura così come ci ha messi almondo - possiamo dire - vuole che al mondo ci stiamo bene.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 6 Marzo 1988

Nel breve testo su "L'allenamento dell'arrampicata sportiva” che sto scrivendo in questi giorni, nelparagrafo delle qualità psichiche ho enumerato le principali e la prima è essere innamorati dellapropria attività sportiva, della propria arte sportiva o non sportiva. Altre due qualità sono lacapacità di soffrire e la capacità di morire a sé stessi. Va da sé che se uno non ama quello che fa èmolto improbabile che riesca a farlo bene e questo non ha bisogno di spiegazioni. La capacità disoffrire e la capacità di morire a sé stessi invece si possono acquistare, anche queste sono difficili,fanno parte del carattere delle persone. Però, a parte l’arrampicata sportiva che a noi in questomomento non interessa, la pratica della meditazione, questa pratica ascetica che noi veniamo afare qui, ha moltissimi punti simili all’allenamento perché l'allenamento è un esercizio, l'ascesi è unesercizio.Nell'ascesi ci deve essere - come nell'allenamento - la capacità di soffrire e questa sofferenza èquella che fa l'allenamento. Se quando noi siamo a tirarci sulle braccia e arrivati alla decima,cominciamo a sentire un po' di stanchezza e smettiamo, in quel momento comincia l'allenamento enaturalmente noi non ci stiamo allenando. Se facendo meditazione il momento in cui ci arrivaqualche difficoltà sia fisica, (allunghiamo e muoviamo le gambe o pieghiamo la schiena) oppuresoprattutto mentale e allora ci lasciamo andare ai pensieri che vengono lasciando la presasull'attenzione, anche quello li non serve a niente: non ci stiamo esercitando, non stiamolavorando sull'ascesi. Dal momento in cui inizia la sofferenza, in cui il nostro corpo, la nostra mentecominciano a fare resistenza, da quel momento in poi inizia il vero allenamento, ci si allena, si vaavanti! ci si supera fino al punto in cui quando proprio non ce la facciamo più, si può andare ancoraun altro po' e quella è la capacità di morire a se stessi. Lasciare da parte qualunquepreoccupazione circa la sorte che ci attende, fisica o mentale e abbandonarsi a questa "morte" che

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ci viene incontro. Una sesshin, una nottata di sesshin, hanno in sé un periodo di meditazione cheva vissuto fino all'ultimo secondo in maniera completa senza mai mollare la presa e, anzi, vari,numerosi periodi di meditazione e quelli più importanti sono sempre gli ultimi, quelli in cui il corpocomincia a cedere e la mente comincia ad essere stanca: in quel momento dobbiamo produrre ilnostro sforzo maggiore, è quel momento, sono quei momenti là quegli ultimi periodi, gli ultimimomenti degli ultimi periodi che ci portano più avanti, quelli per mezzo dei quali spaccare la nostracorazza di oscuramento.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. X° pag. 94 - 96“IL BUDDHA DELLA TERRA PROFUMATA”_______________________________________

Sariputra pensava all’ora del pasto e al cibo per i Bodhisattva presenti all'assemblea quandoVimalakirti, letto il suo pensiero gli disse: "Il Buddha ha insegnato le otto forme della liberazioneche hai ricevuto per praticare; mescoli ora il tuo desiderio di mangiare al suo Dharma? Se vuoimangiare, sei pregato di attendere un momento, e avrai un raro piacere". Allora, Vimalakirti entrònello stato di Samadhi e usò il suo potere trascendente per mostrare all’assemblea un paese che sitrovava più in alto, ed era distante da questo mondo terre di Buddha innumerevoli quanto i granellidi sabbia di quarantadue fiumi Gange e che era definito il paese di Tutti i Profumi e il suo Buddha,detto Tathagata della Terra Profumata, vi risiedeva ancora. Il profumo di quel paese "superava tuttele fragranze emanate dai deva delle terre di Buddha nelle dieci direzioni. In quella terra di Buddhanon vi erano né sravaka né pratyeka Buddha, ma soltanto puri e immacolati Bodhisattva a cui ilBuddha spiegava il Dharma. Lì tutte le cose sono formate di profumi e i palazzi, la terra, i giardini e iparchi emanano un odore dolce e il profumo del suo cibo si estende in mondi innumerevoli nelledieci direzioni. Il Buddha e i Bodhisattva prendevano posto per il pasto offerto loro dai figli dei devache si chiamavano tutti Profumi Gloriosi e rivolgevano la mente alla ricerca della supremailluminazione. Ciò fu visto da tutti coloro che prendevano parte all’assemblea.Vimalakirti disse ai suoi ascoltatori: "O Virtuosi, chi tra voi si può recare li per elemosinare il cibo daquel Buddha?" Poiché Manjusri era celebre per il suo potere soprannaturale, tutti i Bodhisattva rimasero silenziosi.Allora Vimalakirti disse: "Non provano vergogna i Virtuosi (per la loro incapacità di farlo?)"Manjusri ribatté: "Come disse il Buddha, non si dovrebbe disprezzare coloro che non hanno ancorastudiato (e praticato) il Mahayana"Al che Vimalakirti, senza alzarsi dal suo sedile, usò il potere trascendente per produrre unbodhisattva illusorio (falso) dall'aspetto radiante e dalla dignità insorpassabile, che eclissava l'interaassemblea.Quindi disse a questo Bodhisattva illusorio: "Sali nella Terra profumata per visitare il suo Buddha, edigli quel che ora ti dico: "L'Upasaka Vimalakirti si inchina ai tuoi piedi per renderti onore e siinforma rispettosamente per avere tue felici notizie; spera che tu stia bene e non abbia difficoltà (aconvertire gli esseri viventi) e che la tua energia sia al colmo. Desidera ricevere alcuni avanzi deltuo pasto per compiere l'opera di salvezza nel mondo di saha, allo scopo di convertire al Mahayanacoloro che seguono il piccolo veicolo e di diffondere la fama del Tathagata affinché sia conosciutain ogni luogo". Dopo di ciò, il Bodhisattva illusorio si allontanò, e l'intera assemblea lo vide avvicinare il Buddhadella Terra Profumata e ripetere quel che Vimalakirti gli aveva ordinato di dire. Quando i

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Bodhisattva di quella Terra videro il messaggero, elogiarono la rara visita e chiesero al loro Buddha:''Da dove viene questo Bodhisattva? Dov'è questo mondo detto saha? Cosa significa piccoloveicolo?".Il loro Buddha rispose: "Vi è un mondo saha che è sotto di noi ed è distante da qui terre di Buddhainnumerevoli quanto i granelli di sabbia di quarantadue fiumi Gange, e il suo Buddha si chiamaSakyamuni e ora si trova nel mezzo di cinque condizioni torbide, nelle quali insegna il Dharmasupremo a coloro che si aggrappano al piccolo veicolo. Lì vive un Bodhisattva di nome Vimalakirtiche ha conseguito la liberazione inconcepibile e spiega il Dharma agli altri (giovani) Bodhisattva.Perciò ha prodotto un messaggero illusorio per esaltare il mio nome e lodare questa terra perchéessi possano guadagnare dei meriti maggiori".I Bodhisattva chiesero: "Chi è quel Bodhisattva che può produrre un messaggero illusorio e i cuipoteri trascendenti, impavidità e ubiquità sono cosi grandi?".Il Buddha rispose: “I suoi poteri (impavidità e ubiquità) sono veramente molto grandi. Egli erasolito inviare messaggeri illusori in tutti i luoghi nelle dieci direzioni per compiere l'opera disalvezza del Bodhisattva a beneficio degli esseri viventi"Quel Buddha riempì allora una ciotola di riso profumato e la porse al messaggero illusorio. Tutti inove milioni di Bodhisattva dichiararono il loro desiderio di recarsi nel saha per rendere omaggio alBuddha Sakyamuni e per visitare Vimalakirti e gli altri Bodhisattva.Quel Buddha li ammonì: "Potete recarvi in quel luogo, ma nascondete il vostro profumo per timoreche la gente dia origine al pensiero errato di attaccarsi ad esso. Dovreste anche, mutare il vostroaspetto allo scopo di non provocare la loro autoumiliazione. Non disprezzateli per evitare opinionierrate. Perché? Perché tutti i mondi nelle dieci direzioni sono fondamentalmente immateriali comelo spazio e perché tutti i Buddha che desiderano convertire i seguaci del piccolo veicolo nonrivelano loro completamente le proprie terre pure e immacolate.Allora il messaggero illusorio ricevette la ciotola di riso profumato e insieme ai nove milioni diBodhisattva, utilizzò i poteri trascendenti di quel Buddha e di Vimalakirti, scomparve dalla terraprofumata e poco dopo, giunse nella dimora di Vimalakirti.

TEISHO 6 Marzo 1988

Ci sono diversi punti di questa parte di capitolo che vanno sottolineati, presi in considerazione emeditato sopra. Il Vimalakirti - sutra come tutti i sutra - se anche leggessimo soltanto la PrajnaParamita che è così corta - va letto e riletto e da esso, senza lasciarsi ingannare dalla versioneumana delle cose che poi vedremo qual’è, si deve arrivare a tirare fuori il più possibile quegliinsegnamenti che ci permettano di far brillare, di far scattare anche in noi la luce per andare piùavanti. E’ proprio questo continuo progredire, questa continua evoluzione che ognuno di noipersegue, che ognuno di noi percorre pure, è il punto iniziale dove dice: "Allora Vimalakirti entrònello stato del samadhi e usò il suo potere trascendente per mostrare all'assemblea un paese chesi trovava in alto, ed era distante da questo mondo terre di Buddha innumerevoli”. Questo essere"in alto" se noi prendiamo l‘universo così, nel suo aspetto non esiste un alto e un basso, un destroe un sinistro perché tutto quanto naturalmente è relativo. Qui l’alto che significa? Significa unmondo che rispetto al mondo in cui viviamo noi, in cui viveva Vimalakirti a quel tempo è piùevoluto, è più avanzato. Si tende a mostrare il progresso dell'evoluzione in una scala ascendente;anche noi se vogliamo vedere l'evoluzione darwiniana partiamo dal basso e cioè daimicroorganismi più piccoli fino, attraverso tutti gli altri animali, ad arrivare poi alla comparsa

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dell'essere umano. Anche in questo caso noi dobbiamo tenere presente, vedere questo universoseguendo la limitatezza della nostra visione perché appunto arriviamo fino a un certo puntodopodiché ci perdiamo a vederlo, dove c’è sempre un posto nel quale doversi collocare secondo lanostra evoluzione.Vedete che c'è anche un altro Buddha il quale, probabilmente, rispetto al Buddha Sakyamuni è piùavanti, un Buddha in cui tutto quanto viene fatto attraverso il profumo. Il Buddha Sakyamuni, sevogliamo fare una scala di valori che non ha alcun valore, ha ancora bisogno della parola per potercomunicare, per trasmettere il Dharma; quegli altri sono a un livello più fine possiamo dire, e larivelazione del Dharma avviene attraverso il profumo. E, proprio per dire com'è più alto e poiquesto passaggio che c'è da un mondo all'altro, possiamo prendere l'ultima frase: "e che eradefinito il paese di Tutti i Profumi e il suo Buddha, detto il Tathagata della Terra Profumata, virisiedeva ancora" Ancora in attesa, di andare dove? Beh! questo è un punto interrogativo al qualein questo momento non siamo in grado di dare una risposta. "L'Upasaka Vimalakirti si inchina ai tuoi piedi per renderti onore" questo è il saluto che l'upasakaVimalakirti manda al Buddha della Terra Profumata. Abbiamo avuto in precedenza un capitolo nelquale Vimalakirti redarguisce Ananda che andava in giro a chiedere del latte per il BuddhaSakyamuni un po' indisposto. Lo redarguiva dicendogli che un Buddha il Tathagata, non può essereindisposto perché ha un corpo forte come il diamante. Però vedete come poi alla fine non si puòmai essere sicuri di quello che diremo, di quello che capiterà anche a noi. Come può il Bodhisattva,Vimalakirti rivolgersi a questo Buddha della Terra Profumata in un mondo che sta più in alto diquello del Buddha SaKyamuni dicendo: “e si informa rispettosamente per avere tue felici notiziespera che tu stia bene". Come sarebbe a dire questo: “spera che tu stia bene?" Va da sé, dovrebbeessere scontato che stia bene, “e non abbia difficoltà a convertire gli esseri viventi e che la tuaenergia sia al colmo”.Ci sono delle frasi di convenienza che ognuno di noi deve utilizzare per comunicare con gli altri e ilmomento in cui, come questo qui, Vimalakirti deve utilizzare le stesse frasi che userebbe con unapersona normale le stesse cose che diceva appunto Ananda e le stesse cose che hanno detto tantialtri Bodhisattva discepoli del Buddha e che sono stati redarguiti da Vimalakirti nel dirle. Mi vienein mente la chiusura delle lettera in Giappone, normalmente se è inverno dicono: “ti prego di nonprenderti l'influenza o il raffreddore". Uno all'inizio dice: "Beh, vorrei vedere! Mi preghi di nonprendere l'influenza, certamente cercherò di non prendere l'influenza ma non dipende dalla tuapreghiera che io mi prenda o non mi prenda l'influenza”. È questo un modo di dire, così comel'estate: "Ti prego di non farti prendere dalla debolezza che viene normalmente l 'estate". "Allorache faccio? Vado in montagna? L'unico modo è quello" Va bene, chiusa la parentesi. Continuando:"Quel Buddha li ammonì" e questo qui è anche importante perché ci porta a rivedere qualche altracosa, "Potete recarvi in quel luogo, ma nascondete il vostro profumo per timore che la gente diaorigine al pensiero errato di attaccarsi ad esso.Dovreste anche mutare il vostro aspetto" e qui è l'importante "allo scopo di non provocare la loroautoumiliazione. Non disprezzateli, per evitare opinioni errate. Perché? Perché tutti i mondi nelledieci direzioni sono fondamentalmente immateriali come lo spazio e perché tutti i Buddha chedesiderano convertire i seguaci del piccolo veicolo non rivelano loro completamente le proprieterre pure e immacolate”. Tutti quanti noi, in qualche modo, ci confrontiamo con gli altri e quandocapita in un momento di disattenzione – penso – vogliamo mostrare di essere superiori agli altri.Cosi può capitare di incontrare una persona che ha un’età più giovane della nostra e sentircicompiaciuti nel dire: "Vedi io però come mi mantengo in forma, come sono asciutto! Quello hadieci anni meno di me e già ha una pancia! già ha i capelli bianchi, già ha la pelle cadente, o non cela fa neanche a camminare. Questo per quanto riguarda il fisico, che è una cosa immediata perchédi questi tempi c'è da parte di tutti questa cura assillante del fisico, dello stare in forma, dell'essere

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magri, di essere belli, di essere abbronzati, ma questo naturalmente può andare per tante altrecose. E qui è importante quello che dice il Buddha: “Dovreste anche mutare il vostro aspetto alloscopo di non provocare la loro autoumiliazione. Non disprezzateli, per evitare opinioni errate".Bisogna non prendersi queste soddisfazioni così animalesche nei confronti di quelli che, perqualche motivo loro, sono in una condizione fisica, mentale, sociale, economica, etc., peggioredella nostra. "Perché? Perché tutti i mondi nelle dieci direzioni sono fondamentalmenteimmateriali come lo spazio, e perché tutti i Buddha che desiderano convertire i seguaci del piccoloveicolo non rivelano loro completamente le proprie terre pure e immacolate", e questo qua, il nonrivelare completamente le terre pure e immacolate, si riallaccia a quanto avevo detto all'inizio ecioè del fatto che ci sono dei mondi in alto e dei Buddha che sono ancora li in attesa di andare dovenon si sa, e i mondi di cui noi abbiamo conoscenza sono molto limitati e quelli di cui non abbiamoconoscenza sono probabilmente illimitati e perciò, vantarci di avere un piccolo vantaggio, unapiccola differenza positiva nei confronti di qualcun altro che senso ha? Come il solito esempio chefaccio sempre del salire in cima all’Everest per andare più vicino al sole, quando sono solo ottochilometri rispetto ai trecentomila anni luce che ci sono dalla terra e dalla cima dell’Everest - che èuguale - nei confronti del sole. Ricordiamoci sempre della nostra buddhità: siamo dei Buddha, degliesseri che posseggono intrinsecamente, l’illuminazione, per cui tra noi e il Buddha della TerraProfumata non c'è alcuna differenza - in assoluto - però ricordiamoci che anche gli altri esserihanno la natura di Buddha cosi assoluta come la nostra, come quella del Buddha della terraprofumata e che questi nostri piccoli vantaggi sono dei vantaggi meschini se confrontatiall’illimitatezza dell’infinito.

ESORTAZIONI FINALI 6 Marzo 1988

Penso che siano ormai diversi anni che una sesshin di fine settimana non viene finita da cosi pochipraticanti. Il motivo per il quale lo dico non è certo motivo di dispiacere, almeno per me. Senz'altromolte altre persone avrebbero voluto venire e invece ci saranno stati degli impedimenti di variogenere; qualcun altro si lascia impaurire dal fatto di passare una notte senza dormire pensandochissà a quali atrocità si può andare incontro. In fondo, capita con facilità a ognuno di noi dipassare la notte senza dormire: basta fare un viaggio in macchina finire la benzina a qualchechilometro da casa e si ritorna a casa alle quattro e mezza o cinque di mattina ed ecco che la notte,in qualche modo, tra seduto e camminato, è passata. Spesso ci poniamo delle paure ci lasciamoprendere dalle paure, ci poniamo dei pregiudizi e non abbiamo la capacità o la voglia, di andare avedere e a provare con le nostre forze, con il nostro corpo, con la nostra mente. La sesshin è anche,tra Ie altre cose che potrebbe essere e che è, l'occasione di provarsi. Certo, principalmente èl'occasione di mettere le nostre menti tutte insieme e di lavorare al risveglio della nostra realenatura ma in mezzo a questa avventura di due giorni che viviamo insieme - così come qualunquealtra avventura - sia una settimana di sci o di montagna, una giornata di corso di roccia o unapasseggiata, una festa o una qualunque altra attività, in mezzo ci sono tanti momenti che possonoessere estrapolati e vissuti o perlomeno sperimentati, anche separatamente. Qualcuno di noi è piùattratto da uno o altri di questi momenti, qualcun altro dalla sesshin nel suo complesso, ma quelloche è importante - almeno io penso - è di riuscire a viverla dando tutto e naturalmente, dandotutto, vuotandosi completamente, c'è più possibilità di riempirsi. È come uno che andasse aricevere dei regali già carico di pesi in abbondanza, inutili; una volta che è arrivato lì non può

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aggiungere peso al peso e deve tornarsene con la sua roba che non gli serve a niente. Se inveceriesce a lasciare tutto quello che non gli serve, potrà prendere il più possibile.

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SESSHIN DI APRILE 1988

SESSHIN KOKUHO 8 aprile 1988

Questa che comincia è la sesshin di Aprile; l’otto Aprile in Giappone si festeggia la nascita delBuddha Sakyamuni e esattamente diciassette anni fa a Shofukuji, l'otto aprile nella cerimonia diordinazione Yamada Mumon Roshi mi accettò come discepolo. Non ricordo se negli anni passatiqualche sesshin sia capitata come inizio l'otto aprile, forse sì, forse queste cose sono state giàdette, ma quello che è molto importante comprendere venendo a praticare per questi due giorni aScaramuccia è che la sesshin ci permette questo stare insieme, mettere insieme le nostre menti,strofinarsi gli uni con gli altri per diventare più lucidi; questi due giorni possono rappresentare lanascita di un nuovo noi stessi, un noi stessi che facendo venire alla luce la propria reale natura diilluminazione, la natura di Buddha, riesca ad incamminarsi e a percorrere il sentiero che porta allapiù profonda illuminazione, all’illuminazione che duemilacinquecento anni fa fece il BuddhaSakiamuni.La vera grande rivoluzione che dobbiamo fare è quella di effettuare questo passaggio, superare inostri attaccamenti, superare il nostro egoismo ed ampliare al massimo la nostra coscienza perdiventare degli esseri che vivono nell'universo a contatto con i Buddha che ci hanno preceduto, e non attaccati alle nostre piccole cose di tutti i giorni; vivere le cose di tutti i giorni comese si vivesse a contatto giornalmente con il Buddha. Durante la sesshin - anche se due giorni nonsono cosi lunghi - i minuti, i secondi che si passano a gambe incrociate o lavorando durante lagiornata, possono essere quelli che ci fanno realizzare in noi stessi questo cambiamento altrimenti,come spesso hanno ripetuto i maestri del passato, non saremo altro che dei fantasmi che siaggirano nelle paludi durante la notte. Dobbiamo essere in questa terra non dei fantasmi ma deiBuddha, degli esseri illuminati.Durante la sesshin si può cominciare a risvegliare questa intrinseca nostra illuminazione. Bisognamettercela tutta! La sesshin rappresenta il momento in cui dobbiamo dare tutto; se si dà soltantouna parte, il risultato sarà soltanto un risultato parziale ma i risultati parziali non portano danessuna parte. Scaramuccia può essere anche l'occasione per venire a curiosare in un mondodiverso, o l'occasione per passare due giorni tranquillamente stando a gambe incrociate,mangiando cibo vegetariano e respirando aria buona, facendo un po' di attività fisica; ma tuttoquesto non ha niente a che fare con la pratica vera che è quella di gettarsi completamente allaricerca di sè stessi dimenticando completamente il sè stessi al quale siamo attaccati.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI9 Aprile 1988

Il venerdi, di Pasqua, con tutta la famiglia e un amico di Alvise, siamo andati a sciare per un giorno.Noi che siamo abituati ad andare sempre in gruppi numerosi sempre all'interno della nostrascuola, abbiamo sciato sì con intensità come facciamo sempre, però ci mancava qualcosa. Sciarecosì da soli - eppure eravamo in cinque più altri due che abbiamo incontrato lì - ci annoiava un po’,mancava appunto quella grande compagnia quell'insegnare ed imparare insieme, quello scambiocontinuo che c'è durante tutta la giornata ed allora, anche se siamo andati a fare delle cose piùdifficili di quelle che normalmente si fanno quando si è con la scuola, è mancato appunto questostudiare insieme.

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Anche la sesshin è il momento in cui veniamo qui a praticare, ad imparare e ad insegnare. Ci sonoquelli arrivati dopo di noi ai quali possiamo indicare qualcosa, quelli che sono più avanti di noipossono insegnare qualcosa a noi. Poi c'è la pratica del koan, c'è la pratica della meditazione chenon finisce mai di essere appresa. C’è poi la comprensione degli altri, la conoscenza di noi stessiattraverso gli altri e anche questo è una fonte continuo di studio. Certo la meditazione, la nostrapratica anche in quelle ore giornaliere, in quei minuti giornalieri che noi meditiamo hanno un lorovalore; ma la forza che noi riusciamo ad avere e a esprimere durante i giorni di sesshin èsicuramente superiore; la forza che riusciamo a dare, la forza che riusciamo a ricevere, perché senon ci si carica non si può poi esprimere qualche cosa. Se siamo svuotati di forza non possiamocerto esprimerla. Per cui dobbiamo per prima cosa renderci conto di questo fatto qua; di sentirel’importanza che una combinazione di venti persone sia qui insieme, tutti quanti mossi dalla stessaspinta e insieme, spingerci reciprocamente per andare più avanti possibile. Il più avanti possibiledella nostra scuola è quello che ci permette di far venire alla luce e risplendere la nostra natura diilluminazione, la nostra natura di Buddha, diventare a pieno titolo bodhisattva e Buddha cioè degliesseri illuminati capaci di aiutare e salvare tutti gli altri esseri. E questo possiamo impararlo inquesto piccolo posto con questo piccolo numero di persone

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. X° pag. 96 - 99“IL BUDDHA DELLA TERRA PROFUMATA”_______________________________________

Quindi Vimalakirti si servì dei suoi poteri trascendenti per produrre nove milioni di troni di leoneper i visitatori, maestosi quanto quelli che erano già li. Allora il messaggero illusorio gli porse laciotola di riso, la cui fragranza si estese in tutta la città di Vaisali e in seguito all'intero grandechilocosmo. I devoti bramini di Vaisali sentirono il profumo e divennero euforici; elogiarono il raroevento. Il loro capo, di nome "Baldacchino Lunare", condusse ottantaquattromila uomini nella casadi Vimalakirti, in cui videro molti Bodhisattva seduti su maestosi troni di leone; essi erano esultantie resero onore ai bodhisattva e ai discepoli principali del Buddha, e quindi si fermarono a lato.Giunsero anche i fantasmi terreni e celestiali, come pure i deva dei mondi del desiderio e dellaforma che avevano sentito il profumo.Allora, Vimalakirti disse a Sariputra e agli sravaka: "O Virtuosi, ora potete consumare il risoimmortale del Tathagata che è stato versato con grande compassione; nel consumarlo non dateorigine al pensiero di limitazione, o non sarete in grado di digerirlo".Quando alcuni sravaka pensarono che la piccola quantità di riso sembrava insufficiente per tuttal’assemblea, il Bodhisattva illusorio disse: "Non usate la virtù e l'intelligenza insignificanti di unosravaka per valutare la beatitudine e la saggezza illimitate del Tathagata; i quattro oceani sonoesauribili mentre questo riso è inesauribile. Se tutti gli uomini lo prendessero e lo appallottolasseroin una quantità grande quanto il monte Sumeru, non finirebbero di consumarlo al termine di uneone. Perché? Perché il cibo che è stato avanzato da coloro che hanno praticato la moralità e ladisciplina illimitate (sila), la serenità (dhyana) e la saggezza (prajna), la liberazione e la conoscenzadella liberazione e che hanno conquistato tutti i meriti, è inesauribile; perciò questa ciotola di risosoddisferà l'intera assemblea senza essere esaurita. I Bodhisattva, gli sravaka, i deva e gli uominiche ne mangeranno proveranno consolazione e gioia, come i Bodhisattva di tutte le pure terrefelici. I loro pori emaneranno un profumo intenso, simile all'odore degli alberi delle terreprofumate".

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Vimalakirti chiese allora ai Bodhisattva ospiti: "In che modo predica il Dharma il Tathagata dellavostra terra?".Risposero: "Il Tathagata della nostra terra non si serve di parole e discorsi per predicare, ma usa idiversi profumi per incoraggiare i deva alla pratica dei comandamenti. Siedono sotto alberiprofumati e sentono quanto gli alberi profumino dolcemente, realizzando in questo modo ilsamadhi proveniente dal cumulo di tutti i meriti. Quando realizzano questo samadhi conquistanotutti i meriti”.Questi Bodhisattva chiesero quindi a Vimalakirti: "In che modo predica il Dharma l 'UniversalmenteVenerato, il Buddha Sakyamuni?"Vimalakirti rispose: "Gli esseri viventi di questo mondo sono testardi ed è difficile convertirli; percui il Buddha usa un linguaggio energico per domarli. Parla degli inferni, degli animali e deifantasmi affamati nei loro piani di sofferenza, dei luoghi di rinascita per gli uomini stupidi comepunizione, per le azioni, le parole e i pensieri perversi, cioè: per l'uccidere, il rubare, la lussuria, ilmentire, il linguaggio volgare, i discorsi affettati, l'avidità, l'ira, le opinioni corrotte (questi sono idieci peccati), per l'avarizia, l'ottusità, la violazione dei precetti, l'ira, la trascuratezza, i pensiericonfusi (vale a dire i sei ostacoli alle sei paramita), per l'accettare, l’osservare e iI violare leproibizioni, per le cose che si dovrebbe e non si dovrebbe fare, per gli impedimenti e i nonimpedimenti per ciò che è peccaminoso e ciò che non lo è, per la purezza e la corruzione, per glistati mondani e santi, per l'eterodossia e l'ortodossia, per l'attività e la non attività per il samsara eil nirvana. Poiché le menti delle persone difficili da convertire sono simili a scimmie sono statiescogitati vari metodi di predicare per tenerle sotto controllo in modo che possano esserecompletamente domate. Come non è possibile domare gli elefanti e i cavalli senza batterli finchénon sentano dolore e divengano più docili, è possibile educare i caparbi di questo mondo soltantocon parole amare e ardenti".Dopo aver ascoltato ciò, gli ospiti Bodhisattva dissero: "Non abbiamo mai sentito parlaredell'Universalmente Venerato, il Buddha Sakyamuni, che nasconde il proprio illimitato poteresupremo per apparire come un mendicante e mescolarsi ai poveri allo scopo di conquistarne lafiducia (al fine di liberarli), e dei Bodhisattva qui presenti, che sono instancabili e cosi umili, e la cuicompassione illimitata ha causato la loro rinascita in questa terra di Buddha".Vimalakirti disse: "Come avete detto, i Bodhisattva di questo mondo hanno una grandecompassione e la loro opera di salvezza di un periodo vitale a favore di tutti gli esseri viventi superaquella compiuta in altre pure terre. Quali sono queste dieci azioni eccellenti? Sono: 1) la carità(dana) per soccorrere i poveri; 2) l'osservanza dei precetti (sila) per aiutare coloro che hannoinfranto i comandamenti; 3) la paziente sopportazione (ksanti) per sottomettere la loro ira; 4) lozelo e la devozione (virya) per guarire la loro trascuratezza; 5) la serenità (dhyana) perinterrompere i loro pensieri confusi; 6) la saggezza (prajna) per distruggere l'ignoranza; 7) il porrefine alle otto condizioni dolorose per coloro che ne soffrono; 8) l'insegnamento del Mahayana acoloro che si aggrappano all'Hinayana: 9) la coltivazione delle radici buone per coloro che hannobisogno di meriti; 10) i quattro stratagemmi vittoriosi del Bodhisattva allo scopo di condurre allameta tutti gli esseri viventi (nell'evoluzione del Bodhisattva). Queste sono le dieci azioni eccellenti".I Bodhisattva ospiti dissero: "Quanti Dharma dovrebbe ottenere in questo mondo un Bodhisattvaper interromperne la produzione morbosa (le contaminazioni) allo scopo di rinascere nella puraterra del Buddha?"Vimalakirti rispose: "Un Bodhisattva, per interrompere la produzione morbosa di questo mondoallo scopo di rinascere nella pura terra, dovrebbe perfezionare otto Dharma. Questi sono: 1) labenevolenza verso tutti gli esseri viventi senza alcuna attesa di ricompensa; 2) la sopportazionedelle sofferenze per tutti gli esseri viventi dedicando loro ogni merito; 3) l'imparzialità verso di lorocon un'umiltà assoluta libera dall'orgoglio e dall'arroganza; 4) la venerazione di tutti i Bodhisattva

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con la stessa devozione che viene rivolta a tutti i Buddha (cioè, senza la discriminazione traBodhisattva e Buddha); 5) l'assenza di dubbio e diffidenza nell'ascoltare (la spiegazione dei) sutranon ancora uditi; 6) l'astensione dall'opposizione al Dharma degli sravaka; 7) l'astensione dalladiscriminazione nei confronti delle donazioni e delle offerte ricevute, senza alcun pensiero diguadagno personale allo scopo di soggiogare la mente; 8) l'introspezione senza contendere con glialtri. Dovrebbe così raggiungere l’unicità della mente rivolta al conseguimento di tutti i meriti;questi sono gli otto Dharma."Dopo che Vimalakirti e Manjusri ebbero spiegato in questo modo il Dharma, centinaia e migliaia dideva svilupparono la mente rivolta alla suprema illuminazione, e diecimila Bodhisattva realizzaronola paziente sopportazione del non-creato.

TEISHO 9 Aprile 1988

È un capitolo abbastanza lungo; possiamo vederlo però non possiamo dividerlo, anche se sipossono osservare nella prima parte i bodhisattva della terra profumata che parlano sia dellaqualità del riso che hanno portato come dell'insegnamento che ricevono dal proprio Buddha e poi,a loro volta, nel domandare a Viimalakirti come avviene l’insegnamento del Buddha Sakyamuni,abbiamo una spiegazione di questo insegnamento e degli sforzi che il Buddha e i bodhisattvadevono fare perché gli esseri umani di questo mondo possano raggiungere a loro voltal'illuminazione.Ecco com'è questo lungo capitolo. Ci sono alcuni punti che prenderemo particolarmente inconsiderazione come questo molto bello: "I devoti bramini di Vaisali sentirono il profumo edivennero euforici; elogiarono il raro evento. Il loro capo, di nome ‘Baldacchino Lunare’, condusseottantaquattromila uomini nella casa di Vimalakirti in cui videro molti Bodhisattva seduti sumaestosi troni di leone; essi erano esultanti e resero onore ai Bodhisattva e ai discepoli principalidel Buddha.Questa esultanza che ci deve essere appunto quando ci poniamo di fronte, quando abbiamol'esperienza di qualche cosa di bello, di meraviglioso, come la visione incarnata dell'illuminazionerappresentata dai bodhisattva.Mi viene in mente di quello che ho letto qualche tempo fa, di uno studioso che parlava di un suorapporto con Einstein e di come lui aveva studiato il processo mentale delle scoperte di Einstein ediceva più o meno approssimativamente: "Nel 1916” mi pare "cominciarono i miei rapporti conEinstein e passai delle ore meravigliose nel suo piccolo studio a studiare e a parlare con lui".'Quando si è di fronte ad una manifestazione anche a proposito di uno scienziato il quale hasviluppato una certa capacità di comprensione, quando si è di fronte a queste genialità e comenaturalmente di fronte ai bodhisattva, a chi ha una comprensione della realtà, si sente, operlomeno chi è in grado di farlo, sente un'esultanza, un piacere derivante dal solo fatto di stareinsieme, o di parlare o anche di stare in silenzio. Poi: "Quando alcuni sravaka pensarono che lapiccola quantità di riso sembrava insufficiente per tutta l'assemblea il Bodhisattva illusorio disse:"Non usate la virtù e l'intelligenza insignificanti di uno sravaka", e qui vediamo la definizione disravaka: un ascoltatore, discepolo del Buddha, che comprende le Quattro Nobili Verità, si liberadall'irrealtà del fenomenico ed entra nel nirvana incompleto; cioè non è ancora al livello dibodhisattva il quale anche non entra ancora nel nirvana. Comunque, il significato di questa frase è:"Non usate la virtù e l'intelligenza insignificanti di uno sravaka", il quale però una certacomprensione l'ha raggiunta, "per valutare la beatitudine e la saggezza illimitate del Tathagata".

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Perché? Perché sono altri sistemi di misurazione, ci vuole una comprensione completamentesuperiore. È come se noi misurassimo le distanze con i libri, eh? Sono altre unità di misura, eappunto, voler considerare la virtù dei bodhisattva e del tathagata non è possibile farlo con questalimitatezza degli sravaka. Adesso ci interessa relativamente il fatto che "Il Tathagata della nostraterra non si serve di parole e discorsi per predicare, ma usa i diversi profumi e vediamo la rispostadi Vimalakirti: "Gli esseri viventi di questo mondo sono testardi ed è difficile convertirli per cui ilBuddha usa un linguaggio energico per domarli. Parla degli inferni, degli animali e dei fantasmiaffamati nei loro piani di sofferenza". Beh! questo è lo stato in cui noi ci troviamo tutti quanti e tuttiquanti noi stessi, se ci soffermiamo ad osservarci possiamo renderci conto di quanta fatica si facciaperché si aprano dei sentieri diversi, più aperti, più diretti di quelli invece intricati nei quali ciandiamo sempre più ad avviluppare nel labirinto invece che andare direttamente alla pratica, allostudio, alla comprensione della buddità e il Buddha Sakyamuni – appunto - deve usare dei mezziche non sono cosi delicati come quelli dei bodhisattva della terra profumata ai quali è sufficienteodorare il profumo sedendosi sotto gli alberi. Per noi c'è bisogno di bastonate, c'è bisogno di calci,c'è bisogno di paure, c'è bisogno di essere spinti perché ci si renda conto da noi stessi per poiappunto progredire, di qual'è la strada giusta da intraprendere; la strada giusta che non èovviamente quella che ci fa rimanere attaccati ai nostri piaceri mondani, che ci fa rimanereattaccati alle nostre idee egoistiche. E qui enumera quali sono le punizioni per i difetti che sono ilrubare, la, lussuria, il mentire, il linguaggio ambiguo, il linguaggio volgare, l'avidità, l'ira, etc. etc. epoi anche l'osservare e il violare proibizioni per le cose che si dovrebbe e non si dovrebbe fare, pergli impedimenti e i non-impedimenti, etc. "Poiché le menti delle persone difficili da convertire sonosimili a scimmie, sono stati escogitati vari metodi di predicare per tenerle sotto controllo in modoche possano essere completamente domate. Come non è possibile domare gli elefanti e i cavallisenza batterli finché non sentano dolore e divengano più docili, è possibile educare i caparbi diquesto mondo soltanto con parole amare e ardenti" e anche, naturalmente, noi non siamo ormaisperiamo in questo stadio, mi pare che ci siamo liberati e cominciamo a usare dei metodi più sottiliche quelli della paura degli inferni o della paura delle punizioni, però appunto per tutti quanti cisono questi metodi opportuni che sono quelli adatti a farci progredire; mentre veramente, inassoluto non ci sarebbe nessun bisogno di metodi opportuni o meno perché basterebbe aprire gliocchi, come spesso ci dicono alcuni maestri del passato e si vedrebbe da sé le cose come stanno esi comprenderebbe di essere già dei bodhisattva e dei Buddha.I bodhisattva sono coloro i quali pur avendo ottenuto lo stato di Buddha non entrano nel nirvana erinascono. Quelli della Terra Profumata sono naturalmente bodhisattva i quali si stupiscono(appunto i bodhisattva non sono Buddha) e dicono: "Non abbiamo mai sentito parlaredell'Universalmente Venerato, il Buddha Sakyamuni e dei Bodhisattva qui presenti, che sonoinstancabili e così umili, e la cui compassione illimitata ha causato la loro rinascita in questa terra diBuddha"· Il bodhisattva è per antonomasia colui con la compassione illimitata per cui se questibodhisattva della terra profumata vengono chiamati bodhisattva, anche loro hanno unacompassione illimitata che li porta a dover rinascere per poter continuare ad aiutare tutti gli esseria diventare a loro volta bodhisattva. Per cui, non si capisce bene questa loro meraviglia di trovaredei bodhisattva che sono così instancabili e umili e che si sacrificano per compassione, causando lapropria rinascita nella terra di Buddha.Tutto quell'altro che c'è mi pare che sia comprensibile ed evidente all'ascolto e alla lettura, anchese come ormai ripeto spesso, la comprensione del Vimalakirti sutra - noi lo leggiamo tutte lemattine - come tutte le cose della vita poi, come la vita stessa, diventa sempre più ampia, semprepiù profonda o perlomeno, ci rendiamo conto che la comprensione del Vimalakirti sutra è invecesuperficiale e relativa: pensiamo di capirlo e poi più andiamo avanti più ci viene alla luce qualchesignificato che avevamo trascurato. Queste due, quattro pagine che sono state lette questa sera

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richiederebbero mesi, anni, forse tutta la vita per poter essere comprese veramente; noi diamouna passata cosi, però anche una passata cosi, visto che la nostra vita è fatta di queste passate cosi,visto che il nostro tempo di meditazione qui è quello dei minuti e delle ore, quello che possiamofare è di dedicare tutti questi minuti e queste ore e il teisho allo studio e alla comprensione di unaparte del Vimalakirti sutra.È poco ma facciamo quello che si può fare, cosi come dedichiamo altro tempo a camminare, altrotempo a fare altre attività, pur rendendoci conto che è un tempo senza tempo. Quello che è moltoimportante è riuscire per mezzo della comprensione del Vimalakirti sutra o di qualunque altrosutra, o dei koan, dello zazen che pratichiamo, arrivare a comprendere questo tempo senza tempo,questa immersione in un tempo in cui non esistono né le ore né i minuti, siamo noi che viviamoimmobili eppure mobili.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 9 Aprile 1988

Forse nell'ultima settimana di sci che abbiamo fatto, una mattina erano le nove e mezza e giàavevamo sciato abbastanza, già sentivamo le gambe un po' stanche e per cogliere la situazione checi vedeva sui campi di sci fino alle cinque di sera, e cioè con altre sette ore e mezza davanti, mivenne di dire che erano già le nove e trenta.Mi ricordo quando facevo la maratona - non so se gridarono a me ma comunque io ero in ungruppetto - quando passammo il quinto chilometro (ne dovevamo fare quarantadue) qualcunogridò: "Forza, che avete già fatto cinque chilometri”. Mi ricordo anche quando tanti anni falavoravo in banca e tornavo il lunedì mattina dopo essere stato in montagna, per scherzare eprendere in giro la nostra situazione di impiegati al lunedì mattina, dicevo ai miei colleghi cheeravamo già al lunedì.Anche noi siamo già alle dieci di sera e mancano soltanto sette ore per arrivare alle cinque delmattino, soltanto sette ore! Spesso la vita degli esseri umani si decide in un minuto o in pochiminuti e noi abbiamo di fronte sette ore di fronte alle quali, a proposito o nei momenti in cui nonriusciamo a mantenere la concentrazione, ci passeranno davanti grandissimi spezzoni veri. Maqueste sette ore che abbiamo di fronte sono la nostra vita; siamo venuti apposta, come noi siamoandati apposta a sciare, come uno appositamente si prepara per fare la maratona e anche searrivato al quinto chilometro pensando di aver fatto chissacché, quello gli fa capire che è soltantoall'inizio, gliene mancano trentasette, gli può arrivare una fitta al cuore e dire: “no, no basta, nonarriverò mai", eppure si continua a correre, le gambe si muovono una dopo l'altra e queitrentasette chilometri che mancano spesso non sono cosi terribili come ci potrebbe far pensare lafatica che sentiamo al quinto.Tutto quello che facciamo lo decidiamo da noi stessi, almeno la maggior parte delle cose - altre ledecidono altre forze, altri capi ma il fatto di essere qui è una decisione che viene dal profondo.Queste sette ore che abbiamo di fronte sono un lunghissimo e nello stesso tempo, quando allecinque ci sederemo per recitare i sutra di nuovo, brevissimo viaggio. Quando si comincia sembratanto lungo e quando finisce ci accorgiamo che è passato in un momento. Comunque, siamo noiche viaggiamo, non stiamo di fronte alla televisione a vedere altre persone che fanno qualche cosa,siamo noi che stiamo facendo quello che è più importante per noi non solo in questo momento,non solo in questo momento!

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ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI10 Aprile1988

L'elogio della meditazione! Vorrei essere capace di dirlo bene immaginando una persona da sola epoi in compagnia, seduta in cima a una collina con tutto l'orizzonte davanti, dietro e di lato,indifferente al freddo, al caldo, al passare delle ore, alla fame, a qualunque altra necessità fisica ementale. perché anche se noi non ci esercitiamo a stare seduti per giorni e settimane come fece ilBuddha Sakyamuni o Bodhidharma o altri asceti del passato o anche del presente probabilmente,basta l'esperienza di un secondo in cui ci si sente liberi da qualunque necessità per darci l'idea diquale profonda e vasta libertà ci sia in questa semplicissima posizione. Se ci sono, come ho avutooccasione di leggere proprio in questi giorni, delle bambine che nate cieche, sorde e mute,riescono a sviluppare talmente la propria personalità, la propria persona, la propria mente, ilproprio cervello, il proprio cuore, tanto da essere poi in grado di scrivere dei libri apprezzati,quanto più chi è in possesso di tutte le sue facoltà, utilizzando questa posizione di zazen potrebberiuscire ad ottenere, dovrebbe riuscire a sviluppare. Uno che nasca handicappato ha da lavoraretalmente tanto per mettersi al pari degli altri, che certo non può dedicarsi allo studio di sé sebbenele difficoltà che incontra lo pongano ogni momento di fronte a una conoscenza di sè che noineanche immaginiamo. Però, chi può sedersi e può a suo piacimento diventare cieco, sordo, muto,immobile, in quel momento può sperimentare la sua assenza di desiderio di qualunque cosa esicuramente ergersi al di sopra di un mondo di canzonette in cui ricorre con tanta facilità la parola'amore', in cui ci sia soltanto il desiderio di arraffare più soldi possibile, di sembrare più belli, piùbravi, più forti possibile, un attaccamento al proprio territorio, alla propria donna o al propriouomo esattamente come gli scimpanzé, i babbuini.Viviamo in un mondo di babbuini dove l'unica preoccupazione è quella di diventare sempre piùscimmie invece che diventare sempre più umani per poi sviluppare la nostra buddità, estrinsecarela nostra buddità.La posizione di zazen non è una posizione da scimmia, è una posizione da esseri umani e ogni voltache prima di sederci ci inchiniamo per salutare, oltre a salutare quelli che siedono con noi, oltre asalutare il Buddha e i maestri che ci hanno preceduti, mandiamo un pensiero di ringraziamento aquesti maestri che inventando questa posizione hanno permesso anche a noi di incontrarla e diutilizzarla.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. XI° pag. 100 - 102“LA CONDOTTA DEL BODHISATTVA”_______________________________________

"Il Buddha spiegava il Dharma nel parco Amravana che improvvisamente divenne maestoso edesteso, mentre tutti i presenti assunsero una tinta dorata. Ananda chiese al Buddha: "OUniversalmente Venerato, qual’è la causa di questi segni propizi, perché questo luogo divieneesteso e maestoso e perché l'assemblea assume una tinta dorata?Il Buddha rispose: "Ciò avviene perché Vimalakirti e Manjusri con i loro seguaci che çamminanoloro intorno, desiderano venire qui, donde questi segni propizi.A Vaisali, Vimalakirti disse a Manjusri: "Ora possiamo andare a vedere il Buddha, in modo che noistessi e i Bodhisattva possiamo rendergli onore e fargli offerte.

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Manjusri disse: "Eccellente, andiamo; ora è il momento di metterci in viaggio". Allora Vimalakirtiusò i suoi poteri trascendenti per trasportare l'intera assemblea con i troni di leone sul palmo dellamano destra e volò (in aria) al luogo in cui era il Buddha. Quando si posarono li, Vimalakirti siinchinò ai Suoi piedi, gli camminò intorno da destra per sette volte e, giungendo le mani, si fermò alato. I Bodhisattva lasciarono i troni di leone per inchinarsi ai suoi piedi, e anch'essi glicamminarono intorno per sette volte e si fermarono a lato. Anche i discepoli principali del Buddha,Indra e Brahma (entrambi come protettori del Dharma) e i quattro re deva dei quattro cieli,lasciarono i troni di leone, si inchinarono ai Suoi piedi, gli camminarono intorno per sette volte epoi si fermarono a lato. Il Buddha mise a proprio agio i Bodhisattva e comandò loro di prendereposto per ascoltare il Suo insegnamento. Dopo che si furono seduti il Buddha chiese a Sariputra:"Hai visto che cosa hanno fatto i grandi Bodhisattva con i loro poteri trascendenti?" Sariputrarispose di si, ed Egli chiese: "Cosa ne pensi di tutto ciò?" Sariputra rispose: “li ho visti compiere(imprese) inconcepibili che la mente non può pensare né valutare.Ananda chiese allora al Buddha: "Oh Universalmente Venerato il profumo che sentiamo non è maistato percepito prima di ora; cos’è?"Il Buddha rispose: "Ananda, è il profumo emanato dai pori di questi Bodhisattva". Allora, Sariputradisse ad Ananda: "Anche i nostri pori emanano lo stesso profumo"Ananda chiese a Sariputra: "Da dove proviene?”Sariputra rispose: "È stato questo upasaka Vimalakirti a ottenere gli avanzi del pasto del Buddhadella Terra Profumata, e coloro che li hanno consumati nella sua dimora emanano questo profumodai pori”Ananda chiese allora a Vimalakirti "Quanto dura questo profumo?" Vimalakirti rispose: "Durafinché il riso non è stato digerito". Ananda chiese: "Quanto tempo è necessario?” Vimalakirti rispose: "Sarà digerito dopo una settimana. Ananda, gli sravaka che non abbianoraggiunto la retta condizione (nirvana) la raggiungeranno dopo aver consumato questo riso chesolo allora sarà digeribile, e coloro che abbiano ottenuto il nirvana realizzeranno la liberazionedella mente (dalla concezione sottile di nirvana) e solo allora il riso sarà digerito. Coloro che nonabbiano sviluppato la mente Mahayana la svilupperanno, e allora il riso sarà digerito. Coloro chel'abbiano sviluppata e consumino questo riso raggiungeranno la paziente sopportazione del non-creato, allora il riso sarà digeribile. Coloro che abbiano raggiunto la paziente sopportazione delnon-creato e consumino questo riso si reincarneranno ancora una volta per l'evoluzione finalenella Buddhità e allora il riso sarà digerito come un farmaco efficace che guarisce una malattiaprima di consumarsi, questo riso sarà digeribile soltanto dopo che abbia ucciso tutti i disordini e leafflizioni (klesa) “.Ananda disse al Buddha·: "O Universalmente Venerato è una cosa veramente eccezionale chequesto riso profumato compia l'opera di salvezza del Buddha.Il Buddha disse: "È cosi, Ananda, è cosi. Vi sono terre di Buddha in cui la luce del Buddha compiel'opera di salvezza; dove la compiono i Bodhisattva; dove la fanno degli uomini illusori prodotti dalBuddha; dove la fanno gli alberi; dove la fanno la toga e gli indumenti del Buddha; dove la esegue ilriso consumato dal Buddha; dove la fanno i parchi e i templi; dove la eseguono le trentaduecaratteristiche fisiche (del Budda) e le ottanta particolarità notevoli di queste; dove la esegue ilcorpo del Budda (rupa-kaya) e dove la compie lo spazio vuoto e gli esseri viventi per questi motivipraticano la disciplina con successo. Allo stesso scopo si usano anche il sogno, l'illusione, l'ombra,l'eco, l'immagine in uno specchio, la luna riflessa nell'acqua, la fiamma di un fuoco, il suono, lavoce, la parola, il discorso e la scrittura, la terra pura e immacolata del Budda, il silenzio privo diparole o discorsi, senza un'indicazione, una percezione, l'azione o l'attività. Quindi, Ananda,

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qualsiasi cosa facciano i Buddha con il rivelare o il nascondere la loro maestà imponente, è l'operadi salvezza.Ananda, a causa delle quattro illusioni fondamentali (in rapporto con l'io) che si dividono in 84.000contaminazioni che fanno sopportare dolori e tribolazioni agli esseri viventi, i Buddha si servono diqueste prove per compiere la loro opera di salvezza. Ciò si chiama l'ingresso nella porta delDharma del Buddha che conduce all'illuminazione (Dharmaparyaya).

TEISHO 10 Aprile 1988

È un capitolo anche questo abbastanza lungo, molto descrittivo, in cui assistiamo al trasferimentoda Vaisali al parco Amravana in cui stava il Buddha di tutti quanti quelli che erano andati a trovareVimalakirti.Vanno a trovare il Buddha in segno di riverenza. Fanno questi giri intorno e naturalmente siinchinano; dopodiché Ananda che è quello che normalmente nei testi rivolge le domande piùazzardate, come fanno i bambini piccoli all'interno delle famiglie o con gli amici, è quello che non siintimidisce nel domandare a Vimalakirti delle cose che gli altri potrebbero dare per scontate; perònaturalmente la funzione del testo è di erudire noi che non siamo i bodhisattva che partecipanoall'insegnamento di Vimalakirti e che abbiamo bisogno di farci spiegare le cose piùminuziosamente di quanto invece avvenga ai livelli loro.E cosi Ananda chiede di tutte queste cose e dei profumi. Vediamo poi che il Buddha chiede aSariputra: "Hai visto che cosa hanno fatto i grandi Bodhisattva con i loro poteri trascendenti?"Sariputra risponde di sì, ed egli chiede ancora: "Cosa ne pensi di tutto ciò?" Sariputra risponde: "Liho visti compiere imprese inconcepibili che la mente non può pensare né valutare". Cosi, mi vieneda pensare al paesano, al contadino – magari adesso che c'è la televisione non rimane così stupito- ma immaginiamo un contadino che venisse preso, portato in aereo e messo dentro a New York, aManhattan, si troverebbe a dover dire all'amico che sta lì le stesse cose. Gli direbbe: "Mamma mia,chi avrebbe mai pensato o immaginato di vedere dei palazzi come questi, il traffico cosi, le ferroviesotterranee, le navi che passano da tutte le parti, gli aerei che volano". Ecco! Sariputra mi fa un po'questa impressione: di quello che si rende conto che c'è ancora qualche altra cosa malgrado eglisia il discepolo più importante del Buddha, e se si rende conto Sariputra che ci sono delle impreseinconcepibili che la mente non può pensare né valutare, figuriamoci a che punto possiamo esserenoi, ma insomma, non disperiamo! Il punto importante qui è quando Ananda dice al Buddha: "OUniversalmente Venerato, è una cosa veramente eccezionale che questo riso profumato compial'opera di salvezza del Buddha". Il Buddha risponde: "È così Ananda, è così. Vi sono terre di Buddhain cui la luce del Buddha compie l'opera di salvezza", ed enumera numerosi modi in cui i Buddhacompiono la loro opera di salvezza, spingono l'umanità affinché percorra nel modo migliore il suocammino di evoluzione; per cui c'è dove la fanno i profumi, il riso, dove la fanno le reliquie, dove lafanno i parchi e i templi, dove la eseguono le trentadue caratteristiche fisiche del Buddha."Allo stesso scopo", e qui è interessante, " si usano anche il sogno, l'illusione, l'ombra, l'eco,l'immagine in uno specchio, la luna riflessa nell'acqua, la fiamma di un fuoco, il suono, la voce, laparola, il discorso e la scrittura, la terra pura e immacolata del Buddha, il silenzio privo di parole odiscorsi, senza un'indicazione, una percezione, l’attenzione o l'attività".Vedete come il Buddha porti sullo stesso livello sia il silenzio come la parola, il discorso e lascrittura, l'eco, l'ombra, l'illusione e il sogno, etc. Tutti questi sono mezzi che permettono di aiutaregli altri esseri a raggiungere l'illuminazione e venendo ciò direttamente dal Buddha stesso,

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dovremmo meditarci sopra per vedere come possa accomunare tutti questi mezzi cheapparentemente sembrano distanti. Il silenzio e la parola, l'eco, la fiamma del fuoco e la scrittura:che cosa hanno in comune?"Ananda, qualsiasi cosa facciano i Buddha con il rivelare o il nascondere la loro maestà imponente,è l'opera di salvezza" e questo anche è molto importante. Quando sono stato recentemente aPadova, siccome a un certo punto ho detto qualcosa che approssimativamente voleva dire che seuno sta bene nella sua condizione non vedo perché io debba andare a casa sua a dirgli: "Ehi, vieniqui a meditare che ti farebbe bene!" Se quello nella condizione in cui si trova sta bene, lascialostare! Allora uno del pubblico ha detto: "Ma allora non sa la differenza tra il buddismo Mahajana eil buddismo Hinayana! "Per cui, secondo lui il buddista mahayana è il bodhisattva, è quello che va asalvare gli altri. E qui, come si può vedere: "Qualsiasi cosa facciano i Buddha con il rivelare o ilnascondere la loro maestà imponente, è l'opera di salvezza. Per cui, senza per questo volerciparagonare alla capacità di salvezza del Buddha, però tutti quanti noi in qualunque modo agiamo,se viviamo il Dharma, viviamo la nostra illuminazione, questo dipende dalle nostre caratteristiche:possiamo rivelare o nascondere il nostro insegnamento, lasciare che gli altri si sfoghino, comepure possiamo andare in mezzo alla gente a cercare di farci capire, ma questo dipende da ognunodi noi e ognuno di noi agisce secondo - possiamo dire - il proprio temperamento, cioè fa quello chein quel momento ritiene più importante fare. Andando avanti: "Ananda, a causa delle quattro illusioni fondamentali (in rapporto con l'io) " e quienumera nelle note quali sono le quattro illusioni fondamentali e cioè: la non-illuminazione neiconfronti dell'io; il conservare il concetto dell'io; amor proprio, egoteismo e orgoglio; e l'egoismo eil desiderio. Ecco, "a causa di queste quattro illusioni fondamentali in rapporto con l'io che sidividono in ottantaquattromila contaminazioni che fanno sopportare dolori e tribolazioni agliesseri viventi, i Buddha si servono di queste prove per compiere la loro opera di salvezza. Ciò sichiama l'ingresso nella porta del Dharma del Buddha che conduce all'illuminazione"; poi il Buddhava avanti nell'enumerare altro. Poi il Vimalakirti sutra finisce praticamente che prende la parola ilBuddha Sakyamuni e termina il suo insegnamento. Ma è molto importante comprenderlo. IlBuddha - perché possiamo incontrare un Buddha sul nostro cammino anche uscendo di casa e nonè detto che, come dice Rinzai, se lo incontriamo lo dobbiamo uccidere - i Buddha si servono delleloro proprietà, della propria illuminazione per aiutare, per indirizzare tutti gli esseri viventi araggiungere anch'essi l'illuminazione, la buddità. Dobbiamo essere noi svelti nel riconoscere ilBuddha e questa sveltezza va normalmente acquisita, se non altro allenandoci per poterlaacquisire facendo tutto quello che riteniamo indispensabile: la meditazione, la concentrazione sulrespiro, qualunque attività che ci prenda, lo studio dei testi, naturalmente la recitazione dei sutra.Tutto questo fa parte di quella pratica ascetica - possiamo chiamarla – cioè quell'esercizio tendentea risvegliare in noi la nostra reale natura di Buddha. Tutto questo va fatto e naturalmente semprepiù approfondito; non dobbiamo accontentarci di fare dieci minuti al giorno di zazen, di recitare isutra, di venire una volta al mese alle sesshin. Certo, tutto questo è importante, però come unbravo atleta si allena portando sempre più avanti il proprio limite per cui se uno un giorno sollevadieci chili, non è detto che per tutta la vita debba stare a sollevare dieci chili; appena possibiledovrà aumentare a dieci chili e un etto, dieci chili e due etti, arrivare a undici chili, dodici chili, ecosì fino ad aumentare le proprie capacità sia di potenza come di resistenza. Per cui, tirare su piùchili più volte. Questo è un esempio riferito all'arrampicata che per quanto riguarda la nostrascuola ci è più vicino. Anche noi, per mezzo delle sesshin sediamo durante la notte ed ormaiattraversiamo queste nottate con una certa disinvoltura, ma non è solo questo. Non è soltantoquesto, dobbiamo essere sempre alla ricerca dei mezzi che ci permettano di andare più avanti,sempre più avanti e di essere sempre più coinvolti da questa opera di illuminazione che dobbiamo

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fare su noi stessi e naturalmente, secondo le nostre possibilità, su quelli con i quali entriamo più incontatto.

ESORTAZIONE FINALE 10 Aprile 1988

Ora che cominciano le sesshin che vanno verso l'estate avremo dei problemi per venire, dovuti -più che allo stato invernale delle strade – allo stato di ingorgo di queste strade perché tanta gente,col tempo bello, il caldo, le giornate lunghe, fa delle gite in automobile e quelli di noi che dovrannorientrare nelle città lontane da qui dovranno preoccuparsi anche di questo. Il mondo sta andandoverso un avvenire sempre più ingorgato, ci accorgiamo che le città diventano sempre più difficili davivere e tutto il progresso tecnologico invece che migliorare le condizioni dell'umanità inquinal'umanità ed affama l'umanità del terzo mondo. Ma in tutto questo non dobbiamo vederci soltantoil male, il male che ci vediamo dobbiamo lavorare per eliminarlo, per far sì che meno personepossibile soffrano, ma dobbiamo rifarci agli insegnamenti del Buddha e renderci conto come tuttoquello in cui stiamo vivendo sia soltanto un'illusione. Viviamo in un grande sogno. La sesshindovrebbe aiutarci, darci le gambe per camminare speditamente e gli occhi per vederci chiaramentee non lasciarci coinvolgere in questo grande sogno. La sofferenza che è intorno a noi è sofferenzavera, ci prende il cuore e dobbiamo fare in modo che cessi, qualunque occasione abbiamo dipoterla far cessare. Ma, appunto, cerchiamo sempre di renderci conto di come tutto questo siasoltanto una nuvola nella quale noi ci troviamo a passare e che con i primi raggi del sole dovrebbesciogliersi e far sparire tutto, completamente.

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SESSHIN DI MAGGIO 1988

SESSHIN KOKUHO 6 maggio 1988

Questa che cominciamo stasera è la sesshin di maggio. Ormai anche a Shofokuji in Giappone, èl’ultimo giorno della prima grande sesshin del periodo estivo e domani i monaci che - in questoperiodo molti sono nuovi - entrano nel monastero per la prima volta, brinderanno alla fine dellaloro prima grande sesshin. Per noi non è certo la prima, ormai a Scaramuccia alcuni di voifrequentano da tanti anni con assiduità e ogni mese si ripete questo incontro, questo stare insiemeper praticare e per approfondire la conoscenza di noi stessi, una conoscenza che ci porta aprendere visione della nostra reale natura: la natura di illuminazione, la natura di Buddha che nonha realmente fine. Se pensiamo che la conoscenza di noi stessi sia una conoscenza soltanto deinostri difetti e delle nostre virtù, delle nostre paure o dei nostri slanci, sicuramente sbaglieremmo.La conoscenza di noi stessi è la conoscenza della buddità la conoscenza dell'illuminazione. Laconoscenza dell'illuminazione è la conoscenza della Legge, della Legge in sé e della Legge cheregola l'intero universo. Noi siamo in questo universo, siamo un'entità separata e nello stessotempo facente integralmente parte di questo universo che ci circonda e che è all'interno di noi.Non sono tanti gli esseri umani che di questi tempi - non so nel passato e non so cosa sarà nelfuturo - sentono forte l'impegno per una ricerca della propria illuminazione.Forse, ora che è venuto il caldo, sono più attratti da altri ritrovi, da altre ricerche. Da questa seranoi, insieme, ci stringiamo uno contro l'altro, ci strofiniamo, - come si usa dire in Giappone - comesi strofinano le pietre preziose perché diventino sempre più brillanti.Ce la dobbiamo mettere tutta anche se due giorni non sono così tanti come può sembrare, masono sufficienti per farci penetrare, se vogliamo, se veramente ce la mettiamo tutta, nella nostrareale natura che è la natura di illuminazione. E allora forza, insieme!

ESORTAZIONl DURANTE JUNKEI 7 Maggio 1988

Ci sono dei periodi dell'anno in cui, come diceva Mumon a Shofokuji, le condizioni per meditaresono le migliori: non è caldo e non è freddo, non ci sono ancora le zanzare, non si suda e nellostesso tempo non si soffre, quando ci si alza, del freddo ai piedi o alle mani.Questa è una stagione in cui, tra la primavera e l'estate, la natura spinge maggiormente e vediamol'erba che cresce giorno per giorno, quasi a soffocarci. Un albero che prima aveva ancora le fogliemarroni e dell'autunno, il giorno dopo lo vediamo tutto verde. Qualche giorno fa un allievo chenon riceveva il notiziario, al telefono mi ha detto che per lui è importante ricevere questo fogliettoperché è l'unico filo che lo lega a Scaramuccia. Però, in quello che diceva c'era già qualcosa che nonandava detto e neanche pensato, perché come può essere l'unico filo che lo collega a Scaramuccia?Un bollettino di notizie è un bollettino di notizie e basta, con delle cose che ci fanno ripensare, checi tengono al corrente di quanto accade in un luogo, ma il filo di collegamento deve essere lainsopprimibile voglia di praticare per prendere coscienza della propria qualità di Buddha. Questodeve essere il filo che lo lega a Scaramuccia, un filo che dovrebbe vederlo, più che in attesa diricevere il notiziario, in attesa di prendere il treno o la macchina, per venire a praticare appena haun momento libero. Se questo momento libero non si crea perché si è presi troppo dal lavoro, dallafamiglia, dagli studi, da qualsiasi altra cosa, allora deve fermarsi a pensare com'è che non ha la

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possibilità di poter fare questo sforzo, di non poter dare sfogo - ripeto - a questa insopprimibilevoglìa di realizzare la propria buddità.Se maggio, così com'è quest'anno, così giusto, invece di venire a Scaramuccia invita ad andare inaltri luoghi più alieni, ecco, questo qua significa che il filo del notiziario è un filo che nel viaggiare,nel portare il messaggio del notiziario, nel momento in cui arriva lo trasforma in qualcosa didiverso, perché quello che viene detto nel notiziario non viene compreso e messo in pratica.Questo mese, questo maggio, questi giorni, ora che si è stabilizzato un po' di caldo - ma qui da noiè giusto - è proprio il momento di starsene seduti: stare seduti a osservare i propri respiri, arigirarsi il proprio koan e a sentire la propria natura di Buddha che nasce e che si espande.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. XI° pag. 102 - 103“LA CONDOTTA DEL BODHISATTVA”_______________________________________

Nell'entrare in questa porta del Dharma, se un Bodhisattva vede tutte le terre immacolate delBuddha, non dovrebbe dare origine alla gioia, al desiderio e all'orgoglio, e se vede tutte le terreimpure del Buddha non dovrebbe dare origine alla tristezza, agli ostacoli e alla delusione; dovrebbesviluppare una mente pura e immacolata per venerare tutti i Tathagata che compaiono raramentee i cui meriti sono gli stessi nonostante l'apparizione in terre diverse (pure e impure) per istruire econvertire gli esseri viventi."Ananda, puoi vedere terre di Buddha diverse (cioè, pure e impure) ma non vedi alcuna differenzanello spazio che è lo stesso ovunque. Similmente, i corpi fisici dei Buddha sono diversi l'unodall'altro, ma la loro onniscienza è la stessa. "Ananda, la natura (sottostante) dei corpi fisici dei Buddha, la loro disciplina, serenità, laliberazione e la conoscenza completa della liberazione, i loro (dieci) poteri, le loro (quattro)impavidità, le diciotto caratteristiche insorpassate, la loro benevolenza e compassione illimitate, leloro azioni nobili, le loro vite infinite, il loro predicare il Dharma per istruire e convertire gli esseriviventi e per purificare le terre di Buddha sono tutti uguali. Donde i loro appellativi diSamyaksambuddha, Tathagata, e Buddha. "Ananda, se dovessi comunicarti il significato completo di questi tre appellativi, tu passerestil'intero eone senza essere in grado di ascoltarlo totalmente. Anche se il grande chilocosmo fossecolmo di esseri viventi, tutti buoni ascoltatori e capaci come te di memorizzare qualsiasi cosasentano sul Dharma, anch’essi passerebbero l'intero eone senza essere in grado di ascoltare la miaspiegazione completa (di questi tre appellativi). Perché, Ananda, la suprema illuminazione delBuddha è illimitata e la sua saggezza e il potere della parola sono inconcepibili".Ananda disse: "D'ora innanzi non oso più affermare di aver udito gran parte del Dharma"·Il Buddha disse: "Ananda, non cedere all'apostasia. Perché? Perché ho detto che hai udito moltopiù Dharma degli sravaka, ma non più dei Bodhisattva. Ananda, un saggio non dovrebbe valutarelimitatamente lo stadio del Bodhisattva, (poiché) si possono misurare le profondità degli oceani mala serenità, la saggezza, l'imperturbabilità, il potere della parola e tutti i meriti del Bodhisattva nonsi possono misurare. Ananda, mettiamo da parte la condotta del Bodhisattva. I poteri trascendentiche Vimalakirti ha manifestato oggi non possono essere ottenuti da tutti gli sravaka e i pratyeka-Buddha che usino i propri poteri spirituali per centinaia e migliaia di eoni".Allora, i Bodhisattva ospiti giunsero le mani e dissero al Buddha: "0 Universalmente Venerato,quando vedemmo questo mondo per la prima volta pensammo alla sua interiorità, ma ora ci

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pentiamo della nostra opinione errata. Perché? Perché gli stratagemmi impiegati da tutti i Buddhasono inconcepibili poiché il loro fine è la liberazione degli esseri viventi, compaiono in terre diBuddha diverse adatte allo scopo. O Universalmente Venerato, ti preghiamo di concederci un po' diDharma cosi che quando ritorniamo nella nostra terra ti possiamo sempre ricordare".

TEISHO 7 Maggio 1988

Questa parte intermedia del capitolo riguarda la condotta del bodhisattva; in essa il Buddha spiegaad Ananda e naturalmente a tutti gli altri che erano presenti, in che modo deve comportarsi unbodhisattva. Ananda, dopo che il Buddha ha spiegato una parte di quali sono i poteri limitati delbodhisattva, immediatamente si rende conto che il suo pensare di conoscere una parte moltoampia del Dharma era un atto di presunzione e dice al Buddha: "D'ora innanzi non oso piùaffermare dì aver udito gran parte del Dharma". Il Buddha lo rimprovera dicendogli di non caderenell'eccesso opposto perché, malgrado non abbia ascoltato tanto Dharma quanto ne hannoascoltato i bodhisattva, però sicuramente, il suo è superiore a quello degli sravaka. Questa capacità, naturalmente buddica di capire la profondità della conoscenza del Dharma non cideve stupire; noi non siamo in grado di quantificare la nostra distanza dalla reale comprensione delDharma anche perché una reale comprensione del Dharma è inimmaginabile e perciò nonpossiamo avere una unità di misura che ci permetta di poterla misurare. Ma Ananda, che era ildiscepolo che aveva la maggior memoria e che era in grado di memorizzare tutto quanto il Buddhainsegnava, crede dì poterlo quantizzare e di poter stabilire che ha sentito la più grande parte diDharma. Grande significa oltre la metà, possiamo dire; altrimenti possiamo anche stabilire che al disotto della metà è una piccola quantità e che al di sopra della metà è una grande quantità, per cui,come abbiamo ascoltato oggi forse un settantacinque percento di Dharma. Il Buddha dice - equesto è quanto fa riflettere Ananda sulla sua in fondo non-conoscenza di queste tre quarti diDharma -: "Ananda, se dovessi comunicarti il significato completo di questi tre appellativi (cioèSamyaksambuddha, Tathagata e Buddha) tu passeresti l'intero eone senza essere in grado diascoltarlo totalmente. Anche se il grande chilocosmo fosse colmo di esseri viventi, tutti buoniascoltatori e capaci come te di memorizzare qualsiasi cosa sentano sul Dharma, anch'essipasserebbero l'intero eone senza essere in grado di ascoltare la mia spiegazione completa. Perché,Ananda, la suprema illuminazione del Buddha è illimitata, e la sua saggezza e il potere della parolasono inconcepibili". Allora, essendo illimitata ed essendo inconcepibile, non possiamo neancheessere in grado di stabilire quale percentuale di Dharma conosca Ananda – ma questo èrelativamente importante per noi - ma conosciamo noi: non possiamo mai fermarci, cosi comeinvece possiamo fare sull'autostrada del sole e dire: "Da Roma fino a qui ho percorso quattrocentochilometri, vuol dire che per arrivare a Milano ne mancano centocinquanta. La via che noipercorriamo, la via della comprensione del Dharma, non è così lineare e non è così misurabilequanto invece è misurabile qualche altro sforzo che noi facciamo regolarmente ogni giorno, anchese non si tratta di andare da Roma a Milano ma soltanto da casa all'ufficio o da qui alla fontana.Questo è importante realizzarlo per quanto si possa realizzare, perché non è che possiamo cosìfacilmente realizzare l'inconcepibile e l'incommensurabile. Non possiamo dire "Adesso cerco dicapire che cosa è l'inconcepibile, l'incommensurabile” e poi naturalmente mi adatto alla pocaconoscenza del Dharma che ho o che perlomeno penso di avere e vedo questo infinito semprelontanissimo da me perché, per quanto io mi possa avvicinare, il mio avvicinamento è sempre unmoto finito e invece l'infinito è sempre così lontanissimo.

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Malgrado tutto questo, noi siamo in questo mondo. Come i maestri del passato hannocontinuamente ripetuto, siamo in grado - perché lo possediamo intrinsecamente - di comprenderee di realizzare la natura di Buddha. La natura di Buddha ha in sé questa incommensurabilità. E’inconcepibile poter comprendere il Dharma in tutte le sue direzioni; allora in questacontraddizione che non è poi una contraddizione, dobbiamo immergerci totalmente e cercare di"non dare origine alla gioia, al desiderio e all'orgoglio e vedendo le terre impure del Buddha nondovrebbe dare origine alla tristezza agli ostacoli e alla delusione; dovrebbe sviluppare una mentepura e immacolata per venerare tutti i Tathagata che compaiono raramente e i cui meriti sono glistessi nonostante l'apparizione in terre diverse pure e impure per istruire e convertire gli esseriviventi".Il Buddha poi continuando, dice: "Ananda, un saggio non dovrebbe valutare limitatamente lostadio del Bodhisattva, poiché si possono misurare le profondità degli oceani", così come simisurano le autostrade, "ma la serenità, la saggezza, l'imperturbabilità, il potere della parola e tuttii meriti del Bodhisattva non si possono misurare".Noi apparteniamo al genere umano; più andiamo avanti nella nostra evoluzione e più ciallontaniamo dalla nostra primitiva condizione animalesca, più ci avviciniamo all'utilizzazione distrumenti sempre più sofisticati e sempre più in grado di misurare con perfezione il tempo, ledistanze e qualsiasi altra cosa. Ho letto che ci sono dei satelliti che possono fotografare le targhedelle automobili che sono in parcheggio vietato; forse possono misurare se una persona che staprendendo il sole sulla spiaggia ha il tumore o no; o forse chissà! Arriveranno a leggere i nostripensieri mentre stiamo camminando in mezzo alla folla e scoprire quello che ha la bomba e vuolebuttarla contro l'autobus. Non sappiamo, questi strumenti sono perfettissimi, per l’appunto, comedice il Buddha qui: "Un saggio non dovrebbe valutare limitatamente lo stadio del Bodhisattva,perché si possono misurare le profondità degli oceani" e tutte le altre cose che abbiamo visto e chesi potranno fare, "ma la serenità, la saggezza, l'imperturbabilità, il potere della parola e tutti imeriti del Bodhisattva non si possono misurare". Noi siamo intrinsecamente Bodhisattva perchéstiamo camminando sulla strada per realizzare la nostra buddità e per cui, anche se utilizziamo glistrumenti più precisi per poterci muovere all'interno della società in cui viviamo in manieraagevole, senza disturbo per noi o per gli altri, ci dobbiamo però anche rendere conto che ci sonoaltri strumenti, ci sono altre profondità, altri mondi da esplorare. Dobbiamo sforzarci per andare aldi là di quella illusoria sicurezza che gli strumenti che noi adoperiamo giornalmente ci possonodare. C'è un altro modo di misurare le cose e cioè non misurarle, lasciandoci andare nellaimmisurabilità delle cose del Dharma.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI Maggio 1988

Questo pomeriggio, quando ho accompagnato Alvise alla lezione di karate e poi alla stazioneassieme a Kiyoka, abbiamo incontrato una coppia: un uomo e una donna, che hanno deciso ditrasferirsi in campagna qui vicino perché in città dove vivono tutt'ora la vita è diventataimpossibile. La città li soffoca, li innervosisce, in qualche modo toglie loro molta forza e così hannodeciso di lasciare da parte questa negatività per trasferirsi in un luogo in cui sebbene ci sarannoanche lì delle difficoltà, pensano di trovarsi meglio, di vivere una vita sicuramente menoaffaticante. Tutti quanti noi, chi presto, chi tardi o chi forse non lo farà mai, ci poniamo di fronte aldilemma di che cosa fare della nostra vita. Se pensiamo che per la nostra vita sia importante il fattodi mangiare dei cibi sani, di vivere in un luogo senza inquinamento, allora cerchiamo di trasferirci

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dove ci siano queste possibilità, dove ci sia l'opportunità di vivere mangiando cibi migliori,respirando l'aria pura, non avere rumori, non avere il problema del traffico e così via. Ma a unlivello superiore - e poi i livelli superiori chissà quanti sono - dobbiamo andare oltre questecontingenze legate soprattutto al nostro fisico e alle nostre sensazioni. Certo, noi dobbiamo perquanto possibile, lavorare per la trasformazione della società e per fare in modo che non si arrechiulteriore sofferenza a tutti gli esseri; però dobbiamo sapere che la vita non è solo l'aria pura, ilprofumo del fieno come lo sentiamo questa sera uscendo davanti allo zendo, le stelle che sipossono vedere nel cielo, mangiare cibi non inquinati. Questo sì, se c'è questo è meglio, ma questoè ancora legato al nostro fisico, è ancora legato alle nostre sensazioni: il piacere di odorare il fieno,il piacere di assaporare del cibo genuino, il piacere di respirare dell'aria che non è inquinata, ilpiacere di vedere gli spettacoli della natura! Ma non è solo qui, dobbiamo andare oltre. Dobbiamotirare fuori le unghie per lottare e per vincere contro l'animale in noi che si accontenta di questo.Dobbiamo far venire fuori qualche altra cosa dal nostro corpo e dalla nostra mente, che non siaappunto, l'attaccamento più o meno salutare a questi beni materiali.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI8 Maggio 1988

Sono già alcune volte, alcune settimane che un giorno, quando è aperta la piscina di Orvieto,andiamo a fare lezione di nuoto. Non che non si sappia nuotare, ma per imparare bene, perriuscire a fare con piacere e con armonia quei movimenti che si fanno sempre un po' raffazzonati.La cosa più importante che ho capito e che poi è valida per tutte le altre attività non solo fisiche, èriuscire a rilassarsi: rilassare i muscoli e lavorare in maniera completamente morbida; allora imovimenti vengono rotondi e la respirazione si coordina in maniera giusta.Altrimenti se si è un po' rigidi - solo un po'- anche la respirazione si irrigidisce e non si riesce a faremolte bracciate. Si riesce con morbidezza, come è avvenuto questa notte, si riesce ad attraversarela notte senza quasi accorgersene. Così come un nuotatore va da una parte all'altra della vasca, unrespiro dopo l'altro, regolarmente, quasi monotonamente, anche noi seduti sul cuscino, un respirodopo l'altro, andiamo da un giorno all'altro; partiamo che è giorno, attraversiamo la notte e ciritroviamo di nuovo al giorno del giorno dopo. Quando si è seduti sul cuscino, quando si cammina,qualunque altra attività si faccia, cerchiamo di stare bene, starci rilassati. Rilassare le tensioni chesono nei nostri muscoli, rilassare le tensioni che sono nei nostri organi interni, rilassare le tensioniche sono nella nostra mente, soprattutto. Osservarsi con attenzione ed essere rilasciati: seduti,camminando, lavorando, qualunque attività si faccia. Questo è uno dei punti principali sui quali èfondata la pratica e con questo sistema si riesce ad attraversare non solo la notte, ma sì riesce adattraversare quella sponda di cui parla la Prajna Paramita senza bisogno della barchetta. Basta ilnostro respiro per farci galleggiare ed attraversare serenamente e nella maniera migliore.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. XI° pag. 104 - 107“LA CONDOTTA DEL BODHISATTVA”_______________________________________

Il Buddha disse loro: "Dovreste studiare i Dharma esauribili e inesauribili. Qual'è l'esauribile? È ilDharma attivo (yu wei ovvero terreno). Qual'è l'inesauribile? Il Dharma non-attivo (wu wei ovvero

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ultraterreno). In quanto Bodhisattva, non dovreste esaurire (o porre fine allo stato de) il terreno;né dovreste dimorare nello stato ultraterreno. Cosa significa il non esaurire lo stato terreno? Significa non rinunciare alla grande benevolenza;non abbandonare la grande compassione; sviluppare una mente profonda rivolta alla ricerca dellaconoscenza assoluta (sarvajna, o conoscenza del Buddha) senza rilassarsi neanche per unmomento; istruire e convertire gli esseri viventi instancabilmente; praticare costantemente iquattro metodi vittoriosi del Bodhisattva; sostenere il retto Dharma anche a rischio del propriocorpo e della propria vita; piantare infaticabilmente tutte le radici eccellenti; applicareincessantemente i metodi opportuni (upaya) e la dedica (parinamana); ricercare perpetuamente ilDharma; predicarlo prodigalmente; venerare assiduamente tutti i Buddha; donde l'impaviditànell'entrare nel corso della nascita e della morte; l'assenza di gioia nell'onore e di tristezza neldisonore; trattenersi dal disprezzare i non praticanti del Dharma; rispettare i praticanti del Dhamacome se fossero dei Buddha; aiutare coloro che soffrono per i klesa a sviluppare il pensiero retto;astenersi dal (desiderio e dal) piacere senza alcuna idea di stimare un comportamento tantonobile; non preferire la propria felicità rallegrarsi della altrui; considerare la propria esperienzadello stato del samadhi simile a quella di un inferno; considerare la propria permanenza nelsamsara (vale a dire, lo stato della nascita e della morte) simile a una passeggiata in un parco; dareorigine al pensiero di essere un buon maestro del Dharma nell'incontrare coloro che lo cercano;disfarsi di tutte le ricchezze per realizzare la conoscenza assoluta (sarvajna); dare origine alpensiero della saggezza nel vedere coloro che violano i precetti; considerare le (sei) perfezioni(paramita) care quanto i propri genitori; pensare alle (trentasette) condizioni contribuentiall'illuminazione come se fossero i propri soccorrevoli parenti; piantare tutte le radici eccellentisenza alcuna restrizione; radunare i gloriosi ornamenti di tutte le pure terre per costituire lapropria terra di Buddha; concedere il Dharma illimitatamente per conquistare tutte lecaratteristiche fisiche eccellenti (del Buddha); annientare tutti i peccati per purificare il corpo, labocca e la mente; sviluppare un coraggio che non diminuisce nel trasmigrare per il samsara in eoniinnumerevoli; decidere instancabilmente di ascoltare (una enumerazione de) i meriti innumerevolidel Buddha; usare la spada della saggezza nel distruggere il bandito del klesa (tentazione) al fine dicondurre gli esseri viventi fuori del (regno dei cinque) aggregati (skanda) e delle (dodici) porte(ayatana) in modo da liberarli per sempre; usare la devozione ferma per distruggere la schiera deidemoni ricercare incessantemente la saggezza libera da pensieri della realtà; contentarsi di pochidesideri nel non fuggire il mondo allo scopo di seguitare l'opera di salvezza del Bodhisattva; nontrasgredire le norme del comportamento degno di rispetto entrando nel mondo (per liberare gliesseri viventi); usare il potere trascendente proveniente dalla saggezza per guidare e condurre tuttigli esseri viventi; controllare i procedimenti mentali allo scopo di non dimenticare mai il Dharma;conoscere le radici di tutti gli esseri viventi allo scopo di stroncare i loro dubbi e diffidenze (circa laloro natura sottostante); usare il potere della parola per predicare il Dharma senza ostacoli;perfezionare le dieci buone (azioni) per conquistare la benedizione di uomini e deva allo scopo dirinascere tra loro per diffondere il Dharma; praticare le quattro menti infinite (benevolenza,compassione, gioia e indifferenza) per insegnare nei paradisi di Braha; rallegrarsi di essere invitatoa spiegare ed esaltare il Dharma allo scopo di conquistare il metodo di predicare (abile) delBuddha; realizzare la perfezione del corpo, della bocca e della mente per conquistare il contegnodegno di rispetto del Buddha; praticare profondamente il buon Dharma per rendere insorpassatele proprie azioni; praticare il Mahayana per divenire un monaco Bodhisattva e sviluppare unamente che non indietreggia mai allo scopo di non perdere tutti i meriti eccellenti.Ciò è il non esaurire lo stato terreno del Bodhisattva."Cos'è il non dimorare nello stato ultraterreno (nirvana) del Bodhisattva? Significa studiare epraticare l'immateriale ma senza dimorare nella vacuità; studiare e praticare il senzaforma e la

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non-azione senza dimorare in loro; studiare e praticare ciò che è al di là delle cause ma senzarimanerci; esaminare a fondo l'impermanenza senza abbandonare le radici della buona causalità;esaminare la sofferenza del mondo senza odiare la nascita e la morte (cioè, il samsara); esaminarea fondo l'assenza dell'io seguitando a istruire tutti gli esseri viventi instancabilmente; esaminare ilnirvana senza alcuna intenzione di dimorarvi permanentemente; esaminare la rinuncia (al nirvana)mentre il proprio cuore e la propria mente sono rivolti alla pratica di tutte le buone azioni;esaminare a fondo le destinazioni (non-esistenti) di tutte le cose mentre la mente è rivolta apraticare le azioni eccellenti (come le vere destinazioni); esaminare il non-nato (cioè il non-creato)mentre dimora nell'illusione della vita per addossarsi la responsabilità di salvare gli altri; esaminarea fondo l'assenza delle passioni senza stroncare il corso della passione (allo scopo di rimanere nelmondo per liberare altri; esaminare lo stato della non azione nel mettere in pratica il Dharma peristruire e convertire gli esseri viventi; esaminare il nulla senza dimenticare la grande compassione;esaminare la condizione retta (cioè il nirvana) senza seguire l'uso Hinayana (di rimanervi);esaminare a fondo l'irrealtà di tutti i fenomeni che non sono stabili né hanno una naturaindipendente e sono privi di un io e senza forma, ma dal momento che i propri voti fondamentalinon sono esauditi completamente, non si dovrebbe considerare irreali i meriti, la serenità e lasaggezza, e smettere perciò di praticarli."Ciò è il non dimorare nello stato non-attivo (wu wei) del Bodhisattva."Inoltre, per conquistare meriti, un Bodhisattva non dimora nell'ultraterreno, e per realizzare lasaggezza non esaurisce il terreno. Data la sua grande benevolenza e compassione, non rimanenell'ultraterreno, e al fine di esaudire tutti i suoi voti, non esaurisce il terreno.Per raccogliere i farmaci del Dharma non rimane nell'ultraterreno, e per somministrare i rimedinon esaurisce il terreno. Poichè conosce le malattie di tutti gli esseri viventi non rimanenell'ultraterreno, e poiché vuole guarire le loro malattie, non esaurisce il terreno.Oh virtuosi, un Bodhisattva che pratichi questo Dharma non esaurisce il terreno né rimanenell'ultraterreno. Queste si chiamano le porte del Dharma esauribile e inesauribile che conduconoalla liberazione, che voi dovreste studiare".Dopo aver ascoltato il Buddha che spiegava il Dharma, i Bodhisattva ospiti furono pieni di gioia eriversarono fiori (celestiali) di svariati colori e profumi nel grande chilocosmo come offerta alBuddha e al Suo sermone. In seguito, si inchinarono ai piedi del Buddha e lodarono il Suoinsegnamento che non avevano mai udito prima, dicendo: "Com'è meraviglioso l'abile uso deimetodi opportuni del Buddha Sakyamuni!".Detto ciò, scomparvero per ritornare alla loro terra.

TEISHO 8 Maggio 1988

Come al solito, quando il Buddha fa un discorso così lungo dice tutto e bene, meglio di qualunquealtro commento possa essere fatto. Comunque questa parte del capitolo è divisa in due; cioè ilBuddha parla della differenza dello studio dei Dharma esauribili e inesauribili e di non esaurire lostato terreno e, nello stesso tempo, non dimorare nello stato ultraterreno ed enumera in chemodo non si esaurisce lo stato terreno e poi, successivamente, in che modo non si dimora nellostato ultraterreno. Il Bodhisattva è un essere che può sempre scegliere tra dimorare nello statoultraterreno e nello stesso tempo può scegliere di non esaurire lo stato terreno. Sono discussioni dicarattere accademico in qualche modo, ma abbiamo il testo e in base a questo testo che enumeratutte queste qualità, questi modi di non esaurire e di non dimorare, noi discutiamo, parliamo,cerchiamo di comprendere e di penetrare. Certamente però, nel leggere e nel commentare o

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nell'ascoltare questo testo, si è portati ad idealizzare una figura di bodhisattva che è quella checompare qui, cioè di questi bodhisattva capaci di spostarsi da una terra di Buddha all'altra, ditenere sul trono di Buddha alto più del monte Sumeru una miriade di ottantaquattromilapraticanti: bodhisattva, bikku, bikkuni, etc. etc. Queste sono le fantasmagorie del mahayana. Manoi dobbiamo extrapolare da questa fantasmagoria la nostra situazione, dobbiamo vedere ilbodhisattva come un essere simile a noi, altrimenti, se questo non siamo capaci di farlo e,soprattutto, se non siamo capaci di realizzarlo, i discorsi che questo libro, il Vimalakirti sutra fa, nonhanno alcun valore per noi. È come se dicessimo che il più ricco del Kuwait ha regalato un anello didieci miliardi alla moglie; sono cose per noi irraggiungibili, impensabili impossibili e per cui è inutileche ci stiamo a discutere, a perdere tempo, a meditarci sopra: quello fa le cose così! Lo stesso è senoi leggiamo questi libri con questa mentalità e cioè, vedendo in essi degli esseri eccezionali sìnaturalmente, perché sono i personaggi principali e il Buddha Sakyamuni è colui che ha dato inizioalla scuola dalla quale noi anche deriviamo, però se noi li vediamo soltanto eccezionali, allora pernoi non hanno alcun significato, non ne viene alcun insegnamento. Dobbiamo vederli eccezionalima con un'eccezionalità che è alla portata anche delle nostre possibilità, e allora in questo modopossiamo trarne qualche beneficio, qualche giovamento, qualche insegnamento che ci permetta diandare avanti e di essere in grado, nel nostro ambito, di realizzare questo elenco di cose che poi,quando andiamo a ridurle sono ben poche perché molte di queste sono simili. Per esempio: "Nonesaurire lo stato terreno, non rinunciare alla grande benevolenza, non abbandonare la grandecompassione", e poi: "Come sviluppare una mente profonda rivolta alla ricerca della conoscenzaassoluta senza rilassarsi neanche per un momento" significa che il momento in cui noi abbiamosviluppato la conoscenza assoluta automaticamente ci viene di non rilassarci, perché questaconoscenza assoluta non è qualche cosa di ottenibile e poi dopo uno se lo mette in tasca e non cipensa più; è un ottenibile in continuazione, è uno stato di conoscenza in movimento e per cui, sec'è del rilassamento, non è quella conoscenza e quindi c'è questa contraddizione. "Praticarecostantemente i quattro metodi vittoriosi del bodhisattva; sostenere il retto Dharma anche arischio del proprio corpo e della propria vita; istruire e convertire gli esseri viventiinstancabilmente" è la stessa cosa. "Piantare infaticabilmente tutte le radici eccellenti" è lo stesso."Applicare incessantemente i metodi opportuni e la dedica" significa che cosa? Istruire e convertiregli esseri viventi instancabilmente. "Ricercare perpetuamente il Dharma" che significa? Lo stesso disostenere il Dharma a rischio anche del proprio corpo. "Predicarlo prodigalmente; venerareassiduamente tutti i Buddha" e così via. Quello che è interessante è: "Dare origine al pensiero diessere un buon maestro del Dharma nell'incontrare coloro che lo cercano". Questo è moltoimportante. Il momento in cui noi ci troviamo nella condizione di insegnare a qualcuno, perchéquesto qualcuno ci viene a chiedere qualcosa, dobbiamo essere capaci di avere sia l'umiltà diriconoscere che noi siamo arrivati alla conoscenza suprema, sappiamo che c'è ancora tanto dasapere: questo è importante! Ma nello stesso tempo, se abbiamo qualche cosa da dire, qualchecosa da insegnare a qualcuno, glielo dobbiamo insegnare con la convinzione di stare facendoqualche cosa di giusto perché, altrimenti, quella persona che lo riceve si sentirà in qualche mododefraudata e non avrà fiducia in quello, anche bello, anche importante, che noi diciamo. Per cui,questo punto qua mi pare molto importante. Quest'altro: "Disfarsi di tutte le ricchezze perrealizzare la conoscenza assoluta". Si può sviluppare una mente in cui non ci sia attaccamento;quando non c'è attaccamento, noi non abbiamo bisogno delle ricchezze e naturalmente, ce nepossiamo disfare o non disfare, non dipende da noi, non ci interessa quello che abbiamo, nonviviamo in un mondo dell'avere, viviamo in un mondo diverso in cui l'avere non è così importantecome lo è per la maggior parte della gente. “Dare origine al pensiero della saggezza nel vederecoloro che violano i precetti". Eh, sì! Spesso si impara in tanti modi: si impara nel vedere quelli piùbravi di noi, si impara nel vedere quelli diciamo peggiori di noi. Qualcuno che sta commettendo

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qualcosa di sbagliato ci fa pensare e ci fa decidere di non farlo anche noi. Vediamo in qualcun altroche ci è di fronte, che possiamo osservare, questo suo errore e naturalmente, quell'errore ci fa"dare origine" come dice bene qui il Buddha, "al pensiero della saggezza nel vedere coloro cheviolano i precetti". "Contentarsi di pochi desideri nel non fuggire il mondo allo scopo di seguitarel'opera di salvezza del Bodhisattva significa non fuggire il mondo perché si deve continuare l'operadi salvezza del bodhisattva ma, nello stesso tempo, si deve contentarsi di pochi desideri, quelliindispensabili. "Realizzare la perfezione del corpo della bocca e della mente per conquistare ilcontegno degno di rispetto del Buddha; praticare profondamente il buon Dharma per rendereinsorpassate le proprie azioni; praticare il Mahayana per divenire un monaco bodhisattva". E poipassa ad enumerare il non dimorare nello stato ultraterreno: "Significa studiare e praticarel'immateriale ma senza dimorare nella vacuità; studiare e praticare ciò che è al di là delle cause masenza rimanervi". In fondo, il Buddha vuole portare l'attenzione dei bodhisattva che lo stannoascoltando su questo fatto, su questa loro particolarità che li differenzia dagli sravaka i quali, ilmomento che ottengono il nirvana ci entrano diciamo ci entrano - usiamo questo termine e non loabbandonano più. Il bodhisattva è un essere in continuo lavoro, che non smette mai di essere siacon la mente rivolta alo stato della vacuità, allo stato ultraterreno del nirvana, e allo stesso tempodeve avere anche la mente rivolta allo stato terreno. Lo abbiamo detto già altre volte Lin chi stessolo dice nei suoi discorsi: "La capacità di entrare e di uscire a proprio piacimento da uno statoall'altro". Ci sono dei momenti in cui noi dobbiamo essere completamente nello stato terreno e cisono dei momenti in cui possiamo entrare nello stato ultraterreno, vedere il nirvana, sentirci nelnirvana pur rimanendo nel corpo. Questa capacità del praticante di chan, del praticante comunquedi una disciplina, deve essere perseguita e deve essere naturalmente mantenuta. Questo è quelloche ci dà la grandissima libertà dei praticanti del chan quella di cui abbiamo spesso sentito parlaredai maestri del passato: "entrare ed uscire a proprio piacimento da qualunque situazione". È facileuscire anche da situazioni che noi possiamo definire molto difficili. Possiamo essere padroni di noistessi in qualunque situazione, anche nella prigione più buia dell'universo, anche in cima al satelliteartificiale che si perde nella galassia. C'è qualche cosa in noi, c'è questa nostra capacità, questanostra reale natura di Buddha che è insopprimibile, che è inamovibile, e nella quale noi cipossiamo rifugiare in qualsiasi momento, di fronte a qualsiasi difficoltà che ci venga dall'esterno enello stesso tempo possiamo estrinsecare nei momenti in cui c'è bisogno di aiutare gli altri, diportare qualche cosa agli altri nel mondo terreno. Questo è quello che dobbiamo sviluppare: lalibertà di cui si parla continuamente sui libri, in televisione, nel cinema; la libertà che vieneperseguita, quella liberazione dalla sofferenza dell'oppressione dei popoli che combattono permandare via gli invasori, senz'altro è un certo tipo di libertà. La libertà dalla schiavitù, la libertà dallavoro, la libertà dalla sofferenza, sono tutte libertà molto importanti che il genere umano andandoavanti nella sua evoluzione cerca naturalmente di conquistare. Ma la libertà in assoluto è proprioquella che ci rende padroni di noi stessi in qualunque situazione noi ci veniamo a trovare e questaè la libertà che, come dice il Buddha: "Il perseguimento del Dharma va ottenuto anche a costodella propria vita", perché si va oltre la propria vita. Questa capacità di vivere questa libertà è oltrel'attaccamento alla propria vita.

ESORTAZIONI FINALI 8 Maggio 1988

La costruzione del monastero è una domanda che spesso mi viene rivolta dagli allievi per lettera,per telefono, oppure quando vengono qui dopo molto tempo. E questo pensiero sicuramente ènella mente di molti: il pensiero della costruzione del monastero, tanto che, in qualche modo, tra

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contributi e prestiti siamo riusciti a pagare cinquantacinque milioni più altri otto milioni pochigiorni fa, che sono così sessantatre e ne pagheremo altri cinque o sei appena saranno entrati nelconto bancario.Ma ci si può chiedere, e me lo chiedo a voce alta, come è possibile che tutte queste persone - vistoche non è stato uno sponsor che ha deciso di investire questi sessanta milioni in questa costruzione– sono state tante persone anche con piccole cifre, tutte queste persone che hanno deciso dicostruire questo monastero perché hanno deciso di costruirlo se poi non lo vengono ad abitare, senon cominciano già ad abitarlo.In fondo, già in queste ultime sesshin abbiamo cominciato ad utilizzarlo: sedendoci, facendoci tai-chi. Bisogna fare molta attenzione perché non si pensi che il nostro dovere - nei confronti di noistessi naturalmente - si limiti a contribuire di tanto in tanto con l'abbonamento al notiziario o con ilcontributo al monastero; principalmente, fondamentalmente, si può anche fare a meno delnotiziario e del nuovo monastero, ma quello di cui non si può fare a meno è la pratica costante,regolare, senza interruzione, che dimostra che c'è da parte nostra un'attenzione continua a questonostro praticare. Il nostro praticare non esce mai dai nostri pensieri più profondi, siamo presi daaltre mille preoccupazioni ma sappiamo che c'è un certo appuntamento, sappiamo che abbiamoun punto di riferimento dove trovarci, dove praticare, dove dare tutto di noi stessi nella manieramigliore possibile.Questo c'è chi lo capisce e viene, c'è chi lo capisce e non può venire perché ha delle ragioni moltogravi, c'è chi lo capisce e pensa però che in fondo basta pure una volta all'anno, c'è, purtroppo, chinon lo capisce.Noi che siamo qui, per fortuna, in qualche modo - almeno penso - lo abbiamo capito. La sesshin haun valore insostituibile. Sì, è importante praticare regolarmente con i nostri compagni nelle nostrecittà, ma è importante venire a risciacquarsi i panni appena possibile, perché poi dopo si torna coni compagni in città, si torna da soli nella nostra stanzetta in una maniera diversa. Altrimenti, non c'èuna ragione per cui uno contribuisce alla costruzione di un monastero, per farci che? Unacattedrale nel deserto? Dobbiamo costruire i grandi monasteri per mantenerci nessuno? Pervedere la gente all'inaugurazione e poi sparire?Allora, sono meglio i prati che i blocchi di cemento.

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SESSHIN DI GIUGNO 1988

SESSHIN KOKUHO 3 giugno 1988

Nei monasteri giapponesi, dal primo giugno al due agosto, per novanta giorni esatti ha luogo ilperiodo chiamato 'Seichu" in cui, come avveniva nell'India al tempo del Buddha, i monaci sifermavano dai loro pellegrinaggi e siccome era la stagione delle piogge, si radunavano in un postocoperto e tutti insieme praticavano. Dal primo giugno al sette giugno a Shofukuji c’è la primagrande sesshin di questo periodo.Noi ci troviamo sempre in mezzo, anche perché le nostre sesshin non cominciano normalmentedall'uno del mese e durano di meno. La sesshin è un periodo in un tempo e in un luogo. Nel tempoperché è una volta al mese, in un luogo perché molti dei praticanti vengono qui a Scaramuccia dalontano per praticare insieme. Questo tempo e questo luogo però sono dei concetti che abbiamoinventato noi perché siccome sesshin significa mettere insieme i cuori per arrivare allacomprensione della nostra reale natura, questo tempo e luogo dovrebbero essere: come luogo ilnostro cuore e come tempo ogni momento della nostra giornata. È vero che c’è bisogno di trovarsianche con gli altri per risperimentare qualche cosa che ci aiuti poi nella nostra sesshin quotidiana,quando saremo tornati a casa. Ma se noi deleghiamo soltanto a questo momento del mese e aquesto luogo dell'Umbria la possibilità di comprendere, allora siamo sulla strada sbagliata. Chissà!È probabile che con l'aiuto dello sciopero dei treni quelli che non partecipano a questa sesshin cosìpoco numerosa lo abbiano già compreso da sé, abbiano deciso ormai che non vale più la pena difare le sesshin a Scaramuccia perché ormai sono in grado di praticare da soli nella propria casa. Secosì fosse, sarebbe certamente un grande successo: dimostrerebbe che venendo a Scaramuccia c’èla possibilità di tornare poi a casa e diventare così liberi ed essere padroni di poter praticare inqualunque posto del mondo. A parte questo, che è una congettura dovuta a una situazionecontingente, noi abbiamo di fronte due giorni pieni da vivere insieme, che sono soprattuttoqualche decina di ore da trascorrere seduti, soprattutto, e alcune a lavorare e a mangiare oltre che,per quelli che sono abilitati, a dover rispondere sul proprio koan. Queste ore che trascorriamoinsieme, con l'aiuto anche di un tempo favorevole, di un cielo stellato e di una luna chiara possonoessere veramente importanti se, oltre all'intenzione che ci ha fatto muovere per arrivare fino a qui,c'è la capacità di mantenere la determinazione di praticare con tutte le nostre forze. Bisognaimpegnarsi completamente, fino all'ultima fibra dei nostri muscoli mentali e fisici; allora, in quelmomento, si riesce ad andare oltre questo nostro corpo, si riesce ad andare oltre questa nostralimitata mente: si entra in un’altra mente. In quel luogo, che non è lontano da noi, ma è noi stessi,in quel luogo si realizza qual'è veramente la nostra reale natura, la natura di illuminazione, lanatura che ci fa vivere in uno stato di risveglio e non di sonno o di sogno come la maggior partedelle volte.Allora, insieme, cerchiamo di aprire gli occhi!

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VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. XII° pag. 108 - 110“LA VISIONE DEL BUDDHA AKSOBHYA”_______________________________________

Il Buddha chiese allora a Vimalakirti: "Hai parlato di venire qui a vedere il Tathagata, ma in chemodo lo vedi imparzialmente?"Vimalakirti rispose: "Vedendo la realtà nel proprio corpo, questo è il modo in cui si deve vedere ilBuddha. Vedo che il Tathagata non visse nel passato, non andrà nel futuro, e non rimane nelpresente. Non si vede il Tathagata nella forma (rupa, il primo aggregato) né nell'estinzione dellaforma né nella natura sottostante della forma. Né lo si vede nella sensibilità (vedana); nellaconcezione (sanjna), nella discriminazione (samskara) e nella coscienza (vijnana) (cioè gli altriquattro aggregati); nella loro estinzione e nella loro natura sottostante. Il Tathagata non è creatodai quattro elementi (terra, acqua, fuoco e aria) perché è immateriale come lo spazio. Nonproviene dall’unione delle sei porte (cioè, i sei organi dei sensi) perché è al di là dell'occhio,dell'orecchio; del naso, della lingua, del corpo e dell'intelletto. È oltre i tre mondi (del desiderio,della forma e del senza-forma) perché è impermeabile alle tre contaminazioni (il desiderio, l'odio el'ottusità). E’ in linea con le tre porte del nirvana e ha raggiunto i tre stati d'illuminazione (o le treintuizioni) che non sono diversi dalla natura sottostante della non-illuminazione. Non è un'unità néuna diversità non è sé stesso né un altro, né una forma né il senza-forma e, nel convertire gli esseriviventi, non è su questa sponda della non-illuminazione né sull'altra sponda (dell'illuminazione) nétra le due. Esamina a fondo la condizione nirvanica (di quiete ed estinzione dell'esistenzamondana) ma non dimora nell'estinzione permanente. Non è né questo né quello e non lo si puòrivelare con questi due estremi. Non Lo si può conoscere con l'intelletto né percepire con lacoscienza. Non è luminoso né oscuro. È senza nome e senza forma, non essendo né forte nédebole, né puro né impuro, né in un dato luogo né al di fuori di questo, e né terreno néultraterreno. Non lo si può rivelare né parlarne. Non è caritatevole né egoista; non osserva né violai precetti; è oltre la pazienza e l'ira, la diligenza e la trascuratezza, la quiete e l'agitazione. Non èintelligente né stupido, e non è onesto né falso. Non viene né va e non entra né esce. È al di là deisentieri della parola e del linguaggio. Non è il campo di beatitudine né il suo opposto, non è degnoné indegno di venerazione e offerte. Non Lo si può afferrare né lasciare, ed è oltre "è" e "non è". Èsimile alla realtà e alla natura del Dharma (dharmata) e non lo si può indicare e valutare poichè èoltre l'immaginazione e la misurazione. Non è grande né piccolo, non è visibile né invisibile, non losi può toccare né conoscere, è libero da ogni legame e schiavitù, E’ simile alla Conoscenza Assolutae alla natura (sottostante) di tutti gli esseri viventi, e non lo si può differenziare da tutte le cose. Èoltre il guadagno e la perdita, libero da contaminazioni e disordini, oltre il creare e il dare origine (aqualsiasi cosa) oltre la nascita e la morte, oltre la paura e l'ansia, oltre la simpatia e l'antipatia, eoltre l'esistenza nel passato, nel futuro e nel presente. Non Lo si può rivelare con la parola, illinguaggio, il discernimento e l'indicazione."O Universalmente Venerato, tale essendo il corpo del Tathagata, è corretto vederlo nel modosuddetto, mentre è errato vederlo diversamente."

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TEISHO4 Giugno 1988

Dalle descrizioni che Vimalakirti fa del modo di vedere il Tathagata, il Buddha, ci sentiamotrascinati come quando a noi non specialisti della fisica, ci parlano di quegli enormi macchinariacceleratori di gravità che servono a separare la particelle infinitesimali che costituiscono l'atomo evediamo che non è qualche cosa a cui attaccarci. Siamo abituati a vedere nero su bianco, sedobbiamo ricordarci qualcosa ce la dobbiamo scrivere o ricorriamo al nodo al fazzoletto, oppureimpariamo a memoria qualcosa e questo qualcosa lo ripetiamo spesso perché poi ritorni, maqualche cosa con cui abbiamo confidenza.Quando sentiamo questa risposta di Vimalakirti ci sentiamo portati di peso in un altro mondo dovetutto quello su cui noi abbiamo fondato la nostra esistenza fino a questo momento non esiste.Sentiamo Vimalakirti che ripete: "È e non è; non è onesto né disonesto e neanche una cosa fra ledue: non è luminoso né oscuro; non lo si può conoscere con l'intelletto né percepire con lacoscienza" e via dicendo. Allora, che cosa si deve fare? Come è? E questa è la domanda che ilBuddha gli fa: "Hai parlato di venire qui a vedere il Tathagata, ma in che modo lo vediimparzialmente?" Che poi la domanda del Buddha a Vimalakirti, nell'aggiungere questo"imparzialmente" diventa una domanda strana, perché sarebbe bastato dire: "In che modo lovedi?" e Vimalakirti avrebbe sicuramente dato la stessa risposta che poi ha dato: "Vedendo larealtà nel proprio corpo, questo è il modo in cui si deve vedere il Buddha". E in questa primaconsiderazione che fa Vimalakirti, noi potremmo anche fermarci perché, in fondo, è quello chefacciamo. Quello che dice dopo: "Vedo che il Tathagata non giunge dal passato, non andrà nelfuturo, e non rimane nel presente. Non si vede il Tathagata nella forma, etc." questo già appartienea qualche cosa che noi non possiamo immediatamente realizzare. Lo vogliamo realizzare,certamente, vogliamo comprenderlo perché siamo qui apposta, ma lo mettiamo lì e diciamo "Si,poi ci penserò!"Quello che dice subito, all'inizio Vimalakirti, e cioè "Vedendo la realtà nel proprio corpo, questo è ilmodo in cui si deve vedere il Buddha". Che cosa altro possiamo capire noi? Dove possiamo vedereil Buddha? Se noi fossimo da soli su un'isola deserta e non ci fosse niente altro da vedere che ildeserto, e volessimo cercare il Buddha, dove lo dovremmo cercare? Soli, di fronte al muro dellacaverna come è stato Bodhidharma per nove anni in Cina, e così ugualmente soli come siamo noitutti quanti, malgrado in compagnia, quando ci sediamo sul nostro cuscino e suona la campanella isuoi quattro rintocchi, fino al momento in cui suonerà quello che segnerà la fine del periodo. Cosisoli, possiamo vedere il Buddha nel proprio corpo e in questo così come ha fatto Vimalakirti, comeha fatto il Buddha Shakyamuni prima di lui, come hanno fatto tutti i Bodhisattva vedere la realtàdel Buddha. Tutto il resto, nel momento in cui noi vediamo la realtà del Buddha, naturalmente tuttiquesti attributi - perché non si abbiano dubbi, Vimalakirti li enumera uno per uno - di conseguenzaverranno compresi anche da noi.In alcune delle affermazioni che fa Vimalakirti in risposta alla domanda del Buddha, noi possiamotrovare tante risposte di maestri ch'an. Lin-Chi stesso lo vediamo comparire spesso e così possiamoanche far venire alla nostra memoria altre frasi lette e riferite ai maestri del passato. Vimalakirtidice tutto e in questo tutto che dice, ovviamente nel passato, i maestri hanno spesso pescato edutilizzato una o più frasi di questo suo discorso. E questi suoi discorsi in cui nega che la verità sia inuno o nell'altro degli opposti, naturalmente appartengono completamente al mondo del ch'an,perché noi nella pratica del koan siamo sempre di fronte a questa alternativa: non è bianco e non ènero. Che colore è? Non è buono e non è cattivo. Che cosa è? Cosi come Vimalakirtitranquillamente enumera, di fronte al Buddha, le qualità che gli permettono di vedereimparzialmente - come ha detto il Buddha - il Tathagata, noi attraverso la nostra pratica del koan,

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attraverso e vivendo la nostra pratica di meditazione, riusciamo nella stessa maniera - quandorealizziamo la verità del koan - anche noi come Vimalakirti riusciamo ad esprimere la qualità delTathagata che è e non è, che è e nello stesso tempo non è, che non è e nello stesso tempo è. Tuttequeste contrapposizioni si trovano spesso nel modo di esporre degli indiani e il testo delVimalakirti sutra appartiene ancora a questa tradizione e naturalmente, ci troviamo spesso difronte a queste espressioni. Successivamente quando poi si andrà in Cina, già i maestri cinesiutilizzeranno un modo più diretto, più corporeo di esporre le stesse cose ma siamo sempre difronte allo stesso problema: per poter parlare del Tathagata bisogna realizzarlo nel proprio corpo e,una volta stabilito questo, il discepolo chiede al maestro come si fa. Niente altro! Un discepolo chenon chiede al maestro come si fa e si accontenta di quanto ha letto sui libri non è un discepolo, enon essendo discepolo, non è naturalmente uno che cammina sulla strada che porta allacomprensione della sua natura di Buddha al di là della quale non c'è niente altro da comprendere.Per cui, è uno che si accontenta di una comprensione parziale e gli esseri umani, per essere ritenutipienamente tali, non devono accontentarsi di verità parziali, devono aspirare al tutto: a diventareBuddha!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI4 Giugno 1988

Noi esseri umani siamo abituati, non soltanto in Occidente, a pensare di noi stessi: il nostro corpo,la nostra mente. Separiamo queste due funzioni, chi più chi meno. Certamente, per quantoriguarda una società evoluta si tende, ci si prepara per utilizzare sempre meglio la mente più che ilcorpo. I maestri del passato, del ch'an, però ci hanno spesso redarguito incitandoci a mettere daparte la testa, cioè il cervello. Come si può mettere da parte il cervello se è quello con il quale noipensiamo e ragioniamo e decidiamo, quello che è la sede della nostra volontà in qualche modo iMaestri non volevano certamente, invitandoci così, farci tornare allo stadio animalesco quando ciinvitavano a voler capire con tutto il corpo, tutto il corpo! Di questi tempi vediamo unaproliferazione di persone che dedicano molta più attenzione al proprio corpo e così come avvieneper quelli che fanno culturismo, molti di noi spesso, come i culturisti, si guardano allo specchio.Nello stesso modo – questo è quanto i maestri del passato volevano facilitare - quelli chesoggiornano nelle regioni più alte, quelle della testa e del pensiero, guardano allo specchio i propripensieri. I maestri volevano che evitassimo questi estremi; volevano che si usasse la testa per latesta, il corpo per il corpo, ma arrivare a comprendere un modo di vivere il corpo e la mente-cervello più distaccato, senza l'attaccamento, il bisogno di doversi rimirare allo specchio. Questodistacco è il fine al quale dobbiamo tendere. Staccarci da questi bisogni che ci legano sia al corpoche alla mente. Lavorare su di noi perché si ottenga la capacità di entrare e di uscire liberamenteda qualunque situazione. Questo è il nostro padre LinChi che ci ha esortato spesso in questo modo:non essere legati al corpo, non essere legati alla mente. Entrare ed uscire con questo corpo e conquesta mente senza attaccamento, con libertà; proprietari di noi stessi, in qualunque situazione.Ecco! che ci siano gli specchi o che non ci siano.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI5 Giugno 1988

Tre o quattro giorni fa per Orvieto è passato il giro d'Italia, proprio per la strada dove è la fontanache sale su a Bagni e che poi prosegue per Ficulle. Siamo andati a vederli, sulla salita per vedere

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meglio, e già qualcuno rimaneva indietro e si vedeva la faccia disperata che cercava di non lasciarsidistaccare. Poi, proprio l'altro ieri, mentre cercavo un libro da regalare a un ragazzo amico di Alvise,sfogliandone uno di quelli a fumetti, si vedeva Fausto Coppi - un corridore molto bravo del passato- e un giornalista che gli chiedeva che cosa si deve fare per diventare campioni. Fausto Coppirispondeva che bisogna essere capaci di soffrire e di saper tenere duro anche quando tutte le cosevanno male.Il giro d' Italia con la moltitudine di automobili che lo segue – saranno forse mille persone chevanno da una città all'altra per una ventina di giorni - mette in moto chissà quanti problemisicuramente viverlo deve essere anche bello, questo piacere di cavalcare attraverso tutto il nostropaese sulla bicicletta ma, se ci pensiamo bene, questa sofferenza, questa fatica che i corridorifanno - perché gli si vede sulla faccia quando vanno in salita e cominciano a stancarsi - questa faticae questa grande sofferenza a cui si sottopongono, naturalmente la fanno perché è il loro mestiere edevono guadagnarsi la vita, il mangiare, il dormire, i vestiti per sé e per la propria famiglia, maanche per questo stimolo di diventare campioni, di essere seguiti dagli altri, di essere ripresi dallatelevisione, intervistati e finire sui giornali. In fondo, è uno scopo, se possiamo fare una classificadegli scopi illusori è senz'altro uno dei più illusori a parte la possibilità di guadagnare dei soldi, maneanche tanti perché quelli che faticano di più sono quelli che guadagnano di meno. Ci si trova adover soffrire per uno scopo illusorio. Sicuramente, se i corridori ciclisti vedessero delle personeche stanno sedute qua dentro per tutta la notte, sarebbero più drastici nel giudicare inutili gli sforziche si fanno rimanendo a gambe incrociate. Ma noi sappiamo bene che non è cosi, perché noilavoriamo - cosi come molti altri lo fanno nel mondo sotto scuole diverse - lavoriamo per unoscopo non illusorio, per uno scopo che, appunto, tolga l'illusorietà a tutte le azioni chenormalmente facciamo. Però, la nostra vita è illusoria; se noi non abbiamo la forza di rimanereseduti, soffrendo se è necessario, per poter scoprire la nostra reale natura questa reale natura nonè illusoria, è reale, e questa è la natura di noi stessi che può dare un senso alla nostra vita.Ecco allora, se le parole di Fausto Coppi fossero riportate e riferite allo sforzo ascetico, sì ci vuolesofferenza! Certe volte ci vuole molta sofferenza; ci vuole molta pazienza e molta capacità di saperresistere quando tutte le cose sembrano non riuscire. Però poi si riesce!

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. XII° pag. 110 - 113“LA VISIONE DEL BUDDHA AKSOBHYA”_______________________________________

Allora Sariputra chiese a Vimalakirti: "Dove sei morto per rinascere in questo luogo?"Vimalakirti gli chiese di rimando: "Il Dharma (sravaka) che hai realizzato è soggetto alla morte e allarinascita?"Sariputra rispose: "È oltre la morte e la nascita".Vimalakirti chiese: " Se non esiste né la nascita né la morte, perché mi hai chiesto: "Dove sei mortoper rinascere in questo luogo?". Cosa pensi degli uomini e delle donne illusori creati da unillusionista: sono soggetti alla morte e alla nascita?"Sariputra rispose: "Non sono soggetti alla morte e alla nascita. Non hai sentito dire dal Buddha chetutte le cose sono illusioni?"Vimalakirti disse: "Sì, se tutte le cose sono illusioni, perché mi hai chiesto dove sono morto perrinascere in questo luogo? Sariputra, la morte è irreale e ingannevole, e significa decadimento e

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distruzione (per l'uomo terreno), mentre la vita, anch'essa irreale e ingannevole, significa per luicontinuità. Quanto al Bodhisattva, sebbene svanisca (da un luogo) non mette fine alle sue buoneazioni, e sebbene riappaia in un altro ostacola la nascita dei peccati".Allora, il Buddha disse a Sartputra: "Vi è una terra (di Buddha) chiamata il regno della GioiaProfonda, il cui Buddha è il Buddha Aksobhya e Vimalakirti scomparve da quel luogo per giungerequi"Sariputra disse: "E’ una cosa rara, o Universalmente Venerato, che quest'uomo abbia potutolasciare una pura terra per venire in questo mondo pieno di odio e di male!".Vimalakirti chiese a Sariputra: "Sariputra, cosa pensi della luce del sole; dove appare si unisceall'oscurità?"Sariputra rispose: "Dov'è la luce del sole, non vi è affatto oscurità"Vimalakirti chiese: "Perché il sole splende sul Jambudvipa (questa terra?"Sariputra rispose: "Splende per distruggere l'oscurità".Vimalakirti disse: "Similmente un Bodhisattva, per quanto nato in una terra di Buddha impura, nonsi unisce o si allea all'oscurità dell'ignoranza, ma (istruisce e) converte gli esseri viventi perdistruggere la tenebra dei klesa".Poichè l'assemblea ammirava e desiderava vedere il Tathagata Immutabile, i Bodhisattva e glisravaka della pura terra della Gioia Profonda, il Buddha che aveva letto i loro pensieri disse aVimalakirti: "O uomo virtuoso, ti prego di mostrare il Tathagata Immutabile e i Bodhisattva e glisravaka della terra della Gioia Profonda all'assemblea che desidera vederli". ·Vimalakirti pensò che avrebbe preso in mano, sempre rimanendo seduto il mondo della GioiaProfonda con le montagne di ferro che lo circondavano, le colline, i fiumi, i ruscelli, i burroni, lesorgenti, i mari, i Sumeru, il sole, la luna, le stelle, i pianeti, i palazzi dei draghi celestiali, i fantasmi,gli spiriti e i deva, i Bodhisattva, gli sravaka, le città, i villaggi, gli uomini e le donne di ogni età, ilTathagata Immutabile, il suo albero e i magnifici boccioli di loto, che erano usati per compierel'opera di salvezza del Buddha nelle dieci direzioni, come pure le tre scalinate ingemmate cheunivano il Jambudvipa (la nostra terra) ai Trayastrimsa con cui i deva discendevano in terra perrendere onore al Thatagata Immutabile e per ascoltarne il Dharma, e con cui gli uomini salivano aiTrayastrimsa per vedere i Deva. Tutto ciò era il frutto di meriti innumerevoli del regno della GioiaProfonda, dal paradiso Akanistha in alto, ai mari in basso, e Vimalakirti lo sollevò con la manodestra con la stessa facilità con cui un vasaio solleva il suo tornio, portando ogni cosa in terra permostrarla all'assemblea come se mostrasse la sua acconciatura. Quindi Vimalakirti entrò nello stato del samadhi e usò il potere ultraterreno per prendere con lamano destra il mondo della Gioia Profonda, che pose in terra. I Bodhisattva, gli sravaka e alcunideva che avevano realizzato i poteri ultraterreni dissero al loro Buddha "0 UniversalmenteVenerato, chi ci sta portando via? Ci vuoi proteggere?" Il Buddha Immutabile disse: "Non sono io afarlo ma Vimalakirti, che sta usando il suo potere ultraterreno". Ma coloro che non avevanoconquistato i poteri ultraterreni, non si accorsero né sentirono di aver cambiato posto. Il mondodella Gioia Profonda non si espanse né si contrasse una volta disceso sulla terra, che non fucompressa né ristretta ma rimase immutata come prima. Allora, il Buddha Sakyamuni disseall'assemblea: "Osservate il Tathagata Immutabile della terra della Gioia Profonda che è maestosa,dove i Bodhisattva conducono una vita pura e i discepoli (del Buddha) sono senza macchia".I presenti risposero: "Si, abbiamo visto".Il Buddha disse: "Se un Bodhisattva desidera vivere in una terra di Buddha così pura e immacolata,dovrebbe praticare il sentiero calcato dal Tathagata Immutabile". Quando apparve la pura terradella Gioia Profonda, quattordici nayuta di gente in questo mondo di saha svilupparono la menterivolta alla suprema illuminazione, e fecero voto di rinascere nel regno della Gioia Profonda. IlBuddha Sakyamuni allora predisse la loro rinascita futura in quel luogo. Dopo (che i Bodhisattva in

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visita ebbero compiuto) l'opera di salvezza a beneficio degli esseri viventi di questo mondo, la puraterra della Gioia Profonda ritornò al suo posto originario, e ciò fu visto dall'intera assemblea.Il Buddha disse allora a Sariputra: "Hai visto il mondo della Gioia Profonda e il suo TathagataImmutabile?"Sariputra rispose: "Si, o Universalmente Venerato. Possano tutti gli esseri viventi conquistare unapura terra simile a quella del Buddha Immutabile e ottenere poteri ultraterreni pari a quelli diVimalakirti! O Universalmente Venerato, presto realizzeremo un grande beneficio provenientedall'aver ora incontrato e reso omaggio a quest'uomo. E anche gli esseri viventi che ascoltinoquesto sutra ora o dopo il nirvana del Buddha realizzeranno un grande beneficio; e quanto sarebbepiù grande se, dopo averlo udito, vi credessero, lo comprendessero, lo accettassero e losostenessero, o lo leggessero, lo recitassero, lo spiegassero e lo predicassero, e praticassero il suoDharma in conseguenza?Colui che accetta questo sutra con entrambe le mani, in realtà otterrà il tesoro della gemma delDharma; se, inoltre, lo leggerà, lo reciterà e ne comprenderà il senso e lo praticherà, inconseguenza, sarà benedetto e protetto da tutti i Buddha. Coloro che fanno offerte a quest'uomo(Vimalakirti), attraverso di lui automaticamente faranno offerte a tutti i Buddha. Chi copia questosutra e lo mette in pratica, sarà visitato dal Tathagata che andrà nella sua casa. Chi si rallegra nelsentire questo sutra, è destinato a conquistare la conoscenza assoluta (sarvajna). E chi crede ecomprende questo sutra, o anche (una qualsiasi del) le sue gatha di quattro versi e la predica aglialtri, riceverà la predizione (da parte del Buddha) della sua realizzazione futura della supremailluminazione".

TEISHO5 Giugno 1988

Ormai è la fine, mancano soltanto due brevi capitoli e poi il Vimalakirti sutra sarà terminato. C’èsempre questo avvertimento, da parte del Buddha o di uno dei suoi discepoli, nello stimolare ifuturi letto ri a leggere, a diffondere, a mettere in pratica questo sutra. Questo perché dalla lettura,rilettura e approfondimento di questo sutra viene quella conoscenza, quella comprensione e quellarealizzazione che permette, come fa poi voto Sariputra che dice: "Possano tutti gli esseri viventiconquistare una pura terra simile a quella del Buddha Immutabile e ottenere poteri ultraterrenipari a quelli di Vimalakirti!", perché si possano appunto ottenere questi poteri u1traterreni e questibenefici di rinascere nella pura terra della Gioia Profonda. La fine di questo capitolo è iniziata conla domanda di Sariputra a Vimalakirti: "Dove sei morto per rinascere in questo luogo?" EVimalakirti risponde chiedendogli: "Il Dharma che hai realizzato è soggetto alla morte e allarinascita?". E vanno avanti in questa discussione. Sariputra risponde: "È oltre la morte e la nascita".Vimalakirti allora chiede: "Se non esiste né la morte né la nascita, perché mi hai chiesto: “Dove seimorto per rinascere in questo luogo?”. Ma Sariputra, naturalmente, più che fare una domandainerente alla morte, vuole sapere da Vimalakirti da dove proviene, come ha messo insieme la suasaggezza prima di essere nato a Vaisali. Cioè, Vimalakirti compare a Vaisali ed è già Vimalakirti. Ora,questo Vimalakirti, come si è formato? È come se noi chiedessimo a una persona qual'è stata lascuola prima di laurearsi, dove ha fatto il liceo, oppure prima di diventare monaco o insegnante, oinsegnante laico che sia, qual'è stato il suo maestro, dove ha praticato. E questo, naturalmente, siriferisce a una qualunque arte, sia quella della pratica ascetica che ci riguarda più da vicino, mapuò riguardare una qualunque altra arte. Questo è quanto Sariputra vuole sapere da Vimalakirti. Ela risposta gliela dà il Buddha Sakyamuni: "Vi è una terra di Buddha chiamata il regno della Gioia

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Profonda, il cui Buddha è il Buddha Aksobya, e Vimalakirti scomparve da quel luogo per giungerequi."Aksobya è il Buddha Immutabile, imperturbabile e sereno nel mezzo dell'agitazione. Quello che èmolto importante qui e che però non è tanto comprensibile da parte nostra, è la risposta che dàVimalakirti: "Quanto al Bodhisattva, sebbene svanisca da un luogo non mette fine alle sue buoneazioni, e sebbene riappaia in un altro ostacola la nascita dei peccati". Vimalakirti vuol dire che lanascita e la morte sono vere per l'uomo terreno ma, in qualche modo, sono false per ilBodhisattva. E questo non è tanto facilmente comprensibile. Poi c'è questa domanda: "Sariputra,cosa pensi della luce del sole; dove appare si unisce al l'oscurità?" Questo è importante, anche sequi Sariputra dà una risposta che è discutibile: "Dov'è la luce del sole non vi è affatto oscurità. Ilsole splende per distruggere l'oscurità". Vimalakirti dice: "Similmente un Bodhisattva per quantonato in una terra di Buddha impura, non si unisce o si allea all'oscurità dell'ignoranza, ma istruiscee converte gli esseri viventi per distruggere la tenebra dei klesa".Ecco, qui è in questo senso di lotta della luce per distruggere l'oscurità, cioè l'ignoranza. Ma anchel'ignoranza, in qualche modo, per bilanciare tutto quanto l'universo stesso, fa parte della natura delmondo. Il praticante deve vedere sia la luce che l'oscurità nella loro importanza e cercare direalizzare quella comprensione che lo porti a non essere attaccato né alla luce né all'oscurità.Vimalakirti, con uno dei suoi poteri prodigiosi fa vedere il Tathgata immutabile, e qui c’è poco dadire: questa capacità di mostrare di fronte a tutti gli altri questo mondo appartiene alla simbologiae non mi avventuro in questa spiegazione perché non saprei come fare. Quello che invecesuccessivamente è molto importante è l'insistenza da parte di Sariputra sulla lettura,comprensione, spiegazione e tutto quello che si può fare riguardo al sutra di Vimalakirti. Sariputraalla fine si rende conto della saggezza illimitata di Vimalakirti e dice: "Possano tutti gli altri essericonquistare una pura terra simile a quella del Buddha Immutabile e ottenere poteri ultraterrenipari a quelli di Vimalakirti! Coloro che fanno offerte a quest'uomo (Vimalakirti), attraverso di luiautomaticamente faranno offerte a tutti i Buddha. Chi si rallegra nel sentire questo sutra, èdestinato a conquistare la conoscenza assoluta. E chi crede e comprende questo sutra, o anche unaqualsiasi delle sue gatha di quattro versi e la predica agli altri, riceverà la predizione da parte delBuddha della sua realizzazione futura della suprema illuminazione".Naturalmente, questa fede e questo credere di cui parla Sariputra si riferiscono come sempreavviene nel buddismo, anche riferendosi a quanto detto dal Buddha Sakyamuni stesso, alla fedeche deve sorgere istantaneamente insieme alla comprensione di quello che noi vogliamocomprendere. Sulla fede, sulla fiducia, sul credere, molti autori si sono spesso avventurati e adessonon voglio aggiungere qualche altra cosa io, anche perché già è stato detto in altre occasioni. Èmolto importante realizzare la comprensione di qualche cosa, sentire che da questa comprensioneci viene la forza per dare fiducia a quelli che questa comprensione hanno realizzato e hannopermesso che arrivasse fino a noi. Da questo scaturisce una fede incrollabile - perché deve essereincrollabile - nella nostra capacità di ottenere anche noi la comprensione. Se non abbiamo questafede incrollabile nella nostra umanità e cioè nella nostra capacità di essere bodhisattva e di esserenoi stessi dei Buddha, sarà molto difficile che riusciremo ad ottenere la comprensione di Buddha.La fiducia è quella che ci muove verso qualcosa o verso qualcuno. Ci muove perché sentiamoun'attrazione, possiamo sentirla verso il testo di Vimalakirti, verso un maestro, verso una certaarte, e questa fiducia ci fa avvicinare e ci fa praticare. Dalla pratica viene la nostra capacità dicomprendere che questa pratica è quella giusta per noi, questo testo è quello giusto per noi eallora si sviluppa quella fede in noi, non nel testo o nel maestro o nella pratica. La fede deve esserenella nostra capacità di diventare Buddha. Ecco, questo è molto importante: la distinzione tra fedee fiducia. La fiducia da noi va verso l'esterno; la fede è di qualche cosa che è all'interno di noi, percui non si muove, c’è, viene fuori, noi naturalmente la facciamo scaturire, non è qualche cosa che

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viene dal cielo; qualche cosa che c'è in noi e che noi alimentiamo in continuazione rendendolasempre più forte e rendendoci sempre più sicuri di poter arrivare dove vogliamo arrivare.

ESORTAZIONI FINALI 5 giugno 1988

Nella raccolta dei discorsi di Lin-Chi c'è un capitolo molto breve nel quale Lin-Chi dice a unaguardia: "Comunque tu voglia chiamarlo questo pilastro, è sempre un pilastro di legno. Comunquenoi vogliamo mettere le cose, per usare un'altra frase fatta,"le chiacchere sono a zero".Di fronte alle difficoltà della vita, di fronte alle difficoltà del nostro corpo e della nostra mente, difronte alla nostra incapacità di comprendere, le parole, le chiacchere, servono a poco. Le cose sonocosi come sono e la nostra capacità di superare le barriere che esse ci pongono si scontra e spessorimane sconfitta. Ma proprio da questa constatazione dovrebbe venire molto più forte - dal nostroprofondo - la volontà di voler comprendere, la volontà di voler sapere esattamente come stanno lecose per poterle affrontare e risolvere in continuazione come esse ci si presentano di fronte.Realizzare quella capacità che ci faccia staccare non tanto dai desideri, quanto dall'attaccamento aidesideri e camminare liberamente. La società intorno a noi artificiosamente ne creacontinuamente e molti di noi pur accorti, pur molto guardinghi, non possono far a meno, talvolta,di caderne in trappola. Dobbiamo star attenti!Stupisce - beh, non so se à una parola esagerata - che non ci sia così forte nei praticanti dellanostra scuola questa comprensione tanto da stimolarli ad essere più presenti nel proprio posto equi a Scaramuccia per potersi in continuazione forgiare, diventare forti e, diventando forti,sviluppare quella capacità che ci fa essere non attaccati.Sempre per citare il vecchio Lin-Chi: "Sviluppare una mente che non abbia alcuna cosa a cuiattaccarsi". Scaramuccia, cosi come geograficamente è posta in cima a questa collina e per quantaacqua cada non ci si ferma e scorre tutta verso il basso, può essere il luogo in cui anche noi, perquante cose ci cadano addosso siamo capaci di farcele scivolare via senza che ci rimanganoattaccate.

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SESSHIN DI LUGLIO 1988

SESSHIN KOKUHO 3 luglio 1988

In questo momento a Shofukuji la ultima grande sesshin dell'estate vive il suo momentoculminante dall'uno al sette luglio e il tre luglio (ormai per loro sarà il quattro) è il momento piùimportante della sesshin.Anche noi quest'anno facciamo una "0" sesshin, una grande sesshin di una settimana per cui questigiorni, a differenza degli altri anni, non saranno quel venerdì sera, sabato e domenica veloci, maavremo tutti quanti insieme, il tempo di adattarci al ritmo della sesshin e viverlo così pienamentefino all'ultimo giorno scoprendo, un giorno dopo l'altro, in fondo alla nostra vera natura.Di questi tempi le associazioni culturali, naturaliste, religiose, turistiche, agrituristiche, etc.,propagandano e invitano la gente a partecipare alle loro settimane. Alcuni, come possiamo vedereaffisso nel nostro zendo, fanno le settimane "secondo natura". Sarebbe il caso di chiedere a questepersone che cosa intendono loro per queste settimane secondo natura, perché se gli esseri umaniper "secondo natura" intendono vivere in un ambiente agreste cercando di ritornare indietro perdiventare di nuovo come gli animali, certamente queste persone hanno un bel coraggio a chiederetutti i soldi che chiedono per farci ritornare animali. Ma la natura di cui vogliamo interessarci noinon è la natura animalesca dell'uomo, è la natura più alta, la natura di illuminazione.Allora, se dicessero "le settimane secondo la natura di illuminazione", beh! non basta pagare unmilione o un milione e mezzo come chiedono in certi posti, ma uno dovrebbe pagarne molti dimilioni o addirittura come Eka Daishi quando si trovò nella caverna con Bodhidharma, si dovrebbetagliare un braccio, due braccia, le gambe, perché una volta realizzata questa natura diilluminazione andiamo oltre la nostra animalità, andiamo oltre il nostro corpo, andiamo oltre lamente. Questa è la natura di cui dobbiamo impadronirci, se vogliamo usare una parola un po' dura.Dobbiamo diventare padroni della nostra reale natura, di questa natura. Non stiamo a dare rettaalle chiacchiere di quelli che ci vogliono far vivere a mangiare soltanto le erbe, ci vogliono far viverea mangiare soltanto qualche altra cosa e a fare certe altre cose, o ritornare a fare la lana o a rifarele ciotole come le facevano un tempo. Queste sono tutte stupidaggini: si, vanno bene, a certi livellipossono anche andare bene, a qualcuno che sta male possono anche fare bene. Ma non dobbiamofermarci alle scuole elementari, dobbiamo andare oltre l'università, perché, se vogliamo ottenerequalche cosa, dobbiamo ottenere il più possibile, qualche cosa oltre la quale, mah! Poi dopo sivedrà. Ma se non altro, dobbiamo mirare molto in alto e il più alto possibile cui possiamo mirare èil più profondo, nella profondità di noi stessi arrivare a mettere le mani in questa natura di Buddha.Abbiamo sei giorni, ma come dico sempre, lasciamo fuori tutto! Certo, qui stiamo in un posto dovela natura ci è vicina, in cui siamo confortati speriamo dal tempo bello, dalla serenità di questenottate, dal silenzio e dall'aria profumata. Ma queste non sono cose importanti, se ci sono bene!ma potremmo anche stare chiusi dentro un bunker di cemento armato a duecento metri sottoterra e, anche in quella condizione, l'unica cosa da fare sarebbe arrivare a comprendere, realizzaree risvegliarci alla nostra reale natura. Poi, anche dentro un bunker a duecento metri sotto terra nonci sarebbe bisogno di niente perché la natura di Buddha è sufficiente a se stessa. Allora,mettiamocela tutta, cerchiamo di non perdere tempo e di non lasciarci intrappolare da nessunastupidaggine, ce ne saranno tante! Sono tanti i pensieri che attraverseranno la nostra mente:lasciamoli passare, cerchiamo di mirare sempre dritto, siamo venuti qui apposta per questo.

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ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Luglio 1988

Di questi tempi siamo andati spesso ad arrampicare in un posto vicino a Terni e lì è venuta ancheuna persona che arrampica che ha l'automobile abbastanza nuova e, a differenza di tutti gli altriche lasciano le automobili in un piazzale, lui la mette sempre sotto un albero, in un posto diverso;poi mette un asciugamano sul volante e insomma cerca di ripararla il più possibile. È capitatospesso di sentire da qualcuno, a proposito della propria automobile: "Io la tratto bene, la facciostare sempre in garage, etc. etc. "È giusto che ci si preoccupi dell'automobile perché se dobbiamoviaggiarci è bene che sia in buone condizioni e che ci porti con sicurezza da qualunque parte. Però,dobbiamo stare attenti che questa attenzione all'automobile non diventi un attaccamento perchéci sono ben altre cose da trattare bene. Dobbiamo non lasciarci irretire dall'attaccamento a tutte lecose che ci vengono proposte, che ci vengono proposte o che ci proponiamo. Dobbiamo essere ingrado di scartare con un colpo tutto quello che di superfluo - sebbene importante, sebbenecollabori e prenda parte in maniera determinante talvolta all'organizzazione della nostra vita -tutto quello che di superfluo impedisce la realizzazione della nostra libertà dall'attaccamento,libertà che significa capacità di vivere senza essere attaccati ad alcuna cosa.Questo è l 'insegnamento del nostro maestro Lin-Chi. Per cui, in ogni nostra attività, svilupparequella mente che non abbia alcuna cosa a cui attaccarsi. Noi utilizziamo la posizione seduta, altrimaestri hanno parlato di questa posizione in maniera entusiasta e in qualche modo dobbiamoessere d'accordo con loro perché possiamo vederci seduti in cima al mondo. Non abbiamo bisognoneanche del cuscino, le gambe le abbiamo tutti, il respiro lo abbiamo tutti. Respirando in manieragiusta, concentrandoci in maniera giusta, noi siamo completamente liberi e distaccati daqualunque cosa del mondo e nello stesso tempo siamo una cosa unica con tutto il mondo.Cerchiamo di perseguire questo trattamento di favore nei confronti di noi stessi, poi dopo, seabbiamo l'automobile, stiamo attenti anche all'automobile, ma prima di tutto viene questaassoluta libertà.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. XIII° pag. 114 - 116“L'OFFERTA DEL DHARMA”_______________________________________

"Allora Sakra, che era tra i presenti, disse al Buddha: "O Universalmente Venerato, per quanto ioabbia ascoltato centinaia e migliaia di sutra spiegati da te stesso e da Manjusri, non avevo uditoquesto inconcepibile sutra del sovrano potere ultraterreno e della realtà assoluta.Come comprendo da questo tuo sermone, se gli esseri viventi ascoltando il Dharma di questo sutralo crederanno, lo comprenderanno, lo accetteranno, lo sosterranno, lo leggeranno e lo reciteranno,sicuramente realizzeranno questo Dharma. E quanto di più se qualcuno lo praticherà secondol'esposizione; questi chiuderà tutte le porte ai destini malvagi e spalancherà tutte le porte allabeatitudine, conquisterà la perfezione del Buddha, domerà l'eresia, distruggerà i demoni, coltiveràla bodhi, fisserà un luogo di illuminazione (bodhimandala) e seguirà le orme del Tathagata. Universalmente Venerato, se vi saranno persone che accetteranno, sosterranno, leggeranno,reciteranno e praticheranno questo sutra, io e i miei seguaci li provvederemo di tutte le necessitàdella vita. Se questo sutra sarà custodito in una città o in un villaggio, in un boschetto o in undeserto, io e i miei seguaci ci recheremo nella dimora del predicatore per ascoltare il suo Dharma.

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Farò si che i non credenti sviluppino la fede in questo sermone. Quanto a quelli che Ti credono, liproteggerò".Il Buddha disse: "Eccellente, Sakra, eccellente; è soddisfacente udire ciò che hai appena detto.Questo sutra offre una spiegazione dettagliata dell’inconcepibile illuminazione suprema realizzatadai Buddha passati, futuri e presenti. Perciò, Sakra, se un uomo o una donna virtuosi accettano,custodiscono, leggono, recitano e onorano questo sutra, una tale disposizione è pari al fare offerteai Buddha passati, futuri e presenti.Sakra, se il grande chilocosmo fosse pieno di Tathagata innumerevoli quanto sono le canne dazucchero, i bambù, i giunchi, i chicchi di riso e i semi di canapa dei suoi campi; e se un uomo o unadonna virtuosi che avessero passato un intero eone o un kalpa decrescente a venerare, onorare,elogiare, servire e fare offerte a questi Buddha, e in seguito dopo il loro nirvana (morte)costruissero con le reliquie dei loro corpi uno stupa ornato delle sette pietre preziose grandequanto i quattro paradisi dei deva messi insieme e alto tanto da toccare con una guglia maestosa ilparadiso di Brahma, a cui egli o ella facessero offerte di fiori, incenso, collane di pietre preziose,stendardi e musica melodiosa nel corso di un kalpa intero o decrescente, o Sakra, che cosa nepensi dei loro meriti? Sarebbero tanti?".Sakra rispose: "Moltissimi, Universalmente Venerato, ed è impossibile contare i loro meriti percentinaia e migliaia di eoni".Il Buddha disse: "Sakra, dovresti sapere che se un altro uomo o donna Virtuosi, dopo aver uditoquesto sutra della liberazione inconcepibile, credessero, comprendessero, accettassero,custodissero, leggessero, recitassero e praticassero questo sutra, i loro meriti supererebbero quellidell'uomo o della donna precedenti. Perché? Perché la bodhi (illuminazione) di tutti i Buddhaderiva da questo Dharma, e poiché l'illuminazione è oltre ogni stima, non si possono valutare imeriti di questo sutra". Il Buddha continuò: "Molto tempo prima di innumerevoli eoni passati vi eraun Buddha di nome Bhaisajya-raja i cui titoli erano: Tathagata, Arhat, Samyaksambuddha, Vidya-Carana-Sampanna, Sugata, Lokavid, Anuttara, Purusa-Damya-Sarathi, Sasta Devamanusyanam, eBuddha-lokanatha o Bhagavan. Il suo mondo era detto Mahavyuha e l'eone di alloraAlamkarakakalpa. Il Buddha Bhaisajya-raja visse per venti piccoli kalpa, Il numero degli sravakaraggiunse i trentasei nayuta e quello dei Bodhisattva i dodici lac. Lì, Sakra, vi era un dominatorecelestiale (cakravarti) di nome Baldacchino Prezioso che possedeva tutti i sette tesori ed era ilguardiano dei quattro cieli. Aveva mille figli che erano degni di rispetto e coraggiosi e avevanosconfitto ogni opposizione. A quell'epoca Baldacchino Prezioso e il suo seguito avevano venerato efatto offerte al tathagata Bhaisajya-raja per cinque eoni, trascorsi i quali egli disse ai suoi mille figli:"Dovreste fare offerte rispettosamente al Buddha come io ho fatto". Ubbidendo all'ordine delpadre, essi fecero offerte al Tathagata Bhaisajya per cinque eoni, trascorsi i quali uno dei figli dinome Baldacchino Lunare, mentre era solo, pensò: "Vi è un'altra forma d'offerta che superi ciò cheabbiamo fatto fino a ora?" Sotto l'influenza del potere trascendente del Buddha, un deva in cielodisse: "O virtuoso, l'offerta del Dharma supera ogni altra forma di offerta".Baldacchino Lunare chiese: "Qual'è questa offerta del Dharma?" Il deva rispose: "Vai a chiederlo alTathagata Bhaisajya che lo spiegherà ampiamente". Allora, Baldacchino Lunare andò dal TathagataBaisajya, chinò la testa ai suoi piedi e si fermò al suo fianco, chiedendo: "Universalmente Venerato,ho udito che l'offerta del Dharma supera ogni altra forma di offerta; qual'è l'offerta del Dharma? IlTathagata rispose: "O Virtuoso, l'offerta del Dharma è predicata da tutti i Buddha in sutra profondi,ma per gli uomini mondani è difficile crederla e accettarla poiché il suo significato è sottile e non èindividuato facilmente, perché è senza macchia per purezza e candore”.

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TEISHO 4 Luglio 1988

Abbiamo tre punti: Sakra, il signore dei trentatre paradisi, il quale dice che si impegna a proteggeretutti coloro che in qualche modo si avvicineranno a questo sutra. Poi abbiamo il Buddha Sakyamuniil quale dice che l'interesse verso questo sutra, in qualunque modo si presenti, vale più di tutte leofferte che potrebbero fare un uomo e una donna nei confronti di tutta la quantità dei Buddha dichissà quanti chilocosmi. Dopodiché il Buddha, rispondendo alla domanda, dice che cos'è l'offertadel Dharma. Sembra la fantareligione questa di cui si parla nel sutra di Vimalakirti perché vengonomossi problemi e prospettate situazioni per noi inimmaginabili, come: "Se il grande chilocosmofosse pieno di Tathagata innumerevoli quanto le canne da zucchero, i bambù, i giunchi, i chicchi diriso e i semi di canapa dei suoi campi? Pensate, tutto il chilocosmo, tutti i chicchi di riso e di canapadei suoi campi! "E un uomo o una donna virtuosi che avessero passato o un intero eone o un kapadecrescente" cioè un periodo di tempo lunghissimo, "a venerare, onorare, elogiare, servire e fareofferte a questi Buddha, e in seguito dopo il loro nirvana costruissero con le reliquie dei loro corpiuno stupa ornato dalle sette pietre preziose grande quanto i quattro paradisi dei deva messiinsieme e alto tanto da toccare con una guglia maestosa il paradiso di Brahma.". Pensate un po':una guglia quanto è alta? Un miliardo di chilometri? Abbiamo spesso nei sutra del Mahayana diqueste rappresentazioni fantastiche, ma tutte queste hanno un senso – incomprensibile per noi aduna prima lettura però successivamente, se ci applichiamo a volerli penetrare, vediamo che tuttoquanto quello che viene detto da questi dei o dal Buddha stesso, o dai Bodhisattva, ha un senso enoi dobbiamo cercare di comprendere questo senso senza lasciarci trasportare dallaincomprensione che ci prende subito quando si incomincia a parlare in questa maniera cosifantastica. Vogliamo riportare i discorsi che il Buddha o gli dei fanno al nostro livello non perchédobbiamo abbassarli, ma perché dobbiamo farli nostri e una volta fatti nostri, noi stessi innalzarciad un livello superiore che è appunto il livello del Buddha. Noi possiamo osservare quello che vienedetto dal Buddha e dagli dei riportandolo alle nostre piccole cose quotidiane e senza dubbio,l'osservanza - anche se noi non riusciamo a credere o a comprendere o ad accettareoompletamente o a sostenere o a leggere o a recitare il Dharma di questo sutra - senz'altro il fattoche noi almeno lo leggiamo, almeno cerchiamo di averne una piccola comprensione, se non altrolo teniamo in mano, lo custodiamo con attenzione, lo recitiamo con cura, questo qua significa chenoi stiamo facendo un certo cammino.Io mi ricordo - ero molto piccolo, non ricordo se facevo il catechismo o la prima comunione - che alprete, o io o qualcun altro, chiese che cosa si doveva fare per andare in paradiso e quello rispose:"Se tu reciti tutte le sere prima di dormire un'Ave Maria, vedrai che andrai in paradiso." Questonon ha significato nel senso dell''Ave Maria”. Poi io lo compresi successivamente; mi rimaseimpresso quest'avvenimento e dissi: "Ma è facile!"; la stessa facilità che ci dovrebbe essere nelconquistarsi il paradiso nella promessa che il Buddha Amitaba ha fatto, per cui basta recitare il suonome con il cuore puro soltanto una volta e uno si guadagna il paradiso della Pura Terra. Bastadire: "Namu Amida Butsu" col cuore puro e uno va in paradiso sicuramente. Questo lo hapromesso il Buddha Amitaba. Il recitare un''Ave Maria” tutte le sere significa che uno ha unmomento della giornata, sicuramente, in cui decide che vuole andare in paradiso. Allora, larecitazione del Vimalakirti-sutra o la sua lettura, significa che c'è almeno un momento dellagiornata in cui noi vogliamo fortemente ottenere, realizzare la buddhità. È questo il senso cheSakra qui vuole dare. Dobbiamo, come più volte è stato detto, come un naufrago si attacca alla suatavoletta di legno che gli permette di galleggiare e di raggiungere una qualche riva, noi dobbiamoattaccarci disperatamente – e quella appunto è l''Ave Maria' recitata tutte le sere - e non avere mai

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un cedimento in questa nostra determinazione. Qualunque cosa succeda però, sappiamo cheabbiamo la tavoletta di legno che ci fa galleggiare.Questo naturalmente va poi visto sotto un altro aspetto, perché non è detto che qualunque cosafacciamo abbiamo poi la tavoletta. Questa tavoletta deve essere il punto di riferimento perchédalla comprensione di questo sutra di Vimalakirti o di qualunque altro sutra, ci venga la capacità diestendere il nostro salvagente e, alla fine, di non averne più bisogno perché saremo capaci dicamminare sulla terraferma a nostro piacimento, senza stare in quei pericoli in cui stavamo prima,quando eravamo sulla tavoletta. Voglio dire che dobbiamo in qualche modo avere unacomprensione della parola del Buddha. La parola del Buddha, non perché sia la parola del BuddhaSakyamuni, ma perché è la parola della realizzazione; avere questa comprensione e questa farlanostra e, una volta fatta nostra, riferirci ad essa ogni volta in cui ne abbiamo bisogno, perché cisono momenti durante la giornata, durante la nostra vita, in cui ci sentiamo senza forze, senzasperanze, ci sentiamo senza un punto dove arrivare, ci sentiamo in balia delle varie difficoltà cheincontriamo. Noi dobbiamo avere questo punto di riferimento. Ma perché lo tiriamo fuori dalprofondo del nostro cuore dobbiamo sapere che c'è la possibilità di uscire. Questo è moltoimportante che venga compreso. È molto importante che ognuno di noi abbia l''Ave Maria' darecitare e sapere che recitando l'Ave Maria tutte le sere riesca ad ottenere il paradiso, il paradisoche naturalmente non deve essere atteso nel momento in cui moriamo ma che deve essere fattonostro qui, su questa terra, in questo momento.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Luglio 1988

Quando ci sediamo, dopo un po' ci abituiamo ad una posizione e manteniamo questa posizioneattraverso gli anni. Inizialmente ci faceva male o molto male, poi a poco a poco, questo malediminuisce e noi ci adagiamo in questa posizione senza più sforzarci di migliorarla.Quel piccolo libretto sull'arrampicata sarebbe bene che fosse letto, non solo per la parteintroduttiva che dà seppure in maniera generale un giudizio sul mondo dello sport o su un certomodo di praticare lo sport, ma anche perché si comprende - se si sta attenti - come tutte le azioni,siano esse intellettuali, siano esse fisiche, tutte queste azioni che richiedono un apprendimento,devono essere impostate secondo un criterio di allenamento, una serie di esercizi che cipermettano di migliorarci.Dobbiamo sforzarci di arrivare alla posizione del loto e una volta la posizione del loto per diecisecondi, provare a tenerla per venti secondi, poi per un minuto, poi fare due volte o tre volte diseguito dieci secondi con un intervallo e cosi via, cosi come fa l'arrampicatore, cosi come fa ilcorridore, cosi come fa qualunque altro asceta, perché anche apprendere la posizione del loto faparte della nostra pratica; perché nello stesso modo noi ci concentriamo sul respiro e siamo capacidi arrivare a contare dieci respiri senza avere interruzioni mentali, poi possiamo arrivare a venti poipossiamo fare altre cose, ci possiamo inventare degli altri esercizi. Cosi con il tai-chi e così con ilmangiare, così con lo studiare, con la lettura, con l'apprendimento di qualunque cosa. Questodovrebbe diventare se a noi interessa, naturalmente un nostro modo di vivere: essere sempreattenti, vigilanti, e sempre vedere come si può fare meglio qualche cosa, senza lasciarsi prenderedalla competizione con quello che fanno gli altri e neanche dalla competizione con noi stessi. Maquesto dimostra che noi stiamo attenti, che non ci prendiamo le cose così come sono e basta, checerchiamo una trasformazione, che cerchiamo una perfezione e questa perfezione può partire anche dall'apprendimento di una posizione.

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ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 5 Luglio 1988

Se questa fosse la solita sesshin mensile, questa mattina già sarebbe la fine ed aspetteremmo ilpranzo per poter poi partire. La sesshin di una settimana riesce a calmare perché non c'è la frettadi dover arrivare la sera tardi e poi, dopo un giorno e mezzo, già essere di nuovo in viaggio. Sembraquasi che questo viaggio che facciamo, seduti sul cuscino, non debba finire mai. Oggi siamo amartedì ma l'ultimo giorno è visto ancora lontanissimo. Sembra che siamo arrivati nella nostra casadove ci si possa sistemare tranquillamente e, a poco a poco, rimettere a posto le cose. Questosenso di tranquillità, di poter fare le cose con calma, però non deve farci dimenticare che il tempopassa come una freccia - come dice Daito Kokushi. Ecco, il tempo passa come una freccia!Anche se proprio in questi giorni è uscito un libro di uno scienziato il quale parla di un temposoggettivo, a differenza di un altro grande scienziato che aveva parlato per primo del temporelativo. Sono termini da un certo punto di vista molto difficili da capire, però per chi pratica ilCh'an la disputa -ormai a distanza, perché uno dei due scienziati è morto - non è cosi astrusa.Abbiamo il tempo che passa come una freccia e i tempo immobile, eterno di questi istanti chesiamo seduti sul cuscino. E allora, ci viene da pensare che forse questo tempo che passa si riferiscea quelli che corrono sulle autostrade, o sugli autobus, o sulle metropolitane e che ci sia unadifferenza di tempo tra noi e gli altri, come c'è una differenza tra gli altri e noi. Questa sesshin diuna settimana, a differenza della sesshin più corta, può essere la possibilità di penetrare ancora dipiù nella cognizione del tempo. Due giorni, sei giorni. Noi siamo sempre gli stessi, il nostro respiroè sempre lo stesso, anche il luogo è sempre lo stesso, eppure, noi ci mettiamo in una condizionementale diversa. Eh! di cose da approfondire ne abbiamo tante, proprio perché i giorni sono di più.

VIMALAKIRTI NIRDESA SUTRACAP. XIII° pag. 116 - 119“L'OFFERTA DEL DHARMA”_______________________________________

È oltre la portata del pensiero e della discriminazione; contiene il tesoro del deposito di Dharmadel Bodhisattva ed è sigillata con il simbolo delle Dharani; non cade mai nell'apostasia perchéraggiunge le sei perfezioni (paramita), distingue la differenza tra i vari significati, è in armonia con ilDharma della bodhi, sovrasta tutti i sutra, aiuta la gente a intraprendere la grande benevolenza e lagrande compassione, ad astenersi dai demoni e dalle opinioni perverse, e a conformarsi alla leggedella causalità e all'insegnamento sulla irrealtà dell’io, dell’uomo, dell'essere vivente e della vita esulla vacuità, il senza-forma, il non-producente e il non-sorgente. Permette agli esseri viventi disedere in un bodhimandala per girare la ruota della legge. È elogiata e venerata dai draghicelestiali, dai gandharva, ecc. Può aiutare gli esseri viventi a raggiungere il deposito di Dharma delBuddha e ad acquisire la conoscenza assoluta (sarvajna, realizzazione) dei santi e dei saggi, puòpredicare il sentiero seguito da tutti i Bodhisattva, fare assegnamento sulla realtà sottostante ditutte le cose, proclamare la dottrina dell'impermanenza, la sofferenza, la vacuità e l'assenza dell'ioe del nirvana. Può salvare tutti gli esseri viventi che hanno violato i precetti e tenere in soggezionetutti i demoni, gli eretici e gli avidi. È lodata dai Buddha, dai santi e dai saggi perché distrugge lasofferenza della nascita e della morte, proclama la gioia del nirvana secondo i sermoni del Buddhapassati, futuri e presenti delle dieci direzioni.

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"Se un ascoltatore dopo aver udito questo sutra, vi crede, lo comprende, ìo accetta, lo sostiene, lolegge e lo recita e usa i metodi appropriati (upaya) per predicarlo con chiarezza agli altri, questosostenere il Dharma è definito l'offerta del Dharma."Inoltre, la pratica di tutti i Dharma secondo i sermoni, il mantenersi in linea con la dottrina deidodici anelli della catena dell'esistenza, il cancellare tutte le opinioni eterodosse, il conseguire lapaziente sopportazione del non-creato (come oltre la creazione), lo stabilire una volta per tuttel'irrealtà dell'io e la non-esistenza degli esseri viventi, e l'abbandonare tutte le dualità dell'io e deisuoi oggetti senza deviazione e contraddizione alla legge della causalità e della retribuzione per ilbene e il male; con il confidare nel senso piuttosto che nella forma, nella saggezza piuttosto chenella coscienza, nei sutra che rivelano l'intera verità piuttosto che in quelli che la rivelanoparzialmente e nel Dharma anziché nell'uomo (vale a dire, il predicatore); il conformarsi ai dodicianelli della catena dell'esistenza che non hanno né una provenienza né una destinazione, partendodall'ignoranza (avidya) che è fondamentalmente non-esistente e dalla concezione (samskara),anch'essa fondamentalmente irreale, fino alla nascita (jati) che è fondamentalmente non esistentee alla vecchiaia e alla morte (jaramarana), ugualmente irreali.Cosi considerati, i dodici anelli della catena dell'esistenza sono inesauribili, mettendo cosi fineall'opinione (errata) dell'annientamento. Questa è l'offerta del Dharma insorpassata."Il Buddha disse allora a Sakra: "Baldacchino Lunare, dopo aver udito il Dharma dal BuddhaBhaisajya (il Buddha della Medicina), realizzò soltanto la pazienza della Dolcezza e si tolse la togapreziosa per offrirla al Buddha, dicendo: "Universalmente Venerato, dopo il tuo nirvana, faròofferte di Dharma per sostenere la retta dottrina; mi aiuterà la tua maestà imponente a sconfiggerei demoni e a praticare la linea di condotta del Bodhisattva?".Il Buddha Bhaisajya comprese la sua profonda intenzione e predisse: “Fino all'ultimo momento tusorveglierai la cittadella protettiva del Dharma"."0 Sakra, in quel momento Baldacchino Lunare percepì il Dharma puro e immacolato, e dopo averricevuto la profezia del Buddha, vi credette e lasciò la casa per unirsi all'ordine. Praticò il Dharmacosi diligentemente che presto realizzò i cinque poteri trascendenti. Nell'evoluzione di Bodhisattvaconquistò il potere infinito della parola attraverso il controllo perfetto (dharani - di tutti gli influssiesterni). Dopo il nirvana del Buddha Bhaisajya, usò questo potere della parola per girare la ruotadella legge, diffondendo ampiamente il Dharma per dieci piccoli eoni. Baldacchino Lunare fuinstancabile nel predicare il Dharma e convertì un milione di lac di persone che si poserodecisamente alla ricerca della suprema illuminazione, quattordici nayuta di persone che rivolsero lamente al conseguimento degli stadi di sravaka e pratyeka-buddha, e innumerevoli esseri viventiche rinacquero nei paradisi."Sakra, chi era quel Regale Baldacchino Prezioso? Ora è un Buddha detto il Tathagata FiammaPreziosa, e i suoi mille figli sono i mille Buddha dell'attuale Bhadrakalpa (l'eone virtuoso), il cuiprimo Buddha fu Krakucchanda e l'ultimo Buddha Rucika. Il bhiksu Baldacchino Lunare era lostesso. Sakra, dovresti sapere che l'offerta del Dharma è la forma di offerta più alta. Dunque, Sakra,dovresti fare l'offerta del Dharma come una offerta a tutti i Buddha."

TEISHO 5 Luglio 1988

Ecco, siamo verso la fine. Viene tracciata qui, nella parte finale di questo capitolo, l'evoluzione delBuddha Sakyamuni che inizialmente era il Bodhisattva Baldacchino Lunare, o Baldacchino Preziosoe poi, attraverso le varie evoluzioni diventa il Buddha Sakyamuni se, come ho detto, noi ci

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avventuriamo in questi eoni, in queste cifre astronomiche, potremmo rischiare di perderci e, inqualche modo, perdere di vista la strada che dobbiamo percorrere, la strada di fronte a noi, odietro di noi o a lato di noi, perché la strada non ha un senso longitudinale come siamo abituati apensarla. Se una macchina deve percorrere una strada, non è messa di traverso alla strada, ma simette con il muso in direzione del luogo in cui vuole andare; le strade si percorrono in quel modo.La strada di cui parliamo noi e che noi forse mentalmente possiamo immaginare di percorrere inquel modo, non è percorribile in questo modo. Non c'è un avanti o un dietro, non c’è un destro oun sinistro, o un alto e un basso. La strada ci avvolge completamente in tutte le direzioni e noisiamo liberi di andare in qualunque di queste direzioni. Allora, riprendendo dall'inizio, nondobbiamo distoglierci da questo sforzo però è certo che, se avessimo la capacità di farlo, cipotremmo immergere in questa astronomia dell'ascetismo, in questa astronomia della religione,vedere questi Buddha che per milioni e milioni di anni, di kalpa, etc. etc., salvano, convertonoinnumerevoli persone alla bodhisattva, alla pratieka-buddha, alla sravaka, a tutte queste vie chepoi, naturalmente, attraverso l'evoluzione anche esse si evolvono ancora. Se noi ci fermiamo unmomento a pensare a questa evoluzione, alla strada che abbiamo da percorrere, vediamo che lanostra evoluzione non finisce mai; non c'è mai una fine, siamo sempre al lavoro, siamo sempre apraticare, siamo dei 'seguaci della Via', come Lin-Chi normalmente apostrofava quelli che lostavano ascoltando. 'Seguaci della Via': c'è la Via e i suoi seguaci; c'è lo sforzo da parte dei seguacidi diventare la Via. Una volta che si è la Via questa differenza cessa, ma continuiamo ad essereseguaci nella Via.Questa seconda parte del capitolo fa pensare un po' alla parte del Paradiso della 'DivinaCommedia' dove Dante più volte - e purtroppo devo confessare la mia ignoranza perché nonconosco bene questa parte e per quel poco che ne ho letto, mi sono reso conto di questacaratteristica. Dante è come se parlasse, in maniera diversa, da un punto di vista cristiano, di questimondi di cui parlano i sutra del Mahayana e abbiamo perciò tutte queste varie classi diilluminazione, fino al punto finale - per quanto riguarda il cristianesimo - che è costituito dalla lucedi Dio. Nel buddismo non c'è la luce di Dio, quello che c'è poi anche il Buddha stesso non è che celo abbia spiegato, ma senz'altro c'è uno sforzo, c'è un'evoluzione interiore che ci porta a volerentrare in questa grande luce che tutto quanto comprende. Chiamiamola 'grande luce'. Ecco, ilBuddha Sakyamuni nel ripercorrere le tappe della sua evoluzione spirituale, tutti i momenti chel'hanno portato da semplice bikku (o monaco) fino a diventare il Buddha Sakyamuni, personaggioprincipale di questo sutra e naturalmente personaggio fondamentale dell'evoluzione dell'umanità -almeno per quanto riguarda noi stessi - parlando con Sakra, gli rende chiaro quanto sia importantel'offerta del Dharma. Per cui, riprendendo dalla parte precedente, dalla fine, dice: "O Virtuoso,l'offerta del Dharma è predicata da tutti i Buddha in sutra profondi ma per gli uomini mondani èdifficile crederla e accettarla poiché il suo significato è sottile e non è individuato facilmente perchéè senza macchia per purezza e candore."Anche noi sicuramente - e questo è un accostamento per certi sensi un po' arbitrario, però haanche un suo valore - ricordiamo molti canti dell'Inferno perché sono proprio terreni e ciriguardano da vicino, ma se dovessimo ricordarci qualche canto del 'Paradiso’, noi uomini terreni,noi persone mondane, sicuramente troveremmo delle difficoltà perché appunto, come anche dicequi il Buddha: "È oltre la portata del pensiero e della discriminazione; contiene il tesoro deldeposito di Dharma del Bodhisattva ed è sigillata con il simbolo della Dharani." Fra tutti gli attributidell'offerta del Dharma, fra tutte le sue caratteristiche, vediamo: "Permette agli esseri viventi disedere in un bodhimandala per girare la ruota della legge" questo è importante, "può aiutare gliesseri viventi a raggiungere il deposito di Dharma del Buddha e ad acquisire la conoscenza assolutadei santi e dei saggi." Ecco qua, questo deposito di Dharma del Buddha: se né è parlato spesso.

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Certe volte alcuni maestri contemporanei hanno parlato di mettere i nostri sistemi dicomunicazione elettronici in sintonia con la centrale di emittenza, qualcun altro cita Gesù Cristoche dice alla samaritana che l'acqua del suo pozzo disseta per tutta la vita, altri - come il Buddhaqui - parlano di questo serbatoio del Dharma. È senz'altro la possibilità di abbeverarsi a questafonte di energia spirituale che può darci nutrimento in maniera sostanziale, fondamentale,insuperabile. Dobbiamo tendere a questo cibo "celestiale" e ricordarci quanto dice il BuddhaAmagandio: "Chi si ciba di un piacere celeste non si preoccupa invece di un piacere materiale, delpiacere dei sensi o della materia”. I maestri del Ch'an con schiaffoni, calci, grida, bastonate,scrollamenti di maniche di Koromo, hanno voluto eliminare questa discriminazione dalla mente deipropri discepoli per far sì che non si dedicassero ad un ascetismo di maniera, ad un ascetismo incui si rifuggisse dal vivere nel mondo con gli esseri umani. Però anche noi, rendendoci conto edavendo chiaro l'insegnamento dei maestri del Ch'an, dobbiamo, naturalmente, tendere a superarequalunque attaccamento fino a diventare così leggeri da poter accedere a questo serbatoio dichiarezza. Siamo qui apposta, per cui, il lavoro che dobbiamo fare è soltanto questo, come dice Lin-Chi al governatore che va a visitare il suo monastero, alla domanda: "Che cosa fanno questi?"risponde: "L'unica cosa che fanno è diventare dei Buddha" Alle sesshin si viene soltanto per questo!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 5 Luglio 1988

Nella nostra scuola - intendo la scuola di Scaramuccia che però per molti versi si rifà naturalmentealla scuola di Yamada Mumon Roshi, quella di Shofukuji a Kobe - non vengono date moltespiegazioni. Anche il tai chi si guarda, si fa; sul lavoro, come si beve il tè, come si mangia, come sirecitano i sutra, come si siede e, soprattutto come si va a sanzen, come si risponde, voglio dire.Qualche anno fa passò e si fermò qui per forse una settimana uno straniero - non ricordo se eraamericano o inglese - il quale aveva praticato in Giappone e faceva l'attore non so quanto diprofessione. Nel poco tempo che era stato in Giappone, nel luogo in cui era stato, con un maestrosicuramente facile a far passare i koan, aveva passato molti koan ed anche qui, continuando apraticare, quando veniva a sanzen dimostrava molta sveltezza, a differenza di molti dei discepoli diScaramuccia che questa sveltezza "non ce l'hanno" (mi piace virgolettare perché non è il significatoletterale della parola). Questa sveltezza però non può essere insegnata, non è come uno che va afare l'attore e gli insegnano i trucchi del mestiere, o come uno che va a imparare a sciare e gliinsegnano tutto. Li va bene, è giusto. Quello va li per una settimana, paga e vuole raggiungere il piùalto risultato possibile, prende il maestro, scia e allora il maestro gli deve spiegare bene quello chedeve fare, anche se non sono molti quelli che lo fanno. Quello che è molto importante è chequesta sveltezza va acquisita. Ci si deve sforzare di non avere paura di perdere la faccia, perchéquello è il più grande ostacolo da rimuovere prima di poter rispondere al koan, quello di praticare ilkoan è ancora un'altra cosa. Ma il non aver paura di perdere la faccia. Richiede l'equilibrio, ilbilanciamento di non esagerare nella pedanteria; allora, bisogna trovare la via giusta di mezzo.Bisogna intanto praticare ed affrontare il koan e sviscerarlo senza avere paura di dare risposte chesiano strane o stravaganti o che ci possano mettere in cattiva luce e far pensare al maestro che noisiamo dei cretini e siamo dei bambini, dei deficienti dell’asilo che dicono quelle - cose così o fannoquelle cose colà. Non ci deve importare niente! Noi pensiamo che la risposta possa essere quella ediamo quella risposta perché abbiamo sentito di dare quella risposta e non dobbiamo avere pauradi niente. Le risposte dei koan non sono, nella maggior parte dei casi, delle spiegazioni, e questo è

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molto importante: sono delle dimostrazioni o a parole, o con le azioni, di qualche cosa che noiabbiamo compreso. Le spiegazioni uno le può leggere anche sui libri.Allora, per ricapitolare, la pratica del koan non è un qualche cosa che finita la quale ci viene dato ildiploma. La pratica del koan è una scuola che ci abitua a comprendere i problemi in un modonuovo e a saperli dimostrare nella maniera più diretta. Se poi noi risolviamo tutti i millesettecentokoan dello zen, o mille, o cento, o dieci, questo non è qualche cosa che dobbiamo decidere noi.Abbiamo un maestro e sarà il maestro di ognuno di noi a decidere che cosa è bene fare in questapratica.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 6 Luglio 1988

Siamo già arrivati al terzo giorno! In qualche modo sembra una vita che stiamo qui a praticareinsieme, in qualche altro modo, anche se il traguardo di sabato sembra lontano, ugualmentesembra così vicino che ci siamo quasi arrivati. In una settimana di tempo la nostra mente subiscemolte trasformazioni o, meglio ancora, è attraversata da tante sensazioni, considerazioni ecomprensioni. Uno dei grandi lavori che devono essere fatti è quello di sviluppare una mente cheosserva più che, come siamo abituati, una mente che giudichi. La mente osservante è partecipe, ènella situazione. La mente giudicante si ferma invece; a differenza della mente osservante che vivee non rimane ferma nella situazione che si trasforma, la mente giudicante è una mente che habisogno di fermarsi per dire la sua su quello che ha di fronte mentre il resto continua a camminaree il giudizio che si dà, il momento in cui si dà, lo si dà su qualche cosa che già appartiene al passato.Questa mente osservante è una mente in cui non vi è attaccamento ma vi è una completapartecipazione agli eventi: Riuscire ad essere completamente nella sesshin col trascorrere deinostri cambiamenti e, in questa maniera, viverla completamente in questo flusso che non è legatoa un passato a un presente o a un futuro, ma a un'altra comprensione del tempo.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 7 Luglio 1988

C’è una cartolina di Scaramuccia dove si intravvede la casa e la didascalia dice: "Come un'isola trala nebbia". Se noi guardiamo in basso questa mattina, sentiamo dei rumori che provengono dalmovimento della società, e le nebbie coprono quasi tutto.Su un libro interessante di Huxley, "L'isola", si immagina una società in cui la vita in comune tratutti gli abitanti permette di risolvere la grande quantità di problemi che invece nella vita normaleche si svolge nelle città e nei paesi non è possibile, o perlomeno non avviene. In un posto strettocome questo, dove delle persone si riuniscono con lo stesso intento di praticare, ci si accorge che lenecessità sono poche, quello di cui abbiamo essenzialmente bisogno sono poche cose: mangiare,dormire e poi, di tutto il resto, quello a cui siamo abituati nella vita normale, se ne può fare ameno. Ma non è che usufruendo soltanto di queste pochissime necessità non si viva bene, anzi!Praticando, esperimentiamo dei piaceri - possiamo dire - molto più intensi, molto più importanti,molto più significativi di quelli che sperimentiamo fuori di qua. Questo discorso non significa che gliesseri umani debbano rinchiudersi in luoghi isolati per il resto della propria vita, ce ne sono che lofanno e non è che stiano peggio degli altri, anzi! Ma quello che è importante è che ci sia la

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comprensione della superfluità di tante cosiddette necessità e, soprattutto, che ci sia da parte degliesseri umani, cosi come c'è da parte nostra, e chissà da parte di quanti altri, l'impegno a volermodificare sé stessi, l'impegno a voler comprendere sé stessi; prima la comprensione e poi lamodificazione. Allora questo ci fa passare sopra a tante inutilità. Quando ci si impegna, quando silavora con attenzione e con determinazione, cadono tanti di quei bisogni superflui e ci si ritrovadenudati eppure, questa denudazione non ci procura una sofferenza, anzi ci dà una maggiorecarica e una maggiore voglia di andare avanti nella comprensione.

IL KONGOKYO, O SUTRA DEL DIAMANTEpag. 28 - 30_______________________________________

1. "Questo ho udito.Una volta il Buddha si trovava con milleduecentocinquanta Bhiksu nel Giardino di Anathapindakanel bosco di Jeta nel regno di Sravasti. Quando giunse l'ora del pasto, il Venerato indossò ilmantello, prese la ciotola ed entrò nella grande città di Sravasti, dove mendicò il cibo di porta inporta. Quando fini, tornò nel Giardino per mangiare. Poi si levò il mantello, ripose la ciotola, si lavòi piedi, preparò un posto per sedersi e si sedette.

2. Allora il Venerabile Subhuti, che era nel gruppo, si alzò, si scoprì la spalla, poggiò a terra ilginocchio destro e giungendo le mani con rispetto, disse al Buddha: "È meraviglioso, Venerato, cheil Tathagata pensi in questo modo a tutti i Bodhisattva e li istruisca nel modo giusto. Venerato, nelcaso in cui a un buon uomo o a una buona donna nasca il desiderio della Suprema Illuminazione,come debbono comportarsi? Cosa debbono fare per tenere i pensieri sotto controllo?" Il Buddhadisse: "Ben detto, Subhuti! Come dici tu stesso, il Tathagata pensa moltissimo ai Bodhisattva, e liistruisce nel modo giusto. Ma adesso ascolta con attenzione ciò che ti dico. Nel caso in cui a buoniuomini e a buone donne nasca il desiderio della Suprema Illuminazione, debbono comportarsi inquesto modo, e devono tenere i pensieri sotto controllo in questo modo". "Cosi sia, Venerato, tiascolterò".

3. Il Buddha disse a Subhuti: "Tutti i Bodhisattva-Mahasattva debbono tenere i pensierisotto controllo in questo modo. Tutti i generi di esseri, come quelli nati da uova, quelli nati dautero, quelli nati da umidità, quelli nati dal miracolo, quelli con forma, quelli senza forma, quellicon coscienza, quelli senza coscienza, quelli con non-coscienza, quelli senza non-coscienza, sonotutti guidati da me verso il Nirvana che non lascia nulla dietro di sé, e raggiungono la liberazionefinale. Ma anche se tutti questi esseri senza misura, senza numero e senza limite fossero liberati, inrealtà non ci sarebbero mai esseri liberati. Infatti, Subhuti, se un Bodhisattva conserva il pensiero diun io, di una persona, di un essere o di un'anima, non è più un Bodhisattva.

4. "Subhuti, quando un Bodhisattva pratica la carità, non deve avere in sé alcuna idea, cioènon deve pensare al suono, all'odore, al tatto, o alla qualità. Quindi, Subhuti, un Bodhisattva devepraticare la carità senza pensare alla forma; perché? Quando un Bodhisattva pratica la carità senzapensare alla forma, il suo merito è al di là di ogni concetto. Subhuti, credi di poter avere il concettodi uno spazio che si estende verso est?" "No, Venerato". "E credi di poter avere il concetto di unospazio che si estende verso ovest, verso nord, verso sud, verso l'alto o verso il basso?". "No,Venerato." "Lo stesso è per ciò che riguarda il merito di un Bodhisattva che compie la carità senzapensare alla forma: è al di là di ogni concetto. Un Bodhisattva deve pensare solo a ciò che gli vieneinsegnato.

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5. "Subhuti, credi che il Tathagata possa essere riconosciuto attraverso la sua formacorporale?". "No, Venerato, non può essere riconosciuto attraverso di essa, perché secondo ilTathagata una forma corporale è una non-forma corporale".Il Buddha disse a Subhuti: "Tutto ciò che ha forma ha un'esistenza illusoria. Quando si capisce chela forma è non-forma, si riconosce il Tathagata".

6. Subhuti disse al Buddha: "Venerato, gli esseri che ascoltano queste parole avranno inesse fede completa?".Il Buddha disse a Subhuti: "Non parlare in questo modo. Nei cinquecento anni successivi alla mortedel Tathagata ci saranno esseri che, avendo acquisito grandi meriti con la messa in atto delle regoledella moralità, ascolteranno queste parole e vi aderiranno con fede. Devi sapere che questi esseripiantarono le radici del loro merito non sotto uno, due, tre, quattro o cinque Buddha, ma sottomigliaia di miriadi di asamkhyeya di Buddha. O Subhuti, tutti coloro che, ascoltando queste parole,daranno vita anche a un solo pensiero di pura fede, saranno riconosciuti dal Tathagata, a cui è notoil merito infinito che si ottiene in questo modo. Tutti questi esseri saranno liberi dall'idea di un io,di una persona, di un essere o di un'anima; e saranno liberi dall'idea di un dharma e da quella di unnon-dharma. Infatti, se nella propria mente si dà spazio a un'idea di forma, si è attaccati a un io, auna persona, a un essere, a un'anima. Se si dà spazio all'idea di un dharma, si è attaccati a un io, auna persona, a un essere, a un'anima. Perché? Perché se si dà spazio all'idea di un non-dharma, siè attaccati a un io, a una persona, a un essere, a un'anima. Quindi, non avere in te l'idea di dharma,né quella di non dharma. Ecco perché il Tathagata ci predica sempre: "0 Biksu, sappiate che il mioinsegnamento può essere paragonato a una zattera. Persino il dharma è messo da parte e tanto piùil non-dharma".

TEISHO 1 Luglio 1988

Questo breve sutra del Diamante che noi abbiamo già citato lungamente prima di cominciare ilsutra di Vimalakirti è uno dei più importanti del Ch'an. Esso, in una frase che poi vedremosuccessivamente, è il sutra che ha permesso al sesto Patriarca, Hui Neng, di avere un'illuminazioneimmediata e decidere conseguentemente di andare a praticare in un monastero sotto la guida delquinto Patriarca dal quale avrebbe poi ricevuto il sigillo della trasmissione. Con Hui Neng inizia, sipuò dire, il Ch'an. Fino al quinto Patriarca siamo ancora in un momento di trasformazione daldhyana della scuola indiana alla quale appartiene Bodhidharma (che è indiano) al Ch'an che poidiventa il dhyana cinese, la scuola cinese del dhyana che poi successivamente, passando inGiappone, si chiamerà zen. Hui Neng è ritenuto da tutti gli studiosi (che poi nello zen non ha valorequello che dicono gli studiosi), i maestri, colui che ha iniziato il ch'an. Con lui il buddismo indianoche aveva portato Bodhidharma diventa buddismo cinese, una particolare scuola di buddismocinese, e da Hui Neng in poi si divide nelle varie scuole che successivamente - come è avvenuto poiin Giappone - sono rimaste principalmente due: la scuola Soto e la scuola Rinzai con una piccolaappendice della scuola Obaku che è stato il maestro di Rinzai o Lin-Chi.Bene, detta l'importanza di questo sutra, andando avanti potremo accorgercene da noi stessi comeabbia un'impronta chan un po' più di quanto si possa rilevare dal sutra invece di Vimalakirti -aparte che questo è molto più conciso - ma si può rilevare anche se la comprensione di questo sutranon è a vari livelli e più lo si legge lo si approfondisce, e più naturalmente si va in fondo senza mairaggiungerne la completa comprensione.

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Questo avviene con qualunque disciplina, ma tanto più con questi sutra del Mahaiana di cui il sutradel diamante o vajracchedika-sutra è il più difficile. Un episodio che si riferisce ad un altro grande maestro ch'an, che era uno dei commentatori diquesto sutra e cioè uno che aveva scritto un commento e che naturalmente poi lo spiegava ai suoiascoltatori, lo vedremo successivamente.Adesso, prendendo in considerazione alcuni punti fondamentali, vediamo il primo: intanto è bellovedere il Buddha che come tutti gli altri, prende la ciotola ed entra nella grande città di Sravastidove mendica il cibo di porta in porta. Quando finisce, torna nel giardino per mangiare, poi si toglieil mantello, ripone la ciotola - che avrà lavato – si lava i piedi, prepara un posto per sedersi e sisiede. Eccolo qua: va in città a raccogliere il cibo per sé prima di mezzogiorno, mangia il suo unicopasto, e si siede. Quello che gli dice poi Subhuti è molto importante; dice: "È meraviglioso,Venerato, che il Tathagata pensi in questo modo a tutti i Bodhisattva e li istruisca nel modo giusto".In 'questo modo' che significa? Fino adesso il Buddha non ha fatto niente, ha fatto soltanto - cometutti gli altri monaci - il suo giro di elemosine per il cibo naturalmente, perché quella è l'unica cosache chiede, e poi si è seduto. In che maniera allora il Buddha istruisce tutti i Bodhisattva? Liistruisce soltanto sedendo. Siede e, stando seduto, in quel modo istruisce tutti i Bodhisattva anchese poi, sollecitato da Subhuti parlerà e verrà da questo colloquio il "Sutra del Diamante".Intanto, come anche nel Vimalakirti-sutra, è bene rilevare come già duemila anni fa Subhuti chiedaal Buddha: "Venerato, nel caso in cui a un buon uomo o a una buona donna nasca il desiderio dellaSuprema Illuminazione, come debbono comportarsi? Come debbono fare per tenere i pensierisotto controllo?". Per cui, già nel Mahayana abbiamo questa coscienza della non-separatezza traun sesso e l'altro, gli uomini e le donne ugualmente, con la stessa intensità e con la stessadeterminazione possono desiderare di ottenere l'illuminazione. È molto raro invece trovare neisutra del buddismo Teravada questo interesse nella stessa maniera da parte sia di una donna comedell'uomo. Mi pare una domanda fondamentale questa di Subhuti, di un pragmatismo completo. Auno nasce il desiderio - come nasca e che cosa sia esattamente questo desiderio, Subhuti non lodice - però vuole risvegliarsi. Che deve fare? Come si deve comportare? E il Buddha dice: "Tutti iBodhisattva-Mahasattva debbono tenere i pensieri sotto controllo in questo modo" e cioè devonorendersi conto che "tutti gli esseri, come quelli nati da uova", e qui li cita tutti, addirittura"quellinati da umidità, quelli nati dal miracolo, quelli con forma, quelli senza forma, quelli con coscienza,quelli senza coscienza, quelli con non-coscienza e quelli senza non-coscienza, sono tutti guidati dame verso il Nirvana che non lascia nulla dietro di sé, e raggiungono la liberazione finale". E questoè un altro punto fondamentale.Qui entriamo in questa dialettica particolare che hanno i testi del Mahayana in genere e cioèquesta negazione che - come viene detto - cerca di arrivare ad una superiore affermazione.Eliminando qualcosa, man mano che si elimina, si cerca di scoprire sempre qualche cosa di più.Come se uno fosse avvoltolato da delle fasce e man mano che toglie queste fasce viene semprefuori una qualche visione di quello che c'è sotto le fasce, che si apre sempre di più. Infatti:"Subhuti, se un Bodhisattva conserva il pensiero di un io, di una persona, di un essere o diun'anima, non è più un Bodhisattva". Questa è un'affermazione abbastanza grave. Rimanenaturalmente un essere umano, penso che non voglia togliergli questo. In tutto quello che si dicein questi sutra noi troviamo spesso delle contraddizioni sia all'interno del sutra come naturalmentetra un sutra e l'altro. Sarebbe molto semplice diventare fautori di un tipo di ragionamento incontrasto a un altro tipo di ragionamento, ma il Buddha - come dice qui - "non lascia nulla dietro disè e tutti raggiungono la liberazione finale". Questo è fondamentale. È molto grave da parte didiscepoli o comunque appartenenti a un'ideologia di qualunque genere, vedere dei tentennamentiin coloro che dovrebbero fare da guida, tentennamenti dovuti all'inventare spesso un modo di farcomprendere al maggior numero di persone quello che deve essere compreso, di vedere in questi

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tentennamenti quasi un motivo di separazione, fondando poi diversamente delle altre sette, deglialtri partiti, degli altri modi di vedere. Nel Buddhismo, invece, tra le varie scuole - se si sta moltoattenti - il pensiero principale è sempre quello del Buddha Sakyamuni iniziale, che sia la Theravadao Mahayana, che sia una delle tante scuole all'interno del Mahayana, però fondamentalmente,come dice il Buddha in una sua frase molto importante, "Quello che io insegno è la scienza dellaliberazione". Naturalmente questo non va mai dimenticato: il Buddha insegna la scienza dellaliberazione. Se ci sono delle contraddizioni, queste contraddizioni sono fatte in qualche modoapposta perché noi riusciamo a liberarci dagli attaccamenti e, come dice qui il Buddha: "Se c'è ilpensiero di un io, di un essere, di un'anima, non si è più un Bodhisattva." Che cosa si sia non èimportante, ma è talmente drastico in questo che, naturalmente, c’è da pensarci molto bene."Subhuti, quando un Bodhisattva pratica la carità non deve avere in sé alcuna idea, cioè non devepensare al suono, all'odore, al tatto o alla qualità" e questo naturalmente, non vale soltanto per lacarità. Questo non pensare al suono, all'odore, al tatto o alla qualità, cioè agli oggetti del pensiero,deve avvenire in qualunque nostra altra azione e perciò ci deve essere in questa estrinsecazione dicarità un'assenza di io, di una persona, di un essere, di un'anima.Poi chiede: “Subhuti, credi che il Thathagata possa essere riconosciuto attraverso la sua formacorporale?" "No, Venerato, non può essere riconosciuto attraverso di essa, perché secondo ilTathagata una forma corporale è una non-forma corporale. Tutto ciò che ha forma ha un'esistenzaillusoria. Quando si capisce che la forma è non-forma, si riconosce il Tathagata." "Venerato, gliesseri che ascoltano queste parole avranno in esse fede completa?" "Non parlare in questo modo"dice il Buddha a Subhuti e qui fa una profezia: "Nei cinquecento anni successivi alla morte delTathagata ci saranno esseri che, avendo acquisito grandi meriti con la messa in atto delle regoledella moralità, ascolteranno queste parole e vi aderiranno con fede. Devi sapere che questi esseripiantarono le radici del loro merito non sotto uno, due, tre, quattro o cinque Buddha, ma sottomigliaia di miriadi di asamkhyeya di Buddha. O Subhuti, tutti coloro che, ascoltando queste parole,daranno vita anche a un solo pensiero di pura fede, saranno riconosciuti dal Tathagata, a cui è notoil merito infinito che si ottiene in questo modo. Tutti questi esseri saranno liberi dall'idea di un io,di una persona, di un essere o di un'anima; e saranno liberi dall'idea di un dharma e da quella di unnondharma. Infatti, se nella propria mente si dà spazio all'idea di un dharma", e qui il dharma nonsta per la"Legge", ma è il dharma scritto con la 'd' minuscola come normalmente avviene e sta peroggetto o fenomeno.Se si dà spazio all'idea di un dharma, si è attaccati a un io, a una persona, a un essere, a un'anima.Perché? Perché se si dà spazio all'idea di un non-dharma, si è attaccati a un io, a una persona, a unessere, a un'anima. Quindi non avere in te l'idea di dharma, né quella di non dharma, né deifenomeni, né dei non-fenomeni. Ecco perché il Tathagata ci predica sempre: "0 Bhiksu, sappiateche il mio insegnamento può essere paragonato a una zattera. Persino il dharma è messo da parte,e tanto più il non-dharma." L'esempio della zattera compare spesso e cioè tutti gli insegnamenti ditutto quello di cui abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno fino a un certo punto, dopodiché deveessere messo da parte. Se noi rimaniamo attaccati - e poi vedremo come successivamente proprioin questo sutra il Buddha indichi esattamente quale tipo di mente dobbiamo avere, cioè quellamente senza attaccamento - se noi rimaniamo attaccati a qualche cosa quello ci fa fermare nellanostra evoluzione spirituale. Per cui, come una zattera serve per attraversare il fiume e una voltaattraversato non ce la portiamo dietro perché per camminare sulla terraferma non c'è bisognodella zattera, così il Buddha spesso dice di non attaccarsi ai fenomeni come ai non-fenomeni. Ilsutra è molto profondo, molto importante, richiede molta umiltà per essere compreso nella suarealtà, ma soltanto scrutarlo anche in superficie è già qualche cosa di molto utile per un praticantedella nostra scuola.

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ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 7 Luglio 1988

Si va verso l'ultimo giorno. In queste ultime sesshin, da quanto mi ricordo, a differenza di quanto sifaceva nelle prime, non si parla più del male alle gambe, anche perché quelli che vi partecipanosono ormai dei veterani e malgrado questo male alle gambe si faccia ancora sentire per chi poco,per chi tanto, però riescono a stare bene seduti, allora ci si potrebbe chiedere: "Se uno alla sesshinnon soffre perché si abitua al male alle gambe, ad alzarsi presto, allo scontro-incontro di sanzen, almangiare che per alcuni può essere buono e per altri può esserlo meno, se non c'è da soffrireallora, che ascesi è? che asceti siamo? Perché se non c'è la sofferenza come si fa?" Quando ci si èabituati a tutto, tanto che non veniamo distratti dalle preoccupazioni terrene, c'è un ultimoostacolo: è quello di rimanere soli con la nostra mente seduti sul nostro cuscino e di trovare inquesta solitudine il modo di vederci chiaro e di rendere questa chiarezza realizzabile al di fuoridelle sesshin. Questa impossibilità di afferrare la nostra mente: ecco la sofferenza molto piùdifficile da abituarcisi che a quella delle gambe, del caldo, delle zanzare, del sonno, della fatica, e inqualunque parte del mondo possiamo andare potremmo sicuramente abituarci - se lo vorremo - aqualunque difficoltà che si potrà incontrare, ma il momento in cui resteremo da soli, seduti su unqualunque cuscino, in silenzio, verrà fuori questa nostra incapacità di convivere chiaramente con lanostra mente se naturalmente il lavoro che viene a fare alle sesshin non è quello giusto.Se si viene a lavorare soltanto per imparare a stare seduti, per lavorare, per stare all'aria aperta,per mangiare il cibo che ci piace di più, per sentire il fresco della fontana quando ci immergiamonell'acqua, beh, se ci veniamo solo per questo! ma certo non credo che vi accontentiate di cosipoco.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Luglio 1988

C’è un vecchio film francese "L'attraversata di Parigi" con l'attore ormai morto - Jean Gabin e unaltro attore di cui non ricordo il nome, sulla guerra. Uno viene preso dai nazisti e portato via su uncamion, mentre Jean Gabin - che era un pittore conosciuto - viene invece lasciato libero. Allora,quello portato via dai nazisti rivolgendosi mentre lo portano via, mentre vede che il suo amico diuna giornata con il quale ha attraversato la città se ne può andare libero, grida: "E io?".Abbiamo gli esempi dei maestri del passato, talvolta anche esempi viventi di persone che ciimpressionano per la loro capacità di essere liberi, eppure, a differenza di quell'attore che vieneportato via - che nel film non è un attore - di quella persona che viene portata via in un campo diconcentramento, non siamo capaci di gridare a noi stessi, più che a quelli che sono là: "E io? Chefaccio io? Perché qualcuno può avere la libertà e io no?". Diamo per scontato che ci siano i nobili eil popolino, ci sia il clero e una classe di militari, la classe dei dottori e quella degli ignorantimalgrado decine di anni di democrazia, ma questo potrebbe anche non essere cosi grave se nondessimo per scontato il fatto che la libertà non è un qualche cosa che appartenga a un numeroristretto di persone. La libertà è nell'essere umano, l'essere umano è nato, esiste per essere libero. Naturalmente, è una libertà che va oltre quella soggettività con cui la persona imprigionata grida aquella che se ne va via libera, ma in quel grido esiste una domanda esistenziale: "Perché alcunisono liberi e altri no?"

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Non è una persona solo che grida: "Perché io non sono libero?" È proprio perché esiste questasofferenza della prigione.

IL SUTRA DEL DIAMANTEPARTE II (pag. 30 – 32)_______________________________________

7. "Subhuti, credi che il Tathagata abbia raggiunto la suprema illuminazione? Credi chepossieda qualcosa di ciò su cui predica?".Subhuti disse: "Venerato, per come io intendo l'insegnamento del Buddha, non c'è una dottrinafissa su cui il Tathagata predichi. Infatti alla dottrina da lui predicata non si deve aderire; enemmeno deve essere predicata, non essendo un dharma e nemmeno un non-dharma. Gli uominisaggi, pur appartenendo tutti alla categoria della non-azione (asamskara), si distinguono unodall'altro".

8. "Subhuti, non credi che se un uomo riempisse dei sette tesori preziosi i tremilachilocosmi e li donasse in carità avrebbe un gran merito?"Subhuti disse: "Grandissimo, Venerato! Il suo merito sarebbe caratterizzato dalla qualità di nonessere un merito. Quindi il Tathagata parla del merito dicendo che è grande. Ma se un altro uomo,sapendo il significato anche di sole quattro righe di questo sutra, lo predicasse agli altri, il suomerito sarebbe superiore a quello del primo. Infatti, Subhuti, tutti i Buddha e la loro supremailluminazione discendono da questo sutra. Subhuti, ciò che è chiamato insegnamento del Buddhanon è l'insegnamento del Buddha.

9. "Subhuti, credi che uno Srotapanna pensi di ottenere i frutti di Srotapatti?".Subhuti disse: "No, Venerato. Srotapanna significa 'Colui che entra nel flusso’, ma in realtà l'entratanel flusso non esiste. Srotapanna è chi non entra in un mondo di forma, suono, odore, sapore,tatto e qualità.""Subhuti, credi che un Sakridagamin pensi di ottenere i frutti di Sakridagamin?"."No, Venerato. Sakridagamin significa 'andare e venire per una volta', ma in realtà l'andare e ilvenire non esistono e proprio per questo egli è chiamato Sakridagamin"."Subhuti, credi che un Anagamin pensi di aver ottenuto i frutti di Anagamin?""No, Venerato. Anagamin significa 'che non viene ma in realtà il non venire non esiste, e proprioper questo è chiamato Anagamin"."Subhuti, credi che un Arhat pensi di aver raggiunto la condizione di Arhat?".Subhuti disse: "No, Venerato. In realtà non esiste un dharma da chiamare Arhat. Se un Arhatpensasse di aver raggiunto la condizione di Arhat, egli sarebbe attaccato a un io, a una persona, aun essere, a un'anima.E nonostante il Buddha dica che io sono il migliore tra chi ha raggiunto l'Aranasamadhi e che iosono il migliore degli Arhat liberi dai desideri malvagi, io non penso di aver raggiunto la condizionedi Arhat. Venerato, se lo pensassi tu non mi diresti: "'Subhuti, tu godi la vita della non-resistenza.Proprio perché Subhuti non è attaccato a questa vita, si può dire che gode la vita della non-resistenza".

10. Il Buddha disse a Subhuti: "Credi che anticamente, quando era insieme al DipankaraBuddha, il Tathagata realizzò il Dharma?".No, Venerato. Mentre era insieme al Dipankara Buddha, il Tathagata non realizzò il Dhanna"."Subhuti, credi che i Bodhisattva preparino una Terra del Buddha?""No, Venerato". "Preparare una Terra del Buddha vuol dire non prepararla, e proprio per questo sidice che essi la preparino. Quindi, Subhuti, tutti i Bodhisattva devono pensare in modo puro. Non

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devono dare spazio a pensieri basati sulla forma; non devono dare spazio a pensieri basati sulsuono, sull'odore, sul gusto, sul tatto e sulla qualità; e non devono dare spazio a pensieri basati suqualunque cosa di qualsiasi genere essa sia.Subhuti, è come per un corpo umano grande come il Monte Sumeru: non credi che sarebbe uncorpo molto grande?"."Grandissimo, Venerato. Il Buddha insegna infatti che un non-corpo è un gran corpo".

11. Subhuti, per ciò che riguarda le sabbie del Gange, supponi che vi siano tanti fiumiquante sono quelle sabbie. Non credi che le sabbie di tutti quei Gange messi insieme sarebberomolte?"Moltissime. Venerato"."Soltanto quei Gange sarebbero innumerevoli; ma quante di più sarebbero le sabbie di tutti queiGange messi insieme! Adesso, Subhuti, ti farò una domanda importante. Se un buon uomo o unabuona donna riempissero dei sette tesori preziosi tutti i mondi dei tremila chilocosmi - numerosicome le sabbie di quei Gange - e donassero quei tesori in carità, non sarebbe grandissimo il loromerito?".Subhuti disse: "Grandissimo, Venerato".Il Buddha disse a Subhuti: "Ma se un buon uomo o una buona donna, avendo capito il significatoanche di sole quattro righe di questo sutra, lo predicassero agli altri, il loro merito sarebbe ancorapiù grande".

12. "Inoltre, Subhuti, qualsiasi luogo in cui questo sutra o anche soltanto quattro righe diesso verranno predicate, sarà rispettato da tutti gli esseri, compresi i Deva, gli Asura e gli altri,come se fossero il tempio il chay tia stesso del Buddha; e quanto di più verrà rispettato un uomoche capisce e recita questo sutra! Subhuti, devi capire che questa persona compirebbe l'azione piùalta, più grande e più bella. Ogni luogo in cui questo sutra verrà conservato, dovrà essereconsiderato come se vi fosse presente il Buddha o un suo venerabile discepolo".

TEISHO 8 Luglio 1988

Questa è la seconda parte del Sutra del Diamante che noi abbiamo diviso in quattro parti e in cui,malgrado vi siano molte ripetizioni, non sono delle risposte dirette e tutte queste risposte sonosempre contrari di quello che uno si potrebbe attendere. Si comincia subito dalla prima domandache il Buddha fa a Subhuti e Subhuti risponde in maniera completamente evasiva. Sono duedomande, nella prima il Buddha chiede: "Credi che il Tathagata abbia raggiunto la supremailluminazione?", nella seconda: "Credi che possieda qualcosa di ciò su cui predica?". Alla primadomanda Subhuti non risponde affatto per cui non risponde se il Tathagata abbia raggiunto lasuprema illuminazione. Questo che significa? Che il Tathagata, o il Buddha SaKyamuni non haraggiunto la sua illuminazione? Per quanto riguarda Subhuti, egli può soltanto credere o noncredere che il Buddha abbia raggiunto la suprema illuminazione perché non può giudicare se l'haveramente raggiunta o no. E’ impossibile sapere se qualcuno capisce qualche cosa di più di noi; selo capisce si ma fino a che punto? Se arriva fino a un grado di comprensione completa oppure searriva a un grado di comprensione simile al nostro. Se è oltre la nostra portata noi non possiamodare un giudizio sicuro ma possiamo soltanto dire: "ma, "Penso di sì, penso che possa essere",oppure: "Penso che non possa essere." In questo caso Subhuti non si avventura in nessun giudiziomalgrado il Buddha glielo richieda. Alla seconda domanda, che è quella in cui il Buddha chiede secrede che possieda qualcosa di ciò su cui predica, Subhuit risponde: "Venerato, per come io

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intendo l'insegnamento del Buddha, non c’è una dottrina fissa su cui il Tathagata predichi” ma nonrisponde se tra quello che predica il Buddha e quello che lui possiede ci sia un'identità. Noi, nontanto noi praticanti del ch'an ma scolari, o ascoltatori, o lettori di giornali, abbiamo spessoincontrato persone che predicano cose di cui non hanno una completa e profonda conoscenza, percui il Buddha semplicemente chiede a Subhuti: "Io predico queste cose. Credi tu che io possieda lacompleta conoscenza di quello di cui predico?”. Subhuti invece risponde parlando sul metododell'insegnamento del Buddha, per cui evade completamente la domanda rispondendo in tutt'altramaniera e cioè: "Alla dottrina da lui predicata non si deve aderire e nemmeno deve esserepredicata, non essendo un dharma e nemmeno un non-dharma. Gli uomini saggi, purappartenendo tutti alla categoria della non-azione, si distinguono l'uno dall'altro”. In questo sutra,a differenza del Vimalakirti-sutra, ci sono tante frasi e tanti concetti pochissimo chiari. Ècomprensibile il fatto che nel passato in Cina e probabilmente in India, ma noi sappiamo almenodella Cina, ci fossero tanti monaci o laici che si dedicavano allo studio e alla spiegazione di questosutra, con quali risultati non si sa, ma certo avendo a disposizione i testi originali, erano in gradomolto più di noi di arrivare a comprendere se non altro, il significato delle parole che venivanodette. Non è tanto semplice quello che Subhuti vuole dire qui in "Gli uomini saggi, purappartenendo tutti alla categoria della non azione, si distinguono l'uno dall’altro. Questo non hatanto a che fare con quello che dice prima: una dottrina a cui aderire o non aderire. Certo, tuttiquanti noi apparteniamo alla categoria della non-azione? Per appartenerci ci apparteniamo ma peraverne la consapevolezza, questa è un'altra questione; che ci si distingua l'uno dall'altro,ovviamente ci si distingue per tante ragioni: apparentemente, formalmente, per la nostraconcezione, per il nostro carattere, per la nostra età, per la nostra lingua, e così via. Mafondamentalmente - e qui quello che dice Subhuti potrebbe essere detto al contrario - pur essendotutti diversi, tutti quanti sono simili.Andando avanti: "Subhuti, non credi che se un uomo riempisse dei sette tesori "Preziosi i tremilachilocosmi e li donasse in carità, avrebbe un gran merito?" Questo mi pare abbastanza chiaro,perché la recitazione dei sutra è sempre superiore a qualunque tipo di offerta. Poi passa adosservare tutta la gerarchia di comprensione: lo srotapanna, che è il grado più basso, è colui cheentra nel flusso, cioè colui che a un certo punto entra nel sentiero; poi il sakridagamin cioè quelloche dovrà rinascere soltanto per una volta; l'anagamin, quello che ormai non rinasce più, e infinel'Arhat che è quello che ha raggiunto il nirvana ed è ancora un gradino più sotto di quello delBodhisattva perché il bodhisattva addirittura, pur avendo raggiunto il nirvana non vi entra marimane fra tutti gli esseri per salvarli.Qua Subhuti dice: "Nonostante il Buddha dica che io sono il migliore tra chi ha raggiuntol'Aranasamadhi" e questo il Buddha è in grado di giudicarlo e si vede che c’è una differenza anchetra chi raggiunge lo Aradasamadhi cioè il samadhi della non resistenza” e che io sono il miglioredegli Arhat liberi dai desideri malvagi, io non penso di avere raggiunto la condizione di Arhat.Perché se lo pensassi tu, Venerato, non mi diresti: 'Subhuti, tu godi la vita della non-resistenza.Proprio perché Subhuti non ha attaccato a questa vita, si può dire che gode la vita della non-resistenza". Qui giochiamo con le parole; non ha certamente un gioco, però questi colloqui giocanomolto sul senso che si vuole dare alle parole. Poi, il Buddha fa ancora una domanda a Subhuti delgenere di quelle che abbiamo visto all'inizio: "Credi che anticamente, quando era insieme alDipankara Buddha, il Tathagata realizzò il Dharma?". "No, Venerato. Mentre era insieme alDipankara Buddha, il Tathagata non realizzò il Dharma."Subuthi dice poi: "I Bodhisattva non preparano una Terra del Buddha perché preparare una Terradel Buddha vuol dire non prepararla e proprio per questo si dice che essi la preparino. Quindi,Subhuti, tutti i Bodhisattva devono pensare in modo puro, non devono dare spazio a pensieribasati sulla forma e non devono dare spazio a pensieri basati su suono, su odore, sul gusto, sul

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tatto e sulla qualità e non devono dare spazio a pensieri basati su qualunque cosa di qualsiasigenere essa sia". Per cui questi pensieri - perché dopo verrà il momento in cui il Buddha dice chetipo di mente bisogna sviluppare - non devono essere basati su alcuna cosa, e quindi devonoessere pensieri senza un basamento, pensieri che sono pensieri e basta. Questo è molto difficile;infatti questo sutra oppone delle grandi difficoltà alla comprensione diretta e più volte lo si rileggee ci si medita sopra, più volte si trova qualche spiraglio che permette di approfondirlo un po’. Poi, ilmerito di chi fa le offerte, e quindi: "ma se un buon uomo o una buona donna, avendo capito ilsignificato anche di sole quattro righe di questo sutra, lo predicassero agli altri, il loro meritosarebbe ancora più grande di quelli che fanno delle offerte capaci di riempire tutti i mondi tantiquanto sono le sabbie del Gange. Poi ancora: "Ogni luogo in cui questo sutra verrà conservato,dovrà essere considerato come se vi fosse presente il Buddha o un suo venerabile discepolo." Per quanto riguarda la comprensione di questo tipo di sutra, se ne può fare una lettura e poibisogna fermarsi per ore o giorni e anni, anche soltanto su una frase per cercare di penetrarla. Noi,in qualche modo, ci avventuriamo non tanto credendo di poterne ottenere la comprensione,quanto perché, anche se, come dice il Buddha, soltanto la lettura di quattro righe di questo sutrapuò rendere il luogo protetto, tanto più la sua lettura e la sincera voglia di volerlo penetrarepotranno essere di giovamento per la nostra percorrenza della via dell'illuminazione.Certamente, tutto quanto dipende dalla sincerità con la quale noi ci avviciniamo a questo con ladovuta umiltà di sapere che alla comprensione non vi è mai fine e perciò, umilmente, cerchiamo diattingere a questi grandi tesori che ci provengono dai maestri del passato.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Luglio 1988

Nella terminologia sportiva, viene spesso usato, a proposito di atleti anche di differenti disciplineche sono migliori degli altri, il termine "istinto del killer". Si dice: "Quell'atleta ha questo istinto delkiller" che non significa che quell'atleta ammazzi qualcuno; non è un killer, un uccisore, però èquello, che ad esempio nell'automobilismo, stacca il piede dal freno prima degli altri oppure frenadopo gli altri; nello sci va più vicino ai paletti e non molla mai, e così via. Questo non vale soltantonella pratica sportiva, possiamo osservarlo anche in tutte le nostre attività dove vince chi resiste dipiù, chi è in grado di dare di più ma non soltanto vince nei confronti degli altri, vince rispetto ad unproposito che si era messo in testa: perciò quello che non si accontenta ma che cerca di daresempre di più. Ora siamo di fronte all'ultima notte di questa nostra sesshin. Domani mattina saràterminato, tra una cosa e l'altra ci rilasseremo e rimangono - possiamo contarle - soltanto unpugno di ore. A volte ci è capitato di dire: "Ho fatto quel che potevo, adesso tornando a casacomincerò a dargli sotto a fare di più." Questa volta dobbiamo darci dentro di più ora, qui, senzaaspettare nessun altro futuro. Siamo venuti apposta da lontano, siamo venuti proprio per viverequesti momenti per dare tutto in questi momenti; non lasciamo da parte neanche un briciolo diforza e quando stiamo per mollare ricordiamoci che possiamo resistere ancora un po'.In fondo, tutti i maestri del passato quando raccontano la propria illuminazione non ci mostranoaltro che questa capacità di aspettare un altro po', di andare avanti un altro po’, resistere ancorasenza mai mollare la presa. La notte passa presto, ormai lo sappiamo, ormai non abbiamo piùpaura di attraversare una notte seduti sul cuscino, ma proprio perché non c’è più la tensionedovuta alla paura di non farcela, attenzione a non farci prendere da quella rilassatezza che dice:"Poi tanto ce ne sarà un'altra di notte, ci sarà un’altra sesshin quello che non sono riuscito adesso

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lo farò una volta successiva." Questo dobbiamo eliminarlo dai nostri pensieri. Adesso è il momentopiù importante della nostra vita: se c’è qualche cosa che possiamo fare la possiamo fare adesso.

ESORTAZIONI FINALI 9 Luglio 1988

Non so se ieri o l'altro ieri, un’astronave sovietica è partita per esplorare un pianeta (satellite?) diMarte: Fobos. Impiegherà duecento giorni per arrivare fino al punto stabilito. Da qualche parte holetto che gli astronauti, sovietici o americani - perché mi pare che siano soltanto loro per ora -dopo essere stati per qualche tempo sulle navicelle spaziali, quando ritornano a terra sonocompletamente diversi, non fisicamente, ma ricevono una tale impressione dall’osservazione dellospazio e hanno una percezione più profonda di quanta ne avessero prima, di quanta ne abbia unapersona normale, di questa immensità. In fondo, si può dire che ritornino più buoni, tanto chequalcuno aveva consigliato di spedire sulla navicella spaziale per un po’ di tempo i governanti ditutto il mondo. Noi non possiamo salire sulle navicelle che girano intorno alla terra o che vannoverso Marte o sulla Luna, però ci sono dei momenti come le albe che viviamo durante le notti diScaramuccia, come quella di questa mattina col sorgere della Luna, o il momento in cui hacominciato a cantare i gallo, che sono anche esse esperienze fondamentali che immettonodirettamente l'essere nello spazio e per spazio si intende quei mondi che sono intorno a noi, tuttaquanta questa creazione - chiamiamola cosi - rendendoci conto di essere una piccola cosa rispettoad essa ma, nello stesso tempo capace di vivere in essa, nella creazione, a pieno titolo.Queste esperienze di visione mattiniera anche se non sono l'illuminazione del Buddha Sakyamuninel vedere la stella del mattino, sono quei punti fermi che costituiscono per la nostra vita e per lanostra pratica un riferimento costante. C’è l'universo intorno a noi, ci siamo noi a contatto conquesto universo, noi possiamo sperimentare l’immensità di questo universo che ci circonda di cuisiamo parte, perché lo abbiamo sperimentato, perché lo abbiamo vissuto durante la notte, durantesoprattutto, l’alba col suo chiarore. Questi sono i punti di fede nella nostra capacità dicomprendere, e questi punti di fede sono quelli ai quali riferirci ogni volta in cui abbiamo bisognodi coraggio, di fiducia; riportarli alla mente e dire a se stessi:" Se ho visto una volta se ho capito unavolta, se ho penetrato una volta, posso farlo sicuramente ancora". E cosi. Piano piano, avanti verso nuove e maggiori comprensioni.

DISCORSO DURANTE L'ORDINAZIONE A MONACO DI ALVISE9 Luglio 1988

Come ho detto tante altre volte e come ormai siete abituati a sentire, la fondazione, lo sviluppo, laconduzione di un monastero - che significa un gruppo di persone che si rifanno ad un'idea, ad uninsegnamento che come il nostro viene dal Buddha Sakyamuni passando attraverso la Cina di Lin-Chi e il Giappone di Mumon Roshi - è molto difficile e gli influssi temporali fanno prendere delledecisioni, per un verso o per l'altro, pensando sempre di essere nella via migliore ed agendosempre con la coscienza più cristallina, almeno di quel momento.Ripeto che, secondo me, nel mondo occidentale e mi pare che qualche dubbio si stia cominciandoad insinuare anche nel mondo orientale, non si sappia ancora bene come possa essere trapiantatol'insegnamento del Buddha. I tentativi che sono stati fatti di copiare pedissequamente le lezioni e

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gli insegnamenti orientali non hanno ottenuto i frutti sperati. Nello stesso tempo, rifarsi allatradizione del luogo cercando di copiarla, è anche un modo che non può portare successo. Glisforzi di coloro che in qualche modo vogliono, per il bene di tutti gli esseri, diffondere questoinsegnamento che tanto bene ha fatto a tutta l'umanità, sono rivolti a far sì che la maggior partedelle persone, secondo un proprio modo di vedere la diffusione, ne possa beneficiare. Senzadubbio la convinzione di appartenere ad un insegnamento - non perché si vogliano escludere glialtri - e di prenderne possesso anche fisicamente per mezzo di un'ordinazione da parte del propriomaestro, può essere di incitamento per il nostro cammino sulla Via. Purtroppo però, come è statoosservato nel passato di Scaramuccia e naturalmente traendo insegnamento da esperienze fatte inaltri luoghi, non sempre le aspettative di chi ordina, da parte di chi viene ordinato, poi vengonorispettate. Anche a Scaramuccia c’è stata un’esperienza di ordinazione non monacale, possiamodire, ma senz’altro con un impegno da parte di quei dodici che parteciparono quella volta, chericevettero un nome e che si impegnarono a mantenere accesa la luce del Dharma; questoesperimento se dovessimo giudicare dalla presenza costante di qualcuno di questi dodici,potremmo definirlo fallito anche se, rifacendoci sempre ai maestri del passato, e soprattutto aBodhidharma, e vedendo che i suoi discepoli ammontavano soltanto a uno, non dovremmodisperare perché, probabilmente, ci vogliono più generazioni di praticanti fino a quando lasituazione si formalizzerà e la tradizione potrà venire impiantata nella maniera migliore. Da partemia non c'è nessuna remora nell'ordinare delle persone le quali sentissero attraverso l'ordinazionedi diventare più attaccati alla Via, perché ci vuole anche dell’attaccamento alla Via altrimenti si èpresi da altri interessi - questo, in un futuro neanche lontano, si potrebbe fare. Quello che ho fattooggi nei riguardi di Alvise è tanto per rimanere nella tradizione del buddismo giapponese. InGiappone ogni capo di tempio ordina il primo figlio maschio pensando - come poi in Giapponeavviene - che egli possa continuare questa tradizione. Questo però non significa che altre personenon possano essere ordinate e possano continuare questa tradizione fondando a loro volta deitempli o continuando a rimanere a Scaramuccia - questo noi non sappiamo ancora come andrannole cose - ma comunque è importante che ci sia, ormai dopo molti anni (Scaramuccia vive ormai daquindici anni qua in Italia), che ci sia veramente nel profondo del cuore, da parte di ogni discepolo,la convinzione che la Via che ha intrapreso è la via giusta, è la via che sente di seguire per tutta lasua vita. Se non c'è questa certezza di sentire che il Buddha, Lin-Chi, Mumon, sono i maestri chehanno fatto arrivare fino a noi questo insegnamento, allora è inutile ricevere un'ordinazione ancheperché non vedo a quale scopo potrebbe servire in quanto, tra l'altro, andare nella società e direche uno è monaco buddista non so che risultato possa generare nella mente degli ascoltatori. Pernoi è importantissimo essere praticanti buddisti o monaci buddisti. Qui a Scaramuccia non si à fattamai discriminazione tra laicato e monachesimo. Chi recita i quattro voti è intrinsecamente unbodhisattva ed è uguale di fronte a tutta l'umanità, al Buddha e a tutti i Buddha che l'hannopreceduto e succeduto. Per cui, certamente sentirsi buddisti, sentirsi partecipi dell'evoluzione ditutta l'umanità recitando i quattro voti come noi facciamo tutte le mattine ed altre frequenti voltedurante il giorno, questo è il compito più alto che un essere umano possa realizzare.Con l'augurio che tutti quanti nel profondo del cuore possiate realizzarlo.

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SESSHIN DI AGOSTO 1988

SESSHIN KOKUHO 7 agosto 1988

Jo Jo! in giapponese si dice quando il Maestro dà l'annuncio dell'inizio di sesshin. Siamo finalmentearrivati alla sesshin di agosto, un arrivo importante, un arrivo che ci permette nell'arco di unasettimana, di iniziare o di continuare a lavorare in profondità su noi stessi. I maestri spirituali diquesti tempi arringano i propri discepoli o quelli che poi lo diventeranno, facendo una panoramicadi tutti i mali che affliggono l'umanità e prospettando come unica salvezza quello di dedicarsi allapratica che loro vanno insegnando. È un modo molto semplice di presentarsi. Anche noi, rispetto atutte le difficoltà che affliggono l'umanità, potremmo dire che sedersi a fare zazen, concentrarsi perrisvegliare la propria vera natura, potrebbe risolvere questi problemi. Ma prima di tutto dobbiamorealizzare da noi stessi; senza che ce lo dica qualcuno al di fuori, che quello che veramente cimanca è realizzare, è portare alla luce la nostra reale natura.Il Buddha Sakyamuni a Magandio che gli dice che la sanità è il massimo bene, chiede: "Che cos'èper te la sanità?" Magandio tocca il suo corpo e dice: "Questo è la sanità. Io ho un corpo sano, stobene." Allora il Buddha gli prospetta la parabola del cieco al quale avevano detto di regalare unvestito bianco, ben fatto, impeccabile, pulito, e invece del vestito bianco gli mettono addosso unvestito sporco da scuoiatore e lui, senza saperlo, diceva: "Che bel vestito che ho addosso!".Se non abbiamo gli occhi per vedere non possiamo sapere che cosa è la sanità e questi occhi,nostri, sono quelli che devono aprirsi. Può venire giù anche il Buddha Sakyamuni stesso a dirci cheviviamo in un mondo di sofferenza, ma si vede che nessuno se ne accorge di soffrire, perché siaquesta sera qui o in altri posti simili ci sono si e no una dozzina di persone, significa che tutti gli altrinon sentono questa impellenza e toccandosi il corpo pensano di essere sani. Naturalmente, finchéuno pensa di essere sano, nessuno può andargli a dire che fondamentalmente non è sano, perchéchiunque sia, se non ha risvegliato la sua natura di illuminazione, non è sano. L'unica cosa chevalga veramente la pena di fare in questo mondo - e in questo mondo noi viviamo - è risvegliare lapropria reale natura di illuminazione, diventare degli illuminati, diventare dei Buddha. Diventare!Ritornare ad essere prendere coscienza di essere dei Buddha. Non c’è niente altro da fare.Qualunque cosa, anche diventare padroni del mondo, non vale quanto quella di diventare deiBuddha. Allora: vale la pena di diventare dei Buddha? Questo lo dobbiamo capire noi durantequesti giorni che staremo insieme, durante questi giorni durante i quali lavoreremo a questo unicoed essenziale scopo. Non vale la pena di dedicarsi ad attività superflue. Certo c’è chi va in giro adimparare un'arte o va in giro ad impararne un'altra, chi va in giro ad abbronzarsi perché pensa chegli faccia bene alla pelle e alle ossa; chi va in giro a scalare le montagne chi va in giro a visitare lecittà per farsi una cultura e vedere i musei che raccolgono l'arte dell'umanità. Tutte queste cose inun certo momento della nostra vita, possono anche essere importanti, ma se noi ci rimaniamoattaccati e continuano a farle come dei bambini che continuano a giocare con le bambole e con igiocattoli, vuol dire che la nostra vita si sta sprecando. Sprecare qualche cosa è contro l'umanità,per cui, non sprechiamo la nostra vita, non sprechiamo il nostro tempo noi almeno che siamo qµi,non perché ci dobbiamo sentire superiori agli altri che non si dedicano a questa attività, maalmeno noi cerchiamo di lavorare per ottenere l'unica cosa che valga la pena di essere ottenuta. Seigiorni, a differenza delle sesshin di due giorni, permettono di entrare in un ritmo, permettono dilavorare con calma, con sicurezza. Però non perdete tempo, non aspettiamo di entrare nel ritmo,siamo noi che dobbiamo decidere di noi stessi. Mettiamocela tutta dall'inizio perché sei giorni osette quanti sono, passano velocemente: ci troveremo alla fine della settimana che la sesshin è giàfinita e sarebbe importante - anche se questo non avviene mai - che noi non ci trovassimo tra le

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mani un pugno di aria. La sesshin lascia sempre qualche cosa ma questo dipende dal nostroimpegno e il nostro impegno deve essere totale. Lasciate fuori da questa sala, da questa collina,'tutto quello che non ha niente a che fare con questa totalità.Possiamo estraniarci completamente dal mondo; dobbiamo soltanto pensare a sederci, mangiare,lavorare, camminare quando c’è da camminare, bagnarci quando c’è da bagnarsi, dormire quandoc’è da dormire. Niente altro da fare che questo, immersi nella totalità del camminare, delmangiare, del dormire del sedere e niente altro.Mi aspetto che ce la mettiate veramente tutta affinché la sesshin rappresenti realmente una svoltaper tutti quanti.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI8 Agosto 1988

Poche settimane fa eravamo sulle alpi francesi e un giorno siamo andati a fare una scalata di rocciain un posto molto isolato su una cresta, su uno spigolo si può dire, sul quale siamo stati impegnatiper cinque o sei ore. È alto circa cinquecento metri. Abbiamo fatto - come si dice in gergo - tredicitiri cioè la corda si distende per quaranta metri, sale il capocordata e questo per tredici volte.Negli ultimi tempi l'arrampicata è sviluppata in una maniera diversa: si va sotto delle pareti basse,alte venti - venticinque metri, si scala e si scende subito. Per cui si sta in basso sulla parete si stapoco. Invece questa volta, dopo un po’ di tempo - almeno a me non succedeva da più di un anno -siamo stati cosi a lungo su questa parete tanto aerea, in un luogo completamente isolato, lontanoda tutto, eravamo in dodici persone ed ho pensato di essere quasi in una navicella spaziale perchéil mondo era staccato, lontano, noi eravamo attaccati a poche cose in mezzo al cielo e si sentivaproprio il senso dell’essere in mezzo alle nuvole.La sesshin di luglio che abbiamo fatto di una settimana è stata quasi la stessa cosa, così come sononormalmente le sesshin di una settimana si sta insieme tanto tempo - come sulla parete abbiamofatto tredici tiri qui sono sei o sette giorni e non è che si fa un giorno e poi si scappa via, oomeappunto nell'arrampicata moderna. C’è un giorno dopo, poi ancora un altro giorno, e ancora eancora. Questo dà un senso di tranquillità, dà un senso di starci, di essere davvero immersi nelcielo. Purtroppo le sesshin di una settimana non possono essere fatte perché la maggior partedella gente lavora ma quelle poche che riusciamo ad organizzare, quelle sono importanti e vannoveramente vissute come vivendo in altro mondo, pur rimanendo ovviamente nel mondo delle cosedi tutti i giorni. Le cose da fare sono sempre le stesse. Anche in arrampicata non si fa qualche cosadi speciale e anche in arrampicata, così come nella sesshin, la parte certe volte nascosta di noistessi viene fuori durante la fatica, durante la paura, durante l'esposizione, durante la sete, durantela fame. A questo dobbiamo stare molto attenti, lasciare che venga fuori ed osservarlo perconoscerci e per vedere come siamo realmente.

IL SUTRA DEL DIAMANTEPARTE III (pag. 32 – 34)_______________________________________

13. In quel momento, Subhuti disse al Buddha: "Venerato, quale sarà il nome di questosutra? Come potremo tenerlo a mente?".

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Il Buddha disse a Subhuti: "Questo sutra si chiamerà Vajra-prajna-paramita e con questo titolo loterrete a mente. La ragione, Subhuti, è che secondo l'insegnamento del Buddha la Prajnaparamitanon è la Prajna Paramita e proprio per questo è chiamata Prajnaparamita. Subhuti, credi che ci siaqualcosa su cui il Tathagata predichi?".Subhuti disse al Buddha: "No, Venerato, non c’è nulla su cui il Tathagata predichi"· Subhuti, credi che ci siano molte particelle di polvere nei tremila chilocosmi?".Subhuti disse: "Certo, Venerato, ca ne sono moltissime"."Subhuti il Tathagata insegna che tutte queste particelle di polvere sono non-particelle di polvere,e che proprio per questo si chiamano particelle di polvere e insegna che il mondo è non-mondo, eche proprio per questo si chiama mondo. "Subhuti, credi che il Tathagata possa essere riconosciuto attraverso i trentadue segni, perché iTathagata dicono che quelli che vengono chiamati ‘trentadue segni’ sono non-segni, e che proprioper questo si chiamano 'trentadue segni'. Subhuti, se vi fossero buoni uomini e buone donnenumerosi come le sabbie del Gange che abbandonassero la loro vita, il loro merito non sarebbesuperiore a quello di chi, capendo il significato anche di un solo gatha o di quattro righe di questosutra, lo predica agli altri".

14. In quel momento Subhuti, ascoltando questo sutra, ne capì profondamente ilsignificato, e piangendo di gioia disse al Buddha: "In verità, Venerato, è meraviglioso che il Buddhaci insegni questo sutra dal profondo significato. Mai ho udito un simile sutra, neanche con l'occhiodi saggezza che acquistai nelle vite precedenti. Venerato, se un uomo, ascoltando questo sutra,colmerà di pura fede il suo cuore, avrà idee giuste su tutte le cose. Di lui si dirà che ha raggiuntouna virtù meravigliosa Venerato, ciò che si conosce come vera idea è una non-idea, e proprio perquesto è chiamata vera idea. "Venerato, non è difficile per me credere in questo sutra, capirlo e impararlo; ma se nei tempi avenire, nei prossimi cinquecento anni, ci saranno degli esseri che, ascoltando questo sutra, sarannocapaci di credere in esso, di capirlo e di impararlo, saranno certamente esseri meravigliosi. Nonavranno l'idea dell'io, della persona, dell'essere o dell'anima. Infatti l'idea dell'io è una non-idea(dell'io), e l'idea della persona, dell'essere o dell'anima è una non-idea (della persona, dell'essere,dell’anima). Saranno dei Buddha liberi da ogni tipo di idea".Il Buddha disse a Subhuti: "È proprio come tu dici. Se un uomo ascolta questo sutra senza esserespaventato, turbato o confuso da esso, è una persona meravigliosa. Infatti, Subhuti, il Tathagatainsegna che la prima Paramita non è la prima Paramita e che proprio per questo si chiama primaParamita. Subhuti, il Tathagata dice che la Paramita dell'umiltà (o della pazienza) è la non-Paramitadell'umiltà e che proprio per questo si chiama Paramita dell’umiltà. Anticamente, infatti, quando ilmio corpo fu fatto a pezzi dal Re di Kalinga, non avevo l'idea dell'io, né l'idea di una persona, nél'idea di un essere, né l'idea di un'anima. Se avessi avuto l'idea dell'io, di una persona, di un essereo di un’anima quando il mio corpo fu fatto a pezzi arto dopo arto e membro dopo membro, dentrodi me si sarebbe risvegliato il sentimento della rabbia e della collera. Ricordo che anche nelle mieprecedenti cinquecento rinascite fui un rishi di nome Kshanti, e che duranlte tutto quel tempo nonebbi l'idea di un io, né di una persona, né di un essere, né di una anima. Quindi, Subhuti, dovrestidar vita al desiderio della suprema illuminazione staccandoti da tutte le idee. Devi pensare senzabasarti sulla forma e senza basarti sul suono, sull'odore, sul sapore, sul tatto e sulla qualità. Tutti ituoi pensieri dovrebbero basarsi su nessuna cosa. Se un pensiero è basato sul nulla è chiamatosenza base. Per questo il Buddha insegna che il Bodhisattva non deve compiere la carità basandosisulla forma, ma per il beneficio di tutti gli esseri.Il Thathagata insegna che tutte le idee sono non-idee, e che tutti gli esseri sono non-esseri.Subhuti, il Tathagata è colui che dice ciò che è vero, le cui parole sono ciò che sono, colui che nondice il falso e che non parla in modo ambiguo.

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"Nel Dharma raggiunto dal Thataghata non c’è verità né falsità. Subhuti, se un Bodhisattvapraticasse la carità concentrando il pensiero sul Dharma sarebbe come una persona che entra nelbuio, e non vedrebbe nulla. Se praticasse la carità senza concentrare il pensiero sul Dharmasarebbe come una persona che ha gli occhi, e vedrebbe tutte le forme illuminate dalla luce delsole."Subhuti, se buoni uomini e buone donne nei tempi a venire capiranno il significato di questo sutrae lo reciteranno, saranno visti e riconosciuti dal Tathaata grazie alla sua conoscenza di Buddha, e illoro merito sarà immenso e senza pari.

TEISHO 8 Agosto 1988

Il nostro maestro Mumon, a proposito della raccolta di Lin-Chi, citando Nishida, il più importantefilosofo giapponese, dice che se si trovasse in un'isola deserta e dovesse scegliere due libri daportare, porterebbe: "Il Libro di Shinran" e la "Raccolta di Lin-Chi". Io vorrei dire che, copiandoquanto detto da Mumon e da Nishida - e cosi come è stato detto da tanti altri - se dovessi andare afare l'eremita in un'isola deserta, mi porterei questa terza parte del Vajrachedika-prajna-paramitasutra perché in questa terza parte c’è tutto quanto serve a un essere umano per prendere fiducianella sua pratica, prendendo fiducia nella sua pratica avere delle comprensioni che possanotrasformare questa fiducia in fede nella sua capacità di ottenere l'illuminazione e, naturalmente, laperseveranza che gli permetta di raggiungere lo stadio di Bodhisattva e di Buddha. C' è tutto!Altri personaggi importanti storici hanno sempre fatto un elenco di libri che non finisce mai, mapenso che per chi ha capito qual'è il senso da dare alla propria vita, due paginette di questi sianopiù che sufficienti. E infatti il Buddha stesso dice: "Se vi fossero buoni uomini e buone donnenumerosi come le sabbie del Gange che abbandonassero la loro vita, il loro merito non sarebbesuperiore a quello di chi, capendo il significato anche di un solo gatha o di quattro righe di questosutra, lo predica agli altri". Per cui, la comprensione di quattro righe di questo sutra è già superioreai meriti di tutti quegli esseri, numerosi come le sabbie del Gange, i quali si ritirassero a vitaascetica, a vita religiosa. E questo per il buddismo era già un grande merito.Ecco quale importanza il Buddha stesso dà a questo. In queste due pagineC’è una lezione di fisica atomica anche - potremmo chiamarla. Dopo il superamento della fisicagalileiana o cartesiana, o newtoniana, per mezzo della fisica di Einstein e successivamente di quelladi Plank con i quanti, adesso i fisici si rendono conto che c’è qualche altra cosa che non capiscono,qualche cosa che da un punto di vista metafisico, dovuto alla pratica, i Buddha - come il BuddhaSakyamuni - i praticanti del passato e naturalmente anche del presente, avevano già capito. Nelleaffermazioni del Buddha vediamo: "Subhuti, credi che ci siano molte particelle di polvere neitremila chilocosmi?". Subhuti disse: "Certo, Venerato, ce ne sono tantissime". E il Buddha:"Subhuti, il Tathagata insegna che tutte queste particelle di polvere sono non-particelle di polvere,e che proprio per questo si chiamano particelle di polvere; e insegna che il mondo è non-mondo, eche proprio per questo si chiama mondo".Ad uno studio attento e approfondito, ci rendiamo conto che quello che noi chiamiamo mondo,cioè questi oggetti solidi che ci appaiono sotto gli occhi non sono affatto intrinsecamente, solidi.Sono degli agglomerati di certe forze tenute insieme non si sa bene da certe energie, e questeforze si muovono secondo leggi che noi non abbiamo ancora capito e, naturalmente, noichiamiamo “sasso” un sasso, ma non è un sasso. Tra il sasso e il fiume non c’è alcuna differenza,chiamiamo fiume il fiume e il sasso “sasso”, ma il sasso è un non-sasso e il fiume è un non-fiume.

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Il fiume è energia esattamente come è energia il sasso e, molto umilmente alcuni fisici sicominciano a render conto di questo fatto. Poi: "Subhuti, il Tathagata dice che la Paramita dell'umiltà (o della Pazienza) è la non-Paramitadell'umiltà e che proprio per questo si chiama Paramita dell'Umiltà. Anticamente, infatti, quando ilmio corpo fu fatto a pezzi dal Re di Kalinga, non avevo l'idea dell'io, né l'idea di una persona, nél'idea di un essere, né l'idea di un'anima. Se avessi avuto l'idea di un io, di una persona, di unessere o di un'anima, quando il mio corpo fu fatto a pezzi arto dopo arto e membro dopo membro,dentro di me si sarebbe risvegliato il sentimento della rabbia e della collera". Di questi tempi sulgiornale che io leggo regolarmente, c'è una serie di interventi sulla non violenza. Ma quello chequasi nessuno ha detto, tranne che un filosofo - e quello è stato l'intervento più apprezzato - èstato di arrivare veramente al fondo della questione, all'essenza della questione. Se si ha l'idea diun io, di un essere o di un'anima o l’idea di una persona, quando il proprio corpo è fatto a pezzi ènaturale che si risvegli il sentimento della rabbia e della collera ma, come poi dice successivamenteil Buddha a Subhuti, se noi diamo vita al desiderio della suprema illuminazione e siamo in grado distaccarci da tutte le idee: l'idea dell'io, della persona, di un essere e di un'anima, allora arriviamo alprofondo vero della non violenza perché non vogliamo più far scaturire la rabbia e la collera, anchese il nostro corpo viene fatto a pezzi. Successivamente, ancora, il Buddha dice una cosaimportantissima non soltanto in sè, ma anche per la nostra scuola ch'an: "tutti i tuoi pensieridovrebbero basarsi su nessuna cosa", frase che potrebbe meglio essere tradotta: "Dovrestirisvegliare una mente che non abbia nulla su cui appoggiarsi". Questa frase cosi importante fuascoltata, nel mercato dove era andato a portare la cascina di legna da vendere, da Hui Neng (chea quel tempo non si chiamava Hui Neng) mentre un predicatore spiegava questo sutra delDiamante e questa frase fece scaturire in lui quel risveglio spirituale che lo fece andare alla ricercadi un maestro ch'an, il quinto Patriarca, presso il quale visse per qualche tempo e dal quale poisuccessivamente, ricevette il sigillo della trasmissione diventando il sesto Patriarca e dando inizio,in maniera anche formale, alla scuola ch’an. Fino a quel tempo si poteva chiamare ancora unascuola Dhyana, portata dall'India fino alla Cina da Bodhidharma, ma con Hui Neng la scuola Dhyanaperde la sua caratteristica indiana e diventa la scuola ch'an, una scuola veramente cinese dibuddismo, la scuola speciale, la trasmissione della quale, attraverso poi il Maestro Lin-Chi, arrivavafino al Giappone e fortunatamente anche fino a noi.Questa è la frase importantissima, la frase che fece 'svoltare' – come diciamo noi in gergo- a HuiNeng, che gli fece cambiare vita, che apportò quella rivoluzione in Hui Neng e, naturalmente, Huineng fu poi un rivoluzionario del buddismo di quel tempo. Il buddismo del quinto Patriarca eraancora un buddismo basato sulla meditazione lenta così come era stato insegnato da Bodhidharmache era stato seduto per nove anni nella caverna, di fronte al muro, Hui Neng è quello che enunciail Ch'an della illuminazione improvvisa. Tutti i tuoi pensieri dovrebbero basarsi su nessuna cosa. Devi pensare senza basarti sulla forma esenza basarti sul suono, sull’odore, sul sapore, sul tatto e sulla qualità. Se un pensiero è basato sulnulla è chiamato senza base. Per questo il Buddha insegna che un Bodhisattva non deve compierela carità basandosi sulla forma, ma per il beneficio di tutti gli esseri. “Subhuti, se buoni uomini ebuone donne nei tempi a venire capiranno il significato di questo sutra e lo reciteranno, sarannovisti e riconosciuti dal Tathagata grazie alla sua conoscenza di Buddha, e il loro merito saràimmenso e senza pari". È molto importante che in questi sutra, a differenza di quanto poinormalmente avviene nel mondo della religione o nel mondo del potere filosofico, religioso ecomunque potere generale che è naturalmente degli uomini, il Buddha in questo sutra, comeavviene anche nel Vimalakirti-sutra, dica: "Se buoni uomini o buone donne". Non c’è unaseparazione, gli esseri umani sono visti nella loro globalità. Beh, qualcuno potrebbe obiettare chepoi ci sono state delle successive ramificazioni, ma insomma! i sutra poi non sono stati scritti sulle

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testuali parole del Buddha, ma sono successivi alla sua morte. Comunque, mi pare importante cheal Buddha vengano messe in bocca, a quel tempo, queste parole: "Se buoni uomini o buonedonne" senza alcuna differenziazione. Cosi come quando Hui Neng andò dal Quinto Patriarca ilquale gli disse: "Come può un uomo del Sud venire a praticare il ch’an?” e Hui Neng gli rispose:"Per quanto riguarda la natura di Buddha, non esiste né sud, né nord, perché tutti gli esseri neiconfronti della natura di Buddha sono uguali” e tutti gli esseri, se sono uguali nei confronti dellanatura di Buddha che è la cosa più importante che ci sia, tanto più lo sono nei confronti di tutte lealtre cose che esistono al mondo.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 Agosto 1988

Forse per quanto riguarda gli amici e i parenti di quelli che già frequentano Scaramuccia da qualchetempo, il fatto di dire loro che si va per una settimana di agosto a meditare non suscita piùdomande anche se in qualcuno di loro probabilmente rimane qualche perplessità e sono forse lestesse perplessità o gli stessi risolini che noi abbiamo fatto nel vedere le vecchiette che tutte lemattine vanno a messa che partecipano alle novene, o che vanno a seguire la processione.Certamente, da parte di queste persone anziane, c’è una paura del futuro, visto che sentonodiminuire a poco a poco le proprie forze e naturalmente, la ricerca di una sicurezza per affrontarequesto mostro, per loro chiamato morte che si avvicina sempre di più. Ma ognuno, ognuno a suomodo - chi va a praticare nel monastero zen, o ch'an o tibetano - come anche la vecchietta che traqueste sicuramente ce ne sarà qualcuna animata dallo stesso spirito che anima il praticante dich'an, ognuno di questi è alla ricerca non tanto della non paura di morire, quanto della capacità divivere bene con se stessi. Che poi se si è vicini alla morte questa possa essere accolta serenamenteè una conseguenza ma soprattutto, è la capacità di trovare non al di fuori di sè stessi, ma trovare insè stessi il distacco da tutte le altre cose, quel distacco che ci fa superare la difficoltà di andarci arinchiudere dentro una chiesa - ormai aborrita da tutti – e starsene lì tranquillamente a meditare amodo nostro, a modo loro anzi senza essere più attaccati a niente. Noi non siamo nell'età in cuicosì avanti negli anni ci si stacca da tutte le cose, anche se ad alcuni questo dono della vecchiaianon arriva mai. Dobbiamo riuscire a staccarci da tutte le cose, così come chiaramente il Buddhadice a Subhuti, nella nostra maturità, nel momento in cui siamo più forti, nel momento in cui gliattaccamenti del nostro corpo e della nostra mente sono più possenti, attaccati alla terra, attaccatiai sensi, attaccati alle persone, attaccati al potere, attaccati alla curiosità, attaccati a tutto quelloche riusciamo a suscitare in noi. Questo attaccamento mette paura dell'avvenire e,conseguentemente, anche della morte.Lo recitiamo tutte le mattine, e forse non ci soffermiamo abbastanza su questo secondo grandevoto: "Per salvare tutti gli esseri; per eliminare tutte le brame, tutti gli attaccamenti". I quattro votisono interconnessi, non si sa bene qual'è il primo dal quale procedono poi gli altri, comunque: "Pereliminare tutte le brame".Se non c’è questo sforzo e se non c’è la volontà di farlo, non scaturisce neanche la capacità diessere così distaccati da poter camminare sulle nuvole del mondo a nostro piacimento.

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ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 9 Agosto 1988

Stare a gambe incrociate seduti, è una delle quattro posizioni principali degli esseri umani insiemeallo stare in piedi, al camminare ed essere sdraiati. Questa racchiude in sé sia l'immobilità dellostare sdraiati come la dinamicità dello stare in piedi. Siamo con la mente sveglia e, allo stessotempo, stiamo in una condizione di riposo. Però, prima che si realizzino le due condizioni, ci vuoleallenamento, pratica, e questo richiede tempo. Anche se abbiamo delle gambe sciolte che cipermettono di rimanere seduti in maniera corretta immediatamente, non significa che la nostramente sia subito in una condizione di riposo attivo. Per quanto riguarda la posizione fisica siapprende un po’ per volta; si arriva al momento in cui, sedendoci sul nostro cuscino ci sentiamobene, ci sentiamo nella nostra posizione, ci sentiamo ritornare a casa. Dopo un lungo viaggio cisediamo e sentiamo che non ci sono più problemi, siamo arrivati. Si, poi ci saranno i problemi dicasa, ma almeno abbiamo finito quel viaggio da una terra lontana, attraverso tanti pericoli, tantedifficoltà, ed ora siamo seduti a gambe incrociate sul nostro cuscino, tranquilli. Questa è unacondizione alla quale dobbiamo mirare e naturalmente cercare di ottenere appena possibile. E poi,quando siamo seduti in maniera giusta e nello stesso tempo rilassata, che non ci siano tensioni nelnostro fisico, allora ma già prima, naturalmente - anche la nostra mente non deve avere tensioni eil respiro è, in maniera naturale, il mezzo che ci permette di far cadere tutto quello che di contrattoc’è in noi. Se ci lasciamo andare al nostro respiro, mantenendolo presente, sia durante lameditazione che al di fuori di essa, sentiamo come tutte quelle cose alle quali davamo tantaimportanza, ne assumano una diversa e vediamo come questo ritmo intrinseco al nostroorganismo e collegato col ritmo di tutta la natura, riesca a farci stare bene anche mentalmente. Lecose da fare durante zazen non sono tante: gambe incrociate, schiena diritta, osservare il respiro.Ma malgrado siano poche e fondamentalmente facili da eseguire, eppure, richiedono moltaapplicazione e sono fonte continua di scoperta. Più andiamo avanti più ci accorgiamo come ci siaqualche altra cosa dietro. Questo meccanicismo apparente che si immagina ci sia dietro laposizione, dietro lo stare seduti, e cioè un fisico seduto, una mente che osserva il respiro e ilrespiro.Sembra di osservare una macchina che va al minimo, il cui motore batte i colpi regolarmente. Unavolta che l'abbiamo osservata non ci aspettiamo niente dalla meditazione; pur non stando in unacondizione di attesa, ci accorgiamo che non è tutto lì, c'è altro. Ecco! In attesa che venga quest'altro, che poi ognuno di noi si realizza po’ per volta, e viene,dedichiamoci con attenzione alla posizione e all'attenzione al respiro.

IL SUTRA DEL DIAMANTEPARTE IV (pag. 34 – 36)_______________________________________

15. "Subhuti, immagina un buon uomo o una buona donna che nella prima parte dellagiornata sacrifichino il proprio corpo tante volte quante sono le sabbie del Gange, e che di nuovonella parte centrale della giornata lo sacrifichino tante volte quante sono le sabbie del Gange, eche ancora nella parte finale lo sacrifichino tante volte quante sono le sabbie del Gange, e checontinuino questi sacrifici per centinaia di migliaia di miriadi di koti di kalpa; se un altro uomo oun’altra donna ascolta questo sutra e lo accetta con il cuore pieno di fede, il suo merito sarebbemolto più grande di quello dell'uomo e della donna precedenti. E quanto ancora più grandesarebbe il merito di chi lo copia, lo capisce, lo impara, lo recita e lo spiega agli altri!

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"Quindi, Subhuti, la virtù di questo sutra è immensa, incalcolabile e incomprensibile: il Tathagata loha predicato per chi è stato risvegliato nel Mahayana (grande veicolo) e nello Sreshthayana (veicolosupremo). Tutti coloro che capiranno, impareranno ed esporranno agli altri questo sutra, sarannoriconosciuti dal Tathagata e saranno a lui noti, e il loro merito sarà immenso, incalcolabile eincomprensibile. Questi esseri hanno in sé la suprema illuminazione raggiunta dal Tathagata.Infatti, Subhuti, chi desidera una dottrina interiore è attaccato all'idea di un io, di una persona, diun essere, di un'anima. È incapace di ascoltare, capire, imparare, recitare ed esporre agli altriquesto sutra. Dovunque questo sutra verrà conservato, tutti gli esseri, compresi i Deva e gli Asura,verranno ad adorarlo. Quel posto sarà un chaitya, un oggetto di adorazione e di ubbidienza, in cui idevoti si riuniranno, spargeranno fiori e bruceranno incensi.

16. ·"Inoltre, Subhuti, a causa del precedente karma cattivo qualche buon uomo e qualchebuona donna verrà disprezzato per aver capito il significato di questo sutra e per averlo recitato adaltri. Essi stavano per cadere nei sentieri del male; ma poiché in questa vita sono disprezzati, tuttoil karma cattivo accumulato nelle vite precedenti sarà distrutto e riusciranno a raggiungere lasuprema illuminazione."Subhuti, ricordo che nelle mie vite precedenti, innumerevoli asamkhyeya kalpata, ero insieme alDipankara Buddha, e vidi ottantaquattro centinaia di migliaia di miriadi di nayuta di Buddha; resiloro offerta e li servii con rispetto, senza alcuna eccezione. "Se negli ultimi cinquecento anni ci sonostate persone che, capendo il significato di questo sutra, lo hanno recitato e imparato, il loromerito sarà incalcolabile, perché paragonandolo a quello che ottenni rendendo servizio a tutti iBuddha, quest'ultimo non sarebbe pari alla centesima parte di quello, anzi neanche a uncentomillesimo della duemilionesima parte. In realtà sarebbe al di là di ogni calcolo e di ogniparagone."Subhuti, non inizio nemmeno a parlare del merito di chi, avendo capito il significato di questosutra, nei prossimi cinquecento anni lo reciterà e lo imparerà. Se lo facessi, chi mi ascolta noncapirebbe, e avrebbe gravi dubbi su quel che direi, non credendo quanto al di là dellacomprensione sarebbe il significato di questo sutra e quanto al di là della comprensione sarebbe laricompensa".

I8. Il Buddha disse a Subhuti: "Di tutti gli esseri di queste innumerevoli terre, il Tathagataconosce bene le caratteristiche mentali. Il Tathagata insegna infatti che le caratteristiche sono non-caratteristiche e che proprio per questo sono considerate caratteristiche. Subhuti, i pensieri delpassato sono al di là della comprensione, e i pensieri del futuro sono al di là della comprensione, ei pensieri del presente sono al di là della comprensione".

23. "Inoltre, Subhuti, questo Dharma è uniforme e non conosce altezza né profondità; ed èchiamato suprema illuminazione. Un uomo, praticando tutto ciò che è buono senza avere l'idea diun io, di una persona, di un essere e di un’anima, raggiunge la suprema illuminazione.Subhuti; ciò che è buono è non-buono, e proprio per questo è considerato buono".

26. "Subhuti, credi che un uomo possa riconoscere il Tathagata attraverso i trentadue segnidi un grande uomo?";Subhuti disse: "È cosi, è cosi. Il Tathagata è riconosciuto attraverso i trentadue segni".Il Buddha disse a Subhuti: "Se il Tathagata può essere riconosciuto attraverso i trentadue segni, puòil Cakravartin essere un Tathagata?".Subhuti disse al Buddha: "per come io capisco l'insegnamento del Buddha, il Tathagata non puòessere riconosciuto attraverso i trentadue segni".Allora il Venerato recitò questo gatha:

"Chi mi riconosce attraverso la formaE mi cerca attraverso la voce,

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Cammina sul falso sentieroE non potrà mai vedere il Tathagata”.

29. "Subhuti, se un uomo dicesse che il Tathagata è colui che viene, che va, che si siede oche si sdraia, non capirebbe il significato del mio insegnamento. Infatti il Tathagata non viene daalcun luogo e non va in alcun luogo; e proprio per questo si chiama Tathagata".

32. "Come fa un uomo ad esporre tutto ciò agli altri? Quando non si è attaccati alla forma,tutto è immobile ed è ciò che è. Infatti, "Tutte le cose composte (samskrita) sono come un sogno,un fantasma, una chimera, un'ombra, Sono come una goccia di rugiada e un lampo di luce:Così dovrebbero essere considerate".

TEISHO 9 Agosto 1988

Anche se la parte di ieri si può considerare, con la poca aggiunta di oggi, la conclusione di questosutra il quale poi dal punto diciotto si ripete, anche se cè un'aggiunta molto importante, quello dioggi ha due punti salienti molto importanti. Un punto e inoltre un terzo punto nel quale comesempre succede - lo abbiamo visto nel sutra di Hui Neng, lo abbiamo visto anche nel Vimalakirtisutra e poi si vedrà ancora in tutte le cose che si faranno successivamente - c’è sempre qualcunoche si dimostra impreparato così come Subhuti che dice che il Tathagata si riconosce da trentaduesegni, e il Buddha gli dice: "Allora anche il Cakravartin è un Tathagata?". E Subhuti risponde: "No,no, per come io capisco l'insegnamento del Buddha, il Tathagata non può essere riconosciutoattraverso i trentadue segni" e in questo modo Subhuti si riprende. Però commette un erroregravissimo, gravissimo perché da un bodhisattva come Subhuti non ci sarebbe stato daaspettarselo. I due punti importanti sono quello in cui il Buddha dice: "Subhuti, i pensieri delpassato sono al di là della comprensione, i pensieri del presente sono al di là della comprensione, ei pensieri del futuro sono al di là della comprensione", e poi alla fine, il poema con il quale ilBuddha chiude il sutra: "Tutte le cose composte sono come un sogno, un fantasma, una chimera,un'ombra, sono come una goccia di rugiada e un lampo di luce: così dovrebbero essere considerate" Questo si riallaccia a quello che dice il Buddha precedentemente: "Tutto ciò che è buono è non-buono e - proprio per questo è considerato buono", e cosi: "Il mondo è non-mondo e proprio perquesto è chiamato mondo". Questo punto del "Il pensiero del passato, del presente e del futurosono al di là della comprensione" è un'altra occasione, perché un grande maestro del ch'an cineseproprio dei tempi di Lin-Chi, dei tempi di Joshu, venga messo in crisi da una vecchietta.Le donne nel ch'an ci sono raramente, però abbiamo visto come nel Vimalakirti sutra la donna chec'era ha messo in crisi Sariputra. Cosi abbiamo una vecchietta che a Tokusan - un monaco che eraun conoscitore profondo del sutra del Diamante - un giorno che andava in giro con nello zainomessi tutti i suoi commenti sul sutra, si ferma in un posto di ristoro dove i monaci ricevononormalmente gratuitamente un rinfresco della mente che, se non ricordo male in giapponese - maviene però dal cinese - si dice 'Teshin”. Tokusan chiede alla vecchietta questo 'Teshin' e la vecchiettagli dice: "Cosa hai sulle spalle?". Si era già accorta da come questo Tokusan camminava e da comeparlava, della sua sicurezza, della sua alterigia, del suo orgoglio di essere uno che conosceva il sutradel Diamante, mentre gli altri, chi lo conosceva? Erano pochi.Allora Tokusan risponde: " Questi sono i miei commenti del sutra del Diamante". "Ah" dice lavecchietta, "io il rinfresco della mente te lo do, però mi dovresti dire a quale mente tu ti riferisci" egli cita esattamente questo pezzo qui. Qua viene tradotto 'i pensieri’, però si può tradurre anche

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‘mente' 'Per cui noi possiamo tradurre: "la mente del passato è al di là della comprensione, lamente del presente è al di là della comprensione e la mente del futuro al di là della comprensione"Allora la vecchietta gli dice: "Questo rinfresco della mente che chiedi lo chiedi per la mente delpassato, del presente, o del futuro?".Tokusan va in crisi. La vecchietta probabilmente il rinfresco della mente glielo dà ugualmente, peròlui chiede: "Ma non c’è da queste parti un maestro di ch'an?". Allora la vecchietta lo manda da unmaestro di ch'an e successivamente Tokusan diventa un grande maestro (poi lo vedremo perché dadomani cominceremo a commentare qualche altra cosa nella quale ci sarà anche Tokusan). Ecco,questa parte l'ho voluta ricordare perché mi pare molto importante e ritornerà forse spesso.Allora: "La mente del passato, la mente del presente e la mente del futuro sono al di là dellacomprensione". Poi il Buddha dice a Subhuti: "Di tutti gli esseri di queste innumerevoli terre, il Tathagata conoscebene le caratteristiche mentali. Il Tathagata insegna infatti che le caratteristiche sono non-caratteristiche" (naturalmente mentali). E poi riprende: "La mente del passato è al di là dellacomprensione, etc.".Per cui possiamo dire: "Le caratteristiche mentali del passato sono al di là della comprensione, lecaratteristiche mentali del presente sono al di là della comprensione, le caratteristiche mentali delfuturo sono al di là della comprensione". Il Tathagata, invece, questa comprensione ce l'ha.Proseguendo: "Inoltre, Subhuti, questo Dharma è uniforme e non conosce altezza né profondità;ed è chiamato suprema illuminazione. Un uomo" e qui si dimentica delle donne, "praticando tuttociò che è buono senza avere l'idea di un io, di una persona, di un essere e di un'anima, raggiunge lasuprema illuminazione" (raggiunta la suprema illuminazione, comprende)."Come fa un uomo a esporre tutto ciò agli altri? Quando non si è attaccati alla forma, tutto èimmobile ed è ciò che è. Infatti, tutte le cose composte sono come un sogno, un fantasma, unachimera, un'ombra, sono come una goccia di rugiada un lampo di luce: così dovrebbero essereconsiderate". E ancor prima il Buddha dice: " Subhuti, non inizio nemmeno a parlare del merito dichi, avendo capito il significato di questo sutra, nei prossimi cinquecento anni lo reciterà e loimparerà. Se lo facessi, chi mi ascolta non capirebbe, e avrebbe gravi dubbi su quello che direi, noncredendo quanto al di là della comprensione sarebbe il significato e la ricompensa". Proprio l'altro giorno ho incontrato delle persone e una di queste persone, non so bene a propositodi che cosa, mi ha detto qualche cosa del Giappone perché aveva letto da qualche parte e a me èvenuto di dirgli che del Giappone non se ne può parlare - se ne può parlare, certo, mica è proibito -però se ne parla e si cerca di capirlo con delle categorie mentali che non sono quelle deigiapponesi, per cui noi abbiamo un modo di pensare e di porci di fronte alle cose che è diverso daquello dei giapponesi: su questo non c'è proprio niente da fare. Per cui, se noi giudichiamosecondo il nostro metodo di giudizio, ovviamente non arriviamo a segno. E questo, naturalmente inpiccolo quello che dico io, ma ovviamente il Buddha ha un modo di essere molto più ampio e inriguardo a una cosa particolare così, noi purtroppo per educazione, per abitudine, siamo abituati agiudicare per categorie. Per abitudini mentali perché ci vengono dal nostro lavoro, dalla nostraeducazione, dal nostro paese - sia esso un paese come l'Italia perché siamo italiani - oppure dallanostra città, dalle nostre convinzioni, dalla nostra religione, e naturalmente pensiamo che tutti glialtri siano abituati a pensare e a giudicare in quel modo li e invece non è assolutamente così. Eallora il Buddha qui dice: "Se io provassi a spiegare, chi mi ascolta non capirebbe e avrebbe gravidubbi su quel che direi, non crederebbe quanto al di là della comprensione sarebbe laricompensa". Ci sono certe volte che ci scontriamo, quando vogliamo far capire qualcosa agli altri, perché citroviamo a parlare una lingua completamente diversa da quella che gli altri sono abituati adascoltare, una lingua naturalmente come comprensione. Tanto più il Buddha il quale certe volte,

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come si vede nel sutra di Magandio, in cui dice: "Se io mi devo sforzare per cercare di guarire…Diciamo che ci sia un cieco nato, allora i parenti lo portano da un medico e questo medico fatica,fatica e fatica per dargli le medicine e poi quello non guarisce. Tu, Magandio, vuoi venire da me e tiaspetti che io ti insegni qualche cosa. Io ti insegno, ti insegno, e poi tu alla fine non capisci. Io hofatto una fatica che non finisce mai e perché? Per niente". Questo è un modo di parlare di unBuddha Theravada, il Buddha mahayana già parla in una maniera diversa. Comunque, ci troviamospesso di fronte all'incapacità di comunicare, di dire delle cose agli altri e che gli altri ci capiscano,oppure ovviamente, succede la stessa cosa che gli altri ci dicano qualcosa e che noi non siamo ingrado di capire. Se noi ci accorgiamo di questo dobbiamo cercare di metterci al livello degli altri, iquali altri possono essere a un livello più alto o più basso del nostro. Abbassarsi certe volte è piùsemplice, alzarsi richiede - in senso culturale possiamo dire - una fatica maggiore. Però, questo è losforzo che dobbiamo fare in continuazione se vogliamo comunicare. Il Buddha, naturalmente, se èarrivato fino a noi questo sutra, vuol dire che la voglia di comunicare ce l'aveva perché altrimentinoi tutti quanti non saremmo qui. È anche una fortuna che si sia preso la pena e la briga di sforzarsiper farci capire qualche cosa malgrado spesso noi ci comportiamo come dei testoni che noncapiscono niente.... Mah!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 9 Agosto 1988

È di pochi giorni fa la notizia che una signora ricca e famosa è scampata a un sequestro di personanella sua villa di Porto Rotondo in Sardegna, un luogo in cui i vip usano trascorrere le proprievacanze al riparo da qualunque pericolo. Invece sembra che qualcuno l'abbiano già rapito, e questavolta non ci sono riusciti per poco. Il titolo del giornale poi dava che la signora è ritornata a vitamondana. Che significa che è ritornata a vita mondana? Perché, prima faceva una vita monacaleforse?Di questi tempi il problema dei sequestri compare spesso sui giornali perché un bambino che èstato a lungo nelle mani dei sequestratori è stato rilasciato e contemporaneamente in Calabriasono state rapite altre persone, e allora migliaia di agenti di polizia, carabinieri, finanza, forestali,etc. etc., circa tremilacinquecento persone stanno battendo le montagne dell'Aspromonte allaricerca dei covi di questi sequestratori. Un giornalista che è andato a intervistare gli abitanti diquesti paesi vicini al luogo del sequestro, ha raccolto le affermazioni di molti di questi abitanti iquali dicono: "Ma se sono ricchi e se sono grandi e possono pagare, che c’è di male?". Quandoquesti signori hanno, e continuano a tenere sotto sequestro migliaia ed anche milioni di personeper mantenersi alla vita mondana, penso che venga voglia di dire: "In fondo, con tutti quelli chehanno sequestrato loro attraverso le età, da quando sono signori, se adesso qualcuno sequestraloro per un po' di giorni o di mesi, non credo che ci sia tanto di male!". Fare un po' di vita monacalenon è che gli faccia male. Tra l'altro, possono fare un po' di digiuno gratis, invece di andarlo apagare duecentomila lire al giorno nelle loro cliniche speciali.Quando Siddharta si presenta dal suo datore di lavoro e quello gli chiede che cosa sa fare, moltosemplicemente gli risponde: "So pensare, so digiunare, so aspettare". Bisogna, come dice anche ilBuddha a Subhuti, sviluppare una mente che non abbia alcuna cosa su cui appoggiarsi, una mentecosi immateriale, così libera da qualsiasi condizionamento, che non possa essere sequestrata danessuno. Non basta saper pensare, digiunare e aspettare. Bisogna essere capaci di non lasciarsisequestrare e di banditi più o meno camuffati che cercano di sequestrarci il corpo e la mente,agendo anche sui nostri sentimenti chissà su quali leve, ce ne sono tantissimi. Per cui, aggiungere

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alle tre qualità di Siddharta anche: "So non farmi sequestrare" è la condizione del praticante,monacale o mondana che sia - mondana nel senso di chi vive tutti i giorni nel mondo è quella,appunto, di sviluppare ripetendo quello che ha detto il Buddha a Subhuti - una capacità di essereinafferrabile, di avere una mente che non si fa catturare da alcuna cosa. Ecco, cerchiamo disviluppare questa mente anche se noi non abbiamo interesse ad andare nelle ville di PortoRotondo.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 10 Agosto 1988

La poesia che fu scritta due anni fa, di questa sesshin di agosto, aveva come tema le luci chebrillano giù nella valle, quasi a voler dire che pur essendo isolati quassù in cima, dalla valle arrivanosegnali così come questo rumore di fondo dell'autostrada, del traffico che sentiamo rombare quasia ricordarci che il mondo c’è, è vicino e non ci lascia.Ancora di più di questo rumore dell'autostrada è il rumore della nostra mente. Potremmo anchemetterci in una cabina pressurizzata completamente isolati da tutto il mondo, eppure la nostramente continuerebbe a mandare un rumore di fondo dal quale è molto difficile riuscire a separarsi.Se noi volessimo lottare contro il rumore dell'autostrada, dovremmo fare uno sforzo titanico e poiavremmo da lottare ancora contro il rumore degli aerei, quello dei grilli, delle cicale, del vento, ecosi via. Se noi riusciamo a fare il silenzio dentro di noi i rumori che vengono dall'esterno diventanoinesistenti e, ancora di più importante, diventano inesistenti anche i rumori che vengonodall'interno, quelli che possiamo chiamare rumori e che disturbano in continuazione la parte di noistessi che vorrebbe ascoltare una musica diversa. Il momento in cui siamo capaci di fermare questirumori, allora il suono puro, pulito della natura, della nostra reale natura come appunto della realenatura che ci circonda e di cui noi siamo parte, viene fuori e suona la sua musica in manieracomprensibile e saremo capaci di ascoltarla, di seguirla, di farla nostra anche nel mezzo del piùfragoroso disturbo. L'inizio di questa comprensione viene dal respiro; stiamo sul respiro,diventiamo uno con il respiro, diventiamo il respiro stesso e allora si calma il rumore esterno, sicalma il rumore interno. Ogni giorno trascorriamo diverse ore seduti in meditazione. Se noi letrascorressimo perdendo tempo ad ascoltare i rumori che vengono da fuori o da dentro, lo scopoper il quale siamo venuti qui si perderebbe completamente. Questi rumori esterni ed interni sonomolto forti e tirano molto, ma penso che valga la pena di opporsi a loro per fare venire fuori unsuono diverso.

MUMONKANPREFAZIONE DI SHUAN___________________

“Mumon” si può spiegare come: “tutti possono entrare liberamente”.“Unmon” significa che c'è un cancello e allora non si doveva scegliere quel titolo. Nel caso N° 1alcune note sono aggiunte: ’un cappello su un altro cappello'. Il vecchio Shu è stato praticamenteforzato per scrivere questa complimentosa prefazione. È stato come strizzare la linfa da un bambùsecco per produrre un libro per bambini. Non lo usate, non lo usate, perché esso sarà ancoraun'altra goccia nel grande lago. Neanche Usui dalle mille leghe potrebbe afferrare le parole.

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TEISHO 10 Agosto 1988

Il Mumonkan, o Wu-Men-Kwan, secondo la dizione cinese, è una raccolta di quarantotto koan piùun quarantanovesimo aggiunto alla fine, raccolti e ordinati da Mumon Ekai, un maestro vissutointorno a quegli anni e di cui parleremo successivamente, il quale ad ogni koan ha fatto uncommento e in più una poesia (o poema). È un testo classico, forse il più conosciuto della scuolaLin-Chi in generale e naturalmente, per quanto riguarda il Giappone, nella scuola Rinzai i maestrizen giapponesi tutti quanti sicuramente durante l'arco della loro vita fanno più di una volta ilcommento di questo testo, o all'interno del proprio monastero oppure in altri luoghi presso i qualisi recano ad insegnare. Io ho avuto occasione di ascoltare dei teisho sul Mumonkan da MumonRoshi, anche se nel tempo che io ero a Shofuku-ji il testo sul quale Mumon Roshi teneva i teishoera l'Ekigan-roku, la "Raccolta della Roccia Blu", un testo che raccoglie cento koan con duecommenti, per cui ha richiesto al maestro circa dieci anni di teisho per poterlo finire tutto.Il Mumonkan invece è un testo più agile, in qualche modo più comprensibile, a differenzadell'Hekigan-roku che per la sua lettura e per la sua comprensione richiede una maggior esperienzanel campo del ch'an.Il Mumonkan ha dei koan intorno ai quali alcuni di voi banno già praticato e senz'altro il sentirneparlare risulterà come un ritrovarsi in un ambiente conosciuto.Quello di cui ci occupiamo questa sera è la prefazione di Shuan.Anche nella Cina del 1228 i maestri di quel tempo, come gli scrittori di questo tempo, sipreoccupavano che qualcuno scrivesse una prefazione ai propri libri. Shuan lo fa in una manierach'an; naturalmente, in una maniera molto particolare che è quella di dare la sensazione didisprezzare ciò che va presentando, ma chi sa, sa anche che questo dimostra un grande rispetto eun grande apprezzamento per quello che è stato scritto da Mumon. Se la prende inizialmente con iltitolo perché Mumon dice: "Si può spiegare che tutti possono entrare liberamente in quanto nelMu-mon-kan ‘u’ significa ‘non’, ‘mon' cancello e 'kan' barriera, per cui: 'Il cancello senza barriera’.Se un cancello non ha una barriera vuol dire che non ha un qualche cosa che lo fermi e unabarriera che non ha un cancello, ovviamente non è una barriera o non è un cancello. Per cui dice:"Si può spiegare che tutti possono entrare liberamente in quanto è aperto". In U-mon ‘u’ sta invece per l'affermazione esserci, significa che c'è cancello e allora non sidovrebbe scegliere il titolo che il maestro ha scelto. Nel caso numero uno e in quelli successivi,alcune note sono aggiunte: 'il cappello su un altro cappello', cioè: il caso di per sé è già sufficienteper parlare. Mumon ha dato un commento di questo caso, non una spiegazione, e secondo Shuanè come se uno che ha un cappello – che tra l'altro già non gli serve - se ne mettesse un altro."Il vecchio Shu è stato praticamente forzato per scrivere questa complimentosa prefazione"naturalmente non è questo il caso perché il vecchio Shu, malgrado fosse un laico che ha vissuto lavita civile a lungo e si sia poi ritirato a coltivare i suoi giardini e sia stato un esperto di giardinaggio,era un compositore del ch'an e naturalmente Mumon non si sarebbe fatto scrivere la prefazionedal primo arrivato. L'ha chiesto o forse c'è stato uno scambio reciproco; forse nel sapere cheMumon scriveva quello, parlando o bevendo un tè, Shuan ha detto: "Mah! ci si potrebbe scriverequalcosa prima" e così via. Queste cose non si sa bene come vanno, ma certamente qui Shuan fa ilmodesto dicendo che lui non l'avrebbe mai scritta però è stato costretto e allora naturalmente,essendo stato costretto, doveva scrivere una prefazione complimentosa che invece complimentosanon è affatto. Infatti, prima dice che Mumon si è messo a scrivere i commenti dove non ce n'erabisogno, poi si mette a discriminare sul titolo: Mumon significa questo, Mumon significa quell'altro,e allora perché ha dato questo titolo invece che quell'altro? e così via.

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Poi dice: "Scrivere questo libro è stato come strizzare la linfa da un bambù secco", e naturalmentepenso che di linfa ne possa venire nulla, "per produrre un libro per bambini". Ha strizzato tanto ilsuo cervello, che Shuan paragona a un bambù secco dal quale non può uscire niente, e scrive unlibro per l'infanzia, così come scherzosamente ma con tanto rispetto, Shuan giudica questo libro diMumon."Non lo usate, non lo usate" avverte i lettori,"perché esso sarà come un'altra goccia nel grandelago", per cui non apporterà niente. Il lago è talmente grande, è talmente vasto, è talmente pienod'acqua e questa goccia non gli darà assolutamente nessun apporto, per cui non perdete tempo adusarlo. "Neanche Usui" che è un cavallo che andava velocissimo, che fa parte delle leggende cinesi,"potrebbe afferrare le parole". Malgrado sia tanto veloce, non riuscirebbe ad afferrare le parole!E infine Shuan scrive la data di questa prefazione.Cominciamo ad entrare in un linguaggio che troveremo spesso nell'andare avanti a leggere iquarantotto casi del Mumonkan, un modo di parlare mi ricordo bene quando il mio maestroMumon parlando del linguaggio zen e in particolare di un caso, comunque era qualcosa che avevaa che fare con una cosa appariscente, e diceva: "Com'è che la pioggia non è bagnata?" o qualcosadel genere. La pioggia è bagnata, lo sappiamo tutti ma naturalmente dire che la pioggia è bagnataè una constatazione che fa parte del linguaggio corrente di tutti quanti. Un maestro zen, se vuolescuotere il suo discepolo o comunque chi lo sta ascoltando in una posizione qualsivoglia, devescuoterlo senz'altro in questa maniera farlo fermare un momento a pensare "Ma se quello dice chela pioggia non è bagnata, o è pazzo o è un fondo di verità. Pazzo non mi sembra, ci può essere unfondo di verità?". E questo naturalmente lo fa fermare a pensare a cercare di scardinare tuttequelle certezze con le quali è vissuto e convissuto, tanto da portarlo - se possibile - a farel'illuminazione. L’ illuminazione dei maestri ch'an del passato, di quelli di cui noi abbiamo notizia, èavvenuta spesso quando qualcuno ha detto qualcosa di strano così ma comunque è avvenutaanche quando qualcuno ha detto che la pioggia è bagnata. C'è una frase molto nota che ricorrespesso "Il fiore è rosso e il salice è verde" e questo viene ripetuto spesso dai maestri: l'evidenza,l'apparenza evidente! Per cui, abituiamoci da questo momento ad avere dai maestri cheincontreremo man mano delle solenni schiaffeggiate a parole, sia per quanto riguarda i casi e sianel commento di Mumon.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 11 Agosto 1988

Arrivati a metà della sesshin è d’obbligo esortare maggiormente i praticanti per continuare lapropria applicazione e non lasciare che ormai che il più è fatto si addormenti la propria attenzione.Potrei citare molti casi di famosi scalatori i quali, arrivati in cima a una montagna da una via moltodifficile, poi in discesa hanno avuto incidenti e spesso sono morti. Ormai possiamo considerare diessere in discesa, abbiamo raggiunto l'apice della settimana ed ora tutto quanto si fa più semplice.I timori che avevamo all'inizio, le preoccupazioni, la poca conoscenza o il poco ricordo delle regoleormai è superato, ci siamo abituati a stare seduti, ci siamo abituati ad alzarci alle cinque, ci siamoabituati a stare fuori la sera, anche ai moschini, anche a camminare nel caldo e a lavorare, ci siamoabituati a tutto e ci sembra che ormai il più sia fatto. No! da quanto posso vedere non è affatto ilpiù quello che è stato fatto. Ci siamo scavati la nostra nicchia, ci siamo conquistato il nostroterritorio, tutto qua; Cosi come ognuno si è scavato il proprio territorio e rispetta quello degli altri,anche noi lo abbiamo fatto.

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In una lettera che ho scritto in risposta ad un allievo che mi diceva delle sue difficoltà nelcontinuare la pratica dopo che ha avuto una nascita, nell'esortarlo a trattare male i figli, conamore, e a farli soffrire, concludevo dicendo che l'egoismo ce l'abbiamo dalla nascita. È unamalattia esantematica che si prende subito e che se si vive in una famiglia numerosa, visto che nonè infettiva ma è proprio il contrario, allora si riesce a prendere di meno e si riesce a superare conpiù facilità. Ma se come avviene ormai normalmente si è figli unici, allora i genitori devono sforzarsidi farli guarire presto e non utilizzare il metodo omeopatico che porta la malattia a sfogare da séaumentando la sua forza. No, anzi è tutto il contrario! Bisogna in questo caso e forse solo in questocaso, usare gli antibiotici più potenti. Ed è una malattia dalla quale, se non si prende subito, non siguarisce più. Dopo ce ne saranno di 'elogi' che dovranno capire come è nata. Non c'è niente dacapire, nasce da sé, ci nasciamo tutti. Così come tutti prendiamo il morbillo, alla nascita prendiamotutti questa malattia chiamata egoismo e c’è chi se la porta dietro per tutta la vita e magari pensache possa guarire partecipando alle marce per la pace od occupandosi di smantellare le centralinucleari. No, questo è peggio che mettere un cappello sopra l'altro, come diceva Shuan. Dobbiamostare attenti, dobbiamo stare molto attenti perché ormai, non essendo bambini appena nati la curache dobbiamo fare per strappare da noi l'egoismo è molto più sofisticata, è molto più difficile e lasua metastasi si ripresenta sempre sotto forme diverse. Quando pensiamo di averla estirpata cisalta fuori da un'altra parte. Purtroppo, osservando i comportamenti generali del monastero sivede che c'è un po' questa indifferenza nei confronti degli altri. In Giappone si dice: "La sesshin,così come le pietre strofinandosi l'una con l'altra diventano più brillanti, serve per strofinarsi gli unicontro gli altri ed eliminare tutte le nostre asperità e diventare più lucidi e più rotondi." Tenetelo amente: gli altri sono esattamente importanti quanto lo siamo noi, anzi, se riuscissimo a renderli piùimportanti, saremmo per un pezzo avanti sulla strada giusta.

MUMONKANPREFAZIONE DI MUMON_____________________

"La mente del Buddha è la base senza cancello, è il cancello del Dharma. Se esso è senza cancello,come si può passare attraverso? Non avete sentito che niente di quello che entra per mezzo delcancello può essere un tesoro per quanto tutto quello che viene guadagnato così appartienesempre alla causa e ha un effetto. Queste chiacchiere serviranno a tirare su delle onde dove nonc'è vento o a fare una ferita nella pelle sana.Ancora più stupido è attaccarsi alle parole e alle frasi e così pensare di avere ottenuto lacomprensione. È come provare a colpire la luna con un bastone oppure grattarsi la scarpa perchéc'è qualcosa che ci rode nel piede. Non ha niente a che fare con la Verità.Nell'estate del primo anno di Jotei, nel 1228, io Ekai, ero il capo dei monaci a Ryusho in Toka. Inmolti mi pregarono per istruzioni. Alla fine io presi i koan dei vecchi maestri e li usai come deimattoni per battere al cancello e guidare i monaci in accordo con le loro capacità e i loro caratteri.Io ho annotato questi koan ed essi sono diventati una collezione. Ce ne sono quarantotto che io hoarrangiato in un ordine qualsiasi e ho chiamato la collezione "Il Mumonkan", o "Il cancello senzabarriera". Se una persona è coraggiosa si butterà direttamente senza preoccupazione per ilpericolo. Nata dalle otto braccia potrebbe provare a fermarla, ma invano. Anche i ventottoPatriarchi dell'India e i sei Patriarchi della Cina si inchinerebbero alla sua bravura e pregherebbero

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per le proprie vite. Se invece esita, sarà come un uomo che guarda un cavallo al galoppo passarealla finestra: in un batter d'occhio è già andato.Il poema:Senza cancello è la Grande ViaCi sono migliaia di vie che portano ad essaSe tu passi attraverso la barrieraPuoi camminare liberamente nell'universo.

TEISHO 11 agosto 1988

È una traduzione diretta dall'inglese. Pensavo di farla da un altro testo, non ho il testo in italianoperché non ne trovo nessuno buono. Anche questo qui, di cui è stata fatta la traduzione in italiano,secondo me, non è ottimale. Impegnarmi in una traduzione direttamente dal giapponese micomporterebbe troppa fatica e mi prenderebbe troppo tempo, per cui accontentiamoci di questache forse è quella più vicina al vero testo. Questa è sul testo di Shibayama Zenkei Roshi il quale poiha scritto i suoi commenti ai koan. Noi però i commenti di Shibayama Zenkei, malgrado siano moltointeressanti e importanti, non li consideriamo e andiamo avanti per conto nostro utilizzandosoltanto la parte del Mumonkan e senza commento. Il commento, a cominciare dal primo caso,sarà quello di Mumon il quale ad ogni koan farà un commento ed una poesia.Allora, questa è la sua prefazione. Abbiamo visto ieri la prefazione di Shuan, ora vediamo laprefazione di Mumon il quale, cosi come ha fatto Shuan e come farà spesso nei confronti deimaestri che saranno protagonisti dei koan della raccolta, si parla con un certo sfottimento.Sì è messo insieme tutto questo materiale però, in fondo, è una cosa che vale poco e che lui è statocostretto a fare perché alla fine si è trovato questo materiale già pronto e allora ha usato questikoan, li ha messi tutti insieme, li ha scritti giù e poi li ha pubblicati.Devo dire che questo modo di parlare di Mumon mi trova molto d'accordo, perché anch'ioappartengo alla categoria, forse come Mumon - non è che voglia innalzarmi al suo livello - macomunque di quelli che scrivono qualche cosa - se scrivono, se parlano e viene registrata - e poi laroba sta lì. Se poi un giorno ci sarà la voglia di volerla far leggere anche agli altri, se gli altri sonointeressati a leggerla, tanto meglio.Mumon da quanto dice qui, non appartiene alla categoria di quelli che scrivono per farsi leggere. Ilsuo dovere, in questa occasione, è quello di insegnare ai monaci che ci sono nel monastero. Percui, come dice chiaramente, usa i koan come se fossero dei mattoni che servono per battere a unaporta per farsi sentire, a un portone di quelli grandi, enormi, con quei patocchi di ferro cherimbombano dentro i castelli. Mettiamo che i patocchi non ci siano; uno raccoglie un sasso e lobatte perché con la mano non ce la farebbe e si farebbe male. Ecco che cosa sono i koan: bussanoe poi qualcuno arriva, apre la porta, si entra dentro e si entra in un altro mondo. Il mondo esternoè uno e il mondo interno – diciamo a questo castello, a questa casa o a qualunque altro posto incui entriamo- è un altro mondo dove noi vediamo altre cose, diverse da quelle che sono fuori.Ecco, per cui Mumon dice: "Siccome questi mattoni che ho usato sono serviti per guidare i monacisecondo le loro capacità e i loro caratteri, bene, li ho messi a disposizione tutti insieme e sequalcuno li vuole utilizzare, sono lì. Sono serviti a me, "Potrebbero servire a qualcun altro." È unmodo di parlare proprio classico buddista e, specialmente, anche ch'an. La roba c’è, sta qui. Sequalcuno la vuole se la prende, se nessuno la vuole, è lo stesso tanto, un libro non va a male, non èdella frutta o della roba da mangiare che può marcire ed allora è un peccato che nessuno la

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prenda. Questo è lo spirito che sostiene questo testo e, ripeto, è uno spirito che ci trova - almeno ame - molto vicino.Ora prendiamo un po’ in esame quello che dice. "Il buddismo fa della mente la sua base" alcunitraducono così. Qui viene tradotto: "La mente di Buddha è la base e senza cancello è il cancello delDharma". Diciamolo come vogliamo, comunque "la base è la mente". Ma quale mente?Qui viene scritto in lettere capitali: "Buddha mind". Quale mente è la base? Sentiamo qualche altropredicatore che dice: "L'amore è quello che muove il mondo". Si, va bene. Ma che amore è?L'amore per i soldi? perché la gente si innamora dei soldi! L'amore per le macchine? L'amore per ilsesso? L'amore per i figli? L'amore per gli sci? (perché c’è pure qualcuno che è innamorato dellosci). Quale amore muove il mondo? Allora ci dobbiamo mettere d'accordo su che cos’è. La mentedi cui si parla qui è la mente che - come abbiamo visto già nel sutra del Diamante, è la mente chenon ha alcunchè su cui poggiarsi per cui, anche se qua dice: "Il buddismo ha la mente come base"questa mente, che è la base del buddismo, in sè stessa non ha base. Ecco, questa mente è quellache è alla base del buddismo; non è un'altra mente e il Dharma è senza cancello, per cui come dicepoi nel poema Mumon, ci si può entrare da migliaia di parti. Uno può dire: "Ma se è senza cancello,come ci puoi passare?" In genere c’è la via, la via finisce contro un recinto, un reticolato o unabarriera, poi dopo c'è un cancello, uno apre il cancello ed entra.Quello non ha il cancello. Significa che è completamente aperto, significa che non ci sono barriere,significa che non c'è recinzione e significa che noi ci perdiamo perché non sappiamo da che parteentrare, qual'è il punto dal quale si deve entrare. I cancelli servono per dare l'indicazione del postoda cui si può entrare e nel Dharma queste indicazioni non ci sono. Questo è quanto vuole dire.Però Mumon dice: "Conoscete quel detto che dice: 'Niente di quello che entra dal cancello è untesoro di famiglia'?", volendo dire che le cose che entrano dal cancello valgono poco. Sono quelleinvece che vengono lavorate, scavate – e questo naturalmente è un detto contadino - sono quelleche vengono estratte direttamente dalla terra del proprio giardino, sono quelle che hannoveramente valore perché sono costate sudore, sono costate attenzione da parte di tutti. Se arrivaqualcuno e ci porta dei soldi, questi non hanno valore, non sono un vero tesoro "Perché qualunquecosa ottenuta causalmente è sempre soggetta a cambiamento", perché appunto, è soggetta ad uneffetto e conseguentemente di nuovo a una causa, ed è quindi sempre ripresa da questa legge."Tutte queste chiacchiere" e qui sentiamo il sarcasmo di Mumon, "servirebbero a muovere ondedove non c'è vento, Oppure a fare una ferita nella pelle sana. Ancora più stupido è quello che siattacca alle parole e alle frasi e così prova ad ottenere la comprensione. È come voler colpire laluna con un bastone, oppure grattarsi la scarpa perché c'è un piede che ci fa male: non ha alcunchéa che fare con la Verità". Questo Mumon lo dice. Poi dice il tempo in cui è stato scritto: "Nel 1228io, Ekai, ero il capo dei monaci a Byusho. I monaci mi chiesero di istruirli e finalmente io cosìutilizzai i koan dei vecchi maestri, usati come dei pezzi di mattone per battere al cancello, guidandoi monaci in accordo con le loro capacità e i loro tipi". Ma quello che è bello qua è: "I monaci mipregarono per istruzioni". E questo è proprio del Maestro, del Roshi. In Giappone è moltoimportante comprendere questo fatto qua. Il monastero e il maestro sono due cose in qualchemodo distinte. Il maestro, pur essendo il maestro del monastero, non è il capo del monastero. Ilmonastero è retto dai monaci. Il maestro è un invitato. Egli viene invitato dai monaci per essereistruiti. Naturalmente, il maestro che va là è un maestro scelto da un altro maestro e non daimonaci; però, comunque, c'è questo rapporto che è molto importante. Non è il maestro di suainiziativa - da un punto di vista diciamo reale poi formalmente le cosepossono anche avvenire diversamente - che va lì, ma va lì perché gli viene chiesto dai monaci diricevere l'insegnamento. Nel buddismo giapponese della scuola Rinzai avviene così. Non esiste cheun maestro vada in giro a fare proseliti. Sta li, chi vuole ricevere l'insegnamento gli chiede: "Allora,viene a dirigere il nostro monastero perché abbiamo bisogno di un maestro in quanto il nostro è

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morto o è andato in pensione", o "si è rimbambito e allora non serve più ". Allora il maestrorisponde "Va bene, adesso ci penso" oppure "Accetto” o "Non accetto", etc. Ecco, questo è moltoimportante e mi pare che già nel I228 avveniva così, come anche prima naturalmente."Se una persona è coraggiosa, si butterà direttamente senza nessuna preoccupazione del pericolo.Ma se esita, sarà come l'uomo che sta seduto di fronte a una finestra", non affacciato alla finestraper cui la visione del mondo esterno è limitata al riquadro della finestra "e vede passare un cavalloal galoppo e in un battito di palpebre il cavallo è già passato". E così non si deve aspettare. Questoè molto importante. Avremo occasione di parlarne ancora, ma i maestri avranno spesso questiavvertimenti che non si riferiscono soltanto alla risposta da dare immediatamente nella stanza disanzen, ma si riferiscono proprio al buttarsi sempre nell'azione immediatamente, senzapreoccuparsi di sé stessi. Il poema dice: "La grande Via" e qui la traduce come 'Tao' e non si capisceperché visto che è una traduzione dal giapponese e tao in giapponese non esiste ma si dice 'Do'."La grande Via è senza cancello. Ci sono migliaia di percorsi per entrare in essa. Se passi attraversola barriera, puoi camminare liberamente nell'universo". Mi pare che più chiaro di così! e che cisiano ben pochi commenti da fare a questo.È una poesia che parla da sé e che dice tutto quello che si può dire.Migliaia di modi di entrare nella Via naturalmente dipendono non soltanto dalle infinite vie, infinitepratiche spirituali, o di qualunque genere si possano praticare, ma dipende dall’infinità di esseriumani i quali sono diversi gli uni dagli altri ed ognuno ha bisogno di percorrere la propria via, lapropria via che, finché si pensa che sia la propria via, allora non immetterà mai in una Via reale.Sarà sempre una via che girerà intorno intorno senza mai prendere la direzione giusta. È la propria via che non è la propria via. Ognuno di noi pratica in una maniera diversa dagli altri, maquesto essere diverso dagli altri non significa che sia nostro, che sia mio, perché anche questa viafa parte della Via ed essendo della Via, naturalmente, non è mio. Se noi pensiamo che sia 'mio',allora questo ci impedisce di essere nella Via.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 11 Agosto 1988

Nel tempo che sono stato io a Shofuku-ji, più di una volta insieme con gli altri monaci ho mangiatonelle case dei fedeli del maestro, dei suoi sostenitori possiamo dire, quelli che lo seguivanolaicamente e che una volta all’anno, od ogni tanto invitavano tutti i monaci a fare una mangiata euna bevuta. Una volta ci trovavamo in una di queste case in genere di persone ricche, immersa inun bosco, un po' fuori Kobe, col suo giardino classico giapponese e soprattutto, una casa grande ein stile proprio giapponese in cui si vedeva la perfezione della ricercatezza della semplicità. Era unacasa veramente bella. Uno straniero che era con me al monastero ormai da diversi anni anche lui,tra l'altro architetto e per cui intenditore anche di costruzioni, non ricordo se lui od io ha detto:"Che bella questa casa, eh?". E quello disse: "Se ce l'avessi io, smetterei di fare il monaco" oppure-non mi ricordo bene - "Uno con una casa così è inutile che faccia il monaco!". Questa frase mi èrimasta scolpita - ormai saranno circa venti anni che l'ho sentita - perché anche se a quel temponon avevo ancora letto il romanzo di Stendhal, "Il rosso e il nero", il cui personaggio è combattutotra l'accedere al mondo della religione, il rosso, o a quello dei militari, il nero (ma non ricordobene, potrebbe essere l'incontrario). E cioè facciamo delle scelte di convenienza tutti, ovviamente,ma che si rimanga a dei livelli così bassi, cioè che uno per il fatto di avere una bella casa chepresuppone anche un buono stipendio, delle buone entrate, una buona rendita, smetta di fare ilmonaco che significa interrompere la sua ricerca di realizzazione della buddità!

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Qualche tempo fa sui giornali ho letto che alla Fiat, o Alfa Romeo, alcuni sindacalisti, o forse anchemolti, sono stati ricattati dai loro capi perché se non avessero lasciato il sindacato non avrebberopotuto accedere ai miglioramenti di qualifica e, naturalmente, ai miglioramenti di stipendio. Equalcuno di questi sindacalisti che voleva mantenere l'anonimato, diceva al giornalista o a qualchecompagno: "Sai, non ho potuto resistere. In fondo ne va della mia vita, della mia carriera. Come sifa a rifiutare un'offerta del genere? ".Questi due episodi, malgrado così lontani nel tempo e nelle persone possano sembrare lontanianche di contenuto, sono comunque sempre simili. Se uno ha una via da seguire, e abbiamo vistoMumon dire: "Se uno è coraggioso, si getta a capofitto", non sta li a guardare il guadagno e laperdita, si getta e basta. Così come Eka Daishi incontrando Bodhidharma si taglia il braccio perfargli vedere la sua disponibilità a seguire l'insegnamento. C'è la possibilità di accedere ad unmondo che è completamente superiore e, come dice il Buddha nel Sutra del Diamante,"Se volessispiegarlo non troverei nessuno in grado di capirlo e ci vorrebbero eoni, eoni prima di trovare unaspiegazione capace di essere compresa". Siamo talmente lontani! L'idea di avere una casa o diavere una gratifica o un miglioramento salariale, o un miglioramento di scatto all'interno della Fiat,dal fatto di essere in pace con la propria coscienza per quanto riguarda il sindacalista, e di andareavanti nella strada in cui si crede e, soprattutto per quanto riguarda un monaco che è quella dicontinuare la strada per la quale ha preso i voti e per la quale ha fatto tanti chilometri, masoprattutto per la quale si è impegnato cosi intensamente, sono così lontani i risultati che sipossono acquisire! Uno, per una casa, lascia - possiamo dire - il paradiso (Anche il paradiso diDante, quello dove ci sono i serafini beati nell'adorazione di Dio). La capacità che ci permette diaccedere alla possibilità di vivere di spirito: ecco la parola grossa che adesso si fa attenzione a nonpronunciare più. Gli altri continuano a preoccuparsi delle cose materiali e noi siamo in grado distaccarci da tutte le cose a cui sono attaccati gli altri e di vivere in un'altra completamente diversadimensione.Eugenio Guido Lammer, uno scrittore di montagna ed anche alpinista, ormai morto tanti anni fa,scrisse un libro intorno alla fine del 1800, "fontana di giovinezza", un libro che mi piacque moltoquando ero ragazzo e che anche recentemente quando l'ho riletto ho trovato molto bello. In essoscriveva: "Scendendo dalle montagne bisognerà tornare piatti tra la gente piatta". Ecco, noiabbiamo la capacità, abbiamo il mezzo, abbiamo la possibilità di accedere ad un mondo non piattoe per una casa o per una stupidaggine, per un piatto di lenticchie - come si usa dire - ci facciamocomprare, ci facciamo fregare. Ci facciamo fregare perché in quel momento si rilassa la nostraattenzione e in quella crepa che si forma entra, possiamo dire, la tentazione. Bisogna stare attenti!"Attenzione, attenzione! Non lasciate che la vostra mente sia disturbata dalle preoccupazioniterrene. Attenzione, attenzione!".Un libro che ho letto tanti anni fa,"L'Isola" di A. Huxley, diceva che in quell'isola utopica c'erano gliuccelli che volavano gridando continuamente: "Attenzione, attenzione!". Beh, noi abbiamo i grilli della notte e le ranocchie, forse con un po’ di attenzione, potremmo sentircantare da questi animaletti anche noi.Attenzione, Attenzione!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 12 Agosto 1988

Ci si dovrebbe svegliare al mattino e riprendere la nostra vita così come se l'avessimo appenalasciata da qualche secondo. Ma certe volte questa facilità di entrare nel mattino e nella giornatanon c’è, allora, per fortuna, abbiamo il respiro e seduti o in piedi che si sia, sentirsi di assorbire

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dall'universo quella forza che ci manca in quel momento e bastano pochi respiri perché ci si sentadi nuovo compartecipi di tutta la natura. Questo 'stratagemma' potremmo chiamarlo, ci permettedi entrare non soltanto nella giornata che andiamo ad iniziare, ma di entrare in qualunquegiornata, in qualunque ambiente, in qualunque situazione.Quando i maestri, come Lin-Chi, parlano della loro capacità di entrare e di uscire dalle situazioni,vogliono dire questo qui: essere così leggeri. Se noi respiriamo nella maniera giusta nonapparteniamo più alla legge di gravità, non tanto quella specificata da Newton, quanto a quellalegge che ci attacca alle cose, che ci fa gravitare attorno e o addosso alle cose; ci distacca. È comeun aerostato, come un palloncino, con la propria volontà riusciamo a sollevarci, a staccarci e adisporci nel modo migliore. Per quante chiacchiere importanti o meno si possano fare, nella nostravita cerchiamo di ricordarci di questo meraviglioso strumento che è sempre a portata di mano cheè il respiro.

MUMONKANCASO n. 1 IL MU DI JOSHU_____________________

Un monaco chiese al maestro Joshu: "Ha il cane la natura di Buddha o no?". Joshu rispose: "Mu". Commento di Mumon.Nello studiare lo zen uno deve passare attraverso le barriere poste dagli antichi maestri zen. Perl'ottenimento dell'incomparabile satori bisogna mettere da parte la propria mente discriminante.Quelli che non hanno passato la barriera e non hanno messo da parte la mente discriminante sonotutti fantasmi che si aggirano tra gli alberi e le piante.Ora ditemi: "Cos’è la barriera dei maestri zen? Soltanto questo "Mu" è la barriera dello zen. Perquesto è chiamato il cancello senza barriera dello zen". Quelli che hanno passato la barriera nonvedranno soltanto Joshu chiaramente, ma andranno mano nella mano con tutti i maestri delpassato e li vedranno in faccia. Voi vedrete con gli stessi occhi con i quali loro videro e sentirete conle stesse orecchie con cui essi ascoltarono. Non sarebbe meraviglioso? Volete passare la barriera?Allora concentrate voi stessi su questo 'mu’ con le vostre trecentosessanta ossa eottantaquattromila pori, facendo del vostro corpo una grande domanda.Giorno e notte lavorate intensamente ad esso. Non provate una interpretazione nichilista odualista. È come aver inghiottito una palla di ferro rovente, si prova a buttarla fuori e non ci siriesce. Mettete da parte la vostra conoscenza discriminativa e la consapevolezza accumulata finoad ora, e mantenetevi nel lavorare duro. Dopo un po', quando i vostri sforzi arriveranno al lorofrutto, tutti gli opposti (come dentro e fuori) verranno naturalmente identificati. Allora voi saretecome un muto che ha avuto un sogno meraviglioso: egli lo conosce personalmente soltanto per sestesso. Immediatamente voi passate attraverso la barriera e stupirete il cielo e muoverete la terra.Sarà come se aveste preso la grande spada del generale Ken. Ucciderete il Buddha se loincontrerete e ucciderete gli anziani maestri se li incontrerete. Sull'orlo della vita e della mortesarete liberi, e nei sei regni e nei quattro modi di vita voi vivrete con grande gioia una vita genuinain grande libertà. Allora come ci si dovrebbe comportare? Con grande sforzo a questo 'mu' ediventate ‘mu’. Se voi non vi fermate o non avete indecisioni nel vostro sforzo, allora un'altracandela sarà accesa per illuminare il buio.Il Poema di MumonIl cane! La natura di Buddha!La Verità è manifestata completamente

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Un momento di sì e di noE si perde il vostro corpo e la vostra anima.

TEISHO 12 Agosto 1988

Non per niente il 'mu' è il primo koan e spesso ha il commento più lungo di tutti gli altri. Nonpoteva essere altrimenti, proprio perché è una raccolta, e già Mumon si contraddice dicendo che ikoan sono messi alla rinfusa. Il 'Mu' di Joshu non può essere messo alla rinfusa perché appartienea quel gruppo di koan detti 'i koan del kensho' insieme con altri due principali, uno dei quali ancoranon era stato ideato ai tempi di Mumon. Questi tre koan sono quelli che permettono di entrarenella barriera. Come dice all'inizio: "Studiando lo zen, uno deve passare la barriera, le barriere, mainizialmente la barriera, messa su dai vecchi maestri zen" Ecco, una di queste barriere è il 'Mu' diJoshu. Qual’è questo koan?È un koan semplicissimo, ma richiede di lavorarci sopra a lungo e malgrado ciò, dobbiamo spessoritornarci per riprovare quella apertura, quel kensho, quella illuminazione che esso ha provocato ilmomento in cui lo abbiamo passato. Non è che il koan provochi l'apertura: questo è moltoimportante. Siamo noi che per mezzo del koan, per mezzo di questo stratagemma utilizzato nelmodo giusto, abbiamo una comprensione della nostra reale natura. Il 'Mu' di Joshu fa il paio con il'Mostrare il proprio vero volto prima che i nostri genitori fossero nati', che è un koan di Hui neng, ilsesto Patriarca. E poi è: "Il suono di una mano sola" di Hakuin-Zenji, un maestro giapponese delI700.Questi koan hanno le stesso scopo e Mumon va avanti nel suo commento cercando di farci entrarein esso. Nello studio dello zen si deve passare attraverso le barriere. Questa è una barriera, labarriera iniziale, quella che immette nel mondo dello zen; dopodiché ci sono barriere successive enoi abbiamo già visto tutta la serie di koan che devono essere superati prima di arrivare ad avercompletato il corso di studi che prevede la scuola di Lin-Chi, che poi quel corso di studi lo possiamodire della scuola Rinzai perché è stato così organizzato da un maestro giapponese, ed in Cina non èche si studi in quel modo. Comunque: "Per l'ottenimento dell'incomparabile satori bisogna mettereda parte la propria mente discriminante". E questo è un lavoro che non si riferisce ovviamentesoltanto al primo koan, quello di Joshu, ma anche a tutti gli altri koan. "Quelli che non hannoancora passato la barriera e non hanno messo da parte la loro mente discriminante, sono come deifantasmi che si aggirano nelle paludi.Beh, mi pare un esempio ben significativo! Per cui Mumon stimola, spinge i propri ascoltatori asuperare questa barriera. Lo stesso Mumon ha impiegato molti anni prima di poter superarecompletamente questo koan. So di altri maestri giapponesi e, naturalmente, anche per esperienzapersonale e di altri monaci con i quali ho praticato, che il koan così completamente come deveessere superato, con tutti i poemi che vanno ad esso aggiunti, richiede un tempo abbastanzalungo. "Ora", dice Mumon "ditemi: Qual’ è la barriera dei maestri zen? È soltanto questo ‘mu'.Questa è la barriera dello zen. È chiamata la barriera senza cancello dello zen". E qui enumera ivantaggi: "Quelli che l'hanno passata vedranno con gli occhi di Joshu, andranno mano nella manocon i vecchi maestri e si sentiranno come loro", e cioè, si arriva alla comprensione che è quella deimaestri. Per cui, Mumon vuole che ci sia da parte nostra lo sforzo di passare la barriera. "Allora, sevolete passarla, dovete concentrare tutto voi stessi in questo 'Mu' e qui non so l'anatomia quantoc’entri, ma comunque per Mumon sono trecentosessanta ossa e articolazioni e ottantaquattromila

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pori, cioè con il proprio corpo e mente interamente. Non ci deve essere neanche un poro, neancheuna cellula lasciata fuori dalla nostra concentrazione su questo koan, su questo 'mu'."E facendo del vostro intero corpo una grande domanda. Giorno e notte lavorate intensamente adesso”. Certe volte sembra che le cose di cui si parla non riguardino noi, perché quando si dicegiorno e notte si pensa: ma io il giorno devo lavorare e poi la notte sono stanco e devo dormire.Certo, giorno e notte lo possono fare quelli che stanno in monastero. Io non sto nel monastero,devo fare una vita normale: devo prendere l'autobus o guidare l'automobile, devo prendermelacon il capoufficio o con quelli che stanno sotto di me. Tornando a casa ci sono i problemi di casa, difamiglia, e così via; e poi mi devo allenare! Mi devo allenare per arrampicare o mi devo allenareper un'altra arte, per suonare; devo studiare per questo e per quest'altro. E come faccio? Si,sarebbe bello! Mi piacerebbe poterlo fare, giorno e notte potermi concentrare sul Koan! Magariquando andrò in pensione, che avrò un po' più di tempo, lo farò. Questa esortazione che Mumon fa non la fa ai monaci del monastero. La fa a tutti gli esseri umaniche ascoltano le sue parole, perché noi dobbiamo trovare il modo al di là di tutte le occupazioniche abbiamo durante la giornata, durante il mese, durante l'anno, di dedicarci, di sentire chegiorno e notte noi stiamo lavorando per la nostra illuminazione che, ripeto, non è la nostra in sensopossessivo. Se non c’è questa attitudine, tutto quello che facciamo anche se fossimo capaci dicostruire dei grattacieli in cielo o di andare sulla luna come Nembo Kid, non servirebbe a niente.Queste sono le parole testuali che io ho ascoltato più di una volta dal mio maestro Mumon. Allora,ricordiamoci che tutto quello di cui si parla, tutto quello a cui i maestri esortano è per noi, non èper gli esseri speciali i quali possono andare a ritirarsi nella capanna dentro il bosco, possonoandare a fare il ritiro di non so che, possono dedicarsi perché non lavorano o perché chissacché, ameditare tutto il giorno.Non ci sono scuse, nessuno di noi può portare delle scuse. Perciò: "Giorno e notte lavoraintensamente ad esso, senza interpretazioni dualistiche o negative. È come avere una pallabollente di ferro nella propria gola e cercare di mandarla fuori o di inghiottirla". Inghiottirla èpeggio perché si brucia pure la pancia, per cui cercare di mandarla fuori."Mettete da parte tutta la vostra conoscenza discriminante e tutta la consapevolezza accumulatafino ad ora e mantenetevi nel lavorare duro. Dopo un po’, quando i vostri sforzi arriveranno a uncerto frutto, tutte le opposizioni verranno naturalmente identificate e sarete come una personamuta che ha fatto un sogno meraviglioso e non è capace di spiegarlo agli altri. Immediatamente voiirrompete nella barriera e stupirete il cielo e scuoterete la terra. Allora, come dovreste lavorare?Completamente immersi in questo 'Mu' diventate 'Mu'. Se non vi fermate o se non dubitate, alloraci sarà un'altra candela del Dharma accesa nel buio".Questo è molto importante: quello di essere una candela che si accende nel buio; nel buiodell'oscurità dell'ignoranza che pervade la nostra società, essere dei lumini che danno luce e chenello stesso tempo possono essere utilizzati per accendere altre luci. Per cui la luce non è soltantoper noi. Noi illuminiamo intorno e gli altri prendono la luce da noi cosi come noi la abbiamo presadagli altri.Il poema dice: "Il cane, la natura di Buddha! La Verità si è manifestata completamente, ma basta unmomento di sì e di no e si perde il corpo e l'anima".Ormai sono tanti tra quelli che ascoltano quelli che hanno praticato questo koan, altri ci stannolavorando sopra e naturalmente le parole che vengono dette sono comprese abbastanza, adifferenza di quanto poteva accadere qualche anno fa quando ancora il koan non era statointrapreso o non era stato addirittura superato. Non significa che il superamento di un koan che cipermette di entrare nella barriera costituisca qualche cosa che non ci faccia più tornare indietro. Inun certo senso sì. Le esperienze che si fanno e che si accumulano, le comprensioni che si hanno, senon siamo capaci, ci permettono di dire: "Riparto da questo punto, ricomincio non da zero, ma

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ricomincio un po' più avanti. Ma questo significa anche che se c’è, non c'è più uno zero, ma c'è undue, un tre, un quattro, un cinque, e che ci sarà anche un sette, un otto, un nove o un dieci chesono ancora più illuminanti di quel due, tre o quattro o cinque che noi abbiamo compreso e che c'èpoi la fine di questi numeri - in qualche modo - o perlomeno quella comprensione che ci fa andareal di là del numerare i gradi di comprensione che abbiamo avuto e questo è quello a cui dobbiamotendere.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 12 Agosto 1988

Facendo kin-hin qua di fronte allo zendo, a un certo punto si passa di fronte alla finestra e il vetrodella finestra riflette noi che passiamo, le stelle, gli alberi, il cielo. Il momento che noi siamo passatinon riflette più: già è di nuovo completamente del cielo, delle stelle e degli alberi. Spesso i maestridel passato, come anche contemporanei, hanno voluto rappresentare la mente senzaattaccamento come uno specchio, uno specchio capace di riflettere senza lasciarsi toccare da ciòche riflette. Essere partecipi di quanto avviene al di fuori, immedesimarsi completamente in quelloche avviene fuori dello specchio, di fronte, e il momento in cui questa rappresentazione si sposta,allora ritornare allo stato iniziale. Per le nostre menti occidentali vissute nella cultura dell'amore edella partecipazione attiva ai dolori del prossimo, può sembrare freddo, distaccato, egoista. Ma seguardiamo bene, non c'è un altro modo. Tutti gli altri, quelli nei quali si richiede lapartecipazione attiva, dimostrano un attaccamento se non altro a dei valori, se non altro a delleregole, se non altro a dei comandamenti, che rende la loro azione non così pura, non così pulita,come invece è quella dello specchio. Pensiamo qualche volta, se non spesso, alla nostra mente, anoi stessi, come uno specchio.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI13 Agosto 1988

Ieri c’era scritto sul giornale che in una città degli Stati Uniti, una famiglia al completo - padre e treo quattro figli maschi - hanno rapito una ragazza che è poi la figlia e sorella, per impedirle dicontinuare a vivere in un convento cattolico. La madre, parlando al telefono con i giornalisti, hadetto: "L'abbiamo fatta parlare con una psicologa (che altri chiamano 'de-programmatori') eadesso nostra figlia è contenta di essere fuori perché lo sapevamo che lei è una ragazza allegra chevuole vivere e che voleva sposarsi e avere dei bambini”.Ecco! A ventidue anni una ragazza non può decidere di vivere in un convento, devono decidere igenitori! I genitori sanno che la sua vita sarà quella di fare la madre e la moglie. Quella è una vitabella, normale per una ragazza vivace e sana. Perché una che va a finire in un convento non èvivace, non è allegra e non è sana, è pazza, malata e chissacché. Capita spesso, è capitato almeno-adesso non mi capita più di leggerlo, di genitori che si vanno a riprendere i propri figli tra gli HareKrishna, tra i Bambini di Dio, e anche qui a Scaramuccia sono capitati casi del genere, di genitoriche si sono rivolti alla polizia per riavere i propri figli (come se qualcuno qua li tenesse incatenati).La scelta di vivere in un convento può anche provenire da una mente che non sa bene ancora checosa deve fare della propria vita, ma non è mica vero - e ci sono milioni di casi a dimostrarlo - chechi decide di sposarsi e avere dei figli abbia una mente completamente sana, anzi!

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Viaggiando sull'autostrada, adesso ci hanno riempito di grandi cartelli sui quali è scritto: "Il tempoche perdete non è tempo perso?". Dicono loro; è una grande bugia! Se ci facessero pagare dimeno, allora avrebbe un senso quello che dicono. Ma per quanto riguarda andare a vivere epraticare in un convento sia esso cristiano o di qualunque altro genere, e ci si vada col cuoresincero, si può sicuramente dire che quel tempo non è tempo perso. Può essere tempo persoquello che si passa da ragazzi in giro con i motorini a bighellonare da un bar all'altro o passarsi i tremesi dell'estate al mare o in montagna perché i genitori si sono comperati la villa o la casa per ifigli, o affittano la casa per i figli perché ai figli fa bene il mare, fa bene la montagna mentre in cittàsoffrono il caldo. Quello sì è tempo perso, e di casi in cui si perde tempo ce ne sono tanti.Soprattutto, non devono essere i genitori a decidere quello che deve fare un figlio a ventidue anni.Certo, se noi vedessimo un figlio nostro o anche di un altro - perché i figli poi non è che siano diqualcuno, sono proprietà di se stessi, per quanto uno possa essere proprietario di sé stesso - lovedessimo in una situazione veramente pericolosa (ma certo quel monastero cristiano anche seera di seguaci di Lefevre credo che non fosse così pericoloso), allora senz'altro sarebbe nostrodovere intervenire.Ma spesso le situazioni pericolose che vedono i genitori sono diverse dai pericoli che vedono i figlie gli altri che non sono i genitori. Voglio dire che di questi tempi si è voluto cancellare l'idea chequalcuno non partecipi alle sorti gloriose dello sviluppo tecnologico e industriale di questa civiltà,per cui uno che si ritiri in un convento per un periodo più o meno lungo, è preso per un traditore,uno scioperante, e di questi tempi quelli che scioperano hanno vita dura. Mentre proprio di questitempi è sentita di più l'esigenza di rifiutarsi a collaborare allo sviluppo insensato di questa società,proprio di questi tempi si deve fare l'obiezione non soltanto nei confronti del militare, ma neiconfronti di tutto lo sviluppo che c'è.E allora se una ragazza soprattutto americana, ma anche europea naturalmente, decide di passarechissà quanti anni della sua vita in un convento, quello veramente non è tempo perso.

MUMONKANCASO n. 3 GUTEI ALZA IL DITO______________________

Il maestro Gutei, qualsiasi cosa gli veniva proposta, soltanto alzava un suo dito. Un giorno, un suogiovane attendente a cui un visitatore chiese: "Cos'è lo zen che il tuo maestro insegna?", perrisposta alzò un dito. Sentendo di questo Gutei tagliò il dito del ragazzo con un coltello.Siccome il ragazzo usciva fuori gridando par il dolore, Gutei lo chiamò. Quando il ragazzo si voltòverso di lui, Gutei alzò il suo dito e il ragazzo fu immediatamente illuminato. Quando Gutei stavaper morire, egli disse all'assemblea dei monaci "Io ho ricevuto da Tenryu lo zen di un dito. Ho usatoquesto attraverso tutta la mia vita ma non l'ho potuto esaurire." Quando ebbe finito di dire questo,mori.

Commento di Mumon

Il satori di Gutei e del ragazzo attendente non sono nel dito. Se tu realmente vedi attraversoquesto, Tenryu, Gutei, il ragazzo, e voi stessi, tutti siete passati con una punta acuminata.

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Il poema di Mumon

Gutei ha preso in giro il vecchio Tenryu, Con un coltello acuminato ha castigato il ragazzo.Korei ha alzato la sua mano senza sforzo,E là, il grande ponte del Monte Ka fu diviso in due!

TEISHO 13 Agosto 1988

Questo è un koan molto famoso. Ho saltato il secondo che faremo una prossima volta, perché èmolto lungo e la traduzione immediata richiede un po' di fatica e non voglio fare errori. Comunque,quello di Gutei ci porta a conoscenza di un altro maestro, il quale tra l'altro, non è che abbialasciato una linea che sia esistita a lungo. C'è stato un tempo molto prolifico di maestri - esenz'altro questo fatto verrà ripetuto andando avanti - durante il quale si evidenziavano dei metodiper aiutare i discepoli a tirare fuori il proprio satori. Nel primo caso abbiamo visto Joshu il qualegrida il suo 'Mu' ma che comunque rimane famoso per la sua capacità di dare risposte verbaliimmediate. Verbali, aveva una padronanza della parola eccezionale; per cui si dice di Joshu che lasua bocca era una bocca d'oro, perché tirava fuori sempre parole adeguate alla situazione. Oraabbiamo Gutei che per tutta la sua vita insegnò alzando un dito. Ma abbiamo altri maestri, comeUnmon per esempio, il quale aveva risposte normalmente molto circoscritte, molto brevi. Unafrase soltanto dava la risposta al quesito che il discepolo gli poneva.C'è poi Tokusan, quello che abbiamo visto commentando il Sutra del Diamante, il quale diventòfamoso perché a chiunque andava da lui dava ‘trenta colpi se rispondi' e ‘trenta colpi se nonrispondi'.Abbiamo poi Rinzai con il suo grido 'KWATZ', che in cinese si dice 'HO', e così via, e poi avremooccasione di vederne altri. Senz'altro, quello di Gutei è molto significativo, un maestro che pertutta la vita, a qualunque domanda gli facciano, risponde alzando un dito. È possibile che unoriesca a dare risposte capaci di stimolare la capacità di comprendere dei discepoli, degli allievi,delle persone che gli si rivolgono, soltanto alzando un dito? Sembra di sì. Infatti, noi vediamo allafine del caso, il momento in cui muore, Gutei dice: "Questo dito che io ho avuto dal mio maestroTenryu, l'ho usato tutta la vita e non l'ho potuto consumare".Non dice "Lo lascio a voi comunque senz'altro anche a noi, non i voi che stavano lì ad ascoltarlo,ma i ‘noi’ che siamo qui a leggerlo, anche noi possiamo ancora utilizzarlo.Abbiamo in uno zen più recente, quello giapponese, un maestro di cui si sente ancora parlareperché è quello che è vissuto a Sogenji attualmente diretto da Harada-Shodo-Roshi, il nostro amicopossiamo dire, che abbiamo avuto il piacere di avere qui tra noi l'anno scorso) e cioè TekisuiGiboku (noi lo leggiamo la mattina nel Te Dai Denpo). Tekisui vuol dire 'goccia d'acqua’. C'è unastoria che vi racconto brevemente. L'aneddoto si riferisce a Tekisui, che non si chiamava ancoracosì, e che stava preparando il bagno del maestro. Il bagno era troppo caldo, non si potevaaggiungere acqua fredda per poterlo portare a temperatura giusta e allora lui tolse acqua calda e labuttò. Il maestro si arrabbiò moltissimo dicendo che era uno spreco che da un monaco zen non sisarebbe mai dovuto fare (e gli disse: "Neanche una goccia d'acqua va sprecata". E così lui fecel'illuminazione e decise poi di prendere il nome 'Tekisui'. Quando morì, così come Gutei, disse: "Ioho ricevuto dal mio maestro questa goccia d'acqua, l'ho usata per tutta la vita e ancora non l'hoconsumata".

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Ecco qua questi due maestri. Tekisui è un nostro antenato, molto diretto. Si può avere qualche cosada usare tutta la vita e non consumarla mai?Abbiamo anche Gesù Cristo che a proposito di acqua - e non di vita – dice alla samaritana: "lo houn pozzo dal quale si può attingere acqua che può dissetare per tutta la vita". C'è un'acqua chedisseta per tutta la vita? Sembra di sì. Così come c'è una goccia d'acqua che può essere usata pertutta la vita senza essere consumata, e un dito che "può essere usato per insegnare senza essereconsumato, noi abbiamo la possibilità di trovare qualche cosa che non si consuma, che non siesaurisce. Che cos'è questo qualche cosa? Non è certo il dito in sè, o la goccia d'acqua in sè.Sappiamo che le dita di Gutei come le nostre dita o le dita di tutti gli altri, sono tutte uguali, non c'èmica differenza. E una goccia d'acqua è una goccia d'acqua che buttata in un terreno asciutto obagnato che sia, finisce. Ma c'è la capacità, da parte nostra, di vedere quello che c'è dietro il dito edietro la goccia d'acqua, da dove proviene il dito e da dove proviene la goccia d'acqua e una voltaconosciuto questo rubinetto dal quale viene la goccia d'acqua, le gocce che noi potremo farscaturire sono infinite, ne abbiamo quante ne vogliamo. Che cos'è? È il cuore naturalmente, ilcuore zen, il cuore di chi comprende la propria reale natura e che attraverso questa comprensionedella propria reale natura fa il satori e capisce qual'è il suo rapporto, che non è più suo rapportoche non è più esso stesso ad intrattenerlo, questo rapporto con la grande coscienza cosmica -chiamiamola così una volta tanto! Riuscire ad immettersi in questa grande coscienza cosmica, ediventare uno con essa, dopodiché non si esaurisce quello che noi utilizziamo. Siamo semprenuovi, e non è quel nuovo della moda che è la novità, ma è il nuovo che viene dal profondo e chepuò essere sempre nuovo anche utilizzando strumenti vecchi. L'errore che si fa spesso, lo fannotutti, è che si rimprovera ad uno scrittore o ad un poeta di non rinnovarsi, cioè di scrivere poesienello stesso modo o di scrivere libri nello stesso modo, o di suonare nello stesso modo, come se ilrinnovarsi dovesse dipendere dallo stile che cambia. Se uno è un poeta, perché capisce la poesia esa qual è l’origine della poesia, non deve rinnovarsi scrivendo in maniera diversa. Il suorinnovamento sta nello scrivere con il "cuore giusto". Una volta che scrive con quel cuore là, èsempre nuova la sua poesia, quello che scrive, l'essenza di quello che scrive, è sempre nuova anchese usa una lingua in qualche modo vecchia e consumata.L'episodio che riguarda il ragazzo può senz'altro impressionare. Questo maestro - poi ne avremoancora, fino a quello che squarta i gatti – questo maestro che taglia il dito al ragazzo: vale la pena ditagliargli il dito per fargli fare il satori? E quanto glielo avrà tagliato? In Giappone c'è l’usanza ditagliarsi un pezzo di dito per dimostrare la propria forza, il proprio coraggio, il proprio distacco dallasofferenza e dal corpo. Vale la pena tagliare il dito di un ragazzino magari l'ultima falange del ditomignolo, per fare l'illuminazione? Abbiamo Confucio che dice: "Se incontri la Via il mattino, ilpomeriggio puoi anche morire".Vale la pena incontrare la Via con un pezzo di dito in meno, oppure vivere tutta la vita senza averlaincontrata con tutte le dita della mano?Non siamo il ragazzo, non siamo Gutei, e questo non vogliamo deciderlo noi. Certamente una vitasenza satori non è una vita. Una vita senza dito può continuare ad essere una vita, eccome no! Sipuò fare tutto ugualmente, ma senza satori ha sicuramente meno valore.Il commento di Mumon dice: "Il satori di Gutei e quello del ragazzo non sono nel dito. Se realmentevedi attraverso questo, Tenryu, Gutei, il ragazzo e voi stessi, tutti siete passati attraverso con unospiedo: se noi pensiamo che il satori sia nel dito, quello di Tenryu o quello di Gutei, o quello delragazzo, se confondiamo il dito con il satori pensando che basta alzare un dito e si fa il satori, obasta vedere uno alzare il dito per fare l satori, allora siamo completamente fuori strada.La poesia di Mumon dice: "Gutei si è preso gioco del vecchio Tenryu con un coltello affilato hacastigato il ragazzo" questo ragazzo che voleva prendersi gioco di Gutei. Gutei si è permesso diprendersi gioco del maestro prendendogli il dito, ricopiandolo, ma appena ha visto che il ragazzo lo

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voleva copiare, gli ha tagliato il dito, per cui non permette che gli altri si prendano gioco di lui comelui ha preso in giro il proprio maestro, secondo Mumon. A parte che il suo maestro era già morto enon poteva uscire dalla tomba a tagliargli il dito con il coltello, e il ragazzino era più indifeso diquanto fosse Gutei dopo il satori."Korei", che è un personaggio mitologico, "alza la sua mano e senza sforzo il grande sperone delMorite Ka è diviso in due". Il dito alzato di Gutei è paragonato a quello di questo personaggiomitologico che con una mano spaccò in due una montagna.Spesso ai discepoli zen viene richiesto di compiere degli atti che hanno del miracoloso, delleimprese eccezionali e senz'altro, anche alzare un dito è capace di spaccare una montagna o disollevare un peso eccezionale. Queste imprese sono alla portata dei praticanti zen perché sannocome compierle perché c'è la capacità di immedesimarsi con la cosa che si compie. Siamo venuti aconoscenza di un altro maestro, un altro personaggio e, uno per volta, avremo la possibilità divedere queste strane persone che un migliaio di anni fa circa, o ancora di più, si divertivano inquesto modo: qualcuno tagliando le dita dei ragazzi, qualcuno facendo cose ancora più strane.

ESORTAZIONI FINALI 13 Agosto 1988

La prima volta che abbiamo fatto una sesshin di una settimana in agosto è stato nel 1974 e secontiamo bene, sono ormai quindici anni. Per meno, o per poco più, ci sono altri centri che fannofeste e celebrazioni radunando le loro migliaia di adepti in giro per il mondo. Noi, con un senso ditristezza per le cose che passano, per vedere come siano passati già quindici anni, e perché sonoanche già passati sette giorni da quando abbiamo cominciato, finiamo anche questa quindicesimasesshin di agosto; quindicesima perché certe volte ne abbiamo fatte anche due o tre - se mi ricordobene - ed anche con un po' di tristezza dovuta non all'invidia di vedere che altri dopo quindici annifanno manifestazioni con le loro migliaia di persone, ma a vedere che non ci sia da parte di questidiscepoli di Scaramuccia la capacità di fare il piccolo sforzo di decidere che una settimana all'anno,di agosto, la tengono da parte per venire a fare la sesshin. È inconcepibile per me, io non riesco acapire questo: che uno che voglia praticare una via spirituale non riesca a trovare la forza, lavolontà, di decidere che sei o sette giorni all'anno, in agosto, gli servano per insistere - sottolineo leparole e cerco di dare loro forza - nella pratica del proprio risveglio spirituale. È inconcepibile,eppure è proprio così! Non c'è mai stata da parte mia l'ambizione di allargare la scuola diScaramuccia in tutti i continenti, di aumentare il numero dei discepoli, di diventare famoso, didiventare importante. Per me vale sempre quello che ho detto tante volte: "Se uno vuole andarepiù vicino al sole, che salga anche in cima all'Everest, vuole dire poco.Tra dieci e mille e centomila allievi, rispetto ai granelli di sabbia del fiume Gange o rispetto alladistanza che c’è tra la terra e il sole sono niente, sono piccoli numeri! Per cui, rallegrarsi che invecedi sette, dieci o quindici allievi ce ne siano quaranta, questo non è nella mia mentalità, nel miocarattere. Ma sarebbe importante per quei quaranta, perché questo mi dimostrerebbe in qualchemodo - anche se non vivo per le dimostrazioni che possono darmi gli altri e neanche per quelle cheposso darmi da solo - mi dimostrerebbero che qualche cosa di tutto quello che in quindici anni èstato detto a Scaramuccia, è stato compreso. Ma chi si mette nella Via, per percorrerlanaturalmente da discepolo - perché si è sempre discepoli e in qualche modo da insegnante - deveessere preparato ad avere di queste delusioni.

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Certo, queste parole invece di dirle alle quindici persone che hanno avuto la forza per venirci,andrebbero dette a quelli che non sono venuti.Mah! Io avevo voglia di dirle e le ho dette. L'importante è che noi, e questo è fondamentale,abbiamo trascorso sei sette giorni bene, insieme, lavorando. I risultati ci sono stati da parte di tutti- compreso me – e l'augurio più vivo è che i frutti di questa sesshin possano risbocciare, che i semipossano ricreare altri semi che a loro volta possano di nuovo sbocciare e non interrompere questoflusso continuo di comprensione.

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SESSHIN DI SETTEMBRE 1988

SESSHIN KOKUHO 2 settembre 1988

È la sesshin di settembre; ormai si è fuori dalle vacanze e in qualche modo anche l'aria, con il suoprofumo autunnale, ci dice che una stagione è passata. È passata la stagione dell'estate con lenostre sesshin più lunghe, ed ora riprende quella che ogni mese, il venerdì, il sabato e la domenica,possiamo trovarci almeno una volta per lavorare meditando insieme. È passata la stagione dellevacanze, quando siamo vacanti, e da questo momento per tutti noi bisogna cominciare ariprendere in mano la nostra vera vita. Venire a praticare durante una sesshin significa che si èsentito durante la propria pratica giornaliera, perché anche se non si siede tutti i giorni per unminuto o per delle ore, chi è si è mosso fino ad arrivare qui significa che in qualche modo pratica, eallora questa pratica che facciamo giornalmente anche se solo con il nostro pensiero e con lanostra mente, non è sufficiente e vogliamo approfondirla di più buttandoci completamente in unasesshin e vivendo intensamente la meditazione, il silenzio con gli altri, il rapporto con il propriomaestro. La sesshin può dare così quello stimolo, quella ricarica che ci permetta di andare avanti e,se possibile, durante una sesshin se pratichiamo intensamente completamente, con tutto il nostroessere, possiamo anche realizzare quell'apertura e quel risveglio che ci mostrino il nostro verovolto prima che i nostri genitori fossero nati - come ebbe a dire più di mille anni fa il sesto PatriarcaHui neng - ovvero la nostra reale natura, la nostra natura di illuminazione. Se qualcuno pensasse,come ho più volte ripetuto, che praticare il ch'an e la meditazione che esso comporta, come lapratica dei koan, sia un qualche cosa che ci faccia stare meglio, ci faccia vivere meglio con la nostrafamiglia, meglio con i nostri conoscenti sicuramente è fuori strada. Per questo ci sono tante altretecniche.Ormai ce ne sono molteplici, ognuna di esse adatte - sia per quanto riguarda il fisico, sia perquanto riguarda la mente - a migliorare la nostra conoscenza e a portarci a un grado di vivibilitàcon gli altri.Chi si avvicina al koan vuole andare oltre, vuole morire a questo tran tran seppur vivibile, edaccedere ad un'altra coscienza, una coscienza universale, non una coscienza limitata e ristrettacome è quella nella quale vive la maggior parte delle persone che noi conosciamo. E allora, lapratica del ch'an, per mezzo delle sesshin e per mezzo della nostra pratica successiva o precedentequotidiana, può portarci a questo. Tutto il resto non interessa. Dobbiamo essere capaci di lasciareda parte i nostri desideri, il nostro corpo, tutti gli attaccamenti ai quali siamo stati educati o che cisono stati suscitati dalla nostra mente sempre in moto dobbiamo calmare la nostra mente,fermarci a pensare dal profondo e vedere quello che vale veramente la pena di fare. C’è una solacosa, questo l'hanno ripetuto i maestri del passato di tutte le religioni, di tutte le pratiche spirituali:fare l'illuminazione, risvegliare la nostra natura di illuminazione, diventare uno con l'illuminazione.Non c’è altro da fare. Se riusciamo a comprendere questo, allora già siamo per un bel pezzo sullastrada giusta.Spero che durante questa breve sesshin, in questi pochi giorni, in queste poche ore, tutti quanti voiriusciate a realizzare, almeno, l’importanza di risvegliarsi all'illuminazione. Insieme, se ce lamettiamo tutta qualche cosa sicuramente potremo fare. Hai!

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ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 3 Settembre 1988

In una comunicazione scritta che ho ricevuto dal maestro di Sogen-ji in Giappone, parla di dueanziani: Yamada Mumon, che ha ora ottantanove anni, e dell'incontro con un monaco cristiano dinovantatre anni e di come questi due praticanti dimostrino con l loro distacco dal mondo - o perquanto riguarda il cristiano, con la concentrazione, con l'immersione completa nella grazia di Diodimostrino la bontà della propria pratica che li ha portati a realizzare questa serenità. Certo, noiabbiamo altri esempi del presente e del passato di altre grandi persone, pensatori, praticanti,possiamo dedurlo dai loro scritti, dai loro pensieri, dai loro detti e ci rendiamo conto che, seriusciamo a praticare, ad andare avanti, a un certo punto qualche cosa succede. Se non altro queldistacco che – come dice il maestro di Sogen-ji - dimostra un maestro di zen arrivato all'età diottantanove anni. Lo dimostrava anche prima, non è che dovesse arrivare a quell‘età peraccorgercene. Ma quello che è molto importante capire è che le risposte di cui noi abbiamobisogno, da dare alle sollecitazioni della vita, non possiamo rimandarle alla serenità che otterremoquando il nostro corpo e la nostra mente non saranno più così invadenti e ci permetteranno diessere più calmi e perciò di vedere le cose col filtro della saggezza dell'età. Più che aspettare lasaggezza dell'età che ci fa vedere le cose con meno attaccamento di quanto le si veda quando si ègiovani, dobbiamo cercare la saggezza da utilizzare in ogni momento del giorno, la saggezza di tuttii giorni, la saggezza del risveglio spirituale perché le risposte che ci pongono le domande chericeviamo giornalmente vanno date adesso; non possiamo rimandare le cose a quando saremovecchi. Quando saremo vecchi sarà il momento di essere vecchi, ma il momento in cui viviamoadesso - che non ha età, che è il momento più importante per ognuno di noi, questo qui ora,questo ha bisogno di risposte e dobbiamo essere in grado di darle, perché altrimenti si perpetua laconfusione nella quale il mondo si muove. Arrivati a un certo punto si può anche vedere che laconfusione nella quale si muove il mondo è una confusione irreale, in fondo non esiste; ma dalmomento che noi ci siamo immersi non possiamo renderci conto di questo. Se noi vediamo unbosco che brucia da lontano, non sentiamo neanche il calore, tutt'al più può arrivarci un po’ diodore di fumo; ma se uno ci sta dentro a cercare di spegnerlo, la situazione è completamentediversa. Dobbiamo essere in grado di vivere nel fuoco che brucia senza esserne bruciati,rendendoci conto che è qualche cosa che finirà, rendendoci conto che il terreno che è statobruciato dopo un po' di tempo produrrà di nuovo delle piante, ci si potrà ancora passeggiare evedendo appunto con la saggezza e con il distacco con cui il vecchio Mumon e il vecchio monacocristiano vedono. Dobbiamo farla nostra subito questa saggezza e non aspettare che venga colpassare degli anni, con l'età.

MUMONKANCASO n. 2 HYAKUJO E LA VOLPE(pag. 40-41, fino alla poesia inclusa)_____________________________

Ogni volta che il maestro Hyakujo dava un teisho sullo zen, un vecchio si sedeva ad ascoltare tra imonaci, e andava sempre via insieme a loro. Un giorno, però, rimase indietro, e il il maestro glichiese: "Chi sei tu che stai qui di fronte a me?". Il vecchio rispose: "Io non sono un essere umano.In passato, al tempo del Buddha Kasho, ero il capo di questo monastero. Una volta un monaco mi

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chiese: 'Anche un uomo illuminato cade nella causalità, o no? Risposi di no. Per aver dato questarisposta dovetti vivere cinquecento vite come volpe. Adesso vi prego di dire per mio conto leparole della trasformazione e di liberarmi dal corpo di volpe. Il monaco chiese quindi a Hyakujo:"Anche un uomo illuminato cade nella causalità, o no?" Il Maestro rispose: "Egli non ignora lacausalità". Udito ciò il vecchio fu subito illuminato. Inchinandosi davanti a Hyakujo disse: "Adessosono stato liberato dal corpo di volpe che verrà trovato dietro la montagna. Oso fare una richiestaal maestro: vi prego di seppellirlo come fareste se fosse morto un monaco."Il Maestro fece battere il martello all’Ino per annunciare ai monaci che dopo il pasto dimezzogiorno ci sarebbe stato un funerale per la morte di un monaco. I monaci, meravigliati, sidissero: "Siamo tutti in buona salute. Nella sala del Nirvana non c'è nessun monaco malato. Chesuccede?".Dopo il pasto ll maestro guidò i monaci a una roccia dietro la montagna, tenne sospesa col bastoneuna volpe morta e la cremò.A sera il Maestro salì sulla tribuna della sala raccontò ai monaci tutta la storia. Allora Obaku chiese:"Voi dite che il monaco non riuscì a dire le giuste parole della trasformazione e che dovette viverecinquecento vite come volpe; se però la sua risposta non fosse stata sbagliata, cosa sarebbediventato?". Il Maestro disse: "Avvicinati te lo dirò".Allora Obaku si avvicinò a Hyakujo e gli diede uno schiaffo. Il maestro fece una gran risata, batté lemani e disse: "Pensavo che la barba dello straniero fosse rossa, invece vedo che è uno stranierocon la barba rossa".

COMMENTO DI MUMON

"Non cadere nella causalità". Perché fu trasformato in volpe? "non ignorare la causalità". Perché fuliberato dal corpo di volpe? Se avete un occhio per vedere ciò, saprete che il vecchio capo delmonastero si godette le sue cinquecento vite felici e beate come volpe.

POESIA DI MUMON

Non cadere, non ignorare:Pari e dispari stanno sullo stesso dado.Non ignorare, non cadere:Centinaia e migliaia di rimpianti!

TEISHO 3 Settembre 1988

Questo è il secondo dei quarantotto koan che compongono il Mumonkan, questa raccolta messainsieme da Mumon Ekai, un monaco cinese del I200 circa - e come poi saranno tutti gli altri koan -si articola su una risposta che deve essere data fra due opposti di uguale importanza. Questi dueopposti - come ha ben ragione di far notare Obaku - in questo caso: il monaco illuminato èsottoposto alla legge di causalità, oppure non è sottoposto alla legge di causalità. Nella storiellache si inventa Hyakujo per porre ai propri discepoli questo problema, abbiamo uno che perrispondere che non è sottoposto alla legge viene colpito dalla legge e uno che poi per rispondere

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che non si è sottoposti alla legge, viene in invece salvato. Per cui, sia la prima che la secondarisposta sono contrapposte, tanto che Obaku ha la sfacciataggine, giustamente, di chiedere alproprio maestro: "Quello ha risposto così, ma se avesse risposto il contrarlo, cosa sarebbesuccesso?". Questo caso porta la scena - come ce ne saranno poi altri - di vita di monastero aitempi di Hyakujo e di Obaku (Huai-Chang e Huang-Po), due grandissimi maestri, due dei più grandimaestri che hanno fatto il ch'an, tanto che poi Huang-Po che è il maestro di Lin-chi, il fondatore oalmeno l'iniziatore di quella scuola che poi è arrivata in Giappone e dal Giappone, fortunatamente,c'è stata la possibilità di arrivare in qualche modo anche in Italia. Huang-Po è stato il maestro diLin-Chi, e già dimostra, nella sua maniera rude di confrontarsi con il suo maestro, quello che saràpoi il suo discepolo Lin-Chi, molto più rude, molto più diretto, molto più in un certo sensoaggressivo, cioè deciso ad andare direttamente al fondo della questione senza tener conto dialcuna etichetta, tantoché la questione di cui si tratta è la questione fondamentale, la questionepiù importante per un essere umano, per cui non bisogna star tanto lì a chiedere 'permesso' o 'percortesia'; se c'è una cosa da fare la si fa subito, direttamente. Cosi, come noi se stiamo peraffogare, non chiediamo alla tavoletta che ci passa vicino se permette di appoggiarci, l'afferriamosaldamente e disperatamente cerchiamo di rimanere a galla.Huang-Po è il maestro di Linchi e Huai-Chang (Hyakujo) è quello che più volte quando ci siamoimbattuti in qualche aneddoto dello zen, abbiamo trovato che dice: "Un giorno senza lavoro è ungiorno senza mangiare.”Le regole affisse al di fuori di ogni monastero zen giapponese sono le stesse che Hyakujo, più dimille anni fa, ha scritto per i monasteri ch'an e che rimangono ancora e vengono naturalmenteosservate anche in Giappone in tutti i minimi particolari. Dal momento in cui ci si alza al mattinofino al momento in cui si va a dormire, ogni passo è regolato da queste regole. Sono ancora lestesse. Se ci si inchina in un modo, se si saluta in qualche modo, questo è stato già stabilito daHyakujo. Se quando si mangia si recitano certe cose, queste cose sono state scritte da Hyakujo ecosì via. Anche quello che si fa quando si entra nel bagno, come si saluta quando si va al gabinetto,etc. etc . . . Può sembrare esagerato che anche le più scontate azioni che il monaco compie durantela giornata già siano state stabilite, se non altro il modo di eseguirle, da Hyakujo. Certamente nonavrà detto tutto quello che si fa nei gabinetti o come si chiudono gli occhi quando si dorme, ma hastabilito addirittura come ci si sdraia quando si va a dormire, come devono venire arrotolati imaterassi, le coperte che i giapponesi chiamano futon (che sono materassi-coperta) nelmonastero.Ecco, tanto perché si capisca la precisione di questo grande maestro.La questione del koan! Andando avanti nella pratica del Ch'an, nella pratica del koan, oppure nellalettura dei testi che possiamo dilettarci di leggere, troveremo sempre questa contrapposizione.Abbiamo qui il maestro che risponde 'no' al vecchio che gli chiede se un illuminato è sottopostoancora alla legge di causalità e in qualche modo viene punito malgrado Mumon poi, nel suocommento, dica che quel vecchio si è goduto felicemente le sue cinquecento vite di volpe.E abbiamo ancora un altro monaco, quello che aveva risposto 'no', il quale chiede a Hyakujo se unilluminato sia sottoposto ancora alla legge di causalità e Hyakujo risponde di sì e viene gratificatoda questa risposta. Per cui è sottoposto alla legge di causalità però lui, ne scappa.Quell'altro che risponde che non si è sottoposti alla legge di causalità, e invece viene punito e vienecostretto a seguire la legge di causalità rinascendo come volpe. Nello zen troveremo spesso di questi casi. Sui quarantotto casi del Mumonkan vedrete che lamaggioranza saranno tutti imperniati su questo confronto e il discepolo deve continuamentelavorare per trovare la risposta che sia al di là di queste contrapposizioni, che vada oltre il si e no, ilbene o il male, il buono o il cattivo. C’è una risposta che passa attraverso questo qui, anche se ci

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sono delle volte in cui il nostro comportamento è in un certo senso, dovuto alle circostanze,oppure in un altro senso.Come dicono i maestri: "Quando fa freddo ci copriamo e quando fa caldo ci scopriamo. Quandoabbiamo fame mangiamo, quando abbiamo sete beviamo." Non dicono "Quando abbiamo famedigiuniamo" o perlomeno "facciamo qualcosa di contrario a quello ohe fa la gente comune".Quando c’è una cosa da fare la facciamo nel modo comune. Allora, per capire la grande libertà delCh'an, bisogna andarsela a trovare al di là di questo senso comune.C'è un'apparenza nella quale si mostrano i maestri e c'è una realtà che soltanto se siamo moltoattenti possiamo comprendere. La maggior parte della gente, come dice un detto, osserva soltantole cose esteriori e per cui li prende per pazzi; colui invece che sa vedere sa che sono dei saggi. Ecco,lo sforzo che noi dobbiamo fare per la comprensione dei koan e pertanto anche dellacomprensione di quale sia la reale saggezza, è quello di andare al di là della comprensioneapparente, quella che ci viene mostrata in superficie, e penetrare nella realtà nascosta nelle cose. C'è una realtà che è al di là di quello che possono vedere i nostri occhi. Cosi come noi possiamovedere una superficie liscia di una lastra di marmo e pensare che sia realmente liscia ma se lavediamo col microscopio vediamo invece che è granulosa e se addirittura usassimo il microscopioelettronico, potremmo vedere chissà quali montagne dentro questa liscezza che ci sembratoccandola con le mani. Così se noi abbiamo l’occhio profondo che vede oltre l'apparenza,possiamo vedere la realtà delle cose come esse sono. Non dobbiamo fermarci, appunto, allasuperficie. Il commento che Mumon dice: "Non cadere nella causalità" e ripete quello che abbiamodetto: "Perché fu trasformato in volpe? Non ignorare la causalità". Perché fu liberato dal corpo divolpe? "Se avete un occhio per vedere ciò, saprete che il vecchio capo del monastero si godette lesue cinquecento vite felici e beate come volpe". Ecco qua, proprio Mumon dice: "Se avete unocchio per vedere ciò" e spesso Mumon si rifà a questa qualità che richiede a chi lo legge. Se avetel'occhio giusto per vedere, vi renderete conto che al di là di tutte le chiacchiere che si possono fare,ci sta uno che nel suo corpo di volpe se ne frega di tutto quanto quello che avviene intorno a lui ese la gode beatamente."Non cadere, non ignorare" dice la poesia, "pari e dispari stanno sullo stesso dado. Non ignorare,non cadere: centinaia e migliaia di rimpianti!" Ecco qua, Mumon dice: "Il pari e il dispari sono sullostesso dado". Un dado contiene le due facce: pari e dispari e, quello che è molto importante, dice:centinaia e migliaia di rimpianti". I rimpianti di chi si ferma a pensare che avendo scelto pariavrebbe invece potuto scegliere dispari, o viceversa. Mentre invece la vita è per chi la sa vivere, unmomento in cui la scelta è in ogni istante e quell'istante solo vale, senza fermarsi a pensare o arimpiangere la scelta che è stata fatta prima. Adesso è quello che importa e adesso siamo quelloche siamo per la scelta che è stata fatta prima. Rimpiangere quello che abbiamo fatto o che nonabbiamo fatto, ci porta soltanto al vivere questo momento senza la retta presenza, senza laconsapevolezza che ce la faccia vivere in maniera vera, profonda, e per cui ce la faccia vivere inmaniera liberata.Noi vogliamo toccare questo stato di liberazione che ci permetta, appunto, di vivere in questoistante per cui, vivendo in questo istante, vivere come - mi permetto di citare Krishnamurti-nell'eternità.I maestri del Ch'an, se si sono presi la briga di scrivere tutte queste cose, lo hanno fatto perchéanche noi, come essi hanno gustato, possiamo renderci conto di essere dei Buddha, capaci dirisvegliarsi all'illuminazione proprio perché si è Buddha (per cui illuminati) e vivere come i maestri,come i Buddha, nella libertà di questa illuminazione.

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ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 3 Settembre 1988

Uscendo dalla stanza di sanzen si vedono bene le stelle ed ho visto la luce di un satellite. Mi sonoricordato di aver letto o sentito da qualche parte che gli astronauti quando sono andati sui satellitiartificiali poi quando sono discesi sulla terra, non erano più le stesse persone e quel viaggio cheavevano fatto aveva completamente trasformato la loro vita. Anche passare una notte seduti fuoriall'aperto senza mai dormire può essere, in piccolo, un viaggio attraverso le stelle su un satelliteartificiale; ma quante altre esperienze sono quelle che abbiamo fatto o che potremo fare chesecondo molti luoghi comuni dovrebbero trasformare la nostra vita. Guardandoci intornotroveremmo tutte persone dalla vita trasformata, tutte persone rese migliori dalle tantissimeesperienze che hanno fatto. Si potrebbe dire di chi va ad arrampicare e arriva in cima a unamontagna, di chi attraversa il mare su una barca a vela, di chi cammina a piedi attraverso il deserto.È pieno di persone che fanno di queste cose che ora vanno sotto il nome di avventura eppurequando noi li vediamo, vediamo che prima erano cretini e dopo sono ancora cretini. Allora, dov'è latrasformazione? Nella nostra esperienza di vita abbiamo delle comprensioni che in giapponesevengono chiamate "kensho". I maestri del passato si sono sempre rivolti ai discepoli esortandoli anon lasciar cadere il momento alto del kensho, di questa in qualche modo piccola illuminazione, unpo’ diversa da quella più grande che viene chiamata 'satori' ma sono sfumature. Non far caderequesto momento, questo stato di grazia, e continuare a tenerlo acceso. Il momento in cui sidovesse spegnere o perlomeno dovessimo dimenticarci di questo fuoco, cercare di riviverlo neimomenti di difficoltà, come tutti quanti noi ne attraversiamo. Allora, se noi di questi eventi chedovrebbero o potrebbero trasformare la nostra vita riusciamo a mantenere la validità, a mantenerlivivi in noi, allora si che c’è stata una trasformazione. Ma se noi passiamo, dimenticandoci poi, adun'altra ricerca la nostra capacità di assorbimento, la nostra capacità di mantenere vivo questo,questo alto momento di comprensione si ottunde e poi, così come quelli che sono drogati, siamoalla ricerca di sempre più forti sensazioni perché quello che noi comprendiamo lo comprendiamosoltanto con i nostri sensi e con la parte più superficiale del nostro essere. Il kensho è unacomprensione con la parte profonda di noi stessi e questo noi dobbiamo ricercare e mantenere.Allora, una notte passata all'aperto, seduti a gambe incrociate, può essere l'evento che trasformi lanostra vita, se noi lo vogliamo e se noi lo viviamo non come lo vivono quelli della trasmissionetelevisiva di Jonathan ma lo vive un vero ricercatore della Via, come usava chiamarli Lin-chi.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 4 Settembre 1988

Questi ultimi giorni siamo stati a Roma ed ormai che le ferie sono finite e tutti i negozi sonoriaperti, noi ci siamo trovati la mattina alle otto ad uscire per andare verso Gaeta sulla stradaCristoforo Colombo e poi dopo, sulla strada di Latina c'erano migliaia di macchine che entravanoper andare a lavorare in città. Alla sera, al ritorno, le stesse macchine uscivano dalla città perritornare a casa. Per chi abita in città, soprattutto nelle grandi città, il traffico è diventato qualchecosa con cui convivere e probabilmente siamo noi di provincia, di campagna, che ingigantiamo ilfenomeno perché quando ci troviamo in mezzo a questa lentezza, questo impedimento che perpercorrere due- tre chilometri si impiega così tanto tempo, ci sentiamo nelle mani di un destinocrudele. Ci sembra che qualcuno approfitti della nostra libertà, della nostra mobilità e ci costringa a

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camminare così piano senza poterci fare niente. Probabilmente, come ho detto prima, quelli chetutti i giorni vanno avanti-indietro in tutto questo traffico si sono abituati e avranno trovato lamaniera per poterci sopravvivere. Infatti sopravvivono, anche se l'impressione che hanno è quelladi - appena possibile - poter scappare dalla città per potersi riposare o perlomeno cambiare,trasformare e ricaricare in posti più tranquilli.L'adattamento è una qualità dell'essere umano, ma ci impedisce di lottare per il cambiamento.Forse, se tutte le notti facessimo zazen, con un po' di tempo per dormire, forse ci sarebbel'adattamento e le gambe forse non ci farebbero più male; forse ci abitueremmo a non aver sonnoe forse lo shock che invece dà una notte così passata all'aperto non si potrebbe ripetere. Quellocontro cui dobbiamo muoverci, dobbiamo lottare, è l'abitudine che appiana tutte le cose. Ci fasuperare grandi difficoltà, forse ci rende capaci di sopravvivere ma più che sopravvivere ci interessavivere e vivere operando delle rivoluzioni nella nostra vita e cambiandola completamente doveriteniamo che sia necessario.Per cui, stando seduti, anche se veniamo assaliti dal sonno, anche se veniamo assaliti dal male allegambe o alla schiena, questo agisce su di noi e ci costringe in qualche modo a fare qualcosa, acambiare, a trovare la soluzione per questo sonno, per questo male di gambe e la soluzione vatrovata nella migliore concentrazione possibile, nella giusta concentrazione, nella giusta attenzioneche ci permette di essere uno con il respiro e di essere uno con la nostra natura di Buddha. Il corpoha le sue regole e, naturalmente, richiede certe volte di riposare e di distendersi. Ma queste regolecontro le quali noi qualche volta andiamo sono proprio quelle che vanno infrante per operarequella frattura che ci permetta poi di fare un gradino di più nella scala della nostra comprensione.

MUMONKANCASO n. 4 “LO STRANIERO NON HA LA BARBA”(pag. 57)_____________________________

Wakuan disse: "'perché lo straniero che viene dall'occidente non ha la barba?".

COMMENTO DI MUMON

L'addestramento zen deve essere vero addestramento. Il satori deve essere vero satori. Dovetevedere chiaramente da voi questo straniero: allora lo conoscerete veramente. Se però parlate di"vedere chiaramente" siete già caduti nella dicotomia.

POESIA DI MUMON

Di fronte a un pazzoNon parlare di un sogno.Lo straniero non ha la barba:Vuol dire aggiungere stupidità alla chiarezza.

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TEISHO 4 Settembre 1988

Tutto quanto è molto breve e Wakuan questo maestro vissuto dal 1108 al 1179 come si puòleggere nel commento di Shibayama, ci presenta un koan molto originale ma in fondo anchescontato. Questo perché, come ci rendiamo conto addentrandoci nel mondo del Ch'an, questomodo di parlare così corrente, cosi normale che incontriamo e che avviene tra maestro e discepolio tra vari maestri o tra discepoli, etc., non è nella sua stranezza un modo di parlare poi in fondo infondo tanto strano. Anche noi da ragazzini ma anche qualche volta da grandi, giochiamo con leparole. Per cui non so, facendo degli scherzi - adesso non so che cosa mi viene in mente - mamettiamo che uno metta un cubetto di ghiaccio dentro la schiena inavvertitamente e poi, invece dichiedere: "Hai avuto freddo?", chieda all'altro: "Hai avuto caldo?". Ecco, di questo modo di parlareche ricorre spesso anche nei nostri colloqui, i maestri ch'an hanno fatto un modo per stimolare daparte dei discepoli una comprensione che vada oltre sia la constatazione di un fatto lampante evada oltre anche le parole che attestano questo fatto lampante in un modo positivo, cioè dicono:"il mare è blu", o "Le foglie dell'albero sono verdi". Oppure dicono: "Le foglie dell'albero sonorosse, o blu" per esempio. perché le foglie dell'albero sono blu quando sappiamo che le fogliedell'albero di castagno, per esempio, sono verdi e tutt’al più gialle quando viene l’autunno? QuiWakuan vuole questo. Infatti dice: "Perché lo straniero che viene dall'occidente non ha la barba?"Questo non è vero. Noi abbiamo anche qua dentro un ritratto di Bodhidharma - lo straniero a cui siriferisce – cioè il primo Patriarca del Ch'an e ventottesimo Patriarca indiano e primo cinese, operlomeno vissuto in Cina, e Bodhidharma ha la barba.Per cui, nei giorni in cui ha fatto tanto caldo uno potrebbe dire: "Perché oggi fa tanto freddo?".Beh, come fa tanto freddo? fa caldo! Così uno potrebbe dire nello stesso tempo: "ma comeBodhidharma non ha la barba! La barba ce l'ha. Che sta a dire? mi sta prendendo in giro?".Sì Wakuan non ha alcuna intenzione di prendere in giro. Certamente non è questa la suaintenzione, vuole soltanto farci andare oltre. Le cose ovvie le sappiamo vedere tutti. Che fa caldo losappiamo tutti e tra l'altro poi alcuni comici usano il fatto della constatazione ripetuta a lungo, unmodo per far ridere la gente. Mi viene in mente un comico in un giorno di caldo che diceva: "Ahche caldo che fa", poi dopo: "Ah che caldo che fa”, poi riprendeva: "Ah che caldo che fa" Alla finegli spettatori ridevano sia per quello che diceva sia per come lo diceva. Questo può essere utilizzatoanche in questa maniera. E quando noi vediamo una persona particolare, strana perché è altissimae magra oppure ha qualcosa di particolare che risalta, mettiamo in risalto questa sua particolarità equesto può essere un modo di vederlo ... possiamo anche farlo mettendo in risalto il contrariodella sua qualità. Per cui vediamo una persona alta e magra, possiamo dire: "Guarda quello quantoè cicciotto! Sembra una palla." Questo ci stimola a vedere meglio quella persona. Così Wakuanvuole che noi, più che fermarci su quello che è di fronte agli occhi di tutti e che tutti quantipossono constatare da sé stessi e perciò non avrebbero alcun bisogno di andare a rivolgersi a unmaestro di ch'an, vuole colpirci, farci fermare, e il momento in cui ci fermiamo vuole farci ragionareda noi stessi e scartare da noi stessi l'ovvio e, naturalmente, cercare di penetrare in quello cheovvio non è. Ovvio non è apparentemente, perché poi il momento in cui noi abbiamo compresoentriamo di nuovo in un altro ovvio, in un'altra semplicità che è una semplicità di una categoriasuperiore a quella che dice: "Bodhidharma ha la barba”.I koan - noi ne abbiamo incontrati e ancora ne incontreremo - ci pongono di fronte proprioall'impossibile. Come quello del suono di una mano sola: come fa uno a esprimere il suono di unamano sola? Cosi quando ci troviamo di fronte a un caso come quello di Wakuan, siamo costretti afermarci e ad eliminare dalla nostra mente, in qualche modo, per mezzo della nostra pratica, lecategorie dell’ovvietà, quelle che dicono che quattro più quattro fa otto, quelle categorie

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dell'ovvietà che ormai non appartengono in maniera cosi meccanicistica - come esprime inmaniera chiara Capra, l'autore de "La Svolta"- ma si muovono in maniera indeterminata noncomprensibile secondo direzioni e direttrici che non sono spiegabili. Per cui il mondo della natura,che comprende tutto il mondo della fisica, della chimica, della biologia, non è meccanicamenteesprimibile, fino a un certo punto sì ma dopo non più. Noi dobbiamo riuscire ad entrare nellacondizione di comprendere e di vivere questo modo di muoversi, questo modo di essere dellanatura non meccanicamente quantificabile. E, naturalmente, questo è lo scopo per il quale cisiamo avvicinati alla pratica ch'an, perché addentrandoci in questo mondo se noi diventiamopadroni di noi stessi, viviamo in maniera completamente aderente allo scopo della creazione-possiamo chiamarla così - e naturalmente in grado di muoverci liberamente in questa creazione.Mumon nel suo commento dice: "L'addestramento zen deve essere vero addestramento. Il satorideve essere vero satori". Questo "vero" o "veramente” lo ripete continuamente. Infatti: "Dovetevedere da voi stessi questo straniero: allora lo conoscerete veramente. Se però parlate di 'vederechiaramente' siete già caduti nella dicotomia". 'Veramente’ addestrarsi, 'veramente’ illuminarsi,veramente conoscere lo straniero di cui parla. Ma veramente come? Veramente praticare significaandare oltre la pratica che dice: "Se faccio mezz'ora al giorno di zazen, quando sarà un mese avròfatto quindici o venti ore e con queste venti ore sopra altre venti ore io a un certo punto diventeròcapace di padroneggiare il mio respiro, dopodiché padroneggiato il mio respiro, sarò in grado difermare i pensieri che vengono alla mia mente e così, a un certo punto, andando avanti di questopasso riuscirò a raggiungere lo scopo che mi sono prefisso.Questo è l'addestramento meccanicistico, mentre noi - pur utilizzando naturalmente così comeutilizziamo l'automobile che è stata costruita da ingegneri, da tecnici e da operai che si basano sucalcoli che sono proprio quelli del due più due - così come utilizziamo questi mezzi qua,naturalmente utilizziamo anche le pratiche che appartengono alle categorie meccanicistiche, peròla nostra condizione mentale nell'applicarle, non deve essere quella meccanicistica, perché nellapratica vera, quella di cui parla Mumon, non c’è due più due, non c’è: tante ore di meditazioneuguale tante ore di comprensioni! No. Questo non avviene mai, non è assolutamente vero.E allora la nostra vera pratica deve essere quella che va oltre questo. Deve essere una pratica in cuidimentichiamo anche la pratica, in cui non siamo attaccati alla pratica, ci immergiamocompletamente in questa pratica, siamo la pratica dimenticandola, mettendola da parte.Questa pratica dà i suoi risultati quando scatta qualche cosa e questo qualche cosa che scatta nonpossiamo deciderlo da noi stessi, ma il momento in cui scatta, il momento in cui noi cominciamo arenderci conto, a entrarci dentro, cominciamo anche a scoprire i meccanismi che lo muovono edallora a muoverci liberamente nella pratica. Così appunto è il satori che deve essere una verailluminazione. Non ci dobbiamo accontentare di poco. Come ho detto all'inizio della sesshin,durante il ‘sesshin kokuho', certo, ci sono quelli che si rivolgono alle pratiche spirituali per avereuna tranquillità mentale o fisica e per poter risolvere i problemi giornalieri in maniera più semplicedi quanto non permetta la loro mente confusa e nevrotica. Potrebbe anche essere buono perquesto; però lo scopo del ch'an, il messaggio del Buddha, non è questo. Certo, se uno non è sano,da un certo punto di vista non può accedere a una pratica superiore. Però i maestri ch'an di tutte leepoche ci hanno sempre stimolato a fare il vero satori, non questa comprensione all'acqua di rose,quella che ci fa dire "Buon giorno" e "Buona sera” con un sorriso invece di dirlo con la faccianervosa. Quello sì, certo, a qualche cosa serve.Come dice qualche allievo di montagna, ‘tutto fa', ma non è questo lo scopo vero di un praticantedi ch'an. Il praticante di ch'an vuole fare il satori che sia il vero satori e non cade nella trappola didire - come poi dice Mumon: "Se però parlate di vedere chiaramente, siete già caduti nelladicotomia" - sta attento e quando parla e dice ‘vedere chiaramente' sa che questo dire ‘vedere

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chiaramente’ può farlo cadere nel suo opposto che è il non vedere chiaramente, o vedereconfusamente.La poesia: "Di fronte a un pazzo non parlare di un sogno”, anche se i pazzi sono quelli che sognanodi più probabilmente, “Lo straniero non ha la barba: vuol dire aggiungere stupidità alla chiarezza".Si vede tanto bene che ha la barba lo straniero e quello ci viene a dire che non ce l'ha. Alloracom'è? Ci ha presi per cretini? Mumon nelle sue poesie e nei suoi commenti mette sempre allaberlina le parole dei maestri, ed anche in questa, naturalmente, ci prova e riesce anche bene.La pratica della scuola Lin-chi è una pratica che in qualche modo - come tutte le altre praticheovviamente - non ha fine, però richiede da parte dei praticanti di non rilassarsi mai perché conquesti koan, sia da parte di chi è all'ascolto, sia da parte di chi è a dare la risposta, bisognacontinuamente lavorare e i koan non finiscono mai. Una volta arrivati alla fine, quando ci sembra diaverli veramente compresi, forse è il caso di ricominciare da capo e riprenderli e di nuovorimeditarci sopra, rilavorarci sopra per poterli approfondire ancora di più. In fondo anche se noiperò, per cause che ancora non ci sono note, tutti quanti noi siamo approdati in un luogo dove lapratica del ch'an è quella della scuola Lin-chi, vuol dire che questo seppure più faticoso, è quelloche ci piace di fare di più, è quello che ci interessa maggiormente. Certe volte possiamo pensareche forse sarebbe meglio starsene a fare soltanto zazen come fanno quelli delle altre scuole etranquillamente sommare le ore di pratica alle altre ore di pratica e vivere tranquillamente inquesta maniera. Anche se questo pensiero qualche volta ci può attraversare la mente, mi pare peròche la bellezza e la stravaganza e l'intelligenza di questi maestri come Wakuan e come Mumon, cipossano appagare dello sforzo che dobbiamo fare in più rispetto alla pratica del quieto stareseduti.

ESORTAZIONI FINALI 4 Settembre 1988

Tra gli allievi dell'ultimo corso di roccia ce n’è stato uno che chiedeva che gli fosse dato unattestato. Da un suo punto di vista era anche giusto che gli fosse riconosciuto da qualcuno quelloche aveva fatto e il grado di difficoltà, o il grado di preparazione che aveva raggiunto.Questo avviene in qualunque scuola noi frequentiamo, siano le scuole statali, siano quelle private oquelle in cui pratichiamo gli sport. I giapponesi stessi, con le loro arti marziali, danno le cinture divario colore per salire fino alla cintura nera e poi cominciano a dare i dan: primo dan, secondo dan,etc. etc ... - Questo senz'altro ha una sua importanza. Ma qui a Scaramuccia, quando uno viene apraticare durante una sesshin e poi se ne va, se ci fosse qualcuno che gli chiedesse un attestato dipartecipazione, che cosa gli si dovrebbe dire? Gli si deve dire almeno quello che è sempre statal'idea di questo posto, è che in questa pratica, che è la pratica fondamentale di ogni essere umano,gli attestati che sono forme di riconoscimento che appartengono ad una mentalità meccanicistica -scusatemi l'uso di questo termine in continuazione – non si usano perché questa pratica tende adandare oltre. Questa pratica si fa per sé, non per gli altri. Il momento in cui noi abbiamo compresoqualche cosa, il diploma ci viene così, spontaneamente e naturalmente, perché se uno noncomprende da sé e per sé, inizialmente, poi non è in grado di comprendere per gli altri e dare aglialtri, così come noi da praticanti della Via, praticanti della Via del Bodhisattva, siamo intenzionati afare. Allora, venire a una sesshin significa venire a praticare e praticare nella maniera in cui si possaottenere il più possibile realmente, non di quelle cose che si possono quantificare, ma di quellecose che possiamo soltanto noi apprezzare perché ci trasformano e cambiano completamente lanostra vita.

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Un allievo di un corso di montagna qualche tempo fa mi ringraziava per quello che aveva ottenutodurante quel corso, e io gli rispondevo che il ringraziamento era reciproco. Lui diceva: "Si, peròquello che si prende è sempre maggiore di quello che si dà". E io gli risposi che la nostra scuola nonè una scuola di commercianti dove c'è la bilancia che misura se uno prende tanto deve pagaresecondo la misura che ha preso.Si dà tutto quello che si può dare e se chi viene riesce a prendere di più di quello che dà, allora poia sua volta verrà il tempo in cui dovrà dare il più agli altri. Questo spirito, lo spirito di rapportarcicon gli altri, sempre nel dare più di quanto si riceve, spero che possiate ritornare nelle vostre casee continuare a vivere lo spirito - dico ancora questa parola - della sesshin. È molto difficile poi,ritornati nella confusione delle nostre città o dei nostri problemi quotidiani, riuscire a praticare conla calma con cui forse si riesce a praticare qui a Scaramuccia, ma quella è poi la prova alla qualedobbiamo sottostare, quella è vita dura in cui i problemi vanno risolti, anche momento permomento.Qui siamo a ricaricare le batterie, quelle batterie che servono per poi mettere in moto i nostrimeccanismi e rispondere adeguatamente alle sollecitazioni che ci vengono incontro.

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SESSHIN DI OTTOBRE 1988

SESSHIN KOKUHO 7 ottobre 1988

È la sesshin di ottobre ed entriamo nel periodo invernale. Ottobre è il mese in cui in Giapponecomincia la prima grande sesshin e comincia il periodo che durerà 100 giorni durante il quale imonaci rimarranno nel monastero per praticare in maniera completa. Qui da noi abbiamo questaoccasione, breve, una volta al mese e noi che viviamo qui regolarmente a Scaramuccia dobbiamoessere grati verso quelli che vengono perché ci permettono di praticare più intensamente diquanto facciamo normalmente durante i giorni della settimana. La gratitudine perché praticare piùintensamente significa lavorare con maggior determinazione alla comprensione e alla realizzazionedella propria reale natura di illuminazione.Se qualcuno ci chiedesse a bruciapelo qual’è lo scopo della nostra vita in ogni momento del giornoe della notte, in qualsiasi condizione noi ci dovessimo trovare, dovremmo essere pronti arispondere: ”Realizzare l’illuminazione”, perché non c’è altro scopo superiore a questo qui, anchese poi tra i tanti milioni di persone che vivono in Italia e nel mondo, quelli che danno corpo aquesto proposito sono pochi e pochi si radunano insieme agli altri, con un senso di gratitudinecome facciamo noi, per l’occasione di praticare insieme così profondamente. Vivremo questi duegiorni, spero, con uno spirito di ricerca intenso, senza permettere al mondo esterno di entrare nellanostra mente. Vuotiamoci completamente da quello che abbiamo lasciato fuori di questa porta,non permettiamo che entri nella nostra testa e con tutte le nostre forze dedichiamoci a questaindispensabile ricerca. Certo se da noi stessi non comprendiamo profondamente che l’unica cosache valga la pena di fare è quella di praticare per realizzare la buddhità, l’illuminazione, diventaredei Buddha. Per quanto possiamo agitarci, leggere, studiare, parlare, praticare, non riusciremo maiad alzarci di un millimetro. Tutto quello che faremo porterà sempre maggior confusione alla nostragià grande confusione. Ma il momento in cui decidiamo che il mondo così come è, nella confusioneche lo circonda - perché visto con gli occhi confusi non ha ragione di essere - allora, in quelmomento, dedicandoci a schiarire la nostra vista, ad aprire gli occhi, potremo vedere con lachiarezza che è propria degli esseri illuminati, la chiarezza del mondo. Se siamo chiari viviamo nellachiarezza, se siamo confusi viviamo nella confusione. Il primo proposito che dobbiamo fare èquello di uscire dalla confusione. La sesshin, per quanto breve, per quanto ristretta, per quantopovera possa essere da qualunque apparato, ci permette di lavorare in questa direzione e visto chesiamo venuti qui apposta, cerchiamo di farla il meglio possibile insieme. Hai!

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 ottobre 1988

È del Buddha Sakyamuni una bella frase che dice: “la mia dottrina è come l’oceano. Sulle sue rive cipossono giocare anche i bambini ma chi vuole prendere le pietre più preziose deve andare nelpunto più profondo”. Nel ch’an si è sempre enfatizzata la pratica distaccata da qualunquetradizione, da qualunque insegnamento, da qualunque testo sacro, malgrado ciò, tutti i discepoli sisono sempre rivolti ai maestri che rappresentano la tradizione e hanno approfondito lo studio deitesti, sia quelli che riportavano i discorsi dei maestri come pure quelli che vanno sotto il nome di‘sutra’, siano essi del theravada o del mahayana. Il punto fondamentale della pratica del Ch’an è certamente stare seduti e compiere gli esercizi diconcentrazione che permettano di relazionarci, di metterci in comunicazione con tutto ciò che è

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dentro di noi e fuori di noi. Ma questa pratica non raggiunge la profondità, si ferma soltanto sullerive se giornalmente, continuamente, noi non la nutriamo degli insegnamenti che ci giungononaturalmente dalla nostra vita quotidiana ma anche e forse soprattutto, dalla tradizione deimaestri del passato. Le due cose: la pratica della vita quotidiana, la pratica dello studio dei testi,queste due insieme, combinate, devono entrare nella nostra concentrazione che otteniamoattraverso il respiro e far scaturire quella comprensione della nostra reale natura di illuminazione.Che l’illuminazione, il satori, possa essere fatto in ogni momento del giorno e della notte,indipendentemente dal fatto che noi stiamo seduti a gambe incrociate o meno, questo è un fattoincontrovertibile. Ma questo sbocciare può avvenire soltanto se noi in continuazione abbiamolavorato il nostro terreno e concimato assiduamente con la ricerca continua, assidua, senza soste.Non si può essere praticanti se la nostra mente è presa dalle preoccupazioni terrene - ammessoche riusciamo ad accorgercene - dobbiamo fermarci e dire: “ma io, veramente, sono qui permangiare il gelato? Per discutere di questa cosa? Mi interessa veramente di vincere questo premioo chissà che altra cosa? Mi interessa veramente questo? Mi interessa veramente di correre conl’automobile? Mi interessa veramente di guadagnare tutti questi soldi? Qual è lo scopo principaledella mia vita, della vita che è oltre la mia vita e la vita di tutti gli altri?”.E se immediatamente non siamo in grado di rispondere: “Fare il satori”, allora stiamo sicuramenteperdendo tempo.

MUMONKANCASO n. 5 “L’UOMO SULL’ALBERO DI KYOGEN”(pag. 60)______________________________________ “Il maestro Kyogen disse: “E’ come un uomo su un albero appeso a un ramo con la bocca; le suemani non arrivano ad afferrare nessun ramo e con i piedi non arriva a toccare l’albero. Sottol’albero arriva un altro uomo e gli chiede il significato della venuta di Bodhidharma dall’occidente.Se non risponde non va incontro al bisogno di quell’uomo. Se risponde perde la vita. In quelmomento in che modo dovrebbe rispondere?”.

COMMENTO DI MUMON

Anche se la vostra eloquenza fosse fluente come un fiume sarebbe del tutto infruttuosa. Enemmeno saper spiegare il grande Tripitaka è di alcuna utilità. Se veramente sapete rispondererisusciterete il morto e ucciderete il vivo. Se invece non riuscite a rispondere aspettate che vengaMaitreya e rivolgetevi a lui.

POESIA DI MUMON

Kyogen sta solo borbottando;Com’è cattivo il suo veleno!Tappando la bocca ai monaciFa luccicare i loro occhi di diavoli!

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TEISHO 8 ottobre 1988

Andiamo avanti in questo esame dei 48 casi del Mumonkan, raccolti dal maestro Mumon Ekai eabbiamo il caso - famoso anche questo come gli altri precedenti – di Kyogen e di quello che staappeso con i denti ad un ramo di un albero. Il problema è: se qualcuno gli fa una domanda, se stazitto non va bene, se risponde non va bene. Perché? Perché precipita! Se sta zitto non va bene percolui che gli pone la domanda.Abbiamo anche tantissimi altri casi di questo genere. Il maestro Tokusan diceva: “se non rispondetetrenta colpi, se rispondete trenta colpi”. Altri possiamo pensarli anche da noi e se ci fermiamo apensare attentamente sorgono nella nostra mente casi del passato che appartengono a noi,durante i quali ci siamo trovati nella stessa situazione. Uno ci chiede dei soldi, se non glieli diamo cirimane male ma se glieli diamo rimaniamo senza i soldi noi e non possiamo comperare quello dicui abbiamo bisogno; oppure: siamo in montagna, abbiamo un goccio d’acqua se uno ce la chiedefinisce e non possiamo berla noi ma se non gliela diamo naturalmente quella persona che habisogno dell’acqua ci rimane male.E così quanti sono i casi che possiamo enumerare e che tutti noi abbiamo incontrato nella nostravita! E come affrontarli questi casi? Come porci nei confronti di questi problemi nella manierach’an? Il commento di Mumon, cioè il suo poema, dice: “Tappando la bocca ai monaci fa luccicare iloro occhi di diavoli!”. Il diavolo stesso si racconta che una volta pose un problema allo stesso dio egli disse: “dovresti costruire, visto che sei Dio e puoi fare tutto, crea una montagna così alta che tunon puoi superare”. Ecco qua: Dio doveva creare una montagna altissima, la più alta possibile, peròse non la superava voleva dire che c’era qualcosa che non sapeva fare e perciò cadeva incontraddizione e il diavolo, proprio perché è un diavolo che ama creare dei problemi agli esseriumani e tanto più a Dio che di questi esseri è il responsabile, naturalmente ne ha goduto molto.Ci troviamo in continuazione di fronte a questi paradossi o di fronte a semplicissimi problemi cheperò forse, visti dagli altri sarebbe semplice dire: “Fai così o fai in quell’altro modo” ma quando noici troviamo di fronte a una situazione e il problema è nostro, non riusciamo a prendere la decisioneper risolverlo in un modo o nell’altro e spesso, come tante volte succede, rispondiamo ‘ni’ per nonsaper dire né no né si. Mumon nel suo commento dice: “Anche se la vostra eloquenza fossefluente come un fiume sarebbe del tutto infruttuosa”, certo! E poi: “e nemmeno saper spiegare ilgrande Tripitaka è di alcuna utilità”. Come uno che va in giro per Roma, si ferma al semaforo earriva il polacco che gli pulisce il vetro. Gli dispiace di dire al polacco di non pulirlo perché quello èun poveraccio come siamo dei poveracci pure noi e ha bisogno di guadagnare quelle 200 ocinquecento lire che gli si danno, però nello stesso tempo gli scoccia che ci siano quelli che loassalgono e lo costringono a farsi lavare i vetri della macchina. Il semaforo è talmente veloce chescatta, allora lì in quel momento ci sono le volte in cui ci viene la voglia di dire: “no, è pulito” e lavolta in cui invece vince quella specie di compassione - che poi non è una compassione - operlomeno di senso di solidarietà nei confronti di queste persone costrette a vivere, per unaqualunque ragione, fuori dal proprio paese, quasi chiedendo l’elemosina, e gli si dice:” sì, sì, lava,lava”. Gli diamo le 500 lire e ci mettiamo a posto la coscienza. Come si fa? Uno non può parlare ecome dice Mumon qui: “Se anche la vostra eloquenza fosse fluente come un fiume sarebbe deltutto infruttuosa. Se veramente sapete rispondere, risusciterete il morto e ucciderete il vivo. Seinvece non riuscite a rispondere aspettate che venga Maytreia e rivolgetevi a lui”. E questa anche èmolto bella. Se non si sa rispondere non si sa che fare, cioè perché per quanto riguarda quello cheè appeso con i denti significa aprire i denti, per cui fare una delle due cose che si possono fare. Senon si sa cosa fare bisogna aspettare Maytreia, il Buddha dell’avvenire; fra 2500 anni viene e gli sidice: “Maytreia, che dovevo fare in quell’occasione?”. Dante, naturalmente, ci spedirebbe

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nell’inferno in mezzo a quelli che non sono capaci di decidere. Noi, andando avanti nella nostra vita- andando avanti è un modo di dire - comunque vivendo, trascorrendo le nostre giornate daquando ci alziamo al mattino a quando arriviamo alla sera, abbiamo da risolvere questi problemi eper questi problemi non c’è un modo unico di essere risolti. C’è senz’altro da fare che a risolverlinon sia la nostra mente, la nostra fluente erudizione o eloquenza. Non sia il ragionamento che cidice: “Se presto i soldi a questo, siccome è una persona onesta, può darsi che me li ridia e io per ungiorno posso stare senza e probabilmente lui (o lei) domani me li ridà e così va bene, io riesco avivere e a lui do una mano”. La risposta che dobbiamo dare a queste domande che ci vengono,non deve essere una risposta razionale ed i maestri non si aspettano la risposta razionale. Potrebbeessere, per quanto riguarda l’uomo che passa sotto l’albero di Kyogen che se ci arriviamo a portatagli diamo un calcio in modo che stia zitto e non rompa le scatole a uno che ha già tanti problemiper conto suo, che deve cercare di rimanere appeso il più possibile per salvarsi la vita e lui gli vienea dire di Bodhidharma e della sua venuta dall’occidente! Ma quello che noi dobbiamo fare èsoltanto rispondere dal profondo del nostro cuore, quando per cuore intendiamo la sede dellanostra reale natura. Se noi lasciamo che sia la nostra reale natura, che sia la nostra buddhità ochiamatela pure Maytreia a rispondere - perché anche se i testi dicono che Maytreia verrà tra 2500anni, Maytreia è qui nel senso che la buddhità è a portata di mano, è in ognuno di noi ed èrealizzabile in ogni momento - se noi lasciamo che a queste domande che ci vengono poste incontinuazione risponda Maytreia, senz’altro la risposta sarà quella giusta. In un senso o nell’altro, eanche nell’altro senso che ci potrebbe essere una terza risposta che è quella del silenzio, cioè didire: “Non so prendere una decisione”, che poi non è ancora la risposta!Ha ragione Mumon a dire: “Kyogen sta solo borbottando; com’è cattivo il suo veleno!”. Senz’altro diquesto veleno, di queste prove come quella di Kyogen, noi ne abbiamo da sopportare tante ed ègiusto che le dobbiamo sopportare perché sono quelle che ci fanno crescere, sono quelle che cifanno arrivare a comprendere. Se non ci fossero questi problemi irrisolvibili da dover risolvere,cammineremmo piatti sulla strada piatta e naturalmente non riusciremmo mai a vedere l’alba dallacima della montagna, non riusciremmo a vedere al di là di tutte le nuvole che ci sono in genere nelfondo valle.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 8 ottobre 1988

Nei giorni normali, qui a Scaramuccia, il kaijan, la tavola di legno di fronte allo zendo, viene battutoalle 7 di sera. A quell’ora in casa guardano la televisione ed io non lo sento mai bene. Anche questasera, alle 21, sono uscito un po’ prima perché altrimenti - specialmente adesso che c’è mia madre -non avrei potuto sentire il battito e scendere in tempo; sono uscito e l’ho ascoltato da fuorichiaramente. Immediatamente ho rivisto il tempo in cui stavo in Giapppone dove si batte più diuna volta al giorno, ma quello che viene sentito di più da tutti i monaci è quello delle 6 di sera,d’inverno, dopo la prima ora di meditazione. Ci si siede dalle 17 alle 18 e i monaci in genere, nellozendo sono già seduti da mezz’ora (è un’ora e mezza di seguito seduti) e quando arrivano le 18 esuona un colpo di campanella (inkin) non ci si può ancora muovere, il jikijitzu esce e batte il kayian,talvolta lentamente - e questo è molto doloroso aspettare che finisca di battere - rientri dentro,suoni il taku e dica: “kinhin”.Allora ci si può muovere, si può uscire e soprattutto d’inverno si può andare al gabinetto enaturalmente muovere anche le gambe.

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Alle 18 suonava una sirena che segnava forse, la fine del lavoro in una fabbrica. Noi sentivamoquesta sirena e subito il jikijitzu suonava l’inkin. E pensare che gli operai finivano di lavorare in quelmomento! In città la vita notturna ancora non iniziava. Noi avevamo cominciato a sederci alle16,30 e cominciavamo un viaggio che sarebbe durato almeno fino a mezzanotte, durante le grandisesshin o fino al mattino a seconda di quanto tempo si doveva restare fuori.Anche qui, ho pensato, è bello rimanere seduti quando sembra che ci siano dodici milioni dispettatori fissati su una trasmissione del sabato sera e altri milioni sparsi sulle altre reti delletelevisioni private e pubbliche, e una decina di persone sedute a gambe incrociate ad aspettare -qualcuno anche con ansia - il campanello così come lo facevamo noi in Giappone, soprattutto altempo in cui io ero all’inizio della mia pratica. Non ci sono differenze; tutti quanti noi, chi staseduto in una sala di meditazione, come chi sta seduto in poltrona a vedere la televisione, tuttiquanti noi, in qualche modo autonomamente, scegliamo di vivere la nostra vita ma bisognerebbechiedersi - come ho già detto altre volte - se veramente abbiamo scelto autonomamente di viverequesta vita che stiamo vivendo. Queste azioni quotidiane che giorno dopo giorno compiamo, levogliamo compiere veramente oppure siamo schiavi della tradizione, siamo schiavi del cantoammaliatore delle sirene, si chiamino esse televisione, giornali o chissà che cosa altro? Se facciamoqualcosa non perché le sirene - nel senso delle sirene ammaliatrici di Ulisse - ci invitano a farloallora possiamo tranquillamente continuare sulla nostra strada e certamente questa strada porteràa quella grande libertà del satori, dell’illuminazione, della realizzazione della nostra vera natura;diversamente saremo uno o una dei dodici milioni che sabato sera ha visto la trasmissione con ilcerto presentatore e quell’altra certa attrice.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 9 ottobre 88

E’ importante che ogni mattina si legga una pagina del ‘Vimalakirti Sutra’ perché attraversoquell’insegnamento noi riusciamo in qualche modo a penetrare maggiormente nella complessitàdell’insegnamento buddista. Vimalakirti, così come è avvenuto già nel testo di Lin chi, è capace dicostruire e di distruggere con la stessa mano. Fortunatamente noi abbiamo la pratica delmonastero, la pratica insieme durante le sesshin, anch’essa così completa, così in grado attraversotutte le sue manifestazioni, di presentarci così concentrato un esempio del Dharma, della Legge.Ogni attività del monastero è stata ideata e sviluppata proprio perché il discepolo attraverso questeattività possa sviluppare nella maniera migliore possibile, aumentando la sua forza e nello stessotempo liberandosi di tutte le proprie debolezze e contemporaneamente mettendo sempre indiscussione sé stesso, vedendo anche gli altri che si comportano come sé stesso.E’ molto importante che noi, durante i periodi in cui viviamo a Scaramuccia, l’unico luogoattualmente alla nostra portata per poter praticare questa disciplina, ci dedichiamo con la stessaapplicazione a tutte le attività nessuna esclusa, anche a quelle che possono sembrare banali, anchea quelle che possono sembrare superficiali.Qualunque attività che noi svolgiamo ha una sua funzione, sia essa di accrescimento della nostracomprensione oppure di sfoltimento della nostra ignoranza. Non soltanto sederci in meditazionema anche lo svegliarci, ancora prima di sederci in meditazione, anche naturalmente recitare i sutranella maniera in cui pratichiamo la meditazione. Attenti ad ogni parola perché ogni parola, ognifrase, diventi nostra e non si perda la concentrazione; così come nella recitazione delle cose initaliano, attenti al significato e se noi siamo realmente compresi di quello che stiamo dicendo. E via

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via nel lavoro, nel mangiare, nel bere il thè, nel parlare, nel camminare, nel fare il bagno. Tuttoquesto ha una ragione e noi dobbiamo riuscire a trovare questa ragione, a farla nostra e una voltacompresa la funzione di quell’atto, naturalmente, renderlo perfetto.C’è tanto lavoro da fare. Partecipare alla sesshin è l’inizio di un tragitto molto lungo che ci portaattraverso tutto l’universo e le distanze vengono misurate in anni luce, anche se basta aprire gliocchi e abbiamo tutto l’universo aperto di fronte a noi.

MUMONKANCASO n. 6 “SAKYAMUNI MOSTRA UN FIORE”(pag. 64)______________________________________

Molto tempo fa, quando l’Onorato nel Mondo si trovava sul Monte Grahrakuta per fare undiscorso, mostrò un fiore all’assemblea. Tutti rimasero zitti. Solo il venerabile Kasho si aprì in unsorriso. L’Onorato nel Mondo disse: “Io ho il Vero Dharma che pervade ogni cosa, l’incomparabileNirvana, l’insegnamento perfetto della forma senza forma. Esso non fa assegnamento sulle lettereed è trasmesso al di fuori delle scritture. Adesso lo consegno a Maha Kasho.

COMMENTO DI MUMON

Gotama dal volto giallo è veramente immorale. Egli trasforma il nobile nell’umile e vende carne dicane offrendola come testa di pecora. Pensavo che ci fosse qualcosa di interessante in questo. Seperò in quel momento tutta l’assemblea avesse sorriso, a chi sarebbe stato consegnato il veroDharma? O ancora, se Kasho non avesse sorriso il Vero Dharma sarebbe stato trasmesso? Se diteche il Vero Dharma può essere trasmesso, il vecchio dal volto giallo alzando la voce ingannò isemplici abitanti del villaggio. Se dite che non può essere trasmesso, allora perché solo Kasho fuapprovato?

POESIA DI MUMON

Mostrando un fioreIl segreto è rivelato.Kasho si apre in un sorriso:L’intera assemblea non sa cosa fare.

TEISHO 9 ottobre 1988

Noi recitiamo tutte le mattine “Mahakasho sonja”, il primo successore dopo Sakyamuni, nella lineadella scuola Ch’an-zen giapponese. Egli è colui che ha ricevuto il sigillo della trasmissione in questomodo riportato dal koan, Maha-kasyapa, uno dei primi discepoli del Buddha Sakyamuni, che poisuccessivamente lascerà il sigillo ad Ananda e così via tutta quella sfilza di nomi che noi

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conosciamo a memoria e che arriva - per quanto ci riguarda - al Maestro Mumon, non ancorarecitato perché vivente ma fino al suo maestro Seisetsu Genshoo. Ecco un sistema di trasmissionecome questo è senz’altro unico, particolare, speciale. Infatti il Buddha stesso dice: “questoinsegnamento non fa assegnamento sulle lettere ed è trasmesso al di fuori delle scritture.L’insegnamento perfetto della forma senza forma, il Vero Dharma che pervade ogni cosa,l’incomparabile Nirvana”. Questo episodio è uno degli episodi più misteriosi possiamo dire, perquanto riguarda la lettura dei testi classici, perché anche Mumon nel suo commento si pone delledomande che sono le stesse che potremmo porci noi. Soltanto Mahakasyapa ha sorriso. Va bene,allora? Perché gli altri non potevano sorridere tutti? Che cosa c’era di speciale in questo fiore che ilBuddha ha sollevato e che ha fatto sì che Mahakasyapa sorridesse? C’era qualcosa di speciale nelfiore o qualcosa di speciale su come il Buddha lo aveva alzato? Oppure si riferiva alle parole che ilBuddha stava dicendo e con esse il fiore dava quel sigillo, quella ufficialità che gli altri non sonostati in grado di vedere e che invece Mahakasyapa ha visto? Per quanto riguarda quanto dice ilBuddha e cioè “il vero Dharma quello che pervade ogni cosa, l’incomparabile Nirvana,l’insegnamento perfetto della forma senza forma”, certamente non si può vedere un altro modo dicomprensione che non sia quello di uno sguardo che coglie un altro sguardo. Non sono queste quidelle entità che possono essere trasmesse e che possano essere fatte comprendere agli altri cosìcome noi facciamo con qualunque altro tipo di scienza, possiamo dire, come ad esempio possiamodire agli altri: “Questo risultato si ottiene sommando questa cifra a quest’altra cifra oppuresommando questi kili a questi altri kili, e noi otteniamo…”. La forma senza forma! Se è uninsegnamento perfetto della forma senza forma a che cosa ci possiamo attaccare per poterlaspiegare? Questi problemi di incomunicabilità di esperienze non esistono solo per i mistici, perquelli che si dedicano a queste pratiche spirituali ma esistono anche per gli artisti sicuramente eper un certo tipo di scienziati quali gli astronomi, gli scienziati della fisica delle particellesubatomiche, probabilmente anche dei chimici, di quelli che hanno accesso in qualche modo adelle conoscenze che però presentano certi movimenti della natura incomprensibili e inspiegabiliche possono però essere soltanto intuiti e che, naturalmente, non possono poi successivamenteessere spiegati. Allora il Buddha ha qualche cosa che non si può spiegare. Come può trasmetterlo aMahakasyapa? Questa trasmissione può avvenire perché in quel momento Mahakasyapa haraggiunto la stessa lunghezza d’onda di comprensione del Buddha. Noi possiamo parlare conqualcun altro se l’altro parla la lingua che parliamo noi. Se noi parliamo italiano, chi parla italianopuò capire le parole che diciamo; non è detto che capisca il senso di quello che diciamo perché aseconda di come noi parliamo diamo alle nostre parole un senso diverso a seconda di come stiamoe di quello che vogliamo veramente dire. Per cui c’è una lettura tra le righe e una lettura diretta,letterale. Comunque, noi possiamo parlare con quello. Il momento in cui noi vogliamo veramentecomunicare, bisogna parlare la stessa lingua e bisogna stare sullo stesso piano di comprensione.Bisogna avere qualche cosa di uguale, qualche cosa affinché questo contatto possa essere stabilito.Spesso ci mettiamo in tanti di fronte ad una opera d’arte, di fronte ad uno spettacolo della natura,di fronte ad un qualunque altro spettacolo: alcuni lo vedono in un certo modo, altri in un altromodo. Lo spettacolo è sempre quello, è lo stesso, dovrebbe comunicare un qualche cosa, però perognuno di quelli che osservano la comunicazione è diversa. Lo stesso avviene per il Buddha che staparlando e sta esprimendo il Dharma. Il Buddha appena apre la bocca o anche in silenzio, soltantoguardando, esprime il Dharma. Gli altri discepoli non sono in grado di vedere quest’espressione delDharma, l’unico in quel momento in grado di farlo è Mahakasyapa il quale anche lui sta recependo,sta assorbendo questo Dharma, ne è pieno, e il Buddha si accorge di questa sua pienezza e capiscela sua capacità di poter - così come lo fa il Buddha - essere pieno di Dharma tanto da poterlo poitrasmettere anche agli altri.

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Nel Ch’an la trasmissione avviene da Maestro a discepolo. Il maestro decide chi tra i suoi discepoliè pronto perché a sua volta possa poi trasmettere questo sigillo del Dharma ricevuto dal BuddhaSakyamuni. E naturalmente questo può essere compreso soltanto dal maestro. Non può avvenireper elezione, come per quanto riguarda le associazioni o altri tipi di regole monastiche in cui c’èuna elezione tra i membri della comunità (o della associazione) e la maggioranza decide chi deveessere il successore. Qui l’unico in grado di capire veramente è il maestro, il quale decideautonomamente chi è colui o coloro che sono in grado di comunicare direttamente, di ricevere unadiretta comunicazione, di riceverla e a loro volta saperla poi trasmettere. Infatti, nei monasteri zengiapponesi, nei monasteri Rinzai, sono richiesti tre requisiti fondamentali, basilari, perché si possapoi acquisire il titolo di maestro e successivamente trasmetterlo: la pratica sufficiente nelmonastero, una conoscenza dei koan ritenuta sufficiente dal maestro e avere fatto il satori. Se nonci sono questi tre requisiti, a differenza - e non tanto perché si debba giudicare un’altra scuola - adifferenza di quello che avviene per esempio nella scuola soto, dove è sufficiente una permanenzacontinuativa nel monastero per un certo numero di anni, dieci normalmente, perché quellapersona possa poi ottenere il titolo di Maestro. Nel monastero Rinzai in Giappone si può stareanche trenta anni, quaranta anni o cinquanta anni, magari avere i requisiti che riguardano lapermanenza nel monastero e il superamento dei koan ma se non si ha quello dell’avvenuto satoriregistrato e documentato dal proprio maestro la trasmissione non avviene. Questo è moltoimportante e questo naturalmente ha permesso che attraverso le età si siano succeduti quegli 83nomi che noi leggiamo tutte le mattine.Il commento di Mumon è come al solito provocatorio: “Gotama dal volto giallo è certamenteimmorale. Egli trasforma il nobile nell’umile e vende carne di cane offrendola come testa di pecora.Pensavo che ci fosse qualcosa di interessante in questo. Se però in quel momento tutta l’assembleaavesse sorriso a chi sarebbe stato consegnato il Vero Dharma?” Beh, questo è un problema che noici possiamo porre ma dobbiamo chiederlo al Buddha perché era lui che poi doveva decidere,probabilmente a tutti. “O ancora, se Kasho non avesse sorriso, il Vero Dharma sarebbe statotrasmesso?”. Avrebbe avuto probabilmente la pazienza di aspettare che Kasho diventasse un po’più anziano, più maturo. “Se dite che il Vero Dharma può essere trasmesso, il vecchio dal voltogiallo alzando la voce ingannò i semplici abitanti del villaggio. Se dite che non può esseretrasmesso allora perché solo Kasho fu approvato?” e questa è un’altra contraddizione chenaturalmente viene sempre in superficie, che è quella della trasmissione del Dharma, il VeroDharma che si trasmette. Ora, il vero Dharma che pervade ogni cosa, se pervade ogni cosa, non sivede come possa essere trasmesso in quanto già c’è e già è in ognuno di noi, non solo in noi ma intutto l’universo, è la legge che pervade la Legge perché la Legge è tutto. Allora come si fa atrasmettere questo qualche cosa, come si può lavorare per la trasmissione, per la diffusione delDharma? Eppure si può lavorare - e questo infatti è un gioco di parole - si può lavorare perché ci siada parte di tutti gli esseri viventi la comprensione che il Vero Dharma è pervadente ogni cosanell’universo. Questa comprensione non c’è da parte nostra e infatti - è questa la nostra ignoranza -quella di non vedere come il Dharma sia presente di fronte ai nostri occhi e lavori incessantementeper il bene o il male - e qui non c’è questa discriminazione - perché l’universo esista, bene o male,giustamente, secondo la Legge naturalmente. “Mostrando un fiore il segreto è rivelato. Kasho si apre in un sorriso: l’intera assemblea non sa cosafare”. Non è l’intera assemblea, ce n’è uno per cui l’intera assemblea meno uno non sa cosa fare.Ma ne basta uno, ne è bastato uno, è stato sufficiente perché quel fiore arrivasse a profumareanche, volendo, le nostre sedute di zazen.

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ESORTAZIONE FINALE 9 ottobre 1988

Spesso durante il tempo della vendemmia abbiamo avuto delle giornate belle come questa che c’èoggi ed anche delle nottate belle, sebbene fresche, come quella che è appena passata. Questebelle giornate ci fanno pensare che vada tutto bene. Se c’è da mangiare, come dice la canzone,bastano un paio di scarpe nuove e si può girare tutto il mondo.Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sulla crisi della civilizzazione, la crisi dell’umanità in questomomento, e se noi scorressimo le pagine dei giornali, avremmo di che scrivere abbondantemente.Soprattutto per quanto attiene a quelli che si avvicinano alle pratiche spirituali soprattuttoorientali, sono normalmente provenienti da aree legate all’ecologia, alla macrobiotica, allamedicina alternativa e naturalmente hanno di che parlare contro l’inquinamento atmosferico, deglialimenti, della terra, dell’acqua, contro l’uccisione degli animali, contro lo scarico dei rifiuti, controil non riciclaggio delle materie prime e via dicendo. Altri, più politicizzati potrebbero senz’altrovedere come ci sia una crisi di un certo tipo di politica soprattutto una crisi del capitalismo che haportato allo sfruttamento intensivo delle risorse di tutto il mondo e d’altra parte, l’incapacità delmovimento socialista mondiale di porsi realmente come alternativa a causa degli errori che sonostati fatti da alcuni dei capi del passato. Perciò motivi per poter parlare della crisi ce ne sono tanti,ce ne sarebbe a sufficienza e basterebbe enumerarli tutti e dire “la salvezza è soltanto nella praticaspirituale”. Lo zen si pone come alternativa a tutto questo perché per mezzo dello zen si puòpenetrare nell’essenza e vedere (così come dice la prajna paramita) che tutto il mondo, tutta laforma è vuoto e automaticamente anche il vuoto è forma e naturalmente prendere una distanzada tutti gli attaccamenti che possono venire dal mondo e dalla forma così come noi vediamo. Maquesto è abbastanza facile solo che noi non vediamo, da parte dell’umanità che si rende conto diquesta crisi, un atteggiamento così chiaro, così responsabile, che si rivolga a modificare dall’inizio,in ogni persona, a modificare completamente la visione che si ha del mondo e vedere che la crisi dicui parliamo è una crisi apparente perché se la forma è vuoto, anche la forma in crisi è vuoto, tuttoquanto appunto è vuoto e questo si può vedere soltanto se c’è una comprensione da parte nostradella realtà così come è. Altrimenti il lavoro che noi facciamo è soltanto di mettere dei pannolinicaldi, di rattoppare qualche sbrego e non modificare non tanto il mondo che non va modificato - ilmondo pensa da sé a sé - ma modificare quelli come noi, noi stessi che vediamo il mondo in crisi.Anzi, dovremmo essere contenti di questa crisi perché ci fa vedere della vacuità di tutte le cose,della inutilità dell’attaccamento al mondo.Però in un giorno bello come questo, in una notte bella come quella trascorsa, probabilmente èmeglio di giorno starsene al mare a prendere il sole o in montagna ad arrampicare, o sui laghi o suifiumi o dovunque sia a fare passeggiate che starsene a modificare il mondo seduti a gambeincrociate, in un piccolo posto in cima ad una anonima collina nell’Umbria.Dobbiamo capire questo. Due giorni di sesshin forse non sono stati sufficienti? Chissà! Senz’altrohanno messo un seme o per chi continua a praticare il seme già era messo ed è stato ancoraaiutato con del concime. Ma dobbiamo sforzarci di andare oltre la visione che l’umanità in generaleha delle crisi e vedere che la crisi dell’umanità è una crisi dell’essere umano, e l’essere umano da séstesso può risolvere qualunque crisi, perché può andare oltre. Noi possiamo fare a meno delmondo, del mondo con tutte le sue crisi. Possiamo fare a meno del mondo e per cui stabilire unmondo migliore, puro, chiaro, come vogliamo noi, diverso da quello nel quale invece siamocostretti a vivere.Ecco, l’augurio è che tornando a casa si sia in grado di continuare a stabilire nel proprio cuore unmondo migliore.

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SESSHIN DI NOVEMBRE 1988

SESSHIN KOKUHO 4 novembre 1988

Questa è la prima sesshin dell'inverno. Il freddo, con le lunghe e calde giornate di ottobre,pensavamo non dovesse più arrivare. È arrivato il freddo così improvviso e così pungente per noiche non ci siamo più abituati dopo tanti mesi di bel tempo e di sole. Ma sono tante le cose chearrivano quando meno ce l'aspettiamo, anche se sappiamo che stanno per arrivare. Ogni meseabbiamo questo appuntamento per ritrovarci insieme per lavorare alla nostra chiarezza e conquesta, lavorare alla chiarezza del mondo. Eppure questa scadenza che avviene con tantaregolarità per qualcuno invece non esiste, pensa di poter rimandare, di poterla fare in tempimigliori. Sono tante le cose che rimandiamo di fare per farle in un momento in cui pensiamo disentirci meglio e poi improvvisamente arriva il freddo, il freddo che non ci aspettavamo easpettavamo nello stesso tempo e ci coglie così impreparati. La vita à fatta di tante scadenze chenoi cerchiamo di rimandare con ossessione, eppure queste scadenze arrivano in un momento espesso, purtroppo, ci trovano impreparati. L'unica preparazione che dobbiamo fare, naturalmente,è quella di liberarci da qualunque preoccupazione, vedere la vita e prima ancora della vita, lanostra essenza per quello che è. Il momento in cui abbiamo chiaro che cosa noi esattamente siamoe qual'è lo scopo del nostro passaggio in questo pianeta, in questo corpo, in questo paese, alloranon abbiamo paura né del freddo che può venire dall'universo, né di tutte le altre difficoltà chepossono venirci incontro, perché siamo in grado di vivere liberamente, distaccati da qualunque diqueste difficoltà. Queste difficoltà appartengono soltanto alla nostra mente e la nostra mente cosìcome le costruisce è anche in grado di farle sparire. Dobbiamo riuscire ad ottenere la chiarezzadella nostra mente, la comprensione che ci permetta di vedere le cose per quelle che veramentesono: irreali, fondamentalmente vuote. Il Buddha Sakyamuni - lo leggiamo nel sutra di Vimalakirti ecome spesso abbiamo sentito ripetere dai maestri del passato - ci esorta a vedere questo vuoto incui noi ci muoviamo e di cui noi stessi facciamo parte. Il vuoto non genera attaccamento e il nongenerare attaccamento significa essere liberi di muoversi in qualunque direzione di stare inqualunque situazione. Queste ore che passiamo insieme – non facciamo che parlare di giorni -passeremo insieme delle ore molto intense sicuramente, a Scaramuccia si cerca, in qualche modo,la chiarezza, si cerca di fare il lavoro di aiutare tutti gli esseri nel modo migliore possibile, anche segli esseri che vogliono fare il lavoro di vedere chiaramente in se stessi poi si riducono a pochedecine, ma questo non importa.Ciò che importa è la nostra voglia di essere, la nostra voglia di essere insieme, di farel'illuminazione, l'illuminazione che è così a portata di mano.Lavoriamo queste ore che siamo insieme, col freddo dell'inverno, nella solitudine dei nostri cuscini.Lavoriamo insieme per raggiungere questa illuminazione e soddisfare il quarto dei quattro voti.

MUMONKANCASO n. 7 “JOSHU DICE: "LAVA LE CIOTOLE”(pag. 73)______________________________________

Una volta un monaco fece una richiesta a Joshu: "Sono appena entrato nel monastero", disse. "Viprego di darmi insegnamenti, Maestro".

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Joshu disse: "Hai fatto colazione?". "Sì”, rispose il monaco. "Allora", disse Joshu, "lava le ciotole". Ilmonaco ebbe un'intuizione.

COMMENTO DI MUMON

Joshu aprì la bocca mostrando la cistifellea e rivelando il cuore e il fegato. Se questo monaco,ascoltandolo, non è riuscito ad afferrare la verità ha confuso una campana con una pentola.

POESIA DI MUMON

È talmente chiaroChe serve di più per giungere alla sua realizzazione.Se sai subito che la luce della candela è un fuoco,Il pasto è già cotto da molto.

TEISHO Novembre 1988

Il Mumonkan, che è la raccolta dei quarantotto koan messa insieme da Mumon Ekai in Cina,raccoglie numerosi episodi che riguardano Joshu.Infatti, già dal primo caso, quello del "MU di Joshu", quello che apre il Mumonkan e che gli dàquasi il titolo, è uno dei koan più importanti della nostra scuola, importanti di per sé perché sono diquelli usati all'inizio per il kensho, per l'apertura dell'occhio che comprende la propria reale natura,importanti proprio perché detti da Joshu, questo maestro che ha una sua caratteristica consistenteproprio nel fatto di aver lasciato dei koan che sono basati più che sui gesti eclatanti chenormalmente definivano i maestri ch'an del passato, sulla semplicità, sulla stravaganza, o sullachiarezza delle parole con le quali risponde ai quesiti che spesso gli venivano posti, spesso ocomunque in gran quantità, perché essendo vissuto fino a centoventi anni circa, di persone che glifacevano domande ne deve aver incontrate veramente tante.Questo, secondo me, è uno dei più belli, con il monaco che va a chiedergli insegnamento, e la suarisposta non si potrebbe dire altro che una risposta di Joshu. Di persone che vanno a chiedereinsegnamenti ai maestri ce ne sono state nel passato, ce ne sono al presente e probabilmente cene saranno ancora perché da parte di ognuno di noi - a meno che non ci sia un miracolo mondialeche permetta a tutti quanti di comprendere e di realizzare l'illuminazione - ci saranno sempre diquelli che vorranno se non altro imparare più di quello che sanno, e questo stimolo potrà venireloro senz’altro dal vedere quelli che sanno fare qualcosa meglio di quanto lo sappiano fare essistessi. Allora verrà la voglia di andare da queste persone e chiedere loro di renderli partecipi dellaloro conoscenza, cioè di insegnare quanto sanno padroneggiare nella propria arte.Qui, il momento in cui il monaco si rivolge a Joshu, naturalmente siamo al voler padroneggiarel'arte più alta che ci sia, cioè svegliarsi alla propria reale natura, fare l'illuminazione, diventare unocon la natura iniziale nella creazione. Allora, naturalmente, per il monaco è una domandaimportante, la più importante che possa chiedere per poter realizzare quello che vuole. Non ècome andare da un maestro di musica e dirgli "mi insegni uno strumento", o da un maestro didanza, di pittura, di qualunque altra arte o sport. Noi abbiamo la nostra vita, importante, cheviviamo con certe condizioni che riguardano la nostra presenza nel mondo, i nostri doveri neiconfronti degli altri e di noi stessi, quello che siamo e quello che vogliamo diventare, e queste sonole cose fondamentali. Dopo abbiamo quello che potremmo chiamare gli hobbies, quelle attività

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che servono ad accrescere il nostro star bene, oppure per alcuni a riempire il tempo libero cheabbiamo a disposizione e per questo allora ci dedichiamo, chi più chi meno, a un certo numero diarti. Queste arti però non sono - almeno secondo il nostro pensare - le nostre attivitàfondamentali, quelle di cui non potremmo mai fare a meno. Possiamo fare a meno di tutto:possiamo fare a meno di suonare, di scalare le montagne, di nuotare o viaggiare se sono queste lecose che ci piacciono, però non possiamo fare a meno di diventare degli esseri umani realizzati.Questo, se naturalmente noi seguiamo la profonda spinta interiore che ci porta a volerci realizzarein quanto intrinsecamente degli esseri illuminati, e cioè dei buddha. Il monaco sta facendo questoed è compreso di stare facendo questo, sta ricercando l'ultimo e più importante scopo dellapropria vita. Va da Joshu, come avveniva a quel tempo si inchina tutte le volte che prevede ilcerimoniale, dopo di che chiede a Joshu: "Sono appena entrato nel monastero. Vi prego di darmiinsegnamenti, Maestro". Allora Joshu gli dice: "Hai fatto colazione? Allora, lava le ciotole." e ilmonaco, fortunatamente per lui, ebbe un'intuizione.Allora, si entra nel monastero e si va dal maestro a chiedergli di poter ricevere l'insegnamento, ilmotivo principale per il quale si entra nel monastero. Non si è entrati per fare colazione, non si èentrati per partecipare alle cerimonie che probabilmente i monaci stanno facendo tutti insieme, oper lavorare se i monaci stanno lavorando, ma si è entrati nel monastero, si viene da lontano perricevere l'insegnamento dal maestro. E questo maestro, di fronte a una richiesta così importante,così fondamentale, dice: "Vai a lavare le tazze nelle quali hai mangiato la tua colazione". Ora,questa risposta, se vogliamo essere pignoli, possiamo anche dire che è sbagliata, perché comesappiamo bene, il momento in cui abbiamo mangiato, alla fine abbiamo anche pulito le tazze.Perciò Joshu, se lo dovesse dire a un monaco di Scaramuccia, si troverebbe in errore: le tazze sonogià state pulite. Ma Joshu naturalmente vuol dire qualche altra cosa, vuole riportare il discorso diquesto monaco talmente impreparato, talmente viaggiante a livelli mistici, vuole riportarlo sulpiano della corporalità possiamo dire. Perché spesso dimentichiamo che noi siamo esseri umaniche viviamo in questo mondo non è che lo dimentichiamo. Voglio dire che nel momento in cui cidedichiamo a una pratica cosiddetta spirituale, pensiamo che i problemi siano soltanto quelli equelli del nostro corpo, di tutti i giorni, debbano essere dimenticati. Invece i maestri, i maestrich'an soprattutto, hanno sempre voluto che l'illuminazione non si ricercasse in qualche luogoastratto del cielo ma si trovasse nelle cose che si compiono tutti i giorni. Infatti Joshu, nel momentoin cui il monaco gli chiede istruzione gliela dà subito. Non dice: "Vai a sederti con i monaci a faremeditazione e pratica questo koan", né gli dice "recita questi sutra", perché tutte queste coseattengono proprio a quanto il monaco aveva fatto fino a quel momento e lo riporterebbero dinuovo nella stessa condizione mentale con la quale si è presentato di fronte a Joshu.L'insegnamento che Joshu veramente gli può dare è quello di farlo scendere con i piedi sul la terrae di fargli vedere che l’illuminazione non è qualche cosa che appartenga soltanto a pochi uomini, apochi maestri, a poche entità altamente spirituali, ma è qualche cosa che è anche nel lavare leciotole nelle quali abbiamo mangiato. Questo è un insegnamento che i maestri hanno spessovoluto far risaltare e che altrettanto spesso, tranne qualche raro caso come questo del monaco cheebbe un'intuizione, i discepoli non hanno saputo cogliere.Mumon, nel suo commento dice: "Joshu aprì la bocca mostrando la cistifellea e rivelando il cuore eil fegato. Se questo monaco, ascoltandolo, non è riuscito ad afferrare la Verità, ha confuso unacampana con una pentola". Sempre Joshu quando apre la bocca, come in questa espressionefigurata di Mumon, mostra tutto di sé stesso. Uno ci può vedere anche la cistifellea e il fegato, puòguardare dentro così come noi apriamo con le mani una borsa per vedere se dentro c'è quello checerchiamo.E giustamente, visto che si è mostrato così chiaramente in tutta la sua profondità, in tutto quelloche ha dentro di sé che non sono naturalmente solo la cistifellea e il fegato, il monaco se

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ascoltandolo non è riuscito ad afferrare la Verità - ma sembra che almeno l'intuizione di questaverità ce l'abbia avuta - sbaglia nel confondere una campana con una pentola. Il monaco qualchecosa l'aveva capita: ha avuto l'intuizione.E poi tra la campana e la pentola si potrebbe anche arguire, perché spesso tutti quanti noicompiamo degli errori basandoci sulle apparenze e ci potrebbe stare bene pure che una campanasia una pentola o che una pentola sia una campana. L'importante è che se è una campana non sidebba cuocere la pasta in quel momento, e se è una pentola non si debba suonare la campanaperché così la pentola si romperebbe e con la campana non riusciamo a cuocerci la pastasciutta.Mumon nel suo poema dice: "È talmente chiaro che serve di più per giungere alla suarealizzazione". Questo capita di dirlo spesso. Certe volte devo stare attento perché andando avanticon l'età non si prenda l'abitudine di essere troppo sicuri di sé, di ripetere speso: "Io l’avevo detto"e così via. È una caratteristica dei vecchi dire che ai tempi loro le cose andavano meglio, lorol'avevano già capito, quelle cose stesse le avevano dette prima degli altri; certo, uno le dice primadegli altri, nasce prima degli altri è ovvio che le debba dire o almeno pensare prima degli altri. Maquesto qui si può dire non soltanto perché uno sia vecchio, ma si può dire perché è proprio così: lecose più chiare sono quelle che si capiscono con più difficoltà. Le cose ovvie sono quelle che spessoci si rifiuta di accettare, ci si rifiuta di comprendere.Sono tante le cose ovvie che ci sono di fronte agli occhi e purtroppo sono tante ugualmente levolte che non proviamo a metterle in pratica. Questo si riferisce non soltanto a noi come persone,ma ad altri più importanti di noi che reggono le sorti del mondo e che questa capacità dicomprendere la chiarezza e la semplicità purtroppo molto spesso non ce l'hanno. "Se sai subitoche la luce della candela è un fuoco, il pasto è già cotto da molto. Se sei in grado di capire lasemplicità che il fuoco scalda - questo si riferisce a quanto detto prima - il pasto è già cotto. Certo!Se sai utilizzare le cose, hai anche la possibilità di farti da mangiare, non ti troverai mai in unacondizione di non poter mangiare perché avrai la capacità di trovare sempre il modo di potertelocucinare e conseguentemente, di poter mangiare.Questo è quanto dice Dai to Kokushi nella sua esortazione: "Se avete le spalle avrete vesti daindossare, se avete la bocca avrete cibo da mangiare. Avere la bocca significa saperla usare esignifica anche saper trovare il cibo che possa riempirla e naturalmente, per cibo non ci riferiamosoltanto alla pastasciutta, al pane o a quant'altro ci possa servire, ma a quanto altro ci può servireper cibarci in tutti i sensi.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 5 Novembre 1988

Non è che mi ricordi bene il verso, ma mi pare che dica: "Poi ne uscimmo a riveder le stelle". Dantenon ho avuto occasione di leggerlo molto, ma a parte questo, le notti passano e le sesshin anchepassano.Quelle paure che possono generarsi prima di cominciare le imprese alle quali ci accingiamo, poidopo una volta compiute, non esistono più.Forse si ripresenteranno, chissà, ma in noi c'è un senso di soddisfazione di avercela fatta. La sesshinsi può vivere in diversi modi, soprattutto se c’è un po' di fatica anche alla resistenza, come queste

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che adesso stiamo facendo e che man mano che ci alleneremo, diventeranno sempre piùimpegnative. E questo è un po' come una scalata in cui c'è il piacere di arrivare in cima: se è statotempo brutto, se è stato difficile, se abbiamo avuto paura, freddo, fame, ancora meglio una voltaarrivati in cima. Durante il tragitto certamente abbiamo avuto dei ripensamenti e deitentennamenti, ma arrivati alla fine, siamo tutti contenti, ci abbracciamo e ci diciamo: "Hai visto, cel'abbiamo fatta, evviva! È stato bello, eh? Chi lo avrebbe creduto?".C’è anche un altro modo di attraversare la sesshin che forse è anche insieme a questo, forse èdiverso da questo, che è quello in cui la attraversiamo, la viviamo, completamente concentrati inogni momento, riusciamo a superare il mal delle gambe, il sonno che ci prende e qualsiasi ora equalsiasi altra difficoltà così come possiamo pensare a una sciata nella neve alta in cui ognimomento della curva è vissuto direttamente con una grande partecipazione ma senza però che cisia la nostra mente che interferisce che spezza. Tutte le curve sono una dopo l'altra un seguitoritmico, come una musica che entra ed esce da noi ininterrottamente.Le sesshin le possiamo vivere in questo modo, un po’ in un modo, un po' nell'altro, ma certo che èbello esserci; è bello imparare che possiamo fare tutto. Non è vero che soltanto i monacigiapponesi stanno una settimana senza mai sdraiarsi, possiamo farlo anche noi. Non è vero che glialtri scalano montagne alte ottomila metri, possiamo farlo anche noi, perché no? Questa capacitàdi vedere in grande, di vedere le grandi possibilità che abbiamo ci viene dalla piccolezza di questoposto, dalle piccole cose che facciamo in questo posto e che poi ci riportiamo a casa e continuamoa fare e che, appunto, cosi come dai semi piccoli piccoli nascono poi degli alberi grandissimi, anchequesti piccoli semi di sesshin a poco a poco, curati, coltivati, concimati, ci danno la possibilità didiventare, o grandi o piccoli che siano, di diventare dei veri uomini e donne che siamo. Può essereutile attraversare una notte stando seduti in meditazione, può essere utile buttarsi dentro unafontana gelata, può essere utile andare a rispondere su quesiti impossibili; può essere utilequalunque altra cosa, anche sciare sotto la neve e la pioggia, scalare le montagne senza vedere maila cima. Qualunque cosa può essere utile. L’importante è che ci sia da parte nostra la capacità diassorbire, di assimilare queste esperienze, farle nostre e non lasciare che inaridiscano maalimentarle continuamente, cosicché anche tornando nelle nostre città ci possa essere la volta incui, con l'amico o l'amica, ci andiamo a fare la corsa di cinquanta chilometri oppure decidiamo unasera di andarcene a bere la birra - che anche quello è importante - ma non solo andare a bere labirra, ma una volta cambiare e decidere di starsene una notte a gambe incrociate e vedere arrivareil mattino in questo modo.Lo possiamo fare ed è bello come andarsene a bere la birra, forse più, forse uguale, o forse meno,dipende.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 5 Novembre 1988

Una volta, per segnare un sentiero di montagna, cioè fare in modo che la gente riconoscesse ilpassaggio per andare da un posto fino a delle pareti di roccia, ho messo delle strisce di plasticacome quelle che abbiamo messo giù nel bosco qui da noi. I ragazzi le hanno tolte perché hannodetto che non è ecologico, in quanto di plastica. E va bene! Poi, una sera siamo andati a mangiarein casa loro e quegli stessi ragazzi ci hanno servito in tavola su dei piatti di plastica ed abbiamobevuto in bicchieri di plastica, quella plastica che poi non viene lavata ma viene buttata nellaspazzatura e viene poi bruciata nelle discariche. Quelle striscette che noi avevamo messo sugli

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alberi avrebbero potuto rimanere lì chissà per quanto tempo e poi, una volta assolta la lorofunzione, ormai secche, ormai consumate quasi, si potevano togliere. E invece sono state tolteprima, quando ancora la plastica era veramente plastica e così, in nome dell'ecologia, si sonomesse via.Che cosa voglio dire? Ci sono delle cose apparenti che ci sembrano a prima vista le più importanti einvece continuiamo a comportarci nello stesso modo e compiendo delle azioni che sono piùsbagliate di quelle che vorremmo correggere. Se noi vogliamo ottenere una trasformazione di noistessi, come dimostra il fatto che siamo venuti fin qui, certamente veniamo affascinatimaggiormente dall'idea di stare seduti, di meditare secondo il metodo di questa scuola orientalecosi come viene indicato sui libri che abbiamo letto, oppure come abbiamo visto fare da alcunimaestri in televisione o al cinema, o sulle riviste, e dimentichiamo che la trasformazione nonavviene in quel momento di riconoscimento di una certa cosa da fare con tutto l'impegno, maavviene in ogni azione della nostra giornata; ogni azione della nostra vita va rivista bene alla luce diquello che noi vogliamo ottenere. Per cui, se noi ci opponiamo alla caccia, dovremmo cominciareanche a pensare a non mangiare più carne. Pensiamo che gli animali soffrano quando viene lorosparato col fucile dai cacciatori, ugualmente soffriranno anche gli altri che vengono macellati più omeno brutalmente da altre parti lontane dai boschi. Tutto questo senza parteggiare né per l'uno néper l'altro, ma dobbiamo stare attenti alla complicazione della molteplicità delle azioni chedobbiamo compiere durante i momenti della nostra vita; tutto questo deve essere osservato conattenzione e, naturalmente, momento per momento dobbiamo lavorare su noi stessi percompiere, in quel momento, l'azione che riteniamo migliore alla luce di tutte le nostre esperienze,di tutte le cose che conosciamo e con l'intenzione principale di non offendere, di non toccare glialtri esseri umani ed essere partecipi della sofferenza che potremmo causare. Per cui, certamenteavere ben in mente la pratica che ci permetta di aprirci, di risvegliarci il meglio possibile allaconoscenza suprema - possiamo dire - ma senza tralasciare quelle conoscenze di mezza strada o daprincipianti che ci permettono di vivere nella maniera più equilibrata insieme agli altri e alla natura.

MUMONKANCASO n. 8 “KEICHU COSTRUISCE I CARRI!”(pag. 77)______________________________________

Il Maestro Gettan disse a un monaco "Keichu costruì un carro le cui ruote avevano cento raggi.Leva la parte anteriore e quella posteriore togli l'asse: cosa diventa?".

COMMENTO DI MUMON

Se riuscite a vedere immediatamente ciò, il vostro occhio sarà come una stella cadente e la vostraspiritualità come un lampo.

POESIA DI MUMON

Quando la ruota che si muove velocemente gira,

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Anche un esperto è perduto.Quattro direzioni, sopra e sotto:Sud, nord, est ed ovest.

TElSHO 6 Novembre 1988

Questo koan richiama un po' i dialoghi che il re Milinda faceva con Il monaco buddista del tempo eproprio a proposito del carro, nel voler dimostrare l'inesistenza di un punto, di una sostanza fissanell’essere umano, il monaco citava il carro dicendo che le parti del carro prese una per una nonpossono costituire il carro e se noi le leviamo una per una non rimane niente. Allora così si può direla stessa cosa per l'essere umano perché se noi togliamo il corpo, togliamo le sensazioni, gli impulsie la coscienza, cioè la forma e tutti gli altri aggregati, alla fine che cosa ci rimane? Non rimane,come il Buddha voleva evidenziare nel suo insegnamento, qualche cosa che noi possiamo chiamare"io", "mio” qualcosa che ci appartenga realmente. Se andiamo ad osservare veramente, noi siamocostituiti come tutti gli altri esseri umani, come tutte le altre cose dell'universo e questo va controla nostra idea di essere un qualcosa di separato, di diverso, di esserci un'essenza che ci costituiscediversamente dagli altri.Il maestro Gettan si rivolge ai suoi monaci e parla di questo Keichu che era un personaggioleggendario, o che comunque nell'antica Cina fu costruttore di carri. Le ruote dei carri, secondoquesta leggenda, avevano cento raggi. Il maestro Gettan chiede ai suoi monaci "Levate la parteanteriore e quella posteriore e togliete l'asse: cosa diventa?" A parte che in una ruota non vedouna parte anteriore e una parte posteriore, comunque sarà un modo di definire le parti della ruotachiamando posteriore e anteriore. Comunque, togliendole l'asse, togliendole il cerchione etogliendole i raggi, che ci rimane della ruota? Questa è una domanda proprio da maestro ch'an ecioè è una domanda a cui il maestro non si aspetta che gli venga risposto "niente". Dove primac’era la ruota, ed era un qualche cosa di ben definito e che assolveva una funzione comprensibile,quando noi togliamo qualche parte di questa ruota questa funzione non si può più assolvere e ilmaestro chiede: "Come vuoi chiamarlo quello che rimane?". Abbiamo spesso dei koan che cichiedono di mostrare le cose impensabili, di mostrare, naturalmente e non di parlare o dichiacchierare circa cose impossibili da dimostrare. E questa impossibilità apparente che ci sipresenta davanti appena il maestro ci dà il koan, a poco a poco vediamo che non è più impossibilee allo stesso tempo, a un certo punto, ci rendiamo conto che - là! - è facile, "che cosa vuoi chesia?". Un carro, se è stata tolta la parte anteriore, la parte posteriore e il mozzo, non può essereche così. Ecco il carro così, così". Il discepolo, di fronte al maestro, dà una dimostrazione del carrosenza mozzo e senza la parte anteriore e posteriore. Questo è il modo di praticare del ch'an e allerisposte che il maestro Gettan richiede, ci si arriva, chi prima, chi dopo, ma dedicandocisi ci siarriva. Mumon nel suo commento dice: "Se riuscite a vedere immediatamente ciò, il vostro occhiosarà come una stella cadente e la vostra spiritualità come un lampo". Sì, "immediatamente ciò".Di tutti i koan che il discepolo deve attraversare lungo la sua pratica spirituale, non è possibilerisolverli così immediatamente come richiede Mumon. Alcuni sì, si riesce, altri richiedono piùtempo. Certamente, andando avanti nel tempo, nella pratica, negli anni, vediamo che la nostracapacità di risolverli diventa sempre migliore e riconosciamo come in questi problemi così strani ecosì diversi che ci si presentano, una unicità, un qualcosa che li accomuna e che, anche se cidovessero dare dei koan sconosciuti, ci permette di poterli risolvere quasi immediatamente, comeavviene per qualsiasi praticante di una disciplina.

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Se noi siamo praticanti di un certo strumento, siamo abituati a farlo sempre con il nostro, quandoce ne danno uno che non è il nostro, è un po' diverso dal nostro, possiamo trovare qualchedifficoltà. Ma se noi siamo abituati a passare da uno strumento all'altro con regolarità, alloraqualunque cosa ci presenteranno subito, immediatamente, forse non al primo tocco ma al secondoo al terzo tocco noi saremo in grado di suonare quello strumento. E così avviene per qualunquealtra cosa, per l’uso di qualsiasi altro strumento, che sia esso musicale o di qualunque altro genere.I koan sono anch’essi strumenti e ci permettono di esprimere una certa verità e nello stesso temponaturalmente di penetrarla; esprimendola la penetriamo e si realizza pure quello che dice Mumon:che il nostro occhio sarà come una stella cadente e la nostra spiritualità come un lampo. Perquanto sia la stella cadente che il lampo attraversano il cielo in un momento non molto lungo, main quel momento illuminano in qualche modo il cielo."Quando la ruota che si muove velocemente gira, anche un esperto è perduto. Quattro direzioni,sopra e sotto: sud, nord est e ovest".Questa poesia può essere interpretata in vari modi e ognuno di questi modi potrebbe essere quellogiusto. Mumon appartiene ad un'epoca, ottocento o novecento anni fa, in cui c’era un modo diparlare, un modo di accettare le notizie di quel tempo, un modo di porsi nei confronti degli altriche naturalmente si rifletteva anche poi nelle scritture. Certo, se la ruota gira velocemente, ancheun esperto è perduto, non è in grado di fermarla oppure significa che la ruota gira bene e non si èin grado di trovarci un difetto. E poi le quattro direzioni: sopra e sotto, sud, nord, est ed ovest. Tral'altro, queste sono sei direzioni: se ci aggiunge il sopra e sotto, abbiamo il sud, il nord, l'est el'ovest e fanno sei. Le direzioni in cui è capace di muoversi il praticante di ch'an, quello che non silascia fermare dal problema di che cosa sia una ruota quando il mozzo e la parte anteriore eposteriore sono state tolte. I koan, come dice bene Mumnon nella sua prefazione, sono mattoni che servono a bussare alcancello. Una volta che il cancello è stato aperto, il mattone viene messo da parte, ma può ancheessere utilizzata per bussare a un altro cancello, non è detto che debba sempre essere messo daparte. Così come gli strumenti che utilizziamo; certamente quando usiamo la zappa per lavorarenell'orto, il momento in cui entriamo in casa la zappa la lasciamo fuori. Così come dice Rinzai:"Quando, ti presenti da un maestro di spada non andare con un libro di poesie, e quando vai da unmaestro di poesie non presentarti con la spada". C'è il tempo per ogni strumento, e la capacità delpraticante di ch'an è proprio questa di interpretare ogni momento e saperlo utilizzare e porsi neiconfronti di questo momento nella maniera giusta.

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SESSHIN DI DICEMBRE 1988

SESSHIN KOKUHO 8 Dicembre 1988

Abbiamo preso l'abitudine di dare importanza alle sesshin secondo la loro lunghezza e secondo ilmomento in cui si svolgono e certamente, per quanto avviene in Giappone in questi giorni - anzi ègià avvenuto – quella che si svolge in dicembre, sempre avendo come punto di riferimento il giornootto, è una sesshin importante, sebbene le sesshin di per sé siano importanti per il fatto che si stainsieme e che si pratica con intensità e con determinazione. Quella dell'otto dicembre, ormaiterminata in Giappone, è la sesshin di Rohatsu e cioè la sesshin che secondo la tradizione dello zengiapponese fa riferimento all'illuminazione del Buddha Sakyamuni avvenuta la mattina del giornootto vedendo la stella del mattino. I monaci in questi giorni hanno meditato intensamente, contutta la forza a loro disposizione, per arrivare alla mattina del giorno otto ed anche essi riuscire afare l'illuminazione così come il Buddha Sakyamuni, diventare essi stessi dei Buddha, risvegliareanch'essi la propria reale natura che è appunto la natura di Buddha, la natura di illuminazione.Ognuno di noi, avanti o ancora molto giovane negli anni, ha già cominciato da tempo a chiedersiche senso dare alla propria vita. Proprio oggi o ieri dai giornali, dalla televisione, veniamo aconoscenza che in pochi minuti - almeno da quanto si dice - cinquantamila persone sono morte perun terremoto in un posto neanche tanto lontano da qui. Cinquantamila persone che fino a i eristavano litigando con altre persone per stabilire a chi dovessero appartenere delle abitudini, a chidovessero appartenere dei terreni, chi dovesse avere il sopravvento su certi modi di vita. In unsecondo tutte queste discussioni sono state azzerate e non rimane niente. Da un momento all'altronon rimane niente. Dobbiamo avere, come noi abbiamo, il coraggio di fermarci un momento astabilire ciò che è veramente importante e ciò che invece può senz’altro essere lasciato da parte.Ciò che è veramente importante è di conoscerci in questo pianeta in mezzo a tanti altri pianeti e atante altre stelle, piccolissimi esseri umani che hanno la capacità di diventare degli esseri illuminatie cioè prendere coscienza di una propria appartenenza all'intero universo. Questa presa dicoscienza non ci fa temere l'arrivo di terremoti o di altre disgrazie e ci fa accogliere la nostra vitanel modo giusto: con distacco, con partecipazione, a seconda del momento in cui la viviamo. Lanostra vita è una, è una sola, è la nostra sebbene non sia la nostra, dobbiamo capire che cos'è eche cosa siamo.Bene! Come i monaci in Giappone, con tutta la forza che hanno a disposizione praticano durante lasesshin di Rohatsu per arrivare a vedere la stella del mattino, la stella che chiarisca la propria realeumanità, anche noi in questi tre giorni, con tutte le nostre forze, mettendo insieme i nostri cuori,cerchiamo di arrivare alla stella di domenica mattina e cerchiamo di vedere la stella nel modo in cuil'ha vista il Buddha Sakyamuni e cioè con la nostra reale natura di illuminazione.Possiamo farcela perché se ce l'ha fatta un uomo duemilacinquecento anni fa e tanti altri uomini edonne nei secoli passati, possiamo farlo anche noi uomini e donne esattamente come quelli che cihanno preceduti basta che lo vogliamo.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI9 Dicembre 1988

È di pochi giorni la lettera in cui una persona che è venuta a praticare in una delle ultime sesshin,scrive che il passare una notte seduti a fare meditazione ha sconvolto la sua vita. Sconvolto

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significa averla decisa a fare qualcosa, qualcosa che forse, qualunque cosa si faccia significaribellarsi, o perlomeno rifiutare di adeguarsi al tran tran, al piccolo cabotaggio che da tutte le partici vuole essere presentato e fatto accettare.Stare seduti durante una notte, o abbastanza a lungo nella notte per qualche giorno di seguito, vacontro quanto si predica nel mondo che è la ricerca della facilità, la ricerca del piacere fisico o deisensi, o anche il piacere intellettuale e in cui chi si sforza di andare oltre i piaceri del corpo e deisensi viene guardato per uno strano.Stare seduti per tutta la notte significa essere strani per questa società, ma per quanto riguarda lacoscienza, la nostra coscienza vera alla quale dobbiamo rendere conto, significa essere veramenteumani e non animali raggruppati in un qualunque recinto, talvolta pecore, talvolta iene, talvoltaconigli, talvolta serpenti. Se per diventare umani può essere importante stare seduti per una notteo per altre cento notti, per quanto dura possa essere - l'inverno fa freddo, l'estate ha il caldo e lezanzare, il mal di gambe non cambia l'inverno e l'estate, il sonno è qualcosa alla cui mancanza ci sipuò anche abituare ... per quanto dura possa essere, dobbiamo renderci conto che è l'unica cosache valga la pena di perseguire.

MUMONKANCASO n. 9 “DAITSU CHISHO”(pag. 82)______________________________________

Una volta un monaco disse al Maestro Seijo di Koyo: "Il Buddha Daitsu Chisho fece zazen su unasedia della bodhi per dieci kàlpa. Il Buddha Dharma non si manifestò, e neppure egli raggiunse laBuddhità. Come mai?"Kojo disse: "La tua domanda è veramente splendida". Il monaco insistette:"Egli praticò lo zazen su una sedia della Bodhii. Perché non raggiunse la buddhità?". Kojo rispose:"Perché non raggiunse la Buddhità".

COMMENTO DI MUMON

Il vecchio straniero può saperlo ma non sa veramente afferrarlo. Un uomo comune, se lo sa, è unsaggio. Un saggio, se lo afferra, è un uomo comune.

POESIA DI MUMON

Piuttosto che dare sollievo al corpo, dà sollievo alla mente: Quando la mente è in pace il corpo non è tormentato.Se la mente e il corpo sono entrambi liberati,Perché il santo deve diventare un sovrano?

TEISHO9 Dicembre 1988

Questo koan in cui un monaco chiede: "Com'è che un Buddha non è diventato un Buddha?" è unkoan classico in cui si chiede: "Com'è che il rosa non è roseo? Com'è che il caldo non è caldo?", ecosì via. Il maestro dà una risposta in cui dice: "Perché è così".

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Questo episodio riguardante il Buddha Chisho è tratto da un sutra e parla di questo Buddha che èstato seduto per dieci anni in una posizione di zazen. Qui viene tradotto: "Fece zazen su una sediadella bodhi per dieci kalpa"; io non l'ho letto perché non è esatto in quanto nel testo originale nonsi parla di sedia della bodhi, si parla di dieci kalpa, cioè di un periodo molto lunga per la nostracomprensione. Però stette in samadhi, cioè in stato di zazen profondo eppure non raggiunse labuddità. Un Buddha che non raggiunge la buddità: lo stesso che noi che stiamo facendo zazen enon raggiungiamo la buddità. Com'è che quelli sono stati seduti per tutta la notte, per qualchenotte, e non hanno raggiunto la buddità? Ora noi abbiamo una risposta di causa ed effetto per cuiad una causa dovrebbe corrispondere l'effetto che ne consegue e perciò se uno se ne sta sedutoper un'ora raggiunge un'ora di buddità, se sta seduto per dieci ore sono dieci ore di buddità. Poi c'èun'altra conseguenza che non deriva dalla causa e dall'effetto e che è un'osservazione assoluta, percui tutti quanti stiamo già in uno stato di buddità, lo siamo da prima di cominciare a fare zazen, losaremo dopo - sia che facciamo zazen che non lo facciamo - e questa buddità naturalmente,essendoci già, non può essere raggiunta. È come uno che stesse seduto nello zendo di Scaramucciae qualcuno dicesse: "Com'è che non raggiunge lo zendo di Scaramuccia'?". Se ci sta già sedutonello zendo di Scaramuccia, naturalmente non può compiere l'azione di andare a raggiungere lozendo di Scaramuccia. Quando noi si va a risolvere il koan - perché di un koan si tratta ...; nellastanza del maestro, il maestro non si accontenta della spiegazione per quanto esatta noi possiamodare, della nostra comprensione intellettuale del koan. Certo, noi abbiamo un Buddha, Chisho, ecome al solito, come nel teatro e nel cinema ci sono i personaggi principali e i comprimari. Quiabbiamo due personaggi principali, che sono il maestro Seijo di Koyo e il monaco, per cui classici.Per quanto riguarda i personaggi c’è questa battuta in cui il monaco chiede una cosa e il maestrorisponde, il monaco insiste e il maestro alla fine risponde in maniera scontata, ma dà quasil'impressione di non saper che dire altro. Il monaco dovrebbe saperlo ma non lo sa, il maestronaturalmente lo sa e per cui prima dice: "La tua domanda è veramente splendida", per quantoriguarda il mondo dello zen naturalmente. Perché se noi andassimo in giro a chiedere a uncristiano: “Perché Gesù Cristo non è Gesù Cristo?" o se chiedessimo a qualcuno: "Perché il sole nonè il sole?", o "Perché il sole non riscalda?". Se fosse una giornata in cui il sole fosse copertoandrebbe bene, ma in una giornata calda, caldissima, senza nuvole tra il sole e noi, uno che facesseuna domanda simile sarebbe preso per un pazzo o per uno che ha preso un colpo di sole. Ma nelmondo dello zen una domanda così strana, così balzana, è accettata come una splendida domanda:Il monaco ripete la stessa domanda: "Perché non raggiunse la buddità?" e il maestro risponde:"Perché non raggiunse la buddità". Quante volte anche a noi dei bambini possono aver chiesto: "Perché devo fare questa cosa?" e noirispondiamo: "Perché la devi fare", o: "Perché devo mangiare questo?", o " Perché devo prenderela medicina?""Perché devi prendere la medicina".Certe volte a noi sembra talmente evidente una cosa che non comprendiamo il perché qualcunodebba fare una domanda. Così è il caso del maestro che tratta il monaco come un bambino perchéil monaco, facendo la domanda la prima volta, dovrebbe aver già compreso da sè stesso il perchédella sua domanda. Nella domanda c’è già la risposta che il monaco dovrebbe comprendere einfatti il maestro dice: "Bella domanda!" e cioè "Bravo, hai capito una cosa importante". Quelloripete di nuovo la domanda e il maestro allora gli risponde: "Perché è così".Noi anche, da un punto di vista intellettuale, sappiamo che è così qui, nel momento in cuidobbiamo interpretare e comprendere questo il nostro maestro non si accontenta di una rispostaintellettuale, come non si accontenta per qualunque altro koan.Mumon dice: "Il vecchio straniero può saperlo ma non sa veramente afferrarlo. Un uomo comunese lo sa è un saggio. Un saggio, se lo afferra, è un uomo comune". Il vecchio straniero è il BuddhaDaitsu Chisho e qui Mumon, naturalmente sempre sarcastico, sempre alla ricerca della battuta che

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possa ovviamente promuovere ancora di più la comprensione di chi sta leggendo e dei suoidiscepoli, in fondo, dice: "Il vecchio straniero può saperlo", cioè il fatto che sia Buddha dovrebbefargli sapere la condizione buddica, "però non sa veramente afferrarlo". E ancora: " Un uomocomune se lo sa è saggio. Un saggio se lo afferra è un uomo comune"; ovvero un uomo comune selo sa si rende conto di essere Buddha e perciò è saggio, intrinsecamente. Il saggio, avendo afferratodi essere Buddha, non ha problemi a presentarsi come un uomo comune: si comporta, agisce nelmondo da uomo comune.Il poema: "Piuttosto che dare sollievo al corpo dà sollievo alla mente.Quando la mente è in pace il corpo non è tormentato. Se la mente e il corpo sono entrambiliberati, perché il santo deve diventare un sovrano?".Allora, perché colui che è già Buddha dovrebbe diventare ancora Buddha? Se tutte le condizioniper vivere una vita nel mondo si sono già realizzate? e se noi siamo già in grado di dare riposo allamente? e se essendo la mente in pace anche il corpo non è tormentato e perciò sia il corpo che lamente sono entrambi liberati? Noi abbiamo fatto quello che dovevamo fare, stiamo facendo quelloche dovevamo fare e per cui non c’è motivo che ci si sforzi ancora di raggiungere la sovranità, inquesto caso la buddità. I koan, come ho detto, sono talvolta difficili anche a comprendereintellettualmente, ma una volta che li abbiamo compresi intellettualmente, non dobbiamorallegrarci troppo. Certo, se c’è un libro uno cerca di capire quello che dice, di leggerlo per ilpiacere di leggerlo, godere della sua lettura e naturalmente cercare di comprendere quello chedice. Questo è già una cosa che ognuno di noi dovrebbe fare.Però, per quanto riguarda dei testi di koan come il Mumonkan che stiamo trattando, nondobbiamo accontentarci di quello, anzi! quella può essere la trappola che ci impedisce di averne lacomprensione vera finale, cioè la comprensione completa e non soltanto quella intellettuale, anzi,la comprensione del koan, la comprensione attraverso la nostra natura di Buddha.

ESORTAZIONI DURANTE JUNKEI 9 Dicembre 1988

Ho dato una scorsa al libro su Friedrich Nietzsche che mi è stato portato oggi e c'è una frase che miricordo vagamente da un punto di vista letterale, il cui senso però, riferito al socialismo, è che aglioperai dovrebbe essere insegnato a vivere di poco, con cibi naturali, lavorando, divertendosiquanto è possibile e comunque una rivoluzione più che per aggiungere a quello che uno ha, perimparare a togliersi quello che già si ha. Di questo, mi viene in mente che ne ho già parlato un'altravolta. Quello che stiamo facendo in questi giorni è proprio una presa di coscienza di quanto pocosia ciò di cui abbiamo veramente bisogno.Il nostro corpo resiste al sonno, resiste al freddo, resiste all'immobilità. Noi riusciamo a stare sedutie ad essere attenti al nostro respiro con più o meno fedeltà, ma comunque ci rendiamo conto chesi può vivere, si può essere ad un grado più alto di quello in cui si è durante le nostre occupazioniquotidiane, con niente, stando appena seduti su un cuscino a gambe incrociate. Alloracomprendiamo il desiderio che nell'antichità ha mosso delle persone e le ha spinte a trovarsi unposto solitarlo, isolato, in cui vivere accontentandosi come recitiamo negli avvertimenti di DaitoKokushi: "di radici di erbe selvagge cucinate in una pentola dalle gambe rotte". Qualche volta forsec'è sembrato che queste persone facessero un grande sacrificio a vivere lì; si sacrificavano perraggiungere un più alto grado di comprensione. Può essere – e forse è così - che all'inizio ci siastata una lotta, da parte di queste persone, contro i desideri del corpo, dei sensi e della mente. Mail momento in cui ci rendiamo conto che ci sono piaceri - se vogliamo chiamarli così - più alti, più

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sottili, più piacevoli di quelli che il mondo circostante, tecnologico o no, ci può offrire, allora ilsacrificio che stiamo facendo non è più un sacrificio, è l'avere scelto il modo migliore di vivere. Cosìl'invito, l'incitamento di Nietzsche a liberarsi più che caricarsi. Stare seduti sul cuscino comefacciamo noi in questo momento è l'azione che oltre ad essere bella ed importante in sé ed esserecompleta già di per sé, è anche quella che, accettandola così com'è, accettando questo essereseduti a gambe incrociate così com'è e perciò vuoto possiamo dire, permette anche a noi di esserevuoti ed essendo vuoti siamo senza alcun carico che ci impedisca di vedere o di camminare o diascoltare quello che c'è veramente da vedere e da ascoltare, o i luoghi in cui andare camminando.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 10 Dicembre 1988

Quando si esce per il kin-hin, si deve guardare la schiena del compagno che ci precede,concentrarci sul respiro, diventare uno col nostro respiro e col nostro passo e, in questo modo, noninterrompere la pratica di zazen che si faceva prima seduti. Così non ci si guarda intorno e forse,anche se la natura circostante spesso ci fa distrarre, non si vede che cielo c'è questa sera cosìchiaro, così pulito, con le stelle così brillanti; sembra di camminarci dentro e quasi realizziamo inmaniera non religiosa e neanche filosofica, l'idea di essere parte integrante delle stelle, essereanche noi una stella piccolissima che cammina in mezzo all'universo tra una stella e l'altra. Cirendiamo conto che siamo anche noi in questo grande disegno, così piccoli e così insignificanticome siamo rispetto alle grandezze astronomiche che ci circondano e comprendiamo come ci siaun posto per noi tra tutti quanti. "Noi" non inteso come "io", ma noi proprio in senso generale, noiche siamo qua, noi gruppo che siamo qua, noi gruppo umanità. Vedendo le stelle che sono tuttequante, seppure separate, facenti parte di un grande gruppo, anche noi possiamo capire che non cipuò essere separazione e che le azioni e i pensieri degli altri sono le azioni e i nostri pensieri. Nelch'an già dall'antichità si è insistito molto sulla pratica di gruppo dove ognuno praticaindividualmente ma intorno ci sono gli altri che come lui praticano individualmente. Possiamovedere la sala di meditazione come un piccolo universo di stelle ognuna delle quali ruota secondouna sua orbita, ma comunque tutte quante in qualche modo regolate da una legge che le faavvicinare e respingere, che le fa attraversare l'una con l'altra. La forza che regge una stella è lastessa forza che regge tutte le altre.Se pensiamo di poter diventare dei Buddha da soli, come direbbe Vimalakirti od altri maestrimahayana, saremmo degli sravaka o soltanto dei pratyeka-buddha, cioè degli esseri cheperseguono una liberazione personale e naturalmente, non realizzano lo stato superiore delbodhisattva che è realmente il salvatore del mondo. Non lasciamoci prendere da questi discorsicosì alti, ma rimaniamo alla semplicità dello stare qui seduti tutti quanti insieme per renderci contoche la liberazione è la liberazìone dell'umanità. Se si libera uno, si liberano tutti e noi, da soli, nonpossiamo fare niente.

MUMONKANCASO n. 10 “SEIZEI, UN POVERO MONACO”(pag. 87)______________________________________

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Una volta un monaco disse al Maestro Sozan: "Sono povero e bisognoso. Vi prego, Maestro,aiutatemi ad arricchirmi". Sozan disse: "Venerabile Seizei!” "Sì, Maestro", rispose Seizei. Sozanosservò: "Dopo aver assaggiato tre coppe del miglior vino di Seigen, dici ancora che le tue labbranon sono bagnate?".

COMMENTO DI MUMON

Seizei assunse un atteggiamento arrendevole. Che intenzione ha? Sozan ha un occhio penetrante eha visto nella mente di Seizei. In ogni caso adesso ditemi soltanto in che modo il Venerabile Seizeiha potuto bere il vino.

POESIA DI MUMON

La sua povertà è come quella di Hantan;Il suo spirito come quello di Kou.Senza un modo di guadagnarsi la vitaOsa competere con gli uomini più ricchi.

TEISHO 10 Dicembre 1988

Qui ci sono delle traduzioni che sono approssimative perché il monaco Seizei non si rivolge a Sozanper ottenere la ricchezza materiale, ma tutt'altra ricchezza, naturalmente. Solo che la traduzionequi fa pensare che il monaco va dal maestro per chiedergli un metodo per fare i soldi, aspettandosiche quello gli dica i numeri al lotto o il tredici al totocalcio. Purtroppo ci avvaliamo di questo testo ebisognerebbe fare una traduzione direttamente dal giapponese - che sarebbe la cosa migliore - maprendiamoci questa traduzione dall'inglese! Tra l'altro, l'autore di questo testo, Shibayama Zenkei,è stato il maestro del monastero Nenzenji che è uno dei più grandi di Kyoto, ed anch'egli è stato unmaestro importante. Questo libro sul Mumonkan è stato scritto ad uso e consumo degli occidentalie naturalmente è stato scritto come quando noi parliamo agli stranieri usando tutti i verbiall'infinito, pensando che siano tutti deficienti e certe cose debbano essere spiegate meglio e cosìci danno queste spiegazioni che non sono affatto, prima di tutto veritiere e poi, non migliorano lacomprensione del testo.Comunque, c’è la situazione classica: maestro e un discepolo che in questo caso è un monaco. Ilmaestro è un maestro che poi diventerà famoso, Sozan, il quale insieme con Tozan - questi due: So,To, le due iniziali del nome che poi sono due caratteri, So-zan. "San" che poi diventa Zan vuol diremontagna, lo stesso del Fuji-san. E così Tozan, non so il carattere, per cui non posso dire chesignificato abbia, comunque So-zan e To-zan prendono tutti e due le lettere iniziali e sono dellascuola Soto di Wizen già intorno alla fine dell'ottocento in Cina.La situazione classica del koan, come ho detto, è quella in cui un monaco, va da un maestro achiedergli una cosa. In questo caso, da quanto sembra, gli va a chiedere soldi, invece non è vero, gliva a dire: "lo sono un povero ignorante. Vi prego, Maestro, aiutatemi ad ottenere l'illuminazione".Quello che è molto importante, che naturalmente dimostra l'intelligenza e l'esperienza di Sozanche gli si rivolge chiamandolo "Venerabile Seizei", quasi a chiamarlo "Maestro Seizei". Quivenerabile non sta per maestro, comunque gli si rivolge con un tono di onorabilità e questo giàdimostra pure che la traduzione è sbagliata perché: venerabile è un titolo che si rivolge ai monaci e

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se Seizei fosse stato alla ricerca di denaro, l'avrebbe magari chiamato "Signor" o con un altro titoloadeguato alla Cina di quei tempi col quale si appellavano le persone ricche. Allora, il maestro lochiamava "Venerabile Seizei", cioè invece di rivolgersi a un poveraccio è come se si rivolgesse a unmaestro. La parola qua non lo dice, sicuramente lo direbbe il tono col quale il maestro gli si rivolge.Al che Seizei rimane fregato e risponde: "Sì, Maestro". Allora Sozan dice: "Come! Dopo averassaggiato tre coppe del miglior vino di Seigen dici ancora che le tue labbra non sono bagnate", ecioè dice: "Insomma, tu vieni qui da me per prendermi in giro. Ti sei bevuto tre coppe" noipotremmo dire di vino di Orvieto "e mi dici che hai ancora le labbra completamente asciutte".Sozan vuole dire: "Vuoi prendermi in giro. Tu che hai fatto l'illuminazione, e questo ti dà il coraggiodi venire da me altrimenti non ci verresti, camuffato sotto le spoglie di un ignorante, mi vieni a diredi non sapere niente, mi chiedi di aiutarti. Tu già sei ad un livello sufficientemente buono perpotertene andare da solo e non c'è bisogno che vieni a chiedere qualche cosa a me". Insomma,prendendo alla lettera la traduzione del testo, è come se un ricco venisse qui da me a dire: "Mi daiun metodo per diventare ricco?". E io, vedendo che è arrivato con la Volvo o magari anche conl'elicottero con altre due volvo di scorta ed è vestito in maniera ricchissima, gli dico: "Ma scusa, mivieni a prendere in giro? Se tra noi due c'è uno che è povero economicamente sono io e non vedocome posso insegnare a te a diventare ricco se non ci sono riuscito neanche io". Ecco,naturalmente il caso di Sozan non è quello di chi non è riuscito a diventare ricco spiritualmente, luici è diventato ed è proprio questo suo esserlo diventato che gli fa vedere chiaramente nellasituazione di Seizei e naturalmente dirgli che non venga a prenderlo in giro perché lui sta già benedi per sé.Nello zen si incontrano spesso di questi casi in cui non è che ci si camuffi dietro delle situazioni,dietro delle parole, ma senz'altro si parla usando parole che significano l'incontrario di quello chenoi vogliamo dire veramente, e sta all'abilità del maestro oppure, se è il maestro ad usarle ed ingenere è così, sta all'abilità del monaco o del laico che sia, di riconoscere l'intenzione del maestro escoprirvi il suo intento di aiutarlo a fare il satori.Mumon nel suo commento dice: "Seizei assunse un atteggiamento arrendevole. Che intenzioneha? Sozan ha un occhio penetrante e ha visto nella mente di Seizei. In ogni caso adesso ditemisoltanto in che modo il Venerabile Seizei ha potuto bere il vino". Beh, per quanto riguarda Sozanche ha un occhio penetrante e vede nella mente di Seizei, siamo d'accordo. Seizei che assume unatteggiamento arrendevole,"che intenzione ha"? Certo, l'intenzione di mettere alla prova Sozan enello stesso tempo mettere alla prova se stesso. È come noi che bravi in una qualunque disciplina,girando provassimo l'occasione di metterci alla prova. Non so, parliamo dell'arrampicata che è lacosa più vicina e che si comprende meglio. Uno che è capace di fare un certo tipo di arrampicata,naturalmente quando va in giro cerca di scalare, di vedere fino a che punto è veramente in grado discalare. Se pensa di avere una certa capacità, è ovvio che cerca di scalare delle vie di quelladifficoltà e, se ci riesce, anche di più. Qui dice però: "Seizei assunse un atteggiamento arrendevole.Che intenzione ha?" Come se uno che sa fare il settimo grado va in un posto e si mette adarrampicare sul quinto grado, volendo far vedere che lui non sa fare niente e vorrebbe impararequalche cosa e fa, come si dice in gergo sportivo, la pretattica. Ma una persona esperta intanto siaccorge delle capacità intrinseche dell'altro, di quello che fa tanto l'umile e poi, probabilmente, haanche sentito parlare di quella persona.E così Sozan gli dice: "Ma insomma che stai a fare? Tu non sai fare soltanto quelle cose là". E poiMumon: "In ogni caso adesso ditemi soltanto in che modo il Venerabile Seizei ha potuto bere ilvino". Ecco, questo noi non possiamo sapere in che modo Seizei ha potuto raggiungerel'illuminazione. Questi sono affari precedenti a questo koan. Noi prima di leggere questo koan, nonsapevamo neanche chi era Seizei, perciò non possiamo sapere Seizei dove è nato, quanti anni ha equando ha fatto l'illuminazione. Certo, da quanto gli dice Sozan, le cose stanno così.

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Il poema di Mumon: "La sua povertà è come quella di Hantan, il suo spirito come quello di Kou.Senza un modo di guadagnarsi la vita osa competere con gli uomini più ricchi." Senz'altro da partedi Seizei c'è una dimostrazione di orgoglio e qui Mumon lo redarguisce dicendogli: "In fondo sì,puoi aver capito qualche cosa ma quel qualcosa che hai capito non è sufficiente, infatti non haicapito abbastanza perché commetti questi errori con un grande maestro come Sozan, uno dei piùricchi che ci sia. Tu non sai neanche come si fanno due lire e vuoi competere con quelli che sonoabituati a trattare dei miliardi. Bisogna che lavori ancora un po’, forse tanto, e che abbassi un po' lacresta del tuo orgoglio".Questo è il caso del povero Seizei.A seconda delle tradizioni, a seconda dell'educazione che abbiamo ricevuto, in ogni paese c'è unmodo di comportarsi diverso dall'altro anche se per quanto riguarda l'Italia siamo a un livelloabbastanza omogeneo per cui ognuno di noi si comporta secondo il momento della società. Ancheall'interno del nostro gruppo, tra i nostri amici, dopo un po' ci si conosce per cui non possiamocamuffarci e far credere agli altri di essere quello che non siamo. Ci sono però tante situazioni - unadi queste può essere quella sportiva come dicevo prima, o anche una situazione intellettualeoppure economica - in cui noi vogliamo mostrarci agli altri diversi da quelli che siamo. In questocaso Seizei vuole dimostrarsi di meno con l'intento di valere poi di più, perché si presenta dicendo:"Non valgo niente", ma sapendo di valere qualche cosa. Certe volte anche noi possiamo dire:"Valgo dieci" pensando di valere venti e vorremmo che gli altri fossero a riconoscere questo nostrovalore di venti, per il nostro orgoglio di non dire - per esempio nel campo sportivo o in quelloculturale - “io so fare questo, questo e questo"; non voglio apparire né meglio né peggio di quelloche sono - se naturalmente se ne sta parlando - non è che uno si presenti alle persone dicendo: "Iofaccio questo e questo, io ho tanti soldi in banca, io ho una macchina così e così”. Anche se ci sono,almeno io mi ricordo di quando ero in Canada, dei paesi in cui per quanto riguarda le condizionieconomiche delle persone, se uno non le dice, gliele chiedono gli altri ed è costretto a dire, perpresentarsi, chi è veramente, quanto guadagna, che casa ha, che macchina ha, e così via. InGiappone anche, per esempio, appena ci si conosce si dà un biglietto da visita nel quale c’è scrittoesattamente che ruolo si ricopre nella ditta in cui si lavora e automaticamente gli altri capisconoanche quanto guadagna, che casa ha, che macchina può avere, etc.Ma a noi di queste cose interessa relativamente. A noi interessa fondamentalmente saperriconoscere il livello in cui siamo e mostrarlo agli altri, a quelli dai quali ci rivolgiamo per averel'insegnamento, affinché gli altri siano in grado, senza fare tanti trucchi, di dire quello chedobbiamo fare per migliorare e per realizzare il satori che è quello che ci interessa principalmentee il resto - beh, insomma, se c’è qualcuno che vuol diventare ricco ci diventi pure, probabilmentenon c'è niente di male, ma qui a Scaramuccia di questi consigli non ne sappiamo dare.

ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 10 Dicembre 1988

Nei monasteri giapponesi viene festeggiato in una maniera speciale, il 2I dicembre quando c’è ilsolstizio invernale e le giornate raggiungono il minimo della loro lunghezza (c'è la notte più lungadell'anno). In quella notte nel monastero si fa una grande festa, baldoria. C’è, come si dice, unpassaggio dal vuoto al pieno e mi ricordo una volta ci fu tra le tante cose, una rappresentazioneteatrale ad opera dei monaci che recitavano un pezzo riguardante la vita di Kanzan Egen. Noi lo

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recitiamo la mattina nel 'Te Dai Denpo', nella lunga lista dei Buddha e dei Patriarchi. Kanzan Egen èimportante anche per la nostra scuola perché è stato il fondatore di Myoshin-ji, il monastero dalquale dipende Shofukuji e Kanzan è anche discepolo di Daito Kokushi, quello di cui poi riceviamogli avvertimenti e che dice ad un certo punto: '"Basterà che uno di voi sieda in solitudine". Infatti,Kanzan è vissuto a lungo in solitudine in una capanna coperta di paglia, vicino a un villaggio dimontagna e lavorava in maniera molto umile insieme agli abitanti del villaggio durante il giorno e lasera meditava nella sua capanna. Quando a Daito Kokushi fu richiesto di nominare il suosuccessore, disse: "Andate a cercare questo tipo in montagna e quello sarà il mio successore".Nello zen siamo abituati ad avere i monaci seduti in grandi sale di meditazione alcune delle qualihanno contenuto anche centinaia di monaci almeno in Cina - e perdiamo di vista il praticantesolitario in un luogo appartato, quasi che stia facendo qualcosa fuori della norma. La norma èquella di stare seduti tutti insieme, se uno se ne sta da solo sembra un po' strano. Anche nelmonastero certe volte, quando si andava fuori da soli, quelli che sedevano di notte più a lungodegli altri non venivano catalogati bene.In questi giorni in cui in alcune città del nord ed anche del sud, molte persone fanno il ponte percui molti saranno diretti a sciare oppure addirittura nelle isole del sud, in Africa qualcuno, chissà inposti più caldi, noi ci ritiriamo in una capanna coperta di paglia a mangiare radici di erbe selvaggecucinate in una pentola non con le gambe rotte perché non si usano più le pentole con le gambecon sotto la brace, ma certo sono pentole vecchie e usatissime. Qual'è il significato di andarsene astare da soli in cima a una montagna o a una collina, sicuramente in un luogo appartato, lontanoda qualunque mezzo di comunicazione, non si vede la televisione per tre giorni, non si legge ilgiornale, non ci sono i nostri libri se siamo affezionati ai libri, o la nostra musica se è la musicaquella che ci cattura di più; che significato ha?Qualcuno di noi sicuramente pensa che lasciando da parte qualche cosa si possa ottenere qualcosadi meglio. Perciò, se io mi flagello, a un certo punto da questa flagellazione viene una maggiorespiritualità, un distacco dal corpo che mi fa entrare in un mondo più spirituale di quello nel qualesono abituato a stare. Nello zen questo non avviene, non avviene almeno nel modo in cui noi lopensiamo. Qualunque cosa noi facciamo ha un senso, ha un significato in sé e addirittura laposizione di meditazione, lo zazen che è così importante in questa pratica, deve essere anch'essodimenticato, deve essere messo da parte. C'è una frase celebre in giapponese: "Za Vo",dimenticare zazen, arrivare a un punto in cui siamo talmente presi da quello che facciamo, dallapratica di meditazione, dal lavoro che stiamo svolgendo, da quello che stiamo a fare qui, dal motivoper cui siamo qui, che dimentichiamo tutto e dimenticando tutto il lavorio della nostra mente checi ha portato qui e lasciando da parte tutto il lavorio, rimane soltanto la nostra mente e noi siamodi fronte – metaforicamente - a questa nostra mente e la possiamo vedere per quella che è. Eccoallora il senso di essere qui.Kanzan, così come noi in maniera molto meno drastica di quanto abbia fatto lui, ha avuto bisognodi stare nella sua capanna coperta di paglia da solo, a lasciar cadere quello che visto dall'esternopoteva sembrare una grande rinuncia, un grande sacrificio, un grande sforzo di volontà e didisciplina - che sicuramente c'è stato per portarlo a quel momento e a quel luogo - però tuttoquesto deve essere bruciato. Noi qua seduti bruciamo il nostro zazen, bruciamo quello che fa starequi; consumiamolo completamente. Se abbiamo ancora l'idea di essere partiti da lontano pervenire qui a fare l'illuminazione, a migliorare la nostra salute spirituale e se c'è pure quella fisica,questa motivazione deve essere bruciata completamente. Una volta bruciata, andare a cercaredentro le ceneri e vedere che cosa rimane, quel qualche cosa che non brucia, che rimane intatto eche è quello che noi siamo realmente.

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ESORTAZIONE DURANTE JUNKEI 11 Dicembre 1988

Nel lungo arco di tempo in cui ho arrampicato ed insegnato ad arrampicare e a sciare, tante volteho capito e non capito la difficoltà di voler trasmettere un movimento, una posizione, e poi lasensazione di facilità nell'eseguire il movimento che viene dall'aver acquisito quella certaposizione. Nello sci o nell'arrampicata c'è l'esempio, si può dimostrare poi ancora di più con ilvideo, si può mostrare al praticante il suo errore così che possa capire insieme all'errore, anche ilmodo di fare meglio. Dovrebbe essere facile dimostrare, far capire, far avvenire una trasmissione:c'è l'esempio, ci sono i mezzi tecnici, eppure non lo è. Ancora di più hanno avuto questa difficoltà imaestri del ch'an del passato, qualunque maestro di discipline spirituali - chiamiamole così –qualunque mistico che abbia voluto trasmettere quello che ha compreso, il mondo in cui è entrato,voglia far capire la facilità con cui si può camminare in un mondo in cui, come dice il BuddhaSakyamuni stesso, non c'è una strada per far camminare le ruote del carro. Come si fa? Si puòriprendere il video per far vedere come uno è quando fa bene zazen, bene dentro? Si puòriprendere il video e vedere come uno sia uno e non tanti pezzetti con la mente che saltella da unramo all'altro come le scimmie? No. Si può esortare, si può dire: "No, quello non va bene. No, cosìnon è", "no, non è ancora quello. No, cerca qualche altra cosa". Si deve lavorare molto. Ma se cipensiamo bene, quello che stiamo facendo qui sono fondamentalmente due sole azioni: stareseduti o camminare. E già queste due azioni hanno una parte fisica sulla quale possiamoesercitarci, una parte fisica da acquisire nella maniera migliore possibile e non dobbiamo pensareche è sufficiente che uno stia seduto con la schiena più o meno dritta. Da parte nostra ci deveessere lo sforzo continuo di diventare Buddha anche, come il Buddha, assumendo la posizione delloto e poi o durante, naturalmente, c'è il respiro; non stiamo facendo altro che stare seduti erespirare. Siamo venuti da lontano, abbiamo speso dei soldi per fare qualcosa che potremmobenissimo fare anche a casa ma qui, certo, ci sono del le condizioni per poterlo fare meglio. Allora,pensiamoci profondamente a stare seduti e respirare, a camminare e respirare, a inchinarci erespirare. Da qui a domani mattina, anzi stamattina, ci sono soltanto poche ore ci sono soltantopochi respiri, e cerchiamo con tutte le nostre forze, dolcemente, di vederli uno per uno, respiro perrespiro, passo per passo.E così, come quando sciando ci riesce bene una curva, o arrampicando, o suonando, o praticando iltai-chi, o disegnando, o lavorando, qualunque cosa facciamo ci riesce bene e sentiamo che riesceda sé senza la nostra volontà, anche il respiro, il nostro stare seduti, il nostro camminare,avvengono da sé, in maniera possiamo dire gioiosa, certo in una maniera che vale la pena disperimentare.

MUMONKANCASO n. 11 “JOSHU E I DUE EREMITI”(pag. 91)______________________________________

Joshu andò da un eremita e chiese: "Ci sei? Ci sei?". L'eremita alzò il pugno. Joshu disse: "L'acqua ètroppo bassa perché un vascello getti l'ancora". Poi andò da un altro eremita e chiamò: "Ci sei? Ci

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sei?". Anche questo eremita alzò il pugno. "Sei libero di dare o di portare via, di uccidere o di darvita", disse Joshu inchinandosi davanti a lui.

COMMENTO DI MUMON

Entrambi alzarono il pugno. Perché approvò uno e disapprovò l'altro? Ditemi, qual'è il punto dellacomplicazione? Se sapete dire una parola della trasformazione su questo punto, vedrete che Joshunon ha limiti nel dire ciò che vuole ed è interamente libero di aiutare l'uno a sollevarsi ed aspingere l'altro in basso. In ogni caso sapete che, al contrario, fu la vera natura di Joshu ad esserevista dai due eremiti? Se dite che un eremita è superiore all'altro non avete ancora l'occhio Zen. Enemmeno se dite che non c'è differenza tra i due avete l'occhio Zen.

POESIA DI MUMON

Il suo occhio è una stella cadenteE il suo spirito è un lampo.Una spada per uccidere,Una spada per dare la vita.

TEISHO11 Dicembre 1988

Qui viene tradotto: "Ci sei, ci sei?" mentre un'altra traduzione più accurata, secondo me, dice: "C'èqualcosa qui?". Comunque, il senso della domanda di Joshu è sempre quello. Il periodo in cuiJoshu va in giro a chiedere questa cosa non si sa. Potrebbe essere quando ha fatto il suopellegrinaggio che è durato circa venti anni, dai sessanta agli ottanta anni dopo la morte del suomaestro Nansen, un grandissimo maestro del periodo, oppure anche dopo, dopo che si è sistematonel suo monastero. A ottanta anni, appunto, potrebbe essere andato a vedere luoghi o personeche i suoi discepoli, i suoi frequentatori, potevano indicare. Tra l'altro poi di Joshu c'è un altroepisodio in cui i monaci gli dicono che c'è una signora, che vende il tè giù nella strada che porta almonastero, che tratta male tutti i monaci che le chiedono informazioni. Joshu, in quel caso, escedal monastero e va egli stesso a rendersi conto di che tipo di vecchietta sia. Perciò lo vediamo chenon soltanto visita, quando è ancora nel cosiddetto pellegrinaggio, prima di stabilirsi in un luogosuo ma anche successivamente. Allora Joshu va da questi due eremiti, prima dall'uno e poidall'altro. Qui abbiamo proprio il caso classico - come poi lo sono tutti - di trovarsi di fronte alla stessasituazione e una essere accettata e l'altra rifiutata. Quale dei due eremiti? Tra l'altro, non hannoneanche un nome per significare quanto sia poco importante la loro presenza in questo caso. Cistanno come possono essere due semafori che tutti e due fanno il segno rosso e di fronte a unoJoshu dice: "Qua non si passa" e di fronte all'altro invece dice: "Qua si può passare perché la via èlibera". Questi due eremiti possiamo paragonarli a qualcosa del genere. Quello che è moltoimportante è Joshu e questa sua discriminazione tra l'uno e l'altro, l'uno e l'altro per noisconosciuti, perciò sono due automi che sollecitati alzano il pugno, per dimostrare la lorocomprensione dello zen. In un caso uno lo alza e Joshu dice: "No, tu non vali niente", nel caso

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successivo quando va a trovare l'altro eremita, a quello si inchina e gli dice tutto il bene possibile.Possiamo noi, di fronte a manifestazioni apparentemente uguali, comportarci in manieradifferente, ed anche se non è certo il mio giudizio che possa influire su questa cosa, penso cheJoshu senz'altro abbia ragione da vendere perché è proprio così. Ci sono tanti casi in cui noiincontriamo persone che parlano nella maniera in cui dovrebbero parlare, agiscono nella manierain cui dovrebbero agire, eppure sentiamo che c'è qualche cosa che non funziona in quello chedicono e in quello che fanno. Se fossimo giapponesi, diremmo: "Misemono", cioè: "Questo è unfalso", ma anche senza essere giapponesi e anche senza usare la parola misemono, possiamosentirlo da noi.Così come in altre persone che parlano nel modo in cui parlano tutti, sentiamo che c'è qualchecosa dietro che in altri, pur parlando nello stesso modo o agendo nello stesso modo, non c'è.Questo, se fossimo giapponesi, lo diremmo: "Hon mono", dove 'mono' sta per cosa, riferito sia apersone che ad oggetti e "hon" vuol dire vero. Questo è un vero, quello è un falso. Anche Joshu - eJoshu doveva averne di esperienza - va a trovare questi due eremiti. Ora, il fatto di essere eremiti,oppure di stare seduti in una sala di meditazione e fare zazen, non significa che noi abbiamorealizzato non dico il satori, l'illuminazione, ma neanche zazen, neanche la posizione. Può darsi chenoi siamo seduti impettiti, bene, tranquilli, con un volto disteso, ben allineati, e dentro di noi ci siachissà quale inferno o chissà quale paradiso, intendendo con questo dire che invece di vederescene di film horror vediamo scene di film comici o porno. Così, apparentemente calmi, a posto erealizzati, fondamentalmente questa realizzazione, questa calma non ci sono, sono soltantoapparenti. Altre volte possiamo osservare delle persone che pur facendo le cose di tutti i giorni,senza nessuna apparenza di spiritualità, fondamentalmente stanno compiendo delle azionispirituali, stanno compiendo delle azioni giuste, delle azioni in linea con lo spirito illuminato equeste persone ci trasmettono qualche cosa che non dipende tanto da quello che fanno, ma dacome lo fanno o lo dicono.Ecco i due casi. Ci vuole Joshu per vederli? Certamente, se si tratta di casi di questo genere ci vuoleJoshu, ma anche noi col nostro occhio esperto - per quanta esperienza possiamo avere - perquanta preparazione possiamo avere - possiamo scorgere ed accorgerci di quanto ci sia di vero e difalso nelle persone che ci sono di fronte.Ma il commento di Mumon poi è importante perché dice: "In ogni caso sapete che al contrario, fula vera natura di Joshu ad essere vista dai due eremiti?". E qui si capovolge la questione, come usafare spesso Mumon, e cioè colui che va per esaminare alla fine è quello che viene esaminato.E infatti, i due eremiti possono essersi messi d'accordo - è una ipotesi assurda perchéprobabilmente stavano chissà a quanti chilometri di distanza - possono essersi messi d'accordo,alzare il pugno nella stessa maniera, stare seduti nello stesso modo per vedere Joshu come sisarebbe comportato. Pure importante è quello che dice successivamente e cioè: "Se dite che uneremita è superiore all'altro non avete l'occhio zen. E nemmeno se dite che non c'è differenza tra idue avete l'occhio zen". Intanto se noi decidessimo di non dire di avere l'occhio zen, già il problemasi risolverebbe da sè. Se noi non ci tenessimo al fatto di dire che abbiamo l'occhio zen, qualunquecosa diciamo, la diciamo perché ci va di dirla e non perché abbiamo un occhio zen. Possiamoindovinarci, possiamo capirla e possiamo anche non capirla. Perciò non possiamo essere criticatida qualcuno che ci dice: "Tu vai in giro a dire che hai l'occhio zen e dopo giudichi in manierasbagliata". Noi non andiamo in giro a dire che abbiamo l'occhio zen - potrebbe essere alla fine chegiudichiamo come ci pare, sbagliato o giusto. Ma quello che è ancora più importante e qui sembral'imbonitore che le cose le dice alla fine e fa sempre lo sconto maggiore per vendere le sue robette,è che da parte nostra non c'è bisogno che ci sia il giudizio nei confronti di questi eremiti. Gli eremitistanno là, uno alza il pugno, l'altro pure alza il pugno. Allora, tutto dipende se a noi questi eremitisono utili per qualche cosa. Pensiamo di poterci imparare qualcosa? Se sì, allora dobbiamo saper

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discernere se uno vale e qual'è quello che vale e a quello rivolgerci. Ma se questi due eremitistanno lì seduti in pace tranquilli in cima alla montagna, non danno fastidio a nessuno, ma noiperché dovremmo andare a chiedere se c’è qualche cosa all'uno e all'altro? Che ci sia o che non cisia, è un problema relativo soltanto agli eremiti e non a noi. Così come, spesso, il problema dellafalsità o della verità di quanto dicono delle persone è relativo a quelle persone. A noi sta,naturalmente, di sentire la verità, la giustezza o la falsità di quanto dicono ma poi, alla fine, siamonoi stessi che dobbiamo da noi stessi agire e comportarci nella vita indipendentemente da quantoquelle persone dicono di giusto o di sbagliato. Questo è fondamentale: dobbiamo sviluppare quellacapacità di decidere da noi stessi, senza dipendere dall'eremita che alza il pugno o che non lo alza.Il poema di Mumon dice: "Il suo occhio è una stella cadente e il suo spirito è un lampo. Una spadaper uccidere, una spada per dare la vita". Si riferisce naturalmente a Joshu il quale ha quest'occhio come una stella cadente e lo spirito comeun lampo e che con una spada uccide e con un'altra spada dà la vita. C'è poco da dire su questopoema. Quello che c'è da osservare è sugli eremiti che siamo noi e che siamo qui seduti in questozendo, e che abbiamo finito la sesshin e che se alzassimo il pugno di fronte a Joshu, Joshu potrebbedirci: "Qui l'acqua è bassa, qui invece l'acqua è profonda e ci si può approdare". Ma anche seavessimo di fronte Joshu che giudicasse il nostro pugno alzato, questo non deve farci dimenticare -ammesso che uno si possa dimenticare - queste cavalcate notturne o questi viaggi notturni suinostri cuscini volanti. Nelle favole abbiamo appreso dell'esistenza dei tappeti volanti con i qualialcuni tipi speciali si muovono da una parte all'altra, almeno dell'Arabia perché le storie di questogenere compaiono nelle mille e una notte, ma abbiamo potuto sperimentare che ci sono deicuscini volanti. Sopra vi sono sedute delle persone che vogliono viaggiare a proprio piacimento,vogliono entrare ed uscire dalle situazioni secondo la propria volontà.Le sesshin siccome cominciano, così pure finiscono e quando si legge il notiziario si legge: "Questasesshin è stata bella, quest'altra sesshin è stata bella". Basterebbe non dire niente e forse chi leggecapirebbe che tutte le sesshin in qualche modo sono belle, in qualche modo per tutti noirappresentano qualche cosa, sia che fa caldo o che fa freddo, che ci sono le zanzare o che ci sono icinghiali: questo attiene alla stagione. C’è da parte nostra lo scopo e la volontà di trovare quellastagione in cui si possa andare sempre con lo stesso abito, tranquilli, leggeri. Se fa caldo ci teniamoil caldo, se fa freddo ci teniamo il freddo, con la nostra maglietta e con i nostri calzoni sempreuguali, attraversare le stagioni della vita in una maniera sicura e tranquilla perché siamo capaci diavere dentro di noi il sole che ci riscalda.