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Testi a cura di : Ezio STECICH Tecnico della Prevenzione S.C. Igiene degli Alimenti e della Nutrizione – ASL to5 Con la collaborazione e la supervisione di:

Claudio MAGGI Direttore Struttura complessa Igiene degli Alimenti e della Nutrizione – ASL to5 1^ Edizione – Luglio 2006 La presente pubblicazione non può essere riprodotta, neppure

parzialmente, sotto alcuna forma, senza la preventiva

autorizzazione dell’autore.

Il testo della presente pubblicazione è stato depositato, in conformità a quanto disposto dalla Legge sulla stampa, presso la Procura

della Repubblica di Torino e l’Ufficio Stampa della Prefettura di Torino, in data 24.05.2004 e 17.08.2006.

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Prefazione

La società attuale tende a spingere il consumatore a cercare sempre più prodotti

alimentari di qualità facendo riferimento a quella organolettica, nutrizionale ed

igienica. Tra questi aspetti la qualità igienica rappresenta la caratteristica con il

maggiore impatto socio-economico sulla collettività. Ad essa, infatti, è strettamente

collegata la sicurezza d’uso del prodotto da parte del consumatore e, di

conseguenza, l’assenza di rischio per la salute. A tale proposito riteniamo utile

ricordare che “…… le malattie dovute ai cibi contaminati costituiscono forse il primo

problema di salute pubblica più diffuso nel mondo contemporaneo ed un’importante

causa di riduzione della produttività economica. Siano esse in forma di diarrea

infantile, colera, salmonellosi, listeriosi ecc. o di intossicazioni causate da

contaminanti chimici, per menzionarne alcune, le malattie dovute a cibi contaminati

causano mortalità, malesseri, sofferenze e perdite economiche, che nessuna

nazione può affrontare … la sicurezza dei cibi non riceve il grado di attenzione e di

stanziamenti che meriterebbe; i problemi di salute ed il peso dell’impatto economico

delle malattie associate alla contaminazione dei cibi, devono essere riconosciuti a

livello nazionale ed internazionale, in modo che possano essere individuate le

risorse necessarie per la loro prevenzione ….” Così l’Organizzazione Mondiale della

Sanità apriva il suo rapporto “World Helath Statistics Quarterly” (vol. 50, 1997),

dedicato interamente alla sicurezza dei prodotti alimentari, evidenziando

l’importanza che il fenomeno delle malattie collegate al consumo di alimenti

contaminati assume nella nostra società e di conseguenza la necessità continua di

attuare misure di prevenzione tali da garantire la salubrità dei prodotti alimentari

destinati al consumatore. Tale percorso aveva avuto inizio anni prima con la

pubblicazione in particolare di due Direttive Comunitarie la 93/43/CEE e la 96/3/CE,

finalizzate ad assicurare un livello minimo di requisiti, sia strutturali che di prodotto,

delle Aziende alimentari, attraverso lo sviluppo di un’approfondita analisi del

processo produttivo, tale da evidenziare criticità e modalità di controllo delle stesse.

L’approccio introdotto dalle Direttive di cui sopra, recepite in Italia dal Decreto

Legislativo n. 155 del 26 maggio 1997, rappresenta una metodologia di controllo di

processo ampiamente collaudata quale il sistema HACCP (Hazard Analysis and

Critical Control Points). Tale approccio è basato sull’analisi del processo produttivo

per individuare i punti critici, riferiti al rischio individuato (chimico, fisico,

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microbiologico) e quindi attivare procedure tali da garantire la gestione, vale a dire la

sua eliminazione e/o minimizzazione. A fronte di un elevato numero di potenziali

agenti di rischio, il concetto di controllo qui introdotto non consiste in una serie

illimitata di verifiche mirate ad evidenziare la presenza di uno specifico agente di

rischio, ma piuttosto nel controllo dei parametri di processo, in precedenza

individuati grazie all’analisi dei rischi, in grado di “domare” le possibile

contaminazioni e/o proliferazioni di agenti patogeni, contaminati chimici,

contaminanti fisici.

Il numero di soggetti sia pubblici che privati coinvolti nell’applicazione di tutte le

norme emanate a tutela del consumatore è enorme ed eterogeneo; si va infatti dalle

grandi imprese multinazionali alle piccole imprese a conduzione familiare, tutte

accomunate dall’esigenza di dover attivare una serie di iniziative mirate

all’eliminazione e/o riduzione dei pericoli. A fronte della realtà così configurata,

obiettivo generale della presente opera è fornire, alle migliaia di persone

interessate, uno strumento di supporto che consenta loro di accostarsi

adeguatamente al concetto di “prevenzione del rischio”, attraverso l’utilizzo di una

metodologia non statica, ma in continua evoluzione quale il sistema HACCP.

Non si tratta di un manuale, in quanto sarebbe necessario coinvolgere esperti

per ciascun settore merceologico considerato, bensì di linee guida in grado di

fornire una serie generale di nozioni di base e di chiavi interpretative, utili sia in fase

di sviluppo che di verifica del piano di autocontrollo aziendale basato

sull’applicazione dei principi del sistema HACCP.

La pubblicazione deve essere interpretata come schema operativo di carattere

generale che ogni interlocutore potrà adattare con flessibilità alle specifiche

caratteristiche di prodotti e degli impianti della realtà in esame, anche attraverso

l’integrazione con i “Manuali di corretta prassi igienica” per il settore alimentare di

interesse.

Prof. Dr. Giorgio Gilli

Università degli studi di Torino

Professore Ordinario di Igiene

Dipartimento di sanità Pubblica e Microbiologia

Via Santena 5 bis – 10126 Torino

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N.B. Quando non diversamente specificato, con il simbolo ���� seguito da uno o più numeri - ad esempio: ���� (1), (2), (3), ecc. - vengono citati i testi di riferimento segnalati in bibliografia dai quali sono tratte le indicazioni di volta in volta riportate.

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INTRODUZIONE Il metodo HACCP, secondo quella che era la guida proposta dagli organismi internazionali di riferimento, e precisamente dal gruppo misto FAO/OMS – Codex Alimentarius (�

1) nel corso della 20^ sessione – 1993, si

componeva di sette principi fondamentali che possono essere così schematicamente riassunti (�2):

Principio 1

Identificare i pericoli associati a tutte le fasi della produzione alimentare

Principio 2

Determinare i punti critici di controllo (CCP)

Principio 3

Stabilire i parametri da utilizzarsi come indicatori ed i limiti critici che devono essere rispettati per assicurare che ogni CCP sia sotto controllo.

Principio 4

Stabilire un sistema di monitoraggio dei punti critici di controllo (CCP)

Principio 5

Stabilire le azioni correttive da intraprendersi qualora dal monitoraggio possa emergere che un punto critico di controllo (CCP) è fuori controllo

Principio 6

Stabilire le procedure di verifica per confermare che il piano di autocontrollo – così come predisposto – è valido ed efficace.

Principio 7

Predisporre una documentazione che riporti l’indicazione di tutte le procedure e le registrazioni, in coerenza ai principi del metodo ed alla loro applicazione.

Successivamente, a partire dal 1997, la metodica HACCP è stata integrata da cinque passi preliminari (che sono stati aggiunti ai sette principi fondamentali sopraindicati). Attualmente, l’applicazione pratica de metodo presuppone dunque che sia data attuazione ad una serie di passi sequenziali

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La Commissione del Codex Alimentarius è un organismo sovrazonale istituito nel 1963 attraverso la collaborazione di due Organizzazioni delle Nazioni Unite, la FAO (Food and Agriculture Organization – Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e della WHO / OMS (World Healt Organization – Organizzazione Mondiale della Sanità), con lo scopo di elaborare delle norme internazionali di riferimento (degli standard) riguardo i principi della sicurezza alimentare e delle corrette pratiche commerciali nel settore dell’alimentazione. Il Codex Alimentarius è pertanto una raccolta di norme internazionali prodotte dalla suddetta Commissione. Attualmente risultano membri della Commissione del Codex Alimentarius 171 Stati che rappresentano oltre il 98 % della popolazione mondiale. Con la nascita del WTO / OMC (World Trade Organisation – Organizzazione Mondiale del Commercio) il ruolo del Codex Alimenatrius ha assunto una rilevanza sempre più fondamentale e strategica. Infatti, allo scopo di armonizzare, a livello internazionale le norme riguardanti la sicurezza alimentare con quelle rivolte a tutelare il commercio tra Paesi, è stata prevista l’applicazione, da parte del WTO / OMC, di appositi Accordi commerciali internazionali sulle misure sanitarie e fitosanitarie. In base ai suddetti accordi, le norme del Codex Alimentarius sono state assunte, quale riferimento scientifico ; pertanto non dovrebbe risultare possibile, da parte di un dato Paese, rifiutare l’importazione di prodotti alimentari da un altro Paese se tali prodotti risultassero conformi ai parametri stabiliti dal Codex (pena l’instaurarsi d un contenzioso tra Paesi in sede WTO / OMC).

2 I principi di cui trattasi sono stati recepiti, pressoché integralmente, dalla Decisione CEE 20.05.1994 n. 356 “Recante modalità

d’applicazione della Direttiva 91/493/CEE del Consiglio riguardo ai principi che presiedono agli autocontrolli sanitari per i prodotti della pesca” (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale elle Comunità Europee n. L 156 del 23 giugno 1994) costantemente ripresa dalla bibliografia di riferimento e dagli interpreti della materia. Attraverso tale Decisione CEE (atto amministrativo obbligatorio, per sua natura, in tutti i suoi elementi, nei confronti dei destinatari), è stata fornita un’interpretazione dettagliata rispetto all’applicazione dei criteri che caratterizzano il metodo HACCP.

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• Formazione del gruppo HACCP

• Descrizione del prodotto

• Indicazioni delle modalità di utilizzazione

• Determinazione del diagramma di flusso (Flow Diagram)

• Verifica sul luogo della validità del diagramma di flusso

• Individuazione di tutti i pericoli (biologici, chimici, fisici) che si possono presentare durante le fasi del processo lavorativo e determinazione delle misure preventive atte a controllare detti pericoli.

• Identificazione dei punti critici di controllo (CCP)

• Definizione dei limiti critici per ciascun CCP

• Determinazione di un sistema di monitoraggio per ciascun CCP

• Descrizione delle azioni correttive che si devono adottare quando si verificano delle variazioni rispetto a a quanto stabilito

• Organizzazione dei procedimenti di verifica

• Organizzazione della raccolta dei dati e della documentazione relativa. Tra quelli elencati, i primi tre passi sequenziali (Formazione del gruppo HACCP, Descrizione del prodotto, Indicazioni delle modalità di utilizzazione) sono propedeutici all'applicazione dei sette principi fondamentali del sistema HACCP; i successivi due passi (Determinazione del diagramma di flusso e Conferma sul posto del diagramma di flusso) trovano riscontro nell'ambito applicativo del Principio 1 del sistema HACCP. I sette passi ancora successivi costituiscono i sette principi fondamentali del sistema HACCP. Prescindendo, anche per ragioni di semplicità, da una rigida osservanza dei passi sequenziali indicati dalla Commissione mista FAO / OMS – Codex Alimentarius, nell’ambito di queste linee guida si è ritenuto opportuno sviluppare il discorso rispetto all’applicazione dei principi fondamentali del sistema HACCP, riportando una serie di nozioni di base e di chiavi interpretative che si ritiene possano tornare utili a quanti si trovano a dover predisporre ed applicare, nonché verificare, un piano di autocontrollo aziendale.

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FORMAZIONE DEL GRUPPO HACCP Il primo passo applicativo del sistema HACCP dovrebbe dunque essere quello di costituire un gruppo di lavoro formato da persone aventi le competenze necessarie a redigere un piano HACCP. Il gruppo dovrebbe essere multidisciplinare e comprendere, opportunamente, diverse figure professionali; tra le quali si ritiene di poter citare indicativamente :

• un esperto della tecnologia di produzione degli alimenti preparati presso l’azienda interessata, in grado di fornire dettagli su come le varie attività vengono svolte durante i cicli lavorativi

• uno specialista in materia di controllo e sicurezza della qualità alimentare, in grado d’individuare – e valutare - i pericoli (microbiologici, chimici e fisici) ed i relativi rischi, nonché stabilire le misure preventive per controllare gli stessi.

• uno specialista in tema di tecnologia d’impianti, attrezzature ed utensili adibiti alla trasformazione ed alla produzione di prodotti alimentari (sia per quanto concerne le caratteristiche tecniche che per quelle di ordine igienico)

• uno specialista in tema di legislazione (con particolare riferimento alla normativa di carattere alimentare nonché ai principi applicativi del sistema HACCP).

La costituzione di un gruppo di lavoro così articolato risulta sicuramente possibile per aziende di medie e grandi dimensioni (in termini di numero di dipendenti, volumi produttivi etc.). Nel caso di piccole aziende quali laboratori artigianali (pasticcerie, gelaterie, panetterie etc.), bar, ristoranti oppure depositi e punti di vendita, il gruppo di lavoro potrà essere costituito da un numero minore di persone, purché in possesso delle necessarie conoscenze.

Qualora il compito di redigere un piano di autocontrollo sia affidato a consulenti esterni all’azienda, risulta comunque fondamentale, ed indispensabile, che il personale dell’azienda venga coinvolto nella predisposizione del piano, che ne conosca e condivida adeguatamente i contenuti, in ragione dell’esigenza prioritaria di una coerente e corretta applicazione dello stesso.

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DESCRIZIONE DEI PRODOTTI E LORO MODALITA' DI UTILIZZAZIONE In funzione del tipo attività svolta è necessario che siano descritti, in termini quanto più possibilmente dettagliati, i prodotti alimentari preparati dall’impresa alimentare, ponendo particolare rilievo verso tutti quegli aspetti che potrebbero avere importanza strategica riguardo la sicurezza igienica dei prodotti stessi. Nei manuali di corretta prassi igienica dei diversi settori non sono riportate indicazioni sempre univoche circa il grado di approfondimento ritenuto necessario per questo studio. In alcuni casi viene precisato che devono essere acquisite, ed elaborate, notizie che riguardano ingredienti e formulazione, modalità di lavorazione e trattamenti applicati, caratteristiche del prodotto finito, metodi di distribuzione ed istruzioni per l'uso, prevedendo, durante questa fase di studio, anche una serie di campionamenti nel corso delle varie tappe del ciclo lavorativo in modo da definire i valori chimici e /o microbiologici che possono caratterizzare i prodotti. Più schematicamente, richiamando le indicazioni fornite , al riguardo, da organismi internazionali di riferimento (����

3), è possibile rilevare come rispetto ai diversi prodotti finiti - o ai gruppi omogenei di

prodotti - ed in ragione della tipologia dell’attività svolta, dovrebbero essere presi in considerazione, e descritti : - composizione (principali ingredienti, indicando, tra l'altro, se trattasi di prodotti freschi,

congelati/surgelati, etc.) - proprietà e caratteristiche chimico-fisiche - trattamenti cui vengono sottoposti i prodotti durante la lavorazione - modalità di eventuale confezionamento e d’imballaggio - modalità d’immagazzinamento / distribuzione. - modalità di conservazione in attesa della vendita / somministrazione - modalità d’impiego / destinazione d’uso (ad esempio, se il prodotto deve essere consumato freddo o

caldo; se viene somministrato in locali annessi a quelli di preparazione o presso centri di distribuzione, cioè in sedi diverse da quelle di preparazione etc.)

- periodo di conservazione entro il quale il prodotto mantiene le proprie qualità (data di scadenza per il consumo. T.M.C.)

- istruzioni per l’uso - tipologia dei consumatori Occorre comunque tener conto della possibilità, in concreto piuttosto frequente, di trovarsi di fronte ad attività produttive e commerciali di dimensioni piccole, o comunque relativamente piccole (ad esempio, negozi di vendita, Bar, piccoli Ristoranti, laboratori artigianali di gastronomia, di panetteria etc.), che potrebbero però arrivare a trattare una rilevante molteplicità di prodotti alimentari più o meno omogenei, rispetto ai quali uno studio articolato secondo le modalità sopraindicate risulterebbe, senza dubbio, estremamente complesso ed oneroso. Nell’eventualità considerata, allo scopo di perseguire l’adozione di possibili criteri semplificativi, si rileva come la descrizione potrebbe essere riferita, per lo meno, a gruppi omogenei di prodotti alimentari (����

4 ).

In tal caso, nel Piano di autocontrollo dovrebbero essere sempre esplicitati, e giustificati, i criteri scelti per definire gli eventuali raggruppamenti. Si citano, di seguito, a titolo puramente esemplificativo, le suddivisioni proponibili per alcune tipologie di attività. Tali indicazioni hanno il carattere di una traccia orientativa : dovranno pertanto, di volta in volta, essere adattate, completate, ed integrate, tenendo conto dell’effettiva realtà produttiva e degli aspetti metodologici non appena evidenziati.

3 Uno schema di riferimento è richiamato nella già citata DECISIONE CEE 20.05.1994 n. 356 – Allegato – Capitolo I “Identificazione

dei punti critici” – punto 2 – “Descrizione del prodotto”. ����

4 Tale concetto risulta ripreso, e formulato con maggiore dettaglio al successivo Paragrafo 1.7. Potranno essere raggruppati prodotti

di natura simile, coerentemente analoghi per tipologia, che siano sottoposti alle stesse fasi lavorative.

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���� Esercizi di somministrazione (Bar, Circoli privati etc.) - panini, tramezzini, toast, piadine e prodotti similari - prodotti di gastronomia quali, ad esempio, cibi precotti surgelati da sottoporre a riscaldamento - piatti semplici preparati con mero assemblaggio d’ingredienti, previo lavaggio e sanificazione

(macedonie, insalate etc.) - prodotti di pasticceria fresca e secca (brioches, croissant, tranci di torta etc.) - gelati - latte e derivati - bevande ���� Esercizi di ristorazione - Prodotti cotti da somministrarsi caldi (ulteriormente da suddividersi in primi piatti, secondi piatti etc.) - Prodotti cotti sottoposti a raffreddamento – e successivamente riscaldati - da consumarsi caldi - Prodotti cotti sottoposti a raffreddamento – da consumarsi freddi - Prodotti freddi – soggetti a regime di temperatura controllata – da consumarsi freddi (ad esempio.

antipasti, salumi, formaggi, insalate etc.) - Prodotti di pasticceria e gelateria - Bevande Per tutti i gruppi omogenei sopra indicati occorre tenere conto, ovviamente, dei piatti effettivamente contemplati nel menu – o comunque somministrati – cui è necessario sia fatto riferimento. ���� Pasticcerie - Prodotti di pasticceria da forno - Prodotti di pasticceria farcita con creme pastorizzate ���� Gelaterie - Gelati al latte - Gelati alla frutta a base acquosa - Semifreddi ���� Panetterie - Pane comune e speciale - Prodotti di pizzeria - Prodotti di pasticceria secca

Rispetto ad ogni gruppo di preparazioni omogenee dovrebbe opportunamente essere riportata la citazione nominale dei piatti – o dei prodotti – in esso accomunati.

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Pur restando legati all’obiettivo di considerare l’adozione di possibili criteri semplificativi, ed ammettendo, per l’acquisizione di dati ed elementi di valutazione, il ricorso a fonti bibliografiche, guide tecniche, schemi e prospetti standardizzati, si evidenzia come l’indicazione dei prodotti alimentari dovrebbe comunque essere accompagnata da un’adeguata descrizione del ciclo lavorativo - o distributivo - che interessa gli stessi all’interno dell’azienda o dell’esercizio. Attraverso tale descrizione occorrerebbe fossero sottolineati gli aspetti peculiari del percorso operativo (preparazioni, operazioni, trattamenti in genere) che potrebbero avere incidenza rilevante sulla qualità igienica dei prodotti alimentari. Al riguardo, si riporta, ancora una volta a titolo esemplificativo, una traccia, ancorché generica e sommaria, che potrebbe essere riferita, con i debiti adattamenti, ad alcuni dei gruppi di prodotti alimentari già sopra indicati. ���� Esercizi di somministrazione (Bar, Circoli privati etc.) - Panini, tramezzini, toast, piadine e prodotti similari

Esempio: … Tali prodotti vengono preparati in un locale (o in un’area, in uno spazio etc.) appositamente dedicato (precisare con appropriato dettaglio) utilizzando ingredienti sia sfusi che confezionati (pane, prosciutto, formaggio, insalata etc.) alcuni dei quali (precisare opportunamente) soggetti ad essere conservati in regime di temperatura controllata. Le lavorazioni comprendono un numero di operazioni piuttosto limitato e riguardano il lavaggio dell’insalata (indicare modalità con le quali si ritiene di condurre

l’operazione), nonché il taglio, mediante l’impiego di un’affettatrice, di prosciutto, salumi, formaggi. Al fine di minimizzare il contatto con le mani dell’operatore e quindi la possibilità di contaminazione dei prodotti, le operazioni di affettatura sono condotte con l’ausilio di apposite pinze. Dopo l’assemblaggio degli ingredienti i prodotti vengono avvolti con pellicola protettiva e (ad esempio) collocati all’interno di vetrinette espositive refrigerate (descrivere le modalità di conservazione, esposizione – qualora risulti prevista la

sussistenza di tali fasi - nonché di distribuzione dei prodotti finiti). - Prodotti di gastronomia quali cibi precotti surgelati da sottoporre a riscaldamento.

Esempio: …Tali prodotti vengono acquistati in vaschette monoporzione preconfezionate. Dopo l’acquisto vengono conservati in frigorifero congelatore appositamente dedicato. In seguito a richiesta del cliente i prodotti vengono prelevati, riscaldati in forno a microonde, ed immediatamente serviti all’interno della loro vaschetta, con modalità operative (ad esempio) che non contemplano alcuna ulteriore manipolazione del prodotto

- Gelati acquistati preconfezionati e venduti previo frazionamento. Esempio: … Tali prodotti vengono acquistati da Ditte autorizzate in vaschette (contenitori, recipienti etc.) preconfezionate. Dopo l’acquisto, i gelati sono inizialmente conservati in un frigorifero, appositamente dedicato presente nel vano deposito ; non appena se ne presenta la necessità commerciale, i gelati, dopo apertura della relativa confezione, vengono collocati in un banco frigo espositore. La vendita dei prodotti (o somministrazione) avviene estemporaneamente, previa ordinazione del cliente : i gelati sono porzionati su coni, bicchieri etc. (utilizzando spatole ed utensili diversi

per ogni tipo / gusto di prodotto – descrivere opportunamente) e somministrati.

���� Esercizi di ristorazione - Prodotti cotti da somministrarsi caldi – Primi piatti.

Esempio: …. In questo gruppo sono compresi piatti a base di pasta, paste farcite, riso, con aggiunta di sughi, salse, besciamella, nonché brodi, minestroni etc. Vengono utilizzate materie acquistate da fornitori debitamente selezionati (come risulta dalle specifiche procedure riportate nel presente piano di autocontrollo). I piatti vengono preparati nel locale cucina utilizzando, per le diverse tipologie di alimenti, le zone appositamente riservate (individuate sulla base delle regole di buona prassi igienica – definite ed indicate in una sezione – citare apposito rimando – del presente manuale). I piatti, al termine della fase di cottura vengono immediatamente serviti.

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- Prodotti cotti sottoposti a raffreddamento – e successivamente riscaldati - da consumarsi caldi Esempio: …. In questo gruppo sono compresi arrosti, sughi etc. Vengono utilizzate materie acquistate da fornitori debitamente selezionati (come risulta dalle specifiche procedure riportate nel presente piano di autocontrollo – citare apposito rimando). I piatti vengono preparati nel locale cucina utilizzando, per le diverse tipologie di alimenti, le zone appositamente riservate (individuate sulla base delle regole di buona prassi igienica – definite ed indicate in una sezione – citare apposito rimando – del presente manuale). I piatti, al termine della fase di cottura sono raffreddati rapidamente utilizzando, allo scopo, apposito abbattitore termico (se esistente - ovviamente. In caso contrario specificare modalità ed accorgimenti

adottati per condurre adeguatamente la fase), e vengono quindi conservati in un frigorifero presente nel locale cucina (“frigorifero di giornata”). Prima di essere serviti i piatti sono sottoposti a riscaldamento.

���� Panetterie

- Pani comuni e pani speciali. Esempio: …. I prodotti vengono preparati utilizzando, quali materie prime, farina di tipo 00, acqua, lievito, sale, nonché, per i pani speciali (ad esempio), strutto, olio di sansa e di oliva, olive etc. Gli ingredienti, appositamente dosati, vengono miscelati nell’impastatrice. Gli impasti ottenuti sono lasciati a riposo e fatti lievitare fino a raggiungere la consistenza necessaria ; ottenute le condizioni ottimali di fermentazione, l’impasto viene suddiviso nelle pezzature desiderate. Le forme preparate sono cotte in forno a temperatura di 200-300 °C.

I dati elaborati in questa fase di studio del processo di lavorazione potranno essere utilizzati per i passi successivi della predisposizione del piano di autocontrollo aziendale, con particolare riferimento all’identificazione dei pericoli, e rappresentano un elemento indispensabile a rendere specifico il documento di autocontrollo rispetto alla realtà cui si riferisce.

Ai diversi prodotti - o gruppi di prodotti alimentari - dovrebbero opportunamente essere fatti corrispondere, nello sviluppo del piano di autocontrollo, i relativi diagrammi di flusso

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Preordinata al processo d’identificazione dei pericoli, nonché allo sviluppo dei passi successivi del sistema, è sicuramente la definizione di Diagrammi di flusso rispetto alla filiera produttiva delle varie preparazioni alimentari.

1.1. DIAGRAMMA DI FLUSSO Il Diagramma di flusso costituisce uno degli elementi fondamentali di un piano di autocontrollo. Può essere definito come la rappresentazione schematica del processo di lavorazione relativo ad una determinata preparazione alimentare (����

5) - articolato, suddiviso, in tutte le Fasi che lo caratterizzano. (����

6)

La stesura di un Diagramma di flusso presuppone un’analisi quanto più possibilmente dettagliata, in forma sequenziale, di tutte le Fasi della filiera produttiva (a partire dal ricevimento delle materie prime per passare alle varie lavorazioni ed ai trattamenti tecnologici applicati, fino alla distribuzione, somministrazione, vendita, dei prodotti finiti) in modo da raccogliere, e riportare, tutti i dati e le informazioni tecniche rilevanti. Il Diagramma di flusso può essere rappresentato attraverso uno schema a blocchi, oppure sotto forma di tabelle, griglie etc. ; rispetto a tali rappresentazioni semplificate ogni Fase indicata dovrebbe quindi trovare riscontro ed approfondimento in apposite schede o nelle parti descrittive del piano di autocontrollo.

Al riguardo, si riportano nelle pagine seguenti, a titolo d’esempio:

- Figura n.1 – Schema a blocchi riguardante un diagramma di flusso – generico. - Figura n.2 – Schema in bianco per la redazione di un diagramma di flusso.

����

5 Ribadendo quanto già evidenziato nelle parti preliminari di queste Linee guida, specificatamente nel paragrafo dal titolo

“Descrizione dei prodotti e loro modalità di utilizzazione”, per quanto concerne piccole attività produttive e commerciali (o comunque relativamente piccole) potrebbe essere fatto riferimento a gruppi omogenei di prodotti alimentari accomunando, ad esempio, alimenti di natura simile, coerentemente analoghi per tipologia, e sottoposti, ovviamente, alle stesse fasi lavorative. In ogni caso, nel piano di autocontrollo aziendale dovrebbero essere esplicitati, e giustificati, i criteri effettivamente scelti per gli eventuali accorpamenti. ����

6 La necessità di articolare il piano di autocontrollo passando attraverso la redazione di apposti diagrammi di flusso trova chiaro ed

autorevole riscontro nella Decisione CEE 20.05.1994 n. 356 “Recante modalità d’applicazione della direttiva 91/493/CEE del Consiglio, riguardo ai principi che presiedono agli autocontrolli sanitari per i prodotti della pesca”. Nell'Allegato di tale Decisione CEE, al Capitolo I - punto 4 - è infatti riportato: "Qualunque presentazione si scelga, si dovrebbero studiare in forma sequenziale tutte le fasi della fabbricazione, compresi i periodi di attesa tra una fase e l'altra o nell'ambito di una stessa fase, a cominciare dall'entrata delle materie prime nello stabilimento fino alla commercializzazione del prodotto finito, passando per le preparazioni, i trattamenti, l'imballaggio, il magazzinaggio e la distribuzione; tutte queste fasi vanno presentate in forma di diagramma dettagliato, corredato di tutte le informazioni tecniche utili". La definizione dei diagrammi di flusso non è ovviamente, fine a sé stessa, ma risulta, tra l'altro, necessaria per la determinazione dei pericoli associati ad ogni fase nonché per la determinazione dei punti critici di controllo (CCP) attraverso l'applicazione di quello che nella Decisione CEE viene chiamato "albero decisionale". Nell'Allegato della più volte citata Decisione CEE, al Capitolo I - punto 7, risulta infatti indicato: "Per l'uso dell'albero decisionale si prenderanno successivamente in considerazione tutte le fasi operative identificate nel diagramma di fabbricazione. Per ogni fase, l'albero decisionale deve essere applicato a qualsiasi pericolo legittimamente prevedibile ed a ciascuna misura di controllo adottata". Non dovrebbe pertanto risultare possibile la corretta individuazione dei CCP attraverso l'applicazione dell'albero decisionale in assenza di un'esauriente definizione dei diagrammi di flusso.

1. IDENTIFICAZIONE DEI PERICOLI

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Il formato del diagramma di flusso è discrezionale. Si ritiene comunque utile porre in rilievo come il diagramma di flusso debba essere predisposto facendo riferimento alle fasi lavorative delle varie preparazioni e non articolando le ricette dei diversi prodotti. Rispetto ad ogni fase lavorativa, come di seguito più diffusamente considerato, è necessario siano poi operate l'analisi dei pericoli, l'individuazione dei punti critici di controllo etc. Nel piano di autocontrollo aziendale dovrebbero essere riportati i diagrammi di flusso di tutti i prodotti preparati / commercializzati dalla ditta, eventualmente accomunati per gruppi omogenei sulla base di criteri semplificativi (di cui occorrerebbe fossero dati, in modo esauriente, riscontro e giustificazione) ; detti criteri, per altro, sono oggetto di disamina al successivo paragrafo 1.7.

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1.2. FASE Si è dunque appena detto che il diagramma di flusso può essere indicato come la rappresentazione schematica della sequenza di Fasi che caratterizzano il processo lavorativo / distributivo. Per Fase deve intendersi qualsiasi attività, sia manuale che strumentale (condotta cioè attraverso l’utilizzo di attrezzature e macchinari), relativa al ciclo di lavorazione - o di distribuzione - di un determinato prodotto alimentare. Rientrano in tale definizione tutti i passaggi tecnologici cui viene sottoposto il prodotto, quindi ogni lavorazione effettuata (ad esempio, l’impasto, la farcitura, l’affettatura, l’aggiunta di additivi ed ingredienti, la porzionatura nonché le manipolazioni in genere), oppure i trattamenti di conservazione, scongelamento, cottura, raffreddamento, riscaldamento, distribuzione, vendita ecc.

ESEMPIO DI FASI RIGUARDANTI LA PREPARAZIONE DI ALIMENTI.

- acquisto / ricevimento materie prime - stoccaggio materie prime soggette a regime di temperatura controllata (quindi refrigerate,

congelate, surgelate) in frigorifero - stoccaggio prodotti non deperibili - scongelamento - lavaggio verdure - preparazione (ad es. miscelazione e dosaggio ingredienti, allestimento del prodotto ecc.) - cottura - pastorizzazione - raffreddamento (abbattimento termico) - conservazione a temperatura controllata - maturazione - riscaldamento (o riattivazione) - confezionamento (in vaschette, in atmosfera modificata ecc.) - spedizione - trasporto - distribuzione, vendita, somministrazione ecc. - pulizia delle attrezzature e degli utensili Riguardo ad ogni Fase dovrebbero essere acquisite, e riportate, tutte le informazioni necessarie alla definizione di una successiva analisi dei pericoli. Dette informazioni, come peraltro evidenziato più diffusamente nel successivo paragrafo 1.6, possono comprendere: - Piano dei locali - La disposizione e le caratteristiche degli impianti - La successione di tutte le operazioni (compreso l’assemblaggio d’ingredienti, additivi etc., la durata delle

operazioni, ed i periodi di attesa tra un’operazione e l’altra. - I parametri tecnici delle operazioni (in particolare temperatura e tempo) - La separazione tra settori sporchi e puliti - La circolazione dei prodotti e quella del personale - Le condizioni di magazzinaggio e di distribuzione - Le condizioni igieniche dello stabilimento ed i metodi di pulizia e disinfezione

In un’apposita sezione delle presenti linee guida (APPENDICE A) si allegano le schede - contenenti indicazioni di carattere generale - relative ad alcune fasi da individuarsi presumibilmente (come indicato al paragrafo 2.1) quali punti critici di controllo (CCP).

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15

RICEVIMENTO MATERIE PRIME

STOCCAGGIO MATERIE PRIME

PREPARAZIONE

COTTURA

CONSERVAZIONE A CALDO

SCONGELAMENTO

DISTRIBUZIONE A CALDO

CONSERVAZIONE A FREDDO

RAFFREDDAMENTO

CONSERVAZIONE A FREDDO

RISCALDAMENTO

DISTRIBUZIONE A FREDDO

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16

Preparazione _______________________

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17

1.3 CONFERMA SUL POSTO DEL DIAGRAMMA DI FLUSSO

Nel caso in cui il diagramma di flusso sia stato descritto inizialmente soltanto “sulla carta”, partendo da un’indicazione teorica del ciclo produttivo, il gruppo di lavoro deve procedere alla sua conferma “sul posto” (“in loco”) durante le ore di lavorazione. E’ necessario pertanto sia verificato – e quindi confermato – che le operazioni descritte corrispondano effettivamente a quelle svolte nella realtà produttiva (cioè a quanto realmente operato da parte dell’impresa alimentare). Qualora venisse rilevata una difformità tra la situazione descritta e quella posta in essere, occorrerebbe operare un aggiornamento del diagramma (rispetto alla sequenza delle fasi oppure ad eventuali parametri che potrebbero riguardare ciascuna delle fasi) in modo da renderlo conforme alla realtà.

1.4. PERICOLI

Utilizzando come guida il diagramma di flusso opportunamente “verificato” (dopo, cioè, la sua “conferma sul posto”), il gruppo di lavoro dovrebbe provvedere a compilare un elenco di tutti i potenziali PERICOLI - biologici, chimici o fisici - che potrebbero prevedibilmente insorgere in ciascuna fase individuata. Nell’ambito di queste linee guida, in ordine a quanto per altro stabilito dai principi ispiratori del sistema HACCP, viene fatto riferimento ai pericoli sanitari, cioè a quelli che rappresentano una minaccia per la salute del consumatore. Una definizione riguardo al concetto in disamina è riportata nella Decisione CEE 356 / 1994 (in precedenza già citata) nella quale, al Cap. 1 – punto 6) – Allegato – è indicato che per “Pericolo” deve intendersi “qualsiasi fattore che possa nuocere alla salute e che rientra nell’ambito degli obiettivi d’igiene di cui alla direttiva 91/493/CEE ; più precisamente: - contaminazione (o ricontaminazione) ad un livello inammissibile, di tipo biologico (microrganismi,

parassiti), chimico o fisico, delle materie prime, dei prodotti intermedi o dei prodotti finiti. - sopravvivenza o moltiplicazione, in proporzioni inammissibili, di microrganismi patogeni, e comparsa, in

proporzioni inammissibili, di contaminanti chimici, nei prodotti intermedi, nei prodotti finiti, nella catena di produzione o nell’ambiente circostante;

- produzione o persistenza, a livelli inaccettabili, di tossine o di altre sostanze indesiderabili provenienti dal metabolismo microbico.”

Un’altra definizione, più recente, è riportata nel Regolamento CE n. 178 / 2002 (����

7) nel quale viene indicato

che per “Pericolo” deve intendersi “un agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, o condizione in cui un alimento o mangime si trova in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute”. Convenzionalmente, in campo alimentare, i pericoli vengono distinti in tre gruppi: Biologici, Chimici, Fisici.

7 “Regolamento (CE) 28.01.2002 n.178 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i principi ed i requisiti generali della

legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare”.

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Riguardano la possibile contaminazione degli alimenti ad opera microrganismi patogeni (o da parte di sostanze nocive derivanti dal metabolismo microbico, come le tossine) oppure la sopravvivenza o la crescita di detti microrganismi all’interno degli alimenti stessi. Sono agenti responsabili di malattie trasmesse da alimenti: ���� Batteri ����

8

Tra i batteri che, da un punto di vista statistico, con maggiore frequenza possono essere associati a malattie di origine alimentare si possono annoverare: Salmonella spp, Staphylococcus aureus, Clostridium perfringens, Bacillus cereus, Listeria monocytogenes, Escherichia coli, Campylobacter jejuni, Clostridium botulinum. Una prima, elementare, differenziazione, utile comunque a valutare le possibilità di sopravvivenza dei microrganismi ai trattamenti cui vengono sottoposti gli alimenti, è quella che porta a distinguere i batteri non sporigeni da quelli sporigeni (questi ultimi riescono a sopravvivere ai trattamenti di cottura e riscaldamento tradizionalmente applicati nelle cucine degli esercizi di ristorazione, nei laboratori di gastronomia etc.) ����

9

���� Virus ����

10

Come accennato nella nota a fondo pagina, i virus si moltiplicano soltanto nelle cellule viventi; pertanto è escluso un loro sviluppo negli alimenti.

����

8 I batteri Sono organismi unicellulari, procarioti (una delle caratteristiche principali delle cellule procariote, che le differenzia da

quelle eucariote, più evolute, è di avere il materiale genetico non racchiuso da una membrana nucleare) dalle dimensioni

particolarmente ridotte (0,5 - 1 µ) e quindi visibili soltanto al microscopio (N.B. 1µ = 0,001 mm.), capaci di moltiplicarsi per divisione diretta o "scissione binaria":. Attraverso tale meccanismo da una cellula madre originano due cellule batteriche figlie con scomparsa della cellula madre; dalle due cellule figlie così generate (cellule uguali tra loro, caratterizzate dallo stesso patrimonio genetico della cellula madre) originano, allo stesso modo, quattro nuove cellule figlie etc. Possono trovarsi ovunque: nell’ambiente, nell’aria, nell’acqua, nel terreno, negli animali e nei vegetali. I batteri sono capaci di vita autonoma e quindi non necessitano di un altro organismo vivo per la replicazione. Possono avere forma sferica, bastoncellare o a spirale. Quelli di forma sferica sono detti cocchi e possono crescere come elementi isolati, a coppie (diplococchi), formare delle catenelle (streptococchi), dar luogo a dei grappoli (stafilococchi) oppure dei gruppi di otto cellule simmetriche in uno spazio cubico (sarcina). I batteri a forma bastoncellare sono detti bacilli, quelli a forma di spirale corta (forma ricurva, “a virgola”) vibrioni, quelli a spirale allungata (o forma elicoidale) spirilli. ���� (25) ����

9 Le spore (indicate anche come endospore poiché vengono a formarsi all’interno della cellula batterica) sono delle strutture di

resistenza, quiescenti, contenenti gli elementi essenziali della cellula, che consentono ai microrganismi di resistere, entro certi limiti, a condizioni esterne sfavorevoli (temperature particolarmente basse o elevate, ambiente secco, mancanza di elementi nutritivi, contatto con alcuni composti chimici ad azione disinfettante etc.) ; esse sono prodotte solo da determinati generi di batteri (Bacilli e Clostridi). Quando vengono meno le condizioni necessarie alla loro sopravvivenza, le forme vegetative, cioè vitali, dei microrganismi sporigeni, anziché andare incontro a morte si trasformano in "spore" (avviene il processo di "sporulazione"). “La resistenza delle spore batteriche agli agenti chimici e fisici può superare anche di 10.000 volte quella delle corrispondenti forme vegetative: esse possono costituire un problema di notevole rilievo nella produzione alimentare sia sotto il profilo igienico sanitario che sotto quello merceologico" (Giordano DE FELIP “Correlazioni tra strutture, funzioni della cellula batterica e alcuni aspetti della microbiologia deglinalimenti” in “RECENTI SVILUPPI D’IGIENE E MICROBIOLOGIA DEGLI ALIMENTI – TECNICHE NUOVE editore – pag. 207). Le spore non hanno caratteristiche vitali e quindi sotto tale forma i microrganismi non possono moltiplicarsi; non appena però si ripresentano condizioni favorevoli, le spore possono "germinare", ripristinando le forme vitali (o “vegetative”) del microrganismo - in grado di svilupparsi. Tra i germi sporigeni se ne annoverano specie sia a crescita aerobica (ad es. Bacillus cereus) che a crescita anaerobica (ad es. Clostridium botulinum, Clostridium perfingens)

����

10 I virus sono agenti biologici che, a differenza degli altri microrganismi, non sono in grado di espletare le proprie funzioni vitali

(respirazione, nutrizione, riproduzione) in modo autonomo, ma soltanto parassitando delle cellule viventi nelle quali arrivano ad insediarsi. Vengono quindi definiti dei parassiti endocellulari obbligati, in quanto fuori dalle cellule ospiti, cioé nell’ambiente esterno, possono conservarsi in modo vitale ma non moltiplicarsi. In estrema sintesi i virus sono costituiti da una struttura esterna (una sorta di involucro) di natura proteica, denominata capside, che racchiude, proteggendolo, un acido nucleico (RNA o DNA) ; quest’ultimo contiene le informazioni necessarie a mediare le reazioni che sovrintendono la replicazione del virus nella cellula ospite. Il rivestimento esterno determina la struttura antigenica del virus e risulta responsabile della stimolazione della risposta immunitaria da parte dell’ospite. Una volta avvenuta l’interazione con le cellule dell’ospite, le particelle virali iniziano a svilupparsi all’interno di queste sfruttandone la struttura.

I virus, date le dimensioni estremamente ridotte, nell'ordine dei mµ (millimicron), risultano visibili soltanto al microscopio elettronico (N.B.

1mµ = 0,000001 mm). ���� (1), (2), (25)

1.4.1. PERICOLI BIOLOGICI

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19

Tuttavia, alimenti contaminati (soprattutto latte, vegetali crudi, prodotti della pesca – ed in particolare molluschi bivalvi e frutti di mare) e acque inquinate possono trasmettere i virus fuori dalle cellule viventi, risultandone “veicolo” (����

11). Altri mezzi di trasmissione possono essere rappresentati da “vettori”

animali, come insetti, roditori. I principali virus enterici umani appartengono ai gruppi degli Enterovirus (tra i quali figurano il virus dell’ epatite A o HAV ����

12, i Poliovirus), dei Calicivirus (tra i quali figura il virus NorwalK o NLV), ed

ancora dei Rotavirus, degli Adenovirus, degli Astrovirus etc.

���� Parassiti ����13

Anche rispetto ai parassiti, numerosi alimenti (vegetali, pesci, carni) possono agire da “veicolo”. I parassiti che possono essere trasmessi con gli alimenti appartengono al gruppo (“sottoregno”) dei

Protozoi ����14

come nel caso di Cryptosporidium parvum, Giardia duodenalis e Giardia lamblia (per la quale, principale veicolo d’infezione è rappresentato da acque inquinate, da frutta e vegetali crudi, carni crude manipolate da soggetti infetti) e degli Elminti ����

15; rispetto a questi ultimi si

annoverano:

• Nematodi : vermi allungati cilindrici ; si citano, a titolo puramente indicativo Ascaris lumbricoides,

Trichinella spiralis, Trichinella britovi (interessano le carni crude o poco cotte soprattutto di suino,

cinghiale etc.), Anisakis (interessa le carni di pesce crude.

����

11

- Veicoli: oggetti inanimati quali acqua, alimenti (latte, carne etc.), oggetti (stoviglie, contenitori etc.). - Vettori: esseri animati quali mosche, zanzare, topi, blatte etc.

����

12 Rispetto al virus dell’epatite A (HAV) costituiscono più frequente veicolo molluschi bivalvi e frutti di mare ma, in subordine,

anche acqua, latte, vegetali crudi. Gli alimenti possono essere contaminati da scarichi fognari e acque superficiali utilizzate per l'irrigazione, da vettori animali, da persona infetta ecc. Il virus dell'epatite A è piuttosto resistente alle influenze esterne : sopporta condizioni di elevata acidità (fino a pH = 3), sopporta a lungo temperature di refrigerazione, sopravvive a trattamenti disinfettanti mediante clorazione fino ad elevate concentrazioni del principio attivo. Restando nell’ambito dell’attività di preparazione prodotti alimentari, le misure di profilassi costantemente raccomandate nella letteratura di riferimento - al fine di evitare la diffusione del virus - riguardano la scrupolosa osservanza di norme di buona prassi igienica (in modo da evitare la trasmissione oro-fecale diretta tra persone o indiretta attraverso acqua, alimenti, superfici contaminate) nonché la necessità di sottoporre i prodotti alimentari ad adeguati trattamenti termici di cottura o riscaldamento. Le indicazioni riportate in letteratura circa le condizioni necessarie ad inattivare il virus dell'epatite A non sono univoche; se ne riporta una breve rassegna: • Il virus viene inattivato sicuramente dopo bollitura prolungata - > 5 minuti” (Johannes KRAMER in collaborazione con Carlo

CANTONI – “ALIMENTI – Microbiologia e Igiene – OEMF editore – pag.66)

• Il virus dell’epatite A ha una resistenza al calore elevata … nell’acqua l’inattivazione viene raggiunta dopo 5 minuti a 100 °C” (Carla ROGGI e Giovanna TURCONI – “Igiene degli alimenti e nutrizione umana. La sicurezza alimentare” – Prima edizione – EMS editore – pag.33).

• “Il virus viene inattivato a 100°C per 5’ ” (Manuale di corretta prassi igienica per il settore artigianale della pasticceria – FIAAL-CNA / FEDAL-CONFARTIGIANATO / CASA / CLAAI / FLAI-CGIL – FAT – CISL – UILA – UIL – pag. 75)

• “Ostriche, vongole ed altri molluschi provenienti da aree contaminate vanno trattati ad una temperatura di 85-90 °C per 4 minuti oppure bolliti per 90 secondi prima di essere consumati” (Manuale per il controllo delle malattie trasmissibili – Rapporto ufficiale dell’American Public Healt Association – a cura di David L. Heymann M.D. – DEA editrice – pag. 218).

• “A seconda delle condizioni il virus HAV può rimanere stabile nell’ambiente per mesi. Tuttavia per inattivarlo è sufficiente scaldare il cibo ad una temperatura superiore agli 85 °C per 1 minuto o disinfettare le superfici con una diluizione 1:100 di ipoclorito di sodio in acqua corrente (“EPATITE A COLLECTION 1 – Raccomandazioni per la prevenzione dell’epatite A – ADIS INTERNATIONAL – pag.9).

ed ancora:

• “Considerando che per alcune preparazioni domestiche i molluschi si ritengono cotti all’apertura delle valve, e questa può avvenire nella cottura a vapore ad una temperatura inferiore a 70°C dopo 42-52 secondi, risulta evidente come tale trattamento termico non sia assolutamente efficace a rendere salubri molluschi contaminati” (Luciana CROCI, Dario DE MEDICI, Alfonsina FIORE “Virus enterici veicolati da alimenti” in “RECENTI SVILUPPI D’IGIENE E MICROBIOLOGIA DEGLI ALIMENTI” a cura di Giordano DE FELIP – TECNICHE NUOVE editore – pag. 493).

Tenuto conto della discordanza dei valori è opportuno attenersi, cautelativamente, alle indicazioni che prevedono i tempi e le temperature di trattamento superiori. ����

13 Parassiti: Possono essere definiti genericamente come organismi che stabiliscono la loro dimora, temporaneamente o

permanentemente, sopra o entro altri organismi al fine di procurarsi il nutrimento.

14 Protozoi: organismi composti da una sola cellula in grado di espletare funzioni fisiologiche che negli organismi superori vengono

svolte da cellule specializzate e pertanto con organizzazione cellulare di tipo eucariota.

15 Elminti: Trattasi di vermi, organismi pluricellulari parassiti di forma allungata con organizzazione cellulare di tipo eucariota.

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• Cestodi : vermi nastriformi ; si citano Tenia saginata, Tenia solium (che si potrebbero ritrovare in forma

larvale incistata soprattutto nelle carni crude o poco cotte, rispettivamente di bovino e di suino), Echinococco granulosus (potrebbe interessare prodotti vegetali contaminati da feci di cane) etc.,

• Trematodi : vermi piatti e allungati, generalmente a forma di foglia, come Fasciola hepatica (di cui possono rappresentare vettore biologico le piante acquatiche non cotte, come il crescione) etc.

Le forme parassitarie trasmesse attraverso gli alimenti hanno, quale caratteristica peculiare, il consumo di cibi crudi o insufficientemente cotti (carni o pesce crudi, verdure e frutta contaminate da liquami fognari), tenuto conto che i parassiti risultano particolarmente sensibili al calore (�

16).

In diverse derrate alimentari (in particolare pasta, farine, riso, granaglie, cereali in genere, spezie, salumi e formaggi) possono poi rinvenirsi i cosiddetti parassiti animali delle derrate alimentari o agenti infestanti - appartenenti al gruppo degli Artroprodi - i quali sono in grado di trasferire microrganismi patogeni, fungendo da “vettori”, come nel caso di mosche e blatte, oppure possono deteriorare le derrate alimentari, invadendole, consumandole, insudiciandole o lasciandovi le proprie spoglie ; si citano, a titolo puramente indicativo, le blatte stesse o altri insetti come le “falsa tignola del grano o tignola fasciata” (trattasi delle cosiddette “farfalline” ����

17), la “calandra del riso” o “punteruolo” (����

18) etc.,

Per affrontare questo tipo di pericolo è necessario che l’azienda predisponga adeguate misure volte a prevenire le infestazioni e, nel caso queste arrivino a determinarsi, ad operare appropriati interventi di disinfestazione.

����

16 Ad esempio, la teniasi, potrebbe essere contratta dall’uomo consumando carne di bovino o di suino (a seconda del tipo) cruda o

poco cotta ; analogamente, la trichinosi attraverso il consumo di carne di suino, cruda o mal cotta. Le carni possono essere bonificate, rispetto alla trichinella, attraverso una cottura a 55-60 °C (al cuore); per quanto riguarda altri infestanti occorre raggiungere, cautelativamente, la temperatura di fusione dei grassi. Fattore fondamentale di prevenzione è la visita veterinaria degli animali sottoposti a macellazione; risulta quindi quanto mai essenziale l'acquisto di carni soltanto attraverso canali ufficiali e, opportunamente, tramite fornitori selezionati e qualificati. ����

17 Nome scientifico : Plodia interpunctella. Gli esemplari adulti di questi insetti, appartenenti all’ordine dei Lepidotteri (insetti con

quattro ali coperte da squamette, apparato boccale trasformato in proboscide per succhiare) depongono le uova nel substrato di cui si nutrono, soprattutto derrate alimentari disidratate come riso, pasta, farina, dolciumi, legumi secchi, funghi secchi etc. Dopo alcuni giorni (3-4), dalle uova originano le larve, le quali, a loro volta, si nutrono delle derrate nelle quali vengono a trovarsi. Le larve, crescendo, producono filamenti vischiosi ed escrementi che determinano un grave insudiciamento del prodotto alimentare infestato. Data la polifagia che ne caratterizza gli esemplari, questa specie è considerata, nell’ambito dei Lepidotteri, quella maggiormente responsabile di episodi d’infestazione presso i depositi di derrate alimentari. Specie affini sono ritenute la Ephestia kuehniella o “tignola grigia della farina” (specie che predilige la farina e pertanto più tipicamente diffusa nei relativi depositi, nei molini etc.), la Sitotroga cerealella o “vera tignola del grano” etc.

����

18 Questi insetti, appartenenti all’ordine dei Coleotteri (insetti con il corpo rivestito da una spessa cuticola, quattro ali di cui le due

anteriori spesse e chitinose), vengono denominati nel gergo comune, per le loro caratteristiche morfologiche, “punteruoli” (nome scientifico “Sitophilus oryzae”) ; essi possono essere responsabili di una tipica infestazione che interessa riso, pasta, farine, semole, prodotti da forno, frutta secca, cereali in genere ecc. Tali insetti hanno tendenza ad invadere le confezioni di prodotti stoccati, a perforare gli involucri (che non siano costituiti da vetro, plastiche dure etc.) ed a deporre le uova in corrispondenza degli alimenti contenuti purché ricchi di amido. Secondo i dati riportati in letteratura, in condizioni ambientali favorevoli (intervallo di temperatura adatto alla crescita compreso tra 15 e 35 °C, con valori ottimali intorno ai 30 °C – condizioni ottimali di umidità relativa compresi intorno al 70 %) le femmine depongono 4 o più uova al giorno raggiungendo il numero di 400 uova all’anno (nel corso di un anno la specie può dar luogo allo sviluppo di 3 – 4 generazioni) : pertanto, in un arco di tempo anche non particolarmente lungo, pur partendo da un basso numero d’individui, l’infestazione può raggiungere dimensioni sicuramente ragguardevoli. A questo genere appartengono anche Sitophilus zeamais (specie tipicamente infestante del mais), Sitophylus granarius.

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• Funghi – muffe - lieviti Nell’ambito dell’analisi dei pericoli biologici, e quindi in relazione alla possibilità di contaminazione dei prodotti alimentari, i funghi possono essere suddivisi in due grandi raggruppamenti: le muffe ed i lieviti. I lieviti sono funghi microscopici, unicellulari, non filamentosi, per lo più coinvolti nei processi di deterioramento dei prodotti alimentari. Le muffe sono funghi microscopici e filamentosi, dal micelio spesso visibile sul substrato su cui crescono ; trovando condizioni favorevoli (����

19) possono svilupparsi negli alimenti ed alterarli in modo da

pregiudicarne le caratteristiche organolettiche e comprometterne la conservazione. Numerose muffe sono in grado di elaborare delle sostanze ad azione tossica denominate micotossine.(����

20)

Gli alimenti maggiormente interessati a questo tipo di sviluppo sono i cereali, la frutta secca, le spezie, caffè, cacao, latte, formaggi, vino, birra.

����

19 Lo sviluppo delle muffe è favorito da condizioni di elevata umidità e quindi, tra l’altro, dalla presenza di locali con pareti e soffitti

umidi. Gran parte delle muffe cresce in un intervallo di temperatura compreso tra 15 e 30 °C, normalmente riscontrabile negli ambienti di conservazione delle derrate non sottoposte a refrigerazione. Al fine di un’efficace azione preventiva è necessario determinare, negli ambienti, le condizioni meno favorevoli allo sviluppo di muffe : occorre pertanto che i locali risultino ben asciutti, adeguatamente aerati, con pareti possibilmente tinteggiate con vernici ad azione fungistatica ; è necessario poi evitare la contaminazione tra derrate, escludendo che prodotti alimentari ammuffiti (la circostanza riguarda soprattutto gli ortofrutticoli) siano introdotti, o permangano, nei locali di conservazione. Tenuto conto che le spore fungine si propagano anche attraverso l’aria, in un ambiente particolarmente contaminato potrebbe doversi ricorrere all’impiego di fumi fungicidi.���� (3)

����

20 Le micotossine sono prodotti metabolici secondari elaborati da numerose specie fungine appartenenti, in prevalenza, ai generi

Aspergilllus, Penicillium e Fusarium. Sono definiti “secondari” in quanto non necessari allo sviluppo delle muffe; attualmente non viene attribuito loro un ruolo evidente nella crescita dell’organismo fungino. Tra le micotossine maggiormente diffuse e di particolare rilevanza sanitaria si citano le Aflatossine (prodotte dai funghi del genere Aspergillus), le Ocratossine (Aspergillus e Penicillium), la Patulina (Aspergillus, Penicillium e Byssochlamis), i Tricoteceni, le Fumonisine e gli Zearalenoni (Fusarium). E’ opportuno evidenziare come una specie fungina possa produrre più micotossine, e come una data micotossina possa essere sintetizzata da più specie fungine. Lo sviluppo di muffe tossigene non implica necessariamente la produzione di micotossine: non tutti i ceppi di una stessa specie tossigena, pur trovandosi nelle stesse condizioni, producono delle micotossine, o comunque arrivano a sintetizzarne nella stessa quantità : è stata rilevata un’ampia variabilità comportamentale in funzione del potenziale tossinogeno che può caratterizzare i diversi ceppi di una stessa specie. Per altro, l’assenza visiva di muffe non assicura, contestualmente, anche quella di micotossine, le quali possono invece residuare nell’alimento anche dopo l’eliminazione delle muffe stesse. Dette micotossine, oltre modo, risultando particolarmente resistenti agli agenti chimici e fisici, e quindi ai trattamenti tecnologici - cui viene attribuita, usualmente, una valenza bonificatrice (trattamenti termici etc.) - applicati lungo le fasi di stoccaggio o produzione di una data filiera alimentare, possono evidentemente persistere ed arrivare ad essere presenti nei relativi prodotti finiti. Come appena accennato, le micotossine, termostabili, non vengono generalmente distrutte dai trattamenti cui sono sottoposti gli alimenti durante il loro ciclo di lavorazione. Ad esempio, i Tricoteceni (tipicamente contaminanti di cereali e quindi delle relative farine) vengono inattivati solo a 200°C e quindi sono in grado di sopportare le temperature di cottura di pane e prodotti da forno. Le Aflatossine (micotossine tipicamente contaminanti di cereali, arachidi, semi oleosi, mandorle e noci) vengono inattivate solo per riscaldamento in autoclave o con processo di tostatura fino a 120 °C. Anche in questo caso le temperature raggiunte durante il processo di panificazione non consentono una loro completa inattivazione. La Patulina (tipicamente oggetto di contaminazione di frutta, verdure ed ortaggi con parti marcescenti o macchie scure, nonché di conserve, marmellate e succhi di frutta) non viene completamente inattivata dai trattamenti di pastorizzazione; al riguardo, è quanto mai opportuno siano evitati l’utilizzo e la lavorazione di frutta guasta. Le dosi di micotossine assunte con gli alimenti sono per lo più tali da determinare degli effetti tossici cronici; le intossicazioni (intossicazioni non contagiose), conseguenza dunque di un'assunzione ripetuta nel tempo di piccoli quantitativi, risultano particolarmente gravi perché è dimostrato che queste sostanze possono avere azione cancerogena (organi bersaglio più frequenti sono fegato, reni, colon), mutagena e teratogena (alcune micotossine hanno influenza sulla replicazione del DNA). ���� (1), (2), (4),(5), (8)

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La crescita dei microrganismi può essere influenzata da diversi fattori, dei quali, alcuni classificabili come intrinseci (riguardano le proprietà fisiche, chimiche e biologiche dell’alimento) ed altri come estrinseci (interessano le proprietà fisiche e chimiche dell’ambiente in cui è lavorato l’alimento)

Tra i fattori intrinseci si possono annoverare:

• aW (la presenza dell’acqua) ����21

• il pH (ambiente acido o alcalino)�22

• la presenza di nutrienti I microrganismi prediligono, quale substrato, alimenti ricchi di sostanze proteiche come carne, latte, uova etc.

• la presenza di sostanze antimicrobiche, conservanti etc.

����

21 aW (attività dell'acqua) : Indica, in buona sostanza l'acqua libera, ovvero l'acqua "disponibile, non legata all'alimento" che i germi

possono utilizzare per tutti i loro scambi metabolici (per veicolare i nutrienti attraverso la parete cellulare); in assenza di acqua il metabolismo si arresta. La sola presenza di acqua in una soluzione, tuttavia, non ne assicura la disponibilità in quanto essa dipenda dalla concentrazione del soluto. L'acqua può trovarsi negli alimenti anche "legata" da numerose sostanze (soluti), come sale, zuccheri: quest'acqua, così "legata", non è più disponibile ai microrganismi per il loro sviluppo. Aumentando la concentrazione di soluto decresce la disponibilità di acqua e quindi la probabilità di crescita dei microrganismi. L'attività dell'acqua (aW) si misura attraverso una scala da 0 a 1: - il valore 0 corrisponde ad acqua assente o completamente legata all'alimento; - il valore 1 ad acqua totalmente libera e disponibile (non legata all'alimento) ed è il valore dell'acqua pura. Quanto più alti sono i valori di aW di un prodotto tanto più questo risulterà alterabile (e di conseguenza, tanto più breve dovrà considerarsi la sua vita commerciale) e, pertanto, più rigorosamente dovranno essere controllate le sue condizioni di refrigerazione. Quanto più bassi sono i valori di aW tanto più stabile sarà il prodotto nei confronti dei microrganismi patogeni e/o alteranti. I batteri richiedono valori minimi di 0,92-0,95 (valori ottimali intorno allo 0,98); tra i patogeni, l’unico che presenta un’elevata alotolleranza (capacità di svilupparsi in presenza di rilevanti concentrazioni di NaCl) è lo Staphylococcus aureus, in gradi di sviluppare e produrre tossine in ambienti con aW relativamente bassa (0,83-0,86). Lieviti e muffe possono svilupparsi fino a vlori di aW di 0,61-0,62. In ambienti con aW inferiore a 0,61 non si manifesta alcuno sviluppo microbico. Le procedure di fabbricazione cui si fa in genere ricorso per abbassare l'aW (rendendo il prodotto meno alterabile) sono rappresentate da: - salagione - aggiunta di altre sostanze idrofile (che si legalo all'acqua non rendendola disponibile al metabolismo microbico), quali, ad esempio,

gli zuccheri, in grado di assorbire l'acqua e di aumentare il residuo secco. - impiego di alimenti che non contengono acqua, come ad esempio gli oli; - impiego di alimenti secchi o disidratati; - disidratazione

����

22 pH: E' un parametro che indica il grado di acidità o di alcalinità di una sostanza.

I valori di pH si esprimono con una scala da 0 a 14; quelli bassi indicano una forte acidità, quelli alti una forte basicità (o alcalinità); il valore 7 corrisponde alla neutralità (ad esempio, quello dell'acqua pura). La maggior parte degli alimenti non trattati (quindi non appositamente acidificati) presenta valori di pH >5 , piuttosto compatibili con lo sviluppo microbico. Anche rispetto a questo parametro i batteri presentano un intervallo ottimale di sviluppo; al riguardo possono essere suddivisi in neutrofili (i quali vivono in corrispondenza di valori di pH compresi tra 5 e 8, con un optimum a pH 7), acidofili (vivono in ambiente acido, a pH tra 2 e 4) e alcalinofili (vivono a pH tra 8 e 10). I neutrofili comprendono la maggior parte dei batteri patogeni; tra gli acidofili si possono annoverare, ad esempio, i Lattobacilli. I batteri patogeni dunque non crescono, non sporulano e non producono tossine al di sotto di pH 4-4,5 e al di sopra di pH 8-9 (quest'ultimo valore solo raramente viene superato negli alimenti; un esempio può essere quello dell'albume d'uovo). I lieviti e le muffe crescono fino a pH 2 (comunque non al di sotto di questi valori). La resistenza, da parte dei microrganismi, all'ambiente acido di un alimento, può essere influenzata dalla concomitanza di altri fattori, quali ad esempio, il valore stesso di aW (quanto più bassi sono i valori di aW tanto meno resistenti agli acidi risulteranno i microrganismi), la presenza o meno di ossigeno etc. Il grado di acidità si può misurare direttamente, cioè per titolazione (mediante l'utilizzo di una soluzione titolata - possibile solo in laboratorio) oppure mediante l'utlizzo di un pHmetro.

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23

Tra i parametri estrinseci:

• la temperatura ����23

(da considerarsi spesso in relazione al tempo ����24

)

• la presenza o l’assenza di ossigeno ����25

• l’umidità relativa ����

26

I pericoli biologici sono di gran lunga preponderanti in un processo di preparazione alimentare, e rappresentano, secondo quanto riportato nella letteratura di merito, oltre il 90% delle cause di malattie determinate dal consumo di alimenti. (����

27)

����

23 Per quanto riguarda i batteri, ogni specie si riproduce e metabolizza con la massima efficienza ad una temperatura, o meglio, in un

"intervallo di temperatura" ottimale (esiste, inoltre, un intervallo di temperatura entro il quale i batteri vivono pur con difficoltà via via crescenti verso i limiti inferiore e superiore di tale intervallo). In ragione di tale intervallo di temperatura ottimale possono essere suddivisi in Psicrofili (4°C - 5°C), Psicrotrofi (18°C - 20°C), Mesofili (30°C - 40°C), Termotrofi (46°C-48°C), Termofili (50°C - 75°C). La maggior parte dei batteri patogeni che può essere trasmessa attraverso gli alimenti appartiene al gruppo dei Mesofili e non si sviluppa a temperature inferiori a + 4 °C e superiori a + 60 °C. Alcune eccezioni possono essere annoverate da Listeria monocytogenes, Yersinia eneterocolitica, Clostridium botulinum tipo B, E ed F (biotipi psicrofili), in grado di sviluppare a temperature anche inferiori a + 4 °C. ����

24 Ad esempio, in condizioni favorevoli i batteri possono avere un tempo di generazione di 20’, o ancora inferiore, quindi, dopo 8 ore,

da un unico microrganismo ne possono trarre origine oltre 16 milioni di nuovi. Maggiore sarà il tempo che intercorre tra la preparazione ed il consumo di un alimento, tanto superiore sarà la carica microbica presente.

����

25 Per quanto riguarda il rapporto con l'ossigeno i batteri si possono suddividere in diversi gruppi; vi sono quelli che riescono a

svilupparsi soltanto in presenza di ossigeno (quindi, sostanzialmente, dell'aria) e vengono classificati quali aerobi obbligati (ad es. Brucella, Pseudomonas aeuruginosa). All'estremo opposto vi sono quelli che possono trarre la loro energia esclusivamente da processi fermentativi, per i quali l'ossigeno è batteriostatico o tossico: sono gli anaerobi obbligati (ad es. Clostridium botulinum, Clostridium perfringens). Altri batteri ancora presentano comportamenti intermedi, variamente articolati, in funzione dei quali vengono distinti in anaerobi facoltativi (i quali crescono preferibilmente in presenza di ossigeno ma, in assenza di quest'ultimo, possono adattarsi ai processi respiratori fermentativi, come nel caso di Salmonella, Listeria monocytogenes, Bacillus cereus, Staphylococcus aureus, Shigella, Yersinia ecc.), anaerobi tolleranti (i quali hanno un metabolismo anaerobico e ricavano energia dalle fermentazioni ma possono sopravvivere anche in presenza di ossigeno come, ad esempio, nel caso dei batteri del genere Streptococcus), microaerofili, i quali richiedono la presenza di ossigeno per il loro sviluppo, pur tollerandone soltanto piccole quantità (concentrazioni di ossigeno superiori al 5 % risultano dannose).

����

26 Un’elevata umidità ambientale comporta un aumento dell’aW nelle parti superficiali dell’alimento determinando condizioni

maggiormente favorevoli allo sviluppo microbico. �

27 “….Contrariamente a quanto percepito dall’opinione pubblica, molto impressionata e allarmata per eventuali inquinamenti chimici,

sono proprio i pericoli biologici a costituire il maggiore problema per la salute del consumatore : 93 % delle cause di malattia derivata da alimenti contro il 4 % dei casi dovuti a pericoli chimici (dati USA).” (Carla ROGGI – Giovanna TURCONI – “IGIENE DEGLI ALIMENTI E NUTRIZIONE UMANA – La sicurezza alimentare – Prima edizione – EMSI editore - pag.92).

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24

Riguardano l’eventuale presenza nell’alimento di:

• residui di prodotti fitosanitari • additivi e conservanti in quantità non consentite

• farmaci, ormoni, anabolizzanti (riguarda le produzioni zootecniche)

• metalli pesanti (����28

) • sostanze tossiche cedute da materiali non idonei

• nitrosammine • detergenti Alcuni di questi contaminanti possono essere presenti già nelle materie prime (�

29)

Altri contaminanti possono invece comparire nell’ambiente di lavorazione dei prodotti alimentari (prodotti di pulizia, detergenti, prodotti disincrostanti, insetticidi, farmaci – detenuti impropriamente). Inoltre, se gli alimenti vengono conservati in recipienti non idonei, possono anche assorbire prodotti chimici tossici: è il caso, ad esempio, di frutta a pH acido o confetture che, se sistemate in contenitori metallici aperti possono corroderne le pareti. I danni provocati dai pericoli chimici sono per lo più conseguenti ad un’esposizione ripetuta (fenomeni di accumulo).

I pericoli chimici, secondo quanto indicato nella letteratura, rappresentano circa il 4% delle cause di malattie derivate da alimenti

����28

Ad esempio, il piombo (riguarda soprattutto i vegetali, i cereali, il pane), il cadmio (interessa, in particolare, cereali, altri vegetali nonché molluschi e crostacei), il mercurio (pesce ed in genere prodotti della pesca di origine marina oltre che frutta e verdura) ���� (3). ����

29 Rispetto alle attività di ristorazione collettiva, a quelle artigianali di gastronomia, panetteria, pasticceria, gelateria, alle rivendite di

prodotti ortofrutticoli etc. che si collocano come ultimo anello nella filiera alimentare, le misure preventive atte a contenere i pericoli chimici nelle materie prime utilizzate (inquinamenti da pesticidi nelle verdure, anabolizzanti nelle carni, metalli pesanti nelle conserve etc.) riguardano, sostanzialmente, la predisposizione e l’applicazione di adeguate procedure di selezione e verifica fornitori.

1.4.2. PERICOLI CHIMICI

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25

Riguardano la presenza, nel prodotto alimentare, di corpi estranei, rispetto ai quali è possibile sommariamente citare:

• frammenti e particolari di metallo (ad esempio: viti, bulloni etc. provenienti da arredi, macchinari, attrezzature, utensili etc. presenti negli ambienti di lavoro ; chiusure metalliche come sigilli di garanzia, graffette, punti di pinzatrice etc. )

• sassolini, terriccio etc.

• frammenti di vetro, ceramica, porcellana • pezzi di legno (ad esempio: stuzzicadenti, parti di prodotti di origine vegetale, schegge di pedane o di

materiali d’imballaggio ecc.), di carta, di cartone.

• pezzi di plastica • frammenti di origine animale (ad esempio: schegge d’osso, parti d’insetti, peli di roditori etc.)

• spaghi, graffette, punti metallici utilizzati per la chiusura delle confezioni.

• capelli e peli • bottoni, spille, fermagli per capelli, orecchini, anelli o loro parti, cerotti, mozziconi di sigaretta

etc. I danni, o comunque gli effetti negativi associabili al manifestarsi di questo tipo di pericoli riguardano soprattutto eventuali lesioni che possono verificarsi a carico del cavo orale o dell’apparato gastroenterico in seguito all’ingestione dell’alimento ; cionondimeno, attraverso i corpi estranei, potrebbero essere veicolate nei prodotti alimentari, durante una qualsiasi fase del ciclo produttivo o distributivo, pericolose contaminazioni microbiologiche. Le cause principali di contaminazione fisica dei prodotti alimentari sono riconducibili all’impiego di materie prime igienicamente non idonee, che possono trasferire impurità e materiale particellare estraneo (�

30),

ovvero alla mancata predisposizione di adeguate misure preventive o, ancora, all’adozione di modalità operative e comportamentali da ritenersi, sempre da un punto di vista igienico, non corrette. Tenuto conto che l’insorgenza dei pericoli fisici è legata soprattutto ad episodi di natura accidentale, potenzialmente diffusi lungo tutta la filiera produttiva o distributiva, la gestione di detti pericoli non può prescindere dall’adozione di misure preventive, di norme di buona prassi igienica, di eventuali specifiche procedure etc. che tengano debitamente conto degli aspetti sopra accennati ; al riguardo, si citano a titolo esemplificativo :

• Procedure di manutenzione di locali impianti ed attrezzature

• Procedure di formazione del personale

• Procedure di gestione dei rifiuti

• Definizione di appositi vincoli merceologici nell’ambito dell’approvvigionamento delle materie prime (ovviamente, previo accordo con i fornitori) affinché imballaggi, confezioni etc., ove tecnicamente possibile - e nel rispetto delle disposizioni normative - rispondano a determinati requisiti (ad esempio: assenza di punti metallici e di particolari facilmente staccabili etc.) realizzando una prima limitazione alla possibilità d’introdurre, negli ambienti di stoccaggio o lavorazione, elementi che potrebbero arrivare a costituire pericoli di natura fisica.

• Norme procedurali che prevedano, per le materie prime, l’eliminazione degli imballaggi secondari (cartoni e loro sistemi di chiusura) nel vano di stoccaggio, evitando che gli stessi possano essere introdotti nei locali di lavorazione.

30 Al riguardo, per quanto concerne le materie prime, un ruolo sicuramente di primo piano spetta ai prodotti vegetali crudi, che

possono trasferire, non solo direttamente nei prodotti intermedi in fase di lavorazione o nei prodotti finiti, ma anche negli ambienti di stoccaggio e di preparazione, terriccio, insetti, frammenti di materiali di varia natura etc.

1.4.3. PERICOLI FISICI

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• Norme procedurali che prevedano l’ispezione visiva, secondo modalità prestabilite, di prodotti vegetali crudi (ad esempio: scostando accuratamente le foglie dei cespi e verificando, sistematicamente, l’assenza d’impurità grossolane) prima della loro preparazione.

• Norme procedurali che vietino – o comunque limitino l’impiego – nei locali di preparazione, di bottiglie, bicchieri, recipienti etc. di vetro, ceramica etc.

• Istruzioni operative che prevedano l’obbligo d’impiego, per il personale addetto, di appositi abiti da lavoro : sopraveste di colore chiaro, copricapo che contenga, in modo completo, la capigliatura, oltre ad eventuali calzature appositamente dedicate etc. Il camice e la sopraveste, opportunamente, non dovrebbero presentare tasche esterne (nelle quali potrebbero essere riposti penne per scrivere, evidenziatori, forbici, e comunque oggetti con particolari facilmente staccabili). Le istruzioni operative dovrebbero inoltre prevedere l’obbligo, per il personale, di attenersi tassativamente, a determinate disposizioni procedurali : non fumare nei luoghi di lavoro, non introdurre negli stessi, oggetti d’uso personale etc.

Nel caso di aziende in cui siano preparati prodotti confezionati (ad esempio: pasta, conserve alimentari, bevande etc.) è possibile prevedere il ricorso a metodi di monitoraggio sul prodotto finito rivolti ad accertare l’eventuale presenza di contaminanti fisici, come quelli riguardanti l’impiego, lungo la linea di confezionamento, di rilevatori di metallo (metal detectors), o di dispositivi per l’ispezione ai raggi x (basati sul riscontro, all’interno del prodotto confezionato, della differente densità tra alimento ed eventuale corpo estraneo) o per l’ispezione ottica etc.

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1.5 ALIMENTI POTENZIALMENTE PERICOLOSI – IDENTIFICAZIONE E MODALITA’DI TRATTAMENTO

Si è dunque visto che i pericoli biologici sono di gran lunga preponderanti in un processo di produzione alimentare. Al riguardo, è opportuno individuare gli alimenti da ritenersi potenzialmente pericolosi da un punto di vista biologico. ALIMENTO POTENZIALMENTE PERICOLOSO: qualsiasi alimento o ingrediente che consente, e favorisce, la crescita rapida di microrganismi patogeni o tossigeni. Possono dunque annoverarsi in tale categoria gli alimenti poco acidi (o comunque con pH> 4,5), ricchi di acqua (con aW >0,85) e proteine, e precisamente:

• quelli di origine animale come latte (o i suoi derivati), uova (o loro derivati), carne, pollame, pesce, molluschi, ecc., o che contengono uno di questi prodotti;

• quelli di origine vegetale non trattati con il calore, ed inoltre quelli vegetali cotti ricchi di proteine (come fagioli, riso, patate, cereali ecc.)

• semi o germogli crudi (ad es. crescione, ravanello, girasole, soia, senape, lino etc.)

GLI ALIMENTI POTENZIALMENTE PERICOLOSI:

• devono essere cotti o riscaldati a temperature interne (misurate quindi al “cuore” o “centro geometrico” del prodotto utilizzando un termometro a sonda, opportunamente calibrato e disinfettato) sufficienti ad eliminare le forme vegetative di qualsiasi agente patogeno: T > 75 °C per 15” (����

31)

Per la crema pasticcera viene consigliata una T > 85°C per 30” (in quanto la resistenza al calore di alcuni microrganismi può aumentare nel caso di elevate concentrazioni di grassi, proteine, carboidrati).�

32

Tra i microrganismi patogeni la resistenza più alta si trova comunque nelle forme sporali del genere Clostridium (a crescita anaerobica) e del genere Bacillus (a crescita aerobica) che possono sopravvivere a trattamenti termici superiori a 100°C (Per maggior dettaglio si rimanda alla Tab. 4, nella quale sono riportati i valori di resistenza al calore dei principali microrganismi patogeni d'interesse alimentare).

• se consumati caldi devono essere mantenuti ad una temperatura >= 60-65 °C.

• se consumati freddi – o conservati in regime di refrigerazione – devono essere raffreddati rapidamente in modo da attraversare l’intervallo di temperatura pericoloso (60°C – 4 °C) - �33

-

����

31 Il limite critico di 75 °C è riferito alla Salmonella (patogeno in forma vegetativa più resistente, quindi individuato come indicatore

di processo). “Se la Salmonella è controllata attraverso la cottura ed il riscaldamento, tutti gli altri batteri in forma vegetativa possono, a loro volta, intendersi controllati” (Joan K.LOKEN – Ristorazione collettiva sicura – Guida all’apprendimento ed all’applicazione dell’HACCP – Ed. italiana a cura di Carla ROGGI – MASSON Editore – pag.93).Alla T di 74 °C, 3’’ sono sufficienti a distruggere 10.000.000 cellule Salmonella / grammo di alimento). ���� (7) �

32 Per quanto riguarda la gelateria nonché per la pasticceria , “… esistono tre diverse combinazioni tempo / temperatura nel

processo di pastorizzazione”: - pastorizzazione bassa o "prolungata"– mantenimento della miscela a 65 °C per 30’ - pastorizzazione media – mantenimento della miscela a 72 °C per 15’ - pastorizzazione alta – mantenimento della miscela a 82 °C per 5’ (Roberto BONSI – Cristina GALLI – Il metodo HACCP – Metodologia e strumenti per l’applicazione del sistema – Esempi pratici – Fonti normative – seconda edizione - Il Sole 24 Ore editore – pag. 124). ����

33 l’intervallo tra la temperatura massima e minima di sensibile sviluppo di microrganismi patogeni e/o di produzione delle tossine da

parte di alcuni di essi.

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28

quanto più rapidamente possibile (vedasi punto successivo), quindi essere mantenuti ad una temperatura < 4 °C (����

34).

• E’ necessario raffreddare gli alimenti attraversando l’intervallo di temperatura pericoloso (60°C – 4°C) in meno di tre ore o, meglio entro due ore (in ogni caso, da 60°C a 21 °C entro 2 h). Nuovi orientamenti prevedono uno standard di raffreddamento a 2 gradini (����

35) così articolato:

- da 60 °C a 21 °C in 2 ore o meno - da 21°C a 4 °C in 4 ore o meno

Per contro, possono considerarsi NON POTENZIALMENTE PERICOLOSI (poco alterabili): ����36

• Alimenti con pH <=4,5 (ad esempio. arance, limoni, uva, mele, anans, ciliegie, pesche, prugne, pomodori, yogurt, crauti, sottaceti, ecc.)

• Alimenti con aW <= 0,85 (ad es. insaccati asciugati, formaggi duri stagionati, pesce secco salato, pasta secca e riso, confetture e marmellate, farina e frutta secca, zucchero, miele, latte e uova in polvere, crackers, patatine fritte ecc.) �

37

����

34 Il limite critico di 4 °C è può ritenersi riferito alla Listeria (microrganismo non sporigeno che, nell’ambito dei patogeni, risulta tra quelli che meglio si adatta alle basse temperature). Controllando la Listeria alle T di refrigerazione (alla T di 2 °C il tempo di generazione è di 2 giorni; alla T di 5°C il tempo di generazione si riduce ad 1 giorno), tutti gli altri batteri patogeni, a loro volta (avendo una T minima di sviluppo superiore a quella della Listeria), possono intendersi controllati. ���� (7), (11).

����35 “Questo standard di raffreddamento a 2 gradini tiene conto della curva di crescita del Clostridium perfringens” (Joan K. LOKEN –

Ed. italiana a cura di Carla ROGGI – Ristorazione collettiva sicura – Guida all’apprendimento e all’applicazione dell’HACCP – MASSON editore – pag.90). Il Clostridium perfringens è un microrganismo sporigeno che si sviluppa in un intervallo di temperatura compreso tra 15°C e 50°C, con un optimum tra 43 °C e 45 °C (in corrispondenza del quale il tempo di generazione è ridotto a 7-8’). Le spore del Clostridium perfringens, termoresistenti, sopravvivono ai possibili trattamenti termici di pastorizzazione. Rispetto al Clostridium perfringens la cottura non rappresenta quindi un CCP; lo sviluppo del microrgansimo può essere prevenuto soltanto attraverso una corretta gestione della fase di raffreddamento (o comunque mantenendo il prodotto alimentare fuori dall’intervallo di temperatura pericoloso). ���� (9), (11). Pertanto “se il Clostridium perfringens viene controllato attraverso il processo di raffreddamento, tutti gli altri microrganismi (la cui

permanenza all’interno dell’intervallo di temperatura pericoloso risulta meno determinante) possono ritenersi controllati” (Joan LOKEN, op. cit., pag.93).

����

36 Vedasi, al riguardo, anche D.M. 16.12.1993 "Individuazione delle sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime dei

controllo microbiologici ufficiali" - art. 1 - punto 2).

37 In alcuni casi, un pericolo legato a questi alimenti potrebbe essere dovuto alla presenza di batteri sporigeni come Bacillus

cereus e Clostridium perfringens – anche in forma quiescente.(o di muffe che riescono a svilupparsi anche in presenza di ridottissime quantità d’acqua). “Ad esempio se si miscela della farina – prodotto di per se stabile ma non sterile e possibilmente contenente B.cereus in forma quiescente, con dell’acqua per formare una pastella, B.cereus inizierà a proliferare con una velocità di moltiplicazione elevata che può comportare dei rischi se l’impiego della suddetta pastella non è immediato”. (Eugenia TAGLIAFERRI – “BUONO DA MANGIARE – BUONO DA VIVERE. La Ristorazione collettiva, dalla sicurezza alla qualità totale”. Vol.2° - CALDERINI editore – pag.42).

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Alcune considerazioni rispetto agli "ALIMENTI POTENZIALMENTE PERICOLOSI":

• Le carni avicole risultano tendenzialmente più contaminate dalle salmonelle rispetto a quelle rosse (causa l’elevata carica di salmonelle, non è ammessa la produzione di carne tritata da pollame)

• Le carni tritate e gli arrotolati di carne disossata presentano maggiori rischi rispetto alle bistecche o ai pezzi di carne intera in quanto possono essere contaminati anche all’interno e non soltanto sulla superficie.

• Gli alimenti che sono consumati freddi non usufruiscono dell’effetto emendante della cottura o del riscaldamento.

• “Un alimento, anche se sterilizzato, è sicuro fin tanto che rimane nella confezione sigillata Una volta che la scatola di alimenti in conserva, tipo le carni, la salsa, il lesso, le minestre ecc. sono state aperte, divengono pericolose se non sono consumate immediatamente. Occorre quindi trasferire il prodotto in un recipiente di materiale idoneo e conservarlo, qualora le sue caratteristiche lo richiedano, in frigorifero”. (Manuale di corretta prassi igienica per la ristorazione collettiva” – FERCO (Federazione Europea della Ristorazione Collettiva) – 1994 – pag.92)

• Prodotti refrigerati IV gamma. Il metodo di confezionamento utilizzato (sotto vuoto o in atmosfera modificata – mix di O2 e CO2) inibisce la crescita di batteri deterioranti ma, al tempo stesso, può favorire la crescita di patogeni (Clostridium botulinum, Listeria monocytogenes) se non vengono rispettati corretti rapporti tempo/temperatura o se il prodotto viene consumato dopo la data di scadenza. (Joan LOKEN – Ed. italiana a cura di Carla ROGGI – “Ristorazione collettiva sicura – Guida all’applicazione dell’HACCP” – MASSON editore – pag.14).

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1.6 ANALISI PER L’IDENTIFICAZIONE DEI PERICOLI BIOLOGICI

Per identificare i pericoli biologici si dovrebbe ricorrere ad un’analisi delle possibilità di contaminazione di un prodotto alimentare nonché di riproduzione e di sopravvivenza dei singoli agenti patogeni nel prodotto stesso. L’analisi per la ricerca dei pericoli dovrebbe prendere in considerazione i seguenti fattori;

• elenco degli ingredienti

• principali caratteristiche chimico-fisiche degli ingredienti: in particolare pH, aW

• microrganismi patogeni ecologicamente (����38

) associabili agli ingredienti (è possibile fare riferimento a banche dati, a dati epidemiologici divulgati dalle autorità sanitarie nonché alla bibliografia esistente sull’argomento).

• condizioni necessarie per l’accrescimento e l’inattivazione dei microrganismi patogeni individuati (anche sulla base dei dati epidemiologici disponibili)

• lo schema di lavorazione, le operazioni specifiche, le attrezzature utilizzate (per identificare i possibili punti di contaminazione). Rispetto a questi fattori,gli aspetti che dovrebbero essere esaminati sono i seguenti:

- la disposizione e le caratteristiche dei locali di lavoro e di quelli annessi (nessun prodotto

alimentare dovrebbe essere lavorato in un ambiente rispetto al quale non siano stati presi in considerazione le possibili fonti di contaminazione; occorre quindi tener conto delle caratteristiche strutturali, delle condizioni microclimatiche, della presenza di protezioni dall’esterno);

- la disposizione e le caratteristiche d’impianti, attrezzature e superfici di lavoro (anche per

quanto concerne il tipo di materiali impiegati) dei punti di distribuzione dell’acqua calda e fredda, con una chiara indicazione delle loro modalità di utilizzo;

- la successione di tutte le operazioni (compreso l’assemblaggio d’ingredienti ed additivi, la durata

delle operazioni ed i periodi di attesa tra un’operazione e l’altra);

- i parametri tecnici delle operazioni (con particolare riguardo a temperatura e tempo);

- i flussi di circolazione dei prodotti (prodotti crudi, cotti, rifiuti) e quella del personale, anche in relazione all’applicazione della logica dei percorsi di movimentazione secondo quella che viene denominata “marcia in avanti” (����

39) nonché alla predisposizione di procedure atte e prevenire la

cosiddetta “contaminazione crociata” (����40

);

����

38 ECOLOGIA MICROBICA: viene definita come la disciplina che studia i microrganismi e le interazioni che intercorrono tra questi

ed i loro ambienti specifici.

����

39 MARCIA IN AVANTI: è anche indicata come “progressione a cascata” o “progressione di non ritorno”.

Secondo questo principio l’alimento, durante il suo ciclo di lavorazione (dalla fase di approvvigionamento alla trasformazione in prodotto finito) non deve mai retrocedere, ma solo avanzare verso la lavorazione successiva, senza possibilità d’incroci con materiale sporco – o con prodotti in stadio di lavorazione meno avanzato. Se la disposizione delle aree di lavorazione non dovesse permettere il rispetto di tale condizione occorrerebbe definire i percorsi in modo razionale, ed organizzare il lavoro secondo fasi temporali che consentano di evitare ogni possibile causa di contaminazione crociata tra alimenti crudi e quelli pronti al consumo.

����40 CONTAMINAZIONE CROCIATA: si verifica quando i contaminanti sono trasferiti da un alimento all’altro attraverso una matrice

diversa da quella alimentare (per esempio, utensili, attrezzature, mani degli operatori); con maggiore dettaglio: - dagli alimenti crudi alle attrezzature e quindi alimenti cotti trattati con una stessa attrezzatura; - dagli alimenti crudi alle mani degli operatori e quindi agli alimenti cotti; - dagli strofinacci utilizzati per pulire le superfici dove vengono manipolati prima gli alimenti crudi e poi quelli cotti

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31

- la separazione tra settori puliti e sporchi (����

41)

E' opportuno disporre di una piantina dettagliata e aggiornata dello stabilimento, corredata di lay out (traduz.: tracciato, processo, disposizione) dalla quale emerga la logica con cui sono disposte le diverse aree aziendali e sono individuati, al loro interno, i vari settori;

- le condizioni di magazzinaggio e di distribuzione dei prodotti. - i metodi di pulizia e disinfezione;

Al riguardo, a titolo indicativo, si illustrano, nelle pagine seguenti, alcune TABELLE riportanti:

- Tab.1: Principali caratteristiche chimico-fisiche (aW, pH) di alcuni prodotti alimentari. - Tab.2: Elenco dei principali pericoli biologici ecologicamente associabili ad alcune categorie di

prodotti alimentari. - Tab.3: Valori-limite di temperatura, pH e aW relativi ai principali microrganismi patogeni (per

quanto concerne caratteristiche di accrescimento e d’inattivazione), - Tab. 4: Valori indicanti la resistenza al calore dei principi microrganismi patogeni. Le tabelle 1 – 2 – 3 sono tratte da alcuni testi di riferimento indicati in bibliografia ai numeri (1), (4), (9), (15), (18), (19). La tabella 2 deriva dall’elaborazione di quella riportata nel testo indicato in bibliografia al n. 9.

����

41 Le lavorazioni delle materie prime devono avvenire in aree (o settori) ben definite:

- area pulizia lavaggio ortaggi e verdure - area lavorazioni carni crude - area lavorazione piatti freddi - area lavorazione piatti caldi

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32

pH aW PRODOTTO ALIMENTARE min max medio min max medio

Pasta secca 6,41 6,47 6,43 - - 0,60

Pasta fresca ripiena 6,01 6,22 6,11 0,92 0,97 0,95

Riso - - 5,60 0,50 0,70 0,60

Orzo 5,50 5,87 5,68 - - 0,75

Farina - - 6,70 - - 0,65

Farina gialla - - 6,70 - - 0,65

Pane 4,0 5,8 4,9 0,92 0,97 0,95

Crackers - - - - - 0,10

Biscotti - - - 0,30 0,50 0,40

Pelati 4,32 4,66 4,55 0,98 1,00 0,99

Olio - - - 0 0 0

Carne bovina 5,57 6,25 5,57 0,98 1,00 0,99

Carne suina 5,50 6,20 5,85 0,98 0,99 0,98

Carne avicola 5,65 6,41 5,96 0,98 1,00 0,99

Prosciutto cotto 6,03 6,49 6,26 0,97 0,98 0,98

Prosciutto crudo 5,88 6,35 6,12 0,91 0,98 0,95

Salumi crudi stagionati 5,00 6,00 5,50 0,80 0,96 0,88

Pesce 6,04 7,01 6,53 0,94 0,99 0,97

Platessa, merluzzo 6,04 7,01 6,53 0,94 0,99 0,97

Tonno - - 6,00 - - 0,99

Ovoprodotti 7,37 8,31 7,83 0,99 1,00 0,99

Maionese 3,0 3,8 3,5 - - 0,95

Latte 6,30 6,50 6,40 - - 0,99

Burro 4,50 6,40 5,45 0,75 0,84 0,79

Formaggi freschi - - 5,80 0,97 0,99 0,98

Formaggi semi-stagionati 5,2 5,4 5,3 0,95 0,98 0,96

Formaggi stagionati - - - 0,68 0,76 0,72

Formaggi fusi - - - 0,91 0,94 0,92

Mozzarella 5,96 6,60 6,36 0,99 1,00 0,99

Crescenza 5,43 5,61 5,52 0,98 0,98 0,98

Parmigiano 5,38 5,79 5,54 0,89 0,92 0,90

Yogurt 3,8 4,2 4,0 - - -

Patate 6,03 6,50 6,10 - - 0,99

Carote - - 6,24 - - 0,99

Verdure e ortaggi 4,50 7,30 5,90 0,99 1,00 0,99

Insalata verde - - 6,38 - - 0,99

Verze - - 7,62 - - 0,99

Pomodori - - 4,65 - - 1,00

Verdure surgelate - - - - - 0,95

Frutta fresca - - 4,5 - - 0,95

Confetture - Marmellate - - 3,5 0,75 0.80 0,77

Miele 3,4 4,4 4,0 0,54 0,75 0,65

Cioccolatini - - - 0,55 0,80 0,67

Piatti a base di pasta riso e legumi 5,8 6,8 6,4 0,98 0,99 0,98

Piatti a base di verdure cotte 5,8 6,8 6,4 0,98 0,99 0,98 Piatti a base di carni 5,8 6,8 6,4 0,98 0,99 0,98 Piatti a base di uova 5,8 6,8 6,4 0,98 0,99 0,98 Piatti a base di pesce 5,8 6,8 6,4 0,98 0,99 0,98

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CATEGORIE DI ALIMENTI

Principali PERICOLI BIOLOGICI

Microrganismi patogeni

ELIMINABILI con trattamenti ordinari di

cottura e riscaldamento

SPORE o TOSSINE - prodotte dal metabolismo microbico -

NON ELIMINABILI con gli ordinari trattamenti di

cottura e riscaldamento

LATTE E DERIVATI

Salmonella

Staphylococcus aureus Clostridium perfringens

Bacillus cereus Yersinia enterocolitica

Listeria monocytogenes Escherichia coli

Campylobacter jejuni Shigella

Virus epatite A

Salmonella Yersinia enterocolitica

Listeria monocytogenes Escherichia coli

Campylobacter jejuni Shigella

Virus epatite A

Staphylococcus aureus (T) Clostridium perfrngens (S)

Bacillus cereus (S)

CARNE, POLLAME, UOVA

Salmonella

Staphylococcus aureus Bacillus cereus

Clostridium perfringens Clostridium botulinum

Listeria monocytogenes Escherichia coli Campylobacter

Yersinia enterocolitica Virus epatite A

Parassiti

Salmonella Listeria monocytogenes

Escherichia coli Campylobacter

Yersinia enterocolitica Virus epatite A

Parassiti

Staphylococcus aureus (T) Clostridium perfringens (S) Clostridium botulinum (S)

Bacillus cereus (S)

PESCI

Salmonella

Staphylococcus aureus Clostridium botulinum

Vibrioni Yersinia enterocolitica

Virus epatite A

Salmonella Vibrioni

Yersinia entrocolitica Virus epatite A

Staphylococcus aureus (T) Clostridium botulinum (S)

MOLLUSCHI

Salmonella

Staphylococcus aureus Clostridium botulinum

Vibrioni Yersinia enterocolotica

Shigella Virus epatite A

Salmonella

Vibrioni Yersinia enterocolitica

Shigella Virus epatite A

Staphylococcus aureus (T) Clostridium botulinum (S)

VEGETALI

Salmonella

Listeria monocytogenes Staphylococcus aureus Clostridium botulinum

Bacillus cereus Shigella

Virus epatite A Parassiti

Aflatossine

Salmonella Listeria monocytogenes

Shigella Virus epatite A

Parassiti

Staphylococcus aureus (T) Clostridium botulinum (S)

Bacillus cereus (S) Aflatossine

SPEZIE

Salmonella

Staphylococcus aureus Clostridium perfringens Clostridium botulinum

Bacillus cereus Aflatossine

Salmonella

Staphylococcus aureus (T) Clostridium perfringens (S) Clostridium botulinum (S)

Bacillus cereus (S) Aflatossine

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Temperatura (°C) pH

MICRORGANISMO minimo massimo ottimale minimo massimo

aW

disidrataz.

Salmonella spp 5 - 6,5 47 35 - 37 4,5 9-11 0,95 >3 % di sale

Staphylococcus aureus 5,6 - (6,7)* 46 - 48 (45)* 46-48 (40)* 4,0 (5,0)* 9,8 (8,0)* 0,86-0.99 >10% di sale

Clostridium perfringens 15 50 43-45 5,0 8,5 0,95-0,97 >7,8% di sale

Bacillus cereus 5 - 15 (5) 48 - 55 28-35 4,3 - 4,9 9,3 0,91-0,95 -

Listeria monocytogenes 0 - 1 45 - 48 35 - 38 4,8 9,6 0,93-0,99 no

Escherichia coli 2,5 45 45 4,6 9,5 0,95 >3-4% di sale

Clostridium botulinum 3,3 - 10 50 37-40 4,7 9,0 0,94-0,95 >6% di sale

Yersinia enterocolitica 0 - 1 44 32-34 4,4 9,0 – 9,6 0,94-0,95 >3-4% di sale

Campylobacter jejuni 25 47 42-45 4,9 8,0

(*) = per la produzione di tossine

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MICRORGANISMO

Temperatura (°C) - costante

Valore coefficiente D (in minuti)����42

(tra parentesi sono espressi i valori in secondi)

Salmonella spp 65 0,02 (12") - 0,25 (15") - a seconda del ceppo

70 0,027 (1,62") - 0,017 (1,02") - a seconda del ceppo-

Staphylococcus aureus 60 5,2 - 7,8

65 0,2 (12") - 2

Staphylococcus aureus - inattivaz. tossina 98,9 120

Clostridium perfringens - forma vegetativa 59 7,2

Clostridium perfringens - forma sporulata 98,9 26 - 31

Bacillus cereus - forma vegetativa 60 1

Bacillus cereus - forma sporulata 95 15 - 36

100 2,7 - 3,1 - 5

Listeria monocytogenes 60 2,85

71 0,02 (1") - 0,07 (4")

Escherichia coli (O157:H7) 62 7

Clostridium botulinum tipo A e B 100 50

120 0.1 (6") - 0,2 (12")

Clostridium botulinum - inattivaz. Tossina 85 5

Yersinia enterocolitica 63 0,24 (14") - 0,96 (58")

Campylobacter jejuni 55 7

����

42 coefficiente D ("Decimal reduction time" o "tempo di riduzione decimale") : tempo necessario perché nell'alimento

considerato, una popolazione di microrganismi che sia sottoposta ad un trattamento termico - a temperatura costante - subisca una diminuzione del 90 % (riduzione decimale). Tale coefficiente varia in relazione al tipo di microrganismo, alle temperature applicate ed alle caratteristiche dell'alimento (ad esempio, in alimenti ricchi di grassi la resistenza al calore tende ad aumentare notevolmente). Rispetto ad una data specie microbica, il valore del coefficiente D diventa tanto più basso quanto maggiore è la temperatura - costante - applicata; inoltre, quanto più un microrganismo è termoresistente, tanto superiore risulta il valore del coefficiente D. Nell'indicare il valore del coefficiente D è necessario sempre precisare (in forma di indice sottoscritto) la temperatura alla quale viene fatto riferimento (ad esempio D100 ). Attraverso un approfondimento concettuale è possibile considerare come l'uccisione di una popolazione di microrganismi non avvenga in modo istantaneo ma segua una cinetica ad andamento esponenziale (il numero dei microrganismi diminuisce - per unità di tempo - di una percentuale costante). Pertanto, raddoppiando il tempo del trattamento termico - a temperatura costante (quindi raddoppiando il coefficiente D) si ha una riduzione del 90 % delle cellule batteriche sopravvissute al primo trattamento, triplicando il trattamento una riduzione del 90 % di quelle sopravvissute al secondo, e così via. Per contro, al termine di ogni trattamento si ha sempre la sopravvivenza di una frazione - pari al 10% - di cellule batteriche. Quindi nessun trattamento, per quanto spinto, può ridurre a zero una data popolazione microbica. Tenuto conto che la concentrazione microbica residua sarà necessariamente tanto più elevata quanto più alta è quella iniziale, e considerato che i microrganismi sopravvissuti potrebbero iniziare a riprodursi non appena le condizioni fossero favorevoli, è importante contenere entro valori quanto più possibilmente bassi la contaminazione del prodotto durante tutte le fasi che precedono il trattamento termico di cottura (o di riscaldamento), e non considerare quest’ultimo come unico e decisivo fattore da tenere sotto controllo (pur riconoscendo allo stesso un’importanza fondamentale). Da ciò deriva la necessità, per controllare al meglio il processo produttivo, che siano utilizzate materie prime il più possibile esenti da germi e che nel corso del ciclo di lavorazione si adottino tutte le cautele necessarie a limitare lo sviluppo microbico. Le Tabelle 1-2-3-4, e la presente Nota, sono state predisposte e redatte attraverso l’elaborazione del contenuto di alcuni testi di riferimento indicati in bibliografia ai numeri (1), (2) (4), (8), (9), (11), (16).

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1.6.1 CAUSE DI CONTAMINAZIONE, SOPRAVVIVENZA, SVILUPPO, DEI MICRORGANISMI.

Nell’ambito dell’analisi dei pericoli è fondamentale, rispetto a ciascuna fase del processo, esaminare quali potrebbero essere le cause di contaminazione dell’alimento nonché di sopravvivenza e/o di sviluppo dei microrganismi; in altre parole, occorre stabilire quali situazioni potrebbero determinare degli effetti negativi per la sicurezza igienica dei prodotti lavorati. A) L’alimento può essere contaminato:

• all’origine, cioè prima di essere introdotto nell’ambiente di lavorazione Alcuni prodotti alimentari sono più frequentemente contaminati all’origine come vegetali crudi (soprattutto attraverso ambiente: acqua, suolo, aria, nonché utilizzo di liquami come concimi) carne cruda (scarsa igiene di allevamento e macellazione), uova (da allevamenti non controllati).

• dal contatto con altri alimenti Soprattutto ad opera di alimenti crudi nei confronti di alimenti cotti, per contatto diretto, gocciolamento ecc. oppure attraverso la cosiddetta “contaminazione crociata”.

• dal contatto con materiali, contenitori, condutture

• dal personale Soprattutto attraverso le mani oppure attraverso l'aria nel caso di starnuti, colpi di tosse etc.- Contaminazioni indesiderabili o pericolose possono dipendere da personale che non si trovi in buone condizioni di salute e/o non segua i precetti dell’igiene e della persona e/o manipoli i prodotti non rispettando le norme di buona prassi igienica;

• in seguito ad un confezionamento difettoso: per penetrazione d’aria nella confezioni

• da animali infestanti come mosche (viene riportato in letteratura che i vettori maggiormente responsabili della diffusione nell’ambiente di salmonella sono gli insetti), scarafaggi, topi ecc.

B) I microrganismi possono svilupparsi qualora l’alimento venga raffreddato lentamente, oppure

conservato (o mantenuto nel corso di una fase lavorativa) per troppo tempo ad una temperatura non adeguata

• Temperatura non adeguata: sostanzialmente T > 4 °C

• Troppo tempo: può significare alcune ore a temperatura ambiente o diversi giorni in frigorifero (����

43)

C) I microrganismi possono sopravvivere qualora il prodotto alimentare non venga sottoposto a trattamenti termici adeguati (Al riguardo, si rimanda a quanto riportato nel precedente paragrafo 1.5.)

����

43

- Occorre tener conto del tipo di alimento vegetali, prodotti di origine animale ecc.), se trattasi d prodotti crudi o sottoposti a precedente trattamento di cottura ecc. (ad es. alla temperatura di 4-5°C : carni tritate 12 ore – insalate di carne 3 giorni ; insalata di patate: 1 giorno ecc.). ���� (1)

- Per quanto riguarda gli “avanzi”, da intendersi quali piatti cotti non oggetto d’immediata somministrazione: “Tempo di conservazione massimo = 2 giorni” (C.ROGGI, C.CORBELLINI, P.VERCESI, S.TORRE, H CENA – Ristorazione collettiva – Manuale di buona prassi igienica – Prima edizione – EMSI ROMA – editore – pag.179).

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Riepilogando, è possibile rilevare come dall'analisi dei seguenti fattori:

• composizione dei prodotti alimentari (elenco degli ingredienti etc.)

• caratteristiche chimico-fisiche degli ingredienti: pH, aW • microrganismi potenzialmente pericolosi ecologicamente associabili agli ingredienti

• caratteristiche di accrescimento e di inattivazione dei microrganismi patogeni individuati • schema di lavorazione, operazioni specifiche ed attrezzature utilizzate dovrebbe essere possibile definire i potenziali pericoli biologici - di ciascuna fase - per ogni preparazione alimentare.

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1.7 FATTORI DI SEMPLIFICAZIONE

L’analisi dei pericoli dovrebbe essere condotta, secondo le modalità appena indicate, per ogni fase del diagramma di flusso riguardante ogni preparazione alimentare (in quanto cambiano le materie prime ed il processo di lavorazione) in ogni singolo laboratorio (poiché variano le condizioni ambientali, la dotazione impiantistica etc.) Appare ovvio che nel caso di processi di lavorazione complessi, caratterizzati da molte fasi, oppure di processi semplici, svolti presso imprese ove sia preparata una rilevante varietà di prodotti, un’analisi dei pericoli condotta seguendo dette modalità può richiedere un impegno estremamente gravoso. Si ritiene che, in alcuni casi, potrebbero essere ragionevolmente adottati alcuni Fattori di semplificazione. ���� Un fattore di semplificazione può essere quello di accomunare / raggruppare prodotti:

• di natura simile (per quanto riguarda caratteristiche generali di composizione, caratteristiche chimico-fisiche, parametri microbiologici)

• che siano sottoposti alle stesse fasi operative (secondo tempi di preparazione simili) svolte, ovviamente, nello stesso ambiente di lavoro con l’impiego dei medesimi impianti etc.

• che arrivino a presentare, conseguentemente, gli stessi pericoli potenziali • che possano quindi essere sottoposti agli stessi controlli.

Si riporta nella pagina seguente - Fig. n. 3 - un esempio di gruppi di preparazioni omogenee riferite, nella fattispecie, al settore delle ristorazioni collettive.

���� Un ulteriore fattore di semplificazione può consistere nel considerare quale "pericolo" non ogni

singolo agente contaminante, bensì l’eventualità – rispetto ad ogni fase lavorativa – che si possano verificare le condizioni favorevoli alla contaminazione dei prodotti alimentari, nonché alla sopravvivenza e/o crescita dei microrganismi.

Al riguardo si allega, nelle pagine seguenti, una tabella (Tab. n. 5) indicante uno schema semplificato per la definizione dei pericoli biologici secondo tali criteri.

Come sottolineato in precedenza nel paragrafo dal titolo “Descrizione dei prodotti e loro modalità di utilizzazione”, è necessario che nel Piano di autocontrollo aziendale siano comunque sempre esplicitati - e giustificati - i criteri scelti per definire i raggruppamenti delle varie preparazioni nonché, in generale, ogni altro eventuale fattore di semplificazione adottato.

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���� PRIMI PIATTI – Linee di flusso riguardanti le preparazioni di : - Sughi (e condimenti omologhi) - Risotti, pastasciutta, etc. - Lasagne e paste variamente lavorate (ad es. lasagne al forno, cannelloni ripieni etc.) - Minestre a base di verdure, passati di verdura etc. - Brodi - Insalata di riso, insalata di pasta etc. ���� SECONDI PIATTI - Linee di flusso riguardanti le preparazioni di: - Carni arrostite, brasate etc. - Carni bollite - Carni a fettine, spezzatino etc. - Prodotti a base di carni macinate ed impasti vari (ad es. polpette, hamburger ecc.). - Arrotolati di carne (ad es. rolatine etc.) - Prodotti ittici (interi, a tranci, a filetti, bastoncini etc.) - Prodotti a base d’uovo (omelette, frittate, tortini con verdure ecc.) - Piatti freddi a base di affettati (prosciutto crudo, salami, bresaola etc.) - Piatti freddi a base di formaggi ���� CONTORNI - Linee di flusso riguardanti le preparazioni di: - Verdure cotte (ad es. patate lesse, spinaci, costine, piselli in umido etc.) - Verdure crude (ad es. insalate verdi, insalata di pomodoro, di carote etc.) ���� DESSERT - Linee di flusso riguardanti le preparazioni di: - Frutta cotta - Macedonia di frutta - Torte ���� ALTRE PREPARAZIONI - Linee di flusso riguardanti le preparazioni di: - Pizze - Torte salate - Panini N.B. Il prospetto riportato, anche riguardo alla tipologia di attività cui deve intendersi riferito, ha carattere del tutto indicativo ; i gruppi di preparazioni omogenee potrebbero, ovviamente, essere diversamente determinati in ragione delle fasi e delle modalità lavorative che effettivamente interessano le preparazioni, delle caratteristiche peculiari dei prodotti utilizzati (ad es. freschi / crudi, refrigerati, surgelati) etc.

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FASE IDENTIFICAZIONE DEL PERICOLO

RICEVIMENTO MATERIE PRIME

• Contaminazione all’origine del prodotto (con particolare riguardo per gli

alimenti provenienti da fonti non sicure)

• Sviluppo dei microrganismi (per temperature di trasporto inadeguate, interruzione della catena del freddo, tempi di scarico troppo lunghi)

• Insudiciamento del prodotto (contaminazione secondaria determinata da scarsa igiene automezzo e contenitori)

STOCCAGGIO PRODOTTI REFRIGERATI O CONGELATI

• Sviluppo dei microrganismi (per temperature di conservazione

inadeguate o per tempi di conservazione troppo lunghi) • Contaminazione crociata (per scarsa igiene del personale, dei piani

d’appoggio ecc.)

STOCCAGGIO PRODOTTI NON REFRIGERATI O CONGELATI

• Contaminazione per rottura delle confezioni

• Infestazione ad opera di parassiti • Alterazione causa tempi di conservazione eccessivamente lunghi

SCONGELAMENTO

• Sviluppo dei microrganismi (causa permanenza eccessiva a temperature non adeguate)

• Contaminazione da cose / persone

• Scongelamento incompleto

PREPARAZIONE

• Sviluppo dei microrganismi (causa permanenza eccessiva a temperatura ambiente)

• Contaminazione crociata tra alimenti di diversa origine • Contaminazione ad opera di addetti, materiali, utensili

COTTURA

• Sopravvivenza dei microrganismi patogeni (ad un trattamento termico inadeguato)

CONSERVAZIONE A CALDO O A FREDDO

• Sviluppo dei microrganismi patogeni (se le temperature di conservazione non sono adeguate)

• Contaminazione da cose / persone

RAFFREDDAMENTO

• Sviluppo dei microrganismi (causa permanenza eccessiva a temperature non adeguate)

• Contaminazione da cose / persone

PORZIONAMENTO

• Contaminazione ad opera di superfici, utensili, materiali, addetti.

RISCALDAMENTO

• Sopravvivenza e/o sviluppo dei microrganismi patogeni

CONSERVAZIONE DEGLI

ALIMENTI PRONTI

• Sviluppo dei microrganismi patogeni

• Contaminazione da cose / persone

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1.8 ANALISI DEI RISCHI – Considerazioni

RISCHIO: può essere genericamente definito come il risultato della probabilità che un determinato pericolo arrivi a manifestarsi provocando un’azione nociva per la salute. Rispetto a quello di pericolo, il concetto di rischio presuppone la considerazione di alcune ulteriori variabili, e precisamente:

• probabilità che il pericolo si manifesti (considerando, innanzitutto, tutta una serie di fattori che potrebbero favorirne - o invece renderne improbabile - la comparsa).

• gravità, ovvero quali conseguenze comporta per la salute l’insorgenza del pericolo considerato. L’Analisi del rischio rispetto ad un dato microrganismo (o comunque ad un dato agente biologico) dovrebbe permettere di stabilire la probabilità che si possano verificare degli effetti nocivi – o comunque indesiderati – per la salute in un soggetto (o in una popolazione) in seguito al consumo di un alimento, di definire quale livello di rischio sia ritenuto accettabile ed individuare i mezzi per contenere il rischio nelle circostanze stesse. L’ Analisi del rischio è una procedura complessa, convenzionalmente suddivisa in tre passi distinti (“tre componenti interconnesse” �

44), e precisamente:

���� Valutazione del rischio

(A sua volta suddivisa in quattro fasi : Individuazione del pericolo, Caratterizzazione del pericolo, Valutazione dell’esposizione, Caratterizzazione del rischio).

���� Gestione del rischio ���� Comunicazione del rischio In riferimento all’applicazione del metodo HACCP, con particolare riguardo alla predisposizione di un piano di autocontrollo, potrebbe assumere rilievo precipuo il primo passo dell’Analisi del rischio, ovvero la cosiddetta Valutazione del rischio, al fine di stabilire la probabilità che un dato pericolo possa effettivamente concretizzarsi determinando uno stato di malattia nel consumatore, e debba quindi essere oggetto - o meno - di specifiche misure di controllo. Tra i fattori che dovrebbero essere presi in considerazione rispetto alla Valutazione del rischio si possono citare:

• Individuazione del microrganismo che può essere presente in un alimento (o in un gruppo di alimenti simili per composizione, tecniche produttive e distributive) e quindi veicolato dallo stesso.

• Valutazione della probabile presenza dell’agente nocivo nell’alimento

• Infettività del microrganismo (�45

)

• Virulenza del microrganismo (�46

)

• Valutazione dose-risposta (relazione tra il livello di esposizione all’agente nocivo e frequenza dei relativi effetti negativi per la salute).

• Dinamica di crescita, sopravvivenza e morte del microrganismo nel prodotto alimentare.

• Presenza, quantità e tipologia di altri batteri nella matrice alimentare – concorrenti o antagonisti al microrganismo considerato – e relative interazioni.

• Caratteristiche peculiari dell’alimento (oltre alle principali caratteristiche chimico-fisiche dell’alimento quali ph, aW, anche eventuale presenza di componenti in grado di aumentare la resistenza dei microrganismi all’azione dei succhi gastrici).

����

44 Regolamento (CE) 178 / 2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 – art. 3 – punti 9-13.

����

45 misura la capacità di un microrganismo d’indurre una malattia.

����46 è la capacità, da parte di un microrganismo di moltiplicarsi nell’ospite determinando uno stato di malattia. Ceppi diversi di

uno stesso agente biologico possono avere virulenza diversa.

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42

• Trattamenti tecnologici cui risulta sottoposto il prodotto alimentare nell’ambito del ciclo di produzione e distribuzione.

• Condizioni degli ambienti e delle attrezzature nonché comportamento del personale.

• Dimensioni della produzione

• Tipo di utenti (sensibilità del consumatore ai microrganismi patogeni ; fattori implicati possono essere : l’età, il sesso, lo stato del sistema immunitario, lo stato fisiologico complessivo etc.).

• Valutazione della quantità di un determinato microrganismo (o di una tossina) introdotta attraverso il consumo di un alimento da parte di un consumatore (o di una data popolazione).

• Valutazione delle probabilità che si possano manifestare effetti negativi per la salute in un consumatore (o in una data popolazione) a seguito del consumo di un alimento che risulti veicolo del microrganismo considerato.

La Valutazione del rischio è dunque un procedimento complesso che comporta l’elaborazione di dati tecnici e scientifici (da ricavarsi facendo ricorso a fonti bibliografiche, oppure a risultanze della sorveglianza epidemiologica, ad indagini analitiche etc.) attraverso l’applicazione di modelli matematici per la definizione di apposite stime. Nell’ambito della redazione di un piano di autocontrollo risulta difficile quantificare la probabilità (esprimendo cioè un dato numerico) che un pericolo possa effettivamente manifestarsi provocando uno stato di malattia nel consumatore, poiché tale valutazione deriva - secondo quanto sommariamente accennato - dall’analisi di numerose variabili, da porsi in relazione, rispettivamente, al microrganismo patogeno considerato, all’alimento ed alle sue modalità di lavorazione e distribuzione, nonché al consumatore stesso. ���� (2), (4), (8), (11).

Attualmente dunque, sul piano operativo (sulla scorta, per altro, anche degli indirizzi riportati comunemente nei Manuali di corretta prassi igienica), l’applicazione delle misure di controllo è correlata per lo più ad un’Analisi della rilevanza dei pericoli (definita attraverso approcci metodici di tipo prettamente qualitativo), prescindendo da altre valutazioni concernenti la stima del livello di tollerabilità di detti pericoli nell’alimento e quindi della probabilità di comparsa di effetti avversi alla salute del consumatore.

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43

Una volta che per ogni fase sono stati individuati i pericoli dovranno essere studiate e descritte le misure di controllo applicabili a ciascuno di essi in modo da eliminarli o limitarne gli effetti. PUNTO CRITICO DI CONTROLLO (CCP): può essere definito come una fase, un’operazione, una procedura, a livello della quale è possibile - nonché necessario - esercitare un controllo al fine di prevenire, minimizzare o eliminare un pericolo. Al riguardo è opportuno sottolineare come Il termine “controllo” vada inteso nel significato di "gestione", "dominio", "padronanza" di un processo di lavorazione, e non in quello di “verifica analitica” o di “misurazione”(����

47).

Per un pur breve approfondimento concettuale di quelle che, in argomento, dovrebbero essere considerate “azioni di controllo” o “misure di controllo”, è possibile fare riferimento alle definizioni riportate nella Decisione CEE 20.05.1994 n.356 (più volte citata in queste linee guida) - Allegato - punto 6) ove è indicato che, per "Misure di controllo", devono intendersi "… gli interventi o le attività volti a prevenire un pericolo, ad eliminarlo o a ridurre l'impatto o la probabilità d'insorgenza ad un livello accettabile". Dette azioni di controllo, secondo quanto ripreso al successivo paragrafo 3.1., possono essere rivolte ad apportare modificazioni che perlopiù coinvolgono parametri di natura fisica (ad esempio la temperatura, come nel caso delle fasi di cottura, refrigerazione, congelamento etc.), chimica (ad esempio il pH, come nel caso dell’aggiunta di sostanze ad azione acidificante) riguardo una data preparazione alimentare. Le misure di controllo cui viene fatto prevalentemente ricorso nell’ambito dei cicli di lavorazione dei prodotti alimentari potrebbero essere distinte in :

• Azioni - o fasi operative - poste in atto esclusivamente per garantire l'igienicità del prodotto (ad esempio, refrigerazione delle materie prime deperibili, conservazione a temperatura controllata dei prodotti pronti al consumo, lavaggio dei prodotti ortofrutticoli, operazioni di pulizia e disinfezione ecc.) e che non avrebbero motivo di essere applicate “se in natura non esistessero forme microbiche viventi”. ���� (38) pag.9 .

• Azioni – o fasi operative - indispensabili a permettere la trasformazione gastronomica dell’alimento determinandone le specifiche caratteristiche di appetibilità (ad esempio la cottura, il raffreddamento, l'aggiunta di determinati ingredienti ecc.) che possono però rivestire un ruolo fondamentale anche rispetto all'obiettivo di assicurare l'igienicità del prodotto stesso.

Si ritiene utile evidenziare, inoltre, come un Punto critico di controllo (CCP) non coincida, per forza di cose, con un punto (o una fase) del processo di lavorazione in corrispondenza del quale più facilmente potrebbe generarsi un pericolo : punti di questo tipo, tra l’altro, sono riconducibili a quelli indicati nella Circolare 28.07.1995 n.21 - Ministero della Sanità (����

48) come "Punti a rischio" e definiti quali " Punti,

fasi o procedure in cui è possibile che si verifichi, aumenti o persista un pericolo relativo alla sicurezza e all'integrità di un prodotto alimentare". Un esempio, in merito, potrebbe essere rappresentato dalla fase di manipolazione di un prodotto alimentare, nell'ipotesi in cui, da parte degli operatori addetti, non venissero rispettate norme di buona prassi igienica. In tal caso si potrebbe avere una compromissione della qualità igienica del prodotto, dovuta, ad esempio, all’impiego di materie prime o ingredienti non idonei, oppure all’utilizzo d’impianti ed attrezzature non adeguatamente puliti e sanificati, a scarsa igiene del personale o, ancora, a contaminazioni crociate ecc.

����

47 “ Le analisi microbiologiche o chimiche, non sono [nell'ambito della metodologia HACCP], un mezzo per tenere sotto controllo la

sicurezza e la salubrità delle derrate alimentari, bensì una modalità di misurazione del loro grado di salubrità”. (D. SPOALOR, S. TRAMONTIN, A. MAIELLO “L’HACCP attraverso la sua terminologia” In PULIZIA INDUSTRIALE E SANIFICAZIONE – Speciale Igiene – Alimenti 1998 – Dossier).

48 Circolare 28.07.1995 n.21 - Ministero della Sanità “Disposizioni riguardanti le linee guida per l’elaborazione dei manuali volontari

di corretta prassi igienica in materia di derrate alimentari”.

2. DETERMINAZIONE DEI PUNTI CRITICI DI CONTROLLO (CCP)

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Le possibili azioni di controllo applicabili da parte degli operatori in corrispondenza di questa fase riguardano l’attuazione di Norme di buona prassi igienica, le quali, pur costituendo un elemento fondamentale per la preparazione di alimenti in condizioni igienicamente accettabili, non potrebbero, tuttavia, risultare determinanti al fine di garantire l’assenza (o comunque la riduzione ad un livello accettabile) di microrganismi patogeni �

49: rispetto al pericolo rappresentato dalla presenza di questi ultimi (almeno per

quanto riguarda quelli asporigeni), il CCP dovrebbe necessariamente essere individuato in una fase successiva (se prevista) di cottura, riscaldamento ecc., a livello della quale l’applicazione di trattamenti termici appropriati permetterebbe invece di “controllare” in modo efficace il pericolo considerato.(�

50)

Un CCP, come già detto, delinea una fase del processo in cui è possibile tenere sotto controllo un pericolo, eliminandolo o limitandone gli effetti. Il termine "Critico" nella sigla CCP va dunque inteso nel significato di "decisivo", "determinante" e non in quello di "pericoloso" o "grave". Ciò non esclude, è opportuno ribadire, che tutte le fasi del processo di lavorazione dovrebbero comunque essere condotte nel rispetto scrupoloso di Norme di buona prassi igienica e di specifiche procedure operative, in modo da evitare che possa determinarsi la comparsa di ulteriori pericoli o lo sviluppo di quelli eventualmente presenti. L’identificazione di un Punto critico di controllo (CCP) deve avvenire sulla base di un procedimento logico che tenga conto, in relazione al Pericolo considerato, del tipo di alimento oggetto di preparazione o commercializzazione, degli impianti e delle attrezzature disponibili e realmente utilizzati, dei trattamenti applicati sia nella fase in disamina che in quelle successive di un processo di preparazione, delle pratiche operative proprie del personale addetto ecc. Allo scopo è possibile avvalersi convenzionalmente del cosiddetto ”Albero decisionale” (o “Albero delle decisioni”) ����

51 proposto dal Codex Alimentarius: si

tratta di una sequenza di domande - a risposta guidata – che permettono di stabilire se si é in presenza, o meno, di un Punto critico di controllo.

Nelle pagine seguenti – Fig. n. 4 - si riporta una rappresentazione grafica dell’ "Albero decisionale". “L’albero decisionale” implica la sua applicazione rispetto a qualsiasi pericolo individuato in corrispondenza di ciascuna fase operativa del diagramma di flusso di ogni preparazione alimentare.

49 Una misura preventiva potrebbe essere considerata un punto critico di controllo “quando sono presenti contemporaneamente le

seguenti condizioni: • la misura preventiva annulla o minimizza un pericolo importante (= di elevato rischio e/o gravità);

• la misura preventiva può essere attuata in modo standardizzabile, ripetitivo ed oggettivo (= è possibile monitorarne l’attuazione attraverso la sorveglianza d’informazioni semplici ed univoche”

Lari BOSCHETTI, Mario BERVIGLIERI “IL CONTROLLO DEGLI ALIMENTI – Guida pratica per il personale tecnico di vigilanza” – Maggioli Editore - ottobre 2001 – pag. 57.

50 Un Punto critico di controllo per limitare - o eliminare - il pericolo rappresentato dalla presenza di un batterio patogeno in forma

vegetativa (ad esempio Salmonella) può essere la cottura dell’alimento: una volta stabilito che sottoponendo il prodotto ad un trattamento termico di 75 °C per 15’’ si eliminano le Salmonelle, si dovrà assicurare (attraverso la misurazione con termometri opportunamente calibrati e disinfettati) e dimostrare (attraverso la registrazione dei dati rilevati) - che ogni porzione dello stesso é stata raggiunta da tali condizioni termiche, in modo da garantire, fino a quel punto del processo d lavorazione, l’assenza di Salmonella anche senza ricorrere alla conferma delle analisi di laboratorio. ����

51 L’ “Albero decisionale” risulta essere stato ideato dal gruppo di lavoro sull’HACCP del Codex Alimentarius e presentato

inizialmente nel documento “Guida per l’applicazione delle analisi per il controllo dei punti critici - 20 ^ sessione FAO / OMS – Codex Alimentarius”. Detto schema decisionale è stato quindi proposto, a più riprese, da diversi organismi internazionali di riferimento in materia di sicurezza alimentare. Ancora una volta, per brevità espositiva, si fa riferimento a quanto riportato nell’Allegato della Decisione CEE 20.05.1994 n. 356 (più volte citata i queste linee guida).

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Secondo la logica dell'Albero decisionale - e più in generale del metodo HACCP - non tutti i Pericoli richiedono una misura di controllo specifica; talvolta, una misura di controllo adottata a livello di un Punto critico di controllo può ridurre - o eliminare - la necessità di adottarne altre a livello dei passi precedenti della filiera produttiva. Inoltre, nell’ipotesi in cui venisse identificato un Pericolo ma non fosse determinato (o determinabile) il relativo Punto critico di controllo, dovrebbe essere modificato il prodotto stesso o il processo di lavorazione, in modo da introdurre le misure di controllo necessarie. L’identificazione dei Punti critici di controllo attraverso l’applicazione dell’“Albero decisionale” presuppone che il personale che si trova ad attuare detta metodica disponga di adeguate conoscenze in materia di microbiologia, igiene e tecnologia alimentare ecc.; occorre considerare come nel caso di piccole aziende artigianali e commerciali, la disponibilità di risorse tecniche e scientifiche possa risultare, talvolta, relativamente limitata. Non è da escludersi, tuttavia, per l’identificazione di Punti critici di controllo (CCP), la possibilità di ricorrere ad altri metodi (come peraltro evidenziato anche al successivo paragrafo), che non possono comunque prescindere da un adeguato livello di esperienza e competenze da parte del personale che si trova a dovere predisporre – ed implementare – il Piano (o Manuale) di autocontrollo aziendale . Una volta identificati, occorrerebbe che i vari Punti critici di controllo (CCP) fossero riportati, per ragioni di chiarezza espositiva, in corrispondenza del diagramma di flusso, in modo da rendere immediatamente evidenti le fasi che richiedono l’attivazione della procedura di controllo (monitoraggio, registrazione, eventuale adozione delle misure correttive ecc.).

Nel piano di autocontrollo aziendale dovrebbero, in ogni caso, essere sempre indicati i criteri adottati per identificare i Punti critici di controllo (CCP).

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46

(����52

) d2.

����

52 “Per rispondere correttamente a tale quesito è necessario prendere in considerazione l’operazione di processo in quanto tale e

non la misura preventiva associata “ (Carla ROGGI e Giovanna TURCONI – “Igiene degli alimenti e nutrizione umana” –Prima edizione – EMSI editore – pag.142)

D1. Esistono (o è possibile predisporre) "misure di controllo" per il pericolo identificato ?

SI NO Il controllo di questa fase è necessario per

garantire la sicurezza del prodotto ?

NO

STOP Non è un

CCP

Occorre modificare la fase, il procedimento o il

prodotto

D2. Questa fase é destinata ad eliminare il pericolo o a ridurne la probabilità di comparsa

ad un livello accettabile?

D3. La contaminazione può avvenire o crescere fino a livelli inaccettabili?

D4. Il pericolo può essere eliminato o ridotto ad un livello accettabile in una fase successiva ?

STOP Non è un

CCP

E’ un CCP

SI

SI

NO

NO

NO

SI

STOP Non è un

CCP

SI

E’ un CCP

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2.1 CRITERI SEMPLIFICATIVI PER LA DEFINIZIONE DEI CCP

Anche rispetto all'identificazione dei punti critici di controllo (CCP) è comunque possibile prendere in considerazione la possibilità di applicare eventuali criteri semplificativi. In merito, é opportuno evidenziare, preliminarmente, come le misure di controllo, in ambito HACCP, nella prevalenza assoluta dei casi non siano rivolte, in modo distinto, nei confronti di ogni singolo agente patogeno (ad esempio, Salmonella. Clostridium perfringens, Staphylococcus aureus, Bacillus cereus ecc.) ; più spesso invece, attraverso tale metodica, si arriva a prevenire, minimizzare o eliminare la presenza, anche contemporanea, di determinati agenti patogeni, per mezzo della gestione di alcuni parametri di processo (soprattutto temperatura e tempo, senza escludere, rispetto a peculiari processi tecnologici, pH, aW, concentrazione salina etc.). ���� (12) Ciò premesso, si evidenzia come sulla base delle valutazioni e delle conclusioni diffusamente riportate nella letteratura di riferimento a carattere tecnico-scientifico (compresi i Manuali di corretta prassi igienica), per quanto concerne attività caratterizzate da processi di lavorazione piuttosto usuali, o comunque relativamente standardizzabili, potrebbero essere identificate, quali Punti critici di controllo (CCP), una serie di fasi a livello delle quali è possibile operare, in modo efficace, un controllo della contaminazione dei prodotti alimentari, nonché della proliferazione e della sopravvivenza dei microrganismi ; si tratta di quelli anche indicati, in alcuni casi, quali “Punti critici di controllo generalizzati” (����

53)

Si riporta, nella pagina seguente, il prospetto sinottico di una serie di fasi identificabili genericamente quali Punti critici di controllo (CCP).

Qualora per l’identificazione dei CCP si ritenesse dunque di ricorrere ad eventuali criteri semplificativi, occorrerebbe, in ogni caso, fosse sempre debitamente ponderato, nel suo complesso, il ciclo produttivo che caratterizza una data preparazione alimentare, tenuto conto che l’obiettivo di definire, da un punto di vista igienico, il controllo del processo di lavorazione, non potrebbe essere esaurientemente affrontato - e risolto - soltanto attraverso un’attività di monitoraggio svolta in corrispondenza di alcune fasi frammentariamente predeterminate, bensì, in ossequio a quelli che sono i principi fondamentali del metodo HACCP, dovrebbe derivare dall’applicazione coordinata e sinergica, di apposite Procedure basate sui principi del metodo, di Norme di buona prassi igienica, nonché dalla sorveglianza dei CCP debitamente individuati e giustificati.

53 “I punti critici di controllo generalizzati sono fasi comuni a tutti i processi che rivesto le caratteristiche del punto critico di

controllo quali : ricevimento materie prime – stoccaggio delle merci – trattamenti termici (… ) - raffreddamento prodotti – stoccaggio prodotti finiti. Tali punti critici non hanno le caratteristiche dei CCP veri e propri che scaturiscono dall’applicazione dell’albero delle decisioni del Codex Alimentarius e che sono specifici per processo e per linea di produzione” (Regione Piemonte – Assessorato alla Sanità – Settore Assist. Veterinaria – Direttiva 1/97 “Buone pratiche di fabbricazione e linee guida per l’autocontrollo negli stabilimenti di produzione di alimenti di origine animale”).

In ordine con quanto puntualizzato nel paragrafo precedente, si ribadisce, per chiarezza, come nel piano di autocontrollo aziendale dovrebbero essere sempre indicati – e giustificati - i criteri scelti, ancorché di tipo semplificativo, per identificare i Punti critici di controllo (CCP).

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FASE LAVORATIVA

TIPO DI PERICOLO CUI E’ RIVOLTO IL CONTROLLO

RICEVIMENTO MATERIE PRIME

Contaminazione dei prodotti e moltiplicazione dei microrganismi - I prodotti alimentari. già in fase di arrivo, possono essere contaminati da microrganismi patogeni. E’ quindi necessario procedere ad un accurato controllo al fine di verificare condizioni di temperatura, stato delle confezioni ecc.

STOCCAGGIO A TEMPERATURA

CONTROLLATA

di materie prime deperibili

Moltiplicazione dei microrganismi – la permanenza dell’alimento in condizioni di temperatura adeguate è indispensabile per assicurare la corretta conservazione dei prodotti deperibili ed impedire uno sviluppo batterico pericoloso.

SCONGELAMENTO

Contaminazione dei prodotti e moltiplicazione dei microrganismi – Uno scongelamento completo costituisce presupposto essenziale per garantire una cottura adeguata e quindi permettere l'eliminazione dei microrganismi patogeni in forma vegetativa. Uno scongelamento condotto a temperatura controllata è fondamentale per prevenire uno sviluppo batterico pericoloso.

COTTURA

Sopravvivenza dei microrganismi – trattamenti termici adeguati per tempo e temperatura consentono di eliminare i microrganismi patogeni – in forma vegetativa - e deterioranti, riducendo a livelli accettabili numerosi pericoli associati alle fasi precedenti della filiera produttiva.

RAFFREDDAMENTO CONTROLLATO (ABBATTIMENTO RAPIDO)

di prodotti cotti

Moltiplicazione dei microrganismi – una corretta gestione della fase di raffreddamento, attraverso la quale sia evitata l'eccessiva permanenza dell'alimento nell'intervallo di temperatura pericoloso (quello compreso tra 4°C e 60°C), costituisce presupposto indispensabile per prevenire un indebito sviluppo batterico.

RISCALDAMENTO

Come per la fase di Cottura

CONSERVAZIONE A TEMPERATURA

CONTROLLATA

di prodotti lavorati

Moltiplicazione dei microrganismi - adeguate modalità di conservazione permettono di prevenire ricontaminazioni, deterioramenti e sviluppo di microrganismi nocivi.

ESPOSIZIONE A CALDO o A FREDDO

TRASPORTO

SOMMINISTRAZIONE

Moltiplicazione dei microrganismi – Come già indicato ai punti precedenti, la permanenza dell’alimento in condizioni di temperatura adeguate è indispensabile per assicurare la corretta conservazione dei prodotti deperibili ed impedire uno sviluppo batterico pericoloso.

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49

invece:

Le "preparazioni" o "lavorazioni" (convenzionalmente, con tali locuzioni, quando non meglio specificato, possono comprendersi tutte le operazioni che comportano un'elaborazione - manuale o strumentale - dei prodotti, come ad esempio l’assemblaggio degli ingredienti, l’impasto, la farcitura, la porzionatura, il taglio e l’affettatura ecc.) non dovrebbero essere identificate come veri e propri CCP - in quanto, in loro corrispondenza, non è possibile porre in essere dei sistemi di verifica in grado assicurare e dimostrare il controllo di un pericolo Queste fasi, tuttavia, possono incidere sulla qualità igienica di un prodotto: rispetto ad esse le “misure di prevenzione” (o “misure di controllo”) devono intendersi rappresentate dall’applicazione di procedure e/o dall’adozione di comportamenti che coinvolgono, trasversalmente, tutti i punti del processo produttivo quali, ad esempio: - le procedure di pulizia e disinfezione di locali, impianti ed attrezzature; - le procedure di manutenzione di locali, impianti, attrezzature ecc. - le procedure per il controllo di animali infestanti. - le norme di buona prassi igienica di lavorazione (a titolo del tutto esemplificativo si cita come uno dei

criteri potrebbe essere quello di organizzare il lavoro in modo da ridurre al minimo la permanenza degli alimenti a temperatura ambiente, di utilizzare piani di lavoro separati ecc.);

- la formazione del personale ecc.

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2.2 ESEMPIO DI FASI CHE POTREBBERO ESSERE INDIVIDUATE QUALI CCP RISPETTO AD ALCUNE ATTIVITA'.

ESEMPIO DI FASI

DA INDIVIDUARSI QUALE CCP

PERICOLO

PARAMETRI DA UTILIZZARSI COME

INDICATORI (Vedasi successivo paragrafo 3.1)

• Acquisto / ricevimento materie prime

• Contaminazione all'origine dei prodotti

• Sviluppo dei microrganismi • Insudiciamento dei prodotti

• Integrità delle confezioni

• Rispetto data di scadenza • Temperatura dei prodotti

• Stoccaggio in magazzino

• Sviluppo dei microrganismi • Alterazione causa tempi di

conservazione eccessivamente lunghi

• Infestazione ad opera di parassiti

• Temperatura di conservazione

(per i prodotti deperibili) • Rispetto date di scadenza

• Assenza di tracce d'infestazione

• Esposizione dei prodotti - in funzione della vendita

• Sviluppo dei microrganismi

• Alterazione causa tempi di conservazione eccessivamente lunghi

• Contaminazione da cose e/o persone

• Temperatura di conservazione

(per i prodotti deperibili) • Rispetto data di scadenza • Condizioni di conservazione

Invece, le manipolazioni al banco (ad esempio, taglio, affettatura, porzionatura ecc.) possono essere assimilate alle preparazioni e quindi, come per altro indicato al paragrafo 2.1, non dovrebbero essere identificate come veri e propri CCP ; per queste attività le misure di controllo possono essere rappresentate dall' applicazione di procedure e dall' adozione di comportamenti che interessano comunque tutti i punti del processo (pulizia e sanificazione di locali, impianti ed attrezzature, igiene e formazione del personale ecc.)

VENDITA AL DETTAGLIO DI ALIMENTI E BEVANDE

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ESEMPIO DI FASE

DA INDIVIDUARSI QUALE CCP

PERICOLO

PARAMETRI DA UTILIZZARSI

COME INDICATORI (Vedasi successivo paragrafo 3.1)

• Acquisto / ricevimento materie prime

• Presenza non consentita di residui di prodotti fitosanitari

• Approvvigionamento esclusivo

da fornitori selezionati e qualificati (����

54)

ESEMPIO DI FASE

DA INDIVIDUARSI QUALE CCP

PERICOLO

PARAMETRI DA UTILIZZARSI COME

INDICATORI (Vedasi successivo paragrafo 3.1)

• Acquisto / ricevimento prodotto

• Contaminazione del prodotto (tracce d'insetti, sudiciume, capelli etc.)

• Difformità del prodotto rispetto alle indicazioni riportate in etichettatura (o nei documenti di accompagnamento)

• Approvvigionamento esclusivo

da fornitori selezionati e qualificati

• Verifica delle condizioni del prodotto

• Verifica completezza della documentazione di accompagnamento del prodotto

����

54 Il principale pericolo per i prodotti ortofrutticoli è la presenza non consentita di residui di prodotti fitosanitari (ogni prodotto

ortofrutticolo può essere trattato solo con determinati prodotti fitosanitari i cui residui devono essere inferiori ai limiti stabiliti dalla legge). Al riguardo, non è ragionevolmente ipotizzabile che il commerciante al dettaglio possa fare analizzare tutti i prodotti ortofrutticoli al fine di accertare l’eventuale presenza di residui di fitofarmaci, né che sia in grado di stabilire non la presenza consentita di dette sostanze attraverso l’esame organolettico. Le garanzie possibili potranno essere pertanto conseguite attraverso la richiesta di documentazione (certificati di analisi, documentazione sulla provenienza della merce, eventuale applicazione del piano di autocontrollo) al proprio fornitore all’ingrosso.

VENDITA DI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI

RIVENDITA PANE

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52

Ogni punto critico di controllo (CCP) deve essere oggetto di sorveglianza attraverso il monitoraggio di un parametro da individuarsi come indicatore della sicurezza del processo di lavorazione. E’ necessario pertanto siano definiti i parametri da utilizzarsi come indicatori, i relativi limiti critici, nonché stabiliti i sistemi di monitoraggio.

3. INDIVIDUAZIONE DEI PARAMETRI DA UTILIZZARSI COME INDICATORI E DEI RELATIVI LIMITI CRITICI

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3.1 PARAMETRI DA UTILIZZARSI COME INDICATORI I Parametri (o “fattori critici”) da individuarsi per la sorveglianza dei CCP possono riguardare peculiarmente il prodotto stesso, il processo di lavorazione, l’ambiente in cui l’alimento viene preparato o conservato, ed avere, a seconda dei casi, natura fisica, chimica, biologica, organolettica. Se ne citano alcuni a titolo d'esempio : - la temperatura - il tempo - il pH - l’attività dell’acqua (aW) - la concentrazione salina - il dosaggio dei conservanti - gusto, odore, aroma, aspetto (parametri organolettici o sensoriali) - la pezzatura dell’alimento (spessore dei prodotti sottoposti a refrigerazione) - cloro attivo - agenti microbiologici (pur con tutte le limitazioni legate alla scarsa funzionalità – nell’ambito della

metodologia HACCP – dell’esame di parametri microbiologici, secondo quanto di seguito piuttosto diffusamente argomentato).

La scelta di uno o più di questi parametri dovrebbe essere legata al tipo di pericolo, alla natura dei prodotti oggetto di lavorazione nonché al ciclo tecnologico adottato. Affinché la sorveglianza dei CCP possa essere efficace è necessario che le modalità di rilevazione di detti parametri risultino:

• praticabili quanto più semplicemente (possano cioè essere realizzate mediante mezzi o strumenti di misura normalmente disponibili presso l’azienda ed adeguatamente gestibili dal personale addetto all’attività);

• compatibili, da un punto di vista economico, con gli standard e le risorse della ditta; • tali da permettere l’acquisizione dei risultati in tempi molto brevi affinché, se necessario, il

trattamento possa essere rapidamente corretto, prima di un’eventuale perdita di controllo. L’esigenza di acquisire rapidamente i risultati del monitoraggio rende poco utile, al riguardo, l’esame di parametri microbiologici, considerato che la determinazione analitica di eventuali microrganismi richiede tempi relativamente lunghi, nell’ordine perlomeno di alcuni giorni. Nella maggior parte dei casi viene quindi fatto ricorso a parametri chimici o fisici (temperatura, tempo, pH), che permettono misurazioni sistematiche, all'occorrenza continue, effettuabili nell’ambito della linea di produzione e quindi in grado di fornire risultati con particolare tempestività.

Esempi di parametri da sottoporre a controllo:

Tipo di alimento / Procedura

Parametri che potrebbero essere utilizzati quali indicatori

Alimenti trattati con il calore

Temperatura e tempo di trattamento

Alimenti refrigerati

Temperatura e tempo (durante le fasi di raffreddamento, conservazione e distribuzione)

Produzione conserve alimentari

Dosaggio ingredienti; Dosaggio additivi; pH; Temperatura

Ortofrutticoli in fase di lavaggio

Dosaggio del disinfettante e tempi di contatto

Alimenti acidificati, fermentati

pH

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A livello artigianale (quindi nei piccoli laboratori di gastronomia, di pasticceria, gelateria, nelle cucine dei ristoranti ecc.), realisticamente, il parametro assoggettabile ad attività di misurazione e controllo é, nella prevalenza assoluta dei casi, la temperatura, eventualmente associata al tempo (per quanto riguarda la sorveglianza dei processi di cottura / riscaldamento, raffreddamento, nonché per la conservazione dei prodotti in regime di temperatura controllata).

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3.2 DETERMINAZIONE DEI LIMITI CRITICI

Organicamente connessa all’individuazione dei parametri da utilizzarsi come indicatori (o “fattori critici”) della sicurezza del processo di lavorazione, è la determinazione dei relativi Limiti critici (denominati anche “standard di riferimento” ), cioè dei valori-limite – riferiti ai parametri citati - che permettono di distinguere, in corrispondenza di un CCP, una situazione di accettabilità da una d’inaccettabilità, e quindi di stabilire se il processo di lavorazione possa ritenersi sotto controllo. Detti Limiti critici, per definizione, devono essere sempre rispettati, pena la perdita di controllo del processo di lavorazione e, di conseguenza, il possibile manifestarsi di un pericolo. I limiti critici possono essere sommariamente distinti in quantitativi (cioè espressi con un valore numerico) e qualitativi (quando sono legati al cambiamento, o meno, di caratteri sensoriali). Esempi relativamente ordinari di limiti critici possono essere dati dai valori di temperatura e tempo che devono caratterizzare la fase di raffreddamento di un prodotto alimentare cotto da consumarsi freddo (come nel caso di un’insalata di riso, di un arrosto ecc.), oppure dai valori di temperatura che devono essere rispettati (quindi non superati) durante il trasporto di prodotti alimentari deperibili o, ancora, dai valori di temperatura che devono essere raggiunti durante la fase di cottura di un prodotto ecc. Per stabilire dei limiti critici è possibile fare riferimento a :

• norme o dispositivi di legge • letteratura scientifica (compresi i manuali di corretta prassi igienica)

• studi sperimentali condotti dall’azienda sui prodotti interessati o su prodotti analoghi • pareri di esperti

• ecc. E' opportuno considerare come il ricorso a studi sperimentali possa soprattutto riguardare processi di lavorazione complessi, perlopiù a carattere industriale, contraddistinti da formulazioni di prodotto e procedure innovative, rispetto ai quali potrebbe rivelarsi necessario acquisire dati e riscontri analitici di cui non sia disponibile una casistica soddisfacente e consolidata. Nel caso di piccole aziende artigianali (o comunque di entità e tipologia assimilabili) potrà essere sicuramente più agevole ricorrere alle indicazioni contenute - e già elaborate - nella letteratura tecnico-scientifica esistente in materia. La definizione dei limiti critici presuppone che il personale che ha il compito di predisporre il Piano di autocontrollo disponga di appropriate conoscenze circa gli effetti che i vari trattamenti possono avere nei confronti dei microrganismi. I limiti critici stabiliti per ogni CCP devono essere chiaramente definiti e riportati espressamente (quindi scritti) nel piano di autocontrollo aziendale, in modo che il personale incaricato di gestire le operazioni di monitoraggio non venga a trovarsi in situazioni operative poco chiare, con la possibilità cioè di una difficoltosa interpretazione dei dati.

Proprio in relazione a quanto detto, si ritiene che nel piano di autocontrollo aziendale non dovrebbero essere riportate, in quanto non ritenute accettabili, indicazioni del tipo : - “secondo valori di legge”; - "in base a capitolato interno"; - "rapporti temperatura / tempo adeguati" - "nel più breve tempo possibile" - Idonea concentrazione del disinfettante in uso" senza che siano indicati, in modo esplicito, i valori che si intendono effettivamente stabiliti.

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Al riguardo, si riporta, nella pagina seguente - Tab. n 6 - uno schema semplificato con indicazione di alcuni possibili limiti critici relativi ad una serie di fasi che potrebbero essere individuate quali CCP.

Al fine di verificare l’adeguatezza dei limiti critici stabiliti, e più in generale del piano di autocontrollo, non dovrebbe escludersi la possibilità, in alcuni casi, di ricorrere all’effettuazione di apposite analisi microbiologiche nei confronti di prodotti finiti o dei prodotti intermedi a livello di determinati CCP. E’ questa una delle circostanze in cui il ricorso alle indagini microbiologiche potrebbe risultare congruo anche in ambito HACCP, tenuto conto che le stesse non assumerebbero il significato di un’attività di monitoraggio, bensì quello di verifica che i limiti critici stabiliti sono effettivamente adeguati ad assicurare il controllo del processo di lavorazione e, di conseguenza, a garantire la sicurezza igienica del prodotto.

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FASE

LIMITI CRITICI

T durante il trasporto

T max alla consegna (����

55)

- formaggi, latticini, yogurt, burro 0 / 4 °C 14°C

- latte pastorizzato 0 / 4 °C 9 °C

- carni - 1 / + 7 °C 10°C

- pollame e conigli - 1 / + 4 °C 8 °C

- prodotti ittici freschi 0 / 4 °C 4°C

- congelati ≤ - 10 °C - 7 °C

- surgelati ≤ - 18 °C - 15 °C

- gelati alla frutta ≤ - 10 °C - 7 °C

- altri gelati ≤ - 15 °C - 12°C

- prodotti d’uovo ≤ 4 °C 4

RICEVIMENTO MATERIE PRIME

STOCCAGGIO PRODOTTI REFRIGERATI O CONGELATI (����

56)

- formaggi e latticini: 0 /+ 4°C - prodotti d’uovo: 0 /+ 4 °C - paste fresche: 0 / + 4 °C - carni: 0 /+ 2 °C - affettati: 0 / + 4°C - ortofrutticoli: +6 / +8 °C - verdure IV gamma: 0 / + 4°C - congelati / surgelati: - 18°C (- 21 °C / -15 °C)

STOCCAGGIO PRODOTTI NON REFRIGERATI O CONGELATI

- Assenza di umidità nei locali - Assenza di infestazioni - Prodotti entro i termini di scadenza

SCONGELAMENTO

- In frigorifero: T non > 4 °C - Sotto acqua corrente: T dell’acqua non > 21 °C - entro 2 h

COTTURA

Temperatura al cuore: - per i prodotti solidi: > 75 °C per 15” - per i prodotti liquidi: > 95 °C (raggiungimento dell’ebollizione)

CONSERVAZIONE A CALDO O A FREDDO

Temperature al cuore: - per la conservazione a caldo: T > 65 °C - per la conservazione a freddo: T< 4°C

RAFFREDDAMENTO

- Raffreddamento da + 65 a + 4 °C entro 3 h Oppure: - da 60 °C a + 21°C entro 2 h - da 21 °C a + 4 °C entro 4 h

RISCALDAMENTO

Temperatura al cuore: > 75 °C per 15”

CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI PRONTI

- Temperature prodotti caldi: > 65 °C - Temperatura prodotti freddi (temperatura prodotti cotti freddi, salumi, formaggi etc.): < 10 °C

(tempo di esposizione < 2 ore) - Temperatura yogurt, prodotti di gastronomia con copertura di gelatina animale: < 4 °C

����

55 I valori in questione sono previsti dalla normativa vigente relativamente all’ipotesi che il trasporto dei prodotti alimentari deperibili sia effettuato nel

contesto della cosiddetta “distribuzione frazionata” (consegna delle derrate a diversi esercizi con conseguente effettuazione di numerose operazioni di apertura delle porte del mezzo stesso). Limiti più restrittivi (nel caso, ad esempio, si ritenesse necessaria la sussistenza di vincoli d’inderogabile cautela igienica etc.) potrebbero comunque essere contemplati nelle specifiche tecniche di un piano di autocontrollo aziendale previa definizione, ovviamente, di specifici ed autonomi termini contrattuali tra acquirente e fornitore. ����

56 Come peraltro considerato anche al successivo Capitolo 4 “Monitoraggio” – relativamente allo stoccaggio dei prodotti refrigerati o congelati può

ritenersi ragionevolmente sufficiente verificare le temperature delle apparecchiature frigorifere in luogo di quelle dei singoli prodotti, purché sia assicurata, per gli stessi, il raggiungimento di una condizione di equilibrio termico con l’ambiente di conservazione ; al fine di favorire il conseguimento di tale condizione, è necessario, tra l’altro, che l’apparecchiatura frigorifera non sia resa impropriamente ingombra e che, al suo interno, non siano riposti prodotti ancora caldi o comunque non già adeguatamente raffreddati. In caso contrario dovrebbe essere fatto riferimento, necessariamente, alla temperatura dei prodotti conservati.

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58

MONITORAGGIO: viene definito come una sequenza programmata di osservazioni e/o misure necessarie ad accertare che i limiti critici, in corrispondenza dei CCP, siano rispettati, e pertanto il processo di lavorazione risulti effettivamente sotto controllo. Nell’ambito del metodo HACCP “monitorare” può essere quindi inteso nell’accezione di “appurare che il processo di lavorazione sia condotto nel rispetto dei limiti critici”. Il monitoraggio deve permettere d'individuare rapidamente qualsiasi deviazione dai limiti critici prefissati, in modo tale che, se necessario, il trattamento possa essere rapidamente corretto.

Teoricamente, risultano possibili diverse tipologie di monitoraggio che possono fare riferimento a:

• osservazioni visive

• valutazioni sensoriali

• rilevazioni di ordine fisico

• analisi chimiche

• esami microbiologici Come già considerato nel corso del capitolo precedente, gli esami microbiologici permettono di acquisire i risultati analitici soltanto dopo diversi giorni e, di conseguenza, nel caso di una deviazione dai limiti critici stabiliti, non consentono di adottare le necessarie azioni correttive con tempestività, quando il ciclo di lavorazione di un dato prodotto alimentare è ancora in corso. Le osservazioni visive e le valutazioni sensoriali comportano, per loro natura, un certo margine di soggettività nelle rilevazioni, non potendo essere suffragate dal riscontro di valori numerici. Queste metodologie possono essere plausibilmente contemplate qualora, in corrispondenza di un CCP sia prevista, ad esempio, la verifica dello stato delle confezioni o della merce in generale (integrità, data di scadenza o TMC, assenza di ruggine etc.), nelle fasi di ricevimento materie prime, ricevimento pasti trasportati etc. (dette rilevazioni, qualora la natura dell'alimento lo richieda, dovrebbero essere completate dalla verifica della temperatura del prodotto). Gli esami che meglio rispondono alle esigenze dell'autocontrollo, ed ai quali viene fatto in prevalenza riferimento, sono sicuramente quelli chimici e fisici.

4. MONITORAGGIO

Tutti i CCP individuati devono essere oggetto di monitoraggio (o comunque, rispetto a ciascun CCP il monitoraggio deve risultare rappresentativo di ogni preparazione), affinché possa essere garantito, e dimostrato, il controllo dei processi di lavorazione / distribuzione relativi a tutti i prodotti alimentari.

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Nel piano di autocontrollo aziendale dovrebbero essere sempre indicate le modalità con le quali condurre il monitoraggio : come, dove, quando eseguire le misurazioni, e chi deve procedere all’effettuazione delle stesse. Al riguardo, si sottolineano, con maggior dettaglio, alcuni aspetti cui occorrerebbe fosse dato debito riscontro: ���� Definizione delle metodiche con le quali operare il monitoraggio, in via preliminare

sommariamente riconducibili ad ispezioni visive e rilevazioni strumentali. Nel caso fossero previste delle osservazioni visive, queste dovrebbero essere condotte previa predisposizione di un protocollo interno, attraverso il quale occorrerebbe fossero stabiliti – ed esplicitamente riportati - tutti gli aspetti da esaminare nell’ambito della sorveglianza (ad esempio, considerando la fase di ricevimento materie prime non soggette a regime di temperatura controllata, dovrebbe risultare contemplato l’accertamento dello stato delle confezioni, della data di scadenza, della conformità dell’etichettatura ecc.). Qualora fossero invece previste delle rilevazioni strumentali, dovrebbe essere precisato il tipo di strumenti da utilizzare e di cui, ovviamente, si ha concreta disponibilità (ad esempio, termometri, a sonda, termometri connessi a data logger e ad eventuali sistemi di allarme, termoregistratori, pHmetri etc.). Dovrebbero quindi essere precisate le modalità di effettivo impiego degli strumenti.

���� Punto degli impianti, delle attrezzature o del prodotto alimentare (prodotto che potrebbe trovarsi in fase di stoccaggio, preparazione, distribuzione), in corrispondenza del quale effettuare le misurazioni. Al riguardo si ritiene utile considerare come le temperature degli alimenti soggetti a trattamenti termici di raffreddamento o di riscaldamento, dovrebbero, in linea generale, essere rilevate al “cuore o “centro geometrico” del prodotto, cioè nel punto che più difficilmente arriva ad essere raggiunto dagli effetti del trattamento termico applicato, scegliendo altresì, all’interno dell’apparecchiatura o dell’impianto, il prodotto che presenta maggiori dimensioni e, qualora ricorrano le condizioni per questo tipo di valutazione (ad es. utilizzo di forni di cottura provvisti di diversi livelli di carico, o di frigoriferi non dotati di ventilazione interna etc.), che si trova più distante dalla sorgente di calore o dal sistema di raffreddamento. Qualora la rilevazione delle temperatura venisse effettuata con termometro a sonda dovrebbero essere predisposte adeguate cautele affinché la sonda stessa non possa costituire veicolo di una nuova contaminazione. Pertanto, prima di essere trasferita, nel corso del suo utilizzo, da una preparazione all’altra, occorrerebbe che fosse adeguatamente pulita e sanificata mediante l'impiego d'idonee soluzioni detergenti e disinfettanti. Inoltre, pur partendo dall’assunto che, rispetto all’applicazione di procedure di controllo basate sul monitoraggio del parametro “temperatura”, o dei parametri “temperatura / tempo”, è necessario, in via di principio, sia fatto riferimento ai valori che caratterizzano specificatamente i singoli prodotti (�

57), per

quanto concerne gli alimenti conservati in condizioni di refrigerazione potrebbe ritenersi ragionevolmente sufficiente verificare la temperatura delle apparecchiature frigorifere in luogo di quelle dei prodotti, purché venisse assicurata, per gli stessi, il raggiungimento di una condizione di equilibrio termico con l’ambiente di conservazione. Al fine di favorire il conseguimento di tale condizione è necessario che l’apparecchiatura frigorifera non sia resa impropriamente ingombra (affinché risulti garantita, al suo interno, un’adeguata circolazione dell’aria), e che nella stessa non siano riposti prodotti ancora caldi o comunque non già adeguatamente raffreddati.

57 E’ bene ricordare ancora un volta che lo sviluppo microbico è influenzato non tanto dalla temperatura ambiente ma piuttosto

dalla reale temperatura del prodotto su cui i germi si trovano …” (Gianfranco TIECCO – L’autocontrollo nell’industria alimentare – 1^ edizione: settembre 2000 – CALDERINI Edagricole editore – pag.41).

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���� Quando effettuare misurazioni (orari, circostanza della fase produttiva etc.) e frequenza delle stesse (frequenza che dovrebbe essere opportunamente specificata se il monitoraggio non é continuo). E’ necessario, tra l’altro, che i risultati del monitoraggio siano riportati nel documento di registrazione non appena rilevati.

���� Personale incaricato e/ o responsabile del controllo Tutta la strumentazione utilizzata per il monitoraggio dovrebbe opportunamente possedere marchio CE, essere munita di certificazione di taratura e venire sottoposta, con frequenza pianificata, ad apposita calibratura. I risultati del monitoraggio dei CCP dovrebbero essere documentati attraverso registrazione su apposite Schede, nelle quali occorrerebbe fossero chiaramente indicati :

• fase alla quale si riferisce il monitoraggio • tipo di prodotto • data ed orario (quando utile e fornire delle informazioni significative rispetto all’attività di controllo) di

effettuazione del monitoraggio

• valori rilevati (secondo le modalità riportate nelle procedure operative)

• eventuali misure correttive adottate (o apposito rimando ad altra parte del piano di autocontrollo ove, per ragioni di spazio, l’indicazione di dette misure possa essere riportata con maggiore chiarezza e dettaglio).

• addetto che effettuato il monitoraggio Come noto, uno degli elementi salienti che caratterizzano il metodo HACCP concerne la “dimostrabilità”, (�

58) ovvero il compito, da parte degli operatori del settore alimentare, di dimostrare di aver predisposto un

impianto procedurale basato sui principi del metodo, nonché di dare riscontro dell’attività di controllo eseguita in applicazione di quanto debitamente previsto. Le procedure di monitoraggio hanno dunque la funzione di : - accertare che un CCP risulti, o meno, sotto controllo (in modo da permettere, se necessario, l’adozione

di apposite misure correttive) ; - consentire, attraverso la registrazione dei dati, di predisporre la documentazione necessaria a

dimostrare l’effettiva applicazione delle procedure di controllo. - evidenziare l’andamento del processo di lavorazione e la tendenza ad eventuali perdite di controllo

(affinché, in fase di revisione del piano, possano essere adottate le modifiche necessarie) ;

58 Regolamento (CE) 852/2004 del PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 29.4.2004 sull’igiene dei prodotti

alimentari – art. 5 - “Analisi dei pericoli e punti critici di controllo” – - paragrafo 1) : “Gli operatori del settore alimentare predispongono, attuano e mantengono una o più procedure permanenti basate

sui principi del sistema HACCP” - paragrafo 4): “Gli operatori del settore alimentare :

a) dimostrano all’autorità competente che essi rispettano il paragrafo 1” - ecc.

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Sulla scorta di quanto appena considerato si evidenzia come in tutte le Schede di registrazione che contemplano il monitoraggio dei valori di temperatura (rispetto a qualsiasi fase individuata quale CCP) devono essere riportati i valori numerici effettivamente rilevati, e non termini generici quali “SI” e “NO”, “OK”, “Va bene” ecc., né apposti di segni di conferma in corrispondenza di riquadri già predisposti o, ancora, citato in modo predefinito il rispetto di tabelle cui sia fatto ulteriore rimando. (����

59)

In un’apposita sezione delle presenti linee guida - APPENDICE C - si allegano alcuni esempi di schede di registrazione riguardanti il monitoraggio di una serie di fasi da individuarsi, presumibilmente, quali CCP. Se i risultati sono registrati in continuo o su base cartacea o informatica, tali strumenti potrebbero fungere da schede riportandovi le eventuali indicazioni mancanti.

59 Questa considerazione trova chiara ed autorevole conferma in diverse linee guida elaborate dalla Regione Piemonte. Si citano,

ad esempio le “Linee guida per la ristorazione collettiva scolastica – luglio 2002 - Regione Piemonte – Assessorato alla Sanità – Direzione Sanità Pubblica)” ove, al capitolo 5.3.2.4. – Principio 4 – Definizione di un sistema di monitoraggio per ogni CCP – viene infatti sottolineato che “…il monitoraggio deve essere documentato, produce registrazioni che potranno essere usate nella verifica … Quando il limite critico indica valori esatti, ad esempio una temperatura che deve essere raggiunta, l’addetto al monitoraggio deve annotare il valore esatto e non termini generici come SI / NO”.

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62

Nel caso in cui i risultati del monitoraggio operato a livello di qualsiasi CCP portino ad evidenziare delle deviazioni (����

60) dai limiti critici stabiliti (in altre parole venga riscontrata una “non conformità”), è

necessario sia messa in atto un’Azione correttiva, pronta ed immediata, in modo da riportare il processo di lavorazione sotto controllo ed evitare che prodotti alimentari preparati o conservati in circostanze considerate non sicure da un punto di vista igienico giungano al consumatore. AZIONI CORRETTIVE: azioni da intraprendere nel corso del ciclo di lavorazione e distribuzione degli alimenti allorché si verifichi una deviazione dai limiti critici, cioè dai valori entro i quali il CCP è sotto controllo. Le azioni correttive, pertanto, devono permettere di : ���� ricondurre il processo di lavorazione, in corrispondenza di un CCP, sotto controllo, reintegrando

le condizioni operative ritenute idonee (ad esempio ripristinando, se necessario, la funzionalità d’impianti ed attrezzature, ristabilendo le corrette temperature dei frigoriferi o degli apparecchi scaldavivande ecc.);

���� assicurare che prodotti preparati o conservati in condizioni di non conformità – quando cioè un

dato CCP sia risultato fuori controllo – non possano essere immessi, quanto meno come tali, nel circuito commerciale / distributivo (�

61)

Gli alimenti prodotti in tali circostanze, a seconda dei casi (quindi in ragione del tipo di alimento, del pericolo oggetto di controllo, del flusso produttivo, delle peculiarità operative e gestionali dell’azienda - o dell’esercizio), potrebbero :

• essere eliminati / scartati ; tale soluzione appare scontata ed inevitabile quando, in seguito al mancato rispetto dei limiti critici stabiliti, arrivi a delinearsi l’insorgenza di un pericolo igienico-sanitario non diversamente gestibile.

Un esempio può essere dato, al riguardo, dalla permanenza, per un periodo di tempo eccessivamente lungo, di un prodotto alimentare deteriorabile nell’intervallo di temperatura pericoloso, con possibilità di uno sviluppo di eventuali microrganismi patogeni - o di prodotti del metabolismo microbico (tossine) - non più eliminabili attraverso trattamenti successivi (poiché non previsti o tecnicamente non attuabili o inefficaci qualora il pericolo possa essere rappresentato da microrganismi sporigeni, da tossine termostabili ecc.);

• essere sottoposti ad un nuovo trattamento o rielaborati. E’ necessario, ovviamente, che tale soluzione non possa, in alcun modo, determinare un incremento del rischio per la sicurezza del consumatore.

Un esempio molto semplice e comune, al riguardo, può essere dato dalle fasi di cottura, riscaldamento, pastorizzazione ecc. (quando individuate come CCP), rispetto alle quali, il mancato

����

60 da intendersi nel significato di "variazione inaccettabile" o "perdita di controllo"

61 “L’azione correttiva prevista nella metodologia HACCP comprende sia le azioni necessarie a correggere il processo, al fine di

mantenere il controllo dello stesso che quelle da attuare nei confronti dell’alimento prodotto mentre il CCP era fuori controllo. Secondo la terminologia ISO si distinguono le due attività rispettivamente come “azioni correttive” le prime e come “trattamento del prodotto non conforme” le seconde. In altri termini le norme ISO … definiscono come “trattamento del prodotto non conforme” quelle attività messe in atto per dare una destinazione alternativa del prodotto risultato non conforme (rilavorazione, declassamento, distruzione)” D.SPOALOR, S. TRAMONTIN, A.MAIELLO – “L’HACCP attraverso la sua terminologia” in PULIZIA INDUSTRIALE E SANIFICAZIONE – Speciale Igiene Alimenti – 1998 – Dossier - pag. 19.

5. AZIONI CORRETTIVE

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raggiungimento dei valori di temperatura prescritti, ha come logico e scontato intervento correttivo, la prosecuzione suppletiva del trattamento termico applicato. Altri casi potrebbero prevedere l’accantonamento, in via transitoria, dell’alimento, per operarne una successiva bonifica (ad esempio, procedendo ad un riconfezionamento del prodotto e ad un nuovo trattamento di pastorizzazione / cottura ecc.) ; appare evidente come tali soluzioni possano verosimilmente essere prese in considerazione da parte di aziende di dimensioni rilevanti (perlopiù con produzioni di tipo industriale) ferma restando, in ogni caso, a prescindere dagli aspetti tecnologici, l’esigenza di giustificare, da un punto di vista igienico-sanitario, l’efficacia dei trattamenti emendativi sul prodotto alimentare.

• essere destinati ad un uso diverso da quello previsto ; detta soluzione deve essere debitamente ponderata poiché, come considerato al punto precedente, è indispensabile che attraverso la stessa non possa in alcun modo derivare un incremento del rischio per la sicurezza del consumatore. Nell’ambito di questo tipo di provvedimenti potrebbero ricondursi l’assegnazione dei prodotti ad impiego non alimentare, oppure la riduzione del periodo di conservazione degli alimenti interessati.

Si citano, a scopo del tutto esemplificativo, alcuni tipi di possibili azioni correttive: - rifiuto di un prodotto alimentare e sua restituzione al fornitore - innalzamento – o abbassamento - della temperatura (a seconda della fase operativa) - abbassamento del pH - variazione della composizione degli ingredienti - eliminazione di prodotti scaduti, alterati ecc. - netta riduzione del periodo di conservazione (stabilito o previsto) di un prodotto (ad es. provvedendo al

suo immediato utilizzo) - blocco della produzione, campionamento del prodotto ed eventuale sua commercializzazione soltanto

dopo esito analitico favorevole - ecc. Le azioni correttive devono essere specifiche per ogni CCP; inoltre, devono essere descritte con chiarezza e precisione in modo da risultare, all’occorrenza, applicabili senza incertezze da parte del personale incaricato di darne attuazione. Al fine di facilitarne l'individuazione, le azioni correttive da attuarsi in caso di non conformità potrebbero essere segnalate anche nelle rispettive Schede predisposte per la registrazione dei risultati del monitoraggio dei vari CCP. E’ opportuno sottolineare come tale indicazione dovrebbe comunque avere carattere accessorio e rappresentare perlopiù un compendio delle modalità comportamentali previste e delle istruzioni operative rese al personale addetto. In ogni caso, le azioni correttive di cui si prevede l’adozione, devono essere definite e riportate, con adeguato dettaglio, nelle parti descrittive del piano di autocontrollo aziendale.

Gli operatori non dovrebbero mai trovarsi nella condizione di dover interpretare, estemporaneamente, i risultati del monitoraggio, oppure di dover improvvisare i provvedimenti da adottarsi in caso di deviazione dai limiti critici.

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64

Si citano, a titolo esemplificativo, alcune indicazioni che, nel piano di autocontrollo aziendale, dovrebbero essere evitate, in quanto non ritenute esaurienti: • "Ripristino d'idonee condizioni di temperatura e tempi" (senza che sia stabilita una calibratura

dell'intervento in funzione dell'entità e della durata dello scostamento rispetto ai valori limite stabiliti);

• "Nel caso in cui la merce sia rimasta per lungo tempo a temperatura non idonea ….." (senza che siano indicati i valori di temperatura ritenuti non idonei);

• "Eliminazione dei prodotti non conformi" (senza che siano espressamente indicate le condizioni di non conformità);

• "In caso di irregolarità poco significative il prodotto può essere utilizzato ma deve essere segnalata l'irregolarità su apposito modulo" (senza siano indicate quali irregolarità debbano ritenersi poco significative);

• "Formazione del personale" o "Revisione del menu" (interventi di questo tipo non consentono un puntuale ripristino delle condizioni indispensabili a garantire il controllo del processo nel corso di una produzione,in modo da permettere che solo prodotti sicuri raggiungano il consumatore, bensì possono riguardare le procedure di revisione del piano di autocontrollo aziendale);

• "Verifiche merce" o "Verifica impianto" (idem - come sopra)

Nella pagina seguente si riporta uno schema - Tab. n. 7 - con indicazione di alcuni esempi di azioni correttive che potrebbero essere riportate in corrispondenza di alcune fasi da individuarsi, presumibilmente, quali CCP.

Nell’ambito del piano delle Azioni correttive occorrerebbe fossero indicati:

• il responsabile dell’esecuzione delle azioni correttive da intraprendersi in caso di deviazione dai limiti critici (frequentemente, la figura individuata, per semplicità organizzativa, coincide con l’addetto al monitoraggio dei CCP);

• modalità procedurali con le quali condurre gli interventi correttivi; • provvedimenti cautelativi da attuare nei confronti dei prodotti alimentari elaborati o conservati

allorché il CCP sia risultato fuori controllo;

• modalità di registrazione delle azioni correttive effettivamente adottate rispetto alle situazioni di non conformità riscontrate. Nei documenti di registrazione dovrebbero essere annotati il CCP in corrispondenza del quale si è verificato il mancato rispetto dei limiti critici, la data (comprensiva, se utile per ragioni di chiarezza, dell’indicazione dell’ora), i dati del monitoraggio che delineano la non conformità, l’azione correttiva intrapresa, la firma dell’addetto che ha effettuato le verifiche e gli interventi,

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65

FASE

ESEMPIO DI AZIONI CORRETTIVE

RICEVIMENTO MATERIE PRIME

• Respingere la merce non conforme (o segregarla in attesa di restituzione).

STOCCAGGIO A TEMPERATURA CONTROLLATA DI PRODOTTI REFRIGERATI

O CONGELATI / SURGELATI (����

62)

���� Scartare i prodotti se scadutI ���� Scartare i prodotti se inadatti al consumo umano (����

63)

���� In caso d’interruzione della catena del freddo - qualora siano presenti dispositivi di

rilevazione in grado di stabilire il tempo di deviazione dai limiti critici stabiliti :

• Ripristinare corretto funzionamento apparecchiature frigorifere

Inoltre

• Per prodotti conservati a T positive:

- se T è compresa tra 4°C e 10°C per meno di 2 ore: ripristinare la temperatura idonea trasferendo, all'occorrenza, i prodotti in altra apparecchiatura frigorifera appositamente individuata, rispettando norme di corretta prassi igienica (da definirsi in un'apposita sezione del manuale di autocontrollo aziendale)

- se T è compresa tra 4°C e 10°C per più di 2 ore - o se T > 10°C per meno di 2 ore : abbreviare

decisamente la vita commerciale dell’alimento, utilizzandolo in giornata (����64

) nell’ambito di preparazioni (comunque contemplate dal Piano di autocontrollo aziendale) che prevedano una cottura finale del prodotto (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l’attività produttiva della Ditta).

- se T > 10 °C per più di 2 ore : eliminare cautelativamente i prodotti

Per prodotti conservati a T negative:

- se T è compresa tra - 18°C e - 10°C per meno di 2 ore - ripristinare la temperatura idonea

trasferendo, all'occorrenza, i prodotti in altra apparecchiatura frigorifera appositamente individuata, rispettando norme di corretta prassi igienica (da definirsi in un'apposita sezione del manuale di autocontrollo aziendale)

- se T è compresa tra - 18°C e - 10°C per più di 2 ore : abbreviare decisamente la vita

commerciale dei prodotti, completando lo scongelamento, preparando e somministrando gli alimenti entro 48 h (qualora tale soluzione risulti compatibile con l'attività produttiva della ditta)

- se T è compresa tra - 10°C e 4°C per meno di 24 ore : procedere alla preparazione immediata

degli alimenti e alla relativa somministrazione (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l'attività produttiva della ditta)

- se T è compresa tra - 10°C e 4°C per più di 24 ore - o se T > 4°C: eliminare cautelativamente i

prodotti

segue ����

62 N.B. Rispetto al controllo della temperatura, queste Azioni correttive possono intendersi rifribili perlopiù ad attività di Ristorazione, a Laboratori di

preparazioni gastronomiche etc. (in relazione alle quali è possibile ipotizzare un utilizzo residuale dei prodotti interessati - seppur entro vincoli rigidamente definiti ed attraverso procedure debitamente documentate), in modo da trattare i prodotti come se l’innalzamento termico cui risultano soggetti fosse stato determinato volontariamente al fine di un loro impiego programmato. Per quanto concerne le attività di vendita occorre invece prevedere il costante rispetto dei valori di temperatura indicati in etichetta, o stabiliti, in termini espressi, dalla legislazione vigente.

63 “Per determinare se un alimento sia inadatto al consumo umano, occorre prendere in considerazione se l’alimento sia inaccettabile per il consumo

secondo l’uso previsto, in seguito a contaminazione dovuta a materiale estraneo o ad altri motivi, o in seguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione.” - Regolamento (CE )n. 178 / 2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28.01.2002 art. 14 – punto 5. �

64 Nell’ambito delle 24 h deve ritenersi compreso tutto il periodo di presunto scostamento dai Limiti critici stabiliti.

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66

���� segue

STOCCAGGIO A TEMPERATURA CONTROLLATA DI PRODOTTI REFRIGERATI

O CONGELATI / SURGELATI

���� In caso d’interruzione della catena del freddo - qualora non siano presenti dispositivi di

rilevazione (registratori di temperatura in continuo) in grado di stabilire il tempo di deviazione dai limiti critici stabiliti :

• Ripristinare corretto funzionamento apparecchiature frigorifere

Inoltre

• Per prodotti conservati a T positive: - se T è compresa tra 4°C e 10°C (considerato che in base alla frequenza del monitoraggio, da

definirsi in modo appropriato, dovrebbe esservi stata un’antecedente situazione d’idoneità - rilevata e debitamente registrata – riferita a non più di 8 – 12 ore prima) : abbreviare decisamente la vita commerciale dell’alimento, utilizzandolo in giornata nell’ambito di preparazioni (comunque contemplate dal Piano di autocontrollo aziendale) che prevedano una cottura finale del prodotto (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l’attività produttiva della Ditta).

- se T > 10 °C : cautelativamente eliminare i prodotti

• Per prodotti conservati a T negative: - se T è compresa tra - 18°C e - 15°C (considerato che in base alla frequenza del monitoraggio, da

definirsi in modo appropriato, dovrebbe esservi stata un’antecedente situazione d’idoneità - rilevata e debitamente registrata – riferita a non più di 8 – 12 ore prima) : ripristinare immediatamente la temperatura idonea trasferendo, all’occorrenza, i prodotti in altra apparecchiatura frigorifera appositamente individuata rispettando norme di corretta prassi igienica (da definirsi in un’apposita sezione del piano di autocontrollo).

- se T è compresa tra - 15°C e 4°C : (considerato che in base alla frequenza del monitoraggio, da

definirsi in modo appropriato, dovrebbe esservi stata un’antecedente situazione d’idoneità - rilevata e debitamente registrata – riferita a non più di 8 – 12 ore prima) : completare lo scongelamento utilizzando i prodotti in giornata nell’ambito di preparazioni (comunque contemplate dal Piano di autocontrollo aziendale) che prevedano una cottura finale del prodotto (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l’attività produttiva della Ditta).

- se T > 4 °C : eliminare cautelativamente i prodotti.

STOCCAGGIO PRODOTTI NON REFRIGERATI O CONGELATI

• Scartare i prodotti: - scaduti - che presentano alterazioni visibili - in presenza d’infestazioni

SCONGELAMENTO

• Scartare i prodotti se dopo le procedure di scongelamento: - Risultano a temperatura ≥ (uguale o maggiore) 4°C per più di 2 ore - Risultano scongelati (a temperatura ancorché < 4°C) da più di 24 ore - Nel caso di scongelamento in acqua corrente, se il tempo di scongelamento è > 2 ore - Non sono state seguite le procedure previste nel Piano di autocontrollo aziendale.

COTTURA

• Se la T si discosta da quella indicata nei limiti critici, prolungare il trattamento termico fino al suo raggiungimento

RAFFREDDAMENTO

• Scartare i prodotti se:

- il raffreddamento da + 65 °C a + 4 °C è avvenuto in più di 2-3 ore ; oppure: - il raffreddamento da + 60 °C a + 21 °C è avvenuto in più di 2 ore - il raffreddamento da + 21 °C a + 4 °C è avvenuto in più di 4 ore - la temperatura del prodotto alla fine del trattamento è > 4 °C

CONSERVAZIONE A CALDO

• Ripristinare corretto funzionamento apparecchiature utilizzate per il mantenimento al caldo

Inoltre:

• Scartare i prodotti se: - la temperatura è < a 65 °C da 2 ore o più. - sono conservati da più di 4 ore

CONSERVAZIONE A FREDDO

• Ripristinare coretto funzionamento apparecchiature frigorifere.

• Scartare i prodotti se la temperatura risulta compresa nell’intervallo tra 21 °C e 4 °C da 2 ore o più.

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Lo scopo delle procedure di Verifica è sostanzialmente quello di accertare il corretto ed efficace funzionamento del piano di autocontrollo aziendale così come predisposto. In particolare dovrebbe essere verificato: - che le operazioni e le procedure descritte nel piano corrispondano a quelle effettivamente svolte nella

realtà produttiva. - che i criteri stabiliti (parametri da utilizzarsi come indicatori e relativi limiti critici), la frequenza del

monitoraggio e le azioni correttive, siano tali da garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti finiti. Le procedure di verifica potrebbero comprendere: - l'aggiornamento della documentazione - l'esame dei valori registrati sulle apposite schede, in modo da valutare complessivamente i risultati del

monitoraggio, apportando le necessarie modifiche ai processi tecnologici qualora si riscontrasse, con frequenza inaccettabile, il superamento dei limiti critici oppure una tendenza alla perdita di controllo delle lavorazioni.

- il prelievo di campioni di prodotti alimentari a livello dei vari CCP, o di tamponi ambientali in

corrispondenza di superfici destinate a venire a contatto con gli alimenti (piani di lavoro, attrezzature, impianti ecc.), al fine di acquisire la conferma analitica del rispetto degli standard igienici stabiliti ; in tale contesto le analisi di laboratorio trovano giustificazione anche in ambito HACCP, tenuto conto che le stesse non assumono, nella fattispecie, la funzione di un’attività di monitoraggio da effettuarsi con continuità allo scopo di controllare un CCP, bensì, giustappunto, quella di un’attività di verifica, da operarsi con cadenza periodica e programmata allo scopo di confermare che le procedure stabilite sono valide ed efficaci e quindi in grado di garantire, da un punto di vista igienico, l’ottenimento di un prodotto finito sicuro.

- la taratura della strumentazione di monitoraggio Il piano di autocontrollo dovrebbe inoltre essere rivisto in caso variassero i prodotti oggetto di preparazione oppure si apportassero delle modifiche alle fasi lavorative. E' ovvio che la verifica e la revisione del piano, analogamente a quanto previsto per la stesura dello stesso, devono essere affidate a personale tecnicamente qualificato, in possesso delle competenze necessarie.

6. VERIFICA DEL PIANO DI AUTOCONTROLLO AZIENDALE

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Rispetto a quello che dovrebbe essere il contenuto del piano di autocontrollo aziendale occorre tenere conto delle indicazioni riportate ai punti precedenti; si rimanda, per una traccia schematica degli elementi ritenuti necessari, a quanto riportato nella pagina seguente. E' quanto mai opportuno che la documentazione che costituisce il piano sia raccolta in modo ordinato, secondo una logica che ne permetta un'adeguata rintracciabilità ed una facile consultazione. E' inoltre necessario che siano adeguatamente archiviate le schede di registrazione riportanti i dati del monitoraggio dei CCP, nonché la documentazione attinente le eventuali azioni correttive intraprese. Detta documentazione rappresenta il mezzo attraverso il quale l'azienda può dimostrare la corretta gestione dei processi di lavorazione nonché uno degli strumenti delle procedure di verifica del piano di autocontrollo aziendale; pertanto dovrebbe essere conservata per un periodo di tempo adeguatamente lungo.

7. GESTIONE DELLA DOCUMENTAZIONE RIGUARDANTE IL PIANO DI AUTOCONTROLLO AZIENDALE

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CONTENUTO DI UN PIANO DI AUTOCONTROLLO - Elenco sinottico di dati ed argomenti che dovrebbero entrare a far parte di un Piano di autocontrollo. 1) Anagrafica dell’azienda – indicativamente riportante: • Ragione sociale della ditta (o industria) - Indirizzo - Indicazione del Legale rappresentante.

• Autorizzazione sanitaria – con estremi di riferimento (data, autorità che l’ha rilasciata, titolare, contenuto ecc.)

• Tipo di attività (ad es. ristorazione pubblica, ristorazione collettiva, pastificio, panificio, pasticceria, gelateria, gastronomia, vendita al dettaglio, distribuzione all’ingrosso ecc.)

• Alimenti prodotti / distribuiti (ad es. pasti completi, pasti crudi, generi di pasticceria, di gelateria,, gastronomia etc.)

• Tecnica di produzione (ad es. convenzionale “in loco”- oppure in differita: legame caldo-freddo ecc.)

• Volume produttivo: numero di piatti / pasti prodotti al giorno (nel caso trattasi di attività di ristorazione, articolare le informazioni indicando il numero di pasti prodotti a pranzo, a cena etc.)

• Tipo di utenza

• Tipo di gestione (ad es. diretta o indiretta nel caso in cui sia affidata in appalto a ditta esterna)

• Responsabile dell’autocontrollo (nominativo, generalità, qualifica) 2) Risorse umane (nominativi del personale, qualifiche, mansioni), 3) Pianta planimetrica dell’azienda indicante la disposizione di locali, impianti ed attrezzature. 4) Identificazione dei locali e loro descrizione ponderata (����

65), con particolare riguardo alla

sussistenza di misure rivolte alla salvaguardia igienica dei prodotti alimentari in fase di stoccaggio / lavorazione / distribuzione / vendita ; si citano ad esempio : presenza di locali distinti e separati per le diverse lavorazioni e per le attività complementari; caratteristiche (disposizione, dimensione, altezza, aerazione) dei vari locali: depositi materie prime, laboratori di produzione, preparazione e confezionamento, vano per il lavaggio di pentole e stoviglie, vano per il deposito di sostanze non alimentari (prodotti per la pulizia etc.), eventuali vani per la somministrazione / vendita, servizi igienici e spogliatoi per il personale, eventuali servizi igienici per il pubblico – Presupposti per realizzare la cosiddetta “marcia in avanti”.

5) Identificazione delle strutture e loro descrizione ponderata, con particolare riguardo alla

sussistenza di misure di salvaguardia igienica ; caratteristiche dei pavimenti (impermeabili, lavabili e disinfettabili, antiscivolo, con pendenza verso tombini di scarico), delle pareti (rivestite con materiali lavabili e disinfettabili, con angoli e raccordi preferibilmente a sagoma curva), di soffitti, finestre, porte, sistemi d’illuminazione e di aerazione.

6) Identificazione d’impianti ed apparecchiature e loro descrizione ponderata (loro caratteristiche,

collocazione, previsioni d'impiego). 7) Modalità di approvvigionamento idrico.

Se necessario, descrizione ponderata di tutti gli elementi utili a dimostrare l’idoneità igienica del sistema di approvvigionamento disponibile.

8) Procedure generali d’igiene : Standard comportamentali previsti - ed effettivamente da applicarsi -

nell’ambito delle procedure operative e dell’attività svolta. 9) Procedure specifiche di lavorazione (definite nei tempi e nei modi) e le norme igieniche da attuarsi.

����

65 La ricognizione di locali, impianti ed attrezzature debitamente formalizzata (attraverso schede d’identificazione etc.), costituisce

un fattore di particolare rilevanza rispetto allo sviluppo di un piano di autocontrollo aziendale, in quanto essenziale a porre in risalto la sussistenza – o meno – di eventuali criticità progettuali (e quindi l’applicabilità di determinate norme di buona prassi igienica, come, ad esempio, il rispetto del principio della “marcia in avanti” etc.), nonché a definire una serie di elementi prodromici ad una corretta predisposizione e applicazione di numerose procedure (identificazione, attraverso una mappatura quanto più possibilmente chiara e schematica, di aree, ambienti, strutture, impianti cui fare riferimento rispetto a Procedure di controllo preoperativo, di pulizia e sanificazione, di manutenzione, di controllo d’insetti e roditori), alla redazione di diagrammi di flusso etc.,

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10) Applicazione dei principi fondamentali del sistema HACCP: - Descrizione dei prodotti alimentari oggetto di preparazione e commercializzazione. - Diagrammi di flusso/fabbricazione con indicazione di tutte le fasi del processo produttivo ed analisi

dettagliata di ciascuna di esse. - Individuazione dei pericoli - Criteri per l’identificazione dei CCP ed indicazione dei CCP individuati - Individuazione dei parametri da utilizzarsi come indicatori e dei relativi limiti critici. - Modalità di conduzione del monitoraggio dei CCP (come, dove, quando monitorare) - Definizione delle azioni correttive - Procedure di verifica riguardanti l’adeguatezza del piano HACCP - Gestione della documentazione riguardante la predisposizione e l'applicazione del sistema HACCP

(ad es. Schede di registrazione relative al monitoraggio dei CCP, Schede di registrazione delle non conformità, Dichiarazione dei fornitori selezionati, Schede tecniche dei prodotti, Perizie analitiche relative ad indagini di laboratorio effettuate per valutare l’efficacia del piano di autocontrollo ).

- Procedura per il controllo preoperativo - Procedura di selezione e verifica fornitori - Procedura di pulizia e disinfezione - Procedura per il controllo di animali infestanti (insetti, roditori etc.) - Procedura di manutenzione di locali ed attrezzature Inoltre, sarebbe utile che il piano di autocontrollo contenesse anche: - Procedura per il controllo della potabilità dell’acqua - Procedura per il controllo dei corpi estranei - Procedura per la rintracciabilità del prodotto - Procedura per lo smaltimento dei rifiuti - Procedura per la gestione delle divise - Procedura di taratura degli strumenti utilizzati per le misurazioni (ad esempio: termometri,

termoregistratori etc.) - qualora sia prevista internamente. - Procedura di validazione del piano di autocontrollo

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I valori numerici riportati alla voce "Limiti critici" (quando non espressamente derivati da specifiche disposizioni normative) e gli interventi prospettati alla voce "Azioni correttive", hanno carattere orientativo; i dati che li caratterizzano sono tratti da alcuni testi indicati in bibliografia ai numeri (4), (7), (8), (9), (11) o da un'elaborazione di questi. Le "Azioni correttive" (ed i "Limiti critici quando non stabiliti da norme di legge) potranno essere autonomamente definite tenendo conto delle peculiarità delle singole realtà indicando, in ogni caso, in modo espresso (quindi scritto) i presupposti (legali, bibliografici, scientifici etc.) cui si è fatto riferimento per la loro determinazione. Per le temperature di trasporto delle materie prime deperibili si è fatto riferimento a quelle indicate dal D.P.R. 26.03.1980 n.327 riguardante il trasporto mediante distribuzione frazionata.

APPENDICE A

ESEMPI DI SCHEDE RIGUARDANTI

ALCUNE FASI DA INDIVIDUARSI,

PRESUMIBILMENTE, QUALI CCP

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CCP

SI

NATURA DEL PERICOLO

• Contaminazione all’origine del prodotto (contaminazione primaria - con particolare riguardo agli alimenti che potrebbero provenire da fonti non sicure) per possibile presenza di patogeni, spore, virus, tossine, contaminanti chimici (es. prodotti fitosanitari) e corpi estranei.

• Sviluppo dei microrganismi (per temperature di trasporto inadeguate, interruzione della catena del freddo, tempi di scarico troppo lunghi)

• Insudiciamento del prodotto (contaminazione secondaria determinata da scarsa igiene del mezzo di trasporto e / o dei contenitori)

RIFERIMENTI DI LEGGE

- Art. 5 – lettere b) e d) – Legge 283/62 - Normative specifiche di settore

AZIONI DI CONTROLLO

- Scelta accurata dei fornitori - Eventuale certificazione dei produttori - Formazione del personale

MONITORAGGIO

Verificare: - Adeguatezza mezzo di trasporto (condizioni igieniche, assenza di promiscuità tra prodotti di

diversa tipologia ed igienicamente incompatibili etc.) - Temperatura dei prodotti deperibili. (�

66)

- Stato delle confezioni (integrità, assenza di corpi estranei etc.) - Etichettatura (completezza, T.M.C. e scadenza nella norma etc.) - Caratteristiche organolettiche - Eventuali altri parametri peculiari in funzione della tipologia dell’alimento (Vedansi Manuali di

corretta prassi igienica). - Lotti di produzione e corrispondenza con documento commerciale

- Adeguatezza delle condizioni generali di pulizia del mezzo di trasporto - Idonee condizioni delle confezioni - Data di scadenza - o T.M.C. – conformi. - Corretta etichettatura dei prodotto confezionati - Tempi di sosta: < 20’ per i prodotti deperibili.

TEMPERATURE DI ALCUNI PRODOTTI DEPERIBILI

T durante il trasporto T max alla consegna (�67

)

- formaggi latticini, yogurt, burro 0 / 4 °C 14 °C

- latte pastorizzato 0 / 4 °C 9 °C

- carni - 1 / + 7 °C 10 °C

- pollame e conigli -1 / + 4 °C 8 °C

- prodotti ittici freschi 0 / 4 °C 4 °C

- congelati ≤ - 10 °C - 7 °C

- surgelati ≤ - 18 °C - 15 °C

- gelati alla frutta ≤ - 10 °C - 7 °C

- altri gelati ≤ - 15 °C - 12 °C

LIMITI CRITICI

- prodotti d’uovo ≤ 4 °C 4 °C

FREQUENZA

- Ogni fornitura

AZIONI CORRETTIVE

- Respingere la merce non conforme ai requisiti stabiliti o segregarla in attesa di restituzione .

REGISTRAZIONE DATI

- Vedansi Schede di registrazione

����

66 MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA : la misurazione della temperatura delle derrate alimentari dovrebbe essere

opportunamente effettuata quando queste si trovano ancora sul mezzo di trasporto. Qualora venissero utilizzati termometri "a sonda", si potrebbe procedere aprendo uno o più imballaggi (in modo che le misurazioni risultino adeguatamente rappresentative della partita in esame), inserendo la sonda del termometro tra le confezioni fino a garantire un adeguato contatto con l’elemento sensibile dello strumento di misura ; è necessario quindi attendere che il valore di temperatura segnalato dallo strumento arrivi a stabilizzarsi.

����

67 I valori in questione sono previsti dalla normativa vigente relativamente all’ipotesi che il trasporto dei prodotti alimentari deperibili sia

effettuato nel contesto della cosiddetta “distribuzione frazionata” (consegna delle derrate a diversi esercizi con conseguente effettuazione di numerose operazioni di apertura delle porte del mezzo stesso). Limiti più restrittivi (qualora, ad esempio, si ritenesse necessaria la sussistenza di vincoli d’inderogabile cautela igienica etc.) potrebbero comunque essere contemplati nelle specifiche tecniche di un piano di autocontrollo aziendale previa definizione, ovviamente, di specifici ed autonomi termini contrattuali tra acquirente e fornitore.

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CCP

SI

NATURA DEL PERICOLO

- Microbiologico. Sviluppo dei microrganismi causa permanenza eccessiva del prodotto a T non

adeguata. - Eventuale contaminazione da cose o persone.

RIFERIMENTI DI LEGGE

- D.Lg.svo 155/97 – Allegato – Capitolo IX – punti 2 e 4. - Art. 5 – lettere b) – d) - Legge 283/62.

AZIONI DI CONTROLLO

- Verifica periodica delle attrezzature - Corretta gestione delle apparecchiature frigorifere (non sovraccarico delle stesse, idonea

separazione delle derrate, riduzione apertura porte etc.) - Formazione del personale

MONITORAGGIO (����68

)

- Per apparecchiature frigorifere dotate di termometri propri (con elemento sensibile posto a

rilevare la temperatura dell’aria interna dell’apparecchiatura) si verificano i valori misurati attraverso la lettura degli indicatori esterni (display elettronico, quadrante analogico) ad orari prestabiliti della giornata.

- Per apparecchiature frigorifere provviste di termometri propri connessi a registratori di temperatura in continuo (registratori grafici – data logger) si verifica l’andamento termico.

- Negli altri casi, s’introduce un termometro istantaneo all’interno dell’apparecchiatura frigorifera rilevando la temperatura ad orari prestabiliti della giornata.

LIMITI CRITICI

- formaggi e latticini: 0 /+ 4°C - prodotti d’uovo: 0 /+ 4 °C - paste fresche: 0 / + 4 °C - carni: 0 /+ 2 °C - affettati: 0 / + 4°C - ortofrutticoli: +6 / +8 °C - verdure IV gamma: 0 / + 4°C - congelati / surgelati: - 18°C (- 21 °C / -15 °C)

AZIONI CORRETTIVE (����69

)

���� Scartare i prodotti se scadutI ���� Scartare i prodotti se inadatti al consumo umano (����

70)

���� In caso d’interruzione della catena del freddo - qualora siano presenti dispositivi di

rilevazione in grado di stabilire il tempo di deviazione dai limiti critici stabiliti :

• Ripristinare corretto funzionamento apparecchiature frigorifere

Inoltre

• Per prodotti conservati a T positive:

- se T compresa tra 4°C e 10°C per meno di 2 ore: ripristinare la temperatura idonea trasferendo, all'occorrenza, i prodotti in altra apparecchiatura frigorifera appositamente individuata, rispettando norme di corretta prassi igienica (da definirsi in un'apposita sezione del manuale di autocontrollo aziendale)

segue ����

����

68 Si richiama, per chiarezza, il testo della Nota 53, con la quale è stato affrontato lo stesso aspetto : “ … relativamente allo stoccaggio dei

prodotti refrigerati o congelati può ritenersi ragionevolmente sufficiente verificare le temperature delle apparecchiature frigorifere in luogo di quelle dei singoli prodotti, purché sia assicurata, per gli stessi, il raggiungimento di una condizione di equilibrio termico con l’ambiente di conservazione ; al fine di favorire il conseguimento di tale condizione, è necessario, tra l’altro, che l’apparecchiatura frigorifera non sia resa impropriamente ingombra e che, al suo interno, non siano riposti prodotti ancora caldi o comunque non già adeguatamente raffreddati. In caso contrario dovrebbe essere fatto riferimento, necessariamente, alla temperatura dei prodotti conservati. ����

69 N.B. Rispetto al controllo della temperatura, queste Azioni correttive possono intendersi riferibili perlopiù ad attività di Ristorazione, a Laboratori di

preparazioni gastronomiche etc. (in relazione alle quali è possibile ipotizzare un utilizzo residuale dei prodotti interessati - seppur entro vincoli rigidamente definiti ed attraverso procedure debitamente documentate), in modo da trattare i prodotti come se l’innalzamento termico cui risultano soggetti fosse stato determinato volontariamente al fine di un loro impiego programmato. Per quanto concerne le attività di vendita occorre invece prevedere il costante rispetto dei valori di temperatura indicati in etichetta, o stabiliti, in termini espressi, dalla legislazione vigente.

����

70 “Per determinare se un alimento sia inadatto al consumo umano, occorre prendere in considerazione se l’alimento sia inaccettabile per il consumo

secondo l’uso previsto, in seguito a contaminazione dovuta a materiale estraneo o ad altri motivi, o in seguito a putrefazione, deterioramento o decomposizione.” - Regolamento (CE )n. 178 / 2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28.01.2002 art. 14 – punto 5.

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���� segue

AZIONI CORRETTIVE

- se T compresa tra 4 °C e 10°C per più di 2 ore o se T > 10 °C per meno di 2 ore : abbreviare decisamente la vita commerciale dell’alimento, utilizzandolo in giornata (����

71) nell’ambito

di preparazioni (comunque contemplate dal Piano di autocontrollo aziendale) che prevedano una cottura finale del prodotto (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l’attività produttiva della Ditta).

- se T > 10 °C per più di 2 ore : eliminare cautelativamente i prodotti

• Per prodotti conservati a T negative: - se T compresa tra - 18°C e - 10°C per meno di 2 ore - ripristinare la temperatura idonea

trasferendo, all'occorrenza, i prodotti in altra apparecchiatura frigorifera appositamente individuata, rispettando norme di corretta prassi igienica (da definirsi in un'apposita sezione del manuale di autocontrollo aziendale)

- se T compresa tra - 18°C e -10°C per più di 2 ore : abbreviare decisamente la vita

commerciale dei prodotti, completando lo scongelamento, preparando e somministrando gli alimenti entro 48 h (qualora tale soluzione risulti compatibile con l'attività produttiva della ditta)

- se T compresa tra - 10°C e 4°C per meno di 24 ore : procedere alla preparazione immediata

degli alimenti e alla relativa somministrazione (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l'attività produttiva della ditta)

- se T compresa tra - 10°C e 4°C per più di 24 ore - o se T > 4°C: eliminare cautelativamente

i prodotti ���� In caso d’interruzione della catena del freddo - qualora non siano presenti dispositivi di

rilevazione (registratori di temperatura in continuo) in grado di stabilire il tempo di deviazione dai limiti critici stabiliti :

• Ripristinare corretto funzionamento apparecchiature frigorifere

Inoltre:

• Per prodotti conservati a T positive: - se T compresa tra 4°C e 10°C (considerato che in base alla frequenza del monitoraggio, da

definirsi in modo appropriato, dovrebbe esservi stata un’antecedente situazione d’idoneità - rilevata e debitamente registrata – riferita a non più di 8 – 12 ore prima) : abbreviare decisamente la vita commerciale dell’alimento, utilizzandolo in giornata nell’ambito di preparazioni (comunque contemplate dal Piano di autocontrollo aziendale) che prevedano una cottura finale del prodotto (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l’attività produttiva della Ditta).

- se T > 10 °C : cautelativamente eliminare i prodotti

• Per prodotti conservati a T negative: - se T è compresa tra - 18°C e - 15°C (considerato che in base alla frequenza del monitoraggio,

da definirsi in modo appropriato, dovrebbe esservi stata un’antecedente situazione d’idoneità - rilevata e debitamente registrata – riferita a non più di 8 – 12 ore prima) : ripristinare immediatamente la temperatura idonea trasferendo, all’occorrenza, i prodotti in altra apparecchiatura frigorifera appositamente individuata rispettando norme di corretta prassi igienica (da definirsi in un’apposita sezione del piano di autocontrollo).

- se T è compresa tra – 15°C e 4°C : (considerato che in base alla frequenza del monitoraggio,

da definirsi in modo appropriato, dovrebbe esservi stata un’antecedente situazione d’idoneità - rilevata e debitamente registrata – riferita a non più di 8 – 12 ore prima) : completare lo scongelamento utilizzando i prodotti in giornata nell’ambito di preparazioni (comunque contemplate dal Piano di autocontrollo aziendale) che prevedano una cottura finale del prodotto (qualora, ovviamente, tale soluzione risulti compatibile con l’attività produttiva della Ditta).

- se T > 4 °C : eliminare cautelativamente i prodotti.

REGISTRAZIONE DATI

- Vedansi schede di registrazione (occorre registrare temperatura ed ora) o grafici stampati.

����

71 Nell’ambito delle 24 h deve ritenersi compreso tutto il periodo di presunto scostamento dai Limiti critici stabiliti

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CCP

SI

Occorre considerare, al riguardo, le modalità con le quali si ritiene di condurre la fase, la pezzatura del prodotto, la

sussistenza di una successiva fase di cottura etc.

NATURA DEL PERICOLO

- Microbiologico. Sopravvivenza dei microrganismi in caso di cottura insufficiente

dovuta ad uno scongelamento incompleto. Sviluppo dei microrganismi in caso di scongelamento condotto a temperatura ambiente.

- Eventuale contaminazione da cose o persone.

RIFERIMENTI DI LEGGE

- Art. 5 – lettera b) – Legge 283/62

AZIONI DI CONTROLLO

- In frigorifero: a temperatura non > 4°C – con adeguato anticipo (almeno 24 h) a

seconda delle pezzature. Impiego d’idonei recipienti provvisti di griglia, e spazio sottostante, per la raccolta dei liquidi di scongelamento. Una volta scongelato, il prodotto non deve essere ricongelato e deve essere cotto entro 24 ore.

- In acqua corrente: utilizzare acqua potabile con temperatura non superiore a 21

°C, osservando che il processo non duri più di 2 ore (metodo sconsigliato per cibi di grossa pezzatura). E’ necessario siano osservate nome di buona prassi igienica per quanto riguarda l’individuazione dell’impianto presso il quale condurre le operazioni, evitando scrupolosamente qualsiasi possibilità di contaminazione del prodotto.

- In forno a microonde: ammesso per prodotti di piccola pezzatura.

I cibi scongelati con questo sistema devono essere sottoposti immediatamente a cottura per completare il trattamento termico (cottura convenzionale o in forno a microonde; in questo caso incrementare di qualche grado la temperatura finale di cottura).

- N.B. Se trattasi di verdure o di prodotti di pezzatura particolarmente ridotta (a titolo del tutto indicativo : < 1 Kg.) si può ricorrere alla cottura diretta : è necessario, in ogni caso, venga assicurato, nella successiva fase di cottura, il raggiungimento, in tutte le parti del prodotto, quindi anche in quelle più interne (cioè più difficilmente raggiungibili dagli effetti del trattamento termico applicato), il Limite critico di 75 °C per 15”.

MONITORAGGIO

- Misurare la temperatura del prodotto (mediante l’impiego di termometro

adeguatamente calibrato e disinfettato) ed il tempo di scongelamento.

FREQUENZA

- Ogni preparazione.

LIMITI CRITICI

• In frigorifero a temperatura non > 4°C

• Sotto acqua corrente: con temperatura dell’acqua non > 21°C entro 2 h

AZIONI CORRETTIVE

Scartare il prodotto se: - Non sono state seguite le procedure previste

- Risulta a temperatura ≥≥≥≥ (uguale o maggiore) 4°C per più di 2 ore - Risulta scongelato (a temperature comunque < 4°C) da più di 24 ore - Nel caso di scongelamento in acqua corrente, se il tempo di scongelamento è > 2

ore.

REGISTRAZIONE DATI

- Vedasi scheda di registrazione (occorre registrare temperatura ed ora iniziali,

temperatura ed ora finali)

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CCP

SI

NATURA DEL PERICOLO

- Microbiologico. Sopravvivenza dei microrganismi patogeni per

inadeguato trattamento termico.�72

- Spore - e tossine termoresistenti - resistono comunque al

trattamento.

RIFERIMENTI DI LEGGE

(eventuali)

AZIONI DI CONTROLLO

- Raggiungimento delle temperature prescritte.

MONITORAGGIO

- Misurare la temperatura al cuore del prodotto mediante l’utilizzo di

un termometro a sonda (opportunamente calibrato e disinfettato)

LIMITI CRITICI

- T 75 °C per 15”

FREQUENZA

- Ogni preparazione

AZIONI CORRETTIVE

- Se la temperatura non ha raggiunto – al cuore del prodotto – i

valori stabiliti, proseguire con il trattamento fino al loro conseguimento.

.

REGISTRAZIONE DATI

- Riportate i valori rilevati su apposite schede di registrazione.

����

72 Deve ritenersi fatto riferimento ai trattamenti termici condotti nelle cucine delle attività di ristorazione, nei laboratori di preparazione

di prodotti gastronomici etc.

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CCP

SI

NATURA DEL PERICOLO

- Microbiologico. Sviluppo dei microrganismi causa permanenza

eccessiva del prodotto a T non adeguata. - Eventuale contaminazione da cose o persone.

RIFERIMENTI DI LEGGE

- D.Lg.svo 155/97 – Allegato – capitolo IX – punto 5. - Manuali di corretta prassi igienica.

AZIONI DI CONTROLLO

- Raffreddare rapidamente il prodotto mediante l’impiego di

abbattitore termico o, in alternativa, utilizzo di un bagno di ghiaccio (servendosi, in questo caso, di contenitori poco profondi e prevedendo una ridotta pezzatura del prodotto : a titolo indicativo < 8-10 cm.).

MONITORAGGIO

- Misurare la temperatura del prodotto (mediante l’impiego di

termometro adeguatamente calibrato e disinfettato) ed il tempo di raffreddamento

FREQUENZA

- Ogni preparazione.

LIMITI CRITICI

- Raffreddare il prodotto entro 3 ore da 60 °C a 4 °C

oppure - da 60 °C a 21 °C entro 2 ore - da 21 °C a 4 °C entro successive 4 ore

AZIONI CORRETTIVE

Scartare il prodotto se: - il raffreddamento da 60 a 4°C è avvenuto in più di 3 ore.

oppure - il raffreddamento da 60 °C a 21 °C è avvenuto in più di 2 ore - il raffreddamento da 21 °C a 4 °C è avvenuto in più di 4 ore - la temperatura dell’alimento a fine raffreddamento è > 4 °C.

REGISTRAZIONE DATI

- Vedasi scheda di registrazione (occorre registrare temperatura ed

ora iniziali, temperatura ed ora finali).

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CCP

SI

NATURA DEL PERICOLO

- Microbiologico. Sviluppo dei microrganismi causa permanenza eccessiva del

prodotto a T non adeguata. - Eventuale contaminazione da cose o persone.

RIFERIMENTI DI LEGGE

- D.Lg.svo 155/97 – Allegato – capitolo IX – punto 4. - D.P.R 327/80 – art.31 - Legge 283/62 - art. 5 - lettere b) e d).

AZIONI DI CONTROLLO

- Verifiche periodiche delle attrezzature - Formazione personale

MONITORAGGIO

- Misurare la temperatura dei prodotti (mediante l’impiego di termometro

adeguatamente calibrato e disinfettato).

FREQUENZA

- Ogni preparazione.

LIMITI CRITICI -

• Prodotti freddi: - Alimenti deperibili con copertura o farciti con panna e crema a base di uova e

latte (crema pasticcera), yogurt nei vari tipo, bibite a base di latte non

sterilizzato, prodotti di gastronomia con copertura di gelatina alimentare: T ≤≤≤≤ 4°C

- Alimenti deperibili cotti da consumarsi freddi (arrosti, roast-beef etc.) :T ≤≤≤≤ 10°C (in questo caso con tempi di esposizione < 2 ore). Più opportunamente T< 4 °C.

• Piatti caldi: T > 60 °C.

AZIONI CORRETTIVE

• Ripristinare corretto funzionamento apparecchiature

Inoltre

- Riportare il prodotto velocemente a temperatura idonea se la durata dello scostamento dalla temperatura indicata nei limiti critici (comunque non < 50 °C per i piatti caldi e non > 10 °C per quelli freddi) è < alle 2 ore.

Scartare il prodotto se: - Piatti freddi : 4°C < T < 10 °C da 2 ore o più o se T > 10 °C - Piatti caldi: 50 °C < T < 60 °C da 2 ore o più o se T < 50 °C

REGISTRAZIONE DATI

- Vedasi scheda di registrazione

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79

PROCEDURA: si intende un documento che elenca scopo, campo di applicazione, responsabilità del personale coinvolto, autorità del personale coinvolto, che cosa deve essere fatto, quali informazioni servono e quali devono essere fornite, quale documentazione utilizza e fornisce, attività di monitoraggio e registrazione, azioni correttive, attività di verifica. (Regione Piemonte – Assessorato alla Sanità – Divisione Sanità Pubblica – “Linee guida per la valutazione dei piani di autocontrollo predisposti dalle industrie alimentari” – pag. 39).

APPENDICE B

CENNI AD ALCUNE PROCEDURE OPERATIVE

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80

1. PROCEDURE DI CONTROLLO PREOPERATIVO

Queste procedure hanno lo scopo di determinare le modalità necessarie ad assicurare che l'attività sia svolta, fin dall'inizio, in condizioni igienico-sanitarie adeguate. Per definizione, i controlli stabiliti dovrebbero essere effettuati prima che inizino le lavorazioni. Al riguardo, il responsabile appositamente individuato (responsabile della produzione, direttore, cuoco responsabile, addetto alle procedure di controllo preoperativo) dovrebbe effettuare una ricognizione dei punti salienti, opportunamente determinati, riguardanti l'attività produttiva, registrando l'esito delle verifiche (quindi dandone atto) su apposite schede documentali. I punti da individuarsi dipendono, ovviamente, dalle caratteristiche della struttura e dal tipo di attività svolta. Alcuni aspetti che dovrebbero comunque essere presi in considerazione, riguardano: - Verifica delle condizioni igieniche di locali, impianti ed attrezzature (con particolare riferimento a

piani di lavoro e superfici destinate a venire a contatto con gli alimenti). I controlli dovrebbero comunque interessare tutti i locali, compresi i servizi igienici e gli spogliatoi ; in tale ambito, tra l'altro, dovrebbe essere accertato che i lavelli siano regolarmente dotati di sapone liquido ed asciugamani a perdere.

- Verifica del funzionamento degli impianti come, ad esempio, l'impianto elettrico, il sistema

d'illuminazione, il sistema di aspirazione vapori ed altri sistemi di aerazione forzata eventualmente installati.

- Verifica di regolare funzionamento delle apparecchiature come frigoriferi, abbattitori termici,

apparecchi di cottura etc. Per quanto guarda le apparecchiature frigorifere, queste verifiche si innestano in quelle di monitoraggio delle temperature relative alla fase di stoccaggio delle materie prime soggette a regime di temperatura controllata.

- Verifica del personale Nell'ambito di tali controlli dovrebbe essere accertato che il personale indossi idonei abiti da lavoro (sopraveste di colore chiaro, copricapo che contenga la capigliatura, idonee calzature) e che siano disponibili, qualora appositamente stabilito nel piano di autocontrollo aziendale, guanti monouso, mascherine etc. ; inoltre, il personale non dovrebbe portare, durante la lavorazione, anelli, orecchini, spille, fermagli, braccialetti etc. Il personale non dovrebbe altresì essere affetto da malattie contagiose trasmissibili per via “oro-fecale” (per es. salmonellosi), o anche da piccole patologie come ferite cutanee, escoriazioni, foruncoli, paterecci, quasi sempre serbatoi di microrganismi patogeni che potrebbero facilmente determinare la contaminazione dei prodotti alimentari (�

73).

Gli esiti dei controlli preoperativi dovrebbero essere documentati attraverso compilazione di apposite liste di controllo (check-list), oppure, in alternativa, di schede di registrazione nelle quali occorrerebbe venisse dato riscontro, di volta in volta, dell’avvenuta verifica degli aspetti di ordine igienico, funzionale (funzionamento impianti, apparecchiature etc.) e comportamentale (igiene ed abbigliamento del personale) contemplati dalla procedura. In questa seconda ipotesi sarebbe necessario che le schede di registrazione fossero legate, per ragioni di chiarezza, ad un apposito protocollo operativo (da riportarsi nel documento di autocontrollo aziendale) nel quale dovrebbero essere contenute esaurienti indicazioni rispetto alle modalità con cui condurre le verifiche ed ai risultati attesi. All’atto dell’avvenuta registrazione, le verifiche, così come contemplate dal protocollo operativo, dovrebbero quindi ritenersi completamente esperite.

����

73 Tali situazioni non pregiudicano di per sé la presenza sul lavoro dell'operatore, ma vanno giudicate caso per caso dal sanitario di

riferimento, che potrà disporre l'allontanamento o l'adozione di provvedimenti che consentano il mantenimento in servizio dell'addetto

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81

2. PROCEDURE DI SELEZIONE E VERIFICA FORNITORI

Queste procedure hanno l’obiettivo di definire le modalità necessarie ad assicurare che tutte le materie prime che entrano a far parte del successivo ciclo produttivo o distributivo dell'azienda siano rispondenti a determinati requisiti (igienici, organolettici, legali), appositamente definiti e pianificati, tenuto conto che la mancanza o la carenza di tali requisiti potrebbe compromettere inaccettabilmente la sicurezza igienica degli alimenti nel corso delle fasi successive. (����

74)

In via preliminare sarebbe opportuno venissero definiti, da parte dell'azienda, i requisiti dei prodotti oggetto di approvvigionamento, anche attraverso la predisposizione, all'occorrenza, di schede tecniche o merceologiche, oppure di un capitolato d'acquisto o d'appalto. Si citano, di seguito, alcuni dei parametri che potrebbero essere presi in considerazione per definire i requisiti da ritenersi necessari.

• Stato fisico ed eventuali tecniche di conservazione applicate ai prodotti (prodotti freschi, congelati / surgelati, confezionati sotto vuoto o in atmosfera modificata etc.). A titolo del tutto esemplificativo si menzionano i casi della carne (che potrebbe essere acquistata refrigerata, congelata / surgelata, sottovuoto etc.), delle uova (fresche, pastorizzate etc.), delle verdure (fresche, surgelate, IV gamma etc).

• Caratteristiche merceologiche Anche in questo caso, a titolo esemplificativo si citano i casi delle carni bovine e suine, per le quali potrebbero essere stabiliti, tra l'altro, lo stadio di crescita degli animali di provenienza (ad es. vitello, bovino adulto etc.), i tagli anatomici etc., quello delle uova fresche in guscio, per le quali potrebbero essere indicate, la categoria qualitativa, la categoria di peso, quello del pane, rispetto al quale potrebbero essere definiti il tipo (comune, speciale, integrale - precisandone i relativi ingredienti), etc.

• Requisiti igienici ed organolettici generali Questi aspetti riguardano sia le caratteristiche igieniche generali (per le quali dovrebbero necessariamente essere contemplate l'assenza di alterazioni microbiche e fungine, l'integrità delle confezioni, l'assenza di corpi estranei etc.) che le specifiche caratteristiche microbiologiche (con eventuale definizione dei limiti di contaminazione microbica). In relazione agli aspetti chimici, ad esempio, per quanto concerne le carni dovrebbe essere prevista l'assenza di sostanze ad attività anabolizzante, per quanto concerne gli ortofrutticoli l'assenza - o comunque la presenza contenuta entro i limiti di legge - di residui di prodotti fitosanitari etc. Rispetto a tali requisiti occorre fare sostanzialmente riferimento a quanto stabilito dalla normativa vigente, salvo i casi in cui si ritenga necessario stabilire degli indici di contaminazione microbiologica - o degli standard - più restrittivi, integrando i limiti di legge.

• Eventuali caratteristiche peculiari derivanti da livelli qualitativi autonomamente stabiliti o fissati da clausole di capitolati d'appalto. Ad esempio, carni di animali nati, allevati e macellati in Italia, prodotti provenienti da produzione biologiche, prodotti DOP. prodotti IGP, assenza di OGM, limiti di particolari additivi etc. Inoltre potrebbe essere stabilito che i prodotti consegnati debbano avere un dato margine minimo di conservabilità residua (rispetto al TMC o alla data di scadenza riportati in etichetta) in modo da permettere una determinata gestione degli stessi durante la fase di stoccaggio.

• Pezzatura, tipo d'imballaggio, di confezione o d'involucri protettivi impiegati. Un esempio può essere rappresentato dall'approvvigionamento del pane (riguardante, in particolare, le attività di ristorazione) in relazione al quale occorrerebbe fosse stabilito che il trasporto del prodotto debba avvenire mediante l'impiego di sistemi atti a salvaguardarne le condizioni igieniche (sacchi di carta da chiudersi, pellicole o sacchetti di nylon, recipienti di plastica provvisti di coperchio - con esclusione delle ceste forate ed aperte); per quanto concerne i prodotti confezionati, potrebbero essere oggetto di valutazione la scelta del tipo di recipienti (di vetro, a banda stagnata etc.), la pezzatura delle confezioni etc.

����

74 (come accennato nella Nota a corredo della Tab.4, le caratteristiche igieniche delle materie prime possono incidere in modo determinante sulla qualità del prodotto finito).

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La scelta dei fornitori dovrebbe pertanto avvenire secondo criteri opportunamente predeterminati, da individuarsi in funzione dell'oggettiva realtà aziendale. Al riguardo, potrebbero essere presi in considerazione:

• Criteri di ordine qualitativo. Dovrebbe essere cura dell'azienda accertare che i prodotti provengano:

- da stabilimenti di produzione regolarmente autorizzati; - in possesso del Bollo CEE - se previsto; - presso i quali sia applicato, in relazione all'attività svolta, un sistema di autocontrollo basato sui principi

del metodo HACCP.

La sussistenza dei requisiti appena citati potrebbe essere verificata da parte dell'azienda attraverso l'acquisizione di un’esauriente documentazione prodotta dal fornitore, oppure per mezzo di un'autocertificazione rilasciata da questi. Sempre in relazione a tali criteri potrebbe essere definito dall'azienda un programma di campionamento dei prodotti oggetto di approvvigionamento.

• Criteri di sevizio. Nell'ambito di questi criteri sarebbe opportuno fosse verificata l'idoneità dei mezzi impiegati per il trasporto, i quali dovrebbero assicurare il rispetto di condizioni igieniche adeguate. Tra i requisiti che occorrerebbe fossero presi in considerazione, vi è, prioritariamente, quello dell'esistenza di apposita autorizzazione al trasporto di sostanze alimentari, se specificatamente prevista da disposizioni legislative. Dovrebbe essere quindi accertatala la sussistenza di dotazioni in grado di garantire, per i prodotti trasportati, il rispetto dei parametri stabiliti da norme regolamentari (temperature di refrigerazione) oppure da precetti igienici di carattere generale (ad esempio, vano di carico in materiale facilmente lavabile e disinfettabile, possibilmente coibentato etc.); dovrebbe risultare tassativamente esclusa la possibilità di trasportare promiscuamente prodotti non compatibili da un punto di vista igienico.

- Dovrebbero essere formalizzati gli orari (ed eventualmente la frequenza) di consegna delle derrate

alimentari, in modo tale che, alle relative operazioni, sia sicuramente presente il personale addetto al controllo per effettuare i necessari accertamenti (�

75) fin dal momento dello scarico delle derrate o

dell'introduzione delle stesse nello stabilimento (����76

). Risulta quanto mai opportuno evitare che il personale dell’impresa alimentare, qualora addetto a mansioni plurime (situazione ricorrente, con estrema frequenza, nel caso di piccole imprese artigianali), per procedere agli accertamenti di cui si è appena detto, debba abbandonare, pur temporaneamente, altre funzioni operative di valenza igienica perlomeno analoga (come, ad esempio, le attività di preparazione, manipolazione, cottura etc. dei prodotti alimentari) con possibilità di perdita di controllo delle lavorazioni.

• criteri inerenti l'eventuale l'affidabilità storica dei fornitori, maturata attraverso un rapporto commerciale consolidato nel tempo.

����

75 (rispetto a: temperatura delle derrate alimentari deperibili, corretta etichettatura, data di scadenza, condizioni degli imballi e delle

confezioni, adeguatezza delle condizioni del mezzo di trasporto, compilazione di schede / moduli ricevimento merci) ����

76 E' poi necessario che la sistemazione delle derrate alimentari oggetto di approvvigionamento nei locali deposito e, per quanto

riguarda i prodotti deperibili, all'interno delle apparecchiature frigorifere, avvenga quanto più rapidamente possibile. La permanenza degli alimenti potenzialmente pericolosi in condizioni di temperatura non adeguate potrebbe compromettere la salubrità del prodotto e determinare uno sviluppo batterico pericoloso.

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Sulla scorta dei criteri scelti e delle verifiche effettuate, la Ditta dovrebbe predisporre un elenco dei propri fornitori; per le aziende di maggiori dimensioni potrebbe poi essere stabilita una graduatoria dei fornitori attraverso l'attribuzione, a ciascuno di essi, di un apposito punteggio formulato sulla base del grado di rispondenza ai criteri assunti per la selezione. In funzione dei riscontri conseguenti alle verifiche operate rispetto ai prodotti oggetti di approvvigionamento (controlli dunque sistematici – da effettuarsi ad ogni consegna – circa la rispondenza ai requisiti stabiliti) potrebbero essere articolati, in caso di non conformità, una serie di provvedimenti nei confronti dei fornitori, quali, ad esempio: diffida, sospensione e/o revoca del contratto ecc. L'elenco dei fornitori deve essere sempre adeguatamente aggiornato. L'aggiornamento consegue alle procedure di verifica del sistema indicate al capitolo 6.

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3. PROCEDURE DI PULIZIA E DISINFEZIONE Queste procedure hanno l'obiettivo di descrivere le misure ritenute necessarie ad assicurare che i locali utilizzati per la preparazione - e la detenzione - dei prodotti alimentari (con riferimento a loro pavimenti, pareti, soffitti, porte, finestre etc.), nonché impianti, attrezzature ed utensili, siano mantenuti in condizioni igieniche adeguate al fine di evitare la possibile contaminazione dei prodotti stessi.(����

77)

Al riguardo è opportuno riportare, preliminarmente, la definizione di alcuni concetti basilari in relazione ai quali dovrebbero essere sviluppate le procedure in questione. PULIZIA: con questo termine si intende, genericamente, l'allontanamento dello sporco da una qualsiasi superficie. Il concetto di pulizia è sinonimo di detersione (o "detergenza") I prodotti che vengono utilizzati per attuare la pulizia vengono chiamati detergenti. DISINFEZIONE: è un processo attuato con agenti chimici (soluzioni disinfettanti) o fisici (calore, raggi U.V.), che permette l'eliminazione di tutti i microrganismi patogeni (tuttavia non di tutte le forme di resistenza come, talvolta, nel caso delle endospore) e la drastica riduzione dei restanti microrganismi sulle superfici da trattare. SANIFICAZIONE: può essere definita come l'attuazione - simultanea o in momenti distinti - della pulizia e della disinfezione. Si tratta, dunque, di un'operazione che ha lo scopo di eliminare dalle superfici i residui di lavorazione, distruggere i microrganismi patogeni e provocare una drastica riduzione dei restanti microrganismi. I prodotti che vengono utilizzati per attuare la sanificazione in un unico momento vengono chiamati sanificanti. La formazione di una superficie contaminante può essere ricondotta ad alcuni passi essenziali: - Adesione dello sporco alle superfici.

Il materiale depositato, in ragione della propria natura, tende ad aderire alle superfici secondo meccanismi (di tipo chimico-fisico) diversi ; in particolare, in presenza di fonti di calore si possono avere: caramellizzazione degli zuccheri, polimerizzazione dei grassi, denaturazione e coagulazione delle proteine.

- Adesione dei microrganismi alle superfici.

I microrganismi si depositano sullo sporco, aderendo ad esso attraverso meccanismi di adsorbimento (����

78) (meccanismo reversibile che si realizza nell'arco di qualche secondo), poi di fissazione

(meccanismo irreversibile che può durare fino a 6-8 ore, dovuto alla produzione di polisaccaridi da parte dei batteri, con formazione di una sorta di pellicola o biofilm).(����

79)

Sul substrato così formato i microrganismi trovano condizioni favorevoli ad una propria moltiplicazione attiva (colonizzazione), acquisendo altresì una resistenza ai disinfettanti 150 - 200 volte superiore alla condizione normale (�

80)

- Direzione del flusso migratorio dei batteri.

La contaminazione delle superfici segue il principio dell'azione di massa, dalle zone più sporche a quelle più pulite ; quando la concentrazione dei microrganismi presenti sulle superfici è maggiore di quella dei prodotti, il flusso batterico andrà dalle superfici ai prodotti in transito.

����

77 Il D.Lg.svo 26.05.1997 n.155 nell' Allegato - al Capitolo I - Requisiti generali per i locali - prescrive:

"1. I locali devono essere tenuti puliti, sottoposti a manutenzione e tenuti in buone condizioni. 2. Lo schema, la progettazione, la costruzione e le dimensioni dei locali nei quali si trovano i prodotti alimentari devono: a) consentire un'adeguata pulizia o disinfezione; etc.

����

78 Adsorbimento: fissazione di sostanze fluide alla superficie di un corpo generalmente solido.

����

79 La maggior adesione è riscontrabile su superfici idrofile, quali il legno, il teflon, il polipropilene, mentre la minore adesione è

rilevabile su superfici metalliche e ancor meno su superfici idrofobe quali il vetro.

����

80 E' di fondamentale importanza eseguire la sanificazione prima che si realizzi la fase di fissazione (quindi al termine di ogni

utilizzo di superfici / materiali da trattare o, in ogni caso, entro 6-8 ore dal loro impiego), evitando lo sviluppo dei microrganismi e l'aumento della loro resistenza conseguenti alla fase di colonizzazione.

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Un'efficace disinfezione presuppone sempre una pulitura a fondo. Lo sporco, infatti, può proteggere i microrganismi dall'azione dei disinfettanti e, in alcuni casi, annullarne l'efficacia. Le norme generali di buona prassi igienica per l'effettuazione delle operazioni di pulizia e disinfezione prevedono: - smontaggio delle diverse parti - se trattasi di attrezzature e macchinari. - pulizia meccanica o manuale (mediante l’impiego di spazzole, raschietti, spugne, panni sintetici etc.) -

e lavaggio con acqua - delle superfici da trattare, in modo da rimuovere i residui grossolani (sfridi, frammenti etc.)

- impiego di una soluzione detergente - risciacquo con abbondante quantità d'acqua. - impiego di una soluzione disinfettante - risciacquo con abbondante quantità d'acqua (in modo da eliminare ogni traccia di disinfettante) - asciugatura all'aria o con materiale sicuramente pulito (carta a perdere etc.)

I prodotti utilizzati per le operazioni di pulizia e disinfezione dovrebbero essere conservati in locali diversi da quelli adibiti alla detenzione o alla lavorazione dei prodotti alimentari (oppure all'interno di appositi armadietti in caso si tratti di quantitativi ridotti, relativi ad utilizzi frequenti e limitati) in modo da evitare il contatto accidentale con gli alimenti. Sempre al fine di evitare pericolosi incidenti, i prodotti non dovrebbero mai essere travasati, per nessuna ragione, in contenitori per alimenti o in recipienti che non siano contraddistinti da un'etichetta che consenta d'identificarne il contenuto in modo chiaro ed inequivocabile. Il lavaggio di materiale ed attrezzi utilizzati per le operazioni di pulizia dovrebbe auspicabilmente avvenire presso lavelli appositamente dedicati, con esclusione, in ogni caso, dei lavelli destinati alla lavorazione degli alimenti.

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86

3.1 GENERALITA' SUL PROCESSO DI PULIZIA. Come già accennato in precedenza, l'obiettivo di un processo di pulizia (o detergenza) dovrebbe essere quello di: - asportare dalla superficie lo sporco visibile, e con esso una buona parte dei microrganismi presenti; - rendere le superfici otticamente pulite, realizzando le condizioni necessarie affinché le successive

operazioni di disinfezione possano risultare efficaci; Le operazioni di pulizia devono essere condotte mediante l'impiego di prodotti detergenti (����

81), che hanno

la funzione - in estrema sintesi - di diminuire la tensione superficiale dell'acqua esaltando le possibilità di rimuovere lo sporco adeso alle superfici. La scelta dei detergenti risulta conseguente al tipo di sporco da trattare. Lo sporco si può suddividere in due grandi categorie: - quello di tipo organico (residui di carni, uova, pesce, zuccheri, latte, colonie di lieviti etc.) ����

82

- quello di tipo inorganico (depositi calcarei, incrostazioni della lavastoviglie etc.) ����83

Quando i residui che si debbono asportare sono di tipo organico (è il caso che interessa, con maggiore frequenza, i laboratori di preparazione sostanze alimentari) vengono utilizzati, generalmente, detergenti alcalini. I detergenti acidi sono invece impiegati per rimuovere residui di tipo inorganico. Secondo le definizioni costantemente riportate dalla letteratura di riferimento, una superficie viene detta otticamente pulita quando: - non è unta al tatto - non emana odori sgradevoli - un fazzoletto di carta passato su di essa non risulta annerito o comunque alterato nel suo colore

originario - l'acqua versata sulla superficie lavata cola - o si espande - uniformemente, e non mostra segni di rottura

(se si formassero goccioline, la superficie non sarebbe completamente sgrassata) Per quanto riguarda i prodotti detergenti non esistono particolari vincoli normativi che ne orientino l'impiego; pertanto potranno essere scelti in funzione delle loro caratteristiche peculiari, tenendo conto, evidentemente, del tipo di superfici da trattare, di sporco da rimuovere, della facilità d'uso e di dosaggio, del potere bagnante, della facilità di risciacquo, dell’assenza di azioni tossiche ed irritanti etc.����

84

����

81 I detergenti sono il risultato della combinazione di:

- tensioattivi - con azione bagnante, emulsionante, detergente. I tensioattivi di distinguono, a loro volta, in anionici, non ionici, cationici.

- sequestranti (prodotti che impediscono la formazione di calcare sulle superfici); - altri prodotti complementari, introdotti nella formulazione dei detergenti per conferire loro caratteristiche particolari (brillantanti,

disperdenti, anticorrosivi);

- basi più o meno forti (ad esempio, soda e potassa caustica) se trattasi di detergenti alcalini, o acidi, analogamente più o meno forti (ad esempio, acido cloridrico, acido solforico, acido fosforico etc.), se trattasi di detergenti acidi.

����

82 “Lo sporco contenente grasso può essere eliminato solo se la temperatura dell'acqua è superiore al punto di fusione del grasso

(50°C). Tuttavia, quando si elimina sudiciume proteico usando acqua riscaldata sopra i 60 °C, alcune proteine coagulano (ad es. l'albumina) fissandosi sul supporto; devono, in tal modo essere rapidamente asportate con il lavaggio, impiegando metodi ad alta pressione o detergenti particolari.” (Johannes KRAMER – in collaborazione con Carlo CANTONI – “ALIMENTI – Microbiologia e igiene – 2^ edizione - OEMF editore – pag. 257). Durante la fase di pulizia la temperatura dell'acqua dovrebbe pertanto essere opportunamente mantenuta tra 50 °C e 60 °C.

����

83 Un deposito calcareo ingloba particelle di sporco visibile e microrganismi diversi; non si potrà dunque avere una superficie pulita

senza prima aver eliminato anche i depositi calcarei.

����

84 In ogni caso, per l'uso dei detergenti occorre attenersi alle schede tecniche fornite dalle case produttrici (anche al fine di operare

in conformità alle norme di sicurezza stabilite dal Decreto Legislativo 626/94). Infatti, tutti i detergenti possono presentare caratteristiche

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87

3.2 GENERALITA' SUL PROCESSO DI DISINFEZIONE. L'efficacia di una procedura di disinfezione è influenzata da diversi fattori: - natura dei microrganismi - numero di microrganismi (����

85)

- concentrazione del disinfettante (����86

) - tipo di materiale da disinfettare (����

87)

- temperatura (����88

) - quantità di materiale organico presente. Tra le caratteristiche che dovrebbe avere un buon disinfettante vi sono quelle di: - distruggere i microrganismi patogeni in un tempo sufficientemente breve; - avere uno spettro d'azione il più ampio possibile; - presentare un basso grado di assuefazione nei confronti dei microrganismi (����

89)

- non essere corrosivo nei confronti dei materiali di contatto; - essere efficace anche in presenza di acque dure - avere una buona efficacia anche in presenza di residui di sporco; - essere attivo in un ampio campo di pH ed a basse temperature. Tra i disinfettanti chimici che vengono maggiormente impiegati si possono genericamente menzionare: - prodotti a base di cloro.

Agiscono liberando cloro che forma acido ipocloroso, il quale penetra nelle cellule del microrganismo causando ossidazione dei componenti cellulari. Hanno un ampio spettro d'azione contro batteri, funghi, virus e, in alta concentrazione, anche contro muffe e spore (una proprietà che la maggior parte degli altri disinfettanti non può vantare). Possono essere inattivati dalla presenza di residui organici (motivo per cui il loro impiego deve essere preceduto da un'adeguata pulizia).

“Quando si procede alla disinfezione di superfici d'acciaio inox è necessario utilizzare prodotti con pH sempre superiore a 8 in quanto, in ambiente acido, il cloro potrebbe innestare processi di corrosione” (IGIENE NELLA RISTORAZIONE – Alimentare – Personale – Ambientale – UNISCO – Milano – pag.65).

di tossicità più o meno rilevanti: non a caso devono sempre essere allontanati dalle superfici deterse utilizzando abbondante acqua potabile.

����

85 In seguito al mancato trattamento disinfettante, la carica microbica presente su impianti ed attrezzature, per i meccanismi descritti

in precedenza può subire un notevole incremento, determinando la necessità di effettuare trattamenti successivi molto più intensi per ripristinare livelli igienici ottimali, tenuto conto che tanto maggiore è la grandezza della popolazione microbica e tanto superiore deve essere il tempo di applicazione dal momento che l’inattivazione segue un andamento esponenziale. Appare evidente perciò l'opportunità di pulire e disinfettare puntualmente impianti ed attrezzature, secondo un programma debitamente stabilito e rispettato, in modo da mantenere costantemente basso il numero di microrganismi.

����

86 La velocità con la quale vengono uccisi i microrganismi può essere aumentata usando una maggiore concentrazione di

disinfettante; tuttavia, oltre una certa concentrazione-limite non si ottengono incrementi sensibili dell'azione disinfettante. Inoltre, l'impiego di soluzioni troppo concentrate può aumentare il rischio di comparsa di residui negli alimenti, oltre a provocare una maggiore azione corrosiva verso i metalli.

����

87 “La natura del materiale delle superfici influenza le cariche microbiche: tutti i materiali porosi od in grado di assorbire le varie

sostanze che hanno parte dello sporco determinano contaminazioni notevolmente maggiori e più durature nel tempo. Infatti, anche dopo l'allontanamento dello sporco visibile, i microrganismi rimasti possono trovare condizioni favorevoli al proprio sviluppo nelle sostanze organiche assorbite dal materiale (poroso) che forma la superficie, le quali non vengono eliminate nemmeno dalle operazioni di sanizzazione.” (Gianfranco TIECCO – IGIENE E TECNOLOGIA ALIMENTARE – 2^ edizione: luglio 2001 – CALDERINI Edagricole editore– pag.50). Per questi motivi non dovrebbero essere impiegate, in campo alimentare, le superfici di legno.

����

88 “Generalmente un aumento di temperatura potenzia l'attività antimicrobica mentre un abbassamento la riduce. Alcuni disinfettanti

come, ad esempio, l'acido peracetico e gli iodofori sono meno influenzati di altri dai cambiamenti di temperatura.” (Johannes KRAMER in collaborazione con Carlo CANTONI – ALIMENTI Microbiologia e igiene - 2^ edizione OEMF – Organizzazione Editoriale Medico Farmaceutica – pag. 259). ����

89 “Si evidenzia che è consigliabile un’alternanza nell’uso di prodotti diversi (sempre a concentrazioni non inferiori a quelle consigliate

in etichetta) in modo da evitare la comparsa di ceppi resistenti” ( ALIMENTI E BEVANDE n. 5/2003 – pag. 39 – Giuseppe ZICARI “Se c’è igiene c’è anche qualità – il vademecum del sanificatore”).

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88

- prodotti a base di iodio (iodofori) Agiscono per ossidazione e combinazione con le proteine cellulari dei microrganismi. Hanno minor efficacia nei confronti delle spore rispetto ai prodotti a base di cloro. In campo alimentare trovano scarsa diffusione, sia per l'odore pungente e caratteristico che presentano, sia per la facilità con cui colorano le superfici in presenza di sostanze organiche. La loro efficacia è compromessa dalla presenza di residui organici.

- composti a base di acqua ossigenata Il perossido d'idrogeno (acqua ossigenata) si decompone in acqua ed ossigeno, il quale, con la sua azione ossidante danneggia irreversibilmente i microrganismi e li uccide. Il perossido d'idrogeno ha un ampio spettro d'azione, non causa praticamente corrosioni (la sua corrosività nei confronti di acciaio inox ed alluminio è trascurabile) e non lascia residui. L' acido peracetico svolge azione ossidante danneggiando le proteine della parete cellulare; dopo la penetrazione dell'acido indissociato all'interno della cellula vengono quindi danneggiate le proteine endocellulari. E' meno stabile del perossido d'idrogeno. Ha ampio spettro d'azione contro microrganismi vegetativi, spore, virus. In presenza di metalli pesanti o di sudiciume viene inattivato; in ogni caso, venendo a contatto con materiale organico, l'acido peracetico si decompone in acido acetico e acqua senza dunque lasciare residui tossici.

Nell'ambito dei sanificanti meritano una menzione i prodotti a base di composti d'ammonio quaternario (ad esempio Benzalconio cloruro d'ammonio); si tratta di sanificanti ad alto potere tensioattivo essendo in grado di ridurre notevolmente la tensione superficiale delle soluzioni impiegate. Agiscono sulla membrana cellulare aumentandone la permeabilità, quindi sul citoplasma, coagulandolo. L'azione antimicrobica è ostacolata dalla presenza di acque dure. Hanno lo svantaggio di essere meno efficaci contro i batteri Gram negativi (ad es. Salmonella, Escherichia coli, Yersinia, Vibrio cholerae etc.) rispetto a Gram positivi (ad es, Listeria, Staphylococcus), di non possedere un'azione sporicida, di avere un'azione limitata contro i virus e di presentare una netta perdita d'attività per effetto del sudiciume organico. I composti quaternari sovente si possono rimuovere dalle superfici solo con molta difficoltà (con il pericolo che i residui possano giungere all'alimento). ���� (1)

“Alcuni disinfettanti, ad esempio sali quaternari e biguanidi, danno risultati accettabili solo a temperature non inferiori a quelle ambientali perche richiedono un’elevata energia di attivazione. Per la disinfezione delle aree fredde dello stabilimento quindi è bene assicurasi dell’effetto microbicida anche a basse temperature (ad esempio composti a base di cloro) “ (Carla ROGGI e Giovana TURCONI – “Igiene degli alimenti e nutrizione umana – La sicurezza alimentare – Prima edizione- EMSI editore – pag.189).

Disinfettanti e sanificanti sono considerati presidi medico chirurgici (quindi soggetti ad Autorizzazione e relativa registrazione da parte del Ministero della Sanità - ora Ministero della Salute).����

90

In campo alimentare dovrebbero essere utilizzati prodotti autorizzati, con indicata l'idoneità a tale campo d'applicazione. L'etichetta fa parte integrante della registrazione, pertanto dovrebbe essere sempre visionata con attenzione prima di procedere all'utilizzo del prodotto. Nelle etichette dei prodotti disinfettanti dovrebbero essere riportate le seguenti indicazioni: - disinfettante, presidio medico chirurgico - numero di registrazione presso Ministero della Sanità (ora Ministero della Salute) - da usarsi per industrie alimentari - dosi di utilizzo e tempi di contatto - composizione - azienda produttrice, lotto, data, produzione - avvertenza sulla sicurezza per l'uso

90 “I disinfettanti sono considerati presidi medico-chirurgici e per ottenere le autorizzazioni ed i relativi numeri di registrazione, i

prodotti sono sottoposti ad una serie di lunghe e costose prove che, ovviamente, incidono anche sui prezzi dei prodotti registrati. … Per evitare costi ed i tempi delle registrazioni vengono immessi sul mercato prodotti chimici con le seguenti dizioni: “sanificanti”, “sanitizzanti”, "igienizzanti" (IGIENE NELLA RISTORAZIONE – Alimentare – Personale – Ambientale – 5^ edizione – UNISCO Editore Milano – pag.55).

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89

3.3 INDICAZIONI DA RIPORTARSI NEL PIANO DI PULIZIA E DISiNFEZIONE Nel programma di pulizia e disinfezione occorrerebbe fossero indicati: 1) strutture, impianti, attrezzature, arredi ed utensili da sottoporre a tali trattamenti

Rispetto ad un’attività di ristorazione, o più in generale ad un laboratorio di preparazione alimenti, i settori che potrebbero essere presi in considerazione riguardano:

- zona ricevimento merci e stoccaggio materie prime - zona preparazione cibi (eventualmente suddivisa, in ragione del tipo di attività, in zone operative :

lavorazione verdure, lavorazione carni e pesce, preparazione piatti freddi, preparazione diete speciali, pasticceria, cottura).

- zona porzionatura e confezionamento. - zona distribuzione / vendita. - zona lavaggio pentole e stoviglie ed inoltre - servizi igienici e spogliatoi.

Nell'ambito di ciascun settore (o zona operativa) dovrebbe poi essere effettuata una ricognizione di tutti gli elementi (come già detto, strutture, impianti, attrezzature, arredi ed utensili) da sottoporre alle procedure di cui trattasi ; relativamente a ciascuno di questi elementi occorrerebbe fosse quindi definito un protocollo operativo attraverso il quale dovrebbe essere indicato come condurre, in concreto, le operazioni previste, quando effettuare gli interventi, precisando altresì se ricorra l'effettuazione di sole operazioni di pulizia o anche di disinfezione. Ad esempio, per tutte le apparecchiature destinate a venire direttamente a contatto con i cibi (utensili ed apparecchi per tagliare, sminuzzare, tritare, affettare etc.) dovrebbe, tra l'altro, essere specificato come smontare e rimontare le varie parti da pulire e/o disinfettare (con le relative procedure di sicurezza), precisato il modo d'impiego delle soluzioni detergenti e/o disinfettanti etc.

2) prodotti - detergenti e/o disinfettanti - da impiegarsi e loro specifiche modalità di utilizzo.

Nel piano di autocontrollo aziendale dovrebbero essere chiaramente indicati i prodotti che vengono utilizzati, citando la loro denominazione commerciale e riportando, in allegato, le relative schede tecniche. Rispetto a ciascun prodotto dovrebbero inoltre essere indicate le modalità di utilizzo in relazione agli eventuali usi previsti (concentrazioni d'uso, modalità di eventuale preparazione delle soluzioni, tempi di contatto etc.)

3) frequenza dei trattamenti

Rispetto ad ogni punto d'intervento è necessario sia indicata la frequenza dei trattamenti, precisando altresì quando (�

91) effettuare gli stessi ovvero il momento della giornata, il giorno (o i giorni) della

settimana, nel corso dei quali procedere alla loro esecuzione A titolo del tutto esemplificativo si riporta, nella pagina seguente, un prospetto di un teorico programma di pulizia e disinfezione.

����

91 E’ opportuno ricordare al personale che durante la preparazione dei cibi non si devono eseguire operazioni di pulizia, per evitare di contaminare gli alimenti con polvere e sporcizia o con prodotti di pulizia nocivi alla salute dell’uomo” IGIENE NELLa RISTORAZIONE – Alimentare – Personale – Ambientale – 5^ edizione – UNISCO – Milano - pag. 46.

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90

PUNTO

D’INTERVENTO

TIPO

D’INTERVENTO PREVISTO

PRODOTTO UTILIZZATO

PERIODICITA’

DEL TRATTAMENTO

MODALITA’

D’INTERVENTO (����92

)

Pareti Superfici lavabili

• Pulizia

• Disinfezione

• Detergente neutro o alcalino

(Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

• Disinfettante a base di cloro attivo

oppure di composti d’ammonio quaternario

(Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

Cucina: 7 gg.

(Tuttavia, nelle zone soggette ad essere sporcate

spesso da residui di cibo, la

frequenza deve essere

giornaliera)

• Pulizia meccanica delle superfici asportando i residui grossolani mediante l’ausilio di spazzole morbide, panni sintetici, spugne etc.

• Lavaggio con soluzione costituita da detergente ed acqua ad una temperatura di …. (ad es. 55 °C)

• Risciacquo con acqua fredda o tiepida

• Applicazione della soluzione disinfettante rispettando un tempo di contatto di … (ad es. 10 ‘).

• Risciacquo con acqua fredda o tiepida

• Asciugatura all’aria o mediante carta monouso (Precisare modalità previste)

Pavimenti

• Pulizia

• Disinfezione

• Detergente neutro o alcalino

(Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

• Disinfettante a base di cloro attivo

oppure di composti d’ammonio quaternario

(Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

Al termine del turno lavorativo

• Pulizia meccanica della superficie mediante spazzatura.

• Lavaggio accurato distribuendo la soluzione detergente mediante strofinacci o mop a frange

• Risciacquo con acqua fredda o tiepida.

• Applicazione della soluzione disinfettante mediante strofinacci o mop a frange puliti.

• Risciacquo con acqua fredda

• Asciugatura all’aria per evaporazione

Piani di lavoro, taglieri etc.

• Pulizia

• Disinfezione

• Detergente neutro o alcalino

(Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

• Disinfettante a base di cloro attivo

oppure di composti d’ammonio quaternario

(Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

Dopo ogni utilizzo

• Pulizia meccanica delle superfici asportando i residui grossolani mediante l’ausilio di spazzole, panni sintetici, spugne abrasive etc.

• Lavaggio con soluzione costituita da detergente ed acqua ad una temperatura di …. (ad es. 55 °C)

• Risciacquo con acqua fredda o tiepida

• Applicazione della soluzione disinfettante rispettando un tempo di contatto di … (ad es. 10 ‘).

• Risciacquo con acqua fredda o tiepida

• Asciugatura all’aria o mediante carta monouso.

Lavelli e lavandini nelle zone di preparazione,

cottura e confezionamento

• Pulizia

• Disinfezione

• Detergente neutro o alcalino (Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

• Disinfettante a base di Cloro attivo oppure di

composti d’ammonio quaternario (Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

Giornaliera

• Pulizia meccanica delle superfici eliminando eventuali residui mediante l’impiego di spugne abrasive.

• Lavaggio con soluzione detergente

• Risciacquo

• Applicazione della soluzione disinfettante mediante … ad es. a spruzzo, rispetto un tempo di contatto di …..

• Risciacquo

• Asciugatura all’aria per evaporazione

Forni, fornelli, piastre, friggitrici

• Pulizia

• Detergente alcalino

(Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

Dopo ogni utilizzo

• Pulizia meccanica delle superfici applicando il detergente mediante … ad es. pennello, a spruzzo etc.

• Lasciare agire il detergente (secondo le indicazioni riportate in etichetta – citare

opportunamente le modalità).

• Asportare i residui mediante l’impiego di panni sintetici o spugne abrasive.

Apparecchiature frigorifere

Abbattitori termici

• Pulizia

• Disinfezione

• Detergente neutro o alcalino (Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

• Disinfettante a base di cloro attivo oppure di

composti d’ammonio quaternario (Indicare il tipo di prodotto utilizzato)

7 gg

(oppure, all'occorrenza,

frequenza maggiore).

• Svuotamento completo dell’apparecchiatura

• Pulizia meccanica delle superfici rimuovendo eventuali residui grossolani con panni sintetici, spugne abrasive etc.

• Lavaggio con soluzione detergente di tutte le superfici, comprese griglie, guide, guarnizioni, parti esterne, maniglie

• Risciacquo

• Applicazione della soluzione disinfettante mediante… rispettando un tempo di contatto di ….

• Risciacquo

• Asciugatura all’aria o mediante carta monouso

ETC.

����

92 Il prospetto in disamina ha carattere del tutto esemplificativo. Le istruzioni riguardanti le modalità operative potranno, ovviamente,

essere riportate in apposite sezioni del piano di autocontrollo (cui occorrerebbe fosse fatto esplicito rimando) in termini quanto più possibilmente dettagliati.

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91

Si riporta inoltre un prospetto per la raccolta schematica di alcune informazioni relative ai prodotti da impiegarsi nell’ambito della procedura in disamina.

PRODOTTO

PRINCIPIO ATTIVO

CAMPO DI

APPLICAZIONE PREVISTO /

DESTINAZIONE D’IMPIEGO

DOSAGGIO

MODALITA’ DI APPLICAZIONE

DOCUMENTAZIONE ALLEGATA

Indicazione del nome commerciale

Ad es. Cloro attivo,

Sali d’ammonio quaternario etc.

Eventuali modalità

di diluizione - Concentrazione

prevista (con particolare riguardo

alle indicazioni riportate in etichetta)

Ad esempio: Distribuzione

manuale, a spruzzo,

immersione etc.

� Schede tecniche

� Schede tossicologiche

ETC.

Per tutti i punti d'intervento è necessario siano descritte le modalità operative con le quali realizzare le operazioni di pulizia e disinfezione, specificando come agire rispetto ai vari apparecchi, come smontarli e rimontarli (con riguardo alle precauzioni di sicurezza da adottare), quali prodotti impiegare, le loro modalità di utilizzo, i tempi di contatto, le modalità di risciacquo e di asciugatura etc.

I prospetti sopra riportati, hanno carattere del tutto esemplificativo e teorico. Il programma di pulizia e disinfezione dovrà essere definito - con dettaglio appropriato - tenendo conto della specificità della situazione locale (occorrerà prendere in considerazione il tipo di lavorazione svolta, le caratteristiche di locali, impianti, attrezzature etc., i prodotti impiegati per le operazioni di pulizia e disinfezione etc.) Gli interventi di pulizia e disinfezione dovrebbero essere documentati attraverso registrazione su apposite schede, nelle quali è necessario siano chiaramente indicati impianti, strutture, attrezzature, utensili, cui si riferiscono gli interventi, la data (ed eventualmente l'ora) di esecuzione, la firma degli addetti che hanno eseguito le operazioni (����

93).

Dovrebbe inoltre essere auspicabilmente previsto un piano di verifica dell’efficacia delle procedure di pulizia e disinfezione attraverso la predisposizione e l’attuazione di un programma di controllo dell’eventuale contaminazione microbica (o comunque dello stato igienico) di superfici, impianti ed attrezzature da effettuarsi, ad esempio, mediante tamponi ambientali (e conseguenti analisi microbiologiche di laboratorio), test basati sul fenomeno della bioluminescenza etc. Il programma di verifica rientra tra le procedure citate al Capitolo 6.

����

93 In funzione dell'organizzazione aziendale (dimensioni dell'azienda etc.) potrebbero essere predisposte delle schede di registrazione

che prevedano la firma di eventuali figure professionali (responsabili della procedura) che sovrintendono alla verifica della corretta esecuzione delle operazioni di pulizia e disinfezione.

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4. PROCEDURE PER IL CONTROLLO DI ANIMALI INFESTANTI (INSETTI, RODITORI etc.)

Queste procedure hanno l'obiettivo di descrivere le modalità con le quali controllare, in tutti gli ambienti dove vengono lavorati e/o conservati prodotti alimentari, la presenza di animali indesiderati e/o agenti infestanti (prevenendone l'ingresso o attuando misure finalizzate alla loro eliminazione), quali insetti volanti e striscianti, roditori etc., che potrebbero risultare vettori (����

94) di agenti infettivi o essere responsabili di

contaminazione e insudiciamento dei prodotti stessi. In via preliminare si riporta la definizione di alcuni concetti strettamente correlati alle procedure in esame: DISINFESTAZIONE: complesso di procedimenti ed operazioni atti ad eliminare, da un determinato ambiente, piccoli animali, in genere invertebrati, perché parassiti, vettori o riserve di agenti infettivi. La disinfestazione può essere "integrale", se rivolta a tutte le specie infestanti, ovvero "mirata", se rivolta a singole specie. DERATTIZZAZIONE: complesso di procedimenti ed operazioni atti a determinare l'eliminazione completa, oppure la riduzione del numero della popolazione, al di sotto di una certa soglia, dei ratti o dei topi da un determinato ambiente. 4.1 MISURE PREVENTIVE Innanzitutto, per evitare che possano determinarsi condizioni favorevoli allo sviluppo di un'infestazione, è essenziale che da parte delle aziende siano adottate soluzioni strutturali, installate barriere architettoniche nonché attuati accorgimenti operativi, tali da impedire - o comunque da rendere quanto più possibilmente remota la possibilità - che insetti e roditori possano introdursi nei locali dove vengono detenuti o lavorati prodotti alimentari. A puro titolo indicativo si citano, di seguito, alcune delle misure preventive che dovrebbero trovare applicazione: - Adeguata pulizia dell'area esterna all’edificio (ad esempio, attraverso lo sfalcio dell'erba e dell'eventuale

vegetazione spontanea, nonché evitando, tassativamente, accatastamenti di materiali di qualsiasi genere a ridosso dei muri). Occorre ricordare, al riguardo, che mucchi di rifiuti solidi, rottami e detriti vari rappresentano nascondigli ideali per topi, così come lo sono terreni sconnessi e ricoperti da erba alta ed incolta o cespugli non curati.

- Dotazione di porte esterne provviste di battenti in materiale resistente alla possibile erosione da parte di

roditori. Sigillatura di eventuali spazi e fessure esistenti tra battenti e pavimento (ad esempio mediante l’applicazione di spazzole antitopo) che potrebbero permettere l'accesso d'insetti striscianti e piccoli roditori. Le porte di accesso dall'esterno dovrebbero inoltre essere richiuse sempre immediatamente ; per questo potrebbe rivelarsi opportuno installare dei sistemi di chiusura automatica (braccio di richiamo a molla, cardini a molla, cellula fotoelettrica etc.) o apporre chiare indicazioni circa l'obbligo di mantenere chiuse le porte.

����

94 Molti insetti (ad esempio, mosche e blatte) sono "vettori" di microrganismi patogeni; infatti, per abitudini di vita, vengono a contatto

con rifiuti, escrementi, materiali sporchi o potenzialmente infetti dai quali possono assumere microrganismi patogeni per l'uomo e trasportarli, meccanicamente, su tutte le superfici alle quali aderiscono o su cui si depositano. Inoltre, quando si nutrono, gli insetti possono ingerire i microrganismi, per eliminarli successivamente attraverso le deiezioni, e provocare, anche attraverso questo meccanismo, la contaminazione delle derrate alimentari ; possono altresì rigurgitare sugli alimenti parte del cibo già ingerito nonché intervenire nella trasmissione di uova di parassiti (nematodi, cestodi etc.). Analogamente, i roditori rappresentano veri e propri serbatoi di microrganismi pericolosi per l'uomo; essi sono voracissimi, “… e durante la loro ricerca di cibo, specie nelle ore notturne, lasciano escrementi, peli e gocciano continuamente urina al fine di poter ripercorrere a ritroso la stessa pista” (Agostino MESSINEO – ABC DELL’IGIENE E SICUREZZA nel SETTORE ALIMENTARE – Ristampa aggiornata:novembre 2004 – EPC LIBRI – pag.55). Risulta quindi costantemente ribadito che ogni superficie con la quale i roditori sono venuti a contatto deve ritenersi necessariamente contaminata e quindi essere trattata con le cautele del caso. Danni rilevanti ed incidenti a volte gravi possono essere causati dalla costante necessità di rosicchiare che topi e ratti manifestano : “…(i roditori hanno denti incisivi che crescono continuamente e devono quindi impegnare parte del tempo allo scopo di consumarli utilizzando i muscoli masticatori che sono notevolmente sviluppati)” (Agostino MESSINEO , op. cit., pag. 55) di conseguenza possono provocare erosione di cavi elettrici, tubazioni e manufatti in genere.

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93

- Installazione, in corrispondenza di tutte le aperture fenestrate, di reti anti intrusione a maglia fine (montate opportunamente su telai amovibili) per impedire l'ingresso degli insetti volanti.(����

95)

- Installazione di griglie robuste, a maglia fine ed in materiale anticorrosione, in corrispondenza dei

pozzetti di scarico delle acque di rifiuto, per evitare l'ingresso di roditori provenienti dal sistema fognario. In ogni caso, gli scarichi nei pavimenti devono essere correttamente sifonati.

- Sistematica occlusione di anfratti e pertugi nel perimetro dello stabilimento (����

96). Chiusura di qualsiasi

foro o fessura esistente in corrispondenza di muri, strutture ed impianti (ad esempio, presso terminali di condotti idraulici e tubi di scarico, botole d'ispezione e quadri di controllo non perfettamente connessi, condotte per il passaggio dei cavi in prossimità di macchine, cornici degli infissi etc.).

Inoltre, è necessario:

- Evitare, quanto più possibile, la creazione di "spazi morti", come quelli derivanti da controsoffittature,

pannelli di legno, canalizzazioni sotterranee etc. che forniscono rifugio a roditori e ad altri infestanti. L'eventuale spazio tra controsoffittature e soffitti dovrebbe risultare facilmente accessibile ed ispezionabile in modo da consentire l'effettuazione di operazioni di pulizia ordinaria e, se necessario, interventi di disinfestazione.

- Evitare altresì, tendenzialmente, l'impiego di pareti divisorie costituite da pannelli prefabbricati composti da fogli di laminato plastico con un'intercapedine di materiale coibente (pannelli prefabbricati "a sandwich") : qualora in corrispondenza di queste strutture si dovessero realizzare delle soluzioni di continuità per consentire il passaggio di tubazioni etc., i roditori potrebbero arrivare ad erodere lo strato di materiale coibente e rifugiarsi nello spessore del pannello.

- Evitare, quanto più possibile, il passaggio a giorno di tubazioni ; inoltre, come già accennato in

precedenza, assicurare che l'entrata / uscita delle tubazioni dai muri sia adeguatamente sigillata. - Disporre arredi ed impianti di produzione, per quanto tecnicamente possibile, in modo da permettere una

loro completa pulizia. - Mantenere i contenitori per rifiuti ben chiusi, quindi svuotarli, pulirli e disinfettarli regolarmente - Sostituire ripiani, scaffalature ed arredi in legno con altri in metallo o in materiale plastico, tenuto conto

che gli agenti infestanti (ad es. scarafaggi) prediligono le superfici in legno. - Adottare appropriate tecniche di stoccaggio collocando ordinatamente le derrate alimentari su appositi

ripiani lavabili e disinfettabili, o su pedane, analogamente lavabili e disinfettabili, di altezza adeguata (indicativamente 30 cm.), affinché risulti possibile ispezionare, in modo agevole ed esauriente, il pavimento nello spazio sottostante. Per gli stessi motivi le derrate dovrebbero essere stoccate, quando possibile, ad un'idonea distanza dalle pareti (indicativamente 60 cm.).

- Verificare che le merci in arrivo non presentino tracce d'infestazione, tenuto conto che imballaggi, cartoni

(�97

), sacchi di alimenti (ad esempio, quelli utilizzati per il trasporto delle farine), cassetti di prodotti ortofrutticoli etc., possono costituire veicolo per la diffusione d'insetti e piccoli roditori, provocando l'instaurarsi di un'infestazione anche in edifici isolati pressoché ermeticamente.

- Rimuovere, a fine lavorazione, attuando adeguate procedure di pulizia, rifiuti, avanzi alimentari nonché

eventuali ristagni d'acqua dalle aree di produzione ed immagazzinamento dei prodotti alimentari, tenuto conto che tali residui attirano gli animali infestanti garantendone il sostentamento e lo sviluppo.

����

95 D.Lg.svo 155/97 - Allegato - Capitolo II - punto d): "Le finestre e le altre aperture devono essere costruite in modo da impedire

l'accumulo di sporcizia, e quelle che possono essere aperte verso l'esterno devono essere, se necessario, munite di reti antinsetti facilmente amovibili per la pulizia etc."

����

96 Sono sufficienti buchi di pochi centimetri per consentire l'annidamento d'insetti e piccoli roditori).

97 “Ad esempio i cartoni ondulati risultano degli ottimi rifugi e luoghi di deposizione delle uova da parte delle blatte” (Giuseppe ZICARI

“L’igiene degli alimenti” – SE (Sistemi editoriali) – Gruppo Editoriale Esselibri – Simone – pag.92.

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4.2. MONITORAGGIO E RILEVAMENTO CONTINUO

Ferma restando dunque, la necessità di predisporre - ed attuare - idonee misure preventive, dovrebbe inoltre essere realizzato programma di monitoraggio e rilevamento continuo al fine di accertare l'eventuale insorgenza, o l'esistenza, di un'infestazione, e permettere, se del caso, la predisposizione d'interventi di disinfestazione calibrati e mirati. Il monitoraggio dovrebbe prevedere, in via preliminare e sulla scorta di un protocollo scritto, la sistematica e regolare ispezione visiva di tutte le aree dello stabilimento allo scopo di rilevare la possibile presenza d'infestanti o loro tracce (insetti o loro frammenti, ooteche, ragnatele, feci, peli di roditori, residui d'erosione etc.). Questo tipo di accertamento potrebbe innestarsi nelle procedure di controllo preoperativo, o risultare compendio delle stesse; tali verifiche potrebbero essere svolte in proprio dalle Aziende attraverso il personale addetto. Gli interventi di verifica dovrebbero essere registrati su apposite schede, con indicazione dei locali e /o degli ambienti cui viene fatto riferimento, dei risultati del monitoraggio, della data (ed eventualmente l'ora) di esecuzione, della firma degli addetti che hanno eseguito le verifiche. In aggiunta, dovrebbe quindi essere pianificato, sempre attraverso la redazione di un protocollo scritto, un programma di rilevazione che preveda l'impiego di trappole dotate di apposite esche e contempli l'indicazione dei gruppi d'infestanti da controllare (insetti volanti, insetti striscianti, roditori), dei metodi di controllo stabiliti e, ovviamente, delle aree o dei locali interessati. Obiettivo di questo programma dovrebbe essere quello d'identificare le varie specie d'infestanti eventualmente presenti, quantificare i livelli delle infestazioni attraverso la misura del consumo delle esche e/o la conta degli individui catturati (qualità e quantità dell'infestazione). Queste operazioni di monitoraggio che implicano la corretta collocazione delle esche, l'eventuale impiego di prodotti tossici nonché la valutazione e l'interpretazione dei risultati delle rilevazioni, dovrebbero essere auspicabilmente affidate a Ditte esterne di provata competenza. (����

98)

Per ciascuno dei gruppi d'infestanti in precedenza citati - insetti volanti, insetti striscianti, roditori - occorrerebbe fossero scelti strumenti di monitoraggio appropriati (ad esempio, trappole a raggi UV, trappole a feromoni per gli insetti volanti, trappole vischiose per gli insetti striscianti, esche velenose o esche virtuali per i roditori etc.) da collocarsi in punti strategici dei locali - debitamente individuati - da indicarsi quali "postazioni" o "stazioni di rilevamento". Le postazioni dovrebbero essere numerate e riportate, con precisione, su una pianta planimetrica dello stabilimento; rispetto a ciascuna di esse occorrerebbe fossero precisati il tipo di esca, il principio attivo o formulato, le dosi impiegate etc.. Le esche e le trappole a base di prodotti chimici tossici dovrebbero essere utilizzate solo ed esclusivamente in appositi contenitori di sicurezza, opportunamente fissati o ancorati, in modo da evitare il contatto diretto del prodotto con l'esterno, scongiurando qualsiasi rischio per la sicurezza degli alimenti stoccati o lavorati, nonché del personale. Ogni postazione dovrebbe quindi essere sottoposta a monitoraggio con una frequenza utile e sistematica, necessariamente prestabilita. Qualsiasi modifica alla collocazione delle esche dovrebbe essere tempestivamente riportata sulla planimetria assicurandone l'aggiornamento. Gli interventi di verifica dovrebbero essere documentai mediante registrazione su apposite schede, con indicazione della postazione cui viene fatto riferimento, dei risultati del monitoraggio (catture e consumi di esca avvenuti in un dato periodo), della data (ed eventualmente l'ora) di esecuzione, della firma degli addetti che hanno eseguito gli interventi.

����

98 La disciplina delle imprese che svolgono attività di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione è stabilita,

sostanzialmente, dalla Legge 25.01.1994 n. 82 e successivi decreti attuativi (D.M. 07.07.1997 n.274 e D.M. 04.10.1999 n.439).

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Sulla base dei dati rilevati, qualora si verificasse il superamento di limiti predefiniti (valori soglia), dovrebbero essere posti in atto degli interventi straordinari di bonifica ambientale (derattizzazione e disinfestazione) da affidarsi opportunamente a Ditta specializzata, in precedenza individuata. (����

99)

Anche in questo caso è assolutamente indispensabile che l'impiego di prodotti rodenticidi o sostanze insetticide non sia causa di eventuali rischi per i prodotti alimentari, oppure per il personale addetto alle lavorazioni. I trattamenti chimici dovrebbero avvenire previa sospensione dell'attività e rimozione di cibi, bevande, contenitori, stoviglie, attrezzature ed utensili. Dopo gli interventi di disinfestazione, e prima di riprendere l'attività produttiva, occorrerebbe fossero effettuate operazioni di pulizia straordinaria allo scopo di eliminare ogni eventuale residuo d'insetticida dalle zone a rischio di contaminazione degli alimenti ; in ogni caso, su superfici ed attrezzature destinate a venire a contatto con derrate alimentari non dovrebbero essere utilizzati insetticidi ad azione residuale. L'affidamento degli interventi straordinari di bonifica ambientale (ed eventualmente del programma di monitoraggio continuo) ad imprese esterne specializzate dovrebbe comunque avvenire sulla base di un piano di cui l'azienda committente dovrebbe conoscere e condividere i contenuti nonché verificare l'efficacia dei risultati. In linea di massima, un piano dovrebbe comprendere: - indicazione delle tecniche d'intervento - indicazione di locali, aree, superfici, attrezzature da sottoporre ai trattamenti - indicazione dei prodotti (tipo e quantità) utilizzati per gli interventi, con fornitura di schede tecniche

(riportanti le prescrizioni d'uso dei prodotti), e tossicologiche (con indicate le precauzioni da adottarsi nel corso dell'impiego dei prodotti). ����

100

- registrazione dei risultati del monitoraggio (qualora ricorra l'applicazione di questa fase) - verifica dell'efficacia degli interventi.

����

99 Viene sconsigliata la definizione di contratti d'appalto che prevedano interventi effettuati solo "a cadenza", slegati da un piano di

monitoraggio.

����

100 tutti i prodotti utilizzati dovrebbero essere dotati della relativa autorizzazione del Ministero della Sanità (ora Ministero della Salute)

Probabilmente è utile puntualizzare che anche nel caso in cui il programma di controllo d'insetti e roditori fosse affidato a Ditte esterne attraverso stipulazione di apposito contratto, la documentazione riguardante la predisposizione e l'attuazione del programma dovrebbe, in ogni caso, essere acquisita da parte della Ditta committente ed inserita nel piano di autocontrollo aziendale in modo da costituirne parte integrante.

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5 . PROCEDURE DI MANUTENZIONE DI LOCALI, IMPIANTI, ATTREZZATURE ETC. Queste procedure - affiancandosi a quelle di pulizia e disinfezione - hanno come obiettivo quello di definire le modalità con le quali assicurare il mantenimento delle condizioni d'idoneità di locali, impianti ed attrezzature rispetto alla loro funzionalità igienica e produttiva, in modo da prevenire l'insorgenza di possibili cause di contaminazione degli alimenti. MANUTENZIONE ORDINARIA: è riconducibile ad un'attività programmata posta in essere attraverso la predisposizione d’interventi definiti e pianificati. MANUTENZIONE STRAORDINARIA: riguarda interventi non programmabili, operati estemporaneamente a seguito di anomalie, guasti o altri inconvenienti significativi che potrebbero pregiudicare la corretta funzionalità di strutture, impianti ed attrezzature. Sulla falsariga di quanto previsto per le procedure di pulizia e disinfezione, anche per quelle di manutenzione è necessario sia operata una ricognizione, rispetto ad ogni locale - ed eventualmente ad ogni settore - di tutti gli elementi da sottoporre a tali procedure. Condizione preliminare per la predisposizione di una chiara procedura di manutenzione – e per la sua attuazione – é pertanto la puntuale identificazione di locali, ambienti, impianti, attrezzature ed arredi (al riguardo, potrebbero essere utilizzate le indicazioni auspicabilmente già riportate nella sezione introduttiva del piano di autocontrollo aziendale), elaborando, al riguardo, apposite schede d’identificazione o altra adeguata traccia schematica. ���� LOCALI Tutti i locali adibiti all'esercizio delle attività di conservazione, lavorazione, distribuzione, somministrazione, vendita di prodotti alimentari, nonché quelli accessori, funzionalmente connessi allo svolgimento delle stesse come spogliatoi e servizi igienici riservati al personale addetto, dovrebbero necessariamente essere mantenuti in adeguate condizioni generali attraverso la predisposizione, ed attuazione, di appositi interventi debitamente programmati in ragione delle caratteristiche peculiari delle strutture e delle attività svolte ; tra i fattori cui occorrerebbe tener conto ai fini della programmazione di detti interventi, figurano sicuramente: - il contesto edilizio e/o industriale ove si trova inserita la ditta; - la specifica locazione degli ambienti; - la tipologia dei materiali costruttivi: - la presenza, o meno, di dotazioni impiantistiche atte a prevenire il manifestarsi di condizioni d'insalubrità

degli ambienti; - la tipologia delle lavorazioni svolte etc. In merito, alcuni degli aspetti che dovrebbero essere presi in considerazione riguardano: - Condizioni degli intonaci di soffitti e pareti.

Gli interventi programmati dovrebbero essere posti in essere in modo da prevenire la comparsa di macchie di umidità o muffa, il distacco di pellicole di vernice o di parti dell'intonaco, la presenza di crepe, buchi etc.)

- Condizioni delle superfici - impermeabili, lavabili e disinfettabili - di pareti e pavimenti. Gli interventi dovrebbero essere rivolti ad evitare la presenza di piastrelle rotte, usurate e/o sbrecciate comportanti soluzione di continuità delle parti impermeabili.

- Condizioni di copri spigoli, davanzali, porte (loro cornici, bordi, superfici), pedane retrobanco, griglie di scarico etc. Anche in questo caso ricorrono le considerazioni riportate al punto precedente.

Nel caso poi le condizioni d'idoneità dovessero venire meno, occorrerebbe fossero attuati tempestivi interventi per il ripristino dei requisiti previsti. Rispetto ai locali, gli interventi di manutenzione ordinaria (tinteggiatura, stuccatura, sostituzione delle piastrelle etc.) operati con frequenza adeguata dovrebbero assicurare il mantenimento dei requisiti di funzionalità igienica preordinati al rilascio dell’Autorizzazione sanitaria.

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A titolo del tutto esemplificativo si riporta la bozza di un breve prospetto riferibile ad un teorico programma di manutenzione:

LOCALE CUCINA

TIPO DI VERIFICA

FREQUENZA

Verifica condizioni superfici piastrellate

– Verifica condizioni delle superfici intonacate / tinteggiate

Semestrale

PARETI

Verifica condizioni di coprispigoli e

bandelle di rivestimento

Trimestrale

PAVIMENTI

Verifica condizioni superficie piastrellata (integrità, idoneità etc.) – Verifica griglie

di scarico

Trimestrale

SOFFITTI

Verifica delle superfici tinteggiate

Semestrale

INFISSI, SERRAMENTI

Verifica condizioni delle superfici (integrità, idoneità etc.) – Verifica

funzionalità organi di manovra e punti di chiusura

Semestrale

���� IMPIANTI, ATTREZZATURE, UTENSILI In tale ambito rientrano: - Impianti di aerazione, di aspirazione (comprese le cappe aspiranti), di condizionamento ; impianti

di distribuzione idrica (compresi i lavelli , i comandi di erogazione gli scaldabagno etc.) ; impianto elettrico etc.;

- Apparecchiature frigorifere (compresi congelatori, abbattitori di temperatura, vetrinette espositive refrigerate, banchi frigo etc.) ; elementi di cottura (forni, cucine a gas, bollitori, friggitrici etc); affettatrici, impastatrici, pastorizzatori, etc.

- Superfici di lavoro, tavoli, piani d’appoggio, armadi e ripiani, arredi etc. Per quanto concerne impianti e macchinari, le verifiche rivolte alla salvaguardia delle caratteristiche operative dovrebbero essere condotte, quanto meno, con la frequenza indicata nei rispettivi libretti di manutenzione. A prescindere poi dalla sussistenza dei requisiti prettamente legati al funzionamento operativo d’impianti ed attrezzature, dovrebbero essere presi in debita considerazione tutti quegli aspetti destinati, se lasciati fuori controllo, ad incidere, in modo diretto e rilevante, sulla qualità igienica dei prodotti alimentari in fase di deposito o di lavorazione ; si citano, al riguardo, a titolo puramente esemplificativo : condizioni delle guarnizioni delle apparecchiature frigorifere (che potrebbero risultare lesionate etc.), condizioni delle superfici interne degli apparecchi di cottura e di refrigerazione (presenza di ruggine, superfici scrostate etc.), di ripiani, scaffali (analogamente presenza di ruggine, superfici scrostate etc.), piani di lavoro, taglieri (superfici lesionate, scrostate etc.) etc.

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Rispetto a ciascuno di questi elementi – o gruppi di elementi - dovrebbe essere definito un protocollo operativo attraverso il quale occorrerebbe fosse indicato quali verifiche operare, nonché come e quando effettuarle. A titolo del tutto esemplificativo si riporta la bozza di un breve prospetto riferibile ad un teorico programma di manutenzione:

IMPIANTO, APPARECCHIATURA

TIPO DI VERIFICA

FREQUENZA

Verifica corretto funzionamento – Verifica termostati temperature –

Verifica ventole / evaporatori – Verifica sbrinamento etc.

Semestrale

(come da libretto manutenzioni)

Verifica guarnizioni

Trimestrale

FRIFORIFERI

Verifica condizione ripiani

Trimestrale

Verifica corretto funzionamento – Verifica bruciatori, dispositivi di

accensione e di sicurezza

Trimestrale

FUOCHI GRUPPI DI COTTURA

Verifica cerniere forni statici

Semestrale

Verifica corretto funzionamento – Verifica bruciatori e dispositivi di

accensione

Trimestrale

FORNI A CONVEZIONE

Verifica cerniere e guarnizioni delle

porte

Semestrale

Gli interventi di manutenzione dovrebbero essere documentati mediante registrazione su apposite schede, nelle quali è necessario siano indicati locali, impianti attrezzature, arredi etc. cui deve intendersi fatto riferimento, il tipo d’intervento, la data di esecuzione e la firma di coloro che hanno eseguito le operazioni o, in alternativa, nel caso la manutenzione fosse affidata a Ditte esterne, del responsabile dell’applicazione della procedura (allegando Certificazione / dichiarazione di corretta posa in opera rilasciata dalla Ditta che ha eseguito la manutenzione). Qualora gli interventi manutentivi comportassero, prevedibilmente, una pur temporanea compromissione delle condizioni ambientali in seguito alla formazione di polvere, allo spargimento di materiali, alla presenza di personale estraneo alle lavorazioni degli alimenti etc., occorrerebbe che fossero realizzati, per ragioni di carattere igienico facilmente intuibili, soltanto previa sospensione dell’attività ; quindi, ad avvenuta esecuzione degli stessi, prima della ripresa di una qualsiasi fase del ciclo di lavorazione o distribuzione di sostanze alimentari, dovrebbero essere effettuate, presso gli ambienti interessati, appropriate operazioni di pulizia e disinfezione.

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Nel caso di stabilimenti, esercizi etc. presso i quali la gestione dell’attività oggetto di Autorizzazione sanitaria risulti data in appalto ad altra Ditta (situazione che ricorre con particolare frequenza, ad esempio, nell’ambito delle ristorazioni collettive), qualora i rapporti contrattuali tra gestore ed appaltante prevedessero che gli interventi di manutenzione debbano risultare a carico di quest’ultimo (condizione della quale dovrebbe essere dato atto – con i riscontri necessari – nel piano di autocontrollo da elaborarsi a cura del gestore dell’attività, cui spetta, in ogni caso, l’onere di garantire la sicurezza e la salubrità dei prodotti alimentari) è necessario sia prodotta una documentazione adeguata a comprovare eventuali richieste d’intervento da parte del gestore al soggetto appaltante. Devono pertanto essere evitate, ad esempio, diciture quali “Manutenzione straordinaria : solo nel caso in cui sia prevista da capitolato” che non chiariscono quale sia la situazione ricorrente presso l’impianto.

Inoltre, nel caso la verifica e l’applicazione di dette procedure di manutenzione fossero affidate, attraverso stipulazione di apposito contratto, a Ditte esterne addette all’assistenza tecnica, è necessario, in ogni caso, che della circostanza sia dato atto nel piano di autocontrollo. Nell’ipotesi considerata, la documentazione riguardante la predisposizione e l’attuazione del programma di manutenzione deve essere acquisita da parte della Ditta committente ed inserita nel piano di autocontrollo aziendale in modo da costituirne parte integrante.

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6. PROCEDURE DI FORMAZIONE ED ADDESTRAMENTO DEL PERSONALE

Queste procedure hanno l’obiettivo di definire i criteri adottati per assicurare la formazione del personale, in modo che ogni addetto arrivi a disporre delle informazioni e delle nozioni necessarie al fine di agire in regime di sicurezza rispetto ai pericoli di carattere igienico correlati all’attività svolta e - per quanto concerne le figure professionali espressamente individuate in merito dalla normativa vigente (responsabili dell’elaborazione

e dell’applicazione delle procedure in tema di autocontrollo) – applicare correttamente i principi del sistema HACCP. Per una quanto più auspicabile chiarezza di fondo, si ritiene opportuno richiamare il testo delle disposizioni normative che sovrintendono formalmente la predisposizione e l’applicazione di dette procedure: ���� D.Lg.svo 26.05.1997 n. 155 – Allegato - Capitolo X – “Formazione”: “I responsabili dell’industria alimentare devono assicurare che gli addetti siano controllati e abbiano ricevuto un

addestramento o una formazione in materia d’igiene alimentare in relazione al tipo di attività svolta”.

� Regolamento (CE) 852 / 2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29.04.2004 sull’igiene dei prodotti alimentari – Allegato II – Capitolo XII “Formazione”: “Gli operatori del settore alimentare devono assicurare:

1) che gli addetti alla manipolazione degli alimenti siano controllati e/o abbiano ricevuto addestramento e/o una

formazione in materia d’igiene alimentare in relazione al tipo di attività;

2) che i responsabili dell’elaborazione e della gestione delle procedure di cui all’articolo 5 – paragrafo 1 del

presente regolamento, o del funzionamento delle pertinenti guide abbiano ricevuto un’adeguata formazione per

l’applicazione dei principi del sistema HACCP;

3) che siano rispettati i requisiti della legislazione nazionale in materia di programmi di formazione per le persone

che operano i determinati settori alimentari.”

Le disposizioni di cui trattasi consentono dunque agli operatori del settore alimentare ampia autonomia procedurale per il raggiungimento degli obiettivi sopra indicati. In ogni caso è necessario che tutto il personale coinvolto in una qualsiasi fase lavorativa legata al ciclo di produzione e distribuzione di prodotti alimentari disponga di conoscenze adeguate affinché possa assolvere i propri compiti operando in modo igienicamente corretto ed applicando convenientemente, rispetto alle specifiche mansioni, le procedure e gli eventuali sistemi di verifica previsti dal piano di autocontrollo aziendale redatto secondo i principi del metodo HACCP. Come già accennato in precedenza, stanti le indicazioni riportate nella letteratura di riferimento, tra le cause più frequenti riguardanti l’insorgenza di malattie di origine alimentare figurano sicuramente le modalità non appropriate di lavorazione da parte del personale addetto. In questo ambito possono essere ricondotti aspetti tra loro spesso interconnessi: � comportamenti igienici non idonei - mancato rispetto dei precetti d’igiene della persona : insufficiente pulizia delle mani, degli abiti da

lavoro, non corretto impiego di copricapo che contenga la capigliatura (o assenza di copricapo) etc. - conduzione dell’attività senza adeguata osservanza di regole di buona prassi igienica: utilizzo di

attrezzature ed utensili sporchi, modalità procedurali che possono dar luogo a contaminazione diretta o crociata di prodotti alimentari, etc.

� applicazione di procedure non adeguate o non corretta applicazione delle procedure

eventualmente previste - inadeguato controllo della fasi di ricevimento materie prime, conservazione, cottura, raffreddamento,

riscaldamento etc.

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Al fine di affrontare e dirimere le problematiche appena richiamate, risulta di evidente importanza la predisposizione e l’attuazione di adeguati programmi formativi nei confronti del personale addetto alle imprese alimentari. Come noto, l’attuazione del metodo HACCP contempla, nell’ambito di un ciclo produttivo e/o distributivo di prodotti alimentari, la gestione dei pericoli, debitamente individuati, attraverso l’applicazione di procedure (da predefinirsi) e specifiche misure di controllo. E’ dunque necessario che il personale operi con cognizione di causa, che disponga di una sufficiente conoscenza dei pericoli che potrebbero caratterizzare una data fase lavorativa e adotti, in merito, modalità operative coerentemente rivolte a prevenire la comparsa di detti pericoli o a limitarne la sussistenza entro ambiti di sicurezza. Al fine di perseguire al meglio tali obiettivi è essenziale che il personale risulti in sintonia con le finalità applicative del metodo HACCP (pur con un livello di approfondimento della materia commisurato alle proprie specifiche mansioni), e che l’approccio al metodo, anche in ragione delle conoscenze sviluppate o acquisite, arrivi ad essere percepito non come il tributo ad una normativa astrusa fonte soltanto di aggravi burocratici ed adempimenti formali. Un adeguato livello di conoscenza, oltre a sviluppare nel personale, sensibilizzandolo, la consapevolezza necessaria per una corretta conduzione dell’attività, dovrebbe rappresentare, indubbiamente, stimolo per una più fattiva adesione ai principi ed alle modalità procedurali del metodo. Il programma di formazione, nella più ampia generalità dei casi, dovrebbe prevedere, per il personale addetto allo svolgimento di attività inerenti la lavorazione o la distribuzione degli alimenti (così come indicato dalle disposizioni normative richiamate in premessa), la partecipazione ad appositi corsi o analoghi eventi di approfondimento teorico ed addestramento tecnico. Corsi di formazione risultano attualmente predisposti, e gestiti, perlopiù da Camere di commercio, Associazioni di categoria, Organizzazioni professionali e Ditte di consulenza esterna. Per altro, nel caso in cui all’interno dell’impresa fossero presenti delle figure professionali in possesso di requisiti appropriati (per quanto concerne livello di conoscenze, competenze professionali, esperienze didattiche etc.), detti programmi formativi potrebbero essere sostenuti all’interno dell’azienda stessa (tale situazione può ricorrere con maggiore probabilità, ovviamente, nel caso di aziende di rilevanti dimensioni). Allo stato attuale non risultano definiti, a livello nazionale e regionale, dei criteri univoci riguardo i contenuti di base per la formazione igienico sanitaria degli addetti alle imprese alimentari. Ogni azienda e / o impresa deve pertanto trovare le soluzioni più confacenti alle proprie esigenze tenendo conto, ad esempio, dei contenuti del corso, delle proposte didattiche, della durata del corso e dei relativi costi. Sempre nel caso di esercizi o di aziende di dimensioni rilevanti, ove l’attività può risultare variamente articolata, potrebbero essere previsti programmi e livelli di formazione del personale differenziati in ragione delle specifiche mansioni. Tra gli argomenti che dovrebbero entrare a far parte della formazione del personale – con grado di approfondimento diverso in base alle mansioni ed al livello di responsabilità dei destinatari del programma - si citano:

• Nozioni d’igiene - (microrganismi e loro comportamento – cause di contaminazione degli alimenti – fattori di sopravvivenza

e crescita microbica – relative misure di prevenzione ) - contaminazione da corpi estranei e particelle – relative misure di prevenzione

• Igiene della persona - pulizia delle mani, degli indumenti da lavoro, corretto uso del vestiario, – comportamenti corretti e non

etc.

• Igiene di locali, impianti ed attrezzature - procedure di pulizia e sanificazione - procedure di lotta nei confronti d’insetti e roditori

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• Conduzione di locali inerenti le attività di distribuzione, preparazione, vendita e somministrazione prodotti alimentari

• Procedure aziendali e comportamenti – da specificarsi opportunamente rispetto alle diverse mansioni – per l’applicazione del piano di autocontrollo (ad esempio: procedure, frequenza e registrazione delle operazioni).

• Introduzione al metodo HACCP ed all’applicazione dei relativi principi

• Normativa di riferimento Gli argomenti trattati non dovrebbero risultare troppo teorici, o comunque occorrerebbe che eventuali aspetti teorici venissero quanto più possibilmente ricondotti alla realtà rispetto alla quale i destinatari del programma di formazione si trovano ad operare. La partecipazione a corsi di formazione dovrebbe essere opportunamente documentata, riportando nei moduli di registrazione: - data e orari, durata degli incontri; - argomenti trattati; - docenti - estremi degli eventuali attestati di partecipazione rilasciati (o, in alternativa, potrà essere archiviata copia

dei suddetti attestati) L’attività formativa potrebbe essere articolata, o anche integrata, attraverso la consegna, al personale addetto, di manuali tematici, opuscoli, dispense etc. ; in tal caso sarebbe opportuno che della circostanza venisse dato formalmente atto, indicando, nei documenti di registrazione, l’elenco delle persone a cui il materiale è stato consegnato (queste ultime dovrebbero firmare la presa in consegna del materiale didattico ricevuto). Soprattutto nel caso di assunzione di nuovo personale, o di assegnazione del personale già in servizio a nuove mansioni, la formazione dovrebbe essere integrata da un adeguato addestramento, da attuarsi, in concreto, affiancando il personale in questione con altro personale esperto in possesso delle conoscenze - teoriche e pratiche - necessarie ad espletare al meglio l’attività considerata. I risultati della formazione dovrebbero essere oggetto di verifica ; le verifiche potrebbero essere condotte attraverso:

• consegna di appositi questionari - o analoghi test di valutazione - ai destinatari degli interventi formativi (in modo da acquisire riscontro formale riguardo il livello di apprendimento raggiunto);

La durata dei corsi di formazione dovrebbe essere adeguatamente rapportata al numero ed al tipo degli argomenti trattati o enunciati nel programma di formazione ; risulterebbero poco plausibili, o comunque sospettati di eccessiva superficialità, momenti formativi evidentemente brevi (della durata, ad esempio, di un’ora o due), in relazione ai quali venisse dichiarata la trattazione di numerosi argomenti tanto più se complessi e di ampia portata.

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• valutazione del comportamento del personale addetto durante lo svolgimento dell’attività, ed in particolare della capacità, da parte degli operatori, di agire in regime di sicurezza, rispettando regole generali di salvaguardia igienica e norme comportamentali definite da procedure ed istruzioni operative aziendali. Tali verifiche potrebbero essere condotte ad opera dei responsabili della gestione delle procedure - oppure da consulenti esterni appositamente incaricati - compilando apposite liste di controllo che dovrebbero poi costituire il necessario riscontro documentale (appare subito evidente che tali modalità di valutazione potrebbero risultare praticabili per le aziende di maggiori dimensioni e non per quelle a conduzione famigliare o comunque per piccole imprese).

Ne caso i risultati della verifica dovessero essere oggetto di giudizio negativo, occorrerebbe fossero previste ed attivate delle azioni correttive quali, ad esempio, la predisposizione di supplementi di formazione, l’assegnazione del personale ad altre mansioni etc. Il programma di formazione dovrebbe essere pianificato – ed espressamente indicato - definendo contenuti, caratteristiche e periodicità degli interventi formativi. Tali interventi potrebbero essere svolti:

• sulla base di una frequenza stabilita - ad esempio annuale, biennale etc. (configurandosi dunque quali aggiornamenti periodici);

• in seguito ad assunzione di nuovo personale o di cambiamento di mansioni al personale già in servizio;

• in conseguenza a sostanziali modifiche delle procedure operative riguardanti le lavorazioni cui il personale risulta dedicato.

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APPENDICE C

ESEMPI DI SCHEDE DI REGISTRAZIONE

RIGUARDANTI IL MONITORAGGIO DI UNA

SERIE DI FASI DA INDIVIDUARSI,

PRESUMIBILMENTE, QUALI CCP

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RICEVIMENTO MATERIE PRIME

Registrazione dei dati derivanti dal monitoraggio del parametro Temperatura nonché dei riscontri delle

Osservazioni visive.

� I prodotti alimentari (o la materie prime) si considerano conformi alle specifiche del

piano di autocontrollo – e sono quindi ritenute accettabili – se:

• Per i prodotti deperibili sono rispettate le relative temperature di conservazione. (Vedansi Limiti critici riportati nella Scheda riferita alla fase in disamina – Appendice A).

• Le condizioni del prodotto risultano del tutto regolari ; pertanto: - Mezzo di trasporto in condizioni igienicamente idonee. - Imballaggi esterni integri, senza tracce d’insudiciamenti o di danneggiamenti. Confezioni

integre, senza alterazioni manifeste (bombature, rigonfiamenti, ammaccature, lacerazioni, perdita di liquidi, tracce di ruggine, presenza di muffa o di altri difetti merceologici).

• Caratteri organolettici (colore, odore, consistenza) nella norma

• TMC – o la data di scadenza – nella norma.

• Lotti di produzione corrispondenti a quelli indicati nel documento commerciale di accompagnamento.

CONDIZIONI DEL PRODOTTO E DEL MEZZO DI TRASPORTO

DATA

TIPO DI PRODOTTO

FORNITORE

ESTREMI DEL DOCUMENTO DI ACCO

AMPAGNAMENTO / LOTTO DI

APPARTENENZA O TMC – DATA DI

SCADENZA

TEMPERATURA

REGOLARI

NON REGOLARI

AZIONI CORRETTIVE

FIRMA OPERATORE

Firma del responsabile _________________________________

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106

STOCCAGGIO A TEMPERATURA CONTROLLATA

Registrazione dei dati derivanti dal monitoraggio del parametro Temperatura.

Temperature delle dotazioni frigorifere:

- formaggi e latticini: 0 / +4°C - prodotti d’uovo: 0 / +4°C - paste fresche: 0 / +4°C - carni: 0 / +2°C - affettati: 0 / +4°C - ortofrutticoli: 6 / +8°C - verdure IV gamma: 0 / +4° C - congelati / surgelati: -18 °C (-21 °C / - 15°C)

���� FRIGO n. …………

���� CELLA FRIGO n. …………

DATA

ORA

TEMPERATURA

AZIONI CORRETTIVE

FIRMA OPERATORE

Firma del responsabile _____________________

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SCONGELAMENTO

Registrazione ei dati derivanti dal monitoraggio dei

parametri temperatura / tempo

• La fase si intende condotta regolarmente se: - Sono state seguite le procedure previste - Il prodotto risulta a temperatura ≥ (uguale o maggiore) 4°C per

meno di 2 ore - Il prodotto risulta scongelato (a temperature comunque < 4°C)

da meno di 24 ore - Nel caso di scongelamento in acqua corrente, se il tempo di

scongelamento è < 2 ore.

DATA

ALIMENTO

ORA INIZIALE

TEMPERATURA

INIZIALE

ORA

FINALE

TEMPERATURA

FINALE

AZIONI CORRETTIVE

FIRMA OPERATORIE

Firma del responsabile _________________________________

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108

COTTURA

Registrazione dei dati derivanti dal monitoraggio del parametro

Temperatura.

� La fase si intende condotta regolarmente se temperatura di cottura ha

raggiunto:

- per i prodotti solidi un valore > 75 °C (al “cuore” o “centro geometrico” del prodotto)

- per i prodotti liquidi: un valore > 95 °C (ebollizione)

Se la temperatura risulta inferiore a quella prevista dai Limiti critici, prolungare il trattamento termico fino al suo raggiungimento.

DATA

ORA

ALIMENTO

TEMPERATURA

AZIONI CORRETTIVE

FIRMA OPERATORIE

Firma del responsabile _________________________________

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RAFFREDDAMENTO RAPIDO (ABBATTIMENTO TERMICO)

Registrazione dei dati derivanti dal monitoraggio dei parametri temperatura / tempo.

La fase di Raffreddamento si intende condotta regolarmente se : - Il raffreddamento da +60°C a + 4°C è avvenuto in meno di 3 ore; oppure - il raffreddamento da + 60°C a + 21°C è avvenuto in meno di 2 ore - il raffreddamento da + 21 °C a + 4°C è avvenuto in meno di 4 ore

- la temperatura del prodotto alla fine del trattamento è ≤ 4°C

DATA

ALIMENTO

ORA INIZIALE

TEMPERATURA

INIZIALE

ORA

FINALE

TEMPERATURA

FINALE

AZIONI CORRETTIVE

FIRMA OPERATORIE

Firma del responsabile _________________________________

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DISTRIBUZIONE

Registrazione dei dati derivanti dal monitoraggio dei parametri temperatura / tempo.

� La fase s’intende condotta regolarmente se sono rispettate le relative temperature di

conservazione / mantenimento :

• Prodotti freddi: - Alimenti deperibili con copertura o farciti con panna e crema a base di uova e latte (crema pasticcera),

yogurt nei vari tipo, bibite a base di latte non sterilizzato, prodotti di gastronomia con copertura di

gelatina alimentare: T ≤≤≤≤ 4°C - Alimenti deperibili cotti da consumarsi freddi (arrosti, roast-beef etc.) :T ≤≤≤≤ 10°C (in questo caso con

tempi di esposizione < 2 ore). Più opportunamente T< 4 °C.

• Prodotti caldi: T > 60 °C. � In ogni casi il prodotto verrà scartato se: - Prodotti freddi : 4°C < T < 10 °C da 2 ore o più o se T > 10 °C - Prodotti caldi: 50 °C < T < 60 °C da 2 ore o più o se T < 50 °C

INIZIO DELLA FASE

SUCCESSIVI CONTROLLI

(EVENTUALI)

DATA

PRODOTTO

ORA

TEMPERATURA

ORA

TEMPERATURA

AZIONI CORRETTIVE

FIRMA OPERATORIE

Firma del Responsabile _____________________

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111

CONTROLLO PREOPERATIVO

FUNZIONAMENTO

D’IMPIANTI ED ATTREZATURE

IGIENE DI LOCALI,

IMPIANTI ED ATTREZZATURE

IGIENE ED

ABBIGLIAMENTO DEL PERSONALE

DATA

IDONEO

NON IDONEO

IDONEA

NON IDONEA

IDONEA

NON IDONEA

AZIONI CORRETTIVE

FIRMA DELL’ADDETTO

Firma del Responsabile __________________

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112

SELEZIONE FORNITORI

Denominazione fornitore

Sede

Recapito telefonico / Fax

…………….……………... / ..……….…………………..

Prodotti forniti

…………………………………………………………….

…………………………………………………………….

…………………………………………………………….

…………………………………………………………….

…………………………………………………………….

Autorizzazione sanitaria

SI ����

NO ����

Applicazione piano di

autocontrollo secondo il metodo HACCP

SI ����

NO ����

Bollo CEE

SI ����

NO ����

Scheda tecnica del prodotto

(in caso affermativo deve intendersi allegata)

SI ����

NO ����

Altre eventuali certificazioni

Modalità di consegna del prodotto

……………….………………………………………….

………………….……………………………………….

NOTE

………………….……………………………………….

…………………………………………………………….

Firma del Responsabile ______________________

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113

PULIZIA E SANIFICAZIONE / DISINFEZIONE

ANNO _________

dal ------------------

MESE _________

SETTIMANA

al -------------------

LOCAL _ ____________________________

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

giorno

PUNTO

D’INTERVENTO

-------------

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

-------------

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

-------------

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

� Pulizia

� Sanificazione

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� Pulizia

� Sanificazione

� Disinfezione

Firma

dell’operatore

Firma del Responsabile __________________________

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114

CONTROLLO D’INSETTI E RODITORI

ANNO _________

LOCAL _ ____________________________

DATA

• NUMERO ESCA

• POSTAZIONE

• PUNTO DI ACCERTAMENTO

ESITO VERIFICA

AZIONI INTRAPRESE PROVVEDIMENTI ADOTTATI

FIRMA DELL’ADDETTO

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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���� ESCA INTEGRA ���� ESCA CONSUMATA ���� TRACCE / INDICI D’INFESTAZIONE

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Firma del Responsabile ________________________

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115

MANUTENZIONE D’IMPIANTI, LOCALI ED ATTREZZATURE

ANNO _________

LOCAL _ ____________________________

PUNTO DI VERIFICA /

INTERVENTO

DATA

ESITO VERIFICA

TIPO D’INTERVENTO (in esito a riscontro di non conformità)

FIRMA DELL’ADDETTO

-------------

���� CONFORME ���� NON CONFORME

--------------------------------------

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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���� CONFORME ���� NON CONFORME

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Firma del Responsabile __________________________

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FORMAZIONE DEL PERSONALE

Nominativo

Mansioni svolte presso la Ditta

Titolo del corso / evento formativo

………………………………………………………………………………. ………………………………………………………………………………. ……………………………………………………………………………….

Argomenti trattati

………………………………………………………………………………. ……………………………………………………….………………………………………………………………………………………………………. ………………………………………………………………………………. ……………………………………………………….……………………..

Data / e

…………… ……………. …………… …………… ……………

Durata del corso / evento formativo

…………………………………………………………………………..

Luogo

…………………………………………………………………………..

Personale che ha tenuto il corso /

evento formativo

………………………………………………………………………………. ………………………………………………………………………………. ………………………………………………………………………………. ……………………………….………………………………………………

���� NO

A corredo del corso / evento formativo

risulta essere stata fornita documentazione didattica

���� SI

………………………………………………………………….. ………………………………………………………………….. ………………………………………………………………….. ………………………………………………………………….

Firma del Partecipante _________________

Firma del Responsabile ___________________

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BIBLIOGRAFIA 1) Johannes KRAMER (in collaborazione con Carlo CANTONI)

ALIMENTI – Microbiologia e igiene – 2^ edizione OEMF (Organizzazione Editoriale Medico Farmaceutica)

2) Giordano DE FELIP Recenti sviluppi di igiene e microbiologia degli alimenti Tecniche nuove

3) Giuseppe ZICARI L’igiene degli alimenti SE (Sistemi Editoriali) – Gruppo Editoriale Esselibri – Simone

4) Gianfranco TIECCO Igiene e tecnologia alimentare – 2^ edizione: luglio 2001 CALDERINI EDAGRICOLE

5) Giuseppe ZICARI Gestione della sicurezza alimentare SE (Sistemi Editoriali) – Gruppo Editoriale Esselibri – Simone

6) Antonio SANCHIRICO

Controllo ed autocontrollo nel settore alimentare SE (Sistemi Editoriali) – Gruppo Editoriale Esselibri – Simone

7) Joan K.LOKEN – Ed. italiana a cura di Carla ROGGI.

Ristorazione collettiva sicura – Guida all’apprendimento e all’applicazione dell’HACCP MASSON

8) Carla ROGGI e Giovanna TURCONI “Igiene degli alimenti e nutrizione umana – La sicurezza alimentare” – Prima edizione EMSI (Edizioni mediche Scientifiche Internazionali - Roma)

9) C. ROGGI, C. CORBELLINI, P. VERCESI, S. TORRE, H. CENA

Ristorazione Collettiva – Manuale di Buona Prassi Igienica – Prima edizione EMSI (Edizioni Mediche scientifiche Internazionali – Roma)

10) Roberto BONSI, Cristina GALLI

Il metodo HACCP – Metodologia e strumenti per l’applicazione del sistema. Esempi pratici – Fonti normative Il Sole 24 ORE

11) Gianfranco TIECCO

L’autocontrollo nell’industria alimentare – Prima edizione: settembre 2000 CALDERINI EDAGRICOLE

12) Antonietta GALLI, Alberto BERTOLDI

Igiene degli alimenti e HACCP EPC LIBRI

13) Agostino MESSINEO, Maria LETIZIA, Fausto TIGANI

Il sistema HACCP negli esercizi di gelateria EPC LIBRI

14) Massimo MATHIS, Agostino MESSINEO, Fausto TIGANI

Il sistema HACCP negli esercizi di pizzeria e panetteria EPC LIBRI

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15) Francesco TONI, Roger NANNI Il metodo HACCP e l’autocontrollo sull’igiene degli alimenti MAGGIOLI

16) Lari BOSCHETTI, Mario BERVIGLIERI

Il controllo degli alimenti MAGGIOLI

17) Gregorio GILARDI, Aleandro D’ANGELI, Bruno GILARDI, Pasquale IODICE

I controlli ispettivi nel settore alimentare EPC LIBRI

18) Eugenia TAGLIAFERRI

“BUONO DA MANGIARE – BUONO DA VIVERE. La Ristorazione collettiva, dalla sicurezza alla qualità totale”. Vol. 2°. CALDERINI

19) Carlo CORRERA, Giorgio OTTOGALLI

Guida pratica d’igiene e di legislazione per chi produce, vende e somministra alimenti. 3^ edizione. Tecniche nuove

20) IGIENE NELLA RISTORAZIONE – Alimentare – Personale – Ambientale – 5^ edizione

UNISCO – Milano 21) Giorgio DONEGANI, Giorgio MENAGGIA

PRINCIPI DI ALIMENTAZIONE FRANCO LUCISANO EDITORE

22) Piero FERRARI, Gabriella IACONO

Manuale giuridico-tecnico per la ristorazione collettiva MAGGIOLI

23) Elio GUZZANTI, Enzo BERGAMI

Disinfezione disinfestazione e derattizzazione IL CERILO EDITRICE

24) Arturo CREMONINI Microbiologia e immunologia Centro programmazione editoriale

25) ATLANTI SCIENTIFICI GIUNTI

Microbiologia GIUNTI

26) Harold W.BRAWN Fondamenti di parassitologia clinica Tamburini editore

27) Manuale di corretta prassi igienica per il settore artigianale della Pasticceria

FIAAL-CNA / FEDAL-CONFARTIGIANATO / CASA / CLAAI / FLAI-CGIL – FAT-CISL – UILA-UIL 28) Manuale di corretta prassi igienica per la ristorazione collettiva

FERCO (Federazione Europea della Ristorazione Collettiva) – 1994

29) Manuale di corretta prassi igienica per la Ristorazione FIPE / FAITA / FEDERALBERGHI / EPAM / CONFCOMMERCIO – 1998

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30) Manuale di corretta prassi igienica per salumerie – gastronomie – pescherie – rivendite alimentari e ortofrutta FIDA (Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione) 31) Manuale di corretta prassi igienica per l’applicazione della normativa in materia di autocontrollo in occasione di feste, sagre e simili. UNPLI ( Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) 32) Manuale di corretta prassi igienica per l’industria molitoria ITALMOPA – Associazione Industriali Mugnai e Pastai d’Italia 33) Linee guida per la Ristorazione Collettiva Scolastica Regione Piemonte – Assessorato alla Sanità – Direzione Sanità Pubblica 34) Linee guida per la valutazione dei piani di autocontrollo predisposti dalle industrie alimentari. Regione Piemonte – Assessorato alla Sanità – Direzione Sanità Pubblica – maggio 2002. 35) Linee guida di corretta prassi igienica per la ristorazione collettiva Azienda Provinciale Per i Servizi Sanitari – Provincia Autonoma di Trento 36) Metodi di processo e di controllo degli alimenti - Schede informative n. 1-2/94 Istituto Scotti Bassani 37) La sicurezza nella manipolazione degli alimenti - Schede informative n.3/91. Istituto Scotti Bassani 38) D.SPOLAOR, S. TRAMONTIN, A.MAIELLO L'HACCP attraverso la sua terminologia In PULIZIA INDUSTRIALE E SANIFICAZIONE - Speciale Igiene - Alimenti 1998 - Dossier 39) A. MESSINEO ABC DELL'IGIENE E SICUREZZA nel SETTORE ALIMENTARE EPC LIBRI 40) O. SONZOGNI Il controllo dei roditori nocivi In Igiene e Ambiente - n.5 Settembre-Ottobre 1995 - Spaziotre - Edizioni Tecniche 41) G. PAPALE

La disinfestazione nelle reti di ristorazione collettiva; l'esempio di un programma di difesa coordinato

In Disinfestazione - Marzo-Aprile 1991 42) C. MENINI

Importanza della programmazione per un'efficace controllo degli infestanti nell'industria alimentare

In SPECIALE IGIENE ALIMENTI 2001 43) ABC del Disinfestatore Disinfestazione di ristoranti e fast food (2^ parte) In Disinfestazione – Anno 4 - Marzo-Aprile - 2/87 – MO.ED.CO. editore 44) Decisione CEE 20.05.1994 n. 356 Recante modalità d’applicazione elle Direttive 91/493/CEE del Consiglio riguardo ai principi che presiedono agli autocontrolli sanitari per i prodotti della pesca. 45) Antonietta GALLI VOLONTERIO Microbiologia degli Alimenti – Prima edizione: luglio 2005 C.E.A. Casa Editrice Ambrosiana - Milano

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120

INDICE

Introduzione 2

Formazione del gruppo HACCP 4

Descrizione dei prodotti e lo modalità di utilizzazione 5

1 Identificazione dei pericoli 9 1.1 Diagramma di flusso 9 1.2 Fase 11 1.3 Conferma sul posto del diagramma di flusso 14 1.4 Pericoli 14 1.4.1 Pericoli biologici 15 1.4.2 Pericoli chimici 21 1.4.3 Pericoli fisici 22 1.5 Alimenti potenzialmente pericolosi - Identificazione e modalità di trattamento 24

1.6 Analisi per l'identificazione dei pericoli biologici 27

1.6.1. Cause di contaminazione, sopravvivenza, sviluppo dei microrganismi 33 1.7 Fattori di semplificazione 35 1.8 Analisi dei rischi. Considerazioni. 38

2 Determinazione dei punti critici di controllo (CCP) 40 2.1 Criteri semplificativi per la definizione dei punti critici di controllo (CCP) 44 2.2 Esempio di fasi che potrebbero essere individuate quali CCP rispetto ad alcune

attività 47

3 Individuazione dei parametri da utilizzarsi come indicatri e dei relativi limiti critici 49

3.1 Parametri da utilizzarsi come indicatori 50 3.2 Determinazione dei limiti critici 52

4 Monitoraggio 55

5 Azioni correttive 59

6 Verifica del piano di autocontrollo aziendale 64

7 Gestione della documentazione riguardante il piano di autocontrollo aziendale 65

Contenuto di un piano di autocontrollo aziendale 66

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Appendice A - Esempi di schede riguardanti alcune fasi da individuarsi, presumibilmente, quali CCP

68

Appendice B - Cenni ad alcune procedure operative 76

Appendice C - Esempi di schede di registrazione riguardanti il monitoraggio di una

serie di fasi da individuarsi, presumibilmente, quali CCP 101

Bibliografia 114