Tesi di Luca
-
Upload
luigi-brunetta -
Category
Documents
-
view
412 -
download
1
description
Transcript of Tesi di Luca
_____________________________________________________
CAPITOLO 1
QUESTIONI CIVILISTICHE PRELIMINARI ALLA TRATTAZIONE
_____________________________________________________
Sommario: 1. Donazione e liberalità atipiche - 2. Liberalità
dirette - 3. Liberalità indirette - 4. Ulteriori precisazioni
sulla distinzione tra liberalità dirette e indirette - 5.
Spigolature sulla donazione - 6. Atti gratuiti in senso stretto
1. DONAZIONE E LIBERALITÀ ATIPICHE
Gli atti a titolo gratuito in senso lato sono quelli in cui un
soggetto esegue la rinuncia o l’attribuzione di un diritto senza
corrispettivo, e per ciò si contrappongono agli atti onerosi.
Di tutti gli atti a titolo gratuito, quello cui il codice
presta maggiore attenzione è la donazione, regolata dal titolo V
del libro II del codice civile. Tratti caratteristici della
donazione sono la solennità formale e l’animus donandi. Il
codice civile, all’art. 769, prescrive per tale atto la forma
pubblica sotto pena di nullità e richiede che l’attribuzione sia
compiuta con spirito di liberalità: la volontà di arricchire il
patrimonio del donatario, impoverendo il proprio, accompagnata
dalla consapevolezza di non esservi giuridicamente obbligato
(donari videtur quod nullo iure cogente conceditur).
L’art. 809 c.c. ammette espressamente la possibilità di porre
in essere liberalità anche al di fuori dello schema della
donazione solenne, ed estende a tali liberalità c.d. atipiche
parte della disciplina prevista per la donazione.
1
Tale disposizione non prevede un contratto nominato. Con il
termine liberalità, il legislatore non ha inteso prevedere un
contratto (o un pur semplice atto) di natura tipica, come accade
per la donazione e le figure di cui al titolo III del libro IV
del codice, bensì ha voluto attribuire all’atto, o alla
concatenazione di atti impiegati da un soggetto per arricchire
altri con animus donandi, una qualifica ulteriore rispetto a
quella che già di per sé l’atto o il complesso di atti possono a
seconda dei casi rivestire (ad esempio, compravendita a prezzo
diverso dal valore di mercato del bene o adempimento del terzo
con esclusione della surroga), in virtù del fine perseguito
dalle parti.
La liberalità, prima ancora che un negozio, è un risultato
oggettivo (l’impoverimento di un soggetto con arricchimento di
un altro) accompagnato dall’elemento soggettivo della coscienza
della non obbligatorietà giuridica e morale1 dell’atto mediante
cui tale risultato è raggiunto. Tale risultato può esser
perseguito sia con la donazione solenne, sia con altri atti. A
non diverse conclusioni si può giungere sulla scorta dell’art.
809 c.c., secondo il quale una liberalità può risultare tanto da
donazione quanto da atti diversi. Questi atti diversi dalla
donazione, che possono essere i più disparati, non potranno mai
dirsi liberalità se considerati in sé e per sé nella loro
astrattezza, ma soltanto in quanto apprezzati come mezzo
concreto d’attuazione di una volontà dell’effetto depauperitio-
locupletatio, che può anche non risultare dall’atto, a seconda
dei casi2.
L’atto diverso dalla donazione con cui si realizza un
impoverimento accompagnato da arricchimento volontario e
consapevolmente non dovuto può dunque ben dirsi liberalità, ma
1 E’ necessaria la non obbligatorietà morale perché l’adempimento di
obbligazione naturale, seppur non coercibile giuridicamente, non dà luogo a liberalità.
2 Coerente a tale ricostruzione è Cassazione civile sez. II!29 febbraio 2012 n. 3134.
2
solo in virtù della metonimia usata dal legislatore
nell’attribuire quell’ulteriore qualifica di liberalità da cui
deriva l’estensione di disciplina di cui all’art. 809 c.c.,
metonimia cui possiamo adeguarci con la precisazione testé
esposta.
Ciò che ci preme sottolineare è che l’espressione «liberalità»
non individua una categoria di atti con propria struttura e
natura giuridica: il carattere liberale è un attributo che atti
della più svariata struttura e natura giuridica possono
assumere, e al possesso di questo carattere si accompagna
l’applicabilità all’atto della disciplina che il legislatore ha
dettato non solo per le donazioni strictu sensu, ma appunto per
le liberalità in genere, sì che a tali atti si applicherà la
disciplina propria dell’atto con cui la liberalità è realizzata
(ad esempio, gli articoli 1470 e ss. se la liberalità è attuata
per mezzo di una compravendita) e, in aggiunta e parallelamente
a questa, la disciplina delle donazioni estesa alle liberalità
in virtù del richiamo fatto dall’art. 809 c.c..
Liberalità e donazione stanno in rapporto di genere a specie.
Ogni donazione realizza liberalità, ma liberalità può aversi
anche con atti diversi dalla donazione. Ne consegue che
all’interno del genere delle liberalità troviamo la donazione e
le liberalità in senso stretto, le quali non necessariamente
debbono risultare da un atto non solenne, potendo anch’esse
essere stipulate dalle parti per atto notarile, ma senza esser
qualificate (e volute) dalle parti come donazione (come può
accadere, per ipotesi, nel caso di compravendita immobiliare a
prezzo di favore).
3
2. LIBERALITÀ DIRETTE
Il fine liberale può essere perseguito per via diretta o
indiretta: si avranno conseguentemente liberalità dirette e
liberalità indirette.
Nelle prime, l’impoverimento del proprio patrimonio,
l’arricchimento di quello del beneficiario dell’attribuzione e
l’animus donandi risultano immediatamente dall’atto, talché la
liberalità coincide con il contenuto stesso dell’atto. A questo
punto sorge un problema: ammettere la validità della liberalità
diretta significa ammettere che un atto diverso dalla donazione
può arricchire e impoverire per fine liberale, e che da
quest’atto può risultare il programma liberale come accade in
una donazione, ma siffatto contenuto negoziale coincide con
quello per cui l’art. 782 c.c. impone la forma solenne. Alla
luce dell’art. 782 c.c. quest’atto non dovrebbe forse essere
nullo, visto che tale disposizione commina la nullità assoluta
per gli atti del tipo descritto che non rivestano la forma
dell’atto pubblico? Di primo acchito non si spiega perché da un
lato il legislatore accolga le liberalità diverse dalla
donazione, dunque non stipulate per atto pubblico, e da un altro
ne commini la nullità.
Le donazioni remuneratorie, le liberalità d’uso e le donazioni
di modico valore sono esentate dalla forma solenne ad
substantiam dagli artt. 770 e 783 c.c.. Quid iuris per le altre
liberalità dirette?
Ciò che mantiene in vita alcune liberalità dirette non
stipulate per atto pubblico è l’avere un tratto caratterizzante
che le contraddistingua dalla donazione, e le porti quindi al di
fuori dell’ambito d’applicazione della nullità di cui all’art.
782. Ciò accade, ad esempio, quando l’atto si distingue dalla
donazione per essere un atto giuridico non contrattuale3, ovvero
3 Un esempio si ha nel caso della remissione del debito. Il fatto che
l’art. 1236 richieda la mancanza di opposizione del debitore entro congruo termine ai fini della stabilità dell’effetto estintivo non vale a configurare la remissione come contratto, come se perdesse la propria
4
un contratto che importi liberalità strutturalmente non identica
a quella tipica, come un contratto a favore di terzo (in cui,
diversamente dalla donazione, il beneficiario non è parte
dell’atto), ovvero ancora per la presenza di un parziale
sinallagma tra le prestazioni dei contraenti4.
Secondo BIONDI 5 , «il negotium mixtum, ai sensi dell’art. 809,
non è altro che negozio a titolo oneroso, da cui risulta la
liberalità. Ne l’atto ne il risultato sono entità capaci di
assorbimento dell’uno verso l’altro. Pertanto l’atto è soggetto
alla disciplina del contratto a titolo oneroso, in armonia con
l’intento delle parti, salvo l’applicazione alla liberalità, che
ne risulta, di quei princìpi che la legge estende alle
liberalità atipiche». L’autore concepisce qui la liberalità in
termini di risultato, poiché «la liberalità è voluta non in
modo autonomo o inerente all’atto, ma risulta da esso».
Possiamo quindi concludere che la compravendita c.d. mista a
donazione sia valida non solo per la parte supportata da causa
di scambio, ma anche per la parte che parrebbe supportata da
causa donativa, e quindi per l’intero, benché non stipulata per
atto pubblico, perché il negozio usato dalle parti è una
compravendita, non valendo a mutare la causa fondamentale del
contratto il fatto che una parte voglia, per liberalità, pagare
molto più o farsi pagare molto meno del valore di mercato del
bene.
Rientrano nel novero delle liberalità dirette anche meri fatti
giuridici come la costruzione, la piantagione e la seminagione
natura di atto unilaterale. Nel diverso caso in cui il debitore presta espressamente il proprio consenso all’effetto remissivo, spesso dietro corrispettivo, si ha contratto remissorio (Cass civ. sez. lav. 22 febbraio 1995 n. 2021).
4 CAREDDA, Donazioni indirette, in I contratti gratuiti a cura di PALAZZO MAZZARESE, in Trattato dei contratti diretto da RESCIGNO GABRIELLI, vol. 10, Torino, 2008, p. 181.
5 Le donazioni, in Trattato di diritto civile diretto da VASSALLI, vol. XII, Torino, 1961, p. 950.
5
su suolo altrui, come avremo modo di approfondire infra,
capitolo 3, paragrafo 5.
Anche le rinunce possono essere usate per fini liberali. Vi
sono dei casi in cui un semplice atto di rinuncia è sufficiente
al raggiungimento dello scopo liberale e altri in cui non lo è.
Da una rinuncia può risultare una liberalità solo se da tale
atto non deriva solo l’impoverimento del rinunciante, ma da
questo consegue specularmente pure l’arricchimento del
beneficiario: così avviene quando alla rinuncia preesiste una
rapporto patrimoniale tra disponente e beneficiario della
liberalità, come nei casi di remissione del debito (cui consegue
un arricchimento pari al valore della prestazione
dell’obbligato) e di rinuncia a diritto reale limitato di
godimento come può essere l’usufrutto, la cui estinzione
consente al diritto di proprietà su cui gravava di riespandersi,
il che è un arricchimento. Solo in questi casi un negozio non
attributivo, dunque rinunciativo, potrà realizzare una
liberalità in via diretta.
Escludendo i casi di costruzione, seminagione e piantagione,
in cui non abbiamo un negozio attributivo ma un mero fatto
giuridico, possiamo affermare che se alla liberalità non
preesiste un collegamento tra colui che si impoverisce e colui
che si arricchisce (come il rapporto obbligatorio tra creditore
e debitore o il rapporto di fatto tra proprietario e
usufruttuario), l’atto di donazione o liberalità diretta è
sempre attributivo. E’ sempre attributivo perché se un soggetto
si impoverisce per intento liberale mediante rinuncia in favore
di un altro soggetto con cui non aveva alcun rapporto del tipo
descritto, questa potrà al più essere uno dei passaggi necessari
a realizzare la liberalità. E’ solo un passaggio perché dal solo
atto di rinuncia risulta sì il proprio impoverimento, ma non
anche l’altrui arricchimento, che non è conseguenza automatica
della rinuncia, in quanto richiede il compimento di un atto
ulteriore del beneficiario. E’ il caso della liberalità attuata
6
mediante abbandono di una res da parte del proprietario con
successiva invenzione della res nullius da parte del
beneficiario.
3. LIBERALITÀ INDIRETTE
Nelle liberalità indirette uno o più degli elementi della
liberalità non risultano dall’atto in sé considerato, perché
l’arricchimento, o il fine liberale non sono contenuti
nell’oggetto dell’atto.
La liberalità indiretta rientra nel genere del negozio
indiretto, che si realizza quando le parti «ricorrono nel caso
concreto ad un determinato negozio, per raggiungere attraverso
di esso coscientemente e consensualmente scopi diversi da quelli
propri della causa del negozio stesso» 6 . Il che non significa
che le parti abbiano simulato un negozio per porne in essere un
altro: gli effetti del negozio sono voluti dalle parti come in
ogni altro negozio in cui non ricorra simulazione o vizio della
volontà, solo che sono voluti come parte di un programma che va
oltre gli effetti precipui del negozio de quo, sì che questo può
dirsi negozio mezzo, in quanto tali effetti sono necessari ma
non sufficienti alla realizzazione dello scopo perseguito dalle
parti.
Il fatto che il negozio mezzo sia usato per scopi ulteriori
rispetto a quelli che gli sono propri non incide sulla sua
causa: l’asservimento del negozio al programma più complesso
voluto dalle parti rientra nei loro motivi comuni, senza che in
virtù di ciò muti la natura dell’atto posto in essere.
Da questa considerazione di fondo discende la regola per la
quale il negozio indiretto deve rispettare la forma del negozio
mezzo, non quella del negozio scopo 7 , ragion per cui le
liberalità indirette sono valide benché non stipulate per atto
6 ASCARELLI, Il negozio indiretto, in Studi in tema di contratti,
Milano, 1952, p. 6. 7 Così, Cass. 16 marzo 2004, n. 5333; Cass. 29 marzo 2001, n. 4623;
Cass. 21 gennaio 2000, n. 642; Cass. 23 dicembre 1992, n. 13630.
7
notarile alla presenza dei testimoni, forma richiesta per la
donazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 782 c.c. e
48 l. 16 febbraio 1913 n.89, c.d. legge notarile.
L’atto con cui si realizza la liberalità, sia esso dismissivo
(abbandono di una cosa), o di scambio (compravendita a prezzo
inferiore o superiore a quello di mercato), non mutando causa e
natura in forza del risultato che con esso le parti vogliono
ottenere, non muterà neppure la sua disciplina fondamentale.
L’art. 809 non vuole escludere l’applicabilità al negozio mezzo
della disciplina sua propria, ma solo estendere al fenomeno
liberale, che attraverso il negozio mezzo si realizza, le tutele
nella disposizione indicate (revocazione, riduzione e
collazione).
Come si vedrà infra, capitolo 2, sezione 2, paragrafo 2.4,
questo ha importanti ripercussioni sul trattamento tributario
dell’atto, perché l’imponibilità delle liberalità indirette che
si realizzano con atti onerosi è ammessa solo alle condizioni
che si vedranno.
Certa autorevolissima dottrina 8 afferma che le liberalità
indirette non devono necessariamente realizzarsi mediante negozi
indiretti9: nel contratto a favore di terzo posto in essere per
fini liberali, qualificabile secondo l’autore sempre come
liberalità indiretta, non c’è alcuno scopo ulteriore rispetto a
quello caratteristico del negozio, che non potrà dunque dirsi
indiretto.
Quest’osservazione risente del tradizionale orientamento che
contrappone alle donazioni le sole liberalità indirette, ma lo
studio che stiamo conducendo delinea anche i contorni della
categoria degli atti che realizzano liberalità in via diretta
diversi dalla donazione, e sono questi a non esigere il negozio
indiretto. Le liberalità indirette invece sono tali proprio
8 RUBINO, Il negozio giuridico indiretto, Milano, 1937, p. 179. 9 Dello stesso parere pure SANTORO PASSARELLI, Interposizione di persona,
negozio indiretto e successione della prole adulterina, nota a Cass. 18 giugno 1930, senza numero, Foro it. 1931, I, 177.
8
perché non risultano immediatamente dal negozio mezzo, il quale
è usato come strumento per perseguire indirettamente uno scopo
ulteriore.
Il fatto che un soggetto voglia disporre per liberalità del
proprio patrimonio in via indiretta non deve far pensare a
fenomeni di elusione di divieti imperativi o degli oneri imposti
dalla legge: non significa necessariamente che la liberalità sia
nascosta per dissimularne l’illiceità o la potenziale lesività
di diritti altrui, o per sopportare fraudolentemente minori
pesi. E’ il codice stesso ad ammettere la possibilità di
disporre in via indiretta, all’art. 737.
L’ordinamento mette a disposizione del soggetto che voglia
attuare un’attribuzione liberale vari modi per soddisfare il suo
intento. Il soggetto può scegliere o no l’atto pubblico, ma deve
farlo con la consapevolezza che rinunciando alla forma solenne
rinuncia altresì alle tutele e garanzia che la legge appronta
nei confronti delle sole liberalità stipulate di fronte al
notaio, in primis la non necessità, ove ne sorga il bisogno, di
provare l’animus donandi, poiché le attestazioni formali del
notaio hanno efficacia di prova legale, dunque in caso di
contenzioso vanno, per prescrizione di legge, necessariamente
prese dal giudice come rispondenti al vero, fintanto che contro
di esse non sia proposta querela di falso. Secundis, il
disponente la liberalità per atto diverso dalla donazione
solenne rinuncia alle tutele previste da quegli articoli
seguenti al 769 c.c. che si applicano solo alla donazione
formale10.
10 Per un approfondimento, che in questa sede non è necessario in
quanto esula dall’oggetto della trattazione, è utile rifarsi alla tripartizione che individua, nella disciplina delle donazioni, un gruppo di norme ispirato alla presenza dello spirito di liberalità, applicabili all’intero genus delle liberalità, alcune norme a protezione del donante e infine un sistema di tutela dei terzi (CAREDDA, Donazioni indirette, in I contratti gratuiti a cura di PALAZZO MAZZARESE, in Trattato dei contratti diretto da RESCIGNO GABRIELLI, vol. 10, Torino, 2008, pag. 231).
9
Tornando al richiamo dell’art. 737 c.c., è doverosa una
puntualizzazione. La disposizione si riferisce testualmente a
donazioni dirette o indirette, non a liberalità, ma a ben vedere
la locuzione non è soddisfacente, perché nel genere delle
liberalità troviamo le donazioni e le liberalità non donative.
Queste possono realizzare il fine liberale in via diretta ovvero
indiretta. Dunque si hanno, propriamente, liberalità dirette (in
senso lato, quindi comprendenti anche le donazioni) e liberalità
indirette. La dizione “donazione indiretta” è retaggio del
vecchio codice civile dell’anno 1865, il quale all’art. 1001
prevedeva la collazione di quanto ricevuto “per donazione sì
direttamente come indirettamente”. Il legislatore del ’42, pur
mantenendo nell’art. 737, che tratta la stessa materia del
vecchio 1001, le espressioni testuali usate dal suo
predecessore, adotta nell’art. 809 - norma di nuova
compilazione, che non trovava corrispondenze nel codice
previgente, dalla quale quindi possiamo desumere l’effettiva ed
(allora) attuale volontà del legislatore del ’42 - una diversa
terminologia, che contrappone alla donazione “le altre
liberalità”. Il legislatore del ’42, nell’art. 737 fa ancora
riferimento alle donazioni indirette solo per ossequio alla
tradizione, intendendo nella sostanza riferirsi, per sineddoche,
a tutte le liberalità diverse dalla donazione, dirette e
indirette11.
Ciò non significa delegittimare gli studi compiuti da coloro
che parlano di “donazioni indirette”, se ne concepiamo la
definizione come coincidente con quella che qui usiamo per le
liberalità diverse dalla donazione: è solo una questione di
11 CAREDDA, op. cit., pag. 176, dice che «il legislatore fa uso sia del
termine donazione, sia di quello liberalità, talora alternandoli anche all’interno della medesima norma, a volta contrapponendoli ed a volte suggerendone l’assimilazione».
10
nomenclatura e le conclusioni cui ci porta l’adottare
convenzionalmente l’uno o l’altro lemma sono le stesse12.
Possiamo perciò intendere quello delle liberalità dirette in
senso lato come un genere in cui troviamo donazioni e atti non
donativi (questi ultimi sono le liberalità dirette in senso
stretto).
4. ULTERIORI PRECISAZIONI SULLA DISTINZIONE TRA LIBERALITÀ
DIRETTE E INDIRETTE
Le opinioni più diffuse considerano indirette le liberalità
che si realizzano con atti complessi (es. sottoscrizione di
partecipazioni sociali con supervalutazione del bene conferito
dal beneficiario della liberalità o sottovalutazione di quello
conferito dal disponente la liberalità), o con l’ingerenza di un
terzo nel rapporto contrattuale bilaterale altrui (es.
adempimento del terzo), quindi valutano il carattere diretto o
indiretto della liberalità alla stregua del tipo di percorso che
il bene o diritto ha compiuto per uscire dal patrimonio del
cedente ed entrare in quello del beneficiario. Altri, ancor più
riduttivamente, qualificano come donazioni indirette tutte le
liberalità diverse dalla donazione tipica.
Questi criteri sono coerenti con la maggioritaria concezione
giurisprudenziale e dottrinale dell’insieme degli atti
liberalità, che affianca alla donazione tipica il generico
concetto di donazione indiretta. Abbiamo visto che questa
visione del fenomeno liberale non è del tutto soddisfacente.
I suddetti criteri usati per distinguere la donazione diretta
da quella indiretta sono sì in molti casi idonei a qualificare
correttamente la liberalità come indiretta, ma in altri soffrono
palesemente della limitata concezione del genere delle
liberalità su cui si fondano, che non dà cittadinanza alle
liberalità dirette non donative.
12 Così pure IACCARINO, Liberalità indirette, n.1, p. 30, in Notariato e
diritto di famiglia, I, p. 30, Milano 2011.
11
Occorre individuare un altro criterio per stabilire se una
liberalità sia diretta o indiretta. Il più efficace è quello che
si basa sull’analisi dell’atto posto in essere dalle parti, e
non sull’indagine del movimento che il bene o diritto da
trasferire compie tra l’uscita dal patrimonio del cedente e
l’entrata nel patrimonio del beneficiario: la liberalità è
diretta quando gli elementi oggettivi, impoverimento e
arricchimento, e l’elemento soggettivo, l’intento liberale,
risultano dall’atto, senza che sia necessario prendere in
considerazione elementi ulteriori.
Non raggiunge pienamente il proprio scopo il criterio che fa
riferimento al percorso che l’oggetto della liberalità ha
compiuto per transitare da un patrimonio all’altro dove
considera indirette anche le liberalità che risultano da schemi
in cui il diritto compie un percorso non diretto per passare
dall’uno all’altro patrimonio, ma comunque le parti convengono
ed esplicitano nell’atto che tale movimento è posto in essere al
precipuo scopo di impoverire un soggetto ed arricchirne un altro
con animus donandi. Nei casi in cui vi sia quest’enunciazione,
la liberalità - qualunque percorso abbia compiuto il diritto -
dovrà dirsi diretta perché direttamente dall’atto si può
cogliere il risultato liberale. Si badi, tale enunciazione non
varrà necessariamente a modificare la causa fondamentale del
contratto: anche qualora, in un contratto di compravendita
mixtum cum donatione, le parti esplicitino che lo sconto o la
maggiorazione sul prezzo sono praticati a fini liberali,
resteranno ferme le considerazioni che abbiamo esposto nel
paragrafo 2 sulle liberalità dirette relativamente al negotium
mixtum cum donatione.
5. SPIGOLATURE SULLA DONAZIONE
Aggiungiamo che ogni donazione in senso stretto si realizza in
via diretta (dall’atto pubblico di donazione risulta sempre il
fine liberale). Ciò accade anche qualora due parti stipulino per
12
atto pubblico una compravendita immobiliare per atto pubblico a
prezzo irrisorio (ad esempio, la vendita di un attico sito in
Cortina per il prezzo di 1€). In tale ipotesi - di rilievo più
teorico che pratico, riscontrando inevitabilmente molte
difficoltà le parti nel trovare un notaio disposto a ricevere
una venditio nummo uno - a seconda del caso concreto
l’interprete percorrà una delle due seguenti vie che, seppur in
modo diverso, portano entrambe all’eliminazione dell’atto di
partenza e alla produzione degli effetti di una donazione
solenne (diretta): si può avere simulazione relativa, con
nullità ex. art. 1414.1 della compravendita al prezzo di 1€ per
mancanza dell’accordo sul contratto simulato (elemento richiesto
dall’art. 1325 n.1) ed efficacia del contratto di donazione
dissimulato ex art. 1414.2; ovvero conversione del contratto
nullo: si avrà in questo caso nullità della compravendita dovuta
al fatto che il prezzo irrisorio di 1€ per una casa a Cortina
priva il negozio della causa di scambio, causa che ex. art. 1325
n. 2 è elemento essenziale del contratto, e produzione, ex art.
1424 c.c., degli effetti della donazione eventualmente voluta
dalle parti. Tutto ciò a condizione che nella compravendita
siano intervenuti i testimoni richiesti, come requisito di
forma, a pena di nullità dall’art. 48 della l. 89/1913.
Diverso il caso in cui, nella compravendita, il prezzo non è
del tutto irrisorio, ma solo inferiore o superiore, pur in
misura rilevante, a quello di mercato. Dove parleremo più
approfonditamente di casistica (infra, cap. 3) vedremo che
questa fattispecie si qualifica come negotium mixtum cum
donatione.
6. ATTI GRATUITI IN SENSO STRETTO
Comunemente si richiede che il disponente la liberalità non
abbia un interesse patrimoniale nella realizzazione dell’atto.
In presenza di un tale interesse patrimoniale verrebbe meno il
fine liberale e all’atto non si applicherebbe la disciplina
13
delle donazioni prevista dall’809, dovendosi l’atto considerare
come gratuito in senso stretto. Queste considerazioni sono
senz’altro condivisibili. L’atto gratuito in senso stretto
consiste nella disposizione di un diritto, compiuta per atto
unilaterale o per contratto non oneroso, priva dell’intento
liberale per la presenza di un interesse patrimoniale del
disponente nel compimento dell’atto.
TORRENTE13 individuava il criterio discretivo tra atti a titolo
gratuito e donazioni nell’esistenza o no dell’impoverimento del
patrimonio del concedente: sono a titolo gratuito gli atti da
cui deriva un arricchimento in capo al beneficiario, senza che
il lato passivo dell’atto sopporti un vero e proprio
impoverimento, mentre sono liberalità gli atti da cui deriva
pure l’impoverimento. L’impoverimento manca nei casi in cui il
beneficiante, con animo disinteressato, senza interessi
economici, compie un atto con cui non si priva di diritti
diminuendo il proprio attuale patrimonio, ma si limita ad un
mancato acquisto, cioè acconsente a prestare un servizio o a
concedere gratuitamente il godimento di un bene senza ricevere
un corrispettivo (es. nel comodato gratuito si concede il
godimento di un bene senza richiedere il corrispettivo di cui la
legge legittima la richiesta nel caso il godimento fosse
concesso a titolo oneroso, come nella locazione14).
13 La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da
CICU MESSINEO, Milano 1956, p. 10 ss. 14 Già F. C. von Savigny, nel commentare un passo di Ulpiano tratto
dal titolo I del libro XXIV delle Pandette di Giustiniano, osservava la necessità di distinguere marcatamente la donazione dal comodato, poiché quest'ultimo «di regola non contiene alcuna donazione; e nei casi comuni intorno a ciò non può aversi alcun dubbio. Chi presta gratuitamente ad un amico un cavallo o una carrozza per un viaggio, non diventa per ciò più povero; egli perde soltanto per un certo tempo il comodo, che gli avrebbe potuto arrecare il proprio uso delle cose comodate» VON SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, p. 40..
Anche in Trattato della successione e dei negozi successori diretto da PALAZZO SASSI, vol. II, Torino, 2012, p. 9, si sostiene che i contratti gratuiti che, come il comodato, vadano trattati diversamente dalla donazione in virtù del fatto che non anticipano gli effetti della
14
L’applicazione della disciplina delle donazioni anche a tali
fattispecie esula dalla ratio della disciplina stessa. La ragion
d’essere della prescrizione della forma solenne di cui all’art.
782 consiste nello spingere il beneficiante a ponderare
attentamente la scelta di disporre per donazione del proprio
patrimonio. Se frenassimo l’omissio adquirendi richiedendone la
stipula per atto notarile solleciteremmo l’onerosità di
qualunque rapporto umano, il che esula dall’esigenza sottesa ala
disposizione citata15.
Ne risulta dunque che è atto a titolo gratuito in senso
stretto anche quello, già descritto, compiuto per interesse
patrimoniale e quello che, pur se compiuto per interesse non
patrimoniale, non comporta a carico del beneficiante un
impoverimento in senso stretto ma una semplice omissio
adquirendi.
Concludiamo aggiungendo che quando un soggetto compie un atto
a titolo gratuito per interesse non patrimoniale da cui non
deriva un impoverimento vero e proprio, sarà opportuno indagare
la sussistenza o meno di un interesse patrimoniale in capo al
beneficiario dell’atto.
Se questo non sussiste, e dunque il rapporto è non
patrimoniale sia dal lato passivo che da quello attivo, la
successione, cioè non producono una riduzione del patrimonio del disponente stabile e permanente come invece accade nel caso di donazione.
15 Non si può rilevare che al comodante poco importerebbe dell’eventuale nullità del contratto in caso di applicazione della forma scritta ad substantiam, avendo lui comunque a disposizione altre azioni giudiziali non fondate sul comodato ma sul mero fatto che un altro soggetto detenga sine titulo un proprio bene, perché la tutela riservata al comodante è più rigorosa, essendo il comodatario esonerato da responsabilità per inadempimento dell’obbligo di restituzione per il solo caso di forza maggiore o caso fortuito (art. 1805 c.c.), mentre in caso di nullità del comodato, seguendo le norme dettate per la materia extracontrattuale, il rischio del perimento della cosa è interamente a carico del proprietario del bene, a meno che questo non provi che il detentore del bene è responsabile del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c..
15
fattispecie non è qualificabile come contratto, difettando il
requisito della patrimonialità contenuto nella definizione
legale di contratto di cui all’art. 1321 c.c.; quindi in questi
casi, come si è già sostenuto16, siamo nell’ambito dei rapporti
di cortesia.
Solo se almeno il destinatario dell’atto ha un interesse
economico riguardo all’efficacia dell’atto, l’atto che non reca
impoverimento a chi lo compie potrà dirsi produttivo di effetti
giuridici.
16 PALAZZO SASSI, Trattato della successione e dei negozi successori,
vol. II, Torino, 2012, p. 6.
16
_____________________________________________________
CAPITOLO 2
IMPOSTE APPLICABILI ALLE LIBERALITA’
____________________________________________________
SEZIONE 1 - IMPOSTA SULLE DONAZIONI
Sommario: 1. Cenni sull’evoluzione storica dell’imposta sulle
donazioni - 2. L’attuale ambito applicativo dell’imposta sulle
donazioni - 2.1. La rilevanza dell’arricchimento - 2.2. Le
liberalità dirette e gli atti gratuiti - 2.3. La territorialità
dell’imposta sulle donazioni - 2.4. Le liberalità indirette -
2.5 I vincoli di destinazione - 3. Presunzione di liberalità -
4. Soggetti passivi - 5. Consistenza del prelievo - 5.1
Determinazione della base imponibile - 5.1.1 Immobili - 5.1.2
Aziende - 5.1.3. Navi e aeromobili - 5.1.4. Azioni, obbligazioni
e quote sociali - 5.1.5. Rendite e pensioni - 5.1.6. Crediti -
5.2 Aliquote e franchigie - 5.3. Il cumulo - 5.3.1.
Rivalutazione delle donazioni anteriori - 5.3.2. Il cumulo nel
diritto transitorio - 6. Sgravi fiscali - 6.1. Esenzioni -
6.1.1. L’esenzione dei passaggi generazionali (patto di
famiglia) - 6.2. Riduzioni - 6.2.1. Riduzione del quinquennio -
6.2.2. Riduzione sui beni culturali non vincolati - 6.2.3.
Riduzione sui fondi rustici - 6.2.4. Riduzione sugli immobili
dell’azienda artigiana familiare - 6.2.5. Riduzione in materia
di comuni montani - 6.3. Detrazione IVA
17
1. CENNI SULL’EVOLUZIONE STORICA DELL’IMPOSTA SULLE DONAZIONI
Già nell’Italia monarchica si applicava un prelievo fiscale
sugli atti di liberalità. La disciplina originaria, contenuta
nella l. 21 aprile 1862, n. 565, prevedeva l’imposizione dei
trasferimenti inter vivos e mortis causa, sì con delle
differenze per l’uno e per l’altro tipo di prelievo, ma senza
che si potesse parlare di una distinzione organica tra imposta
sugli atti tra vivi e imposta sulle successioni.
La principale differenza tra la disciplina tributaria dei
trasferimenti tra vivi e quella dei trasferimenti per causa di
morte è che i primi erano tassati, col sistema dell’imposta di
registro, al lordo delle eventuali passività assunte
dall’acquirente, dunque senza che queste potessero essere
dedotte dalla base imponibile. Nel caso delle successioni,
invece, la base imponibile si calcolava al netto del passivo.
Nella disciplina tributaria, le donazioni non erano accostate
ai trasferimenti mortis causa come avviene nel sistema odierno,
in cui abbiamo la «imposta sulle successioni e donazioni»: la
legge le faceva rientrare nel presupposto d’applicazione degli
altri trasferimenti inter vivos.
Nel 1923, con il R.D. 30 dicembre, n. 3270, T.U. sulle imposte
sulle successioni, il legislatore tributario attribuì rilevanza
autonoma al fenomeno successorio rispetto a quello dei
trasferimenti tra vivi. Accentuò il distacco della disciplina
tributaria dei due fenomeni dettando per le successioni una
disciplina fiscale autonoma e affrancandole dall’assoggettamento
all’imposta di registro, mentre lasciava, però, la donazione
nell’orbita di quest’ultimo tributo.
La riforma tributaria degli anni ’70 che introdusse l’IVA
ridimensionò notevolmente il ruolo dell’imposta di registro,
riducendo il suo ruolo di imposta di portata generale a
residuale, in quanto di ben più ampia portata è il bacino
d’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, con la quale
18
l’imposta di registro si pone in rapporto di alternatività, come
poi espressamente previsto dall’art. 40 T.U. 131/1986.
Il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, attrasse le donazioni alla
nuova disciplina tributaria delle successioni, prevedendo
un’imposta omogenea per le due fattispecie, sottraendo quindi le
donazioni all’imposta di registro. Questa scelta del legislatore
fu molto opportuna, perché coerente con la concezione della
donazione come anticipazione della successione e utile
all’arginamento di fenomeni che, di fatto, eludevano l’imposta
di successione sottraendone poste dalla base imponibile per
mezzo di donazioni poste in essere in favore di successibili in
un tempo anteriore all’apertura della successione1.
A questo punto quindi l’imposta di registro non era più
alternativa solo all’IVA, ma pure all’imposta sulle donazioni.
L’art. 1 del d.P.R. 637/72 sanciva l’applicabilità
dell’imposta sulle donazioni a tutti i trasferimenti a titolo
gratuito, dunque un’applicabilità non limitata alle sole
fattispecie liberali, ma che era potenzialmente in grado di
estendersi a tutti i trasferimenti in cui mancasse un
corrispettivo, benché non assistiti da causa liberale.
La successiva evoluzione dettata dal d.lgs. 31 ottobre 1990,
n.346, mutò l’impostazione di alternatività tra imposta sulle
donazioni e IVA, prevedendo il diverso sistema della detrazione
dell’IVA dall’imposta sulle donazioni (art. 56.5) e ridimensionò
1 Interessante l’argomentazione di GAFFURI, in L’imposta sulle
successioni e donazioni, Torino, 1976, riguardante la vecchia imposta sulle donazioni, secondo cui già l’imposta del 72, prevedendo all’art 1 l’applicazione dell’imposta a «i trasferimenti a titolo gratuito di beni e diritti per atto tra vivi» si applicava anche alle liberalità diverse dalla donazione, nonostante gli artt. 55 e 56, interpretati letteralmente, si riferissero alla sola donazione. L’autore risolveva il contrasto tra l’art. 1 e gli artt. 55 e 56 sostenendo che la prima è norma sostanziale, che definisce gli elementi essenziali del tributo, e le seconde sono norme strumentali all’attuazione della prima, definendo il procedimento attraverso cui dovrà attuarsi il prelievo. Essendo strumentali non sono idonee a limitare l’ambito di applicazione dell’art 1, e vanno quindi interpretate analogicamente sì da poterle applicare a tutti i casi contemplati nella norma sostanziale.
19
l’oggetto dell’imposta sulle donazioni ai soli atti assistiti da
intento liberale (art. 1).
Preso atto della tendenziale reticenza dei privati a stipulare
donazioni formali per l’eccessivo carico fiscale di cui queste
erano gravate, e del calo di gettito che ne derivava, nel corso
degli anni ’90 si videro delle correzioni delle franchigie e nel
2000, con l’art. 69 della l. 21 novembre n. 342, si cambiò il
sistema progressivo delle aliquote dell’imposta (in virtù del
quale all’aumentare della base imponibile aumentavano le
aliquote), prevedendone uno proporzionale con aliquote più
basse, nell’ottica di disincentivare il ricorso, da parte dei
privati, a mezzi negoziali che sfuggissero ad un’imposta prima
sentita come eccessivamente onerosa e favorire, con la
prospettiva di un minor prelievo sul singolo trasferimento
liberale, l’uso di mezzi di trasferimento più trasparenti.
L’idea del legislatore era quella di incidere in misura minore
sui singoli atti, così da promuovere la stipulazione di un
maggior numero di atti imponibili in modo da ricavare un maggior
gettito.
Poco dopo si insediò un nuovo Governo, che diede impulso ad
una drastica riforma della materia, sopprimendo radicalmente
l’imposta sulle successioni e donazioni con la l. 18 ottobre
2001, n. 383 e assoggettando «i trasferimenti di beni e diritti
per donazione o altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia
pura e semplice agli stessi, fatti a favore di soggetti diversi
dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti
fino al quarto grado», qualora il valore dell’atto superasse una
determinata franchigia, alle imposte sui trasferimenti a titolo
oneroso, in particolare all’imposta di registro (art. 13.2).
Il d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, modificò l’ambito di
applicazione individuato dall’art 13, comma 2, su citato,
disponendo, all’art. 6, comma 5, che «i trasferimenti per
donazione o per altri atti a titolo gratuito di beni immobili e
diritti reali immobiliari, compresa la rinuncia pura e semplice
20
agli stessi e la costituzione di vincoli di destinazione, fatti
a favore di soggetti diversi dal coniuge e dai parenti in linea
retta».
Il Parlamento, nel convertire questo decreto legge con la l.
24 novembre 2006, apportò rilevanti modificazioni, istituendo
nuovamente l’imposta sulle successioni e donazioni «sui
trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per
donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di
destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle
disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e
donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.
346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001» e
prevedendo un nuovo sistema di aliquote e franchigie.
Oggi risulta quindi ampliato l’ambito d’applicabilità
dell’imposta come delineato dal previgente d.lgs. 346/90, il cui
art. 1 disponeva che «l'imposta sulle successioni e donazioni si
applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a
causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per
donazione o altra liberalità tra vivi», senza quindi
assoggettare ad imposta sulle donazioni gli atti gratuiti in
senso stretto, i quali prima dell’ultima novella ricadevano
nell’ambito applicativo dell’imposta di registro, e non
prevedeva l’imponibilità della costituzione dei vincoli di
destinazione.
2. L’ATTUALE AMBITO APPLICATIVO DELL’IMPOSTA SULLE DONAZIONI
Abbiamo detto che oggi l’imposta sulle successioni e donazioni
si applica «sui trasferimenti di beni e diritti per causa di
morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di
vincoli di destinazione», secondo le parole dell’art. 2.47 della
l. 286/2006.
21
2.1. LA RILEVANZA DELL’ARRICCHIMENTO
Un’interpretazione letterale dell’art. 2.47 vorrebbe vedere
tassabili solo le donazioni, gli atti a titolo gratuito e le
costituzioni di vincoli di destinazione in virtù dei quali si
produca un trasferimento di un bene o di un diritto.
A ben vedere, il termine trasferimento non circoscrive in
modo del tutto adeguato, poiché lo riduce, l’ambito di
applicazione dell’imposta e distrae l’attenzione dal vero punto
focale della disciplina.
L’effetto traslativo non è l’unico mezzo di cui può avvalersi
chi vuole fare in modo che un altro soggetto ottenga un
incremento patrimoniale, potendo tale incremento risultare anche
da meccanismi negoziali che non producono un effetto traslativo
vero e proprio, ma che rientrano comunque nell’oggetto
dell’imposta.
Non si può intendere l’oggetto dell’imposta come limitato alle
sole fattispecie traslative: benché un’interpretazione siffatta
riuscisse a tenere indenni da imposta sulle donazioni vari casi
di incremento patrimoniale, in quanto non derivante da
trasferimento, e dunque a favorire la posizione del
contribuente, sarebbe ingiustificatamente discriminatorio,
contrasterebbe con la ratio dell’imposta e favorirebbe fenomeni
elusivi adottare come elemento discriminante tra l’imponibilità
o no di un determinato incremento patrimoniale il fatto che
questo derivi o no da un vero e proprio acquisto a titolo
derivativo.
Il legislatore ci dà conferma inequivocabile di questa
considerazione nello stesso d.lgs. 346/90, all’art. 1.2
(sopravvissuto alle modifiche che hanno interessato l’atto
legislativo), che fa rientrare nel concetto di trasferimento
«anche la costituzione di diritti reali di godimento, la
rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di
rendite e pensioni», benché ometta di nominare altre fattispecie
22
da cui deriva un impoverimento-arricchimento, come l’adempimento
del terzo.
Il fatto giuridico che l’imposta sulle donazioni vuole colpire
non è il trasferimento in sé, ma qualunque fatto che produca
come risultato materiale un incremento della ricchezza di un
soggetto a scapito di un altro per volontà di quest’ultimo.
La chiave di volta dell’imposta sulle donazioni è
l’arricchimento, e non il trasferimento, perché solo il primo ci
permette di cogliere appieno l’oggetto dell’imposta: il
trasferimento è sì una fattispecie imponibile, ma non esaurisce
i casi di operatività dell’imposta sulle donazioni. Adottando
l’arricchimento come fattispecie presupposta all’applicazione
dell’imposta riusciamo a delinearne con precisione l’oggetto.
La valutazione dell’arricchimento ci permette di definire non
solo i limiti interni dell’imposta sulle donazioni, ma anche
quelli esterni. Solo dove c’è un effettivo arricchimento trova
applicazione l’imposta sulle donazioni, in quanto proprio questo
l’imposta colpisce. Dove, pur essendovi un trasferimento
derivante da donazione o atto gratuito, non c’è un effettivo
arricchimento, l’applicazione del tributo sulla donazione porta
ad un debito d’imposta sulle donazioni pari a zero. Ciò è presto
dimostrato, giusto l’attuale art. 2.49 l. 286/2006: «l’imposta è
determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore
globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è
gravato il beneficiario (...)» 2 (prima della riforma, avremmo
potuto riferirci all’art. 56 d.lgs. 346/90). Dovendosi dedurre
2 Per un approfondimento, v. Cass. 15 ottobre 2007 n. 21531: «Nella
determinazione della base imponibile dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni gli “oneri gravanti sul donatario” che, ai sensi dell'art. 56 d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, vanno scomputati dal valore del bene donato sono costituiti unicamente dai pesi espressamente imposti dal donante ai sensi dell'art. 793 c.c., e non da qualsiasi onere economico da cui sia gravato il bene donato. Ne consegue che, nel caso di donazione di un fondo edificabile, gli oneri di urbanizzazione non possono essere detratti dalla base imponibile, ma possono unicamente incidere sul valore venale in commercio del bene, da prendere in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile.»
23
dalla base imponibile lorda, costituita dal valore del bene o
diritto che entra nel patrimonio del beneficiario, gli oneri di
cui questo è gravato, risulta evidente che ciò che il
legislatore vuole sottoporre a prelievo è solo l’effettivo
arricchimento3.
Così, a titolo di esempio, nel caso di una donazione modale di
100, il donatario, onerato di due prestazioni a favore di terzi
del valore di 50 ciascuna, non dovrà alcuna imposta sulla
donazione, perché non si sarà arricchito. Chi trae vantaggio da
un negozio di questo tipo saranno i terzi e sarà sulle
prestazioni modali, le quali appunto arricchiscono i terzi, che
l’imposta sulle donazioni spiegherà i propri effetti.
2.2. LE LIBERALITA’ DIRETTE E GLI ATTI GRATUITI
Il legislatore del 2006 ha esteso l’ambito d’applicazione
dell’imposta sulle donazioni agli atti a titolo gratuito non
assistiti da scopo liberale, ampliando così l’oggetto
dell’imposta4.
3 Giunge alle medesime conclusioni GAFFURI, in L’imposta sulle
successioni e donazioni, Padova, 2008, pp. 31 e ss.. Aggiunge STEVANATO, in Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, p. 13 e ss., che “il profilo dell’arricchimento del beneficiario della liberalità si coglie altresì nella progressività delle aliquote”. Quest’ultima riflessione oggi non è più pienamente valida visto il mutato assetto delle aliquote, che sono oggi proporzionali e non più progressive, ma fa comunque notare come prima della riforma del 2006 vi fossero anche altri elementi a suffragio della teoria dell’arricchimento, elementi che sono venuti meno non perché il legislatore abbia inteso guardare all’entità del trasferimento anziché a quella dell’arricchimento netto, ma perché con le nuove aliquote proporzionali ha voluto ridurre il prelievo fiscale sui singoli atti.
4 Di diverso avviso FEDELE, Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Trattato breve delle successioni e donazioni diretto da Rescigno, Padova, 2010, p. 598, che non vede nel nuovo art. 2.47 l. 286/2006 un ampliamento dell’insieme delle fattispecie colpite da imposta sulle donazioni rispetto a quanto previsto dalla formulazione originaria del d.lgs. 346/90, poiché egli concepisce gli atti meramente gratuiti solo come atti non idonei ad attribuire un incremento patrimoniale, come è per il comodato, il trasporto gratuito e simili. A ulteriore suffragio della nostra diversa impostazione, già spiegata
24
Se il prelievo si applica anche agli atti gratuiti in senso
stretto, di primo acchito può sembrare sempre superfluo
verificare se un atto gratuito sia o no compiuto con animus
donandi, visto che l’imposta sulle donazioni opera anche in sua
assenza. Vedremo invece che nel caso delle liberalità indirette5
la sussistenza dello spirito di liberalità ricopre ancora quel
ruolo di quid pluris, di cui era pienamente investito dalla l.
346/90, che rendeva l’atto assoggettabile ad imposta sulle
donazioni invece che ad imposta di registro.
Con la riforma del 2006 abbiamo che la donazione, la
liberalità diretta non donativa e l’atto a titolo gratuito sono
potenzialmente assoggettati tout court all’imposta sulle
donazioni 6 . Diciamo potenzialmente perché mentre la donazione
solenne difficilmente può sfuggire all’imposta, nel caso delle
ultime due categorie spesso è più facile evadere o eludere il
tributo.
Ciò perché l’amministrazione finanziaria non può sempre
procedere all’accertamento della liberalità diretta o indiretta
non donativa: tale potere è subordinato alle condizioni che si
approfondiranno infra, paragrafo 2.4..
infra, paragrafo 6, secondo cui pure gli atti gratuiti in senso stretto possono generare un arricchimento, portiamo l’esempio di una recentissima pronuncia della Suprema Corte, la n. 14654 del 27 agosto 2012, secondo cui mai, in presenza di un’attribuzione gratuita (nella fattispecie, una intestazione di somme e valori a soggetti terzi) può presumersi lo spirito di liberalità, avendo sempre la parte interessata a farne valere la sussistenza l’onere di provarlo. Conseguentemente, fintanto che non v’è prova dell’animus donandi, l’atto va visto come meramente gratuito e idoneo a generare arricchimento, contrariamente a quanto asserito dalla dottrina testé citata.
5 Infra, paragrafo 2.3. 6 Con le sole riserve espresse retro, paragrafo 6, in merito ai
contratti di comodato ecc..
25
2.3 LA TERRITORIALITA’ DELL’IMPOSTA SULLE DONAZIONI
La soggezione delle donazioni solenni all’imposta de qua è
mitigata solo dalle regole sulla territorialità dell’imposta
contenute nell’art. 2 del d.lgs. 346/90.
Al comma 1, l’art. 2 dispone che l’imposta sia dovuta in
relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché
esistenti all’estero. Questo principio subisce la limitazione di
cui al comma 2: se la donazione è fatta da soggetto che non
risiede nel territorio italiano, l’imposta è dovuta
limitatamente ai beni e diritti ivi esistenti. Quindi l’imposta
non si applica nel caso in cui un soggetto non residente stipuli
un atto di diritto italiano per trasferire un bene che si trova
all’estero.
I commi 3 e 4 prevedono delle ipotesi in cui la legge presume
che, ai fini della limitazione di cui al comma 2, il bene si
trovi o no nello Stato.
E’ senz’altro opportuna la disposizione del comma 2, relativa
alla donazione fatta dal soggetto non residente in Italia, che
limita l’applicabilità dell’imposta ai beni che si trovano nel
territorio italiano.
L’esegesi del comma 1 invece porta a valutare la bontà
dell’operato del legislatore in modo diverso. Il discorso deve
partire dalla legge 31 maggio 1995, n. 218, c.d. riforma del
sistema italiano di diritto internazionale privato, art. 56,
comma 3, e della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, art. 9,
comma 1.
Consideriamo l’art. 56, comma 3, della legge citata e l’art.
9, comma 1, della Convenzione. In linea generale si applica la
Convenzione, ma questa, all’art. 1.2, prevede che in alcuni casi
la Convenzione stessa non vada applicata, con conseguente
applicabilità della l. 218/95.
Il 56.3 della l. 218/95 e il 9.1 della Convenzione dispongono
che la donazione sia valida se considerata tale dalla legge
dello Stato nel quale l’atto è compiuto (criterio della lex loci
26
actus)7. In virtù di queste disposizioni sarebbe quindi valida,
per il diritto italiano, la donazione stipulata in Italia
secondo diritto italiano, benché l’oggetto del contratto non si
trovi nel territorio italiano.
Il fatto che una donazione stipulata, quanto ai requisiti di
forma, secondo diritto italiano avente ad oggetto un bene che si
trova all’estero, sia già in virtù della sola stipulazione
soggetto all’imposta sulle donazioni suscita immancabilmente
notevoli perplessità. L’atto stipulato secondo diritto italiano,
che abbia ad oggetto un bene che si trova all’estero, per il
principio di diritto internazionale della sovranità territoriale
(nel suo corollario del principio di non ingerenza negli affari
di altri Stati) non può di per sé interferire nei rapporti
giuridici propri di un altro ordinamento (nel nostro caso, in
particolare, questo principio trova applicazione nell’art. 56.1
della l. 218/95 che rimanda, per la determinazione degli effetti
della donazione stipulata in Italia, al diritto straniero).
Affinché l’atto italiano produca l’effetto traslativo di un
bene che si trova all’estero, è necessario che l’ordinamento
straniero riconosca l’atto italiano come efficace. Solo una
volta intervenuto il riconoscimento, l’atto produrrà i propri
effetti, (e li produrrà secondo il diritto straniero, in virtù
dell’art. 56.1 l. 218/95) e genererà l’arricchimento, fulcro del
sistema dell’imposta sulle donazioni e indice di capacità
contributiva. Prima del riconoscimento, non ci sarà
arricchimento e l’aumento di capacità contributiva del
destinatario dell’atto non è effettivo e attuale, ma solo
7 Al comma 1 dell’art. 9 della Convezione fa eccezione il comma 6: se l’atto ha ad oggetto beni immobili, la forma deve rispettare i requisiti posti dalla legge dello Stato nel cui territorio il bene si trova (c.d. lex rei sitae). Una deroga importante, se consideriamo che molte donazioni solenni hanno ad oggetto beni immobili. L’effettiva portata dell’art. 56.3 l. 218/95 e dell’art. 9.1 della Convezione sarà tuttavia ridimensionata solo nei casi in cui l’ordinamento straniero non preveda l’applicabilità del diritto italiano alle donazioni stipulate in Italia, benché aventi ad oggetto beni che si trovano nel proprio territorio.
27
potenziale e futuro, ed è incerto nella sua venuta ad esistenza
nella misura in cui è incerto il riconoscimento dell’efficacia
dell’atto. Uno dei corollari del principio di capacità
contributiva di cui all’art. 53 della nostra Costituzione è
appunto quello di effettività e attualità della capacità
contributiva: si può legittimamente attuare un prelievo
tributario solo sulle manifestazioni di capacità contributiva
sono effettive e attuali.
L’art. 2, comma 1, del d.lgs. 346/90 va tacciato
d’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede
che l’imponibilità dell’atto gratuito avente ad oggetto beni
esteri sia subordinata al riconoscimento dell’atto da parte
della legge dello Stato nel cui territorio il bene si trova.
L’art. 55 comma 1-bis del d.lgs. 346/90 prevede
l’applicabilità dell’imposta anche alle liberalità formate
all’estero nei confronti dei beneficiari residenti nello stato.
Non crea problemi di costituzionalità questa disposizione, dato
che la sussistenza del presupposto d’imposta va valutato alla
stregua del diritto straniero. Se, secondo i principi propri
dell’ordinamento straniero, nel territorio di tale ordinamento
si perfeziona una liberalità a favore di un soggetto che risiede
nel territorio italiano, allora la fattispecie sarà imponibile.
Però, per espressa previsione del comma 1-bis si detraggono «le
imposte pagate all’estero in dipendenza della stessa donazione e
in relazione ai beni ivi esistenti». Non si profilano quindi
questioni di duplicazione del prelievo.
Tornando alle fattispecie diritto interno, se per le donazioni
e gli atti gratuiti s’è detto che vale la regola della generale
imponibilità, maggiori problemi si riscontrano a proposito
dell’imponibilità delle liberalità indirette, come vedremo nel
prossimo paragrafo.
28
2.4. LE LIBERALITÀ INDIRETTE
L’art. 1, comma 4-bis, del d.lgs. 346/90, incidentalmente
sancisce l’applicabilità dell’imposta alle liberalità indirette
risultanti da atti soggetti a registrazione obbligatoria.
Una liberalità indiretta può essere il risultato di un atto
soggetto a registrazione. Un atto oneroso soggetto a
registrazione sconterebbe, se del caso, la sola imposta di
registro, non anche quella sulle donazioni, che si applica agli
atti a titolo gratuito. Ma se l’atto oneroso è veicolo di
liberalità, allora è assoggettato ad imposta sulle donazioni ex
art. 1.4-bis. La disciplina generale dell’imposta di registro,
secondo cui gli atti del tipo di quello che viene usato per
realizzare la liberalità indiretta sono soggetti a imposta di
registro, viene quindi derogata dalla disciplina speciale
dell’art. 1.4-bis che, sulla base della presenza di un
arricchimento dovuto a spirito di liberalità, assoggetta l’atto
a imposta sulle donazioni.
La sussistenza dell’animus donandi quindi funge qui da
criterio per derogare, per specialità, all’imposta di registro
in favore dell’imposta sulle donazioni.
L’art. 1.4-bis d.lgs. 346/90, secondo cui alle liberalità
indirette risultanti da atti soggetti a registrazione si applica
imposta sulle donazioni, produce l’obbligo, per il contribuente,
di dichiarare l’integrazione della norma impositiva, e quindi la
sussistenza di un debito d’imposta. Ciò crea problemi di ampia
portata.
Nel caso delle liberalità indirette risultanti da atto
oneroso, la liberalità non risulta direttamente dall’atto: per
realizzarla, le parti impiegano soprattutto meri comportamenti
materiali, o sequenze di atti, o negozi onerosi o a causa
neutra, senza esplicitare il fine liberale.
L’amministrazione finanziaria, per accertare la liberalità e
assoggettare l’atto a imposta sulle donazioni anziché ad imposta
di registro, dovrebbe quindi indagare, con notevoli difficoltà,
29
la volontà delle parti prendendo in considerazione elementi
ulteriori, estranei all’atto, in quanto la causa dell’atto
impiegato dalle parti di per sé non integra il presupposto
dell’imposta sulle donazioni poiché le liberalità indirette
emergono solo in via mediata, e, usando le parole di STEVANATO8,
«restano estranee alla causa del negozio mezzo, e rilevano per
lo più sul piano dei motivi».
Nell’ambito dell’imposta di registro riveste importanza
prioritaria, ai fini della valutazione dell’imponibilità di un
fatto, l’analisi dell’atto scritto presentato per la
registrazione: per vedere se è integrata la norma impositrice,
ci si rifà solo al contenuto dell’atto come documento, cioè alla
volontà delle parti quale risulta dal testo impresso sul
supporto materiale usato dalle parti (il foglio scritto da
registrare), non all’atto come effettiva volontà delle parti. Si
dice perciò che quella di registro sia un’imposta d’atto.
La liberalità indiretta trascende il supporto materiale cui
inerisce, perché non risulta direttamente da esso, e il suo
apprezzamento richiede un’indagine che si fondi su elementi
ulteriori a quelli contenuti nell’atto da registrare. Questi
elementi ulteriori possono essere ultratestuali, in quanto
attinenti a rapporti non riversati in un atto scritto, oppure
elementi che sono sì tradotti in iscritto, ma in atti diversi da
quello oggetto dell’indagine, atti collegati a questo ma pur
sempre distinti dallo stesso, che le parti nascondono agli occhi
dei soggetti deputati alla pretesa tributaria.
Nel caso dell’imposta di registro, in linea di principio non è
possibile accertare patti non risultanti dall’atto, né un
collegamento tra questo ed altri negozi, sì da poterne
modificare le sorti tributarie in virtù della diversa natura che
l’atto, dopo integrazione di tali ulteriori elementi, possa
8 Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova,
2000, pag. 107.
30
assumere. Siamo infatti d’accordo con FEDELE quando afferma 9 ,
riferendosi all’imposta di registro, che «sono invero assai
rare, ed attinenti a casi limite, le ipotesi in cui
giurisprudenza e prassi amministrativa hanno ammesso la
possibilità di individuare la materia imponibile in virtù di una
pluralità di atti, distintamente assoggettati a registrazione,
ma riconducibili ad un programma negoziale unitario».
Applicare questi principi all’imposta sulle donazioni mette in
crisi la possibilità di concretizzare il prelievo sulle
liberalità indirette, perché queste non risultano per tabulas.
E’ difficile immaginare che l’amministrazione possa indagare
la sfera psicologica delle parti, compito che risulterebbe arduo
senza la collaborazione di queste. Sul piano pratico, indagini
di questo tipo accuserebbero notevoli difficoltà.
Questa incompatibilità tra l’integrazione del presupposto
impositivo da parte delle liberalità indirette e la
praticabilità dell’imposta porta al coordinamento dell’art. 1.4-
bis con l’art. 56-bis, che subordina il potere
dell’amministrazione finanziaria di accertare le liberalità
diverse dalla donazione alla ricorrenza congiunta di due
condizioni.
Queste sono che l’esistenza delle stesse risulti da
dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti
diretti all’accertamento di tributi (lett. a)) e che
l’incremento patrimoniale derivante dalla liberalità, cumulata10
a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario,
sia superiore all’importo di 350 milioni di lire11 (lett. b)).
Questa limitazione del potere di accertamento fa sì che, nei
casi in cui il potere d’accertamento delle liberalità indirette
9 In Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Riv. dir. trib.
2003, n. 10, pag. 799 e ss. 10 Vedremo l’istituto del cumulo infra, paragrafo 5.3. 11 La franchigia di 350 milioni di lire è stata modificata dalla
riforma del 2006 ed è oggi di 1.000.000€ per il coniuge e i parenti in linea retta, 100.000€ per i fratelli e le sorelle e 1.500.000€ per i portatori di handicap.
31
non sussiste, l’obbligo del contribuente previsto dalla legge di
dichiarare la liberalità degradi a mera obbligazione naturale,
in quanto non giuridicamente coercibile, fermo restando che
l’adempimento del debito d’imposta non costituirebbe indebito.
La prima condizione d’accertabilità delle liberalità diverse
dalla donazione, l’autodichiarazione del contribuente, ispira
alcune considerazioni.
Nei casi in cui le aliquote relative all’imposta sulle
donazioni sono, una volta superata la franchigia, maggiori a
quelle relative all’imposta di registro, perché il contribuente
dovrebbe dichiarare la liberalità e sopportare una maggior
imposta? Di certo, non tutti sarebbero disposti a farlo, sapendo
che la legge sancisce sì l’esistenza dell’obbligo, ma che
l’esecuzione dell’obbligo non può essere coartata né sanzionata.
La ratio dell’autodichiarazione delle liberalità diverse dalla
donazione non è certo quella di dare la possibilità, a cittadini
ultracoscienziosi, di adempiere tutti i propri debiti verso
l’erario, e va ricercata nella stessa littera legis: dispone la
lettera a) dell’art. 56-bis che l’autodichiarazione assume
rilievo «nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di
tributi». Se il contribuente subisce un accertamento di tributi,
potrà dichiarare la liberalità, sì che questa possa esser
assoggettata ad imposta sulle donazioni. Non potendo due tributi
insistere sullo stesso fenomeno economico, l’utilità
dell’autodichiarazione consiste nel permettere al contribuente
di sottrarre l’oggetto della liberalità ad un accertamento che
gli recherebbe un pregiudizio di entità maggiore rispetto a
quello derivante dal pagamento dell’imposta sulle donazioni.
Così accade quando un soggetto subisce un accertamento
sintetico ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, riguardo,
per esempio, ad un bene pervenutogli per liberalità indiretta,
con imputazione del valore del bene alla base imponibile
dell’imposta sul reddito. Senza calarci nel dettaglio del
sistema degli accertamenti induttivi, accenniamo che se
32
l’amministrazione finanziaria presume che il bene sia stata
acquistata con reddito proprio, il soggetto che subisce
l’accertamento si vede accrescere presuntivamente la base
imponibile IRPEF di un importo pari al costo dell’auto, il che
porta ad un aumento del debito IRPEF di entità maggiore rispetto
al prelievo che subirebbe dichiarando la liberalità: tanto
maggiore quanto l’aliquota IRPEF è maggiore all’aliquota
prevista per l’imposta sulle donazioni, quindi in questo caso è
economicamente conveniente dichiarare il debito d’imposta sulle
donazioni.
Qualora la liberalità non fosse dichiarata, l’atto oneroso
sarà soggetto ad imposta di registro ma il contribuente
sconterebbe anche una maggior imposta sul reddito.
2.5. I VINCOLI DI DESTINAZIONE
L’art. 2, comma 47, della l. 286/2006 ricomprende nel
presupposto impositivo anche la costituzione di vincoli di
destinazione, senza dare altre indicazioni al riguardo. La
lettera della legge non ci descrive il contenuto della categoria
dei vincoli di destinazione, lasciando all’interprete il compito
di indagare se la disposizione si riferisca solo all’istituto il
cui nomen iuris si avvicina maggiormente a quello usato dal
legislatore tributario (gli atti di destinazione previsti dal
recente art. 2645-ter c.c.), oppure se il concetto sia più ampio
e debba ricomprendere tutti i negozi con cui un soggetto attua
l’effetto della c.d. segregazione patrimoniale, limitando o
escludendo il proprio di diritto su di essi e vincolandone la
disponibilità giuridica a scopi predeterminati, quali sono ad
esempio il fondo patrimoniale, che i coniugi possono costituire
ai sensi degli artt. 167 e ss. del codice civile, e l’istituto
del patrimonio destinato ad uno specifico affare di cui agli
artt. 2447-ter e ss. c.c..
Senza dubbio non ogni legame di destinazione rileva ai fini
dell’analizzanda disposizione tributaria: pensiamo, in
33
particolare, alla destinazione di una cosa al servizio od
ornamento di un’altra cosa che si riscontra nelle pertinenze di
cui all’art. 817 c.c.. Tale destinazione, se compiuta
gratuitamente da un soggetto in favore di una altro, risulta
assimilabile al comodato, non imponibile per i motivi già
esposti. Ciò che il legislatore tributario vuole colpire sono i
fatti in virtù dei quali si produce la distrazione, totale o
parziale, di alcuni beni dal patrimonio personale del
disponente, tale da rendere immuni tali beni agli attacchi dei
creditori del titolare, in deroga al principio di responsabilità
patrimoniale di cui all’art. 2740.
Possiamo ulteriormente circoscrivere l’ambito d’operatività
della norma tenendo presente la ragion d’essere dell’imposta
sulle donazioni: colpire i fenomeni in virtù dei quali un
soggetto si arricchisce senza compiere alcuno sforzo o
sacrificio patrimoniale. Solo i vincoli di destinazione da cui
deriva un arricchimento in capo ad un soggetto sono imponibili
ex art 2.47 l. 286/2006.
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 48/E del 6 agosto
2007, esclude che siano soggette all’imposta sulle donazioni la
costituzione, da parte di una società, di un patrimonio
destinato ad uno specifico affare e la costituzione di un fondo
patrimoniale tutte le volte in cui la costituzione del vincolo
non comporti il trasferimento di beni, sulla base del principio
per cui, sempre secondo l’Agenzia, non già qualunque atto
costitutivo di vincolo di destinazione assuma rilevanza ai fini
dell’imposta sulle donazioni, ma solo quelli in cui all’effetto
segregativo si accompagna un effetto traslativo che muti la
titolarità dei beni che ne sono oggetto.
Si ha invece sia trasferimento, sia arricchimento, nel caso di
fondo patrimoniale, nel caso in cui questo è costituito con beni
di un terzo o di uno solo dei coniugi che non se ne riservi la
proprietà, sì che il bene ricada sotto la titolarità comune di
34
entrambi i coniugi, generando quindi un trasferimento di tutto
(nel primo caso) o di una quota di metà del bene (nel secondo).
Queste considerazioni sono valide pure per l’istituto di cui
all’art. 2645-ter c.c., che astrattamente appare idoneo a
generare più di frequente, rispetto al fondo patrimoniale,
l’arricchimento che rileva ai fini dell’imposta sulle donazioni,
sebbene nella prassi non abbia ancora trovato diffusa
applicazione, a causa della legittima reticenza dei funzionari
deputati dalla legge a rogare, nella forma dell’atto pubblico, i
c.d. atti di destinazione di cui la legge prevede, all’art.
2645-ter, la trascrivibilità, senza disciplinarne direttamente
il contenuto necessario ad validitatem.
L’art. 2645-ter, in particolare, prevede la possibilità di
trascrivere gli atti pubblici di destinazione di beni per la
realizzazione di particolari interessi meritevoli di tutela.
Omettendo di soffermarci ulteriormente sulle considerazioni
che potremmo fare circa l’inadeguatezza della tecnica
legislativa usata per redigere tale ultima disposizione, la
quale, prima ancora di disciplinare in modo diretto il contenuto
dell’atto di destinazione, ne prevede la trascrivibilità,
accenniamo qui che in virtù di tale norma un soggetto ha il
potere di costituire su alcuni dei propri beni un vincolo di
carattere reale, e non semplicemente obbligatorio, in virtù del
quale i beni de quibus e i loro frutti possono essere impiegati
solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono
costituire oggetto di esecuzione solo per debiti contratti a
tale scopo. L’atto che produce tale limitazione, se debitamente
pubblicizzato, è quindi opponibile erga omnes.
Occorre dare il giusto peso al fatto che il legislatore abbia
affiancato la fattispecie dei vincoli di destinazione al
trasferimento di beni o diritti, invece di farla rientrare nel
concetto stesso di trasferimento come ha preferito fare, con il
comma 2 dell’art. 1 d.lgs. 346/90, per le rinunce a diritti
35
reali e di credito, per le costituzioni di diritti reali e le
costituzioni di rendite e pensioni.
Secondo GAFFURI 12 , ciò è dovuto al fatto che il legislatore
avrebbe voluto prevedere, per le due diverse fattispecie - i
semplici trasferimenti e i vincoli di di destinazione -
differenti momenti di perfezionamento del presupposto
impositivo. Per i primi, il debito d’imposta sorge nel momento
in cui si verifica l’arricchimento. Per i secondi, il momento
impositivo sarebbe anticipato rispetto al momento in cui
l’arricchimento è effettivo ed attuale: il vincolo di
destinazione è imponibile già dal momento in cui determina la
sola «prospettiva, giuridicamente inequivoca e suscettibile di
tutela, di un vantaggio patrimoniale diverso dall’autore del
vincolo funzionale». Sempre secondo l’autore citato, non sarebbe
costituzionalmente illegittima questa dissociazione tra il
conseguimento concreto e materiale del vantaggio patrimoniale e
il momento della tassazione, così come non lo è il principio
contabile di competenza, per il quale sono tassate anche le
poste attive di bilancio consistenti in crediti non ancora
riscossi. Aderendo sostanzialmente alla tesi del GAFFURI, nella
circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E l’Agenzia delle Entrate non
manca di sfruttare l’occasione per assicurarsi tempestivamente
le maggiori entrate tributarie possibili.
Ovviamente resta indispensabile la presenza di un soggetto
terzo, diverso dal disponente, che dell’atto costitutivo del
vincolo di destinazione tragga arricchimento, esulando dal
presupposto d’imposta i casi in cui il vincolo è costituito da
un soggetto solo come autolimitazione della disponibilità dei
propri beni, a beneficio proprio, o comunque a beneficio, a
titolo di esempio, anche del coniuge ma senza che questo assuma
la titolarità dei beni oggetto del vincolo.
12 Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni e donazioni,
in Rass. Trib. 2007, n. 2, p. 458.
36
3. PRESUNZIONE DI LIBERALITA’
L’art. 26 d.P.R. 131/86 prevede la c.d. presunzione di
liberalità, in virtù della quale taluni atti si presumono posti
in essere per liberalità e sono quindi assoggettati ex lege
all’imposta sulle donazioni.
Il comma 1 della disposizione recita: «I trasferimenti
immobiliari, escluse le permute aventi per oggetto immobili ma
fino a concorrenza del minore dei valori permutati, ed i
trasferimenti di partecipazioni sociali, quando il valore della
partecipazione o la differenza tra valore e prezzo siano
superiori all'importo di 350 milioni di lire, posti in essere
tra coniugi ovvero tra parenti in linea retta o che tali siano
considerati ai fini dell'imposta sulle successioni e donazioni
si presumono donazioni se l'ammontare complessivo dell'imposta
di registro e di ogni altra imposta dovuta per il trasferimento,
anche se richiesta successivamente alla registrazione, risulta
inferiore a quello delle imposte applicabili in caso di
trasferimento a titolo gratuito, al netto delle detrazioni
spettanti.»
Quindi le condizioni d’operatività della presunzione
riguardano:
a) l’oggetto dell’atto, che deve consistere in un
trasferimento immobiliare (comprese le permute per la differenza
di valore tra i due beni permutati e le usucapioni, in base al
comma 4) o di partecipazioni sociali (se il valore della
partecipazione o la differenza tra valore e prezzo è superiore a
350 milioni di lire13);
b) il rapporto di famiglia tra le parti dell’atto, che deve
13 Tale importo corrisponde a quello della vecchia franchigia
dell’imposta sulle donazioni e pure la ratio sottesa alla franchigia prevista dall’art. 26 è la stessa di quella dell’imposta sulle donazioni. Si tratta di un infelice rinvio fisso che crea una discrepanza tra l’attuale franchigia prevista per l’imposta sulle donazioni e quella da applicare nella presunzione di liberalità. E’ auspicabile un intervento legislativo adeguatore dell’art. 26 ai mutati importi della franchigia sulle donazioni.
37
corrispondere a coniugio o parentela in linea retta (o
assimilati dalla disciplina dell’imposta sulle successioni e
donazioni);
c) l’ammontare dell’imposta di registro e di ogni altra
imposta dovuta, che deve risultare inferiore a quello dovuto
secondo la disciplina dell’imposta sulle donazioni.
La presunzione di liberalità antenata a quella attuale era
contenuta prima nell’art 5 d.lgt. 90/45 e poi nell’art. 25
d.P.R. 634/72, i quali escludevano espressamente la prova
contraria alla presunzione. Lo stesso faceva anche l’originaria
formulazione dell’art. 26 d.P.R. 131/86.
Questa presunzione iuris et de iure è stata dichiarata
costituzionalmente illegittima solo con la sentenza della Corte
Costituzionale 15 febbraio 1999, n. 41, per contrarietà al
principio di ragionevolezza e di capacità contributiva (artt. 3
e 53 Cost.). Nel 2000 il legislatore14 ha abrogato espressamente
la parte della disposizione che escludeva l’ammissibilità della
prova contraria (già incostituzionale). Oggi la presunzione è
quindi relativa.
Le finalità di tale presunzione sono chiaramente antielusive:
il legislatore vuole evitare che due parti mascherino un
fenomeno soggetto a imposta sulle donazioni in modo da renderlo
soggetto a imposta di registro, ma oggi, con le nuove
franchigie, i casi in cui ciò accade sono molto meno frequenti
di un tempo.
Nel comma 2, un legislatore avveduto si preoccupa di imporre
alle parti l'obbligo di dichiarare in atto se tra loro sussista
o no un rapporto rilevante ai sensi del comma 1. In mancanza di
tale dichiarazione il rapporto si considera gratuito se al
momento della registrazione non risulti comprovata l’inesistenza
del rapporto.
In chiusura, il comma 4 estende l’applicabilità della
presunzione anche agli accertamenti d’usucapione di diritti
14 Con l’art. 69.5 b) della l. 342/2000.
38
immobiliari.
4. SOGGETTI PASSIVI
In base all’art. 5, l’imposta è dovuta dai donatari per le
donazioni e dai beneficiari per le altre liberalità tra vivi.
Il comma 2 dispone che, ai fini dell’imposta, si considerano
parenti in linea retta anche i genitori e i figli naturali, i
rispettivi ascendenti e discendenti in linea retta, gli
adottanti e gli adottati, gli affilianti e gli affiliati. La
parentela naturale, se il figlio non è stato legittimato o
riconosciuto o non è riconoscibile, deve risultare da sentenza
civile o penale, anche indirettamente, ovvero da dichiarazione
scritta del genitore verificata, se il valore imponibile dei
beni o diritti trasferiti al parente naturale è superiore a 40
milioni di lire, secondo le disposizioni degli articoli 2 e 3
della legge 19 gennaio 1942, numero 23.
5. CONSISTENZA DEL PRELIEVO
5.1. DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE.
Di base imponibile s’è già parlato nel paragrafo 2.1 della
presente sezione, dove ci siamo concentrati sul tema
dell’arricchimento. Ricordiamo che l’art. 2.49 l. 286/2006
dispone che la base imponibile è costituita dal valore globale
dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il
beneficiario».
Dunque una base imponibile di natura diversa da quella
dell’imposta di registro, in cui si guarda al valore
dell’oggetto dell’atto al lordo di eventuali passività gravanti
sulla parte che dà luogo al presupposto d’imposta, e di questo
l’interprete dovrà tener conto quando si troverà ad applicare
l’una o l’altra imposta secondo le linee guida che abbiamo
tracciato.
39
5.1.1. IMMOBILI
L’art. 14 dà indicazioni sulla determinazione della base
imponibile quando questa è costituita da beni immobili. Occorre
assumere:
a) per la piena proprietà: il valore venale in comune
commercio alla data dell'atto di donazione;
b) per la proprietà gravata da diritti reali di godimento: la
differenza tra il valore della piena proprietà e quello del
diritto da cui è gravata;
c) per i diritti di usufrutto, uso e abitazione: il valore
determinato a norma dell’art. 17, cioè moltiplicando il valore
della piena proprietà per il saggio legale d'interesse e per il
coefficiente, relativo all'età del titolare del diritto, di cui
al prospetto allegato al d.P.R. 131/1986;
d) per il diritto dell’enfiteuta, il ventuplo del canone annuo
ovvero, se maggiore, la differenza tra il valore della piena
proprietà e la somma dovuta per l’affrancazione; per il diritto
del concedente la somma dovuta per l’affrancazione.
La lettera a), riferendosi al valore venale in comune commercio,
sembra dare ampia discrezionalità alle parti nella
determinazione del prezzo e quindi della base imponibile.
Tuttavia l’art. 34.3 prevede la possibilità per l’ufficio di
rettificare tale valore avendo riguardo ai trasferimenti a
qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie,
anteriori di non oltre tre anni alla data dell'atto, o a quella
in cui se ne produce l'effetto traslativo o costitutivo, che
hanno avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe
caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli
immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente
applicato alla detta data e nella stessa località per gli
investimenti immobiliari, nonché ad ogni altro elemento di
valutazione, anche sulla base di indicazioni fornite dai
Comuni.
Il potere di rettifica dell’ufficio non è però assoluto: alle
40
donazioni si applica, in virtù del richiamo generale di cui
all’art. 56, il comma 5 dell’art. 34 previsto per le
successioni, che esclude la rettificabilità del valore degli
immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita
dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a 75 volte il
reddito dominicale e, per i fabbricati, a 100 volte il reddito
catastale.
5.1.2. AZIENDE
In guisa dell’art. 15.1 la base imponibile, relativamente alle
aziende donate, è determinata assumendo il valore complessivo,
alla data dell'atto, dei beni e dei diritti che le compongono,
esclusi i beni esclusi dall'imposta di donazione, al netto delle
passività. Se il donante é obbligato alla redazione
dell'inventario di cui all'art. 2217 del codice civile, si ha
riguardo alle attività e alle passività indicate nell'ultimo
inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei
mutamenti successivamente intervenuti.
Da notare che ai fini dell’imposta non si deve più tener conto
dell’avviamento d’azienda quale posta attivà (art. 69 primo
comma lett. g) ed h) della l. 21 novembre 2000 n. 342).
In caso di usufrutto o uso si applicano le norme esposte nel
paragrafo precedente in materia di immobili.
Quanto al potere di rettifica, da parte dell’ufficio, del
valore dell’azienda dichiarato dal contribuente, l’art. 60
d.lgs. 346/1990 richiama l’art. 51.4 d.P.R. 131/86, perciò
l’ufficio può rideterminare tale valore tenendo conto anche
degli accertamenti relativi ad altre imposte, con facoltà di
procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le
disposizioni relative all'IVA.
5.1.3. NAVI E AEROMOBILI
Ai sensi dell’art. 15.2 il valore delle navi o imbarcazioni e
degli aeromobili, che non fanno parte di aziende, è desunto dai
41
prezzi mediamente praticati sul mercato per beni della stessa
specie di nuova costruzione, tenendo conto del tempo trascorso
dall'acquisto e dello stato di conservazione. Anche in questo
caso, all’usufrutto o uso si applicano le norme previste per gli
immobili.
5.1.4. AZIONI, OBBLIGAZIONI E QUOTE SOCIALI
Relativamente alle azioni, obbligazioni, altri titoli e quote
sociali oggetto di donazione, ai sensi dell’art. 16 la base
imponibile è determinata assumendo:
a) per i titoli quotati in borsa o negoziati al mercato
ristretto, la media dei prezzi di compenso o dei prezzi fatti
nell'ultimo trimestre anteriore alla data dell'atto, maggiorata
dei dietimi o degli interessi successivamente maturati, e in
mancanza il valore di cui alle lettere successive;
b) per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al
capitale di enti diversi dalle società, non quotate in borsa, né
negoziati al mercato ristretto, nonché per le quote di società
non azionarie, comprese le società semplici e le società di
fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore,
alla data dell'atto, del patrimonio netto dell'ente o della
società risultante dall'ultimo bilancio pubblicato o dall'ultimo
inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei
mutamenti sopravvenuti, ovvero, in mancanza di bilancio o
inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti
appartenenti all'ente o alla società al netto delle passività
risultanti a norma degli articoli da 21 a 23, escludendo i beni
o diritti esenti da imposta secondo l’art. 12;
c) per i titoli o quote di partecipazione a fondi comuni
d'investimento, il valore risultante da pubblicazioni fatte o
prospetti redatti a norma di legge o regolamento;
d) per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli
indicati alle lettere a), b) e c) il valore comparato a quello
dei titoli aventi analoghe caratteristiche quotati in borsa o
42
negoziati al mercato ristretto o in mancanza desunto da altri
elementi certi.
Come prima, in caso di usufrutto si applicano le norme sugli
immobili.
5.1.5. RENDITE E PENSIONI
Esulano dal presupposto dell’imposta sulle donazioni le
rendite e pensioni derivanti da contratto inter vivos (come può
essere un contratto di assicurazione sulla vita): l’art. 17
trova applicazione solo nel caso di imposizione del fenomeno
successorio15.
5.1.6. CREDITI
La donazione di crediti è regolata dall’art. 18. La base
imponibile è determinata assumendo:
a) per i crediti fruttiferi, il loro importo con gli interessi
maturati;
b) per i crediti infruttiferi con scadenza dopo almeno un anno
dalla data dell'atto, il loro valore attuale calcolato al saggio
legale di interesse;
c) per i crediti in natura, il valore dei beni che ne sono
oggetto;
d) per il diritto alla liquidazione delle quote di s.s, s.n.c
e s.a.s. e di quelle a esse equiparate ai fini delle imposte sui
redditi, di cui all'art. 2289 del codice civile, il valore delle
quote è determinato a norma dell’art. 16.
5.2. ALIQUOTE E FRANCHIGIE
Preme qui trattare delle franchigie che il legislatore ha
previsto per tenere esenti dall’imposta talune liberalità e
delle aliquote da applicare a quella parte di base imponibile
che oltrepassa tali franchigie. Il legislatore ha tenuto esenti
15 Dello stesso avviso GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni,
Padova, 2008, p. 267.
43
da imposta le liberalità che non superino un determinato valore
disposte in favore di categorie particolari di soggetti, in
ragione del rapporto familiare che questi hanno con il
disponente o delle sfortunate condizioni psicofisiche in cui
versano.
Tali esenzioni sono previste per favorire i passaggi di
ricchezza intrafamiliari e quelli atti ad avvantaggiare soggetti
portatori di handicap.
Le modifiche apportate al d.lgs. 346/90 dalle leggi 286/2006
(art. 2 commi 48 e 49) e 296/2006 (art. 1 commi 77 e 78)
indicano la qualità che il donatario deve rivestire per godere
della franchigia, l’ammontare della franchigia e l’aliquota da
applicare al trasferimento, la quale varia al variare della
qualifica dell’acquirente. Si ha dunque che ai trasferimenti:
a) in favore del coniuge e dei parenti in linea retta si
applica l’aliquota del 4% sul valore della base imponibile
eccedente la franchigia di 1.000.000€;
a-bis) in favore dei fratelli e delle sorelle si applica
l’aliquota del 6% sul valore della base imponibile eccedente la
franchigia di 100.000€;
b) in favore di altri parenti fino al 4° grado, di affini in
linea retta o di affini in linea collaterale fino al 3° grado si
applica l’aliquota del 6% sull’intero ammontare della base
imponibile, senza franchigia alcuna;
c) in favore di altri soggetti si applica l’aliquota dell’8%
sull’intero ammontare della base imponibile, senza franchigia
alcuna;
d) in favore di soggetti portatori di handicap grave ai sensi
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è riconosciuta franchigia
di 1.500.000€ con applicazione delle stesse aliquote testé
esposte. Dunque, se il soggetto portatore di handicap è coniuge
o parente in linea retta del donante 4%; se parente sino al 4°
grado, affine in linea retta, o affine in linea collaterale
entro il 3° grado 6%; negli altri casi 8%.
44
5.3. IL CUMULO
Potrebbe darsi il caso in cui un soggetto intenzionato a
donare un ammontare di denaro o altra utilità talmente
considerevole da superare le franchigie tenti di frazionare
l’operazione in più trasferimenti distinti, ciascuno di importo
inferiore a quello della franchigia e tenere così indenne il
donatario dal pagamento dell’imposta.
Per evitare questo genere di abusi, come pure per evitare che,
anche al di fuori di fenomeni elusivi, ci si possa avvantaggiare
della franchigia oltre il limite fissato dal legislatore, l’art.
57 prevede che la base imponibile della donazione di cui si
tratta vada maggiorato dell’importo pari al valore di tutte le
donazioni - ma la legge dovrebbe oggi parlare di atti gratuiti,
giusto il mutato oggetto dell’imposta - già intervenute tra i
medesimi soggetti, comprese le donazioni presunte ex. art. 26
d.P.R. 131/86, escluse le donazioni remuneratorie e quelle di
modico valore, nonché quelle di cui agli artt. 3 e 59.
Si deve necessariamente aderire allo studio della Commissione
studi tributari del Consiglio Nazionale del Notariato n.
113/2000/T del 15 dicembre 2000 dove ritiene che le liberalità
indirette collegate ad atti concernenti il trasferimento e la
costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di
azienda per i quali sia prevista l'applicazione dell'imposta
proporzionale di registro o l'IVA siano escluse dal cumulo, in
quanto non soggette ad imposta giusta il disposto dell'art. 1.4-
bis.
Riguardo poi alle liberalità dirette non donative, sebbene la
disposizione sul cumulo si riferisca alle sole donazioni e dove
il legislatore abbia inteso riferirsi anche alle altre
liberalità l’abbia fatto espressamente 16, esigenze di parità di
trattamento ci impongono di concludere che anche queste, sono
soggette al cumulo.
16 Si pensi, per esempio, agli artt. art. 1.1, 5.1, art. 56-bis e art.
58.5.
45
5.3.1. RIVALUTAZIONE DELLE DONAZIONI ANTERIORI
L’ultimo periodo dell’art. 57.1 sancisce che, ai fini del
cumulo, per valore delle donazioni anteriori si intende il
valore attuale dei beni e dei diritti donati e si considerano
anteriori alla donazione anche le donazioni di pari data.
Da ciò si ricava che il valore delle donazioni anteriori vada
rivalutato alla data della donazione che ci si accinge a
sottoporre a imposizione, altrimenti ne deriverebbe un
sostanziale aumento delle franchigie, perché il valore
“nominale” che il bene anteriormente donato aveva alla data
della donazione anteriore può non coincidere con il valore
“reale” che tale bene ha alla data della donazione successiva17.
Così, se in un certo giorno Tizio dona al fratello Caio un
terreno del valore di 40.000€ (dunque un valore inferiore a
quello della franchigia tra fratelli di 100.000€) e in seguito
il valore di mercato del bene aumenta (vuoi perché il terreno è
passato da agricolo a edificabile, vuoi perché la moneta si è
svalutata) in misura tale da superare l’importo della
franchigia, alla donazione successiva non si potrà applicare la
franchigia residua di 60.000€, in quanto tale franchigia residua
è stata erosa dall’aumento di valore del bene. Questa visione
sarebbe coerente con la ragion d’essere dell’imposta sulle
successioni e donazioni, cioè l’intenzione di colpire gli
arricchimenti ottenuti senza alcuno sforzo.
Certo è che il principio di rivalutazione delle donazioni
anteriori necessita di correttivi, perché se il bene è aumentato
di valore per dei miglioramenti apportati dal donatario, allora
ciò non potrà andare a scapito della possibilità, per il
donatario, di godere della franchigia residua e il
corrispondente aumento di valore non andrà computato nella
rivalutazione.
17 Se ne trova conferma in Comm. Trib. prov. Salerno 26 marzo 2001, n.
4441, in CeRDEF.
46
Secondo CERNIGLIARO DINI 18 il valore attuale del bene donato può
anche essere inferiore alla sua consistenza originaria, e ciò
sembra condivisibile, sia per un ragionamento inverso rispetto a
quello che sta alla base del principio cuius commoda eius et
incommoda, sia perché la lettera della legge non limita
l’operatività della rivalutazione al solo verso in peius.
Per i criteri di rivalutazione delle singole categorie di beni
rimandiamo a CERNIGLIARO DINI, op. cit..
5.3.2. IL CUMULO NEL DIRITTO TRANSITORIO
Nel silenzio della legge, la questione di diritto transitorio
della cumulabilità o no delle donazioni intervenute nel periodo
di abrogazione dell’imposta (2001-2006) è risolta in senso
positivo dalla prassi19 (che non perde occasione per incamerare
il gettito derivante dal fatto che le donazioni successive
cumulate a quelle compiute tra il 2001 e il 2006 superino la
franchigia).
In presenza di contrastanti pronunce giurisprudenziali 20
propendiamo per la soluzione negativa, in quanto le donazioni
poste in essere tra il 2001 e il 2006 non hanno scontato imposta
sulle donazioni, ma di registro, ed è assurdo precludere ad un
soggetto la possibilità di godere della franchigia solo perché
ha già ricevuto per una donazione sulla quale non ha operato la
franchigia.
6. SGRAVI FISCALI
6.1. ESENZIONI
Si sono voluti tenere esenti dall’imposta sulle donazioni, per
l’intero ammontare e senza limiti di franchigia, i trasferimenti
18 Commentario breve alle leggi tributarie a cura di MARONGIU, Padova,
2011, p. 1303. 19 Circolare 2008 n. 3/E. 20 Cumulabilità per Comm. trib. prov. Milano 10 novembre 2008 e non
cumulabilità per Comm. trib. prov. Bergamo 17 maggio 2010.
47
aventi ad oggetto beni culturali (art. 13), cui si applica solo
un’ibrida imposta di donazione in misura fissa di 168€, e quelli
effettuati a vantaggio di particolari soggetti (art. 3).
Questi sono:
a) lo Stato, le Regioni, le Province i Comuni;
b) gli enti pubblici e le fondazioni o associazioni
riconosciute che hanno come scopo escluivo l’asistenza, lo
studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o
altre finalità di pubblica utilità, nonché le ONLUS;
c) gli enti pubblici e le associazioni o fondazioni diverse
dalle precedenti se disposti per le finalità sopra indicate (con
l’onere per il beneficiario di dimostrare entro 5 anni di aver
impiegato i beni per la finalità per cui questi erano stati
trasferiti);
d) le fondazioni bancarie;
e) i movimenti e partiti politici;
f) altra esenzione è quella prevista nel caso di passaggio
generazionale dell’impresa, di cui trattiamo nel paragrafo
seguente.
6.1.1. L’ESENZIONE DEI PASSAGGI GENERAZIONALI (PATTO DI
FAMIGLIA)
In virtù dell’art. 3.4-ter, non sono soggetti a imposta i
trasferimenti a favore di discendenti e del coniuge del
disponente, se trattasi di aziende o rami di esse, di quote
sociali e azioni (anche in caso di patto di famiglia).
In caso di quote o azioni di s.p.a., s.a.p.a., s.r.l., società
cooperative, mutue assicuratrici, società europee e società
cooperative europee residenti nel territorio delo Stato,
l’esenzione opera solo in riferimento alle partecipazioni
mediante le quali è acquisito o integrato il controllo sociale
ai sensi del 2359.1 n. 1) c.c. (dunque la maggioranza dei voti
esercitabili nell’assemblea ordinaria).
48
Il beneficio si applica a condizione che l’avente causa
prosegua l’esercizio dell’impresa o detenga il controllo della
società per almeno 5 anni dal trasferimento e che nel
trasferimento abbia reso apposita dichiarazione in tal senso, a
pena di decadenza dal beneficio.
6.2. RIDUZIONI
Oltre alle esenzioni, sono previste delle riduzioni, dunque
degli sgravi di minor misura.
L’art. 25 prevede delle riduzioni in materia di successione.
Tale disposizione è richiamata dall’art. 56 per le donazioni.
6.2.1. RIDUZIONE DEL QUINQUENNIO
Se la donazione è compiuta entro un peeriodo di 5 anni
dall’apertura della successione o dell’altradonazione da cui il
bene oggetto della donazione che ci si accinge a sottoporre a
imposizione proviene, l'imposta è ridotta di un importo
inversamente proporzionale al tempo trascorso, in ragione di un
decimo per ogni anno o frazione di anno; se nella donazione non
sono compresi tutti i beni e i diritti oggetto della precedente
successione o donazione o sono compresi anche altri beni o
diritti, la riduzione si applica sulla quota di imposta
proporzionale al valore dei beni e dei diritti compresi in
entrambe (art. 25.1).
6.2.2. RIDUZIONE SUI BENI CULTURALI NON VINCOLATI
Nel caso di donazioni di beni immobili culturali di cui
all’art. 13, non ancora sottoposti al vincolo previsto nell’art.
2 della l. 1° giugno 1939, n. 1089, l'imposta dovuta dal
donatario è ridotta dell'importo proporzionalmente
corrispondente al cinquanta per cento del loro valore, a
condizione che esso adempia l’onere di presentare l’inventario
dei beni all’organo competente (art. 25.2).
49
6.2.3. RIDUZIONE SUI FONDI RUSTICI
Nel caso di donazioni di donazione fondi rustici, incluse le
costruzioni rurali, anche se non insistenti sul fondo, di cui
all'art. 39 del testo unico delle imposte sui redditi approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.
917, compiute a favore del coniuge, di parenti in linea retta o
di fratelli o sorelle del donante, l'imposta dovuta è ridotta
dell'importo proporzionalmente corrispondente al 40% della parte
del loro valore complessivo non superiore a 200 milioni di lire
(art. 25.3).
La riduzione compete a condizione che il beneficiario sia
coltivatore diretto, che la devoluzione avvenga nell'ambito di
una famiglia diretto coltivatrice e che l'esistenza di questi
requisiti risulti da attestazione dell'ufficio regionale
competente allegata all'atto di donazione.
6.2.4. RIDUZIONE SUGLI IMMOBILI DELL’AZIENDA ARTIGIANA FAMILIARE
Nel caso di donazione di immobili o parti di immobili adibiti
all'esercizio dell'impresa, a favore del coniuge o di parenti in
linea retta entro il terzo grado del donante nell'ambito di una
impresa artigiana familiare, come definita dalla legge 8 agosto
1985, n. 443, e dall'art. 230 bis del codice civile, l'imposta
dovuta è ridotta dell'importo proporzionalmente corrispondente
al 40% della parte del loro valore complessivo non superiore a
200 milioni di lire (art. 25.4).
La riduzione compete a condizione che l'esistenza dell'impresa
familiare artigiana risulti dall'atto pubblico o dalla scrittura
privata autenticata di cui all’art. 5, comma 4, lettera a), del
testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R.
917/86.
6.2.5. RIDUZIONE IN MATERIA DI COMUNI MONTANI
Nel caso di donazione di aziende, quote di società di persone o
beni strumentali (purché ubicati in comuni montani con meno di
50
5000 abitanti o, nel caso di comuni maggiori, nelle frazioni)
compiute a favore del coniuge o del parente entro il 3° grado
del donante, l'imposta dovuta è ridotta dell'importo
proporzionalmente corrispondente al 40% della parte del loro
valore complessivo (art. 25.4-bis).
La riduzione compete a condizione che gli aventi causa
proseguano effettivamente l'attività imprenditoriale per un
periodo non inferiore a cinque anni dalla data del
trasferimento.
6.3. DETRAZIONE IVA
Ai sensi dell’art. 56.5, al debito d’imposta lordo si detrae
l’imposta sul valore aggiunto afferente la cessione, se alla
richiesta di registrazione dell’atto è allegata la fattura.
51
_____________________________________________________
SEZIONE 2 - L’IMPOSTA DI REGISTRO
Sommario: 1. L’ambito di applicazione - 2. La registrazione
d’ufficio - 2.1. Atti pubblici e scritture private autenticate -
2.2. Scritture private non autenticate - 2.3. Contratti verbali
- 3. L’enunciazione - 4. La registrazione delle liberalità - 5.
La determinazione dell’imposta - 5.1. Contratti aventi ad
oggetto diritti reali - 5.2. Permute - 5.3. Remissioni del
debito. Coordinamento con l’imposta sulle donazioni - 5.4.
Rinunce a diritti reali - 5.5. Contratti diversi - 6.
Alternatività tra IVA e imposta di registro - 7. La doppia
imposizione su registrazione e donazioni
1. L’AMBITO D’APPLICAZIONE
L’imposta di registro si applica sugli atti, in particolare
sugli atti soggetti a registrazione e su quelli registrati
volontariamente (art. 1 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Sono soggetti obbligatoriamente a registrazione in termine
fisso gli atti indicati nella prima parte della Tariffa
allegata; sono soggetti obbligatoriamente a registrazione solo
in caso d’uso gli atti indicati nella seconda parte della stessa
(artt. 2-7); può essere registrato volontariamente qualunque
atto (art. 8). La prima e la seconda parte della Tariffa
contengono un elenco eterogeneo di atti, cui si rimanda.
2. LA REGISTRAZIONE D’UFFICIO
L’art. 15 del d.P.R. 131/1986 regola la registrazione
d’ufficio, in deroga al principio generale secondo cui la
52
registrazione presuppone sempre l’impulso del soggetto
interessato all’atto.
La registrabilità d’ufficio è una conseguenza
dell’obbligatorietà della registrazione: nei casi in cui la
registrazione è obbligatoria e i soggetti che vi sono tenuti,
indicati dall’art. 10, non ne fanno richiesta, vi procede
l’Agenzia delle Entrate, la quale notifica ai primi un avviso di
liquidazione, intimandoli al pagamento dell’imposta e
dell’eventuale sanzione.
Vediamo dunque quali sono gli atti soggetti a registrazione
d’ufficio.
2.1. ATTI PUBBLICI E SCRITTURE PRIVATE AUTENTICATE
Sono soggetti a registrazione d’ufficio gli atti pubblici, le
scritture private autenticate e gli atti degli organi
giurisdizionali.
L’Agenzia delle Entrate può prendere conoscenza della mancata
registrazione di un atto pubblico o di una scrittura privata
autenticata nel contesto di un controllo del repertorio del
pubblico ufficiale che ha rogato l’atto.
I poteri dell’amministrazione finanziaria sono inoltre
rafforzati dall’art. 35, comma 24 del d.l. 223/2006, il quale,
prevedendo l’aggiunta al D.P.R. 131/1986 del nuovo art. 53 bis,
ha esteso alle imposte di registro, ipotecaria e catastale “le
attribuzioni e i poteri di cui agli articoli 31 e seguenti” del
D.P.R. 600/73, consistente in un sistema di poteri d’accesso,
ispezioni e verifiche.
2.2 SCRITTURE PRIVATE NON AUTENTICATE
All’articolo 15, comma 1, lettera b), si legge che, in merito
alle scritture private non autenticate, la registrazione possa
essere eseguita d'ufficio, previa riscossione dell'imposta
dovuta quando le scritture in parola siano depositate presso
pubblici uffici o quando l'amministrazione finanziaria ne sia
53
venuta legittimamente in possesso a seguito di particolari
accertamenti.
2.3. CONTRATTI VERBALI
Sono registrabili d’ufficio, in presenza di prova diretta
ovvero di presunzioni gravi, precise e concordanti, pure i
contratti verbali soggetti a registrazione in termine fisso, di
cui alle lettere a) e b) dell’art. 3.
L’elenco di cui all’art. 3.1 è tassativo quanto alla
registrabilità d’ufficio dei contratti ivi indicati, ma non è
escluso che siano imponibili anche contratti verbali diversi. Il
comma successivo, infatti, richiama l’art. 22 in materia di
enunciazione e apre la strada all’imponibilità di contratti
verbali diversi da quelli indicati nel comma primo.
3. L’ENUNCIAZIONE
L’art. 22 dispone che se in un atto sono enunciate
disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non
registrati posti in essere fra le stesse parti intervenute
nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica
anche alle disposizioni enunciate (è dovuta pure una pena
pecuniaria se l’atto enunciato e non registrato era soggetto a
registrazione).
L’istituto dell’enunciazione ha doppia finalità: antielusiva
nel caso di enunciazione di atti soggetti a registrazione in
termine fisso, in quanto grazie all’enunciazione si può attuare
il prelievo che già era dovuto ma cui le parti, non registrando
l’atto, si stavano sottraendo, e impositiva nel caso degli atti
da registrare solo in caso d’uso 21 e nel caso degli altri
21 La sentenza Cass. 5946/2007 ha infatti affermato l’idoneità
dell’enunciazione di un atto soggetto a registrazione in caso d’uso a sottoporre l’atto a tassazione, benché l’enunciazione non integri caso d’uso ex art. 6. Secondo uno studio del Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 208-2010/T, attualmente consultabile nel sito ufficiale del Consiglio, notariato.it, la lettura prospettata dalla Cassazione, se estremizzata, porta a conclusioni paradossali,
54
contratti verbali, relativamente ai quali, prima
dell’enunciazione, non sussisterebbe alcun debito d’imposta.
La «enunciazione di disposizioni» consiste nel richiamo degli
elementi costitutivi essenziali di un negozio giuridico, in modo
che possa essere determinata l’imposta dovuta per il negozio
enunciato, «come se l’atto venisse registrato come atto a sé
stante»22.
L’operatività dell’istituto dell’enunciazione non va però
esasperata: non opera infatti, quando si hanno «richiami
meramente storici o esplicativi» 23 . Già secondo Cass. 30 marzo
1951, n. 71424, affinché sia integrata la fattispecie presupposta
dell’istituto che troviamo oggi regolato dall’art. 22, è
necessario che l’enunciazione identifichi la disposizione
richiamata sia in ordine ai soggetti che al suo contenuto
oggettivo.
Insistiamo a tal punto sull’enunciazione perché quest’istituto
può essere usato dalle parti per evitare, lecitamente, di pagare
l’imposta sulle donazioni su un determinato atto, pagando solo
la relativa imposta di registro.
Questa possibilità è data dall’art. 1.4-bis d.lgs. 346/90,
introdotto dall'art. 69 comma 1 della legge 342/2000, il quale
prevede che «ferma restando l’applicazione dell’imposta anche
alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a
registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o
altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento
assoggettando a imposta di registro pure atti non soggetti a registrazione, se enunciati. Per evitare risultati contrari alla ratio della norma, la locuzione “atti non registrati” usata dall’art. 22 non va riferita ad atti che non siano stati registrati a causa della mancanza dell’obbligo di registrazione. Conseguenza necessaria di questa considerazione è che l’enunciazione di un atto soggetto a registrazione solo in caso d’uso rende l’atto enunciato imponibile solo se ciò avvenga dopo il verificarsi del caso d’uso (così anche BUSANI, La enunciazione di contratti verbali e atti scritti, Corr. trib., 2009, 3856).
22 BERLIRI, Le imposte di bollo e di registro, Milano, 1970, p. 142. 23 BERLIRI, op. cit., p. 181. 24 in Giur. Imp dir. reg. e neg. 1951, n. 87.
55
o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento
di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione
dell’imposta di registro in misura proporzionale o dell’imposta
sul valore aggiunto».
Due condizioni devono ricorrere affinché l’atto sia esente da
imposta sulle donazioni: che vi sia un collegamento tra
donazione indiretta ed altro atto concernente il trasferimento o
la costituzione di diritti immobiliari o il trasferimento di
aziende, e che per l'atto collegato sia dovuta l'imposta
proporzionale di registro ovvero l'IVA.
Ciò permette di non pagare l’imposta sulle donazioni
relativamente a liberalità che siano soggette a imposta di
registro collegate a trasferimenti immobiliari o d’azienda: è
sufficiente enunciare tali atti nell’atto di trasferimento
immobiliare cui sono collegate affinché restino esenti
dall’imposta sulle donazioni ex art. 1.4-bis d.lgs. 346/90 e
scontino la sola imposta di registro ex art. 22 d.P.R. 131/86,
la quale, se la base imponibile supera l’importo della
franchigia prevista per l’imposta sulle donazioni, è meno
onerosa di quest’ultima.
L’enunciazione della liberalità nel trasferimento immobiliare
serve a palesarne il collegamento negoziale in virtù del quale
restano esenti da imposta sulle donazioni.
Se le parti di un contratto che soddisfi i requisiti posti dal
1.4-bis fanno enunciazione, in tale atto, di una donazione o
altra liberalità 25 , a quest’ultima non si applicherà l’imposta
25 Liberalità che può essere anche di natura indiretta, dal momento che
l’inciso iniziale del comma 4-bis non deve esser visto come un’eccezione all’esenzione prevista dal prosieguo dell’art. 1.4-bis, tale per cui il collegamento negoziale non renderebbe esenti da imposta sulle donazioni le liberalità indirette. Diversamente l’inciso deve essere interpretato come un modo per esplicitare l’applicabilità del tributo sulle donazioni anche alle liberalità indirette, di per sé già rientranti nel presupposto impositivo generale individuato dall’art. 2.47 l. 286/2006. Si tratta dunque, come sostiene GHINASSI, Liberalità indirette nel processo tributario, in Rass. Trib. 2010, n. 2, p. 420 e ss., di una «ulteriore ancorché superflua conferma dell’imponibilità delle
56
sulle donazioni, dovendo questa scontare solo l’imposta di
registro o l’IVA.
A titolo di esempio, se un soggetto, nell’atto con cui compra
un immobile, fa enunciazione della dazione gratuita di denaro
fattagli dal padre, tale dazione, collegata con il trasferimento
immobiliare, sarà protetta dall’imposizione sulle donazioni e si
pagherà su di essa la sola imposta di registro.
Lo stesso Ministero delle Finanze, nella circolare del 16
novembre 2000, n. 207/E, afferma che «per tutti gli acquisti
immobiliari finanziati da terzi, sarà possibile dichiarare in
atto che il pagamento é avvenuto a cura del soggetto donante,
così da consentire alle famiglie di rendere trasparenti i loro
rapporti economici (ad esempio la dazione di denaro dal padre al
figlio ovvero il pagamento del relativo prezzo da parte del
padre per l'acquisto di una casa)».
In casi consimili sarà opportuno dichiarare il collegamento
per tre ordini di motivi:
A) per evitare accertamenti presuntivi che danneggerebbero il
donatario, in quanto così facendo si palesa fin da principio la
provenienza donativa del denaro impiegato per il pagamento del
corrispettivo, evitando di doverla dimostrare nel corso di un
giudizio d’accertamento;
B) in secondo luogo per motivi successori, essendo
l’acquirente tenuto a fare collazione dell’oggetto della
liberalità ex art. 737 c.c.;
C) da ultimo, ai fini della dichiarazione sostitutiva di atto
di notorietà recante l'indicazione analitica delle modalità di
pagamento del corrispettivo, imposta dall'art. 35 comma 22 della
l. 248/2006 di conversione del d.l. 223/2006, c.d. menzioni
Bersani.
liberalità indirette (...)». Prosegue poi l’autore ribadendo, appunto, che la fattispecie investita dall’esenzione di cui all’art. 1.4-bis è quella di «liberalità (dirette e non) collegate ad atti soggetti a registrazione aventi ad oggetto trasferimento o costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende».
57
4. LA REGISTRAZIONE DELLE LIBERALITÀ
L’art. 55 del d.lgs. 346/90 dispone che gli atti di donazione
sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo
unico sull’imposta di registro, approvato con d.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, concernente gli atti da registrare in termine
fisso. Prosegue poi sancendo l’obbligo di registrare in termine
fisso pure le donazioni, dirette o indirette, formate all’estero
nei confronti di beneficiari residenti nello Stato, con la
possibilità di detrarre, dall’imposta su queste donazioni, le
imposte pagate all’estero in dipendenza della stessa donazione
ed in relazione ai beni ivi esistenti, salva l’applicazione
delle convenzioni contro le doppie imposizioni.
Ai sensi del comma 2, nei casi di cui all’art. 3, recante un
elenco di fattispecie che non sono soggette ad imposta sulle
donazioni, la registrazione è gratuita.
In linea di principio si può affermare che quando un atto di
liberalità, a causa della sua natura indiretta, sfugge
all’imposta sulle donazioni, sia comunque soggetto all’imposta
di registro, in quanto benché il negozio mezzo impiegato per
scopi liberali non integri i presupposti in presenza dei quali è
possibile assoggettarlo all’imposta sulle donazioni, può
comunque integrare quelli dell’imposta di registro. Ciò accade
precipuamente nel caso dell’atto oneroso che maschera una
liberalità, il quale è soggetto a registrazione.
Le liberalità diverse dalle donazioni, se non soggette a
registrazione, possono essere pure registrate volontariamente ai
sensi del combinato disposto degli artt. 56-bis comma 3 d.lgs.
346/90 e 8 d.P.R. 131/86.
5. LA DETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA
L’art. 43 stabilisce i criteri per determinare la base
imponibile a seconda del tipo di prestazioni dedotte in
contratto.
58
5.1. CONTRATTI AVENTI AD OGGETTO DIRITTI REALI
La lettera a) stabilisce che, nel caso di contratti a titolo
oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, la base
imponibile corrisponde al valore del bene o del diritto alla
data del contratto. E’ questo il caso del negotium mixtum cum
donatione, che, come si è visto retro, capitolo 1, paragrafo 2,
non muta la propria natura di contratto oneroso per la presenza
di uno squilibrio tra le prestazioni determinato da intento
liberale. A questo regime è sottoposta anche la vendita che due
parti simulano radicalmente allo scopo di nascondere una
liberalità, fintanto che l’amministrazione non si palesa il
negozio simulato.
L’art. 1 della Tariffa Parte 1 (di seguito, TP1) prevede, in
generale, per tali fattispecie l’aliquota del 9%.
5.2. PERMUTE
Se si tratta di una permuta, la lettera b) dispone che occorre
fare un raffronto tra due ipotetici debiti d’imposta, uno
determinato moltiplicando il valore di un bene per l’aliquota
per esso prevista e l’altro facendo lo stesso per il bene
oggetto della controprestazione. Il maggiore di questi due
importi determina il debito d’imposta concretamente dovuto.
Si applica l’aliquota dell’art. 1 TP1 del 9%.
Fa eccezione alla disciplina generale dettata dalla lettera b)
il caso in cui una delle parti della permuta sia soggetto IVA:
in tal caso si applica IVA alla cessione soggetta all’imposta
sul valore aggiunto e l’imposta di registro sull’altra.
5.3. REMISSIONI DEL DEBITO, COORDINAMENTO CON L’IMPOSTA SULLE
DONAZIONI
L’art. 43 prosegue indicando la disciplina del caso in cui ad
una prestazione di facere di una parte si accompagna, in
corrispettivo, quella di un dare in natura dell’altra parte,
della cessione del contratto e arriva, alla lettera e), a
59
disciplinare gli atti portanti assunzione di una obbligazione
che non costituisce corrispettivo di altra prestazione o
portanti estinzione di una precedente obbligazione. E’ il caso
delle promesse unilaterali e delle remissioni del debito.
La remissione del debito va registrata in termine fisso e con
l’applicazione dell’aliquota dello 0,5% (art. 6.1 TP1).
Occorre ricordare che l’art. 1.2 d.lgs. 346/90, prende in
considerazione le rinunce a diritti di credito, sancendone la
parificazione, ai fini dell’imposta sulle donazioni, ai
trasferimenti, dunque assoggettandovele.
Remissione del debito e rinuncia a diritto di credito hanno la
medesima causa e natura giuridica; sembrerebbe quindi che l’art.
1.2 d.lgs. 346/90 e l’art. 43 lett. e) d.P.R. 131/86 regolino in
modo diverso, prevedendo due diversi prelievi tributari, la
stessa fattispecie. Sorge quindi un apparente contrasto di
norme.
Nel 2001, quando l’imposta sulle donazioni si applicava solo
agli atti compiuti con animus donandi, avremmo potuto risolvere
la questione applicando alle rinunce o remissioni liberali
l’imposta sulle donazioni, e alle rinunce o remissioni meramente
gratuite l’imposta di registro, posto che l’imposta sulle
donazioni si applicava allora ai soli atti compiuti donandi
causa e che la formulazione della disposizione dell’imposta di
registro sulle remissioni è idonea ad abbracciare, oltre alle
rinunce onerose, anche le rinunce gratuite in senso stretto.
Oggi, però, ne la disciplina delle rinunce nell’ambito
dell’imposta sulle donazioni ne tantomeno quella delle
remissioni nell’ambito dell’imposta di registro fanno differenza
circa la sussistenza o no dell’intento liberale.
Sebbene l’intenzione del legislatore del ’90 non fosse certo
quella di abrogare tout court la disciplina dell’imposta di
registro sulle remissioni, ma solo di assoggettare quelle
compiute per scopo liberale all’imposta sulle donazioni, l’unico
modo per evitare la contemporanea applicazione, al medesimo atto
60
estintivo di un’obbligazione, di un’imposta sulle donazioni e di
un’imposta di registro in misura proporzionale - potenzialmente
ben più gravosa di quella in misura fissa di 168€, che l’Agenzia
delle Entrate ha per un certo periodo tempo ritenuto occorresse
pagare in presenza di una donazione, in concorrenza con
l’imposta sulle donazioni 26 - è quello di propendere per
l’abrogazione parziale della disciplina dell’imposta di
registro, in particolare della parte che prevede l’applicazione
dell’imposta di registro alle rinunce gratuite. Tale abrogazione
non è determinato dal solo art. 1.2 d.lgs. 246/90 e, per
l’appunto, non opera dal 1990. E’ determinato dalla
reintroduzione dell’imposta sulle donazioni del 2006 e dalla sua
applicazione anche agli atti meramente gratuiti, quindi
dall’attuale combinato disposto degli artt. 2.47 l. 286/2006 e
1.2 d.lgs. 346/90.
Il fatto che l’intenzione del legislatore che ha introdotto il
comma 2 dell’art. 1 d.lgs. 346/90 non fosse quella di abrogare
la parte della speculare disciplina dell’imposta di registro
prevista per le rinunce meramente gratuite, deve cedere il passo
all’assetto attuale della disciplina dell’imposta di registro e
dell’imposta sulle donazioni nel suo complesso, che solo se
interpretata in questo modo risponde efficacemente alle esigenze
garantiste sottese al divieto di doppia imposizione.
Queste ricostruzioni teoriche con cui tentiamo di quadrare il
cerchio non hanno trovato, per un certo tempo, terreno fertile
nella vita pratica del diritto tributario che vede, come agenti
concreti dell’applicazione dell’imposta, impiegati dell’ufficio
del registro spesso magri di metodologia giuridica, i quali
pertanto, in assenza di una circolare che risolvesse il
contrasto di norme e ne indirizzasse l’operato, non hanno certo
seguìto una simile linea interpretativa.
Ecco allora che - fino al cambiamento di rotta
dell’amministrazione finanziaria di cui parliamo nel paragrafo 7
26 V. amplius infra, paragrafo 7.
61
- quando ad un notaio le parti richiedevano di stipulare
solennemente una rinuncia a diritto di credito (o remissione di
debito che dir si voglia) a titolo gratuito, il più delle volte
nell’atto si esplicitava un intento liberale anche in realtà non
sussistente, così da offrire all’impiegato dell’ufficio del
registro un indice evidente dell’applicabilità della disciplina
dell’imposta sulle donazioni (in virtù della quale, nei casi in
cui è conveniente usare questi meccanismi, l’atto resterà esente
da imposta) e lasciare così indenne il debitore liberato dal
pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale,
altrimenti l’operatore dell’ufficio del registro si sarebbe
trovato in difficoltà nel qualificare giuridicamente la
fattispecie, visto che questa poteva essere sussunta in più
norme impositive e il silenzio dell’Agenzia delle Entrate non lo
aiutava.
Questo vale, è opportuno sottolinearlo, solo quando non
conviene pagare l’imposta di registro proporzionale in luogo
dell’imposta sulle donazioni, e cioè quando il debito d’imposta
sulle donazioni è inferiore all’eventuale debito d’imposta di
registro, a seconda delle franchigie, dell’ammontare per cui il
valore dell’obbligazione le supera e delle aliquote da applicare
nel caso concreto.
Per completezza, si rammenta che se l’atto è compiuto in forma
di scrittura privata non autenticata il relativo debito
d’imposta proporzionale è inferiore a 168€, l’atto si registra,
in caso d’uso, con l’imposta fissa di 168€.
5.4. RINUNCE A DIRITTI REALI
Argomentazioni analoghe a quelle finora esposte in merito alle
rinunce a diritti di credito valgono in materia di rinunce a
diritti reali, anch’esse parificate a trasferimenti dall’art.
1.2 d.lgs. 346/90 (soggette quindi a imposta sulle donazioni),
alle quali l’art. 1 della Tariffa, Parte 1, riserva lo stesso
trattamento tributario degli atti traslativi a titolo oneroso
62
della proprietà di beni immobili, con aliquote proporzionali. In
modo sostanzialmente coincidente conclude pure BUSANI27, parlando
non di abrogazione parziale ma di interpretazione restrittiva
dell’art. 1 TP1.
A tali atti l’art. 1 TP1 applica la stessa aliquota prevista
per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni
immobili, dunque in generale il 9%.
5.5. CONTRATTI DIVERSI
L’art. 43 del testo unico sull’imposta di registro tratta poi
di altri atti, tra cui quelli con cui è concessa garanzia reale
o personale, dell’associazione in partecipazione e arriva poi,
alla lettera h), a stabilire che per i contratti diversi da
quelli indicati nelle lettere precedenti, aventi per oggetto
prestazioni a contenuto patrimoniale, la base imponibile è
determinata dall'ammontare dei corrispettivi in denaro pattuiti
per l'intera durata del contratto.
Come la lettera a) si applica al caso di vendita fatta, per
scopo di liberalità, a prezzo inferiore a quello di mercato
(dunque, mixta cum donatione) - salva l’eventuale applicazione
della presunzione di liberalità di cui all’art. 26 - la lettera
h) si applica, tra gli altri casi, a quelle locazioni in cui il
locatore concede il godimento del bene richiedendo in
corrispettivo, per munificenza, un canone anche notevolmente
inferiore a quello che potrebbe richiedere secondo le condizioni
del mercato, come può accadere tra parenti o amici.
6. ALTERNATIVITÀ TRA IVA E IMPOSTA DI REGISTRO
Segna un passaggio importante la lettera i), norma strumentale
rispetto al principio di alternatività tra IVA e imposta di
registro di cui all’art. 40. Si legge, infatti, che «per i
contratti relativi ad operazioni soggette e ad operazioni non
27 In L’imposta di registro, Milano, 2009, p. 981.
63
soggette ad IVA», la base imponibile è data «dal valore delle
cessioni e delle prestazioni non soggette a tale imposta».
Alle liberalità diverse dalle donazioni non soggette a
registrazione registrate volontariamente si applica l’imposta di
registro con le aliquote indicate all’articolo 56 (alle vecchie
registrazioni effettuate entro il 31 dicembre 2001 si applicava
invece l’aliquota del tre per cento), sulla base del combinato
disposto degli artt. 56-bis comma 3 d.lgs. 346/90 e 8 d.P.R.
131/86.
7. LA DOPPIA IMPOSIZIONE SU REGISTRAZIONE E DONAZIONI
Al discorso sulla sovrapposizione dei prelievi relativi
all’imposta di registro e all’imposta sulle donazioni che
abbiamo iniziato nei paragrafi 5.3 e 5.4 sulle rinunce, si
allaccia una questione di carattere più generale concernente il
fatto che in presenza di un qualsiasi atto rientrante nel
presupposto applicativo dell’imposta sulle donazioni e che fosse
soggetto a registrazione, l’erario pretendesse 28 , nonostante
l’atto avesse già scontato l’imposta sulle donazioni, pure il
pagamento del tributo per la registrazione in misura fissa di
168€, generando un evidente duplicazione del prelievo in danno
del contribuente.
Le Entrate hanno cambiato orientamento con la Circolare 7
ottobre 2001, n. 44/E.
In questa l’Agenzia rileva come «le previsioni contenute nella
Tariffa non contemplano la tassazione delle disposizioni
donative, né tali atti possono essere ricondotti nell’ambito
della previsione dettata dall’articolo 11 della Tariffa, Parte
I» (articolo riguardante la registrazione degli atti pubblici e
delle scritture private autenticate non contenenti disposizioni
di carattere patrimoniale).
28 Come espresso nella Circolare Ag. Entr. 22 gennaio 2008, n. 3 e come
già la prassi faceva sulla base dell'articolo 41, comma 2, del d.P.R. 131/86, in base al quale l'ammontare dell'imposta principale non può essere in nessun caso inferiore alla misura fissa.
64
Va poi oltre, esprimendo come dall’art. 25 del TUR sia
possibile ricavare un principio generale di alternatività tra
l’imposta di registro e l’imposta sulle successioni e donazioni.
Un assunto di non trascurabile portata, che prende corpo
argomentando a contrario ed in via analogica da una
disposizione, l’art. 25, ai sensi della quale «un atto in parte
oneroso e in parte gratuito è soggetto all’imposta di registro
per la parte a titolo oneroso, salva l’applicazione dell’imposta
sulle donazioni per la parte a titolo gratuito».
L’Agenzia delle Entrate, in modo palesemente contraddittorio,
riduce poi la portata del principio di alternatività tra imposta
di registro e imposta sulle donazioni ai soli casi in cui l’atto
soggetto a imposta sulle donazioni risulta in realtà esente da
debito d’imposta per mancato superamento delle franchigie (oltre
al caso di applicabilità dell’art. 3 riguardante particolari
trasferimenti, come quelli a favore dello Stato), affermando che
«deve, quindi, ritenersi che per la registrazione degli atti
(...) di valore inferiore alla franchigia, non deve essere
corrisposta l’imposta di registro».
L’amministrazione non applica l’imposta di registro alle sole
donazioni esenti da imposta sulle donazioni per lo stesso favor
sotteso all’esenzione stessa dei trasferimenti a titolo gratuito
effettuati nei confronti di familiari e soggetti portatori di
handicap, ma a ben vedere, se un atto esente da imposta sulle
donazioni deve restare esente da imposta di registro per un
principio di alternatività tra i due tributi, a maggior ragione
dovrebbero restarvi esenti pure gli atti su cui l’imposta sulle
donazioni si paga concretamente.
Chiudendo il discorso, in linea teorica - ma la prassi è
quella che è - gli atti soggetti a imposta sulle donazioni non
dovrebbero mai scontare alcuna imposta di registro, ne in misura
proporzionale come si è spiegato nel paragrafo precedente in
materia di rinunce, ne in misura fissa, e ciò dovrebbe valere in
ogni caso, sia che l’atto non generi un debito d’imposta sulle
65
donazioni per mancato superamento delle franchigie previste dal
d.lgs. 346/90 ovvero per applicabilità dell’art. 3
sull’esenzione prevista per particolari trasferimenti, sia che
l’atto lo generi.
66
_____________________________________________________
SEZ. 3 - BREVI CENNI SU ALTRE IMPOSTE E AGEVOLAZIONI
Sommario: 1. Imposta di trascrizione e catastale - 2.
Agevolazione prima casa - 3. Agevolazioni per l’agricoltura
1. IMPOSTA DI TRASCRIZIONE E CATASTALE
Esulando dagli scopi di quest’opera quello di disaminare
approfonditamente le imposte di trascrizione e catastale, ci
limitiamo qui solamente ad accennare che se l’atto ha ad oggetto
immobili sono dovute anche l’imposta di trascrizione nella
misura del 2% e l’imposta catastale nella misura dell’1%.
2. AGEVOLAZIONE PRIMA CASA
Costituisce eccezione al regime di tassazione appena esposto
la c.d. agevolazione prima casa (prevista dall’art. 69.3 della
l. 21 novembre 2000 n. 342), in virtù della quale ai
trasferimenti della proprietà di case di abitazione non di lusso
e alle costituzioni o trasferimenti di diritti immobiliari
relativi alle stesse, le imposte ipotecaria e catastale si
applicano nella misura fissa di 168€ quando in capo al
beneficiario (ovvero, in caso di pluralità di beneficiari, in
capo ad almeno uno di essi) sussistano i requisiti e le
condizioni previste in materia di acquisto prima casa
dall'articolo 1.1 della prima parte della Tariffa dell’imposta
di registro, e cioè:
a) che l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui
l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto
la propria residenza o, se diverso, in quello in cui
l'acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito
67
all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o
esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso
in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero,
che l'immobile sia acquisito come prima casa sul territorio
italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel
comune ove è ubicato l'immobile acquistato deve essere resa, a
pena di decadenza, dall'acquirente nell'atto di acquisto;
b) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non
essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei
diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa
di abitazione nel territorio del comune in cui e' situato
l'immobile da acquistare;
c) che nell'atto di acquisto l'acquirente dichiari di non
essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione
legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di
proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra
casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal
coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo ovvero
di cui all'articolo 1 della legge 22 aprile 1982, n. 168,
all'articolo 2 del decreto-legge 7 febbraio 1985, n. 12,
convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 1985, n.
118, all'articolo 3, comma 2, della legge 31 dicembre 1991, n.
415, all'articolo 5, commi 2 e 3, dei decreti legge 21 gennaio
1992, n. 14, 20 marzo 1992, n. 237, e 20 maggio 1992, n. 293,
all'articolo 2, commi 2 e 3, del decreto-legge 24 luglio 1992,
n. 348, all'articolo 1, commi 2 e 3, del decreto-legge 24
settembre 1992, n. 388, all'articolo 1, commi 2 e 3, del
decreto-legge 24 novembre 1992, n. 455, all'articolo 1, comma 2,
del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75 e all'articolo
16 del decreto-legge 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 243.
68
3. AGEVOLAZIONI PER L’AGRICOLTURA
La donazione di beni costituenti l’azienda agricola fatta da
parte di parenti in linea retta fino al 3° grado in favore di
giovani di età non superiore a 40 anni, che siano già
coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali o che
comunque acquistino tale qualifica nel termine di due anni
dall’atto, il trasferimento è del tutto esente da imposta sulle
donazioni, di bollo e catastale e l’imposta di trascrizione si
applica solo in misura fissa. Il tutto a condizione che il
donatario si impegni a coltivare il fondo per almeno 6 anni.
4. COMPENDIO UNICO
E’ prevista, dal d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, l’esenzione
totale da imposta di trascrizione, di bollo, catastale e di
trascrizione delle donazioni aventi ad oggetto terreni agricoli
a favore di soggetti che si impegnino a costituire compendio
unico e a coltivarlo o condurlo con la qualifica di imprenditori
agricoli professionali o coltivatori diretti per un periodo di
almeno dieci anni dal trasferimento.
A chi si avvale di tale agevolazione, la legge fa carico del
divieto reale di dividere il compendio per dieci anni dalla sua
costituzione: è infatti prevista la nullità degli atti
comportanti il suo frazionamento.
69
70
_____________________________________________________
CAPITOLO 3
SPUNTI DI CASISTICA IN MATERIA DI LIBERALITA’
_____________________________________________________
Sommario: 1. Il trust - 2. Contratto a favore del terzo - 3.
Acquisto per conto proprio con pagamento del terzo - 4. Atti
societari - 4.1. Assegnazione di quote o azioni non
proporzionale al conferimento - 4.2. Sottovalutazione del
conferimento in natura - 4.3. Aumento di capitale al valore
nominale sottoscritto da alcuni soli dei soci - 4.4. Regime
fiscale degli atti societari che realizzano liberalità - 5.
Costruzione, piantagione e seminagione - 6. Conclusione
In questo capitolo trattiamo di alcuni casi la cui
qualificazione fiscale può creare problemi o che comunque
meritano una riflessione dedicata. Di rinunce e patto di
famiglia abbiamo già parlato rispettivamente al capitolo 2,
sezione 2 paragrafo 5.3 e al capitolo 2, sezione 1, paragrafo
6.1.1 perché offrivano lo spunto per alcune precisazioni di
carattere generale e rimandiamo a quelle sedi in particolare per
l’analisi delle problematiche sulle rinunce.
1. IL TRUST
Il trust rientra nei vincoli di destinazione ricompresi nel
presupposto d’imposta sulle donazioni di cui parliamo nel
paragrafo 2.4 del secondo capitolo.
Il trust nasce da un negozio unilaterale con cui un soggetto,
detto settlor, lo costituisce, dettando le regole che lo
71
governeranno. Contestualmente o a seguito di tale atto
unilaterale istitutivo, il settlor trasferisce dei diritti al
trustee (con gli atti c.d. di dotazione del trust), il quale ne
diventa titolare, con il patto che questo impieghi tali diritti
a vantaggio di un determinato scopo o soggetto terzo (il
beneficiary). Si tratta dunque di un negozio fiduciario.
L’atto istitutivo e quelli di dotazione del trust sono sempre
compiuti a titolo gratuito qualunque sia la finalità per cui il
trust è istituito, che il più delle volte è liberale o di
conservazione del patrimonio (in sostanziale deroga al principio
di responsabilità patrimoniale).
Il trust è un istituto di diritto anglosassone la cui validità
nel nostro ordinamento è ancora dubbia, ma non sono mancati i
notai che ne hanno stipulati, dunque è opportuno inquadrarli
fiscalmente.
Nel silenzio della legge, sia in ordine alla validità del
trust 1 sia in ordine alla sua disciplina fiscale, il fatto che
prassi e giurisprudenza siano discordanti ha favorito il
germinare di una variegata dottrina.
L’agenzia delle entrate, nella circolare 3/E del 2008, ha
sostenuto che i trasferimenti di diritti reali dal settlor al
trustee, con cui il primo dota il trust di una consistenza
patrimoniale, siano soggetti a imposta sulle donazioni dovuta
nella misura dell’8%, dunque secondo l’aliquota massima, e senza
possibilità di applicare alcuna franchigia, nei seguenti casi:
trust costituto a favore di soggetti che non sono legati al
disponente da alcun vincolo di parentela; trust di scopo,
gestito per realizzare un determinato fine, senza indicazione di
beneficiario finale; trust costituito nell’interesse di soggetti
1 Non è ancora certa la sua validità come contratto atipico stipulato
sulla base del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322.2 o dell’art. 2645-ter c.c. dato che, benché con la Convenzione dell’Aja ratificata dall’Italia con l. 16 ottobre 1989, n. 364 si sia recepito tale istituto, sostanzialmente mancano sicuri appigli normativi o perlomeno una giurisprudenza consolidata cui i notai, chiamati a rogare i trust, possano fare riferimento con la certezza di dare stabilità al risultato che il settlor vuole ottenere.
72
genericamente indicati e non identificabili in relazione al
grado di parentela.
Se invece il trust è costituito nell’interesse di uno o più
beneficiari finali, anche se non precisamente individuati, ma il
cui rapporto di parentela con il disponente sia determinato,
l’aliquota d’imposta si applica con riferimento al rapporto di
parentela intercorrente tra il disponente e il beneficiario e
non a quello intercorrente tra il disponente e il trustee (v.
anche la Circolare n. 48 del 2007).
Nel diverso caso in cui il settlor, all’atto della
costituzione del trust, non doti fin da subito il trust dei beni
necessari al soddisfacimento del fine perseguito ma si limita a
dettare le norme che ne regoleranno il funzionamento, va da sé
che non è dovuta imposta sulle donazioni perché non c’è base
imponibile. Secondo la circolare 3/E del 2008 dovrà applicarsi
l’imposta di registro prevista per gli atti privi di contenuto
patrimoniale, di cui all’art. 11 TP1.
Questo sistema di imposizione anticipata al momento di
conferimento dei beni nel trust, e dunque al momento in cui in
capo al beneficiario si genera solo l’aspettativa
all’arricchimento, in luogo di un’imposizione attuata al momento
di effettiva produzione dell’arricchimento del beneficiario,
suscita le stesse perplessità di cui abbiamo già parlato nel
secondo capitolo. Per lo meno la tesi dell’agenzia ha il pregio
di individuare come soggetto passivo dell’imposta il trust
stesso, e non facendo gravare l’imposta sul beneficiary che è il
destinatario finale dell’arricchimento, cosicché la sua sfera
giuridica non viene toccata da un debito alla cui produzione lui
non ha concorso.
Per evitare eventuali duplicazioni del prelievo, la circolare
afferma poi che la successiva devoluzione ai beneficiari dei
beni vincolati in trust non realizza, ai fini
dell’imposta sulle successioni e donazioni, un presupposto
impositivo ulteriore; i beni, infatti, hanno già scontato
73
l’imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione al
momento della segregazione in trust, funzionale
all’interesse dei beneficiari.
L’impostazione dell’agenzia si sviluppa tenendo conto delle
ragioni dei contribuenti nella parte in cui prevede che
l’aliquota e le franchigie varino al variare della condizione
del beneficiary, in quella in cui ne esclude la responsabilità
per il debito d’imposta, e in quella in cui esclude
l’imponibilità dei successivi atti di trasferimento da trustee a
beneficiary.
Ciò nonostante, l’impostazione dell’agenzia è stata comunque
criticata dalla dottrina 2 e non ha trovato riscontro nella
giurisprudenza 3 , le quali non condividono l’impostazione di
fondo della prassi. Non dobbiamo dimenticare che il parere
dell’Agenzia delle Entrate non è un atto d’imposizione
vincolante, ma un’opinione, e per di più è l’opinione di un
soggetto parziale.
L’Agenzia delle Entrate vorrebbe tassare già gli atti con cui
si conferiscono beni al trust, senza tener presente che il
destinatario finale degli effetti di tutto il programma
negoziale elaborato dal settlor è il beneficiary, che si
arricchirà in virtù dei trasferimenti che gli proverranno dal
trustee. Considerare integrato il presupposto impositivo già al
momento del conferimento di beni nel trust non valorizza il
modello negoziale unitario oggetto della volontà del soggetto
che realizza il presupposto impositivo, chiaro ed esplicitato in
atto fin da principio.
2 Citiamo il recentissimo SARACENO, Imposizione indiretta nel passaggio
generazionale: donazioni indirette, vincoli di destinazione e trust, in Fisco, Milano, 2012, n. 37, pp. 5940 e ss., nonché BANCONE LA BARBERA, Imposta di successione e donazione sugli atti di destinazione e i trusts: una partita ancora aperta, in Corr. trib. 2011, n. 24, p. 1981.
3 Fintanto che non emerge l’opinione della Suprema Corte, dobbiamo far riferimento a Comm. trib. prov. Bologna 30 ottobre 2009, n. 120, Comm. trib. prov. Treviso 30 aprile 2009, nn. 47 e 48 e Comm. prov. Trib. Firenze 23 ottobre 2008
74
Prevale quindi la tesi secondo cui il presupposto d’imposta si
realizza solo con la devoluzione dei beni in favore del
beneficiario, e il passaggio dal settlor al trustee va trattato
fiscalmente come un’attribuzione soggetta a condizione
sospensiva, cioè con il pagamento di un’imposta di registrazione
in misura fissa.
L’imposta proporzionale si applicherà solo all’attribuzione
del trustfund dal trustee al beneficiary, per di più detraendo
dal debito d’imposta lordo che ne risulta un ammontare pari alla
misura fissa pagata in sede di conferimento dei beni nel trust,
onde evitare un’illegittima duplicazione del prelievo (esigenza
rimarcata, in altro contesto, anche dall’agenzia nella circolare
de qua).
2. CONTRATTO A FAVORE DI TERZO
Accennavamo, nel capitolo 1, paragrafo 2, alla validità della
liberalità diretta risultante da contratto a favore di terzo,
come ad esempio compravendita immobiliare con intestazione del
bene in favore del figlio in cui è fatta expressio causae
dell’intento liberale. Se manca questa dichiarazione esplicita,
la liberalità sarà indiretta perché un elemento dell’atto,
l’animus donandi, non risulta da esso.
In entrambi i casi il terzo gode di un arricchimento senza
sostenere alcuno sforzo, pertanto dobbiamo interrogarci
sull’applicabilità dell’imposta sulle donazioni.
Come varia la disciplina fiscale del contratto a favore di
terzo a seconda della presenza dell’expressio causae donationis
in atto?
Innanzi tutto sono applicabili i principi generali in materia
di accertamento delle liberalità indirette esposti nel capitolo
2, sezione 1, paragrafo 2.4.
In presenza della dichiarazione di spirito di liberalità, si
applica sicut sagittae la disciplina dell’imposta sulle
donazioni, in specie quella relativa alle liberalità dirette.
75
In sua assenza, la qualificazione fiscale del traffico
giuridico si fa più articolata. La compravendita del nostro
esempio, ma così anche ogni altro atto oneroso cui una parte
decida di applicare lo schema del contratto a favore di terzo,
in linea di principio è soggetto alla disciplina dell’imposta di
registro. Se ritenessimo che la clausola con una parte vuole
produrre la deviazione a favore di un terzo la produzione di un
effetto giuridico dell’atto costituisca atto a titolo gratuito
da cui il terzo trae arricchimento, dovremmo scindere, a fini
tributari, il contratto in due atti da sottoporre a differenti
regimi fiscali: per lo scambio tra le parti del contratto,
l’imposta di registro; per la clausola attributiva del diritto
al terzo, l’imposta sulle donazioni (anche in assenza
dell’animus donandi, in quanto atto a titolo gratuito). Così
facendo, però, il fisco applicherebbe due tributi sullo stesso
presupposto impositivo: imposta di registro sul valore del bene
e imposta sulle donazioni sul prezzo pagato (nel quale prezzo, e
non nel bene, la giurisprudenza individua oggi l’oggetto della
liberalità nel caso di contratto a favore di terzo), e ciò, per
il principio di alternatività tra i due tributi, non è
ammissibile.
Dobbiamo quindi convenire che, in assenza di esplicitazione
dell’intento liberale, non si può applicare imposta sulle
donazioni all’atto gratuito che si potrebbe individuare nella
clausola di deviazione di parte degli effetti del contratto in
favore del terzo. Svuotiamo dunque di utilità pratica il quesito
sulla possibilità o no di scindere concettualmente, a fini
fiscali, il contratto a favore di terzo in due atti, uno il
contratto oneroso, e l’altro la clausola “atto gratuito” a
favore del terzo, in quanto sia che si ammetta ciò, sia che non
lo si ammetta, l’unica imposta che può trovare applicazione è
quella di registro sul valore venale del bene.
Tutto ciò vale fintanto che non ricorre spirito di liberalità,
o, se questo ricorre e non è esplicitato in atto, fintanto che
76
la liberalità non è accertata dall’amministrazione finanziaria
in base ai (limitati) poteri d’accertamento di cui dispone.
In questo caso, e in quello in cui l’intento liberale è
esplicitato in atto dalla parte (sì che l’atto realizzi una
liberalità diretta), dovrà applicarsi (con le relative
franchigie) imposta sulle donazioni, e non di registro, per la
prevalenza della prima sulla seconda secondo i criteri di cui al
capitolo 2, sezione 2, paragrafo 7.
3. ACQUISTO PER CONTO PROPRIO CON PAGAMENTO DEL TERZO
Nel caso del contratto a favore di terzo, il disponente la
liberalità è parte del contratto e colui che si arricchisce non
lo è.
Nel diverso caso dell’adempimento del terzo, chi dispone la
liberalità non è parte dell’eventuale contratto di cui sia parte
colui che si arricchisce, interviene solo ad estinguere
l’obbligazione di questo.
Se un terzo adempie l’obbligazione altrui, può essere
surrogato nei diritti del creditore (art. 1201 c.c.).
Il creditore che riceve il pagamento può non surrogare il
terzo adempiente nei propri diritti, in quanto l’art. 1201
lascia al suo arbitrio la scelta di produrre o no l’effetto
surrogativo.
Se il terzo non viene surrogato, il debitore si arricchisce
per l’estinzione del proprio debito.
Se invece il creditore vuole surrogarlo, il debitore non si
arricchisce in conseguenza al pagamento perché resta debitore
del terzo che adempiuto.
Non sempre però, se il creditore vuole surrogare il terzo,
l’effetto surrogatorio si produce: questo non può prodursi
contro la volontà del terzo. Se questo, nell’atto di pagamento,
esplicita che sta agendo per liberalità nei confronti del
debitore allora abbiamo una liberalità diretta, perché questa
77
risulta direttamente dall’atto e come effetto diretto di questo
si ha l’arricchimento di colui che era debitore.
Il fatto che il debitore non tragga arricchimento
dall’adempimento del terzo in quanto questo produce surroga di
questo nei diritti del creditore non si verifica quando la
surroga è impedita dal terzo adempiente, la cui sfera giuridica
non può ricevere accrescimento contro la sua volontà. Dunque, se
il terzo adempiente manifesta, nell’atto di pagamento, lo
spirito di liberalità nei confronti del debitore escludendo
esplicitamente la surroga, allora l’arricchimento del debitore
si produce immediatamente in virtù del pagamento (senza che si
renda necessaria una rinuncia al diritto credito del terzo
successiva al pagamento, perché questo non è mai sorto), in
conseguenza del quale l’obbligazione cui era soggetto il
debitore si estingue.
Se lo vorrà, il debitore potrà opporsi all’adempimento del
terzo ex art. 1180.2 c.c. anche in modo da evitare che nei suoi
confronti si produca l’obbligo di pagare il debito d’imposta che
sorge a seguito del suo arricchimento.
Questa ricostruzione giuridica ha utilità come
esemplificazione dell’applicazione dei principi civilistici e
tributari attinenti alla fattispecie, piuttosto che come
soluzione a problemi pratici, dato che raramente, quando un
debito è estinto da un terzo per liberalità, l’arricchimento
emerge agli occhi del fisco.
4. ATTI SOCIETARI
Il legislatore sa della possibilità di realizzare una
liberalità mediante atti societari: lo ricaviamo dall’art. 743
c.c., in cui prevede la collazione di quanto è stato conseguito
dall’erede per effetto di società contratta con frode con il
defunto.
Sappiamo che la collazione in genere è dovuta per le
liberalità, e il legislatore estende tale istituto agli utili
78
conseguiti da società contratta con il de cuius perché questi
possono in realtà nascondere, appunto, una liberalità, se la
società è contratta allo scopo di aggirare le norme generali
sulla collazione o, ancor peggio, quelle sulla quota di riserva
dei legittimari.
L’art. 743 fa dunque da apripista per il discorso sulle
operazioni societarie che si prestano a realizzare una
liberalità.
Si tratta di atti con causa essenzialmente societaria 4 e
ordinariamente regolati da un proprio regime fiscale, diverso da
quello previsto per le donazioni, ma che possono essere
strumentalizzati a fini liberali.
Tra queste operazioni societarie possiamo trovare
l’assegnazione di quote o azioni non proporzionale rispetto al
conferimento, la sottovalutazione del conferimento in natura,
l’attribuzione di utili non proporzionale alla quota
sottoscritta e l’aumento di capitale al valore nominale
sottoscritto da alcuni soli dei soci.
Analizzeremo singolarmente queste figure, per far emergere
alcuni problemi.
4.1. ASSEGNAZIONE DI QUOTE O AZIONI NON PROPORZIONALE AL
CONFERIMENTO
Il codice civile ammette espressamente che ad un socio possa
essere assegnata una quota di partecipazione maggiore alla quota
di capitale che ha sottoscritto agli artt. 2346.4 e 2468.2.
Ciò si traduce nella possibilità, per Tizio e Caio, di
costituire una società partecipata per il 40% da Tizio e per il
60% da Caio, ma in cui i conferimenti necessari alla
sottoscrizione e dunque alla copertura del capitale sociale sono
onorati per il 60% da Tizio e per il 40% da Caio. L’assegnazione
4 La qual causa non muta in causa liberale solo per l’intento liberale
dell’autore, così come accade nell’esempio della compravendita mixta cum donatione che non muta la propria causa di scambio, per lo meno fintanto che il prezzo non è irrisorio, come abbiamo avuto modo di vedere nel primo capitolo.
79
non proporzionale realizza dunque una distribuzione delle
partecipazioni fondata su una capitalizzazione non reale (cioè
non fondata sui valori economici conferiti) ma negoziale
(fondata sull’accordo delle parti di attribuire diritti di voto
e utili secondo la loro volontà, che porta a risultati diversi
da quelli cui porterebbe la capitalizzazione reale).
Caio ha un notevole vantaggio su Tizio sia in assemblea (vista
la maggioranza dei voti esercitabili), sia nella distribuzione
degli utili, sia eventualmente in sede di liquidazione per la
distribuzione del patrimonio tra i soci.
Ipotesi di questo tipo si possono verificare per scopi
liberali o non liberali. Vediamo come.
Un padre può accettare, con l’intenzione di avvantaggiare i
figli, di costituire una s.r.l. con capitale di 50.000€ insieme
ai due figli, società in cui ai figli è attribuita una quota del
10% ciascuno a fronte di un conferimento di soli 1000€ ciascuno
(invece dei 5.000 pari al 10% del capitale), mentre i restanti
48.000€ sono liberati dal padre. C’è un evidente arricchimento
dei figli con impoverimento del padre. Ciò, aggiunto al fatto
che il padre non ha un interesse patrimoniale nell’assegnare le
quote ai figli in misura non proporzionale al conferimento di
questi, fa sì che l’operazione dia luogo ad una liberalità5.
Un caso diverso è quello della società costituita da un
investitore che porta il denaro e da un tecnico che porta un
know how necessario all’attità d’impresa della società. Questo
know how è molto difficile da valutare ai fini di un
conferimento in natura, dunque è preferibile ricorrere ad un
assetto diverso da quello del conferimento in natura del know
how da parte del tecnico. L’assetto preferibile è proprio quello
dell’assegnazione di partecipazioni non proporzionale ai
conferimenti.
5 Rimandiamo al primo capitolo in cui abbiamo parlato del requisito
dell’interesse non patrimoniale del disponente ai fini della configurazione della liberalità.
80
A titolo di esempio, può accadere che nella costituenda
società con capitale 50.000€, l’investitore conferirà 45.000€,
il tecnico 5.000€ e saranno soci al 50%. Il tecnico dunque
acquisisce un vantaggio notevole a fronte di un ridotto
conferimento, compensato dal fatto che l’attività d’impresa
della società abbisogna delle sue competenze.
Negli esempi che abbiamo visto, quello della società
costituita tra padre e figlio e quella costituita tra
investitore e tecnico si ha un impoverimento di una parte con
arricchimento dell’altra e gli atti da stipulare sono
fondamentalmente identici.
Ciò non toglie che vi sia una grande differenza tra le due
ipotesi: il caso dell’investitore e del tecnico si differenzia
dal primo perché l’investitore non accetta lo squilibrio tra
conferimento e partecipazione per intento munifico, ma per un
preciso interesse patrimoniale.
Da ciò deriva che nel primo caso ci sia una liberalità, nel
secondo no.
Ciò si ripercuote sia sulla possibilità di sottoporre a
collazione l’arricchimento (nel primo caso è possibile, nel
secondo no), sia sul regime fiscale dell’operazione.
4.1.1. ASSEGNAZIONE NON PROPORZIONALE FATTA A FAVORE DEL MANAGER
A TITOLO DI FRINGE BENEFIT
Fattispecie simile a quelle appena esposte, ma che si
differenzia per il diverso rapporto intercorrente tra la società
e il beneficiario dell’assegnazione e per la particolare ragione
per cui la stessa è posta in essere, è quella dell’assegnazione
non proporzionale di azioni prive di diritti amministrativi ma
accompagnate da diritto alla partecipazione agli utili che
talune grosse società usano eseguire in favore dei propri top
manager per spingerli a massimizzare gli utili della società.
81
Con la Risoluzione n. 103/E del 4 dicembre 2012 6 , l’Agenzia
delle Entrate spiega come l’assegnazione di azioni ai dipendenti
vada vista come compenso in natura da assoggettare a tassazione
sul reddito da lavoro dipendente e assimilati ai sensi dell’art.
51 del Tuir.
4.2. SOTTOVALUTAZIONE DEL CONFERIMENTO IN NATURA
La sottovalutazione dei conferimenti in natura è pienamente
legittima, essendo contemplata dagli artt. 2343 e 2465 c.c., i
quali richiedono che la valutazione dei beni sia almeno pari al
valore ad essi attribuito ai fini della determinazione del
capitale sociale. Tale disposizione è data nell’interesse dei
terzi, che vogliono un capitale sociale consistente, non
fittizio, come accadrebbe se il bene fosse valutato per un
valore superiore a quello effettivo.
Il conferente può accettare una valutazione del bene inferiore
al valore reale, disponendo del proprio diritto ad avere una
valutazione perfettamente congruente al valore del bene. Gli
interessi dei terzi non sono pregiudicati, anzi ne traggono
vantaggio, perché fin da principio il patrimonio sociale sarà di
valore superiore a quello del capitale nominale.
Detto ciò, si profilano le stesse precisazioni del paragrafo
precedente: se alla sottovalutazione è sotteso un interesse non
patrimoniale di colui che conferisce il bene in natura, c’è
liberalità, altrimenti no.
4.3. AUMENTO DI CAPITALE AL VALORE NOMINALE SOTTOSCRITTO DA
ALCUNI SOLI DEI SOCI
L’aumento del capitale sociale può essere fatto al valore
nominale o con sovrapprezzo. Solitamente si usa il sovrapprezzo
per evitare che (riducendo il discorso ai minimi termini) un
socio acquisisca sostanzialmente quote del patrimonio sociale a
6 Commentata da BORGOGLIO in Fisco, 17 dicembre 2012, n. 47, pp. 7585 e
ss..
82
fronte di un corrispettivo commisurato al capitale nominale, il
quale nella maggior parte dei casi è di gran lunga inferiore al
valore reale del patrimonio della società (vista la
sottocapitalizzazione di molte società italiane), godendo quindi
di un arricchimento che va a scapito dei soci che non hanno
sottoscritto l’aumento. Vediamo un paio di applicazioni
ipotetiche.
In una famiglia composta da un padre e due figli, uno dei due
fratelli sta seguendo le orme del padre ed è socio della società
partecipata in maggioranza dal padre. L’altro figlio, che non ha
avuto la stessa vocazione del fratello, si occupa d’altro e non
è titolare di alcuna partecipazione sociale.
Il padre, prossimo al pensionamento, vuole perfezionare il
passaggio generazionale dell’azienda in favore del figlio e
propone dunque un patto di famiglia. L’altro figlio, che è in
astio col fratello, non intende intervenire al patto di
famiglia.
Il padre decide allora di deliberare un aumento di capitale al
valore nominale (senza esclusione del diritto di opzione così
non c’è obbligo di sovrapprezzo ex art. 2441.6 c.c.). Il padre
non esercita l’opzione e l’intero aumento viene sottoscritto dal
figlio. Poi il fratello, a tempo debito e se lo riterrà, potrà
iniziare il procedimento di riduzione della liberalità.
In questo caso l’operazione è posta in essere per un interesse
non patrimoniale, cioè per “donare” l’attività di famiglia al
figlio. Non si trova, ne in dottrina ne in giurisprudenza,
alcuna indicazione circa la possibilità di tenere esentasse, in
virtù dell’art. 3.4ter d.lgs. 346/90, un passaggio generazione
attuato in questo modo. Possiamo prospettare l’applicabilità
dell’esenzione anche a questa fattispecie in virtù della diversa
natura dell’imposta sulle donazioni rispetto a quella
dell’imposta di registro: mentre l’imposta di registro è
un’imposta d’atto, nel caso dell’imposta sulle donazioni si può
prestare maggiore attenzione al risultato pratico
83
dell’operazione compiuta dalle parti, e nel caso di specie c’è
un arricchimento dovuto a liberalità, il presupposto di
applicazione della disciplina dell’imposta sulle donazioni.
Astrattamente però un tal genere di operazione può essere
attuata anche per interessi patrimoniali e quindi non dar luogo
a liberalità: nell’ambito di un gruppo societario in cui la
società madre Alfa controlla la società Beta (oberata di
debiti), insieme alla quale controlla la società Gamma (la cui
attività è fiorente), Alfa può, in spregio alle ragioni dei
creditori di Beta e degli artt. 2497 e ss. c.c. sul governo dei
gruppi societari, fare in modo che Gamma deliberi l’aumento
senza sovrapprezzo che verrà interamente sottoscritto da Alfa,
così da privare di significato la partecipazione a Gamma di
Beta, sostanzialmente facendo proprie le poste attive di Beta
lasciandovi però quelle passive, facendone dunque la società-
pattumiera del gruppo.
Una simile operazione è illecita ma crea comunque notevoli
problemi perché un conto è la norma scritta, tutt’altro conto è
la sua applicazione pratica.
4.4. REGIME FISCALE DEGLI ATTI SOCIETARI CHE REALIZZANO
LIBERALITA’
E’ arrivato il momento di trarre le conclusioni sul regime
fiscale delle operazioni societarie che abbiamo finora
delineato.
Orbene, se alle condizioni descritte configurano una
liberalità, si applicherà l’imposta sulle donazioni
sull’arricchimento che ne deriva. L’intento di liberalità può
essere enunciato nell’atto o no, con le conseguenze che abbiamo
trattato nel capitolo 2.
Se invece non configurano liberalità, abbiamo un
arricchimento-impoverimento privo di intento liberale, il che
pare essere un atto gratuito comunque soggetto a imposta sulle
84
donazioni. Diciamo pare perché a ciò osta una distinctio di
rilevante portata.
Le operazioni societarie seguono un proprio regime fiscale,
regolato dall’art. 4 TP1 d.P.R. 131/86, una norma autonoma
rispetto a quelle che regolano i vari contratti bilaterali, in
virtù della diversa logica funzionale dei contratti associativi
(plurilaterali) e delle conseguenti operazioni societarie
rispetto a quella propria dei contratti bilaterali.
Nelle operazioni societarie che generano un impoverimento-
arricchimento per fini non liberali, il fatto che il movimento
di ricchezza tra chi si impoverisce e chi si arricchisce sia
dettato da esigenze d’impresa di produzione di utili da
dividersi tra i soggetti parte dell’operazione e che quindi
l’operazione sia funzionale all’esercizio dell’impresa cui
partecipano le parti interessate dal movimento di ricchezza
tiene ferma l’applicabilità del normale regime fiscale
dell’operazione societaria posta in essere e inibisce
l’applicabilità dell’imposta sulle donazioni, che vuole colpire
gli arricchimenti ottenuti senza sforzo.
Ora, se un’operazione societaria da cui deriva arricchimento
impoverimento è posta in essere per fini liberali, accade che,
come nei contratti bilaterali gratuiti, che si applichi imposta
sulle donazioni. Se invece l’operazione, pur generando
arricchimento-impoverimento, è infrasocietaria 7 o comunque
infragruppo ed è funzionale all’attività d’impresa, allora
andranno applicate le normali norme impositrici sulle operazioni
societarie.
In assenza di esplicitazione del fine liberale in atto,
l’indice principale da indagare per valutare la differenza tra
un’operazione societaria soggetta a imposta sulle donazioni e
una soggetta al normale regime previsto per le operazioni
7 Nel fatto che entrambe le parti dell’atto concorrano alla stessa
impresa sta la differenza tra i casi che stiamo analizzando e quello, visto nel primo capitolo, del commerciante che, per atto meramente gratuito, regala campioni della propria merce, cui si applica comunque imposta sulle donazioni in quanto atto meramente gratuito.
85
societarie sta quindi nell’utilità dell’operazione all’attività
di impresa: se è utile, allora la liberalità probabilmente non
ci sarà, altrimenti sì.
Stiamo parlando di quella che nel common law viene chiamata
business judgment rule, principio che torna utile anche nel
nostro caso per valutare la sussistenza o meno di animus donandi
anche in assenza di sua esplicitazione in atto, secondo cui
bisogna giudicare se l’operazione sia idonea a soddisfare
l’interesse imprenditoriale (di business) della società,
producendo quindi un’utilità anche per il disponente, oppure un
interesse di alcuni singoli soci senza alcun vantaggio per
l’attività d’impresa, dunque a scapito del socio che intende
realizzare la liberalità.
5. COSTRUZIONE, PIANTAGIONE E SEMINAGIONE
Dicevamo nel primo capitolo che rientrano nel novero delle
liberalità anche meri fatti giuridici come la costruzione, la
piantagione e la seminagione su suolo altrui. E’ opportuno ora
precisare che la liberalità può risultare dal fatto in sé della
costruzione, piantagione o seminagione solo se chi costruisce,
semina o pianta lo fa fin dall’inizio con spirito di liberalità,
perché in questi casi il diritto all’indennità di cui all’art.
936 non si produce. Non è condivisibile la tesi 8 secondo cui,
anche quando compiute con animus donandi, la costruzione,
seminagione o piantagione non darebbero mai diretto
arricchimento, in virtù della necessaria produzione del diritto
all’indennità anche contro la volontà di colui che costruisce,
pianta o semina, e dunque della rinuncia all’indennità
necessariamente susseguente alla costruzione, semina o
piantagione. La produzione di tale effetto nella sfera giuridica
dell’agente sarebbe contraria alla sua volontà, e ciò non è
ammissibile.
8 CAREDDA, Donazioni indirette, in I contratti gratuiti a cura di PALAZZO
MAZZARESE, in Trattato dei contratti diretto da RESCIGNO GABRIELLI, vol. 10, Torino, 2008, p. 196. e s.
86
La costruzione, seminagione o piantagione compiute con animus
donandi non sono liberalità indirette perché non richiedono una
successiva rinuncia all’indennità. Dove vi sia questa rinuncia,
si deve dar per presupposto che un diritto all’indennità si sia
prodotto e che quindi il fatto di costruire, seminare o piantare
non fosse, a suo tempo, compiuto per spirito di liberalità, ma
questo fosse sorto solo in seguito e si fosse tradotto nella
rinuncia all’indennità, che è comunque una liberalità diretta,
perché da essa risulta l’impoverimento-arricchimento.
Le costruzioni, seminagioni o piantagioni compiute con spirito
liberale vanno trattate come liberalità dirette e dunque
assoggettate a imposta sulle donazioni.
Del pari, ma secondo la disciplina delle rinunce, è
applicabile imposta sulle donazioni se la costruzione,
seminagione o piantagione è compiuta dapprima non con intento
liberale, ma questo è sopravvenuto al fatto di costruzione e ha
connotato la rinuncia all’indennità.
6. CONCLUSIONE
Aggiungiamo solo l’indicazione di un altro paio mezzi di cui
si può discutere circa l’idoneità a generare arricchimento, a
titolo di spunto di ragionamento per il lettore: una novazione
(art. 1230 e ss. c.c.) può essere impiegata a fini liberali se
le parti estinguono un’obbligazione sostituendola con una di
valore minore; con una rinuncia all’opposizione alla donazione
di cui agli artt. 561 e ss. c.c. (diversa dalla semplice
rinuncia a diritto di credito di cui abbiamo già parlato, in
quanto con la rinuncia all’opposizione si rinuncia al potere di
porre in essere un atto giuridico, non a un credito) il
rinunciante può voler avvantaggiare il donatario (avente causa
non da lui, ma dal soggetto di cui è successibile) per intento
liberale.
Le fattispecie ordinariamente soggette a imposta di registro
ma che, per la presenza dell’impoverimento-arricchimento e
87
magari pure (ma non necessariamente) dell’animus donandi,
potrebbero essere assoggettate a imposta sulle donazioni sono
pressoché infinite e il lettore dovrebbe a questo punto essere
in grado di individuare i fattori che rendono applicabile l’una
o l’altra disciplina tributaria.
88
_____________________________________________________
CAPITOLO 4
LE VICENDE POSTERIORI AL PRELIEVO RIGUARDANTI IL
PRESUPPOSTO DELL’IMPOSIZIONE
_____________________________________________________
Sommario: 1. La disciplina dell’imposta sulle donazioni - 2.
La disciplina dell’imposta di registro - 3. Coordinamento - 4.
Cenni sul procedimento di restituzione
1. LA DISCIPLINA DELL’IMPOSTA SULLE DONAZIONI
L’art. 58.4 d.lgs. 346/90, richiamando parti dell’art. 42,
dispone che il rimborso dell’imposta (unitamente agli interessi,
alle soprattasse e ad eventuali pene pecuniarie pagate) spetta
nei casi di:
I) imposta relativa a beni e diritti riconosciuti appartenenti
a terzi, con sentenza passata in giudicato, per causa anteriore
alla donazione a seguito di evizione o rivendicazione ovvero di
nullità, annullamento, risoluzione, rescissione o revocazione
dell'atto di acquisto;
II) imposta pagata da enti ai quali è stata negata
l'autorizzazione ad accettare o l’abbiano ottenuta tardivamente
III) imposta risultante pagata in più a seguito di
accertamento della parentela naturale successivamente alla
liquidazione.
Inoltre, in virtù del rinvio di cui all’art. 60, è applicabile
al rimborso dell’imposta sulle donazioni la disciplina prevista
per l’imposta di registro dal d.P.R. 131/86.
89
2. LA DISCIPLINA DELL’IMPOSTA DI REGISTRO
L’art. 38 del T.U. sull’imposta di registro sancisce il
principio secondo cui la nullità o l'annullabilità dell'atto non
dispensa dall'obbligo di chiedere la registrazione e di pagare
la relativa imposta. Si fa eccezione a questa regola generale, e
dunque l’imposta pagata deve essere restituita (ma per la sola
parte eccedente la misura fissa), quando l'atto sia dichiarato
nullo o annullato per causa non imputabile alle parti, con
sentenza passata in giudicato e non sia suscettibile di
ratifica, convalida o conferma.
3. COORDINAMENTO
Come si può constatare, la logica dell’art. 42 d.lgs. 346/90 è
opposta a quella dell’art. 38 d.P.R. 131/86.
Il primo ci dice quando spetta il rimborso, contemplando pure
i casi di nullità, annullamento, risoluzione, rescissione o
revocazione dell’atto.
Il secondo ci dice quando l’imposta si paga nonostante alcuni
vizi dell’atto. L’elenco di cui all’art. 38 va interpretato in
senso letterale dunque non ammette che, venendo meno il
presupposto dell’imposizione, l’imposta si paghi comunque al di
fuori dei casi di dichiarazione di nullità o annullamento non
imputabili alle parti. In particolare, possiamo dire che il
regime di permamenza dell’obbligo d’imposta non si applica, ai
sensi dell’art. 38, ai casi di risoluzione, rescissione, o
revocazione dell’atto che integra il presupposto impositivo,
così come previsto per la disciplina specificamente dettata per
l’imposta sulle donazioni dall’art. 42 d.lgs. 346/90. In questo
non si creano contrasti tra le due disposizioni.
Diversamente accade per i casi di nullità e annullamento: se
all’atto si applica imposta sulle donazioni, il rimborso
dell’imposta spetta in qualunque ipotesi di nullità o
annullamento ex art. 42 d.lgs. 346/90.
Se però va applicata imposta di registro (come avviene per gli
90
atti che diano luogo a liberalità indiretta, fintanto che la
liberalità non è accertata, in quanto una volta accertata la
liberalità si applicherà imposta sulle donazioni con il relativo
regime in caso di vizi dell’atto), in caso di nullità o
annullamento l’imposta si rimborsa solo se l’invalidità è dovuta
a causa non imputabile alle parti. Ai fini del rimborso è
inoltre richiesto che sulla sentenza di nullità o annullamento
debba essersi prodotto giudicato e che l’atto non possa più
essere oggetto di ratifica, convalida o conferma.
4. CENNI SUL PROCEDIMENTO DI RESTITUZIONE
Quanto al procedimento volto ad ottenere la restituzione
dell’imposta, l’art. 42 d.lgs. 346/90 prevede che il rimborso
debba essere richiesto, a pena di decadenza, entro tre anni dal
giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in cui è sorto
il diritto alla restituzione. La presentazione della domanda
non sospende la riscossione dell’imposta (art. 40.1).
Competente a ricevere la richiesta è l’ufficio che ha riscosso
l’imposta.
Il quarto comma esclude espressamente il rimborso per gli
importi, comprensivi d’interessi e soprattasse, non superiori a
lire ventimila.
Anche la disciplina prevista per l’imposta di registro prevede,
all’art. 77 d.P.R. 131/86, il termine decadenziale di tre anni
dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui
è sorto il diritto alla restituzione, e la presentazione della
richiesta all’ufficio che ricevuto la registrazione.
In caso di rigetto della richiesta, al contribuente è data la
possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria per instaurare
un contenzioso tributario e ottenere la condanna al rimborso in
suo favore, ed eventualmente potrà promuovere un giudizio
d’ottemperanza per l’esecuzione coattiva della stessa.
91
92
_____________________________________________________
INDICE BIBLIOGRAFICO
_____________________________________________________
ASCARELLI, Il negozio indiretto, in Studi in tema di contratti,
Milano, 1952, p. 6
BIONDI, Le donazioni, in Trattato di diritto civile VASSALLI,
vol. XII, Torino, 1961
RUBINO, Il negozio giuridico indiretto, Milano, 1937
SANTORO PASSARELLI, Interposizione di persona, negozio indiretto
e successione della prole adulterina, nota a Cass. 18 giugno
1930, senza numero, Foro it. 1931, I, 177
TORRENTE, La donazione, in Trattato di diritto civile e
commerciale CICU MESSINEO, Milano, 1956
FEDELE, Il regime fiscale di successioni e liberalità, capitolo
XIX di Trattato delle successioni e donazioni RESCIGNO, vol. II
BUSANI, L’imposta di registro, Milano 2009
FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 2010
ALEMANNO RICCA, I primi chiarimenti sulla nuovo disciplina dei
trasferimenti a titolo gratuito, in Corr. trib. 2001, n. 44, p.
3343
BAGGIO, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà
tributaria, Padova, 2009
GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008 e
1993
STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo
successorio, Padova, 2000
GHINASSI, Primi appunti sulla nuova “imposta sulle donazioni”,
in Rass. trib. 2003/1, 57
GHINASSI, Le liberalità indirette nel nuovo tributo successorio,
in Rass. trib. 2010/2, 394
93
GIANOLA, Atto gratuito, atto liberale, ai limiti della
donazione, Milano, 2002
IACCARINO, Liberalità indirette. Enunciazione dell’intento
liberale quale metodologia operativa,
Milano, 2009
IACCARINO, Donazioni indirette a “ars stipulatoria”, Milano,
2008
ARNAO, Manuale dell’imposta di registro, Milano, 2005
LUPI, Riforma delle successioni: il nodo delle liberalità
indirette, in Rass. trib. 2000, n. 3, p. 855
LUPI, Successioni e donazioni: ipotesi di riforma, in Rass.
trib. 1998, n. 4, p. 903
LUPOI, Istituzioni di diritto dei trust e degli affidamenti
fiduciari, Padova, 2011
MAISTO, Convenzioni internazionali per evitare le doppie
imposizioni, Milano, 2001
MARONGIU, La riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni,
in Dir. prat. trib. 2000, n. 5, p. 1284
NAPOLITANO, Manuale dell’imposta sulle successioni e donazioni,
Milano, 1998
NASTRI NASTRI, Manuale applicativo delle imposte indirette,
Milano 1996
PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, in Trattato di diritto
civile diretto da Sacco, Torino, 2000
VETTORI, Atti di destinazione e trust, Padova, 2008
CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996
D’ETTORE, Intento di liberalità e attribuzione patrimoniale,
Padova, 1996
VECCHIO, Le liberalità atipiche, Torino, 2006
FANELLI LAMPONE, Imposta di registro con riferimenti alle
imposte ipotecaria e catastale, Milano, 2003
IANNIELLO MONTESANO, Imposte di registro, ipotecaria e
catastale, Milano, 2008
94
FALSITTA FANTOZZI MARONGIU MOSCHETTI, Commentario breve alle
leggi tributarie, Padova, 2011,
LANZILLOTTI MAGURNO, Il notaio e le imposte indirette, Roma,
2004
ROSSI, Trasferimenti immobiliari e imposizione fiscale, Torino,
2007
SCODELLARI, La successione ereditaria e la donazione nel diritto
civile e tributario, Torino, 2010
AA. VV., Liberalità non donative e attività notarile, in I
quaderni della fondazione italiana per il notariato, 2008, n. 1,
Milano
GAFFURI, Note riguardanti la novellata imposta sulle successioni
e donazioni, in Rass. trib. 2007, n. 2, p. 441
PLASMATI, Le imposte sulle successioni e donazioni, in Dir.
prat. trib. 2009/4, 843
PLASMATI, Il regime fiscale degli atti gratuiti diversi dalle
liberalità, in Dir. prat. trib. 2008/5, 955
FEDELE, Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Riv.
dir. trib. 2003/10, 799
MASTROIACOVO, Considerazioni relative all’entrata in vigore
della riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni, in
Riv. dir. trib, 2001, n. 5, p. 597
STEVANATO, Le liberalità tra vivi nella riforma del tributo
successorio, Riv. dir. trib. 2001, n. 3, p. 339
PEIROLO, Il regime fiscale della donazione di partecipazioni, in
Prat. fisc. prof. 2005, n. 47, p. 35
SALANITRO, Solidarietà tra gli eredi e cumulo delle donazioni
nella nuova disciplina dell’imposta sulle successioni e
donazioni, in Riv. dir. trib. 2009, n. 6, p. 591
BURELLI, La rinuncia (a diritti reali) tra imposta sulle
donazioni e imposta di registro, in Riv. dir. trib. 2008, n. 3,
p. 279
95
DALLA VECCHIA STELLACCI, Elusione dell’imposta di registro
attuata attraverso la concatenazione di più atti, in Fisco 2011,
n.48, p. 7827
MASTRAPASQUA, Donazione da parte di società commerciali, in
Fisco 2012, n. 32, p. 5124
SARACENO, Imposizione indiretta nel passaggio generazionale:
donazioni indirette, vincoli di destinazione e trust, in Fisco,
2012, n. 37, p. 5934
LUPI, Le liberalità non formalizzate nella riforma del tributo
successorio, in Rass. trib. 2001, n. 2, p. 330
CORASANITI, L’interpretazione degli atti e l’elusione fiscale
nel sistema dell’imposta di registro, in Obbl. contr. 2012, n.
8-9, p. 615
LO PRESTI VENTURA, Le donazioni indirette nei processi di
riorganizzazione dei gruppi familiari, in Corr. trib. 2007, n.
32, p. 2578
CERNIGLIARO DINI, Il patto di famiglia nel diritto tributario,
in Fam. pers. succ. 2006/, n. 12, p. 967
CONTRINO, Trusts liberali e imposizione indiretta sui
trasferimenti dopo le modifiche al tributo sulle donazioni, in
Rass. trib. 2004, n. 2, p. 434
STEVANATO, Trusts e imposta sulle donazioni: prime reazioni
giurisprudenziali alle forzature della prassi amministrativa,
nota a Comm. prov. Firenze, Sez. VIII, Sent. 12/2/2009
(23/10/2008), n. 30 ed a Comm. prov. Lodi, Sez. I, Sent.
12/1/2009 (8/1/2009), in Riv. giur. trib. 2009, n. 6, p. 534
BASTONI, Fiscalità indiretta e trust non liberali, in Trust e
att. fid. 2011, n. 6, p. 585
FARINA, Rilevanza dell’atto di destinazione nel trust con
riguardo alle imposte sulle successioni e donazioni. Profili
civilistici e fiscali, in Trust e att. fid. 2010, n. 5, p. 484
PALUMBO, Profili fiscali del trust, in Fisco, 2010/3, 330
MIGNARRI, Trust e imposte sulle successioni e donazioni, in
Fisco 2011, n. 29, p. 4659
96
ROSSI RAGAZZI, Cessione e trasferimento gratuito dell’azienda,
in Fisco 2012, n. 24, p. 3737
ZAGA’, L’applicabilità ai vincoli di destinazione ed ai trust
della (re)istituita imposta sulle successioni e donazioni, in
Dir. prat. trib 2010, n. 5, p. 1067
BARBA, Tecniche negoziali di intestazione di beni sotto nome
altrui e problemi successori, in Fam. pers. succ. 2012, n. 5, p.
344
CORASANITI, Profili impositivi dell’intestazione fiduciaria, in
Dir. prat. trib. 2009, n. 4, p. 727
CARAMELLI MANZINI, Erogazioni liberali a favore della ricerca
deducibili senza limiti, commento a Risoluzione agenzia delle
entrate 19/8/2011, n. 87, in Fisco 2012, n. 1, p. 21
ANTONINI, Aspetti di diritto comunitario ed internazionale delle
imposte sulle successioni e donazioni, nota a Corte giustizia CE
11/12/2003, n. 364, sez. V, in Riv. dir. trib. 2004, n. 9, p.
170
TURIS, Nullità della donazione e imposta di registro, nota a
Cass. civ. sez. V 18/1/2012 (24/11/2011) n. 634, in Fisco 2012,
n. 9, p. 1323
CONTRINO, Il trasferimento di immobili in un trust liberale è
soggetto a imposizione proporzionale di registro: note critiche
su un recente arresto giurisprudenziale veneto (e sull’ondivaga
posizione del fisco), nota a Comm. reg. Venezia 9/6/2008, n. 20,
in Riv. dir. trib. 2009, n. 6, p. 496
VIOTTO, Regime fiscale e regime contributivo delle liberalità
erogate ai lavoratori dipendenti da soggetti diversi dai datori
di lavoro, nota a App. Milano 8/2/2002, in Riv. dir. trib. 2003,
n. 10, p. 815
TERLIZZI, Anche la donazione priva della forma scritta è
assoggettata a tassazione, nota a Cass. civ. Sez. tributaria,
18/1/2012 n. 634, in Dir. e giust. 2012/0, 54
QUATTROCCHI, Territorialità dell’imposta di donazione tra
residenza del donante e (carenza di) atto formale, nota a Cass.
97
Civ. Sez V, 22/10/2010 n. 21689, in Dir. e prat. trib. int.
2011, n. 1, p. 439
PAGNUCCO, Donazioni poste in essere anteriormente all’entrata in
vigore della l. n. 286/2006, in Dir. prat. trib. 2009, n. 6, p.
1175
ZAGÀ, L’applicabilità ai vincoli di destinazione ed ai trust
delle (re)istituita imposta sulle successioni e donazioni, in
Dir e prat. trib. 2010, n. 5, p. 1067
CONTRINO, Il trasferimento di immobili in un trust liberale è
soggetto a imposizione proporzionale di registro: note critiche
su un recente arresto giurisprudenziale veneto (e sull’ondivaga
posizione del fisco), nota a Comm. trib. reg. Venezia 9/6/2008,
n. 20, in Riv. dir. trib, 2009, n. 6, p. 496.
SARACENO, Imposizione indiretta nel passaggio generazionale:
donazioni indirette, vincoli di destinazione e trust, in Fisco,
2012, n. 37/1, p. 5934.
VINCENZO, Rilevanza dell’atto di destinazione nel trust con
riguardo alle imposte sulle successioni e donazioni. Profili
civilistici e fiscali, in Trust e att. fid., 2010, n. 5, p. 484.
ZOSO, La determinazione della base imponibile nella donazione
con riserva di usufrutto a favore del donante e, dopo di lui, di
un terzo, in Riv. dir. trib. 2003, n. 4, p. 343
98
_____________________________________________________
INDICE GIURISPRUDENZIALE
_____________________________________________________
Corte Giustizia CE, sez. V, 11/12/200, n. 364, in Riv. dir.
trib. 2004, n. 9, p. 170
Cass. civ. sez. Trib, 18/1/2012, in Dir. giust. 2012, n. 0, p.
54
Cass. civ. sez. Trib, 29/10/2010, n. 22118
Cass. civ. sez. Trib, 18/1/2012, n. 634, in Dir. giust., 2012,
26 gennaio
Cass. civ. sez. II, 17/11/2010, n. 23215, in Civilista, 2011, n.
9, scenari
Cass. civ. sez. II, 9/2/2011, n. 3175, in Civilista, 2011, n. 5,
p. 15
Cass. civ. sez. II, 29/2/2012, n. 3134, in Giust. civ., 2012, n.
2, p. 238
Cass. civ. sez II, 21/10/1992, n. 11499, in Giust. civ., 1992,
n. 10
Cass. civ. sez. II, 4/5/2012, n. 6784, in Guida dir., 2012, n.
24, p. 77
Cass. Civ. sez. V, 22/10/2010, n. 21689, in Dir prat. trib.
2011, n. 1, p. 439
Cass. civ. sez. lav. 22 febbraio 1995 n. 2021
Cass. 16/3/2004, n. 5333
Cass. 29/3/2001, n. 4623
Cass. 21/3/2000, n. 642
Cass. 23/12/1992, n. 13630
Cass. 18/6/1930, in Foro it. 1931, I, 177
Cass. 15/10/2007 n. 21531
Cass. 27/8/2012, n. 14654
99
Cass. 30/3/1951, n. 714
Comm. trib. reg. Venezia, 9/6/2008, n. 20, in Riv. dir. trib.
2009, n. 6, p. 496
App. Milano, 8/2/2002, in Riv. dir. trib. 2003, n. 10, p. 815
Comm. trib. prov. Salerno 26/3/2001, n. 4441
Comm. trib. prov. Milano 10/11/2008
Comm. trib. prov. Bergamo 17/5/2010
Comm. trib. prov. Bologna 30/10/2009, n. 120
Comm. trib. prov. Treviso 30/4/2009, n. 47
Comm. trib. prov. Treviso 30/4/2009, n. 48
Comm. trib. prov. Firenze 23/10/2008
Comm. trib. prov. Firenze, 12/2/2009 (23/10/2008), in Riv. giur.
trib. 2009, n. 6, p. 534
100