Tesi Benaglia
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA GENERALE
Corso di Laurea in Scienze Psicologiche della personalità e delle relazioni interpersonali
(Curriculum: valutazione della personalità)
ELABORATO FINALE
LA MOTIVAZIONE E LE EMOZIONI DELL’APPRENDIMENTO
QUALCOSA DI PERSONALE...
Learning motivation and emotions
Something personal...
Relatore:
Prof.ssa Angelica Moè
Laureanda: Marika Benaglia
Matricola: 513365
Anno Accademico 2011/2012
Alla mia dottoressa
a me stessa
e a tutti coloro che riescono a credere negli altri, nonostante tutto
INDICE
Introduzione....................................................................................................................................pag. 4
Capitolo 1 - Metodi di studio e strategie nell’apprendimento......................................................pag. 7
Capitolo 2 - Motivazioni ed emozioni dell’apprendimento...........................................................pag. 9
2.1 - Programmi................................................................................................................pag. 12
2.2 - Il Metodo Feuerstein................................................................................................ pag. 14
Capitolo 3 - Esperienze............................................................................................................... pag. 16
Conclusioni................................................................................................................................. pag. 22
Bibliografia..................................................................................................................................pag. 23
Appendice
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INTRODUZIONE
Il mio incontro con le ricerche sugli aspetti fondanti l’apprendimento, in particolare le strategie di studio e
la motivazione, riunite sotto il nome (che diventa prassi) di ‘Didattica Meta cognitiva’, quelle del Gruppo
MT e degli studiosi dell’apprendimento dell’Università di Padova, è stato un incontro personalmente
piacevole e proficuo, da molti punti di vista. Primo fra tutti è stato rivelatore di quanto sia complesso un
fenomeno, seppur solo apparentemente e ad un’analisi superficiale, semplice come l’apprendimento;
inoltre i diversi aspetti risultanti dall’analisi del fenomeno, si rivelano altrettante possibili chiavi di
intervento nel campo dell’intervento di recupero e sostegno agli studenti in difficoltà; infine, ma non meno
importante, mi ha fornito utili strumenti di lavoro, arricchendo il personale patrimonio di conoscenze e
competenze, come pedagogista impegnata da più di dieci anni nella cura di bambini e adolescenti con
disagio, presso le Scuole e privatamente, nella Provincia di Bologna.
‘Personale’, tra l’altro, è da considerarsi anche una delle parole chiave di questo breve elaborato
sull’apprendimento, in quanto è questione assolutamente personale, ma non solo (...).
Altrettanto interessante è stato l’incontro con il Metodo Feuerstein, Programma di intervento che per certi
aspetti completa quello della Didattica Meta cognitiva e che per altri aspetti trova spazi di giustapposizione,
come normalmente non può non capitare a teorie epistemologicamente corrette (almeno in un dato
momento, come la storia della scienza ci insegna!).
Uno degli aspetti che maggiormente ritengo interessante e importante, che conferma la visione
dell’apprendimento come una questione personale, è il richiamo alla necessità di partire dalle
caratteristiche personali dell’allievo, richiamo anche metodologico preciso, ovvero dall’analisi e bilancio
degli stili e abilità cognitive. Insomma non si può pensare l’apprendimento senza la persona che apprende,
non si può insegnare senza tenere in considerazione ogni allievo e si può certo affermare che è opportuno,
anzi necessario, partire dal linguaggio e dalle esperienze di chi apprende per poter insegnare qualcosa.
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Come per qualsiasi intervento riabilitativo è necessario e imprescindibile calibrare le proposte sulla base
delle caratteristiche personali del fruitore, oltre che un’ovvia prassi terapeutica.
Altro aspetto importantissimo è che personale è e deve essere l’elaborazione del materiale di studio,
perché sia memorizzato più facilmente prima di tutto, ma anche perché risulti più significativo ed
interessante e, ultimo ma non meno importante aspetto, perché l’apprendimento sia così il più libero e
critico possibile.
Inoltre, se è vero che di motivazioni (al plurale) si può correttamente parlare e che in ogni circostanza
l’allievo dovrebbe strategicamente poter ricorrere a quella più opportuna (per esempio alla motivazione
etero diretta del finire gli studi, di fronte ad esami almeno apparentemente inutili e i cui argomenti di
studio, oltre che assolutamente ostici, risultano anche particolarmente noiosi), è anche vero che la forma di
motivazione che maggiormente garantisce soddisfazioni è quella legata alla crescita personale, la
motivazione cosiddetta intrinseca (De Beni e Moè, 2000; Moè, 2010), legata cioè alla soddisfazione, del
tutto personale, di vederci migliorati e cresciuti rispetto ad un apprendimento e ad un compito (anche se
imposto dal contesto scolastico).
Personale è il percorso di crescita che ognuno di noi è chiamato a compiere, a prescindere da qualsiasi
opinabile teoria del successo, che magari privilegi valori di natura materialistica a cui aspirare per essere dei
vincenti. Quanta inutile ansia eviteremmo e dunque demotivazione se ci astenessimo da confronti sociali e
ci concentrassimo invece sulla dimensione dello studio come crescita personale, dell’imparare per se stessi.
Meglio sarebbe, quindi, ritornare alla qualità dell’apprendimento e quindi alla qualità dell’insegnamento.
Personale è anche l’interesse che suscitano in me questi argomenti, vista la mia personale esperienza
scolastica, costellata da numerosi fallimenti (sostenuti da un contesto familiare multi problematico e una
motivazione all’evitamento dell’insuccesso), ferite (perché questo sono gli insuccessi scolastici!) che si
stanno faticosamente tramutando in onorevoli cicatrici di battaglia, anche grazie a questo lungo percorso di
studi superiori (senza dimenticare il percorso di psicoterapia, intrapreso anche in seguito ad una
bocciatura).
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Vorrei, con la mia personale (ancora una volta) testimonianza, mandare un messaggio di speranza: non è
mai troppo tardi per ricostruire, seppur faticosamente, un senso di competenza e per recuperare, quasi, il
tempo perduto, dandosi delle ulteriori e infinite, magari, possibilità di successo! E non è mai troppo tardi
per ricercare le vittorie che ognuno di noi giustamente reclama! Qualsiasi esse siano! E non
necessariamente quelle convenzionali!
Colgo l’occasione per ringraziare, inoltre, sinceramente e fortemente la mia Relatrice, esempio
sorprendente di accoglienza e attenzione, senza il cui intervento, non avrei probabilmente intrapreso
questo lavoro inaspettatamente tanto piacevole per me!
In questo elaborato ho quindi voluto ripercorrere le teorie e le ricerche principali in questo campo, per
arrivare poi subito a documentare una personale esperienza di lavoro, che ritengo essere un’interessante
testimonianza di applicazione di un intervento ispirato alla didattica meta cognitiva nelle scuole e che certo
non potrà non essere influenzata anche dal personale punto di vista pedagogico.
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CAPITOLO 1
METODI DI STUDIO E STRATEGIE NELL’APPRENDIMENTO
“Laddove compaiono svogliatezza, noia, distrazione, lentezza, ritardi, stanchezza, squilibri nella quantità di
tempo assegnato alle varie materie, cattiva assimilazione dei contenuti, incapacità di applicarli a contesti
nuovi, ecc. è lecito sospettare che manchi un metodo adeguato di studio” (Cornoldi, De Beni e Gruppo MT,
2001 ). In base a questa premessa, il gruppo MT afferma l’importanza che la scuola si impegni a sviluppare
la capacità di imparare degli studenti.
Il gruppo MT è nato dall’idea di Cesare Cornoldi (1976) di poter utilizzare i risultati della ricerca psicologica
contemporanea sull’apprendimento per mettere a punto materiali utili al mondo della scuola. La sigla MT
vuole ricordare che un apprendimento non è realmente significativo se non è in grado di mantenersi nel
tempo (Memoria) e di applicarsi a nuovi contesti (Transfer).
Numerose sono anche le ricerche che, a conferma di quanto detto sopra, mettono in luce il rapporto tra
rendimento scolastico e grado di sviluppo delle strategie di studio e soprattutto grado di adattamento e
applicazione di un metodo di studio alle diverse situazioni.
Secondo Schneider e Pressley (1997) le strategie sono dei processi o sequenze di processi che, se messe
appropriatamente in relazione al compito, facilitano la prestazione.
Esse possono essere organizzate in un insieme strutturato fino a costituire un vero e proprio metodo di
studio (SQ4R di Robinson, ad esempio, è uno dei più conosciuti).
Le prime esperienze di applicazione dei programmi d’intervento in questo senso hanno però evidenziato
una carenza di mantenimento e trasferimento delle strategie e dei metodi appresi, ponendo così con forza
la questione dell’importanza di altri aspetti relativi all’apprendimento, quali l’atteggiamento motivazionale
e la capacità di riflessione meta cognitiva (alcune ricerche hanno trovato una relazione tra successo nello
studio e abilità di autoregolazione).
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Molte indagini hanno anche affrontato tematiche quali il rapporto tra studio e contesto sociale, differenze
di genere, relazione con gli stili cognitivi, implicazioni del contesto, abitudini di studio, idee che lo studente
sviluppa sullo studio.
Un discorso a parte meritano gli studenti con disturbi dell’apprendimento, con ritardo mentale e disturbo
da deficit d’attenzione e/o iperattività, per i quali peraltro sono state formulate specifiche proposte di
programmi pensati proprio per il loro problema.
In generale, l’ottica meta cognitiva è rivolta a sviluppare nel soggetto la consapevolezza di quello che fa, del
perché lo fa e di come è più opportuno farlo, in questo modo, implementando “le capacità di essere
‘gestori’ diretti dei propri processi cognitivi, dirigendoli attivamente con proprie valutazioni e indicazioni
operative” (Ianes, 1991).
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CAPITOLO 2
MOTIVAZIONI ED EMOZIONI DELL’APPRENDIMENTO
“Interesse, attività e sforzo sono i caratteri distintivi del lavoro spontaneo e auto educativo del bambino. L’adulto quindi ha il compito di sviluppare e accrescere queste attività spontanee, suscitare gioia ed entusiasmo per la loro pratica e aiutare il bambino a ‘fare da solo’, liberandolo dagli ostacoli allo sviluppo che si pongono sulla sua strada”.
Maria Montessori
Aspetti decisamente fondamentali dell’apprendimento, ma ancora troppo spesso trascurati nella prassi
scolastica, sono quelli meno direttamente collegati ai ‘contenuti’, diremo così, bensì al ‘contesto’, ovvero il
‘clima di classe’ (Lewin, 1936) e il livello di maturazione e consapevolezza di ciascun allievo che vi è inserito
(Dweck, 2000). Numerosi studi, a partire da quelli pionieristici di Lewin, ci illustrano come ci sia una chiara
relazione tra effettivo grado di apprendimento e qualità del vivere in classe. Quest’ultima la ottiene
l’insegnante che con la sua attività e la sua impostazione crea un determinato clima di classe. Alcune
indagini ci dicono che gli insegnanti preferiti sono caldi, amichevoli, disponibili ad aiutare, comunicativi, ma
al tempo stesso ordinati, in grado di motivare e di controllare il comportamento in classe. I ragazzi,
insomma, non amano necessariamente l’insegnante che li fa lavorare poco, li diverte, non li responsabilizza,
anzi. Come l’effetto Pigmalione (Rosenthal e Jacobson, 1992) ci insegna, le aspettative che l’insegnante
sviluppa per i suoi allievi sono di grande importanza e influenzano fortemente i risultati che ottiene e
l’autovalutazione del ragazzo. In generale, sembra che gli insegnanti che hanno aspettative elevate non solo
nei confronti dei loro allievi, ma anche verso se stessi, ottengano il migliore clima di classe. Lewin distingue
tre climi fondamentali: autoritario, lassista e democratico. Il clima cosiddetto ‘democratico’ ottiene
generalmente gli effetti migliori ed è, inoltre, spesso legato ad un’impostazione cooperativa, piuttosto che
competitiva, dell’insegnamento.
Personalmente, ritengo prerequisito fondamentale a tutto quanto descritto finora, che l’insegnante si
guadagni il rispetto dei ragazzi, che certamente non perderanno occasione di mettere alla prova.
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Gli studi della Dweck (1988) hanno messo in luce, inoltre, quanto contino gli aspetti di maturazione
personale, in particolare di auto attribuzione per la gestione dell’ansia, nella prestazione scolastica. I ragazzi
che hanno una teoria dell’intelligenza come un’entità data e non modificabile, incontrando una difficoltà
sviluppano subito ansia manifestando evitamento delle prove e bassa persistenza nel compito. Al contrario
chi ha un’idea dell’intelligenza come modificabile è generalmente più portato ad impegnarsi e a mettersi in
discussione.
Tra gli aspetti di maturazione personale (non potendo non ricordare, peraltro, l’influenza dell’ambiente su
di essa) includiamo la motivazione, fulcro del mio elaborato, ma soprattutto fulcro dell’apprendimento,
nella misura in cui a determinarla entrano in gioco diverse componenti, declinate in ogni individuo, con
sfumature particolari. In generale la motivazione può essere definita come “qualsiasi bisogno, significato o
obiettivo capace di direzionare e dare forza al comportamento” o come “movimento psichico”, vista
l’etimologia latina, da ‘motus’, del termine (Moè, 2010; 2011). La motivazione all’apprendimento, in
particolare, può essere vista come una componente importante di un circolo virtuoso, che porta al successo
lo studente, tra uno stile d’apprendimento strategico, un’attribuzione principale all’impegno e un costante
atteggiamento meta cognitivo:
Dunque sostiene positivamente la motivazione all’apprendimento, possedere strategie e metodi di studio
efficaci, ma soprattutto avere la consapevolezza di possederne e l’auto percezione di sé come capace di
sfruttarle appieno nelle diverse situazioni e materie.
STRATEGIE DI STUDIO
ATTRIBUZIONE MOTIVAZIONE
CONTROLLO METACOGNITIVO
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Sostiene, inoltre, positivamente la motivazione attribuire la causa del successo principalmente alla quantità
e qualità dell’impegno profuso nell’attività di studio, abbandonando quegli stili d’attribuzione perdenti che
delegano il cosiddetto ‘locus of control’ (Heider, 1958) a fattori esterni quali la fortuna o il pregiudizio degli
altri.
Sostiene, infine, la motivazione il lavoro meta cognitivo che lo studente deve continuamente esercitare
come controllo su di sé durante lo studio e la consapevolezza, ancora, dell’importanza di coltivare
l’abitudine ad essere strategici orientandosi al successo e dunque alla soddisfazione personale.
Le emozioni legate all’apprendimento sono anch’esse componenti fondamentali e spesso ben poco tenute
in considerazione nella quotidiana prassi scolastica.
Una traballante fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, la paura di sbagliare o di essere rifiutati sulla
base di una scarsa autostima, ad esempio, può essere il ‘cocktail fatale’ che conduce lo studente al rifiuto
totale dell’impegno scolastico allo scopo di non affrontare possibili prove. Tra parentesi, il terribile ‘habitus
psicologico’ che ha condizionato pesantemente anche i miei anni delle scuole superiori, alle quali,
comunque, devo anche il fatto che sono riuscita a risollevarmi, grazie all’invio presso una psicologa di loro
riferimento, la persona meravigliosa alla quale è dedicato questo elaborato.
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2.1 Programmi
In un contesto scolastico, italiano ed internazionale, con preoccupanti tassi di dispersione scolastica e reso
particolarmente critico anche dalle problematiche relative all’integrazione degli alunni stranieri e dai
sempre più diffusi disturbi dell’apprendimento, appaiono sempre più utili tutti quegli strumenti che
possono sostenere gli insegnanti nella loro professione, che si rivela sempre più una missione!
Di programmi così ce ne sono molti e validi e in particolare l’approccio meta cognitivo ne ha elaborati
davvero tanti e soprattutto talmente vari che intercettano praticamente ogni problematica che l’alunno
può manifestare a scuola.
Programma particolarmente interessante, ma che conosco, purtroppo, solo superficialmente, è
‘Empowerment cognitivo e prevenzione dell’insuccesso’ (Pazzaglia, Moè, Friso e Rizzato, 2002), che
prevede delle schede di lavoro...per gli insegnanti, finalmente! Che, scherzi a parte, sono davvero quelli che
più hanno bisogno di essere preparati per ottenere i migliori risultati con i ragazzi e penso, inoltre, che il
lavoro insieme a loro possa anche facilitare il buon esito di un ipotetico intervento da parte di un esperto
esterno alla scuola.
Programma che invece conosco piuttosto bene, anche perché personalmente utilizzato direttamente sul
campo, è ‘Imparare a studiare 2’ (Cornoldi, De Beni, Gruppo MT, 2001), strumento particolarmente
completo.
Obiettivo principale del programma è quello dell’ “imparare a imparare” e oltre alle regole di studio (aspetti
strategici e metodologici), tiene conto degli atteggiamenti (verso la scuola, rapporto coi compagni e con gli
insegnanti...), degli stili cognitivi e motivazionali e per ognuno di questi argomenti propone schede che
possano essere di stimolo alla presa di coscienza e implementazione delle competenze, per sviluppare nei
ragazzi un atteggiamento meta cognitivo nei confronti dello studio.
Lo strumento fornisce anche precise indicazioni metodologiche sul come procedere, pur prestandosi altresì
ad un uso eventualmente più flessibile.
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Esso è accompagnato anche da un Questionario sul Metodo di Studio (QMS), composto da 163 item (di cui
esistono diverse versioni ridotte, più agevoli, anche con domande riadattate e semplificate), da
somministrare preliminarmente e i cui risultati, poi, si prestano a possibili svariate analisi statistiche, ma
soprattutto ad un bilancio delle caratteristiche e competenze dell’alunno grazie al quale desumere più
precise indicazioni d’intervento!
Una parola meritano anche la tipologia delle schede, che così graficamente ben curate, sono
particolarmente congeniali a sostenere una presa di coscienza e ad alleggerire il lavoro, pur essendo
particolarmente efficaci anche sul piano dei contenuti.
Ciò che ritengo, inoltre, importante, che anticipo in questa sede, ma che approfondisco nelle conclusioni, è
che il tecnico (esperto o insegnante che sia), alla luce del primario obiettivo di rendersi utile per gli alunni in
difficoltà e per l’istruzione in genere, eviti atteggiamenti dogmatici di adesione acritica ad un solo metodo o
ad un approccio teorico, ma resti aperto e pronto ad approfittare di tutto ciò che gli possa essere utile (nei
più disparati campi del sapere)...!
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2.2 Il Metodo Feuerstein
Questo metodo, messo a punto da Reuven Feuerstein e i suoi collaboratori (Vanini, 2005), è attualmente
utilizzato con successo per sviluppare creatività e flessibilità, per riattivare risorse d’apprendimento, negli
ambiti scolastico, sanitario e anche dell’impresa. Personalmente l’ho conosciuto grazie ad un’esperienza di
formazione docenti di Scuole Primarie, che dava libero accesso anche a professionisti nel settore, tenuta
dalla dott.ssa Paola Vanini, fondatrice e direttrice del Centro Feuerstein IRRE – Emilia Romagna.
Feuerstein, allievo di Piaget, prende le mosse dal concetto di ‘zona prossimale di sviluppo’ di Vygotskij
(2002) e dal ‘modello della mediazione’ di Bruner (1991), per dire che le potenzialità dell’individuo sono
infinite, fondando questa sua convinzione sulla teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale. Numerose
evidenze scientifiche documentano la plasticità delle cellule nervose e confermano che lo sviluppo
cognitivo, pur partendo da una dotazione genetica naturale e da una data maturazione delle strutture
nervose, è flessibile e soprattutto sensibile all’azione dell’ambiente. Esperienze d’apprendimento ben
strutturate e proposte, dunque la qualità dell’insegnamento, ha la responsabilità prima dello sviluppo e
potenziamento cognitivo di chi apprende. Infatti numerosi sono i casi documentati di fanciulli con gravi
compromissioni nell’area degli apprendimenti che si sono sbloccati e hanno ottenuto ottimi risultati
successivamente al trattamento col Metodo Feuerstein, che sulla qualità dell’insegnamento si fonda, con il
concetto di Esperienze di Apprendimento Mediato (E.A.M.) e i Criteri della Mediazione. Fondamentale è
l’azione del Mediatore che si interpone tra chi apprende e gli stimoli ambientali, sia regolando modalità –
durata – intensità – ordine - ecc. degli stimoli (input) sia la produzione delle risposte (output). E’ altresì
presente l’attenzione alla fase di elaborazione dell’informazione, schematizzata nella ‘Mappa Cognitiva’ e
nella ‘Lista delle funzioni cognitive carenti’, strumenti utili ad alzare il livello del comportamento cognitivo.
Tornando al concetto di E.A.M., di particolare valore, a mio avviso, è inoltre l’attenzione posta sulla qualità
della relazione tra mediatore e allievo che, tenendo conto della fondamentale componente affettiva, è
guidata dai Criteri, in particolare quelli di ‘reciprocità’, ‘individuazione/differenziazione psicologica’ e del
‘sentimento di appartenenza’, che informano e sostengono appunto gli aspetti emotivi della relazione
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pedagogica, in altre parole ‘il non detto’, ma anche solo comunicato empaticamente, ma così fondamentale
in ogni relazione!
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CAPITOLO 3
ESPERIENZE
Lavoro nel territorio della Provincia di Bologna da più di dieci anni e in questo periodo ho avuto modo di
sperimentare le mie competenze con diversi casi e in diversi ambiti, privato e pubblico. Ovviamente il
Progetto d’Intervento da me formulato si è sempre modificato in base alle caratteristiche dell’utenza e
della committenza. Nell’ambito del privato ho avuto modo di lavorare con un preadolescente con diagnosi
di ritardo mentale, un caso di non ancora riconosciuto DSA e un adolescente con calo di rendimento
scolastico. Nel settore pubblico ho collaborato con due Scuole Secondarie di primo grado, una a
Casalecchio di Reno e l’altra a Zola Predosa (nella provincia di Bologna), con un Progetto di Rimotivazione
scolastica a favore di gruppi di ragazzini con diverse problematiche, tutti con carriere scolastiche alle spalle
quanto meno faticose.
In questo lavoro intendo documentare la mia esperienza nella Scuola Secondaria di primo grado di
Casalecchio di Reno, nell’anno scolastico 2006/2007. Questa è stata particolarmente entusiasmante,
essendo stata la mia prima esperienza di consulenza professionale presso le Scuole e perché, anche grazie
al mio contributo, la Scuola ha partecipato (con un Progetto dal titolo significativo di ‘A scuola di
Consapevolezza’, modestamente, da me suggerito, che comprendeva ovviamente anche il mio intervento
di Rimotivazione scolastica, ma non solo) ad un Bando regionale per combattere la dispersione scolastica,
ottenendo l’approvazione del progetto e i finanziamenti. E’, inoltre, doveroso e un piacere per me ricordare
il fondamentale ruolo che in questa esperienza di ‘buona scuola’, ha avuto un’insegnante straordinaria,
incaricata dell’accoglienza e alfabetizzazione degli alunni stranieri, che ha creduto nel mio contributo e
coordinato l’intero Progetto scolastico a favore dell’antidispersione, anche con un’opera, non facile, di
paziente coinvolgimento dell’intero Istituto.
Di seguito propongo uno schema che riassuma i casi, con le principali caratteristiche, che ho affrontato con
il mio progetto nella Scuola di Casalecchio di Reno:
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ALUNNI M/F
ETA’ CARATTERISTICHE PRINCIPALI
AREE D’INTERVENTO PREVALENTI
RISULTATI
M.V. M 14 Rifiuto/bullo, a rischio abbandono
Strumenti compensativi Iscrizione ciclo scolastico superiore
G.B. M 13 Disagio familiare, scarsa autostima
Rinforzo positivo, memorizzazione
Scelta scolastica meglio motivata
S.P. F 13 Sospetto DSA, deprivazione culturale, pregiudizi di genere
Gestione dell’ansia Abbandono percorso
S.B. M 13 Integrazione scolastica difficile, estrema timidezza
Organizzazione e metodi di studio
Conclusione percorso
L.B. M 13 Disagio familiare Strategie e metodi di studio
Abbandono percorso
CRITICITA’ PRINCIPALI
Coinvolgimento degli Insegnanti ed eventuale Formazione
Il gruppo di ragazzi, in generale, tutti frequentanti il terzo anno scolastico, dunque a fine ciclo, era
composto da tre alunni di origine straniera (una ragazza S.P. e due ragazzi S.B. e G.B.), un compagno di
classe di quest’ultimo (L.B.) e un ultimo ragazzo (V.M.), frequentante una terza differente, fortemente a
rischio di abbandono scolastico. Purtroppo si è verificato un abbandono dell’intervento, quasi subito da
parte di L.B., un ragazzo particolarmente problematico e un altro verificatosi più avanti, da parte di S.P.,
ragazza con una situazione familiare particolare.
Il Progetto d’Intervento (vedi appendice), prendendo le mosse dagli studi del gruppo MT, in particolare da
Imparare a studiare 2, prevedeva la somministrazione di un breve questionario iniziale (vedi appendice), da
me elaborato, che fungesse soprattutto da strumento utile ad una prima conoscenza delle caratteristiche
del ragazzo e da stimolo alla presentazione delle schede successive (sempre dalla sottoscritta elaborate),
che ovviamente non potevano non articolarsi tenendo in debita considerazione le esigenze particolari dei
ragazzi e del committente Scuola. Quest’ultima mi ha richiesto la compilazione di un registro delle
attività/presenze dei ragazzi, un consuntivo ore da aggiornare costantemente e verifiche in itinere e finale
del lavoro svolto. A questi strumenti ho voluto personalmente affiancare un ‘diario’ in cui ho annotato le
osservazioni a posteriori relative ad ogni incontro. La Scuola mi ha richiesto, inoltre, uno specifico
intervento sul sostegno alla preparazione dell’esame di licenza media, che mi ha permesso di svolgere
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insieme a loro un generale lavoro sulle strategie di compilazione di un elaborato e un più personalizzato
lavoro di sostegno alla motivazione nell’affrontare il compito.
Il setting dell’intervento era piuttosto flessibile, anche se generalmente vedevo i ragazzi almeno una volta
alla settimana, per una o al massimo due ore, in aule solitamente vuote (aula computer, ad esempio) e la
durata complessiva dell’intervento è stata da marzo a giugno.
Vorrei ora raccontarvi alcuni casi più da vicino.
G.B., un ragazzo di origine colombiana, con una situazione familiare alle spalle piuttosto problematica,
appariva, soprattutto, abbattuto e arreso ad un futuro di mediocrità, vista la sua abitudine a non credere
nelle sue capacità. L’intervento con lui ha da subito fatto emergere che le sue prime difficoltà scolastiche
coincidevano con la separazione dei suoi genitori e ho suggerito a G. di rivolgersi eventualmente anche al
servizio di sportello d’ascolto che la scuola offriva. In seguito anche alla sua notevole capacità di auto
riflessione e disponibilità a mettersi in discussione (pure troppa!), ci siamo subito concentrati sulla
sottolineatura della possibilità di implementare le abilità cognitive. Denunciando lui, quindi, una particolare
difficoltà nella memorizzazione, proprio quel sistema che risente più di tutti dell’umore e di eventuali
traumi emotivi (Cornoldi e De Beni, 2005), ho preparato del materiale e abbiamo svolto un lavoro specifico
sulla memoria e le mnemotecniche (vedi estratto in appendice). Anche allo scopo di recuperare
un’insufficienza, l’ho affiancato nella preparazione di un’interrogazione, per la quale G. ha preparato anche
un breve elaborato scritto sui motori, argomento fortunatamente, ma non a caso, di suo interesse e
concordato con la professoressa. Relativamente all’esame di licenza media, ho lavorato con lui sulla
strategia di compilazione di una scaletta/indice utile come guida alla stesura di un elaborato e l’ho
accompagnato in biblioteca per la ricerca e reperimento del materiale a lui necessario. Durante il percorso,
sollecitato anche dalla Scuola con interventi di orientamento per la scelta scolastica, in seguito alla
conclusione del ciclo, era emerso il suo desiderio di fare l’aviatore, che lui però manifestava sempre come
un sogno irraggiungibile, come una carriera per cui lui non fosse all’altezza, aggiungendo anche spesso
“meglio la scuola alberghiera, perché si studia poco”. Tutto l’intervento ha visto una personale,
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instancabile, attività di rinforzo e incoraggiamento, ovviamente, ma, in particolare, ho ragionato con lui
sull’importanza della dimensione della soddisfazione personale e di una motivazione alla scelta scolastica
futura che andasse in quella direzione. A fine anno e percorso G. ha scelto una scuola tecnica, senza dubbio
più vicina ai suoi interessi (fulcro di una solida motivazione che sostenga al successo!) e, soprattutto, direi,
con una maturata motivazione all’impegno e una maggior fiducia in se stesso!
S.P., era una ragazza di origine magrebina, nata in Sicilia, con difficoltà nella completa padronanza della
lingua italiana, probabilmente, soprattutto, dovute ad un ambiente deprivante culturalmente, ma non solo.
S., infatti, aveva alle spalle un percorso logopedico, vista la sua grande difficoltà nella lettura (“mi si
accavallano le lettere” mi ha riferito un giorno), ma era sprovvista di una certificazione e la Scuola tendeva
a credere che le sue difficoltà principali fossero imputabili ad una mancanza di stimoli e ad un ambiente
poco attento. S. nella scrittura non manifestava le stesse grandi difficoltà che nella lettura e scriveva, infatti
con piacere, fin da piccola, un diario, che mi ha fatto leggere in alcuni passaggi, potendo constatare e
sottolineare anche a lei quanto fosse straordinariamente capace di trasmettere emozioni. Spesso arrivava
in ritardo perché, riferiva, troppo presa dalle faccende domestiche e in diverse altre occasioni ho avuto
modo di pensare che nel suo ambiente familiare non si investisse affatto sulla realizzazione sociale e a
maggior ragione culturale, delle donne. La famiglia ha interrotto la frequenza del percorso di S. prima della
sua naturale conclusione, ma prima ho potuto lavorare con lei sulla gestione dell’ansia (vedi estratto in
appendice), altro problema che denunciava. Prima di abbandonare il percorso aveva manifestato
l’intenzione di intraprendere un corso professionale per parrucchiera.
M.V., con una già lunga storia di grave insuccesso scolastico alle spalle, dovuta probabilmente anche ad un
sospetto DSA non riconosciuto, e con una situazione familiare piuttosto complicata. Manifestava
comportamenti oppositivi più o meno intensi alle figure docenti e a volte anche da bullo. Soprattutto
manifestava un netto e deciso rifiuto scolastico, non stancandosi mai di ripetere “la scuola non fa per me”,
convinzione ormai ben radicata in lui. Aveva già ripetuto il secondo anno, soprattutto per motivi legati alle
troppe assenze ed era a rischio (più che altro minacciato, a fin di bene, secondo la scuola) di perdere anche
l’anno in corso, l’ultimo! Gli insegnanti erano piuttosto rassegnati e ritenevano che già il semplice fatto che
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M. frequentasse più o meno volentieri il suo percorso con me, fosse un più che discreto successo! Senza
dubbio non mi sono mai accontentata di questo, pur riconoscendolo anch’io, e ho tentato sempre di
intraprendere tutte le possibili strade di intervento. Dunque, una volta inquadrata bene la situazione, anche
per aggirare il suo rifiuto, ci siamo avvalsi dell’uso del computer per i nostri incontri, mezzo almeno
tollerabile per lui e ho, a più riprese, sottolineato sia la sua autonomia di gestione degli incontri, a seconda
delle sue esigenze, sia quella di frequenza (nel limite del possibile). A proposito del lavoro svolto insieme,
l’ho aiutato a compilare un tema, tentando di introdurre la tecnica della scaletta, ma soprattutto, alla fine,
aiutandolo nella formulazione del discorso scritto. E’ stato questo il momento in cui M. è stato più vicino a
prendere del tutto coscienza dei suoi disturbi e io ho tentato di parlargli apertamente delle sue ipotetiche
difficoltà, ma si è difeso subito molto bene da questa nuova occasione di consapevolezza e molto
probabilmente per la sua più grande paura, di risultare “stupido”, nonostante ogni tipo di rassicurazione in
merito. M. era davvero un caso da manuale di “una storia di un malinteso” (Stella, 2004), in cui genitori,
insegnanti ed esperti non sono stati capaci di comprendere le sue difficoltà quando era il momento,
instaurando così un circolo vizioso che ha accresciuto la frustrazione di tutti e soprattutto allontanato la
soluzione del problema, conducendo M. verso una strada di atteggiamenti di rifiuto e da bullo, “perché il
bullo non ha difetti, non ha niente e tutti credono che se lui vuole può fare anche meglio degli altri” (Stella).
A proposito invece dell’attività svolta relativamente all’esame finale, come strumento compensativo, gli ho
preparato un file audio con la registrazione del contenuto che doveva studiare per la prova. Pur sembrando
inizialmente l’intervento più difficile, alla fine siamo riusciti ad ottenere che il ragazzo si iscrivesse ad un
Istituto Superiore con cui oltretutto ho personalmente preso contatti per presentare il caso particolare di
M.
Il bilancio dell’esperienza, a fine intervento, era personalmente piuttosto scoraggiante, viste le enormi
difficoltà incontrate, oltre che nei casi piuttosto difficili affidatimi, anche nella relazione con gli insegnanti,
che spesso, più che sostenere il mio intervento, lo disconfermavano in diversi modi, più o meno
consapevolmente. Nonostante la Scuola fosse di un livello elevato, con insegnanti mediamente molto
preparati e offrisse numerose opportunità ai ragazzi, quali sperimentazione in musica, sportello d’ascolto,
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ecc., nell’accoglienza e gestione dei casi difficili, come ad esempio i ragazzi con DSA non riconosciuti sono,
era mediamente piuttosto impreparata, faticando anche nella relazione con le famiglie. Tra l’altro,
probabilmente, poco era ancora passato dei contenuti della Circolare Ministeriale del 2004 (Prot 4099/A
del 5.10.2004), sugli strumenti compensativi e dispensativi a favore degli alunni con DSA (considerando poi
che nessuno dei ragazzi aveva una certificazione!). E’ essenziale, inoltre, per il buon esito di qualsiasi
intervento, a mio avviso, che tutti i soggetti adulti coinvolti stipulino un ideale ‘patto pedagogico’, in cui
concordino e condividano le linee educative da tenere a favore dei ragazzi fruitori del servizio. Ed è
probabilmente ancor più necessario quando le conoscenze in merito a certe questioni sono ancora poco
diffuse e l’intervento dunque è particolarmente ‘tecnico’. E da questo punto di vista, probabilmente, si è
fatto troppo poco, essendo mancata anche un’adeguata presentazione dello stesso, ad inizio anno.
A distanza di tempo, penso che il bilancio dell’intervento sia, considerando anche tutte le difficoltà
incontrate, da considerarsi davvero positivo, visti i risultati raggiunti.
Di seguito presento alcune considerazioni che ho fatto sugli aspetti critici e meno, relativi agli interventi
condotti nelle scuole e nel privato, facendo quindi un confronto:
ASPETTI POSITIVI ASPETTI NEGATIVI
INTERVENTO A SCUOLA Ambiente di lavoro stimolante, dal punto di vista degli strumenti e delle possibilità d’intervento;
Difficoltà di gestione dei rapporti tra tutti gli adulti coinvolti: genitori, insegnanti ed esperto (a rischio il patto pedagogico);
INTERVENTO NEL
PRIVATO
Rapporto diretto e fiduciario con la famiglia (sì al patto pedagogico);
Difficoltà di circoscrizione dell’intervento, che spesso può essere confuso con semplici ripetizioni;
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CONCLUSIONI
La vera chiave che permette di entrare in comunicazione con lo studente, anche in situazione di disagio,
sostenendone la motivazione, a mio avviso, sta nell’espressione ‘né troppo difficile, né troppo facile’ (che
richiama vagamente anche la frase attribuita ad Einstein), che riassume una sapiente capacità
dell’insegnante di tenere sempre e bene in considerazione le caratteristiche dell’allievo, proponendogli
quindi materiale che lo rinforzi nelle sue capacità, dunque per lui approcciabile con almeno discreta
autonomia e buone possibilità di riuscita, ma mai troppo semplice. Per dirla con altre parole, il materiale
deve comunque e sempre andare ad intercettare il ‘livello prossimale di sviluppo’ (Vygotskij, 2002), perché
solo così lo studente potrà sentire il piacere della sfida e la soddisfazione del successo.
La vera sfida per l’insegnante risiede proprio in quei casi che possiamo definire ‘difficili’, per incontrare le
caratteristiche dei quali, il mestiere dell’insegnare si trasforma a volte in una vera e propria arte, talmente
complicato e creativo diventa scovare e proporre loro i giusti compiti!
E qui, termino con la considerazione della enorme importanza che riveste la formazione continua degli
insegnanti, anche indirizzata precisamente allo scopo di migliorare le loro capacità di comprensione e
gestione delle fondamentali componenti di natura emotivo – motivazionale (Moè, Pazzaglia e Friso, 2010)
dell’apprendimento, che può aumentare senza dubbio le possibilità di riuscita degli interventi con gli allievi!
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BIBLIOGRAFIA
Ashman, A.F. e Conway, R. (1991). Guida alla didattica meta cognitiva. Trento: Erickson
Bruner, S.J. (1991). Il linguaggio del bambino. Roma: Armando
Cornoldi, C. e De Beni, R. (2005). Vizi e virtù della memoria. Firenze – Milano: Giunti
Cornoldi, C. De Beni, R. e gruppo MT (2001). Imparare a studiare 2. Trento: Erickson
De Beni, R. e Moè, A. (2000). Motivazione e apprendimento. Bologna: il Mulino.
Lewin, K. (1936). Principi di psicologia topologica. Firenze: edizioni OS
Moè, A. (2011). Motivati si nasce o si diventa? Bari: Laterza
Moè, A. Pazzaglia, F. e Friso, G. (2010). MESI. Trento: Erickson
Montessori, M. (2000). L’autoeducazione. Milano: Garzanti
Pazzaglia, F. Moè, A. Friso, G. e Rizzato, R. (2002). Empowerment cognitivo e prevenzione
dell’insuccesso. Trento: Erickson
Rheinberg, F. (2004). Valutare la motivazione. Bologna: il Mulino
Rosenthal, R. e Jacobson, L. (1992). Pigmalione in classe. Monza: Franco Angeli Editori
Stella, G. (2004). La dislessia. Bologna: il Mulino
Stella, G. (2007). storie di dislessia. Firenze: libri liberi, Associazione Italiana Dislessia onlus
Vanini, P. (2003). Potenziare la mente? Una scommessa possibile. Brescia: Vannini editrice
Vygotskij, L. (2002). Pensiero e linguaggio. Firenze – Milano: Giunti
APPENDICE
Progetto di rimotivazione allo studio
La realizzazione di questo tipo d’intervento tiene conto degli aspetti fondanti e meno evidenti dell’apprendimento, la cui analisi ed eventuale modifica, dovrebbe garantire
un’azione profonda sui soggetti.
L’obiettivo è quello di re – indirizzare i soggetti verso un approccio positivo allo studio,
rimotivarli all’apprendimento, attraverso un intervento che miri a trasformare in un circolo
virtuoso (maggiori strategie – migliori risultati – maggiore motivazione), quello che è in
alcuni casi un ormai consolidato, ma non indistruttibile, circolo vizioso (scarsi risultati –
scarse aspettative – scarsa motivazione).
Per ottenere ciò è necessario non fermarsi esclusivamente agli aspetti didattico –
strategici, se pur di fondamentale importanza, ma è essenziale indagare insieme ai
soggetti le convinzioni che stanno a monte l’apprendimento scolastico e che lo
riguardano – informano particolarmente.
Gli aspetti fondamentali sui quali questo tipo d’intervento intende focalizzarsi ed agire sono
i seguenti:
Strategie d’apprendimento: intervento di approfondimento e ampliamento delle
strategie di studio, di memorizzazione, eventualmente d’approccio ad alcune materie
specifiche, etc.
ATTRIBUZIONE MOTIVAZIONE
CONTROLLO METACOGNITIVO
STRATEGIE DI STUDIO
Stili d’attribuzione: individuazione della causa prevalente alla quale i soggetti
attribuiscono il successo – insuccesso scolastico proprio e altrui, per indirizzarli verso
uno stile d’attribuzione che sostenga maggiormente l’apprendimento.
Stili di motivazione: individuazione delle componenti fondamentali della motivazione,
dello stile personale dei soggetti ed eventuale intervento di stimolo al ripensamento
dello stesso.
Abilità metacognitive: obiettivo trasversale all’intero progetto è quello della
stimolazione della metacognizione nei soggetti, nell’ottica della centralità della
consapevolezza di sé, come strumento essenziale per esercitare uno strategico auto -
controllo metacognitivo.
L’intervento prevede un percorso con lo studente con materiale da me preparato, frutto di
personali studi e lavoro di documentazione sulla ricerca accademica psico - pedagogica
contemporanea che riguarda l’apprendimento. Le finalità del materiale da me previsto
sono di approfondire la conoscenza, sia del ragazzo sia mia, su quali siano le difficoltà e le
criticità maggiori nel suo atteggiamento verso lo studio e cominciare a fornirgli, dunque,
prospettive di cambiamento e strumenti per attuarlo.
Esso consiste, ad esempio, nella somministrazione iniziale di un piccolo questionario
conoscitivo “Alcune domande per cominciare…”, da me pensato allo scopo di indagare le
convinzioni dei ragazzi e introdurre gli stimoli fondamentali del percorso previsto, che
verranno ripresi ed approfonditi in seguito attraverso il successivo materiale.
L’intervento da me progettato prevede, inoltre, una fase di esercitazioni pratiche con i
ragazzi, da loro proposte e tratte dal loro materiale quotidiano di studio, grazie a cui
rinforzarli strategicamente e veder applicati gli stimoli forniti loro nella fase precedente del
percorso.
Di importanza essenziale sarà la prima fase di conoscenza del ragazzo/a, attraverso la
quale potrò valutare se e come eventualmente calibrare l’intervento, secondo le
caratteristiche dello stesso.
Ultimo, ma non meno importante fattore che potrà facilitare i buoni risultati dell’intervento,
sarà il rapporto con la famiglia, con cui sarebbe opportuno concordare fin da subito un
ideale “patto pedagogico” con ovvia finalità principale il bene del ragazzo. dott.sa Marika Benaglia
A L C U N E D O M A N D E P E R C O M I N C I A R E …
1. A tuo avviso, studiare un argomento di matematica o un testo di italiano, è lo stesso o noti delle differenze? ………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
2. Hai mai sentito parlare di “schema anticipatorio”? Prova a spiegare cos’è anche se non ne hai mai sentito parlare………………………………………………. ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
3. Ricorda e descrivi un episodio che definiremo di “insuccesso scolastico” (un voto insuff., una nota di demerito, ecc.) e prova a spiegare perché è andata così…………………………………………………………………………………………….……………………………………………………………………………………………….…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
4. A tuo avviso, quali sono gli aspetti che contano maggiormente nel successo/insuccesso scolastico? Stila una classifica tra: impegno, abilità, facilità del compito, fortuna, aiuto.
o …………………………. o …………………………. o …………………………. o …………………………. o …………………………. 5. Secondo te, perché si studia?
………………………………………………………………………………………...……….……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
6. Come definiresti l’intelligenza? ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
7. Ripensa all’episodio ricordato al punto 3…pensi che sarebbe potuto andare diversamente? E in che modo, secondo te? ……………………………………………………………………………………………..…..…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
L-A M-E-M-O-R-I-Z-Z-A-Z-I-O-N-E
Per un’efficace memorizzazione ti propongo qui di seguito una lista di valide metodologie e
tecniche utili allo scopo:
Elaborazione attiva del materiale: farsi domande, pensare e immaginare quanto si
studia, creare dei collegamenti con la propria esperienza, rendere quindi il materiale
di studio il più familiare e significativo possibile.
Strategie classiche: leggere più volte, sottolineare, costruire uno schema, ripetere ad
alta voce e ripassare.
Mnemotecniche: 1. Mnemotecnica dei luoghi o dei loci: consiste nell’immaginare una serie ordinata di
luoghi, in ognuno dei quali poter collocare, pezzo dopo pezzo, tutto il materiale da
ricordare. 2. Mnemotecnica delle parole – chiave: ne esistono almeno due versioni, ovvero, la
prima è quella che ti dovrebbe aiutare a memorizzare una lista di parole scollegate fra
loro, magari in lingua straniera (es., in inglese, horse = cavallo, ecc.), che consiste
nell’individuare una parola assonante e creare un’immagine mentale che le colleghi
(es.: horse è assonante alla parola italiana orso e si può quindi immaginare un orso
che va a cavallo). Una seconda versione è quella che ti suggerisce di individuare una
sequenza di parole – chiave, che fanno rima con i numeri, che deve essere appresa in
precedenza, ad esempio: uno – pruno, due – bue, tre – re, quattro – gatto, cinque –
pingue, sei – nei, sette – vette, otto – dotto, nove – piove, dieci – ceci, ecc. alle quali
poi “attaccare”, sotto forma di immagini interattive, le parole o i concetti che si devono
memorizzare. A mio avviso, le parole – chiave più utili per ricordare, sono quelle che rappresentano
meglio i concetti principali che stai studiando, quelle che in qualche modo li riassumono e
quelle che tu hai individuato grazie alla tua il più possibile attiva e profonda elaborazione del materiale che devi studiare.
3. Mnemotecnica cifra – consonante: può essere utile per imparare date storiche e
consiste nella trasformazione di sequenze di cifre in parole facilmente traducibili in
immagini visive. A ogni cifra da 0 a 9 viene associata una consonante e quindi i numeri
IL RELAX PSICOFISICO Il relax (da non confondere con il riposo, utile anch’esso, ma non altrettanto efficace) è uno
stato di rilassamento psicofisico ottimale che si raggiunge attraverso un’azione cosciente –
attiva, eliminando tensioni muscolari e riducendo l’attività mentale.
In questo momento storico, nel nostro tipo di società, occorre rieducare il nostro apparato
muscolare al relax, poiché è un “lusso” che raramente ci concediamo, un po’ perché “non
abbiamo tempo”, un po’ perché è “vincente” colui che non si ferma mai. Solo grazie ad
esso invece possiamo abbassare nel nostro sangue l’alto tasso di adrenalina provocato
dallo stress che quotidianamente dobbiamo affrontare e/o subire (fornendo così un aiutino
al nostro sistema nervoso parasimpatico che è naturalmente preposto a questa funzione,
ma che con i nostri attuali ritmi e stili di vita rischia di non trovare lo spazio necessario
d’azione).
E’ stato inoltre provato che in stato di relax aumentano anche le nostre capacità mnemoniche. Non sono pochi, infatti, i giovani studenti che, durante gli esami, presi dal panico, non
riescono più ad aprire bocca! La tensione, l’ansia, l’emozione negativa scatenano
alterazioni chimico – umorali che fanno loro dimenticare quanto hanno appreso.
Ti scrivo qui di seguito, come promemoria, le principali fasi del relax psicofisico:
1. RESPIRAZIONE: “Il mio respiro è calmo, profondo e regolare” 2. RILASSAMENTO DEI MUSCOLI: “Il mio corpo è completamente rilassato”
3. RILASSAMENTO DEL PLESSO SOLARE: “Il mio plesso solare è disteso e rilassato”
4. RILASSAMENTO DEL VISO: “Il mio viso è rilassato”, “il mio viso è sereno e disteso”
5. LA CONQUISTA: “Io sono completamente rilassato e calmo” e posso, se voglio, agire
sull’inconscio attraverso frasi che aumentino la fiducia nel futuro e nelle mie possibilità,
promuovano la mia autostima, l’autonomia e il benessere psicofisico.
6. USCITA: conto fino a 10 e apro gli occhi, mi stiracchio e sbadiglio…e via!
!Ricordati una cosa molto importante!: il relax psicofisico una volta acquisito può
essere vissuto in qualsiasi momento e luogo. Anche quando cammini (presta comunque
attenzione alla strada e a dove metti i piedi, mi raccomando!) nessuno t’impedisce di
rilassare i muscoli non impegnati (le spalle, le braccia, il viso, la pancia…) o di eseguire
profonde e regolari respirazioni, già da sole portatrici di grande benessere e sollievo. A
maggior ragione, qualche istante prima di un’interrogazione o di una verifica…respira
profondamente, rilassati e vai…“falli neri” (in senso buono naturalmente)!
Buon relax!
Dott.ssa Marika Benaglia
Bibliografia:
Tratto da A. Bortolotti “Tecniche di autodistensione”, Naturalmente Medicina Editori, ideatore e promotore delle attività del Centro Ricerche psicofisiche “Carl G. Jung” di Riccione (RM), scritto in collaborazione con il prof. Marco Travaglini, docente di educazione fisica e il dott. Stefano Stolfi, psicologo e psicoterapeuta.