tentativi di ricostruzione dell'anima tra passato e futuro

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Avvertenza: questa versione del lavoro è una riduzione del prodotto originale utilizzato per una lezione - spettacolo, in quanto è priva di animazioni, effetti di transizione e colonna sonora. Tuttavia ci è sembrato importante inserire, anche se in forma ridotta, questa testimonianza tra i lavori presenti nella speranza che possa suscitare riflessioni e interventi, oltre al doveroso impegno di non dimenticare quanto accaduto. Grazie

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Riduzione del prodotto originaleutilizzato per una lezione - spettacolo in occasione del Giorno della memoria - 27 gennaio 2007

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Avvertenza:

questa versione del lavoro è una riduzione del prodotto originale

utilizzato per una lezione - spettacolo, in quanto è priva di

animazioni, effetti di transizione e colonna sonora.

Tuttavia ci è sembrato importante inserire, anche se in forma ridotta,

questa testimonianza tra i lavori presenti nella speranza

che possa suscitare riflessioni e interventi, oltre al doveroso

impegno di non dimenticare quanto accaduto.

Grazie

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Io mi sento parte di questo mondo … e sono felice di esserlo quando accarezzo il viso innocente del mio piccolo, quando ricevo un sorriso inaspettato o trovo nello stupore di sentire in me la vita, la gioia delle cose più piccole. Accorgermi di ciò che mi accade vicino e dare un significato a ogni evento rende ricco il mio pensiero e lo allontana da quel nulla che tutto può contenere. Lo allontana dunque dall’essere contenitore di ogni cosa, lo allontana dalla paura di essere preso da qualsiasi cosa che abbia solo una qualche parvenza di senso.

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Mi sento ugualmente parte di questo mondo anche per la responsabilità che devo avere verso la mia realtà, quella per la quale vivo, respiro, sento, sono nella mia plurale identità, nella mia continua crescita verso il bene che è mio come dell’altro.

Io sono responsabile e lo sono sempre di un altro uomo, sostiene a gran voce Levinas.

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Posso certamente ignorarlo, ma in realtà sono responsabile anche di ciò che è successo poco fa a colui che è passato vicino a me. Sono responsabile quindi anche del passato di tutti noi perché espressione dell’umanità che è dentro di me. I fatti trascorsi sono testardi e non possono essere ignorati, distorti o peggio cancellati. Solo un folle e fallimentare delirio di onnipotenza può illudersi di riuscirci.

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Con Hannah Arendt urlo a gran voce: il genocidio ebraico è stato "un crimine contro l'umanità perpetrato sul corpo del popolo ebraico". Un "male estremo, radicale", sebbene compiuto da uomini "banali", comuni, "normali", normalizzati, spersonalizzati, divenuti "incapaci di pensare, di volere, di giudicare", di agire in modo critico, autonomo, e responsabile. Del dolore si deve avere soprattutto una percezione corporea perché solo di fronte alla sua potenza fisica dilaniante il pensiero può cogliersi realmente vulnerabile e quindi capace di stare nel mondo senza distruggerlo.

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L’uomo, come Hans Jonas ha osservato, possiede una straordinaria "facoltà": "di essere buono o cattivo”, anzi, di essere l'uno e l'altro"; "benché a proposito dei casi di malvagità estrema si parli di "mostri". Soltanto gli uomini possono essere "disumani": la disumanità rivela la natura dell'uomo non meno che la sua santità". Quella facoltà specificamente umana, antropologica, di essere buoni o cattivi, mostri e santi, si chiama libertà.

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Noi uomini siamo gli autori delle

nostre azioni, responsabili e imputabili per quello che facciamo perché liberi di scegliere tra il bene e il male, in qualsiasi circostanza che non sia la condizione estrema dell'impotenza o dell'infermità mentale, dell'abbrutimento o dell'alienazione totale.

Se il male dilaga, se Auschwitz si ripete e si moltiplica, crolla anche la possibilità di sperare nell'uomo e nella giustizia umana, di giustificare la nostra libertà, la nostra stessa esistenza e il nostro posto nel mondo.

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Levinas ritiene urgente meditare nuovamente sull’essenza umana nel tentativo, ed è il nostro e in questo preciso momento, di ricostruire un mondo vanificato dal male più imperdonabile a partire da noi stessi, dal nostro piccolo e grande mondo di giovani alla ricerca di un pensiero, di un problema, di una domanda, di uno zoccolo duro sul quale sostare nei momenti di smarrimento … prima di riprendere coraggio e slancio.

Non so se l'educazione vi arriverà, commenta ancora Levinas, ma forse, da certe esperienze la gioventù ritroverà - me lo auguro - la giusta misura di quella che sembra essere una revisione possibile.

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E’ giusto definire l'uomo a partire dalla

potenza del suo sapere? Questa

domanda di certo non vuole

raccomandare la stupidità o non

riconoscere che l'intelligenza sia un

valore grande; bisogna piuttosto

richiamare l'attenzione sulla necessità

che l’'intelligenza non abbia la pretesa

di dominare o spiegare tutto il nostro

mondo o affermarsi come espressione

incontrollata di libertà, libera cioè da

qualsiasi limite.

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Va considerata la possibilità che la definizione stessa dell'uomo possa essere attinta da un altro ordine di cose. Ci domandiamo ancora con Levinas se la relazione di un essere umano con un altro essere umano, la relazione fra uomo e uomo invece di essere presentata - così si insegna - come una conseguenza remota dell'intelligenza, come una conseguenza della libertà, non debba essere piuttosto colta nella definizione stessa dell'uomo, nella sua vocazione: nel riconoscimento cioè della sua dignità e del suo posto nella realtà, come apertura sia all’altro che a se stessi tra la necessità e il compiacimento di esistere facendo tesoro anche, naturalmente, dell’intelligenza e della libertà.

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L’alterità, per ognuno di noi, è infinita trascendenza: il mio prossimo cioè, è una realtà che non posso conoscere profondamente e compiutamente. Emerge così quella che Derrida dice essere la discontinuità con l’altro: non posso donare abbastanza, non posso perdonare abbastanza, non posso essere abbastanza ospitale, non posso essere veramente giusto, non dono a sufficienza. Ma io mi costituisco nel rapporto con l’altro perché la mia identità è aperta ed esposta al mio prossimo da sempre entrato in me al punto tale che “l’altro è in me prima di me”.

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Posso aprirmi all’altro, allo straniero, all’ebreo, allo zingaro, all’omosessuale, al vicino di casa, al mio migliore amico perché la mia casa, la mia cultura, la mia lingua sono già contaminate del loro essere e ciò non comporta di certo una mescolanza indistinta: il confine indefinibile rende la singolarità inappropriabile e il segreto che abita il “proprio” ci custodisce prima che noi lo custodiamo.

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L’apertura all’altro ci fa terreno di ospitalità, luogo in cui avviene un incontro tra me e una persona di cui non mi posso appropriare e verso la quale sono tanto accogliente quanto disarmata. E in questo sentirmi disarmata si gioca ancora una volta la percezione di essere felice di stare in questo mondo e di abitare l’altro, sempre e ancora una volta, come parte di me.

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ttentativi di ricostruzione dell’anima tra passato e futuro entativi di ricostruzione dell’anima tra passato e futuro

testi Patrizia Nunnari Patrizia Nunnari

realizzazione grafica Pietro VolponesPietro Volpones

realizzato a scopo didattico per la celebrazione del “Giorno della memoria”

27 gennaio 2007