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STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE 18 PROMESSI SPOSI Le piccole e medie imprese italiane vanno sul cloud? Storia di un matrimonio che s'ha da fare ma che ancora non si consuma. SOCIAL BUSINESS Le tecnologie che permettono di analizzare i dati provenienti dai social network ci sono. E le aziende che possono sfruttarle? 23 20 NUMERO 2 | DICEMBRE 2012 LEGGERI COME UNA NUVOLA Fabrizio Bona punta su cloud e outsourcing per dare a bip MOBILE l’agilità necessaria a battere i colossi della telefonia mobile. UN MONDO M2M Chicco Testa, presidente di Telit, traccia lo scenario della comunicazione tra dispositivi. Che vede l'Italia protagonista. Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”

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Magazine Technopolis N°2 dicembre 2012

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Storie di eccellenza e innovazione

18 PROMESSI SPOSI le piccole e medie imprese italiane vanno sul cloud? Storia di un matrimonio che s'ha da fare ma che ancora non si consuma.

SOcIal buSInESS le tecnologie che permettono di analizzare i dati provenienti dai social network ci sono. e le aziende che possono sfruttarle?

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nUMero 2 | diceMBre 2012

lEGGERI cOME una nuVOlaFabrizio Bona punta su cloud e outsourcingper dare a bip MOBILE l’agilità necessaria a battere i colossi della telefonia mobile.

un MOnDO M2M Chicco Testa, presidente di Telit, traccia lo scenario della comunicazione tra dispositivi. Che vede l'Italia protagonista.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”

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SOMMARIO

Storie di eccellenza e innovazione

N° 2 - Dicembre 2012

Periodico bimestrale registrato

presso il Tribunale di Milano al n° 378

del 09/10/2012.

Direttore responsabile: Emilio Mango

Coordinamento: Gianni Rusconi

Hanno collaborato: Piero Aprile,

Valentina Bernocco, Carlo Fontana,

Danilo Loda, Marco Russo, Laura Tore

Progetto grafico: Inventium Srl

Iniziative speciali: Salvatore Losco

Business development: Anselmo Barbieri

Foto e illustrazioni: Istockphoto

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl

Via Faruffini 13 - 20149 Milano

tel: 02-36505844

[email protected]

www.indigocom.com

Stampa: RDS Webprinting - Arcore

© Copyright 2012

Indigo Communication Srl

Tutti i diritti di proprietà letteraria

e artistica riservati.

Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

04 StOrIa DI COPErtIna

Leggeri come una nuvola: bip MOBILE

11 In EVIDEnZa

Big data e customer experience

Windows 8 alla prova delle aziende

Chi ci difende dalla consumerizzazione

La guerra degli smartphone

Arriva il dream team dei data center

Lopinione: la formazione del personale It

18 SCEnarI Social business in azienda

Il cloud nelle Pmi italiane

Chicco Testa racconta l’m2m

24 ECCELLEnZE.It

Illva Saronno - Intel

American School of Milan - Dell Ulss 21 Basso Veronese - Vidyo

Aboca - Symantec

Rcs Mediagroup - Informatica

Irce - Oracle

Preca Brummel - Sas

Publiacqua - Fujitsu

32 ItaLIa DIgItaLE Le smart city sono pronte. Sulla carta

Start Up alla prova di maturità

40 OBBIEttIVO SU

Trina Solar

47 VEtrIna HI tECH

Rassegna tablet e ultrabook

Pillole digitali: stampanti per l’ufficio

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4 | DICEMBRE 2012

Intelligente, veloce, semplice. Lo slo-gan scelto da bip MOBILE per pro-muovere la sua offerta di telefonia descrive perfettamente il testimonial

della campagna, il Road Runner di War-ner Bros (meglio conosciuto come Beep- Beep) che sfugge sempre alla caccia del coyote. Ma aderisce come un guanto an-che all’organizzazione aziendale voluta da Fabrizio Bona, amministratore delegato della società e ispiratore di una strategia votata all’agilità e alla rapidità, le uniche armi in grado di permettere a un nuovo operatore virtuale di conquistare fette di mercato di una torta custodita da colossi come Vodafone e Tim.Così, le parole d’ordine della strategia bip sin dalla recente nascita sono outsourcing e cloud computing. O, meglio ancora, tutta la filosofia d’impresa si fonda su una visione ampia del cloud, applicabile non solo ai sistemi informativi, ma a tutte le

LEGGERI COME UNA NUVOLA PER SFIDARE I BIG DELLA teLefONIA

funzioni, siano esse “core” o strumentali. Di outsourcer, bip MOBILE, ne ha alme-no tre. Il primo e più naturale è One Italia, la multinazionale della famiglia Giacomi-ni che possiede anche la maggioranza di bip. One Italia custodisce i dati dell’azien-da presso uno dei suoi data center (anche se è in fase di allestimento un secondo sito, affidato a una società di servizi It e desti-nato al disaster recovery), ha affiancato bip MOBILE nell’integrazione e nella perso-nalizzazione dei sistemi Ict, e ha svilup-pato il portale aziendale, uno strumento cardine nella strategia commerciale dell’o-peratore virtuale. Il secondo outsourcer è Telogic, società danese specializzata nell’a-bilitare gli operatori virtuali di tutta Euro-pa, al quale bip MOBILE ha demandato la gestione della rete intelligente, del bil-ling e di altre attività strategiche del pro-prio business. Il terzo partner principale è Reitek, società italiana che, sfruttando le

StORIA DI COPeRtINA | bip MOBILE

Tecnologie di frontiera, ma sul cloud e in outsourcing. Così, bip MOBILE è riuscita a contenere l‘investimento iniziale senza rinunciare alla potenza di fuoco necessaria per competere con i grandi operatori che presidiano il mercato.

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GLI AzIONIStI

bip MOBILE è stata costituita a marzo del 2012. I soci fondatori sono la famiglia Bona, che de-tiene il 25,3% della società, e la famiglia Giacomini, che pos-siede il restante 66,7%. I Giacomini (Walter, Gian Luca e Jacopo) sono anche soci di maggioranza di One Italia, multinazionale operante nei mercati e-commerce, Internet, advertising e Mobile Vas. In ambito Web, One Italia ha dato vita a progetti come Leonardo.it (il terzo portale italiano per traf-fico), immobiliare.it e BuyOn, il primo sito di cashback italia-no. One Italia è attiva in tutto il mondo, con sedi a Roma, Milano, Mexico City, New York, San Paolo e Dubai.

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architetture cloud, gestisce per conto di bip MOBILE le attività relative al con-tact center.“La filosofia del cloud, applicata non solo all’Ict ma a tutta l’organizzazione aziendale”, spiga Bona, “è il fattore che ci permette di aggredire un mercato da 18 miliardi di euro (questa è la stima del giro d’affari della telefonia mobile in Italia) con sole 40 persone, facendo concorrenza a colossi dalle dimensioni, ma anche dai tempi di reazione, pachi-dermici. Per vincere in questo scenario avevamo una sola possibilità: cambiare le regole. Lo abbiamo fatto con la pub-blicità, con il posizionamento low cost (nell’accezione migliore) e con la tarif-fazione. E lo abbiamo fatto anche con l’infrastruttura tecnologica”.

Nuvole e open source“Il cloud computing ci ha permesso di contenere l’investimento iniziale in tecnologia”, dice Paolo Perrucci, chief technology officer di bip MOBILE, “ma anche di poter scalare rapidamen-te verso l’alto le infrastrutture se le cose fossero andate bene come era previsto e

come si è puntualmente verificato. Ma c’è stata anche una seconda scelta stra-tegica nell’ambito It, sempre nell’ottica del contenimento dei costi e della fles-sibilità: quella di ricorrere ove possibile alle tecnologie open source”.Con soli due uomini schierati, insieme a lui, nella gestione delle risorse Ict, Per-rucci ha percorso una strada inusuale, coraggiosa ma vincente. Ha puntato su software aperti ma solidi, in grado di sostenere la complessità e la sicurezza di un’azienda impegnata su un grande mercato come quello della telefonia mo-bile, ma allo stesso tempo caratterizzati da bassi o nulli costi di acquisizione (na-turalmente il supporto, necessario per chi opera in ambiente business, si paga).“Sul fronte dei server applicativi la scel-ta è caduta su Jboss di RedHat” spiega Perrucci, “su cui è basata la soluzione software per la gestione dei dealer, men-tre il data warehouse è MySql, anch’esso open source. Per rimanere in tema di flessibilità, velocità e costi contenuti, l’applicazione utilizzata dai punti ven-dita è una Web application, per cui ba-sta un qualsiasi Pc con un qualunque

StORIA DI COPeRtINA | bip MOBILE

Le SOLUzIONI

Cloud, software open source e ricorso all’outsourcing sono i tre pilastri che hanno ispirato il mana-gement di bip MOBILE nel pen-sare l’infrastruttura tecnologica dell’azienda, votata alla massima flessibilità ma senza dimenticare una scala “enterprise” e un livello di sicurezza e continuità adegua-to al business.Tutta l’attività legata alla rete mobile è realizzata con Telogic, che vanta una notevole espe-rienza proprio nell’abilitare gli Mvno alle operazioni sul campo in tempi rapidi e con tecnologie collaudate. A Telogic sono affi-date, tra le altre cose, le attività di billing e la gestione della rete intelligente.Sul fronte del software, la parte del leone la fa l’application ser-ver Jboss di Red Hat, sul quale è costruita, tra l’altro, la soluzio-ne applicativa che connette bip MOBILE ai dealer e che permette di attivare e gestire i clienti finali. La tecnologia su cui si basano le procedure relative alla sicurezza degli accessi poggiano invece su Ejbca, un’infrastruttura a chiave pubblica per la gestione dei cer-tificati anch’essa disponibile in modalità open source.Il contact center è basato sulla soluzione in architettura cloud offerta dall’italiana Reitek, men-tre il Crm è costruito sull’offerta della danese Capernow. La busi-ness intelligence, infine, è targata QlikView.

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browser per collegarsi al nostro sistema e procedere con le attivazioni. Grazie al software aperto e al Web, siamo riusciti a mettere in piedi la piattaforma per i dealer in soli quattro mesi, mentre di solito per questo tipo di strumenti ci vogliono anni di sviluppo e implemen-tazione”.

Sicurezza e continuità in outsourcingSecondo Perrucci, il paradigma del cloud è quello che garantisce la massi-

ma flessibilità con il minimo dei costi, mentre il software open source, contra-riamente all’opinione comune, offre le più ampie garanzie di continuità. “Le community che sviluppano i sof-tware aperti”, spiega a Technopolis, “sono talmente diffuse e numerose che rappre-sentano esse stesse la migliore garanzia di longevità e supporto delle soluzioni. Anche sul fronte della sicurezza, per esempio, bip MOBILE ha adottato una tecnologia open source, destinata a ge-

stire i certificati per l’accesso degli utenti ai sistemi aziendali.”Perfino la piattaforma di e-commerce, che rappresenta uno dei canali strategi-ci per bip MOBILE, insieme ai 1.600 punti vendita già attivati, è stata realiz-zata su base open source, senza nessun costo di licenza ma con la possibilità di ricevere supporto tecnico e realizzare le opportune integrazioni con le altre piat-taforme aziendali.“L’ultimo tassello del nostro sistema informativo”, conclude Perrucci, “è rappresentato dalla business intelligen-ce, che utilizziamo per avere sotto con-trollo le prestazioni. In questo caso la scelta è caduta sul software QlikView che, pur non essendo open source, ha tutte le caratteristiche di leggerezza e di flessibilità che si adattano alla no-stra filosofia aziendale: pensi che in sole quattro settimane siamo riusciti a sviluppare la nostra piattaforma di business intelligence, un progetto che, per risultati e tempi di realizzazione, ha stupito anche un manager navigato come Bona”.

Emilio Mango

MENTALITà APERTAQui sotto, Paolo Perrucci, chief technology officer di bip MOBILE. In basso, la sede di Roma.

I NUOVI bIP StORe

I 1.600 dealer attuali sono destina-ti a raddoppiare entro la prossima estate. E saranno presto affiancati da 130 punti vendita monomar-ca (i primi apriranno entro la fine dell’anno a Roma, Firenze, Bolo-gna, Trieste e Livorno) che avran-no un look innovativo tanto quan-to la casa madre: oltre a cellulari, smartphone e accessori, tutti ca-ratterizzati da elevata qualità e co-sti accessibili, i clienti troveranno merchandising e prodotti Warner Bros, un connubio che ha già por-tato fortuna a bip MOBILE e che promette scintille anche in futuro.

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8 | DICEMBRE 2012

Sarà pure una tariffa a edizione limitata per il periodo di Nata-le, ma la nuova, aggressiva of-ferta studiata da Fabrizio Bona

e dal suo team è tre volte più competi-tiva di quella, già rivoluzionaria, che ha scosso il mercato della telefonia mobile a settembre. “Un centesimo al minuto” è il cavallo di battaglia di bip MOBILE dal mese di dicembre, uno slogan semplice come la strategia aziendale. Technopolis ha intervistato Bona, fondatore e am-ministratore delegato della società, per capire le intenzioni del nuovo operato-re virtuale (Mvno, Mobile Virtual Net-work Operator) e per mettere a fuoco le connessioni fra la strategia aziendale e la tecnologia.

Che cosa vi ha spinto a fondare bip MOBILE?Io e la famiglia Giacomini (proprietaria, tra le altre cose, di One Italia) abbiamo valutato attentamente le potenzialità del mercato italiano della telefonia mobile, uno dei più ricchi del mondo, in relazio-ne alle quote possedute dagli operatori virtuali. Sapevamo che il divario con le altre nazioni europee era notevole: in Germania il 25% dei ricavi è generato dagli Mvno, in Inghilterra si sfiora il 20%. In Italia siamo fermi al 3%.

Sarà perché il nostro non è un mercato per Mvno?La realtà è che i nostri operatori virtua-li non hanno la telefonia mobile come

core business. Noi invece siamo a tutti gli effetti una compagnia telefonica, ci muoviamo e ci muoveremo per conqui-stare una fetta consistente dei 18 miliardi di euro che gli utenti italiani spendono tutti gli anni e che fino a ieri entravano nelle casse di pochissimi soggetti.

E quali obiettivi vi siete dati per conqui-stare il vostro spazio?Siamo sicuramente molto ambiziosi ma, ripeto, puntiamo tutto sulla telefonia mobile. Il nostro break even è calcolato a 700mila clienti; noi vogliamo raggiun-gere il milione prima del Natale 2013, per arrivare a toccare i cinque milioni nei primi quattro anni di attività.

A Natale si parla con un centesimobip MOBILE rilancia. L‘offerta natalizia è la più aggressiva che un operatore possa proporre: un solo cent al minuto. Per raggiungere più in fretta gli obiettivi fissati da Fabrizio Bona, tra cui un milione di clienti entro la fine del 2013.

StORIA DI COPeRtINA | bip MOBILE

IL teAMInsieme a Fabrizio Bona (in centro nella foto), posano a sinistra Gianluca Giacomini, amministratore delegato di One Italia, e a destra Maurizio Bergami, direttore marketing e comunicazione. Completano la squadra Renato Tomasini, direttore commerciale, Andrea Pellizzaro, direttore vendite, Maurizio Calabrese, direttore customer care, Fabrizio Baldas e Francesca Mazzulla, rispettivamente Pmo e responsabile comunicazione.

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MERCHANDISING A COLORILe tinte aggressive e vivaci della comunicazione si riflettono anche sulle varianti cromatiche dei nuovi cellulari marchiati bip MOBILE.

E come pensate di riuscirci?Ci riusciremo con una strategia di mar-keting e comunicazione aggressiva (ad esempio con una massiccia campagna televisiva, in esclusiva sulle reti Media-set), con un posizionamento altrettanto forte e anche con l’espansione dei nostri canali commerciali: oggi abbiamo atti-vato 1.600 punti di vendita, puntiamo a raggiungere i 3.000 entro la prossima estate. Ma vogliamo anche creare una nostra catena di negozi, i bip Store, che saranno caratterizzati dallo stesso am-biente, semplice e vivace, che identifica già il nostro sito Web. Saranno punti vendita completamente diversi da quelli degli altri operatori: attireranno i clienti sia per la possibilità di comprare i pro-dotti e i servizi di telefonia, sia per l’op-portunità di acquistare il merchandising di Warner Bros, l’azienda che ha creato il nostro testimonial Road Runner.

Sicuramente innovativo, ma tornando al vostro core business, quali soluzioni of-frirete?La tariffa unica è un cardine della nostra strategia, ma penso che dovremo andare incontro alle esigenze dei clienti trovan-do interessanti varianti. In ogni caso, manterremo a tutti i costi le caratteristi-che di semplicità, che insieme alla veloci-tà e al costo contenuto hanno decretato il successo della nostra proposta.

Ecco, non temete che il “low cost” possa diventare un boomerang a livello di im-magine?Al contrario, pensiamo che il low cost nell’accezione moderna sia sinonimo di intelligenza (non per nulla il nostro slogan è “be smart, be fast, be simple”): perché pagare di più il traffico o i termi-nali quando, mantenendo alto il livello qualitativo, si può risparmiare?

A proposito di terminali, ci saranno an-nunci anche su questo fronte?Al momento abbiamo in commercio un unico modello di cellulare, in dieci varianti di colore, a 49 euro. Tra poco annunceremo uno smartphone Android e nel 2013 arriverà anche un tablet. Ov-viamente l’offerta di Internet Key va di pari passo, anch’essa rappresenta una parte importante del nostro business.

Quanto vi ha aiutato la tecnologia a rom-pere gli schemi?Tantissimo. Siamo riusciti a creare una Internet Company (a livello di organiz-zazione e di infrastrutture) pur gestendo un business concreto. Abbiamo scelto il cloud computing e l’outsourcing, affian-cando le strutture esterne a un gruppo di manager esperti del settore, per poter sfruttare al massimo la velocità e la flessi-bilità tipiche delle organizzazioni “legge-re”: possiamo cambiare un piano tariffa-rio in una settimana (gli altri ci mettono mesi) o avere in tempo reale il controllo di ogni singola attivazione. è anche gra-zie alla tecnologia se siamo l’unico Mvno a dare fastidio ai grandi operatori.

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IN EVIDENZA

La spesa It cammina,i Big Data corronoDa trend emergente a nuova normalità: da qui a qualche anno, i Big Data avran-no cambiato il modo attraverso cui le aziende, le organizzazioni governative, le Pubbliche Amministrazioni, la ricerca scientifica e i privati cittadini operano nella quotidianità. A dirlo è Gartner, che prefigura un’evoluzione sia quanti-

MADRID – Grandi retailer, compagnie aeree, operatori telco, produttori di Pc, retailer e banche. Aziende – i cui volti sono per esempio quelli di Portugal Telecom, Burberry, Lenovo e quelli di Poste Italiane, Luxottica e Ferrovie dello Stato – molto differenti fra loro, ma con che qualcosa in comune. La necessità di ottimizzare i processi di gestione delle informazioni e di fare propri nuovi modelli di relazione con i clienti/utenti, massimizzando a vantaggio competitivo il valore della customer experience e sfruttando i paradigmi tecnologici del social (in chiave business), della mobility, del cloud e, naturalmente, dei Big Data.Per accedere a grandi volumi di

informazioni molto più velocemente, Sap ha una ricetta ben definita: Hana, la piattaforma di in-memory analytics al centro degli annunci della tappa europea del Sapphire Now-Tech Ed 2012 e dell’intervento sul palco di uno dei due co-Ceo della società tedesca, Jim Hagemann Snabe. Quest’ultimo ha enfatizzato come, a livello di sistemi enterprise, sia vitale “semplificare, velocizzare e gestire i dati, l’accesso ai dati e la value chain dei dati”. Con un occhio di riguardo a cosa vuole l’utente. “La musica in formato mp3”, questa l’acuta osservazione di Hagemann, con tanto di plauso ad Apple, “ha rivoluzionato l’industria musicale, cambiandone

Big Data e customer experience? La formula magica è “in-memory”

completamente il business model e impattando drammaticamente sui costi della catena del valore”. Technology-led disruption: la tecnologia rivoluziona le tradizionali dinamiche competitive di qualsiasi industry. Come il fashion, “dove i comportamenti d’acquisto dei consumatori”, ha sostenuto Hagemann, “hanno mutato i processi di produzione, distribuzione e vendita”. Semplificare la gestione dei business data e l’execution dei processi è il dogma. All’interno di un paradigma che da B2B si trasforma in B2B2C, perché sul consumatore/cliente si può avere una vista in tempo reale per anticiparne i comportamenti futuri, mettendo in relazione interazioni (con il front office), transazioni (a livello di back office) e informazioni social. Questa la sintesi dell’innovazione targata Sap, che parte da un presupposto: il modello ibrido di data storage non è vincente perché tutto il patrimonio delle informazioni aziendali migrerà nelle soluzioni di in-memory computing e trarrà vantaggio da un’unica piattaforma capace di offrire analytics predittive e servizi cloud. Detto che, ultimo inciso di Hagemann, i due approcci per l’utilizzo delle applicazioni (in modalità on premise o nella nuvola) vanno considerati valori da combinare, le soluzioni per cavalcare il nuovo paradigma sono già a dispozione dei Cio. Come Sap 360 Customer, che sfrutta le capacità di calcolo e analisi di Hana e strumenti di collaboration per andare oltre il Crm tradizionale.

tativa, sia ontologica del fenomeno, evi-denziando come i Big Data diventeran-no entro il 2020 “semplici dati”, materia prima per il business. Gli analisti proiet-tano dunque lo sguardo su un futuro in cui le informazioni digitalizzate gioche-ranno un ruolo sempre più cruciale. Gli investimenti per aggiornare i sistemi It in un’ottica “data-oriented” saranno una componente importante della spesa in-formatica complessiva, stimata in 3.700

miliardi di dollari nel 2013 e in aumen-to del 2,8% rispetto a quest’anno. Per quanto riguarda i Big Data, i 28 miliardi di dollari che verranno messi a budget nel 2012 saliranno a 34 miliardi fra do-dici mesi, per poi crescere a tassi annui del 45%. Da qui al 2016, inoltre, fino al 10% della spesa per applicazioni di tipo infrastrutturale e middleware sarà in qualche modo legato al fenomeno dell’esplosione dei dati digitali.

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12 | DICEMBRE 2012

Windows 8 lancia la sua sfida alle azien-de: dimostrare di essere non solo un si-stema operativo accattivante per l’utente finale, grazie all’innovativa interfaccia e all’interazione touch, ma anche capace di potenziare produttività e sicurezza. Nonché di assecondare un trend ormai inarrestabile nel mondo delle imprese, quello della mobilità intrecciata al bring your own device. “Vogliamo aprire nuovi scenari in termini di mobility e accesso ubiquo, ma anche di incremen-to dell’efficienza e della collaborazione a distanza, senza dimenticare sicurezza e compliance”, è la promessa del se-nior director Windows Commercial di Microsoft, Erwin Visser. La versione Pro del sistema operativo punta infatti su nuove funzionalità che intracciano queste esigenze: in primis Windows To Go, un sistema di portabilità su chiavetta Usb, che trasferisce desktop, applicazioni e file di un Pc su un altro device, senza lasciare tracce una volta scollegata. E poi l’avvio anti-infezione Trusted Boot, la cifratura di Bitlocker e la modalità di autenticazione Virtual Smart Card. All’incremento della pro-duttività contribuiscono il boot e re-boot più rapidi e un nuovo strumento di ricerca integrata, che scandaglia non solo i documenti ma anche le applica-

Poste Italiane, l’apripista tricoloreUnica azienda nostrana fra le 15 selezionate nel mondo dal program-ma “first wave” di Microsoft, Poste Italiane è il primo ambasciatore di Windows 8 nello Stivale. Un’evo-luzione che segue quattro direttrici: la prima è la migrazione in sé, con 500 Pc interni all’azienda che entro l’anno monteranno il nuovo Os, parallelamente al passaggio di altre macchine da Windows Xp a Seven. Il secondo scenario chiama in cau-sa la mobilità: venti addetti vendite stanno testando l’uso di tablet come strumento di approccio al cliente, ma anche di produttività tramite ap-plicazioni di Crm, collaboration, ca-taloghi. “Windows 8 ci consente di usare il tablet non solo come termi-nale di navigazione o visualizzazio-ne, ma come strumento che modi-fica i processi aziendali”, ha spiegato Vincent Santacroce, responsabile research & innovation dell’azienda. Per incrementare l’accesso sicuro in mobilità sono state attivate un cen-tinaio di chiavette Windows To Go, con l’idea di estendere questo nume-ro in futuro. Ultima innovazione, in fieri, riguarda gli uffici postali: tablet e totem con schermi touch (integrati con Kinect) che permettono di sfo-gliare i cataloghi e acquistare articoli da Poste Shop.

La prova più difficile per Windows 8è convincere le aziende

zioni e il Web. E c’è un concetto ulte-riore ribadito da Microsoft: quello della continuità con Windows 7, cruciale per favorire una transizione graduale e sal-vaguardare gli investimenti software e hardware fatti dalle aziende negli anni passati. Tutti gli applicativi eseguibili su Windows 7, sia quelli sviluppati in-ternamente e sia quelli del marketplace di Microsoft, possono funzionare anche sull’Os successivo. Non tutti, comun-que, sono convinti che l’avventura bu-siness di Windows 8 sia destinata al suc-cesso. Secondo Michael Silver, analista di Gartner, “il 90% delle grandi imprese il linea generale non passerà a Windows 8, e al suo picco massimo di diffusione il sistema operativo sarà installato sul 20% dei Pc delle grandi aziende”. Un addetto ai lavori non meno di rilievo come Sap sta invece scommettendo sul nuovo Os, lanciando applicazioni di produttività e gestionali basate su Windows 8. Come sottolineato da Nick Brown, senior vice president of mobile strategy di Sap, at-traverso la continuità di user experience garantita fra Pc, tablet e telefono “Mi-crosoft potrebbe aver creato la formula del successo”. I tablet basati sul nuovo Os, in particolare, “non rappresentano un sostituto del Pc, ma un’evoluzione verso un diverso paradigma”.

IN EVIDENZA

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Sullo sfondo c’è sempre il fenomeno della consumerizzazione, che ha tra-sformato l’It aziendale da fornitore a broker degli utenti interni. In evi-denza, però, questa volta ci sono due trend in grande crescita: il successo di tecnologie sviluppate da aziende senza una grande cultura enterprise (Apple, Google e altri) e il fatto che queste tecnologie non siano mai re-almente padroneggiate al 100% dalle imprese.“Il successo degli smartphone”, spiega Cesare Garlati, vice president of mo-bile security di Trend Micro, “è un classico esempio di come la consume-rizzazione rischi di aprire una breccia nella sicurezza aziendale. Gartner pre-vede che nel 2015 Android rappresen-terà il 52% del mercato mobile, iOs il

Chi ci difendedalla consumerizzazione?

19% e Windows Phone il 21%. Il fatto che Rim (l’unica con una vera cultura enterprise) quasi sparisca dall’orizzon-te del mercato e che il 76% degli It manager sia comunque disposto a far accedere alla posta aziendale i dipen-denti che vogliono utilizzare il proprio smartphone, la dice lunga su quanto ci sarà da lavorare sul fronte della si-curezza.” Secondo Garlati, Android è il sistema operativo meno sicuro, se-guito da iOs. Entrambi evidenziano vulnerabilità gravi. “Solo nell’ultimo trimestre”, spiega lo specialista, “sono stati rilevati 129mila malware per An-droid, e il 73% dei cellulari basati su questa piattaforma e oggi in circolazio-ne utilizza versioni precedenti alla 2.3, release che soffrono di una scarsissima sicurezza intrinseca”.

La società di ricerca di mercato Dell’O-ro Group ha posizionato Infinera al primo posto, a livello mondiale, nel mercato delle reti ottiche a lungo rag-gio da 100 Gb. La classifica, stilata in base al nume-ro di porte vendute nel corso del ter-zo trimestre 2012, è stata certamente influenzata dal successo commerciale della piattaforma Dtn-X della multina-zionale, che utilizza (unica al mondo per il momento) un “supercanale” da 500 Gigabit. Sempre secondo Dell’Oro, Infinera ha raggiunto una quota di mercato, nel trimestre preso in considerazione, del 38%; un mercato, quello delle reti a 100 Gb, che grazie all’esplosione dei dati e dei dispositivi mobili dovrebbe crescere a un ritmo superiore al 100% annuo.

Infinera primanel lungo raggio

Fiorentino prestato alla California, Paolo Gargini è una delle menti più brillanti del mondo dei micropro-cessori. Presidente di International

Siamo pronti per superare il silicioTechnology Roadmap for Semicon-ductors (Itrs), è tornato di recente in Italia grazie a Intel, che lo ha invitato a Smau per illustrare le caratteristiche delle Cpu prossime venture. Due sono le tendenze emerse nel corso della sua esposizione: la volontà di proseguire nello sviluppo del computing percetti-vo (cioè l’interazione uomo-macchina che coinvolge tutti e cinque i sensi) iniziato con il riconoscimento vocale e gestuale e il ricorso a materiali diver-si dal silicio. “Pur se negli ultimi anni il silicio è diventato più flessibile”, ha detto Gargini, “oggi possiamo utiliz-zare anche il germanio e sfruttare le caratteristiche elettriche di arseniuro di gallio e di indio, per raggiungere nuovi livelli di efficacia ed efficienza dei processori”.

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14 | DICEMBRE 2012

IN EVIDENZA

BlackBerry offre il Voip e il Pentagono apre all’iPhone

Una funzionalità di peso, le telefo-nate a costo zero via Internet tramite connessione WiFi, per i circa 60 mi-lioni di utenti oggi attivi su BlackBer-ry Messenger a livello globale. Rese-arch In Motion gioca quindi la carta della voce, abbinata al suo popolare servizio di messaggistica istantanea (giunto alla versione 7 con un cor-redo di oltre 3mila app dedicate), per dare maggiore consistenza alle proprie speranze di risalita in cam-po smartphone. Speranze che la casa canadese si augura possano iniziare a concretizzarsi a partire dal 30 genna-io 2013, data di rilascio di BlackBer-ry 10 e dei primi due apparecchi ba-sati sulla nuova versione del sistema operativo proprietario.

I numeri, molto spesso, sono più esplici-ti di qualsiasi teoria. E quelli di Gartner relativi alle stime per l’industria dei tele-fonini dicono che, su circa 1,8 miliardi di cellulari che si venderanno nel 2012, 430 milioni saranno equipaggiati con Android e 143 milioni con iOs; solo 17 milioni, per contro, gireranno su Win-dows Phone, mentre ben 1,1 miliardi su sistemi operativi proprietari. Se restrin-giamo l’analisi ai soli smartphone il pre-dominio di Google ed Apple è sancito da una market share che fa arrossire tanto Microsoft quanto Research In Motion, entrambe ben sotto la soglia del 5%. Il consuntivo del terzo trimestre 2012 rive-la inoltre che la domanda globale di cel-lulari è diminuita del 3,1% (428 milioni le unità vendute agli utenti finali) mentre quella relativa ai telefonini intelligenti è in salita anno su anno del 47%, toccando quota 169,2 milioni e arrivando a copri-re poco meno del 40% dell’intero com-parto. Samsung domina in entrambe le classifiche (98 milioni i telefoni venduti in totale dalla casa sudcoreana), la quota di mercato di Android (negli smartpho-ne) è salita al 73% e quella di Windows Phone si ferma al 2,4%. C’è però un dato di tendenza, sempre di Gartner, che ci dice come i rapporti di forza in campo mobile, almeno a livello di piattaforma operativa, siano destina-ti a cambiare nel medio-lungo termi-ne. Nel 2016, da stime, concretizzando una rincorsa che si manifesterà evidente sin dall’anno prossimo, su 2,2 miliardi di telefonini venduti nel mondo poco meno di 1,1 miliardi saranno basati sul software di Google, 266 milioni saranno iPhone (o comunque device iOs) e 207 milioni avranno a bordo il sistema ope-rativo di Microsoft. L’avvento di Windows Phone 8, secondo

Carolina Milanesi, research VP consu-mer technologies & markets di Gartner, va così inquadrato: “Come piattaforma non ha nulla da invidiare ad Android o iOs. È competitiva per tutte le funzio-nalità che un utente si aspetta di trovare in uno smartphone e presta attenzione al dettaglio della personalizzazione. Il problema per Microsoft, e in particolare per Nokia, è legato al brand e alla ca-

La guerranegli smartphone?Una questione di brand

pacità di proporre prodotti accattivanti in una fase in cui i consumatori vedo-no sostanzialmente Galaxy o iPhone. La tempistica per il lancio del nuovo Win-dows Phone è stata giusta: con un buon marketing e prezzi invitanti, gli operato-ri mobili non possono essere che felici di avere un’alternativa”. Perché su dieci smartphone oggi venduti, oltre otto sono targati Google o Apple.

Che si presenterà per l’appunto con un “add on” che trasforma Bb Messenger in vero e proprio servizio di Voice over IP, la cui peculiarità è quella di poter abilitare l’invio di messaggi di testo o immagini e lo scaricamento della posta in arrivo durante una sessione di chat. Nell’annunciare Voice, Rim ha sottolineato come tale opzione sia indirizzata (come strumento di colla-borazione a distanza) anche alla clien-tela business dei BlackBerry. Chiaro l’intento di voler fidelizzare un’utenza che, a tendere, rischia di essere sem-pre meno numerosa anche tra le file delle grandi organizzazioni governati-ve americane, storicamente lo zoccolo duro della clientela della casa canade-se. Di fine ottobre, infatti, è la notizia che il Pentagono ha deciso di rivedere l’accordo in esclusiva con Rim per la fornitura dei BlackBerry, aprendo agli smartphone della concorrenza, iPhone naturalmente compresi.

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Chiuderà il 2012 con un fatturato di 4,5 miliardi di dollari (che significa una crescita del 20%) e con una li-quidità tale da far presagire nuove acquisizioni. Vede rosa Vmware, che vanta una quota di mercato quasi bulgara. “Se consideriamo che circa l’80% del workload virtualizzato uti-lizza la nostra tecnologia”, dice Mau-rizio Carli, general manager Emea di Vmware, “e che i sistemi virtualizzati sono il 60% del totale, significa che circa il 50% di tutto il workload It mondiale funziona su piattaforma Vmware”.Cavalcando il cloud ibrido e l’It che viaggia sul modello “utility”, Vmware non teme l’effetto saturazione, anche perché l’azienda e la relativa offerta mutano tanto velocemente quanto il mercato. “Fino al 2011 ci presenta-vamo come gli abilitatori del cloud”, racconta Carli, “ma oggi preferiamo puntare a ridefinire il data center, con l’obiettivo di realizzare un livel-

lo logico che permetta alle aziende clienti di sganciare lo strato applica-tivo da quello fisico. In questo modo,

Arriva anche in Italia il dream team dei data centerriusciremo a supportare l’It manager nella trasformazione, inevitabile, da gestore di risorse a broker interno”.Per scaricare a terra la nuova stra-tegia, Vmware ha creato un nuovo servizio: un team di consulenti quali-ficati esegue un’analisi dei datacenter dei clienti, presentando poi i risultati sotto forma di posizionamento nel mercato di riferimento e costruendo insieme ai Cio e ai Cto una roadmap completa di costi e benefici.“È un servizio molto apprezzato dai Cio negli States, dove il programma, chiamato Accelerate Advisory Ser-vices, è già partito”, rivela Carli. “I costi e i benefici sono sempre mol-to chiari e le soprese non mancano: aziende che pensano di essere molto evolute si scoprono sotto la media, e corrono ai ripari. In Europa abbiamo formato un team di 30 super-esperti, che si rivolgeranno soprattutto ai clienti di fascia medio-alta. In Italia prevediamo di partire in primavera”.

La richiesta di una maggiore ampiez-za di banda da parte delle imprese all’interno delle proprie infrastrut-ture It porta a stressare i network che, quindi, devono essere sempre più robusti e garantire la continuità del business in ogni situazione. Alla gestione manuale delle reti si vanno così sostituendo sistemi automatici, che assicurano prestazioni più eleva-te. Uno dei più innovativi arriva da Commscope, una multinazionale specializzata proprio nel networ-king (e di cui è proprietario il fondo Carlyle guidato da Marco De Bene-detti). ImVision Controller, questo il nome della soluzione, è formato da una componente hardware, il cui

Come ti controllo la rete

indicazioni sui passi da eseguire per realizzare il cablaggio ai display posi-zionati sui rack e spedendo le istru-zioni via email agli operatori che ese-guiranno fisicamente il collegamento. Il tutto in lingua italiana”.

elemento più evidente è un grande display touchscre-en che viene montato su-gli armadi di rete, e da un software (imVision System Manager), che può essere utilizzato anche via Web da qualsiasi browser.“ImVision riconosce auto-maticamente qualsiasi di-spositivo collegato in rete”, spiega Giampiero Sforte, direttore vendite di Commscope Ita-lia, “e può essere gestito da una con-sole visualizzabile via Web da Pc o device mobile. Permette di creare nuove configura-zioni in tempo reale, trasferendo le

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L’anno scorso il fatturato ha sfondato il muro del miliardo di dollari. Quest’an-no Red Hat Enterprise Linux ha fe-steggiato il decennale. Sono eventi simbolici, ma significano, tra le altre cose, che la multinazionale del software aperto ha raggiunto un grado di matu-rità notevole, ed è con questo profilo che Red Hat si prepara ad affrontare le sfide del cloud computing. Technopolis ha scambiato qualche battuta con Jim Totton, vice president platform busi-ness unit della società.“Quello che più conta in questo mo-mento”, ha spiegato Totton, “è che Red

Spesso si confronta la produttività del personale delle imprese italiane e quelle europee, e in molti casi la conclusione è l’individuazione di problemi esogeni all’azienda. Sen-za voler sminuire l’importanza di questi handicap, è necessario evitare che diventino alibi costruiti ad hoc per non affrontare ciò che accade

all’interno delle organizzazioni. Sotto questo profilo, è illuminante analizzare il ruolo del personale It e la sua capacità di reagire al cambiamento.Per molte raltà lavorative l’It non è un fine ma un mezzo, seppure vitale. Se si pensa a banche, assicurazioni, logistica, grande distribuzione e parte dell’indu-stria manifatturiera, è difficile ipotiz-zare che l’attività possa essere garantita qualora l’infrastruttura It venga a man-care. In questo scenario si innestano dinamiche foriere di problemi che in Italia sono particolarmente evidenti.Il primo aspetto è la formazione. La ve-locità di evoluzione dell’It è tale che i parametri classici di pianificazione della formazione non sono sufficienti a for-nire tempestivamente maggior compe-tenza tecnica al personale. Una corretta modulazione dell’intervento formativo dovrebbe bilanciare attività d’aula, par-tecipazione a conferenze e convegni, di-sponibilità di materiale tecnico e inter-venti di auto-formazione: una tecnica

l’opinione

Formazione del personale It: luoghi comuni e falsi mitimolto diffusa all’estero, ma ancora ai suoi timidi esordi in Italia.Continuando il paragone, nel settore dell’It, l’Italia è uno dei Paesi in cui è raro vedere conferenze tecniche con migliaia di partecipanti. In nazioni come Olanda, Belgio e Slovenia è normale trovare oltre mille parteci-panti a eventi di più giornate con un costo medio di 300 euro, quando in Italia è raro trovarne più di 400, no-nostante un mercato potenzialmente più grande. La differenza esiste an-che nel caso di eventi gratuiti.Non si tratta di aumentare gli inve-stimenti, ma di pianificarne meglio la distribuzione. Ciò richiede un maggiore sforzo a chi gestisce le ri-sorse umane, ma si tratta di una stra-da obbligata per migliorare il ritorno dell’investimento in questo settore.

Marco RussoStrategy Development Manager Technical Conferences

Hat sta collaborando con gli ingegneri di quasi tutte le più importanti imprese It. Ora che il prodotto Enterprise Linux ha raggiunto uno stadio di diffusione e stabilità notevoli, è il momento di pen-sare all’ecosistema”.Intel, Amd ma anche Ibm (che è an-che un concorrente) sono tra i vendor che, considerando i sistemi open source come un’opzione percorribile, contri-buiscono ad allargare il target di Red Hat Enterprise Linux. Quest’ultimo, secondo Idc, guida il suo segmento di mercato con una quota due volte e mez-zo più ampia del rivale Linux diretto.

“Tutte le linee di business della nostra azienda sono in crescita”, ha dichiarato Totton, “a partire dal middleware con Jboss passando per la virtualizzazione. Ma l’ascesa del modello di cloud ibri-do, a cui personalmente credo molto, trascinerà al successo tutti i nostri pro-dotti dedicati al mercato enterprise, an-che perché il nostro approccio prevede l’offerta di tutti gli elementi dello stack (middleware, virtualization, storage management) ma allo stesso tempo lascia al cliente la totale libertà di sce-gliere il brand e la tecnologia di ogni singolo componente”.

IN EVIDENZA

Enterprise Linux: dieci anni e non sentirli

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La tecnologia c'è. Il know how per usarla meno. Le analisi dei dati non strutturati provenienti dalle reti sociali ancora non decollano, specialmente in Italia. Più diffuso invece, l'utilizzo del modello social per la comunicazione e collaborazione.

Uno studio di McKinsey di questa estate metteva in evidenza come i social net-work applicati ai processi di

comunicazione e collaborazione azien-dale possano generare un incremento del 25% della produttività nelle grandi aziende. È stato un po’ il sasso gettato nello stagno di un dibattito che si era in-viluppato in uno sterile faccia a faccia tra detrattori e sostenitori di un modello di collaborazione enterprise tradizionale e uno apparentemente più “consumer”. Fermo restando il valore dell’analisi, bi-sogna anche considerare che, sempre lo stesso studio, si evidenziava come solo il 3% delle imprese nel mondo utilizzasse bene le feature (non si parla, per inci-so, di tecnologie social). Ancora meno numerose, probabilmente, le aziende italiane che si possono definire virtuose in questo campo, soprattutto se dal so-cial come strumento di comunicazione si passa a considerare il bacino delle reti

LuCI E oMBRE DEI social network In azIEnDa

sociali come fonte di informazioni da analizzare con gli strumenti di business analytics.“Sull’utilizzo dei Big Data per analizza-re l’orientamento dei potenziali clienti”, dice Marco Fanizzi, country manager di Emc Italia, “le nostre aziende sono indubbiamente un passo indietro rispet-to ai mercati più sviluppati. Ma ci sono nicchie molto interessanti, dove le im-prese che guidano l’innovazione sono quelle che esportano in tutto il mondo e che hanno quindi un bacino molto va-sto di clienti. Pensiamo ai quasi 17 mi-lioni di fan della Nutella su Facebook (che diventano 26 se si contano le varie pagine nazionali): è un panel ecceziona-le di clienti che potrebbe, per esempio, aiutare Ferrero a capire che impatto avrebbe sui consumatori la modifica del

vasetto in vetro. Nel caso specifico, la multinazionale è decisamente evoluta sul fronte dell’analisi dei Big Data, una dimostrazione che la differenza non la fa la collocazione geografica o l’indust-ry, ma l’eccellenza”.Se l’approccio di Emc riflette il core bu-siness della multinazionale, decisamen-te orientata a offrire soluzioni di cloud computing e gestione dei Big Data, un altro protagonista del mercato, Ibm, sembra proporre un taglio più orientato ai processi.“Bisogna distinguere tra i social network utilizzati come modello di comunica-zione aziendale e i social network come fonte di dati utili per il marketing”, dice Paolo Degl’Innocenti, vice president software group di Ibm Italia. “Nel pri-mo caso le practice sono già molte, e

scenari | Social network per il business

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In 17 milioni l’hanno già scaricata. Wisdom è un applicazione per iPhone e iPad sviluppata da Mi-croStrategy e destinata a studiare il comportamento del popolo di Facebook. Chi la usa può ottenere preziose informazioni sulla propria rete di amici, ma anche mettere a disposizione le proprie abitudini (in forma anonima) entrando in un immenso panel di studio. “Abbiamo scelto di considerare solo Facebo-ok”, dice Stefano Sartorio, senior sales engineer di MicroStrategy Italia, “perché è l’unico che ha una massa critica tale da generare un vero e proprio fenomeno big data”. Wisdom è uno strumento sofisti-cato, un mezzo per “travasare” in-formazioni dai social network a una struttura dati relazionale, arricchen-do i contenuti durante il processo. “Se nel mio profilo ho inserito il luogo di residenza”, spiega Sartorio, “sarò automaticamente catalogato come cittadino urbano o rurale, se faccio un check-in il sistema integre-rà gli eventuali dati mancanti. Ma le informazioni più prezione Wisdom le ricava dai like che ciascun utente

Facebook segnala, catalogando così gli individui come fan di musica classica, amanti del teatro, tifosi di una data squadra e così via”.Agli esperti di marketing che utilizzano il sistema, le informazioni arrivano ovviamente prive dei rife-rimenti di ciascun utente, ma ricche di preziosi “intrecci”; si scopre così, ad esempio, che gli amanti di un dato genere musicale preferiscono determinati brand di calzature.“A questo punto”, conclude Sar-torio, “entra in gioco l’attività push degli uffici marketing che, sia pur in forma anonima, possono indirizzare campagne mirate a questo o a quel gruppo di utenti, con la certezza di avere una redemption maggiore. L’interazione è ancora più concreta se gli utenti hanno scaricato anche una delle App create per costruire una relazione tra brand e clienti, come ad esempio Alert”.Tra gli esempi di utilizzo di Wisdom e Alert si possono citare il Barcello-na Football Club e Tilly’s, ma anche alcuni studi sulle dinamiche delle preferenze in caso di elezioni politi-che (immagine in basso).

Microstrategy pUnta sU wisdoM

tutte di successo. Mi piace citare, tra gli altri, Luxottica e 3M, due multinaziona-li che traggono energia dalle differenze culturali e geografiche dei propri dipen-denti. Solo mettendoli in comunicazione in modo efficace, come può succedere utilizzando una piattaforma social busi-ness, si riesce a governare il flusso infor-mativo e migliorare i processi che rien-trano nella categoria people oriented”.Diversa la musica se si considerano i social network come fonte di dati: “Se la domanda è se in Italia esistano molti progetti di marketing che coinvolgono l’analisi di dati non strutturati”, taglia corto Degl’Innocenti, “la risposta è no; però ci sono punte di eccellenza, tra cui Moby Lines e Amadori, che utilizzano il social come strumento abilitante per aprire e mantenere una relazione con i clienti. È solo l’inizio, ma nel medio ter-mine chi vuole stare sul mercato dovrà per forza cimentarsi con i social net-work”.

Sopra, Marco Fanizzi, country ma-nager di Emc Italia. Sotto, Paolo Degl’Innocenti, Vp software group di Ibm Italia.

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il prossimo office punta alle nuvoleNuovo brand e nuovo posiziona-mento per la suite di prodotti che fa capo al marchio Office. “Si tratta di un rilascio tra i più impattanti”, dice con malcelato entusiasmo Vieri Chiti, direttore della divisione Office di Microsoft Italia, “perché riguar-da sia la suite di produttività sia le piattaforme come Sharepoint, Lync ed Exchange”.Il dettaglio che più di tutti rivela la nuova filosofia inaugurata nell’era del cloud computing è la mancanza dell’anno di fianco al nome. “Siamo passati a un modello che prevedeva aggiornamenti annuali”, spiega Chiti, “a uno più moderno, con aggiornamenti frequenti e con mo-dalità di acquisto diversificate, che vanno dall’on premise alla sottoscri-zione di un vero e proprio servizio, una versione cloud pura”.

Il cloud nelle piccole e medie imprese? In molti casi è già presente, anche se in modo non strutturato. Dai vendor un monito: l’adozione dei servizi e delle soluzioni “as-a-service“ non è una questione di costi o di tecnologie, ma di approccio. Che riguarda il canale, così come le banche.

È veramente solo una questione di tempo? E sarà, come molti sostengono, la migrazione in massa nella nuvola delle Pmi

– un esercito che annovera fra le sue fila oltre 3,5 milioni di aziende – a far decollare in modo compiuto il cloud computing in Italia e a dare sostanza, soprattutto, a quel cambiamento di ap-proccio nell’utilizzo delle risorse It che tutti, vendor tecnologici in primis, au-spicano? Certo è che il fenomeno è in fase di forte crescita. Lo dicono anche le cifre, e nello specifico quelle conte-nute nell’ultimo rapporto Assintel: giro d’affari in salita del 57,8% nel 2012 a circa 620 milioni di euro, di cui 400 derivanti dalle soluzioni Saas (Softwa-re-as-a-service), rispetto a una spesa complessiva in Information Techno-logy prevista in flessione del 3,2%, a19 miliardi di euro. Il matrimonio fra cloud e Pmi si dice sia inevitabile ma, ed è un altro dato certificato da varie indagini, il processo di adozione viaggia a differenti velo-cità. Le aziende medio grandi il salto nella nuvola, a diversi livelli, l’hanno sostanzialmente già fatto; quelle medie e piccole o piccolissime ancora no, o solo in parte. Spesso e volentieri atti-

PICCoLE nUbiCREsCono

vando strumenti gratuiti e di natura consumer (come Google Apps, Gmail e Dropbox) per ciò che concerne la produttività d’ufficio, la posta elettro-nica, la collaborazione e lo storage. Di Pmi impegnate in progetti di tipo Iaas (Infrastructure-as-a-service), e il di-scorso si allarga all’Europa, ce ne sono pochine.

Solo una minoranza di Pmi ha già abbracciato il cloudSotto la lente di ingrandimento, per ca-pire a dovere il fenomeno, vanno messe più variabili, a cominciare ovviamaen-te da quelli che sono i punti di forza dichiarati del computing nella nuvola, e cioè la possibilità di risparmiare sui costi informatici e di ridurre nel con-tempo la complessità gestionale delle risorse It, all’insegna della massima flessibilità e senza grandi investimenti in infrastruttura. Vantaggi, quelli legati alla maggiore in-dipendenza operativa, non sempre fa-cili da determinare. E serve comunque un cambio di approccio, se non pro-prio competenze tecniche mirate. Altro parametro da valutare, forse il più im-portante di tutti, è quello dei benefici ottenuti da chi il cloud (a vari livelli)

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Se ci fossero ancora dubbi su quale sia la modalità più strategica per Microsoft, il dirigente li chiarisce su-bito: “Il modello a sottoscrizione è quello primario, tanto che gli utenti che sceglieranno questa strada avranno alcuni servizi premium. Nel mercato consumer i sottoscrittori avranno minuti gratis con Skype (che sarà integrato in Office) e una versione di SkyDrive con più spazio (20 GB invece di 7). Per i clienti bu-siness, invece, offriremo vari servizi finalizzati a facilitare l’installazione e l’utilizzo della suite. Office on demand, per esempio, permetterà agli utenti di utilizzare il pacchetto da qualunque device, anche se il prodotto non è stato installato”.I tempi: la versione tradizionale (on premise) per il business è disponibi-le a dicembre. Dopo Natale arriverà l’ondata per il consumer, mentre tutti i servizi cloud saranno rilasciati entro marzo del 2013.

PICCoLE nUbiCREsCono

lo ha già sposato. Benefici che possono essere sostanziali se prima di buttarsi nella nuvola le aziende fanno proprio questo paradigma: i processi devono essere organizzati e standardizzati e i sistemi It devono essere legati in modo armonico alle attività di business. Infine il ruolo del canale, dei distribu-tori a valore aggiunto e dei system in-tegrator: quanto e come questi soggetti hanno cambiato pelle per calvalcare le opportunità del cloud, mettendo da parte un modello (vendita di hardware e software in licenza con il solito corre-do di servizi di assistenza e manuten-zione) che ne ha guidato la crescita fino a ieri?Abbracciare il cloud non è quindi un’o-perazione scontata, da farsi dall’oggi al domani. E il dato che emerge dall’Os-servatorio del Politecnico di Milano certifica le difficoltà del cambiamen-to: solo il 22% delle piccole e medie aziende italiane (fino a 250 addetti) ha adottato servizi nella nuvola, e la maggior parte di queste sono concen-trate nella fascia più alta a livello di-mensionale (dai 200 dipendenti in su). Parliamo quindi di una minoranza di imprese.

I costi non sono un ostacolo all’a-dozione della nuvolaSecondo Marco Parisi, responsabile del progetto Sviluppo It di Telecom Italia, non va dimenticato un aspetto impor-tante della questione, e cioè “la diffe-renza tr il ciclo economico di un pro-gramma classico e quello di uno legato al cloud. Sul primo pesano in modo rile-vante, nell’ordine del 15-20%, i costi di manutenzione; per il secondo c’è da con-siderare un costo costante nel tempo”. E il fatto che oggi l’Italia sia una fase di re-cessione? “La mancanza di liquidità”, ha detto il manager, “è un problema fino a un certo punto, nel senso che sul merca-to sono disponibili soluzioni da 15 euro mensili per utente di Microsoft Office 365 e c’è modo di attivare altre opzioni con cifre simili. Certo va messo in conto un minimo investimento per personaliz-zare i servizi a uso e consumo del siste-ma It delle Pmi”. Altro luogo comune da sfatare, secondo Parisi, è quello della (scarsa) sicurezza dei dati nella nuvola: “I server virtuali dei grandi provider sono più affidabili di quelli fisici posti dentro le aziende. Un esempio? Il Nasdaq, che ha migrato i propri sistemi sulla piatta-forma Ec2 di Amazon”. Perché, allora, i livelli di adozione del cloud esibiti dalle Pmi sono ancora limi-tati? “In realtà”, sottolinea Parisi, “tutte inconsapevolmente stanno utilizzando servizi nella nuvola, dall’home banking alla Posta elettronica certificata. Il pro-blema è che l’uso consapevole e strut-turato di questi strumenti è molto più ridotto, e ciò è dovuto anche al fatto che molti operatori del canale non si sono ancora convertiti al modello cloud, fre-nati anche dall’atteggiamento delle ban-che, che spesso non scontano le fatture dei servizi informatici come continuano a fare per le vendite di apparati hardwa-re”. Di positivo, a detta del manager di Telecom, c’è il fatto che la volontà di adozione del cloud è aumentata. Per contro, “la base installata sistemistica da aggiornare nelle Pmi italiane è paurosa”.

Piero Aprile

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dati (con il 67% di aziende violate), seguita dal Brasile (55%), mentre più sicuri si rive-lano Stati Uniti (41%) e Germania (34%). Il Giappone, invece, risulta essere la nazio-ne meno incline al fenomeno registrando i più bassi livelli di adozione di infrastrut-ture desktop virtuali e soluzioni di public e private cloud. Nonostante le riserve, il computing a nuvola piace a chi lo ha adot-tato. Le imprese che già hanno investito in progetti di private cloud si dicono infatti pronte a migrare in questi ambienti il 53% delle nuove applicazioni entro il prossimo anno, con un significativo incremento ri-spetto all’attuale 46%. Il work in progress è evidente anche dalla lettura di un altro dato, quello sulle realtà che al momento della ricerca erano in fase di sviluppo dei servizi cloud, oggi raddoppiate rispetto al 2011 e salite al 20% del totale. In fatto di gestione della sicurezza, per completare il quadro, le aziende stanno facendo pro-gressi ed attualmente sono l’89% del to-tale quelle che, impegnate in un progetto di cloud pubblico, affermano di cifrare i propri dati archiviati nella nuvola e l’87% quelle che dichiarano di conservare una copia fisica di tutti i file sincronizzati onli-ne. Conoscere bene i rischi di natura eco-nomica legati alla scarsa sicurezza dei dati, sottolineano da Trend Micro, è una sorta di obbligo non scritto per i responsabili It, mentre dal lato dei cloud provider traspare la possibilità che questi non stiano facendo abbastanza per garantire l’affidabilità dei servizi proposti. In linea generale, persiste comunque un clima di generale confusione su cosa siano esattamente i servizi di cloud computing: il 94% degli intervistati ha affermato di uti-lizzare oggi almeno uno dei servizi presenti in una determinata lista, ma il 9% degli stessi si è contraddetto sostenendo come la propria azienda non abbia in previsione l’adozione di soluzioni nella nuvola.

L’adozione del cloud cresce su scala globa-le, trascinandosi però dietro anche un au-mento del rischio di incidenti nei sistemi informativi delle aziende. Lo dice lo studio annuale di Trend Micro “Cloud securi-ty survey global”, che mostra un balzo in avanti del 3% della percentuale di imprese (con almeno 500 addetti) che hanno ri-ferito episodi di interruzione del servizio, perdita o violazione dei dati. Dal 43% del 2011 si è passati al 46%. L’indagine - che ha interessato 1.400 decision maker It di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, In-dia, Canada, Giappone e Brasile - ha nel contempo rilevato come l’implementazio-ne di servizi e soluzioni cloud sia cresciuto (dal 55% al 59%) ma anche una certa re-sistenza al cambiamento. Dovuta proprio alla preoccupazione di perdere il controllo (e la conseguente sicurezza) delle risorse informatiche aziendali. Oltre la metà degli intervistati, il 53% per la precisione, mo-tiva per le cause di cui sopra la mancata adozione del cloud da parte della propria azienda; il 40% afferma che i requisiti di sicurezza non trovano risposta nei servizi nella nuvola attualmente disponibili e in modo particolare emergono timori per l’assenza di strumenti di crittografia delle informazioni conservate in spazi condivisi e fattori legati a prestazioni e disponibilità

delle soluzioni.

rischi più elevati nel bric. Lo studio rimarca anche come il cloud rappresenti una minaccia laddove è meno regolamenta-to e gestito con con-sapevolezza. L’India, in tal senso, è oggi il Paese con la maggiore incidenza di problemi legati alla sicurezza dei

PRovIDER aTTEnTI:IL CLouD è vUlnerabile

la nuvola che non c’era: ecco baasboxPercorrere strade alternative, proponendo una nuova idea di utilizzo delle tecnologie. spesso è una strategia che ripaga, specie se si parla di cloud per i fornitori di servizi It. Mondo a cui si rivolge BaasBox, prodotto che fa capo a una start up romana operativa da pochi mesi e che si è aggiudicata il premio “Cloud seed” del concorso lanciato da seeweb. Con i 15mila euro incassati, la neo azienda intende registrarsi come marchio e rilasciare a breve la prima versione di un software di tipo “Backend as a service” (da qui l’acronimo Baas). Più precisamente una piattaforma aperta, installabile nei server dei provider di servizi cloud, in grado di fornire un’interfac-cia per gli sviluppatori di app mobili che promette di abbattere tempi e costi di implementazione dei sistemi di backend. a differenza di servizi simili, dicono i due fondatori di BassBox, si tratta di una soluzione del tutto open source, che “fornisce un servizio completamente scalabile, sia orizzontalmente sia verticalmen-te, ridondato geograficamente, svincolato dall’hardware e addirittura dai fornitori”.

Percentuali di rispostepositive alla domanda: “La tua organizzazione ha mai sperimentato un problema di sicurezza nei servizi cloud negli ultimi 12 mesi?”.

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si abbrevia con “m2m”, significa “machine to machine” ma mol-ti lo chiamano più poeticamen-te Internet delle cose. è una

delle nuove frontiere dell’hi-tech a cui gli analisti e gli imprenditori guardano, per la verità ormai da qualche anno, con maggior interesse. In soldoni, si tratta di tutto quel mondo di soluzioni studiate per mettere in comunicazione tra loro dispositivi di ogni tipo: automobili, fri-goriferi, contatori dell’energia elettrica, ma anche, perché no, orologi, vestiti, carte di credito.Gli oggetti, quindi, si scambiano e sem-pre di più in futuro si scambieranno in-formazioni utili (per l’uomo) anche sen-za il nostro intervento, creando una rete ben più grande e complessa di quella che regola oggi le relazioni digitali tra esseri umani.Per capire meglio il fenomeno, Techno-polis si è rivolta a Chicco Testa. Ambien-talista, politico e poi manager di alto profilo (Enel e Wind sono tra le società che lo hanno visto ai vertici dei relativi board), Testa è oggi presidente di Telit Communications, tra le realtà protago-niste del segmento m2m e oltremodo in-teressante perché ha nel Dna anche più di un gene italiano.

Ci aiuta a tracciare i confini e i numeri del mercato m2m?Stiamo parlando di un segmento molto vasto, in cui alcuni comprendono an-che tutto il segmento dei device mobili (computer e smartphone). L’m2m più

propriamente detto è quello che fa rife-rimento a oggetti in grado di comuni-care tra loro perché integrano al proprio interno un modulo di trasmissione e ricezione simile a un telefono cellulare, anche se grande quanto un francobollo.

Quanti device sono già connessi tra loro?Nel 2011 risultavano connessi circa sei miliardi di dispositivi. Di questi, circa 200 milioni utilizzavano la tecnologia cellulare (e in questo mercato Telit è tra i leader mondiali, con una quota vicina al 20%), tutti gli altri device sfruttavano tecnologie di comunicazione denomi-nate Short Range, nelle quali Telit sta investendo moltissimo (WiFi, Blueto-oth e Zigbee sono le più note e diffuse). Secondo le stime maggiormente accredi-tate, nel 2020 i dispositivi connessi toc-cheranno quota 12 miliardi, la maggior parte dei quali saranno Srd.

Quali sono i settori più promettenti?Sicuramente l’automotive è quello che ha spinto e spingerà di più, poi c’è il cosiddetto “smart metering” (i contato-ri intelligenti, un settore in cui l’Italia è tra i Paesi più avanzati), ma nei prossimi anni ci sarà una vera e propria esplosio-ne di questo mercato in segmenti come la sicurezza, i pagamenti elettronici, le smart city. Potenzialmente, l’m2m potrà diffondersi in qualunque ambito, visto che le economie di scala stanno abbat-tendo i costi dei moduli di comunica-zione (negli ultimi anni siamo passati da quattro a un dollaro).

Ci spiega qual è il modello di business di Telit?Ci stiamo evolvendo dalla produzione e commercializzazione dei moduli alla for-nitura di servizi di connettività a valore aggiunto. Quest’anno raggiungeremo i 220 milioni di dollari di fatturato, ot-tenuti crescendo sia per linee interne sia per acquisizioni (le ultime sono Navman e la divisione m2m di Motorola Israele), puntando sulle tecnologie di trasmissio-ne sia a lungo, sia a breve raggio.

Ma Telit è anche un po’ italiana?Certo, la nostra è una piccola multina-zionale, ma metà della forza lavoro è in Italia. Due dei sei centri di ricerca a li-vello mondiale sono nel nostro Paese. A Trieste abbiamo quello più importante, mentre a Cagliari ci occupiamo proprio di tecnologie trasmissive a breve raggio, un settore strategico per l’azienda. Sul fronte dell’azionariato, anche se quello di Telit è molto composto, l’Italia pesa per circa il 10% delle quote.

Emilio Mango

Il mercato delle comunicazioni machine-to-machine raddoppierà entro il 2020. Ce ne parla il presidente di Telit.

sILEnzIo, PaRLa La Macchina

scenari | Chicco Testa e Internet delle cose

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24 | DICEMBRE 2012

Con InformatICa, l’edItorIa Insegue I BIg data e Il soCIal

Le tecnologie digitali continuano a cambiare il mondo dell’edito-ria, non solo sul fronte dei pro-

dotti – con la rivoluzione introdotta dagli ebook e dal Web publishing – ma anche per quanto riguarda le strategie di conquista e fidelizzazione dei clienti. Un colosso come Rcs Mediagroup fa oggi un passo ulteriore sulla strada del digital marketing evoluto, dotandosi di due tecnologie firmate da Informatica Software. Obiettivo: passare da un si-stema di data warehouse basato su PL/Sql a uno strumento più robusto, per riuscire a gestire meglio e a trarre van-taggio da 13 milioni di dati anagrafici dei clienti Rcs. Dati utili per strutturare campagne marketing classiche, ma an-che giocate sui social network. La prima delle soluzioni adottate è PowerCenter Advanced Edition, una piattaforma di data integration, che consente l’accesso a dati provenienti da più sistemi e in vari formati. “Dopo anni di stratifica-zione di software sviluppati con Pl/Sql per soddisfare requisiti operativi anche in modo eccellente, sono subentrati alcuni problemi a partire dalla manu-tenzione, troppo legata alle risorse che ne avevano curato l’ingegnerizzazio-ne, per non parlare dei costi associati”, spiega Piero Giorgio Cosma, senior architect della direzione Ict di Rcs Me-diagroup, citando poi anche problemi di performance derivanti dall’aumento della mole di informazioni. Oggi Po-werCenter viene utilizzato dal Gruppo come unica piattaforma di dialogo con il sistema gestionale per le estrazioni dei dati Sap, indirizzati soprattutto ai pro-getti di data warehuose. “PowerCenter si è dimostrato così efficace che abbiamo iniziato a utilizzarlo anche per i processi di estrazioni dei batch dal sistema Sap”,

specifica Cosma. Seconda tecnologia implementata è Informatica Mdm, so-luzione di Master Data Management che consente di migliorare l’accesso dei dipendenti a dati business critical, an-che disseminati in ambienti diversi. Dati che Rcs sfrutterà “per la profilazio-ne dei clienti e per attività marketing volte alla generazione dell’offerta”, chia-risce Cosma. L’uso di Mdm ha inoltre suggerito funzionalità aggiuntive di cui l’azienda avrà bisogno in futuro, soprattutto nell’ottica di una gestione anagrafica. “Mdm dimostra l’apertura di Informatica agli ambienti 2.0, es-sendo già presente un’integrazione con dati provenienti dai canali social. In-formatica ci sembra l’unica realtà con una chiara visione in questa direzione”.Una direzione che sempre più condi-ziona le strategie degli operatori del mondo dei media. “Mai come ora ab-biamo bisogno di analizzare i Big Data e di capire in che modo possono in-fluenzare il nostro sviluppo. Si tratta di una sfida importante e, pur trovandoci ancora in una fase acerba, è impossibile per un’azienda come la nostra rimanere alla finestra”.

ECCELLENZE.IT | Rcs Mediagroup

LA SOLUZIONE

Informatica PowerCenter è una piattaforma di integrazione ed elaborazione dei dati, oggi sfruttata da Rcs Mediagroup come unica interfaccia di dialogo con il sistema gestionale per le estrazioni dei dati Sap. Grazie a questa soluzione, l’azienda può ora contare sulla continuità di servizio anche in caso di fault del caricamento dei dati, ri-sparmiando dalle tre alle quattro ore rispetto ai tempi richiesti in prece-denza. Informatica Mdm consente invece di facilitare le operazioni di accesso ai dati dislocati su più ambienti, in modo da ottenere una migliore visibilità su 13 milioni di informazioni di anagrafica relative a clienti Rcs. La piattaforma utilizza un modello multi-dominio ed è in grado di accelerare e rendere più efficiente l’integrazione dei diversi tipi di dati in possesso dell’azienda. Inclusi quelli provenienti dai canali social, come i click, le condivisioni, i commenti e le preferenze espresse dagli utenti.

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LA SOLUZIONE

Il Motion Picture Arts Studio è equipaggiato, tra le altre cose, con 20 workstation Dell dotate di software Creative Suite Pro-duction Premium di Adobe. Un grande sfondo verde, una stazione video completa, videocamere, luci e accessori vari completano la dotazione. L’equipaggiamento degli alunni comprende, tra le altre cose, circa 150 netbook per le classi elemen-tari e circa 400 notebook per gli studenti di medie e superiori. Il sistema informativo della scuola, invece, si basa su tre server fisici (virtualizzati) e un’unità di storage. Tutti i componenti sono Dell, compresi gli apparati di rete.

gIovanI manager CresCono a mIlano. In un amBIente hI-teChL'American School of Milan sceglie i portatili e le workstation Dell per abituare i giovani studenti a masticare la tecnologia e il digitale tutti i giorni, e per dare sfogo alla creatività dei cineasti in erba.

Camminano con i portatili sot-to braccio, passando dall’aula di musica a quella di cinema,

dalla lezione interattiva e multimedia-le di scienze alla più classica letteratura inglese. Sono i bravi e fortunati alun-ni dell’American School of Milan, un prestigioso istituto privato no-profit che dal 1962 forma bambini e ragazzi prove-nienti dai quattro angoli del mondo (ma molti sono figli della Milano bene a cui i genitori vogliono assicurare un futuro più roseo).La cosa che colpisce a prima vista è l’u-tilizzo pervasivo, ma non invasivo, della tecnologia: lavagne interattive di ultima generazione, una nuovissima aula cinema dotata di attrezzature degne di uno stu-dio professionale e soprattutto computer portatili (ovviamente connessi) a profu-sione.“Gli alunni che usciranno di qui trove-ranno un mondo molto più tecnologico di quello che c’era quando sono entrati. Per questo il nostro focus sulla tecnologia è molto forte”, dice Alan Austen, diret-tore della scuola, “abbiamo abbracciato la

filosofia anywhere learning, che prevede la dotazione di un portatile Dell per tutti i ragazzi. In questo modo, gli alunni pos-sono spostarsi liberamente nei locali della scuola, anche grazie alla rete WiFi”. “Il futuro ci riserverà sempre più device mobili”, ha aggiunto Stephen Reiach, technology director dell’istituto, “per raggiungere un livello ancora maggiore di ubiquità. In particolare, guardiamo con interesse ai nuovi tablet e laptop dotati di Windows 8”.Se i portatili cambiano il modo di ap-prendere e di studiare nella quotidianità, il nuovo laboratorio di cinema allestito con tecnologie Dell e Adobe costituisce un momento creativo che probabilmen-te non ha paragoni nel sistema scolastico italiano. Realizzato con il contributo dei due vendor e con i fondi raccolti attraver-so donazioni, il Motion Picture Arts Stu-dio permette agli studenti di creare film (corto e lungometraggi) completi, dallo storyboard alla colonna sonora.“Contribuire alla formazione degli stu-denti è sempre stato un obiettivo preciso di Dell”, ha commentato Chiara Pesato-

ECCELLENZE.IT | American School of Milan

ri, education marketing manager Emea della multinazionale, “collaborare con istituti come l’American School of Milan significa portare benefici a tutte le parti coinvolte, arrivando fino al tessuto più profondo di una comunità”. E.M.

Con InformatICa, l’edItorIa Insegue I BIg data e Il soCIal

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Il Consulto In telePresenZa fa rIsParmIare medICI e PaZIentIIl sistema Vidyo installato dalla Ulss 21 è semplice da realizzare e facile da usare. Così, i costi della formazione dell’azienda sanitaria si sono già dimezzati, e ora anche i pazienti godranno dei vantaggi della telepresenza.

Negli Stati Uniti sono una realtà consolidata. Da noi, i sistemi di telepresenza in ambito sanità

sono per il momento solo una bella ecce-zione. Una di queste è rappresentata dal-la Ulss 21 del Basso Veronese, azienda sanitaria che serve circa 150mila abitanti su un territorio di circa 800 chilometri quadrati a sud di Verona.La Ulss ha la sua sede principale presso l’Ospedale Generale Mater Salutis ma coordina altri tre nosocomi e diverse strutture sanitarie (21 guardie mediche, 107 medici di base, 16 centri per anziani e 44 farmacie). Con una situazione del genere, per la verità comune a molte altre organizzazioni simili sul territorio nazionale, era piuttosto scontato che un sistema di telepresenza che consentisse di diminuire gli spostamenti sia del per-sonale medico sia, in un secondo mo-mento, dei pazienti, portasse benefici e risparmi tangibili.A conti fatti, e con un sistema che può essere sfruttato ancora di più, l’investi-mento iniziale di circa 50mila euro per l’implementazione di una soluzione di telepresenza Vidyo basata su VidyoRou-

ter e quattro postazioni principali instal-late negli ospedali (a cui si aggiungono diverse postazioni basate su Pc) si è ripa-gato in pochi mesi.“Il sistema Vidyo ci ha permesso di ta-gliare i costi legati alla formazione del personale medico e infermieristico del 50%”, spiega Giancarlo Rizzotto del-la direzione It della Ulss 21, “e negli ultimi tempi stiamo anche iniziando a sperimentare la soluzione a favore

dei pazienti. Un tipico esempio sono le commissioni mediche per l’accerta-mento dell’invalidità civile: grazie alla telepresenza, il cittadino non dovrà più recarsi presso la nostra sede ma potrà re-stare comodamente nello studio del suo medico curante”.La telepresenza consente il collegamento audio e video tra persone e sedi anche molto distanti tra loro, con la possibilità di sentire e vedere con maggior dettaglio e fluidità rispetto alla normale videocon-ferenza, oltre che scambiare e condivi-dere velocemente documenti (in questo caso, ad esempio, esami medici, referti e ricette).“Rispetto alle soluzioni proposte da altre aziende”, dice Rizzotto, “quella di Vidyo ci è sembrata più adatta perché è molto più flessibile e meno impegnativa dal punto di vista dei sistemi hardware. Una volta installati i quattro sistemi principali con schermo, microfono e telecamera e connessi questi punti con un collegamen-to a banda larga ridondato, il resto delle postazioni sono rappresentate da norma-lissimi personal computer, attrezzati solo con una webcam e un software”.

LA SOLUZIONE

Il sistema di telepresenza Vidyo rea-lizzato presso la Ulss 21 è composto da un VidyoRouter, istallato in uno dei due data center dell’azienda sanitaria e da quattro postazioni principali: una Vidyo Hd-200 pres-so l’Ospedale Generale e tre Vidyo Hd-100 nei tre altri nosocomi; le postazioni sono atrezzate con un grande schermo e una telecamera ad alta risoluzione e un microfono. Il tutto è collegato tramite due connessioni Adsl (quindi nessun costoso cablaggio dedicato) da 100 Mbit al secondo.

ECCELLENZE.IT | Ulss 21 Basso Veronese

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ECCELLENZE.IT | Aboca

Il leader della salute mette a dIeta arChIvI e Posta elettronICa

Una media impresa italiana di successo, che cresce in termini di dipendenti e di transazioni

e ha una forza vendita distribuita sul territorio, soffre sempre almeno di un problema: le dimensioni delle caselle di email e quelle del file system, soprattut-to a causa del proliferare dei documenti.Sembra una questione banale rispet-to ad altre situazioni che gli utenti e i responsabili It affrontano tutti i gior-ni, ma non lo è. Perché aumentare lo spazio dei sistemi di storage è costoso e perché gestire i limiti di spazio di ogni utente è molto “time consuming” per lo staff dei sistemi informativi.Così Aboca, leader nel mercato italiano

degli integratori alimentari e dei dispo-stivi medici a base di erbe, ha deciso di risolvere questo problema alla radice. Ha rinunciato alle funzionalità di archi-viazione native disponibili in Exchange 2010 (il sistema informativo dell’azien-da è basato su tecnologia Microsoft) e ha optato per la soluzione Enterprise Vault di Symantec.“Aboca aveva bisogno di più spazio per i suoi utenti”, racconta Giovanni Si-moncelli, corporate account manager di Ecobyte, il partner che affianca l’a-zienda nella soluzione delle problemati-che di archiving e data protection, “ma voleva un sistema che si integrasse con il suo ambiente. Così, dopo una selezio-ne dei prodotti disponibili in ambiente Windows, abbiamo scelto insieme di puntare su Symantec, che già equipag-giava Aboca con le sue soluzioni per la sicurezza”.Grazie all’implementazione di Enterpri-se Vault, Aboca è riuscita a ridurre del 50% sia lo storage da gestire sia i tempi di backup delle email e del file system, ma soprattutto è riuscita a liberare risor-se del personale It, che ora può dedicarsi ad attività a più elevato valore aggiunto.“Oltre all’efficacia nella gestione delle

email e dei file”, dice Massimo Corra-di, responsabile dei sistemi informativi del Gruppo Aboca, “Enterprise Vault ci consente di sfruttare potenti funzioni di deduplica, con grande efficacia, sia nella fase di gestione delle risorse di storage (esiste un solo esemplare di ogni docu-mento e di ogni allegato email) sia in quella della ricerca dei documenti. Dal punto di vista degli utenti, questo si tra-duce nella possibilità di usare la posta elettronica ciascuno secondo le proprie abitudini e di avere a disposizione do-cumenti anche di parecchi anni prima come se fossero sempre nella memoria più veloce del sistema It, a disposizione con un doppio clic. In questo modo, ad esempio, gli agenti che hanno bisogno di ripescare un vecchio ordine non sono più costretti a chiamare il reparto It”.“Invece di acquistare più storage o di li-mitare i propri utenti”, ha commentato Vincenzo Costantino, Var e channel manager Italy di Symantec, “Aboca ha scelto la strada più efficace: quella di sta-bilizzare la proliferazione dei documenti e di rendere più flessibile il sistema di posta elettronica, senza uscire dall’am-biente Microsoft”.

Emilio Mango

Aboca, supportata da Ecobyte, sceglie Symantec Enterprise Vault per dare più spazio ai documenti e alle email dei propri utenti e per liberare risorse It.

Il Consulto In telePresenZa fa rIsParmIare medICI e PaZIentI

LA SOLUZIONE

In Aboca, Symantec Enterprise Vault 10 è stato implementato “sopra” Microsoft Exchange 2010 e Windows Server, potenziandone in modo evidente le capacità di archiviazione e ricerca. L’ossatura del sistema informativo di Aboca è costituita da sei server Hp Dl380 organizzati in due cluster geografici Vmware, che a loro volta gestisco-no circa 30 server virtuali.

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ECCELLENZE.IT | Irce

Quando l’It Per Il suPPorto alla ProduZIone è strategICo

Ci sono aziende, e Irce – gruppo industriale da 390 milioni di fatturato e attivo in campo in-

ternazionale nel settore dei conduttori per avvolgimento di macchine elettriche e nei cavi isolati per il trasporto di ener-gia – è una di queste, per cui il supporto assicurato dalle soluzioni informatiche al processo produttivo è vitale. La società emiliana, la cui attività manifatturiera è dislocata in quattro diversi stabilimenti sul territorio nazionale (Imola, Guglio-nesi in Molise, Umbertide in Umbria e Miradolo in Lombardia) e in altre unità in Germania, UK, Brasile, India e Olanda (la distribuzione è a Milano, Francoforte, Barcellona), ha affrontato come molte altre il problema di rivedere la propria infrastruttura IT, ormai inade-guata, e di aggiornare il sistema gestiona-le in uso. Per soddisfare i nuovi requisiti di efficienza operativa legata alla sua co-stante crescita, Irce ha scelto di cavalcare l’evoluzione dei processi core aziendali investendo su tecnologie avanzate. La si-tuazione di partenza, come spiega il Cio Andrea Casadio, vedeva la presenza di più database distribuiti su piattaforme di diversi vendor. “Al crescere delle attività

avevamo un’evidente criticità in termini di tempi e costi di manutenzione e ge-stione, abbinata alla maggiore esigenza di aumentare le capacità di elaborazione del sistema”. Agire su un’infrastruttura in forte espansione e da consolidare per mantenerne il controllo, velocizzando l’accesso ai dati critici e assicurando la continuità dei servizi: questo l’obiettivo che la società si è posta e che l’ha portata ad adottare Oracle Database Appliance, macchina preconfigurata ad alta dispo-nibilità e del tutto interoperabile a livello di interfaccia con il sistema Erp Oracle JD Edwards EntepriseOne (ora in pro-cinto di essere esteso a tutte le sedi e le filiali del gruppo). La presenza di un’u-nica piattaforma hardware e software

(con funzionalità di networking e stora-ge integrate) per la gestione e il consoli-damento del database, messa in esercizio al posto di un’infrastruttura cluster di server appoggiata a sistemi di tre diver-si fornitori, ha reso da subito i sistemi più fluidi e generato ritorni sensibili alla voce total cost of ownership. “I benefici ottenuti”, precisa in tal senso il Cio di Irce, “sono sia di ordine economico, sia di natura operativa e gestionale. Abbia-mo investito su una soluzione dai costi competitivi, con un processo di imple-mentazione molto rapida (solo due ore per installare la Db machine, mentre la nuova istanza del database è stata creata in una settimana, ndr), senza nessuna cri-ticità per gli utenti e che oggi ci permette di effettuare la manutenzione online da remoto sui siti esteri”. Benefici che de-rivano dall’aver praticamente eliminato l’operatività in termini di amministra-zione e manutenzione del database (Irce oggi opera solo su Oracle Database 11g Enterprise Edition) e dall’aver ottimizza-to e pianificato in modo sistemico tutte le procedure relative al backup (adesso centralizzato e richiedente solo un’ora di tempo rispetto alle otto del sistema precedente), agli indici, alle statistiche e al controllo dell’integrità del database stesso. Se l’intento della società era, fra gli altri, quello di semplificare la gestione delle risorse IT a supporto delle attività core aziendali e di garantire un uso effi-ciente e affidabile delle informazioni da parte di tutte le filiali del gruppo, i risul-tati conseguiti a valle dell’investimento per la macchina di Oracle dicono che l’obiettivo è stato centrato. “All’insegna”, questa la chiusa di Casadio, “di flessibili-tà, elevata scalabilità e maggiore capacità di spazio e di calcolo. Senza alcuna di-scontinuità di servizio del sistema”.

Coniugare software e hardware in un’unica “macchina” per ottimizzare e rendere meno dispendiosa la gestione dei database. In modo scalabile e flessibile. Ecco come Irce, media azienda manifatturiera emiliana, ha vinto la scommessa di innovare i processi produttivi con le tecnologie.

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a marsala Il vIno InveCChIa, I PC InveCe rIngIovanIsCono

Ammirando gli enormi tini delle Cantine Florio a Marsala e ricor-dando le origini romantiche del

prezioso vino liquoroso, a tutto verrebbe da pensare fuorché alle prestazioni di un computer. Deve essere lo stesso pensiero che ha spinto il Gruppo Illva Saron-no, proprietario delle suddette cantine (come anche delle palermitane Duca di Salaparuta e di svariati altri brand del settore), a scegliere la tecnologia più moderna a disposizione nel campo dei microprocessori per “levarsi il pensiero” di una gestione che iniziava a diventare onerosa dal punto di vista sia economico sia tecnico. L’iniziativa è stata di Anto-nio Pisano, temporary Cio di Illva, coa-diuvato dal top management del Grup-po Cbt, service e technology provider attivo dal 1980. Pisano non ha esitato a scegliere nuove macchine dotate della tecnologia Intel Core i5 vPro al posto delle piattaforme che nel frattempo era-no diventate obsolete e che rischiavano di frenare lo sviluppo del Gruppo, oltre che di appesantire inutilmente l’attività dello staff It interno. Il data center di Illva, gestito in outsourcing proprio da Cbt, comprende ben 50 server x86 e As/400, che presiedono all’esecuzione di tutti i processi vitali dell’azienda, primo

tra tutti l’Erp ma anche la gestione docu-mentale, la business intelligence, il ma-gazzino, l’applicazione per la forza ven-dita e il Crm.Sul fronte degli endpoint, il Gruppo conta circa 1.170 device e cir-ca 650 postazioni di lavoro distribuite su tutto il territorio nazionale (tra Pc fissi e mobili). Sono numeri importanti, figli di una crescita del business e di un allar-gamento ad altri settori produttivi (Illva Saronno ha diversificato le sue attività

anche nel settore dei gelati, dei prodotti da forno e delle lenti per occhiali). Pro-prio per l’importanza del parco macchi-ne, Illva e Cbt hanno optato per lo stato dell’arte dei processori per computer, quell’Intel Core i5 vPro che consente, tra le altre cose, di controllare le macchi-ne da remoto, permettendo di eseguire interventi di manutenzione anche a Pc spento, di ridurre i tempi di downtime e di abbattere quindi i costi complessivi di assistenza.“I risultati sono stati decisamente inco-raggianti”, dice Pisano, “con una ridu-zione dei tempi di soluzione delle pro-blematiche tecniche relative ai Pc che è sceso dal 30 al 90%, tempi di inventario delle macchine abbattuti del 97% e tem-pi medi di aggiornamento per il software tagliati del 72%. Tutto questo si traduce in un vantaggio economico calcolabile in circa 20mila euro l’anno, oltre ovviamen-te al minor carico di lavoro per il nostro team.”“La scelta della tecnologia Intel vPro”, ha commentato Flavio Radice, general ma-nager del Gruppo Cbt, “ci ha permesso di rendere ancora più efficiente la nostra offerta in outsourcing rivolta alle aziende, e in particolare al Gruppo Illva Saronno.”

Emilio Mango

Grazie alla tecnologia vPro di Intel, il Gruppo Illva Saronno, proprietaria tra le altre delle Cantine Florio, ha risparmiato tempo e denaro nella gestione delle centinaia di postazioni di lavoro.

ECCELLENZE.IT | Illva Saronno

LA SOLUZIONE

Il Gruppo Cbt, Cosmic Blue Team, collabora con Illva Saron-no sulla base di una soluzione di outsourcing denominata EasyWa-re e indirizzata soprattutto agli endpoint, siano essi desktop o portatili. La tecnologia Intel vPro implementata nei processori Intel Core i5 ha permesso di ridurre ulteriormente l’impatto della gestione It da parte di Illva. Sosti-tuendo le macchine obsolete presso le diverse sedi del Gruppo (tra cui Vicenza, Marsala, Saronno, Pescara e Palermo) e potendo eseguire gran parte dell’assistenza da remoto, Cbt ha “girato” a Ilva i vantaggi ot-tenuti in termini di tempi e costi.

Quando l’It Per Il suPPorto alla ProduZIone è strategICo

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aCQuedottI PIù effICIentI graZIealla BusIness IntellIgenCe

Fra due mondi apparentemente lontani come quello della tec-nologia e dell’acqua, l’anello di

congiunzione si chiama Publiacqua. Una società di gestione operativa nel territorio toscano, oggi impegnata in un processo di revisione delle proprie risorse It, tutto votato alla Business Intelligence. Ovvero a un utilizzo strategico del sapere derivante dall’analisi dei dati e da un effi-ciente reporting, con il fine di migliorare i processi e le attività gestite e dunque l’opera resa all’utente finale, in questo caso gli abitanti delle province di Firen-ze, Prato, Pistoia e Arezzo. Con 648 di-pendenti e un fatturato di 160 milioni di euro, Publiacqua Spa dal 2002 gestisce i servizi idrici del Medio Valdarno, un bacino corrispondente a oltre 1,2 mi-lioni di abitanti e oltre 380mila utenze attive: le sue funzioni spaziano dalla pro-duzione e vendita di acqua potabile alla depurazione, dalla manutenzione delle fognature fino ai controlli di laboratorio

e alla gestione di partnership.Fino a ieri, Publiacqua risentiva di una limitata informatizzazione dei processi e delle procedure di reporting aziendale, nonché di una reportistica interna non strutturata e poco diffusa tra il middle management. Attraverso la revisione dell’It, la società puntava a creare un ambiente di Business Intelligence flessi-bile, veloce e funzionale all’ottimizzazio-ne dei processi: in particolare, obiettivo concreto è stato quello di consolidare sotto un’unica architettura tecnologica di datawarehouse il reporting operativo e direzionale e la pianificazione strategi-ca, rendendoli accessibili a un numero di utenti sempre maggiore.La scelta è ricaduta sulle tecnologie di Sap Hana e di Fujitsu Technology So-lution, “che garantiscono nativamente, in modo semplice e certificato, il ripri-stino automatico degli ambienti in caso di fail”, ha spiegato Mauro Cacciafani, responsabile infrastrutture tecnologiche

di Publiacqua. A regime, la soluzione sarà estesa con un ulteriore nodo, ma la configurazione attuale già permette al middle management di usufruire di reportistica operativa e direzionale, acce-dere ai tool di pianificazione e costruire applicazioni basate sulle infrastrutture dati di Business Warehouse. Ed è sta-ta, inoltre, ottenuta una riduzione del total cost of ownership delle risorse de-dicate alla Business Intelligence, che ha permesso all’azienda di rispettare i suoi piani di contenimento degli investimen-ti. “L’impatto del rinnovamento tecno-logico dell’ambiente Sap e la mutata dinamicità della Business Intelligence è stato talmente positivo sull’intera orga-nizzazione aziendale, che abbiamo deci-so di ampliare l’utilizzo di tali tecnologie anche ad altri progetti previsti dal no-stro piano industriale: è per questo che ci siamo già dotati di un ulteriore nodo di test/sviluppo”, ha dichiarato Luciano Caroti, Cio di Publiacqua.

LA SOLUZIONE

La piattaforma Sap Hana è stata la scelta infrastrutturale e tecnologica in grado di garantire la visualizzazione dei dati analitici, e allo stesso tempo tempestivi, di qualità e usabilità, integrando contenuti dislocati su sistemi diversi (Sap, Gis, Scada). L’ar-

chitettura offre flessibilità e velocità, adattandosi ai processi aziendali. Soprattutto nei casi in cui il Business Warehouse non è standardizzato, questa soluzione consente di sfruttar-ne le strutture e successivamente di costruire o modificare applicazioni in

La società di gestione dei servizi idrici delle province di Firenze, Prato, Pistoia e Arezzo ha modernizzato l’infrastruttura It con l’obiettivo di migliorare la reportistica e l’efficienza delle procedure di ripristino dei guasti.

ECCELLENZE.IT | Publiacqua

modo molto semplice. La configurazione multinodo di Fujitsu (Server Primergy RX600 S6 con nodo di failover) asseconda la necessità di ripristinare rapidamente gli ambienti in caso di guasti di un componente o malfunzionamenti.

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Crm, e-CommerCe e retI soCIalI sotto Il segno deglI analYtICsPreca Brummel è riuscita ad armonizzare tutte le componenti digitali e fisiche della relazione con il cliente, contando sulle più moderne tecnologie di analisi dei dati di Sas e sul know how di Value Lab.

Mettere il cliente al centro della strategia aziendale è per Pre-ca Brummel, società leader

nel settore dell’abbigliamento per bam-bini, molto più di uno slogan. Per farlo, ci vuole un top management allineato, ci vuole organizzazione, ci vogliono i processi, ma serve anche tanto know how e tanta buona tecnologia. Ecco perché, per sostenere un’azienda in cre-scita a dispetto della crisi (Preca Brum-mel controlla i marchi Brums, Mek e Bimbus; produce oltre 7 milioni di capi all’anno e opera sul mercato con oltre 1.800 punti vendita di cui 300 mono-marca), da un paio d’anni l’azienda ha scelto di farsi affiancare dalla società di consulenza Value Lab e di farsi suppor-tare dalla tecnologia Sas.“L’approccio multicanale, che compren-de anche l’e-commerce, e l’utilizzo delle nuove tecniche di marketing (passando anche per i social network)”, dice Mi-chele Prevosti, innovation and Web marketing manager di Preca Brummel, “sono il mezzo per realizzare la nostra strategia di business, improntata a una forte relazione con il cliente. La misura del comportamento di

quest’ultimo è la base per trasformare la conoscenza in redditività”.Tradotta in pratica, la strategia ha visto la realizzazione di un sistema di cam-pagin management, realizzato da Value Lab utilizzando i Business Analytics di Sas, che consente a Preca Brummel di analizzare l’intero mondo delle relazio-ni con i clienti, senza escludere nessun canale di contatto tra il pubblico e i vari brand dell’azienda, per arrivare a una definizione il più possibile precisa ed ef-ficace dei mezzi di comunicazione e dei

messaggi da utilizzare per le campagne promozionali.Nel novero dei media sono ovviamente stati compresi anche tutti i nuovi cana-li, come Sms e Direct Email Marketing (Dem), che permettono di ottenere una risposta immediata alle sollecitazioni. “I tempi di reazione dei nuovi media e del Web”, dice Prevosti, “non sono para-gonabili a quelli dei canali tradizionali; senza le moderne tecnologie informati-che non sarebbe stato possibile riuscire a raddoppiare il fatturato di un punto vendita nell’arco delle 24 ore”.L’integrazione tra e-commerce e Crm, realizzata insieme a Value Lab con gli strumenti Sas, e l’allineamento con le at-tività social come la presenza dei brand di Preca Brummel su Facebook (attività, questa, curata direttamente dall’azien-da) hanno rappresentato il passaggio forse più difficile di tutta la strategia It. Perché, se non è facile partire col piede giusto nell’implementazione di canali digitali e sistemi analitici evoluti, è an-cora più difficile arrivare ad armonizzare e far collaborare tutte queste compo-nenti. Un’impresa che a Preca Brummel, invece, è riuscita perfettamente.

LA SOLUZIONE

Il sistema di marketing automation realizzato da Preca Brummel si basa sui più moderni strumenti di business analytics di Sas, e in parti-colare sulla soluzione di Campaign Management. Nella difficile fase di analisi, implementazione e verifica dei risultati, Preca Brummel è stata affiancata dalla società di consu-lenza e It solutions Value Lab, che con le sue sedi di Milano e Roma supporta, da oltre vent’anni, le aziende di ogni settore nelle attività di vendita, marketing, Crm e retail.

ECCELLENZE.IT | Preca Brummel

aCQuedottI PIù effICIentI graZIealla BusIness IntellIgenCe

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dere attuativi tutti i provvedimenti en-tro la fine del mandato. Basterà questo impegno a far partire una locomotiva che tutti auspicano possa cambiare fac-cia all’apparato statale e ridare fiato agli investimenti in tecnologie? Lo vedremo, ma per ora bisogna accontentarsi su base nazionale di “innovazioni” come l’Ana-grafe unica, digitalizzata e in modalità cloud, “che ha semplificato in modo concreto e tangibile la vita degli italiani”, spiega Passera. Su base regionale qualco-sa si starebbe muovendo. Ma il condizio-

Per intervenire sul digital divide abbiamo trovato 150 milioni di euro di fondi pubblici che pensiamo di triplicare con l’a-

iuto degli enti locali e dei privati ed entro il 2013 puntiamo a raggiungere una co-pertura quasi totale”. Parole pronunciate a metà novembre da Corrado Passera, in una delle tante uscite pubbliche del Ministro dello Sviluppo Economico in tema di Agenda Digitale, e relativi piani di evoluzione telematica del sistema Pae-se. Al di là dell’urgenza di intervenire in

materia di infrastrutture a banda larga, per cui lo stanziamento previsto è sem-pre di 800 milioni, ciò che preoccupa lo stesso Passera (e tutta la comunità tecnologica italiana, più che i cittadini della Penisola) sono i tempi: il decreto Crescita 2.0 va convertito in legge e il documento di innovazione approvato a inizio ottobre va trasformato in azioni concrete. Subito.L’impegno del Governo, promessa fatta in occasione di Smau dal titolare dello Sviluppo Economico, è quello di ren-

Il tema dell’Agenda ricorre nei discorsi dei ministri e degli addetti ai lavori. Tutti aspettano i decreti attuativi. Qualcuno prova a confezionare altre ricette per cambiare passo. A cavallo delle tecnologie.

IMpEgnI E pRoMEssEDEllA digital economy

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nale è d’obbligo. La Lombardia, entro la fine di quest’anno, dovrebbe per esem-pio raggiungere una copertura a banda larga pari al 99,7% della popolazione e poter offrire servizi in banda ultralarga al 50% dei residenti da qui a un anno e mezzo. In attesa delle verifiche del caso, la Regione ha speso in progetti di inno-vazione tecnologica, nel biennio 2009-2010, oltre 85 milioni di euro.

Un fenomeno da coltivareIl presidente di Confindustria Digitale, Stefano Parisi, sulla questione dell’A-genda si è espresso in numerose circo-stanze. In una di queste ha assicurato che l’industria italiana dell’Ict “sosterrà la re-alizzazione del piano con investimenti in infrastrutture e nuove tecnologie”. Più di frequente ha puntato invece l’indice contro chi doveva fare e non ha fatto in termini di misure finalizzate a promuo-vere il digitale in ogni sua forma. Dall’e-commerce ai film distribuiti via Internet. “Tutti gli Italiani”, ha detto Parisi a un recente convegno, “devono avere confi-denza con l’utilizzo degli strumenti di-gitali. Ma servono trasparenza, regole, modelli, best practice. La questione della privacy non può essere perennemente assunta ad ostacolo insuperabile per l’in-troduzione di nuove tecnologie e la Pa deve fare un salto in avanti sostanziale”. Pensiero condivisibile? Certo. Il punto è però sempre lo stesso: come trasformare la teoria in pratica. Quello del digitale è uno dei pochi set-tori che cresce e continuerà a crescere nei prossimi anni – questa la convinzione di base dell’organismo di Confindustria – e le aziende dell’Ict e delle telco devono parlare fra di loro e con le realtà che vi-vono di Web e di servizi innovativi. Sulle buone intenzioni siamo tutti d’accordo. Ma nella pratica quante sono i proget-ti nati sotto questa bandiera? E quanto contenuto nell’Agenda va in questa di-rezione? Lo sviluppo delle reti di nuova generazione è più condizionato da que-stioni politiche (che riguardano lo scor-poro della rete in rame dell’ex operatore

incumbent) o è più legato ai piani di in-vestimento (condizionati, in questa fase, dalla convinzione di ritorni tutt’altro che certi) dei vari operatori telco?

la discontinuità, anche politica, come punto di partenzaOscar Giannino, giornalista ed econo-mista nonché uno dei promotori dell’i-niziativa “Fermare il Declino”, è critico rispetto a una delle questioni che agita-no la messa in opera dell’Agenda Digi-tale. Quale? Il meccanismo attuativo dei provvedimenti. Che a suo dire non c’è. Manca, per esempio, una data di switch off precisa per ciò che concerne l’adozio-ne senza più ritorno della carta d’iden-tità elettronica o del fascicolo sanitario digitale. E precise direttive per la gestio-ne dei centri di costo degli oltre 9mila enti della Pa. Ecco i punti su cui, a detta di Giannino, è doveroso riflettere. Senza dimenticare che “la resistenza al cambia-mento è latente ed è colpa anche delle aziende private che traggono vantaggi dallo status quo dei bandi e delle gare, così come sono gestite oggi”. Gli strumenti digitali, in altre parole, vanno innanzitutto utilizzati per meglio orientare e valutare le attività di settori che pagano in termini di efficienza le loro arretratezze dal punto di vista tec-nologico, come per esempio la sanità o la scuola. Un’altra provocazione riguar-da i telefonini. “Siamo il Paese”, que-sto l’affondo di Giannino, “in cui gli smartphone hanno superato per nume-ro di vendite i cellulari tradizionali, ma dove non c’è una piattaforma digitale condivisa su cui edificare un’offerta di servizi ai cittadini basata su standard di pagamento di prossimità e in mobilità”. E allora? Servono una discontinuità po-litica molto forte, competenze dedicate, sollecitazioni concrete dal mondo priva-to e progetti mirati al raggiungimento dei risultati. Questa, almeno, è la ricetta di chi pubblicamente è sceso in campo per “Fermare il Declino”. Cavalcando la rivoluzione digitale.

Gianni Rusconi

RispaRmi peR20 miliaRdi

Le indicazioni fornite dal Poli-tecnico di Milano dicono che l’impatto dell’Agenda Digitale sui conti della Pa ammonta a 20 miliardi di euro di riduzione dei costi e di 5 miliardi di maggiori entrate. Affinché questo avvenga, è però necessario che i processi siano digitalizzati per davvero. E che venga eliminato non solo a parole il digital divide, perché a oggi la penetrazione della banda larga fissa è ferma in Italia al 62% (rispetto all’83% della Germania), l’utenza Internet si attesta al 57% della popolazione e l’uso del Pc non interessa più del 60% degli italiani (quando la media europea è del 90%). Per contro la percen-tuale di utenti del Belpaese che naviga in Rete da dispositivo mo-bile è pari al 41% del totale degli internauti. Tornando ai vantaggi legati alla presenza delle tecno-logie Ict nel cuore della macchina statale, l’Osservatorio Agenda Digitale dell’ateneo milanese ha rilevato come le soluzioni di e-procurement, se utilizzate per ge-stire il 30% degli acquisti pubblici (oggi siamo al 5%), potrebbero far risparmiare circa 9 miliardi di euro alla Pa fra sgravi sui costi e maggiore produttività del perso-nale addetto. La fatturazione elet-tronica (di cui si aspetta il decreto attuativo della legge approvata nel 2008) porterebbe invece a un saving diretto di un miliardo per l’apparato statale, e di un ulterio-re miliardo per i suoi fornitori.

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a conoscenza del fatto che molti ser-vizi della Pubblica Amministrazione sono già stati digitalizzati e sono già disponibili online. Ed è preoccupan-te che la maggior parte degli italiani non sappia cosa siano le smart city”. Carenza di informazione, dunque, ma anche le infrastrutture restano un tema fondamentale: “Dodici anni fa”, precisa il manager, “eravamo in testa alle classifiche di penetrazione delle reti in fibra. Oggi siamo fanalino di coda, perché in questi anni non si è lavorato su di esse. Il debito pubblico è cresciuto enormemente ma di in-vestimenti in banda larga ce ne sono stati pochi. Non possiamo parlare di rinascimento digitale dell’Italia senza colmare questo gap”. Oggi l’Agenda è al centro del pro-gramma di sviluppo economico e deve ovviare a scelte dettate da priorità, che penalizzano o rendono zoppo il pro-cesso di innovazione (vedi gli 800 mi-lioni di euro a suo tempo stanziati per la banda larga e serviti a finanziare gli ammortizzatori sociali). Da dove oc-corre partire per digitalizzare il Paese? Su questo punto, dice la ricerca Ispo,

Una delle piaghe che frena lo sviluppo del processo di di-gitalizzazione cui è chiamata

l’Italia? Lo scarso livello di conoscenza su temi di vitale importanza. La rispo-sta, non scontata, emerge da una ricer-ca effettuata da Ispo che ha coinvolto anche un campione di cento opinion maker italiani. Il rapporto fra “Gli italiani e l’Agenda Digitale” (questo il titolo dello studio) è in buona sostan-za ancora tutto da costruire e fa specie rilevare come per un 85% di esperti che masticano la materia vi sia solo un 66% che assicura di saperne parec-chio. Più coerente sembra essere il cit-tadino comune, che ammette nel 63% dei casi di non averne mai sentito par-lare; idem per le smart city, questione ignota al 77% della popolazione e di vaga conoscenza per il 16%. Le città intelligenti sono un altro piatto forte delle azioni dell’attuale Governo, ma solo il 7% degli italiani si rivela ben preparato sulla questione. David Bevilacqua, vice president South Europe di Cisco, ha inquadra-to i dati di cui sopra sottolineando la sensazione di “una popolazione non

pER l‘ITAlIAno MEDIo l‘AgEnDA è AnCoRA un oggetto misteRiosoC‘è grande fiducia nell’impatto positivo delle misure contenute nel Decreto Sviluppo, ma serve più informazione e maggiore condivisione per portare avanti il processo di innovazione tecnologica del Paese. Perché il documento che contiene le misure per digitalizzare l’Italia è del tutto ignoto a due terzi dei cittadini. E non solo a loro.

la convergenza fra opinion maker e cittadini è notevole: il 100% dei primi e l’85% dei secondi è consapevole che la Pubblica Amministrazione debba assumere un ruolo centrale nel proces-so di ammodernamento rendendo di-sponibili e accessibili online servizi di e-government. Per ottenere che cosa? In fatto di benefici attesi, la voce più gettonata è quella della trasparenza (citata dal 94% degli opinion maker e dall’82% degli Italiani), seguita dai risparmi sia per lo Stato che per il cittadino (89% e 79%) e dalla ridu-zione del digital divide (85% e 74%). Obiettivi raggiungibili? “Quello che non dobbiamo fare”, è la ricetta di Bevilacqua, “è ragionare in termini di aree di mercato perché il processo di sviluppo deve essere di tutto il Paese, senza cittadini e imprese di serie A e di serie B a seconda della loro ubica-zione geografica”. Il 2020, scadenza fissata dall’Agenda Digitale europea, non è poi così lontano. E il partito dei pessimisti, secondo i quali l’Italia non riuscirà a raggiungere gli obietti-vi prefissati, cattura oggi il 28% degli opinion maker.

David Bevilaqua, vice president sud Europa di Cisco.

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dire, dell’esperienza di Expo, firma-to da Confindustria, Assolombarda e Confcommercio e basato sull’utilizzo di una piattaforma tecnologica inte-roperabile, messa a disposizione delle aziende partner. Si è partiti, nel mese di ottobre, dal mondo dei trasporti e viabilità, con applicazioni che – per la prima volta – mettono insieme i dati del traffico autostradale con quelli dei mezzi pubblici e del trasporto aereo, nonché la situazione di alcuni par-cheggi di raccordo. Un approccio sistemico, già tradotto in realizzazioni concrete. Qualche esempio? L’app per Android lanciata da InfoBlu (Gruppo Autostrade per l’Italia), che fornisce mappe live, video e tabelle con le informazioni di cui sopra; i totem con pannelli touch installati in centro città da Atm (due già attivi, altri quattro attesi a breve); o ancora i maxischermi collo-cati da Sea nell’area arrivi di Malpensa e Linate, e analoghe iniziative di Milano Serravalle-Milano Tangenziali, Trenitalia e Trenord. “Il nostro lavoro è iniziato

C’è un po’ di tutto dentro l’ela-stico concetto di “smart city”: efficienza energetica e rispetto

dell’ambiente, miglioramento dei mezzi di trasporto, maggiore accesso alle in-formazioni e ai servizi utili ai cittadini, incluse la connettività Internet a banda larga e la digitalizzazione degli uffici pubblici. Elemento comune a questi progetti è l’uso della tecnologia non come fine, ma come mezzo per innalza-re la qualità della vita di residenti e turi-sti. E una città, più di altre, oggi è chia-mata a realizzare questa evoluzione per non arrivare impreparata a un appun-tamento cruciale: Milano. A due anni e mezzo dall’evento, la società di Expo 2015 mostra i primi progetti che tradu-cono in realtà una visione di metropoli intelligente, tecnologica e aperta. “Un prodotto concreto, frutto di un lavoro di squadra, una promessa mantenu-ta”, l’ha definita il presidente di Expo 2015, Diana Bracco, presentando “E015 Digital Ecosystem”: un proget-to di allargamento digitale, per così

due anni fa”, ha commentato Bracco, “e prenderà sempre più corpo nei prossimi mesi man mano che l’ecosistema tecno-logico sarà esteso a nuovi settori e arric-chito da altre aziende. Dopo i trasporti e l’infomobilità, i servizi informativi al cittadino veramente integrati e di facile utilizzo troveranno applicazione in altri ambiti, come per esempio l’ospitalità, la ristorazione, la cultura, lo spettacolo, la salute, lo sport e il turismo”. Per poter entrare nel Digital Ecosystem, i poten-ziali partner di Expo dovranno meritarsi un “bollino blu”, una sorta di certificato di qualità che attesti il valore aggiunto del servizio proposto. Per le aziende e per Milano stessa l’opportunità di autopro-mozione è grande, se si concretizzeranno anche solo in parte le stime tracciate da-gli organizzatori: 20 milioni di visitatori “fisici” che affluiranno in città nei giorni dell’Esposizione Universale, e addirittu-ra qualcosa come un miliardo di utenti che accederanno a siti Web e applicazio-ni legate all’evento.

Valentina Bernocco

se Milano è più intelligente è anche merito di Expo 2015L‘esposizione universale è l‘occasione per convogliare fondi ed energie sulle infrastrutture e sui servizi digitali. Una tendenza già iniziata nel settore dei trasporti e dell‘infomobilità.

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il ruolo della tecnologia e la neces-sità di fare progettualitàCome ovviare al gap? Si dice che gli enti locali, Comuni in primis, debba-no operare scelte strategiche mirate per usufruire di tutte le opportunità che of-frono Governo con i bandi del Miur e il Decreto Crescita 2.0, da una parte, e Comunità Europea con i fondi Ue dall’altra. La questione smart city, al di là delle scontate professioni di otti-mismo, si presenta molto complessa

c’è, per davvero, una “via ita-liana alle città intelligenti”? La risposta alla domanda è affermativa, ma si tratta di

una via ancora parecchio lastricata di ostacoli. I progetti in tema di smart city ci sono (non solo sulla carta), e sono oltre 160 quelli di natura sperimentale – dal monitoraggio del territorio all’e-health, dai parchimetri intelligenti ai sistemi di localizzazione satellitare dei mezzi pubblici – già attivati.

Neppure pochi, ma si tratta per l’ap-punto (in molti casi) di sperimenta-zioni e non è scontato per tutti che la tecnologia – e cioè l’uso di oggetti intel-ligenti e interconnessi fra di loro da reti anch’esse intelligenti (in un concetto, l’Internet delle cose) – abbia un ruolo centrale e di vero abilitatore. Manca, in buona sostanza, una visione strutturata del fenomeno, che infatti vede l’Italia indietro rispetto ad altre nazioni.

Per dare fiato alle idee, emerge la necessità di una governance comune e di progetti faro, replicabili su larga scala. Ma soprattutto di disponibilità economiche adeguate.

lE smaRt city sono pRonTE. sullA CARTA

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perché da mettere a fattor comune in modo sistemico ci sono variabili quali la presenza di una cabina di regia de-dicata, di infrastrutture a banda larga, di piani attuativi, di modelli di gover-nance e soprattutto di risorse finanzia-rie. Voci che in Italia, oggi, certo non abbondano. Antonella Galdi, responsabile innova-zione per l’Anci, l’Associazione nazio-nale dei Comuni italiani, ha ricordato in tal senso (in occasione dell’ultima edizione di Smau) come tocchi al set-tore pubblico potenziare le strategie di sviluppo e nel contempo incentivare i grandi player tecnologici – che certo non si tirano indietro, ma non posso-no e vogliono rinunciare a monetizzare i loro investimenti – a creare progetti mirati. Come? Secondo l’analisi di Giancarlo Capitani, presidente di Net Consulting, il punto di partenza per lo sviluppo delle smart city “risiede sì nel-la creazione di partnership tra vendor Ict e singoli Comuni, ma anche nella creazione dei cosiddetti progetti faro, esportabili in altre realtà e adattabili alle singole e specifiche esigenze”. Gli esempi cui fare riferimento in Europa sono Barcellona e Londra; al Belpaese – questo l’ammonimento di Capita-ni – mancano molte progettualità im-portanti e il gap coinvolge vari aspetti, dalla frammentarietà dei progetti stessi alla difficoltà di renderli replicabili. I vincoli di bilancio e la burocrazia, inol-tre, non consentono un’attivazione in tempi rapidi degli stessi”.

i fondi del miur e quelli europeiL’Agenda Digitale può essere una svol-ta e segnare un cambio di passo. Per il momento siamo però fermi alla convin-zione comune (ma teorica) che le città intelligenti possano essere uno dei prin-cipali motori di sviluppo dell’economia italiana. È un concetto che va però di-gerito e processato in termini struttura-li, tutto da circostanziare su base locale e nella testa (e nel budget) delle singole amministrazioni. Che vi siano sul terri-

torio esempi di eccellenza da imitare è un dato di fatto, ma se i finanziamen-ti legati al Decreto Crescita 2.0 siano sufficienti a tradurre in realtà le buone intenzioni è ancora presto per dirlo. Ci sono, lo ha annunciato qualche setti-mana fa Mario Calderini, responsabile dei temi Smart Cities & Communities per l’Agenda Digitale, circa 11 miliardi di euro di fondi Ue che dovrebbero pre-sto arrivare nelle casse dello Stato per dare il via alla costruzione delle infra-strutture telematiche. Ci sono altre operazioni che potrebbe-ro concretizzarsi in finanziamenti veri e propri (da decine o centinaia di milioni di euro) ma al momento i diretti inte-ressati lamentano un problema di fon-do. Che non è la convinzione di buttarsi con decisione sui progetti di smart city, ma le risorse con le quali finanziarli. Emblematica, in tal senso, la testimo-nianza (proferita sempre allo Smau) da Piero Fassino, sindaco di Torino. L’ex parlamentare ha ricordato come alle nostre spalle vi sia “un biennio in cui tutti ci si è mossi in modo sperimenta-le sulle smart city grazie all’innesco dei finanziamenti europei”, e ha elencato le difficoltà che incontrano apparati pub-blici come il capoluogo piemontese: assenza di regia comune per il coordi-namento dei progetti, carenza di risorse finanziare pubbliche e private (con le prime oggi praticamente inesistenti), eccessiva rigidità e verticalismo delle strutture delle Pa e dell’ordinamento normativo. L’Agenda Digitale, secondo Fassino, va vista “come il primo passo per superare l’empasse a livello di go-vernance con una cornice operativa in cui gli enti locali inserirsi”, ma i cardini vitali per marciare sulla via delle città intelligenti sono essenzialmente due: “la disponibilità più consistente di fon-di, dal Miur e dalla Ue, per tradurre in concreto idee che altrimenti rischiano di rimanere solo sperimentazioni esem-plari, e la flessibilità, che deve essere un dogma”.

Piero Aprile

pRove pRatiche di città intelligenti VeneziaNell’ambito del progetto “Citta-dinanza Digitale”, mirato a ren-dere disponibile la banda larga a tutti i cittadini e turisti della lagu-na, il capoluogo veneto ha avvia-to alcuni servizi con il supporto di Vodafone Italia e di Venis (Vene-zia Informatica e Sistemi Spa). Telepago è un sistema di paga-mento via smartphone dei par-cheggi sulle strisce blu, mentre apposite carte Sim sono state in-serite dentro alle telecamere per il controllo remoto degli ingressi alle Ztl (Zone a Traffico Limitato), degli accessi a bordo degli auto-bus e sulle imbarcazioni in servi-zio nel centro cittadino.

TorinoCreato da Seat Pagine Gialle, è in funzione un nuovo suppor-to digitale pensato nell’ottica di promuovere le attività in tema di risparmio energetico degli operatori locali presenti in città e nell’area metropolitana del ca-poluogo. Battezzato Agire, il progetto sfrutta un motore di ricerca de-dicato per evidenziare i compor-tamenti virtuosi delle imprese di Torino e mette a disposizione dei cittadini alcuni strumenti online per effettuare un “checkup ener-getico” delle stesse (1.900 le so-cietà censite nel portale, divise in 23 categorie) e delle proprie abitazioni.

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Quella delle start up è una “risorsa” che l’Italia deve spendersi al meglio per recuperare il terreno per-

duto, ma nel computo numerico del-le iniziative che nascono ogni anno e in quello dell’ammontare degli inve-stimenti raccolti il Belpaese è ancora (parecchio) indietro. Censire l’universo delle start up italiane, tra 4 e 8mila il loro numero attuale, è tutt’altro che semplice, anche a causa degli elevati tassi di mortalità. Il fatto che siano cir-ca un migliaio le richieste di finanzia-mento in arrivo ogni anno al Venture Capital Hub (gruppo che raccoglie i principali investitori italiani) conferma però che il mondo in questione è anco-ra piccolo. Anche se in rapida ascesa. il problema di fondo? troppi pro-getti di impresa non strutturatiStando a quanto emerso dalla secon-da edizione della ricerca “Startups in Italy: Facts and Trends”, realizzata dal-la fondazione Mind the Bridge con il supporto scientifico del Cresit dell’U-

niversità degli Studi di Varese, lo sce-nario italiano delle imprese innovative neonate è molto frastagliato. Parliamo infatti di un settore popolato da entità di due o tre soci, con età compresa tra i 26 e i 35 anni e con in media quattro o cinque dipendenti. E in cui ben il 59% delle realtà censite è rappresentato da progetti di impresa ancora non strut-turati (le cosiddette “wannabe start up”) e il 36% da aziende già costituite in forma societaria con un’età media di uno o due anni. Il rimanente 5% è composto da spin off aziendali. Netta è la prevalenza di “new co” attive in cam-po Web (49%) e Ict in generale (21%); poche, per contro, le iniziative inerenti le tecnologie pulite. Alberto Onetti, chairman della Fon-dazione, spiega come “il numero del-

le nuove start up dipende dai capitali che le danno vita. E l’esempio arriva da quelle che operano nel Web, per cui l’investimento iniziale necessario è veramente minimo”. Il problema di fondo è un altro, ed è la difficoltà di “trasformare i progetti in realtà im-prenditoriali”. Prova ne siano i circa 100 semi sconosciuti spin off accade-mici che prendono vita ogni anno.

il rischio del corporate drain? può essere un’opportunitàA livello geografico, spicca la maggiore presenza di iniziative al Nord (il 52% del totale) e nei grandi centri, con Roma e Milano a fare da poli catalizza-tori. “L’aggregazione è più densa”, dice Onetti, “dove c’è più elevata mole pro-duttiva, anche se spesso dal Meridione

una ricerca della fondazione Mind the Bridge fotografa la natura delle giovani imprese innovative che nascono in Italia. Il chairman Alberto onetti: ”Il problema è nella difficoltà di trasformare i progetti in vere realtà imprenditoriali”.

staRt Up E sIsTEMA pAEsEAllA pRovA DI matURità

Alberto Onetti, chairman della Fondazione Mind The Bridge

italia digitale

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ancoRa evidente il gap con il Resto d’eURopa

L’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano svela come lo scenario delle start up sia in forte espansione, ma ancora lontano dai numeri dei principali Paesi Occidentali.Una fotografia accurata sul fenomeno delle start up in Italia l’ha scattata an-che l’Osservatorio dedicato al tema della School of Management del Politecnico di Milano. Che parte da due presupposti importanti. Il primo: in Italia si investe un settimo rispetto

alla Francia, un quinto rispetto alla Germania e al Regno Unito e la metà rispetto ai Paesi del Nord Europa, che hanno un prodotto interno lordo molto inferiore a quello italiano. Il secondo: se venissero immessi nelle nuove imprese 300 milioni di euro per investimenti di tipo “seed” (finalizzati a testare e a sviluppare un progetto ad alto contenuto tecnologico) si potrebbe avere, entro un decennio, un impatto sul Pil dello 0,2%, e cioè circa tre miliardi di euro. I dati che certificano la necessità di un cambio di passo sono diversi, a cominciare dal numero complessivo di finanzia-tori operanti su scala nazionale: solo una ventina sono soggetti istituzio-

nali, una decina gli incubatori privati, una trentina quelli universitari e un centinaio gli investitori etichettati come “informali”, fra cui figurano i business angel. L’Ict è il settore che nel 2011 ha attratto il 50% dei capitali investiti in start up. Più precisamente, circa 27 milioni di euro (di cui il 41% messo a disposizione da incubatori e il 39% da venture capital) sono serviti a finanziare 44 diverse realtà mentre è arrivato a circa 20 milioni il capitale distribuito (a 29 diverse nuove azien-de) nei primi nove mesi del 2012. Poco meno della metà del numero di operazioni effettuate nell’ultimo biennio (33 su 73 totali) riguardano il comparto mobile.

arrivano i casi più interessanti. Gli im-prenditori nati al Sud sono il 24%, ma il dato scende al 17% se si considera la loro attuale residenza”. Non a caso i founder decidono la localizzazione della start up sostanzialmente in base al network di contatti (la percentuale è del 69%) e alla reperibilità risorse umane altamente specializzate vicino ai centri di ricerca (40%). L’11% del-le neonate società ha deciso invece di crescere all’estero, un dato in ascesa del 20% sul 2011 e che richiama il tema della necessità/opportunità di abban-donare l’Italia per dare corpo alle ini-ziative disegnate a tavolino. Su questo fronte l’opinione di Onetti è netta, ma non negativa. “Il rischio di corporate drain è reale e di tendenza: la start up per sua natura è fortemente esposta alla mobilità e non è radicata, perché guar-da alle condizioni ambientali più favo-revoli per nascere, accedere ai capitali e crescere”. Gli esempi in tal senso non mancano: Decisyon, che ha ottenuto 15 milioni di dollari di finanziamento fra Stati Uniti e Inghilterra, e Funam-bol, impresa che si è spostata nella Sili-con Valley (dove ha raccolto 35 milioni

di dollari) mantenendo le attività di ricerca a Pavia. In attesa di capire se e come le norme introdotte dal Decreto Sviluppo e dall’Agenda Digitale favo-riranno la costruzione di un vero eco-sistema, ciò che è realmente strategico per il sistema Paese, a detta di Onetti, “è un contesto normativo favorevole alla costituzione e alla crescita delle start up, capace almeno di attenuare la fuoriuscita delle realtà aziendali più promettenti”. Per ciò che concerne, infine, le modali-tà di accesso ai capitali – l’investimento medio si attesta sui 65mila euro – la forma più diffusa è il bootstrapping (l’autofinanziamento), perseguito nel 58% dei casi. Equamente distribuiti, nell’ordine del 6-8%, i fondi raccolti tramite grant (finanziamenti pubblici non rimborsabili), banche e fondazioni e altre imprese di natura non finanzia-ria. Il 16% delle neo imprese ha repe-rito invece investimenti in equity da soggetti terzi, in prevalenza business angels (8%) e seed funds (7%) e solo una quota molto limitata (l’1,2%) ha avuto accesso a venture capital.

Gianni Rusconi

MIND ThE BRIDGE SURVEy 2012: l’universo delle start up italiane e il valore dei finaziamenti erogati.

Progetti di start upStart up avviateSpinoff aziendali

Distribuzione percentuale dei capitali raccolti fino a oggi

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OBBIETTIVO SU | Trina Solar

DAL CRISTALLO AL PANNELLO SOLARe

Dalla Cina, dove è nata nel 1997, alla posizione di lea-der globale di cui oggi gode nel mercato del fotovoltai-

co, Trina Solar ha percorso un bel tratto di strada. L’azienda quest’anno festeg-gia i primi 15 anni di vita potendo van-tare sistemi completamente integrati verticalmente, dai lingotti ai moduli, con tecnologie mono e multicristalline. Diversi i punti di forza del modello di

Trina Solar opera nel campo del fotovoltaico dal lontano 1997. Negli ultimi otto anni ha realizzato impianti per una potenza equivalente di due Gigawatt. Curando tutta la filiera produttiva.

business, a partire dal controllo di tutti i processi di lavorazione e da una cate-na di valore efficiente, che consente di ridurre i costi e abbreviare i cicli di pro-duzione. Per la qualità dei suoi prodotti l’operatore investe moltissimo in ricerca e sviluppo, attività svolte nei laborato-ri del Trina Solar Park a Changzhou in Cina: un sito di oltre cinque chilometri quadrati, più del doppio del Principa-to di Monaco e dieci volte il Vaticano.

A ribadire il primato tecnologico dei suoi prodotti ci sono poi le partnership strette con atenei e istituti di ricerca scientifica in tutto il mondo. La fab-brica e il Centro di Eccellenza hanno inoltre ricevuto riconoscimenti inter-nazionali per i processi di produzione, l’affidabilità e l’impegno a rispettare gli standard ambientali: negli ultimi due anni l’azienda ha infatti ridotto di oltre il 50% il consumo di energia e acqua.

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41DICeMBRe 2012 |

Il processo produttivo di Trina Solar parte dalla materia

prima, rappresentata da lingot-ti di silicio in forma cristallina,

passando dai wafer per arrivare ai pannelli completi.

In queste pagine si alternano immagini relative alla

produzione e scatti di installazioni realizzate in tutto il mondo.

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42 | DICeMBRe 2012

OBBIETTIVO SU | Trina Solar

L’AZIENDA INVESTE MOLTO IN RICERCA E SVILUPPO: HA SPESO OLTRE 44 MILIONI DI DOLLARI NEL 2011, PIÙ DEL DOPPIO RISPETTO AI 18,6 MILIONI MESSI A BUDGET L’ANNO PRECEDENTE.

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La qualità di un pannello solare si basa sulla sua capacità di adattarsi all’ambiente e resistere a ogni tipo di sollecitazione. Questi fattori determinano l’affidabilità del prodotto e influenzano la quantità di elettricità generata da un pannello nel corso del suo ciclo di vita. In tutto il mondo si comincia a riconoscere che il fotovoltaico è non solo un’alternativa a misura di ambiente, ma anche una tecnologia capace di ridurre le spese crescenti legate all’energia prodotta con combustibili fossili tradizionali. Uno dei principali vantaggi del fotovoltaico è la sua versatilità: i pannelli Trina Solar, mono e multicristallini, sono progettati per essere utilizzati in tutti i tipi di applicazioni e nella maggior parte degli ambienti. L’azienda offre un diversificato portafoglio di prodotti per tutte le esigenze, e soluzioni per tutte le necessità: abitazioni, aziende e utility.

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44 | DICeMBRe 2012

OBBIETTIVO SU | Trina Solar

FUTURO SOSTENIBILEFin dai suoi primi passi, Trina Solar si è impegnata a costruire un pianeta ecosostenibile immettendo sul mercato le sue soluzioni per la produzione di energia pulita e affidabile con metodo ecologicamente responsabile. La poli-tica aziendale sulla gestione dei rifiuti è caratterizzata da tre “R”: ridurre, riuti-lizzare e riciclare. Altra iniziativa è la partnership siglata con Lisa Airpla-nes, compagnia aerea francese che ha fatto fare il giro del mondo al suo veli-volo Hy Bird sfruttando esclusivamente tecnologie green, come le celle solari fornite da Trina Solar.

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QUALITÀ, INNOVAZIONE E PRODUZIONE ALL’AVANGUARDIA: TRINA SOLAR DETIENE BEN 276 BREVETTI, MENTRE ALTRI 382 SONO STATI DEPOSITATI E SONO IN FASE DI RILASCIO.

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L’iPad mini e La guerra dei 7”Due anni fa, agosto 2010, faceva la sua comparsa il primo Pc a tavoletta accreditato come il vero rivale dell’Pad di Apple, lanciato a marzo dello stesso anno. Samsung pre-sentava il Galaxy Tab da 7 pollici, formato esplicitamente criticato da Steve Jobs. I produttori fedeli ad Android, chaebol coreano in testa, puntarono quindi da subito su una categoria di device che aspira al ruolo di best seller fra chi cerca intrattenimento in mobilità con un occhio di riguardo al prezzo. La storia dei mini tablet – oggi segnata dal Kindle Fire di Amazon, dal Nexus 7 di Google e dall’iPad mini – è costellata anche da prodot-ti finiti nel dimenticatoio o quasi. Come il Flyer di Htc, caratterizzato da un pennino interattivo, o come il Playbook di Research In Motion basato su sistema operativo Qnx e strettamente legato ai BlackBerry. Sul carro delle tavolette “ultra po-cket” sono quindi saliti (con scarso

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iprimi annunci di computer porta-tili targati Windows 8 hanno con-fermato alcune tendenze in atto da tempo e una di queste riguarda il

form factor dei prodotti. All’apparenza sembrano notebook o, tornando a una categoria finita ormai nel dimenticatoio, netbook più sottili e meglio rifiniti ma pronti a trasformarsi in tavolette touch rimuovendo con semplici gesti lo scher-

mo dalla tastiera o dalla “mobile do-cking” con seconda batteria integrata. La domanda che probabilmente molti si fanno è la seguente: i nuovi computer convertibili hanno tutti i requisiti (prez-zi di listino, ovviamente, compresi) per conquistare i favori dell’utenza? Avran-no, soprattutto, la capacità di diventare una prima scelta di acquisto al cospetto di device oggi decisamente più

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TABLET E ULTRABOOK: riVOLuZiOne iBrida

ricercati e popolari, quali per esempio l’i-Pad di Apple e gli smartphone Android con schermo ultra large di Samsung? In gioco c’è un mercato che, secondo le proiezioni di Forrester, arriverà nel 2016 a quota due miliardi di dispositivi di personal computing, la maggior parte dei quali mobili. Ed oltre la metà potreb-bero essere “motorizzati” con i sistemi operativi di Apple e di Google. Volendo sintetizzare lo scenario che si sta profi-lando, si può affermare che Windows 8 entrerà in tutti i segmenti mobili fatta eccezione per uno, quello delle tavolette con schermo da 7 pollici, dove a divider-si una domanda in forte crescita saranno sostanzialmente Amazon (con il Kindle Fire), Google (con il Nexus 7 prodotto da Asus) ed Apple (con l’iPad mini). Nel segmento dei tablet da 10 pollici, inve-ce, la sensazione è che Surface e tutta la flotta di device basati su Windows RT e Windows 8 Pro (motorizzati con pro-cessori Intel) contenderanno lo scettro all’iPad, mettendo in un angolo quelli di fascia alta a piattaforma Android. Poi c’è il grande universo dei portatili, dove la scelta fra un notebook tradizio-nale e un ultrabook con o senza scher-mo touch rischia di essere ardua (o per lo meno laboriosa), proprio in funzione di un’offerta contrassegnata dalla presenza massiccia di prodotti ibridi. Anche i prez-zi di listino dei modelli già annunciati in Italia lasciano aperto il campo a moltepli-ci interpretazioni: perché, per esempio, un tablet Windows 8 da 10,1 pollici con mobile docking a corredo deve costare fino a 250 euro in più di un portatile (con a bordo la stessa versione del nuovo sistema operativo di Microsoft) da 11,6 pollici touch? Bastano i migliori materiali e la versatilità d’uso per giustificare tale differenza di costo?

successo) anche Dell, Huawei, Acer, Archos e altri vendor. L’evoluzione e le maggiori capacità dei sistemi operativi sono oggi il migliorbiglietto da visita per i modelli da 7 pollici. Senza dimenticare ovvi-mente i costi, che guardano ai 200 euro come prossimo traguardo da raggiungere. Oggi, per comprarsi l’iPad mini ne servono almeno 329.

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una delle novità che offre Windows 8 è senza dub-bio la possibilità di essere installato su diversi tipi di

dispositivo. Anzi, è proprio su prodotti come notebook, tablet classici o “ibridi” che trova il suo habitat naturale. Infatti, come è noto, il sistema operativo è pen-sato soprattutto per essere gestito trami-te display touchscreen, e quindi usando principalmente le dita. Con Windows 8, l’azienda di Redmond torna così a competere in un ambito (i tablet) che l’ha vista finora superata da altri sistemi operativi come Apple iOs e Google An-droid. Le differenze fra i tre sono molte, ma c’è una caratteristica comune: il sup-porto alle app. Infatti anche Microsoft ha un suo store di applicazioni pensate per la nuova piattaforma, anche se al momento il numero è decisamente mi-nore rispetto alle controparti di Apple e

A spasso con Windows 8Il primo asso nella manica del nuovo sistema operativo di Microsoft è la sua flessibilità: può essere installato indifferentemente su notebook, tablet o sistemi ibridi. E l’esperienza touch è finalmente di alto livello.

Hp EliteBook Folio 9470m Processore: Intel Core i5-3427U 1,80 GHzDisplay: 14” (1366 x 768)Hard disk: 320/500 GB più Ssd da 160/256 GBPreZZO: da 1.633 eurO

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SamSung aTiV SmarT PC

Processore: Intel Atom Z2760 1,5 GHzDisplay: 11,6” (1366 x 768) PLSMemoria: 2 GB LPDDR2Hard disk: 64 GB

PreZZO: 699 eurO

aSuS ViVOTaB rT

Processore: Nvidia Tegra 3 quad-coreDisplay: 10,1“ (1366 x 768) Ips+Memoria: 2 GB DDR3LHard disk: 32/64 GB

PreZZO: da 599 eurO

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Google. I dispositivi presentati all’alba del lancio di Windows 8 sono davvero tanti. Ovviamente la parte del leone la fanno i tablet, e fra questi soprattutto una nuova categoria che sarà molto ap-prezzata da chi è spesso in viaggio per la-voro e vuole con sé un prodotto leggero ma allo stesso tempo abbastanza potente per gestire le attività quotidiane. Stiamo parlando degli “ibridi”, ovvero dei tablet dotati di tastiera. Quest’ultima, quando non necessaria, si può staccare dalla ta-voletta oppure, a seconda dei modelli, sparire sotto la scocca. È questa la ca-tegoria per la quale i vari produttori, a livello di hardware e design si sono sca-tenati di più. Ci sono configurazioni che fanno arrossire anche gli ultrabook più potenti, e altre molto meno performan-ti che comunque offrono prestazioni minime per lavorare senza intoppi. Per i prodotti esposti in queste pagine ab-biamo scelto di elencare le componen-ti della configurazione di base, a cui si riferiscono i prezzi indicati. Per chi lo desiderasse, sono ovviamente disponi-bili modelli con processori più potenti, maggiore spazio di memoria od opzioni di connettività più spinta come il 3G, utile per essere sempre online anche al di fuori dell’ufficio o di casa.

Dell Xps 12Processore: Intel Core i7-3517U 1,90 GHz Display : 12,5’’ Full HD (1080p) WledMemoria: 8 GB DDR3Hard disk : 256 GB PreZZO: da 1.199 eurO

LenovoThinkPadTablet 2Processore: Intel Atom Z2760 1,8 GHzDisplay: 10,1” (1366x768) Ips Memoria: 2 GB LPDD2Hard disk: 32/64 GBPreZZO: da 939 eurO

SOny VaiO duO 11

Processore: Intel Core i3 1,7 GHzDisplay: 11,6” Full HD (1080p)Memoria: 4 GB DDR3Hard disk: 128 GB

PreZZO: 1.199 eurO

aCer iCOnia W700

Processore: Intel Core i3-2365MB 1,4 GHzDisplay: 11,6” Full HD (1080p)Memoria: 4 GB DDR3Hard disk: 64 GB

PreZZO: 599 eurO

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pillole digitali una serie di funzioni chiave, tra cui scansione rapida direttamente su Pc e copia ecologica. Quest’ultima consente di combinare più pagine in un’unica stampa, riducendo i costi e il consumo di carta. Le varie funzioni sono visualizzate e gestite tramite un display Led a cinque righe. Prezzo: 455 euro circa.

Lexmark mx410Lexmark presenta un dispositivo laser monocromatico multifunzione pen-sato per piccoli gruppi di lavoro che, grazie alle funzionalità offerte, con-sente di far risparmiare tempo (prezzo consigliato, 648 euro circa). Una su tutte è l’elevata velocità di stampa, copia e scansione. Per esempio, la riproduzione della prima pagina avviene in soli 6,5 secondi. Le varie funzioni sono accessibili tramite lo schermo touch a colori da 10,9 cen-timetri. Stampa fino a 10mila pagine al mese e fino a 38 pagine al minuto. Non manca la possibilità di produrre pagine fronte/retro, con fino a 300 fogli caricabili in un’unica soluzione. Funziona anche senza un computer collegato, potendo sfruttare la porta Usb presente, da cui anche possibile visualizzare anteprime e stampare file in Pdf e altri formati.

forza delle serie di inkjet multifunzio-ne WorkForce presentate da Epson, WF-3000 e WF-2000: a detta del produttore, garantiscono fino al 50% di risparmio a pagina rispetto a un dispositivo laser. La prima linea offre velocità di stampa fino a 15 ppm per documenti solo fronte e 7,9 ppm per documenti fronte-retro, ed è completa di vassoio carta con 250 fogli di capacità; la se-rie WF-2000 series vanta un ingom-bro ridotto e un vassoio per la carta ad alimentazione posteriore da100 fogli. Caratteristiche comuni sono la stampa da smartphone e tablet tramite Epson Connect e funzioni di storage e condivisione nel cloud. I prezzi partono dagli 89,99 euro consigliati per il modello entry-level WF-2010W.

CanOn i-SenSyS mF8080CwUna multifunzione con tecnologia laser a colori dotata di scanner e fax. Tra le peculiarità spicca la con-nessione wireless che permette di condividere facilmente le funzioni di stampa, fax, copia e scansione a colori nell’ambito di piccoli gruppi di lavoro senza l’utilizzo di cavi. È comunque presente una porta Ethernet, utile se non tutti i Pc dell’ufficio hanno una connessione wireless. La velocità di stampa è di otto pagine al minuto a colori e 12 pagine al minuto in bianco e nero. Sono disponibili tasti dedicati che danno accesso diretto a

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deLL C1765nf e C1765nfwAccanto al lancio di nuovi modelli monofunzione, Dell presenta la nuo-va all-in-one laser a colori C1765, pensata per l’home office e le Pmi, nelle varianti con e senza WiFi, ri-spettivamente C1765nfw (329 euro) e C1765nf (299 euro). Il modello stampa fino a 15 ppm in nero e 12 ppm a colori, oltre a faxare, scanne-rizzare e fotocopiare fino a 15 fogli al minuto con alimentatore automatico di documenti; il software presintal-lato Nuance PaperPort 14 offre fun-zioni di gestione, scannerizzazione, visualizzazione ed editing di docu-menti e immagini. Terza caratteristica è la capacità di connettersi e stampare da dispositivi mobili Android e iOs attraverso l’applicazione Mobile Print App, che sarà rilasciata a breve.

ePSOn WF-3000 e WF-2000Flessibilità e contenimento dei costi di stampa i due principali punti di

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