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TAVOLA ROTONDA IL MAGMATISMO POTASSICO NELL'AREA TIRRENICA

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TAVOLA ROTONDA

IL MAGMATISMO POTASSICO NELL'AREA TIRRENICA

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RENDICONTI Socier<l ltaUana di Mineralogia e PerrolOVfa. 35 (I). 1979: pp. l-56

IL MAGMATISMO POTASSI CO NELL' AREA TIRRENICA

(a cura di PIO DI (;IROLAMO)

Moderatore; FRANCO BARBER I (Istituto di Mineralogia e l'ctTografia, Università di Pisa)

Partecipano alla T avola Rotonda;

PIO DI GIROLAMO (1st. di Mineralogia, Università di Napoli), BRUNO DI SABATINO (1st. di Mineralogia e Petrografia, Univo di Roma), GIUSEPPE LUONOO (Osservatorio Vesuviano), ANTONIO RAPOLLA (hl. di Geologia e Geofisica, Univo di Napoli), PAOLO SCANDONE (1st. di Geologi:! e Geofisico, Univo di Napoli), BRUNO TURI (1st. di Geochimica, Univo di Roma). RONAUl VOI .L~H;R (Dcpartment of E.1rth Scicnces. The University, Leeds, England)

Inlroduzione

BARBERI - Come può vedersi dalla disposizione dci partecIpanti mtorno al tavolo, rispetto alle precedenti Tavole Rotonde organizzate dalla S.I.M.P., questa volla vorremmo, per iniziativa e suggerimento di Pio Di Girolamo, cercare di modificare la struttura e l'andamento della Tavola Rotonda, allo scopo di renderla più snella e con un ampio spazio di discussione; il numero abbastanza elevato delle persone che vi partecipano, il desiderio che abbiamo di coinvolgere nella di­sc ussione tulte le persone presenti e il tempo un po' ristretto ci obbligheranno, tut­tavia, a procedere velocemente.

A me tocca il compito di il moderare >, dice Di Girolamo che mi ha chia­mato moderatore; ciò presume che ci si aspetti, nella Tavola Rotonda, delle di­scussioni molto vivaci e io mi auguro che queste ci siano effettivamente. Il nostro Presidente P rof. Galli ha già accennalO, nel presentare l'argomento di oggi, all'im­portanza del tema che dobbiamo dibattere; quindi credo che a me rimanga solo il compito di introdurlo rapidamente, per dare poi la parola ai partecipanti.

Effettivamente il magmatismo potassico nell'area tirrenica, questo è l'argomento della Tavola Rotonda, è uno dei più grossi problemi geologico-vulcanologici ancora aperti e tale da investire aspetti estremameilte differenti . Innanzitutto l'importanza del problema viene dall'ampiezza del fenomeno vulcanico porassico recente quater­nario che interessa delle zone vastissime, che vanno dal confine fra Lazio e Toscana fino alla zona dci Vesuvio, nell:! qu:!1c O r;) ci troviamo. Comprende degli appa rati

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eruttivi recenti fino ad attivi, come tutti quelli della Campania, da Ischia ai C1mpi Flegrei al Vesuvio. Comprende associazioni di rocce abbast:mza diverse come ca­ratteri petrografici e geochimici; fra queste le principali che possiamo distinguere, o che si sono andate distinguendo in questi anni , sono le rocce leucitiche e rocce non leucitiche, cnlrambe pot3ssiche e per le quali sono entrati in uso, recentemente, i nomi di c: serie alta in potassio ,. e c: bassa in fXltassio lo , È molto opportuno chia­marle piuttosto. come per es. fa Di Girolamo, c serie potassica ,. e c serie alta in potassio t , dato che sono tutte rocce molto potassiche. Queste rocce mostrano una varietà notevole di caratteri petrologici e geochimici, pur mantenendo un ceppo comune di caratteristiche chimiche; per es. si SçlllO osservate delle variazioni geo­chimiche e petrologiche graduali anche in senso geografico, anda ndo dalle rocce degli apparati vulcanici più meridionali verso nord, fino alla Toscana. È da osser­vare tuttavia che, nonostante l'importanza della gran massa di studi fatti sia nel passato che negli ultimi anni, rimangono ancora aperti un gran numero di problemi e noi ci auguriamo che questa Tavola Rotonda serva, anche se non a risolverli, per lo meno a menerli a punto, a focalizzarli, a dibatterli bene.

Possiamo cominciare a ricordare per es. il grossissimo problema della genesI di queste vulcaniti; è sinlOmatico osservare che, se passiamo in rassegna i lavori che sono st;u i fatt i nell'arco degli ultimi 20 anni, vediamo che non esiste ipotesi possibi le, fra tutti i meccanismi genetici delle rocce magmatiche, che non sia stata, da questo o da quell'aUlore, proposta per queste rocce. Sono state avanzate varie ipotesi di origine subcrustale per fusione parziale di materiali del manteUo di na­tura estremamente diversificata, cioè da lle vecchie ipotesi in cui si immagi navano fusion i parziali in un mantello con caratterist iche geochimiche un po' particolari (oggi diremmo un mantello ricco di elementi incompatibi li, allora si parlava, per es. nell'ipotesi di Burri, di un mantello semplicemente anoma lo in potassio), si è passati ad ipotesi un po' più sofisticate, che prevedono la fusione a partire da piros­seniti a Aogopite e poi ancora a modelli più complessi in cui l'origine, sempre sub­crustale, del magma primario, sarebbe anche legata a tutta una serie di fenomeni di conta minazione nel corso della risalita, con interazione di vario grado con rocce della crosta continentale; per es. Voll mer, che è qui presente, ha presentato ipotesi di questo t ipo e lo stesso ha fatto anche Locardi.

F ra le ipotesi di origi ne subcrustale ed interazione con rocce crustali nel corso della risalita, dobbiamo evidentemente ricordare quella ben famosa di Rittmann che prevedeva fenomeni di sintessi carbonatica accoppiati a complessi fenomeni di frazionamento solido-liquido e di differenziazione in fase gassosa.

Poi c'è un secondo pacchetto di ipotesi che sposta verso l'alto la sorgente di questi magmi, facendola migrare dal mantello alla crosta. Anche qui possiamo distinguere tutto un ventaglio di possibilità diverse, perchè abbiamo ipotesi di origine per anatessi della crosta continentale superiore con fenomeni complessi di c filtrazione », q uale quella presentata una quindicina di anni fa da Mari nelli e Mittempergher, che mi sembra però sia oggi abbandonata da tutti e due. Inolt re

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abbiamo l'ipotesi di origine per fusione pa rziale della crosta continentale profonda, avanzata, per esempio, da Capaldi, Gasparini ed altri ricercatOri di Napoli, sulla base della distribuzione di Terre Rare in alcune rocce potassiche napoletane; in questa categoria di ipotesi di origine crustale, complicata da fenomeni di intera­zioni nel corso della risalit:!, è anche quella che Di Sabatino ci presenterà neUa Tavola Rotonda.

Tutti i possibili meccanismi genetici sono quindi stati proposti e già questo testimonia se non di una certa confusione certamente della difficoltà del problema. Accanto a quello dell'origine del magma, dobbiamo ricordare che c'è un altro grossissimo problema tutt'ora aperto: quello relativo al significato strutturale, geo­tettonico, di questo magmatismo. Qui in pratica oggi abbiamo due ipotesi alter­native, senza però che nessuna delle due sia stata sufficientemente approfondita.

C'è chi ha sostenuto, o preferisce, un modello nel quale q uesto magmatismo sia collegato a fenomeni distensivi recenti di tipo rift ing di crosta continentale e c'è chi, come ad esempio Di Girolamo, in base anche a rinvenimenti recenti di rocce con affinità diverse, in particolare anclesitica cale-alcalina, ipotizza che questo magma­tismo potassico abbia invece un'affinità di tipo shoshonitico e qui ndi sia da ricon­durre a un insieme di processi del tipo cli quelli che si svi luppano in zone di mar­gini di placche convergenti. Anche questo aspetto, evidentemente, è di estrema im­portanza per la geologia italiana perchè si tratta di interpretare un vulcanismo molto diffuso e molto recente; quindi capire bene il significato strutturale-geo­dinamico di questo vuleanismo è essenziale anche per le implicazioni relative all'evoluzione geodina mica recente di tutta l'area italiana, particolarmente di quella tirrenica .

Prima di concludere questa introduzione, vorrei ricordare che ci sono anche molti aspetti puramente vulcanologici connessi alla problematica di questo magma­tismo; vi troviamo infatti rappresentati tutti, o q uasi, i tipi di eruzione con asso­ciazioni di prodotti che non sono sempre le stesse, con comparsa di tipi di rocce che tendono a ripetersi nei vari vulcani ma non con lo stesso orcline.

TantO per rimanere in Campania possia mo per es. ricordare che fra le rocce leucitiche e quelle non leucitiche troviamo associazioni temporali e spaziali abba­stanza diverse nelle varie aree. Abbiamo per es. i Campi Flegrei dove prevalgono, all'affioramento, rocce appartenenti quasi tutte all 'associazione non leucitica; però sappiamo che nel substrato sono presenti anche rocce Ieucitiche che infatti si trovano in blocchi nelle piroclastiti recenti; un'associazione temporale praticamente opposta è quella del Vesuvio dove, in affioramento e tra gli episodi più recenti, troviamo solo rocce leucitiche, mentre le rocce non leucitiche sono presenti nel substrato e si rinvengono come blocchi. Quindi esiste anche il problema di capire il perchè di questa diversa evoluzione temporale del magmatismo anche in zone molto vicine. Quello che dibattiamo oggi è senza dubbio il problema italiano di maggiore im­portanza per quanto riguarda il settore della magmatologia, del vulcanismo e delle sue implicazioni st rutturali.

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Il nostro ohiettivo, nella Tavola Rotonda, è quello di dibattere c, se possibile, di far luce su tutti questi aspetti. I partecipanti a questa T avola Rotonda sono stati scelti in modo da coprire praticamente tutti i vari aspetti del problema ; ab· biamo geologi come Paolo Scandane che tratterà essenzialmente degli aspetti riguar­danti l'inquadramento geologico del vukanismo; geofisici come Luongo e Rapolla che ci da ranno notizie sugli aspetti strutturali e geodinamici, esaminati soprattutto dal punto di vista geofisico. Abbiamo Di Girolamo, Turi, Di Sabat ino, Vollmer che tratteranno i vari aspetti di carattere petrologico o geochimico.

A nome della S.LM.P. ringrazio il dotto Vollmer di aver accettato l'invito a par­tecipare a questa riunione. Egli lavora da vari ann i sul vulcanismo recente potas­sico itali:lIlo ed è molto noto certamente per i suoi studi di geochimica isotopica su questo magmatismo.

Detto questo, credo che possiamo cominciare gli interventi specifici. Alla fine di ogni imervemo ci sarà un breve spazio per chiarimenti. lntervemi di carattere generale invece li riserviamo a conclusione del giro delle esposizioni dei reialOri; avremo allora una discussione generale, alla quale tutti i presenti so no invitati a p;lrlecipare.

Cominciamo con Di Girola mo il quale presenterà una prohlematica di tipo geotettonico basata soprattutto sulla composizione chimica degli elementi maggiori di queste vulcaniti.

DI GIROLAMO - Indicazioni geotettoniche dedotte dalla geochimica degli ele­menti maggiori delle fili/canili del bordo orientale tirrenico.

Presenterò alcune ind icazioni, ricavate dagli elementi maggiori elaborati in un modo particolare, riguardanti i possibili ambienti tettonici origi nari nei q uali po­trehhero eMersi generati i magmi delle vulcaniti potassiche e alto potassiche presenti lungo il bordo orientale del Mar Tirreno (fig. 4).

t. noto che le vulcaniti femiche hanno caraHeristiche geochimiche diverse a secondo dell'ambieme tettonico nel quale vengono emesse. Le indagini geochimiche del tipo di quelle che esporrò si basano su diagrammi statistici le cui aree sono individu:lte da ca mpioni di rocce di ambienti tettonici noti. l diversi elementi chi­mici, maggiori e in tracce, considerati discriminami per questo fine, possono essere usati per avere indicazioni geotettoniche relative a quelle vulcaniti delle quali non si hnnno ~ufiicienti informazioni geologiche sull'originario ambiente di formazione.

Molto brevemente illustrerò il metodo qui usato, proposto da J. A. PEARCE

(1976) e che ho applicato in un recente lavoro (1977-78) a 331 campioni di rocce femiche. T nli campioni comprendono le vulcaniti di aree italiane riportate in fig. 4 (226 analisi) e rocce di riferimento di aree non ita liane (105 analisi). Le vulcaniti femiche prese in esame sono quelle basaltiche 1.5. a 12 < CaO + MgO < 20 %. Le tre funzioni discrimin:mti usate (F!. F~. Fa) sono:

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F, F, F, SiO:! + 0,0088 - 0,0130 -0,0221

TiO:! - 0,0774 -0,0185 -0,0532

AltO:l + 0,0102 - 0,0129 -0,0361 P,O + 0,0066 - 0,0134 -0,0016 MgO - 0,0017 -0,0300 - 0,0310 C,O - 0,0143 - 0,0204 -0,0237 NatO - 0,0155 -0,0481 -0,0614 K,o - 0,0007 + 0,0715 -0,0289

Nel diagramma di sinistra in fig. 1 il fattore F, divide tutte le rocce femiche di margini di placche convergenti, cioè shoshoniti, basalti cale-alealini e tholciiti di arco, dai basalti intra-placche in base, essenzialmente, al più basso valore di Ti e più alto di Si nelle prime rispetto ai secondi. Inoltre il fattore F2 distingue le

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Fili. J. - Proiezione ti c; fauori discriminami F,· F, c F. -F. <Ici !rachihasalti qua!ernari uclla C:1mpania. WPIl: basalti imral'bcche (tli i$Ole nccanichc+cont incn!;): SI·IO, hasalti shO$hooitici; CAB: basalti cale·alcalin i: LKT: Ihokiiti basse in K (th. di arco): 01'11: ba,a lti di f .. nd .. .. ccanim .

tholeiiti abissali per il loro più basso valore di K e più alto di Mg. I fattori F2 e F3, assieme, operano un'ulteriore suddivisione nell'ambito delle vuleaniti di arco come si mserva nel diagramma a destra in fig. 1.

Riporto ora brevemente i risultati relativi alle vuleaniti italiane, prevalente­mente quaternarie, con maggior riguardo a quelle del bordo tirrenico orientale. Inizio dalla Campania perchè, rispetto alle altre aree vulcaniche a nord delle Isole Eolie, abbiamo un numero di dati alquanto abbondante. È da premettere che in Campania, in profondità, è stata recentemente segnalata (DI GIROLAMO et al., 1976) la presenza di un vulcanismo quaternario, prevalentemente più antico di quello potassico e alto potassico affiorarne, ad affinità Glie-alcalina (andesiti:l due pirosseni).

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In superficie è noto che sono abbondantemente rappresentate vulcaniti prevalen­temente sottosature potassiche a nefelioa normativa (trachibasalti-trachiti). clomi. nate dai termini sialici, e vulcani ti alto potassiche a !eucite modale (Icucititi.fonoliti). I termini fernici dell 'associazione potassica, noti in letteratura come ( trachibasal ti ~ ,

presentano caratteristiche geochimiche e mi neralogiche di q uesto tipo: Ti basso,

0.03

WITHIN- PlATE _ _ CONVERGING PLATE MARGINS

0.13

SOMMA

0.33

j{J VESUVIUS

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j[6 AEQlIAN IS.

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VULTURE

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SII/UNGA ::'j h- ,

o.~ 0.23 0.33

Fig. 2. - htogrammi percentuali ddla funzione discr;minanlC F, pcr le rOCCe leuc1tiche della c.m. pan;a (Somma-Vesuvio c Rocumonfina), I $Ol~ Eoli~, Indon~i;lI (VU1cll IlO Blitu Tarli), Vultur~ ~ Rih Valkys occidentll1c lIfricano ( regione del Birungll).

K e AI alti, basso arricchimento in Fe (trend di tipo calc-alcalino), fenocristalli di olivina e dinopirosseno calcico e, nella massa di fondo, coesistenza di plagioclasio, sanidino e feldspatoide. Inoltre, fra gli elementi in traccia, tali rocce hanno alti tenori in quelli di tipo potassio e bassi tenori in ferromagnesiaci. Queste caratte­ristiche vengono generalmente considerate specifiche delle vulcaniti potassiche di margi ni di pl:lcche convergent i (basalti shoshonitiei). In una comunicazione che

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pre.s<:nteremo oggi pomeriggio (DI GIROl.A.MO et al., 1978) illustreremo meglio i caratteri, soprattutto geochimici, di questi trachibasalti e delle altre vulcaoiti della Campania (andesiti e rocce leucitiche). In fig . 1 sono proiettati campioni di trachi­basalti del vulcano di Roccamonfina, Campi Flegrei, isole di Procida, Vivara, Ischia e Ventotene. I fattori discriminanti mostrano buone affinità degli elementi maggiori con i basalti shoshonitici di Papua-Nuova Guinea e Fiji adottati da J. A. PEARCE per J"individ uaziolle dell'area delle shoshoniti nei diagra mmi in oggetto.

Per le vulcaniti leucitiche, dato l'alto contenuto in potassio, è significativo l'uso del solo fattore discriminante F, (PURCE. 1976). Negli istogrammi percentuali di fi,!.:: . 2 le vulcaniti leucitiche del Somma-Vesuvio e Rocca monfin:l mostrano caratteri

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l'i.l(. 3. - Proiezione dci faltori di,cnminaRli F,.F, e F ... 1-". delle vuluniti trachib;.p.hiche del bordo ti.renic ... (PCf la Camp..nia vedi lig. I) e di vulca niri femiche pot:luiche, a rompa.abile CORlenulO di K.o. di .ifu contir>eRlali (Rift Val1eys ucddenla1e ~fric:u><., Europa centrale, FflIocia «nlralc) e i""le o<eankbc (Gough c Tri",an da Cunha).

di margini di placche convergenti similmente a quelle leucitiche degli archi vul­can ici delle isole Eolie e Indonesia (vulcano Batu Tara). Esse si differenziano da quelle pure. leucitiche del Rift V:llleys occidentale africano (regioni di Birunga e Toro-Ankole) che si classificano come ' vulcaniti distensive intraplacche:. È interes­~:1nte notare che anche le vulca niti alto potassiche del Vult ure (tc:friti e foiditi a leucite e hauyna) mostrano caratteri distensivi intraplacche.

Come le vulcaniti della Camp.1nia quelle potassiche e alto potassiche delle rima­nenti aree più a nord, comprese: nella ben nota o( Regione Comagmatica Romana " di H. S. WASHINCTON. mostrano affinità degli elementi' maggiori con le rocce di margini di placche: convergenti. In particolare le poco diffuse: rocce potassiche fe­miche dei vulcani Eroici, Vulsini (Latera) e, inoltre, Radicofani e isola di Capraia (or trachihasn lti " e or trachiandesiti ,,) si classificano come basalti shoshonitici. A sud

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Fig. 4. - Tipi m~gmatiC(Hcttoniçi delle "uleon;,; italiane l''e''alcmcrncnte quatcmaric, determinati in rose alla composizione degli dementi maggiori. I;~rca ndla curva tratteggiata comprende vulc.ni,; esseozialmenle polassiche COn uraller;"ichc affini a quelle di margini di placçhc convergenti (as.ocia_ zioni cale_alcaline Ci Jlre'-a1cntememc .hoshonitichc). Le aTee ubrale rappresentano "ukaniti di ambiente tellonico tensivu (associazioni akalinn.$Odichc c, loc.lmCIIIC, thokiiti). Per alwni vulcani shoshonitici è riportata la più .II;nvanc Ctj in m.a .. La curva dentellala rappresenla il fronte di compressione nrogenico della catena appcnninico-rna/;:hrcbidc.

della Campania le vulcani ti più o meno potassiche dci seamounts Marsili e Palinuro mostrano pure affinità col vulcanismo di margini convergemi (rispettivamente ba­salti cale-alcalini e shoshoniti). Per le isole Eolie, innne, i fattori discrimina nti delle

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Tf\VOLf\ ROTONIlA Il

rocce basaltiche (basalti cale-alcalini e shoshoniti) sono in accordo con i dati geotel­tonici già noti (BARBERI et al., 1973; K U LER, 1974).

In fig. 3 sono proiettate le vulcaniti essenzialmente potassiche del versante tiro renico orientale e sud-orientale ora menzionate; per la C1mpania vedi fig. 1. Sono anche riportate vulcaniti, a comparabile conten uto di K20, di ambienti tettonici di rifts continentali (Rift Valleys occidentale africano, Europa centrale e F rancia) e di isole oceanicoe (Cougo e T rista n da Cunoa). T ale confronto mostra, da una parte, la corretta classificazione come vulcaniti distensive intraplacche delle rocce potassiche di rifrs continelltali e isole oceaniche secondo le note osservazioni geolo· giche, dall'3ltra si osserva la differenz.1 con le vulcani ti potassiche del bordo orien· tale ti rrenico.

In fig. 4 è riportata, nella curva tratteggiata, l'area delle vulcaniti italiane, di età da lIliocenica a prevalentemente quaternaria, di tipo c compressivo :. (margini di placche convergenti); tali vulcaniti si trovano lungo un arco, o serie di archi, di circa 650 km. Con lo stesso metodo di classificazione geotettonica sono riportate le vulcaniti di altre aree italiane che ci rcondano t3le fascia (aree zebrate). Tutti questi ultimi prodotti si classificano come magmi di aree distensive. T ranne al Vol­ture e Punta delle Pietre Nere, queste rocce, com'è noto, sono essenzialmente basalti alcalino-sodici e, localmente, tholeiiti (Piana Abissale Tirrenica, Etna, lblei). Tale classificazione è conforme 31le conoscenze geologiche.

Descritte queste affinità degli elementi maggiori a me preme soprattutto accen­nare ad aleune problematicoe che questa indicazione geotettonica propone per le vulcaniti del bordo orientale tirrenico, problematiche che spero potremo almeno in parte focalizz.1fe meglio nel cnrso delle discussioni. Innanzitutto tale indicazione dovrebbe essere un'ipotesi di lavoro eventual mente da confermare, per quanto ri­guarda la geochimica, con dati di quegli elementi in traccia pure considerati discri­minanti geotettonici: fino ad ora è da osservare che non abbiamo dat i sistematici di questo tipo sulle vulcaniti in oggetto. Inoltre è da chiedersi fino a che punto può essere valido un proc~dimento di correlazione chimica con altre zone di mar­gi ni convergenti quando alcuni dati geologici del bordo tirrenico indicano che si tratta di una situazione molto particolare. Sono infatti da ricordare: possibilità di soltoscorrimento di crosta continentale bassa (placca africano-adriatica) a\la placca contin~n{a le ti rrenica (SCf\NDONE et al., 1974), grandissima prevalenza di rocce leuci· tiche, ambiente tettonico da lungo tempo distensivo, interstratificazione (in Cam­pania) di vuleaniti femiche a K~O molto variabile (calc-alcaline, shoshoniti e rocce leucitiche), notevoli variazioni isotopiche nello spazio. T ali pa rticolarità propongono, come ovvia conclusione, che il maggior numero di indagini possibile crei una base di conoscenze nelle quali può anche trovare posto, ma non esclusivamente, un ma' dello interpretativo già noto.

B ARBERI - Come avete notato si incomincia a individuare un certo numero di problemi geologici e magmatologici.

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VOLLMER - Crustal contamination vt:rsus enriched mantle: Sr, Nd and Pb isotope and Imce element evidence from the potassic alkaline volcanism 01 Centrai and South ltaly.

Thc prescnt expositioll, based 00 a work made in cooperation Wilh C. ]. H AWKESWORTH, dcals predominately with the Roccamonfina volcano, but some analyse.. .. from a few of the other alkaline volcanoes togcther with data from thc literature enable us to piace Roccamonflna in thc widcr context of thc italian alkaline volcanism. The reasoo for choosing Roccamonfina was thc availability of ApPLETON'S samples, which he had analysed for major elements (ApPLETON, 1972). T his enabled us to choose lhe most primitive rocks which had least suffercd low pressure fractionation (group 1 in fig. 1), but, as the number of group l samples available was insufficient, we were forced to use also the slightly evolved rocks of group 2. Group l is characteri zed by relativel y few (Iess than "'-' 8 %) phenocrysts of elinopyroxene :md somctimes olivi ne. L ine p in 6g. 1 indicates 6rst appearallce of plagioclase as phenocrysts, however, ie will be shown later that plagioclase fractionation does not play a role far the slightly evolved rocks of group 2. The low pressure fractionation trend oE ApPLETON (1972) parallcl lO thc broken lines is consistent with the Sr isotope data which, in this direction, vary oDly within the indicated limits.

The rare eaTth abundances of primitive (group l ) and slightly evolved (group 2) rocks fa r both the Roccamonfina high-K (R 142, R 154, R 6) and low-K series (R 114, RM l ) are shown in the right diagram of fig. 2. Both series have very similar pattern with strong enrichment in light REE and a small negative Eu anomaly.

They difTer only in cheir absolute REE abundances. The more evolved rocks are slightly enriched in light REE relative lO the primitive rocks as it i5 to be expected . The Eu anomalies cannot be caused by plagioclase fractionation because (l) plagio­elase is not a liquidus phase fa r group 1 rocks, and (2) the more evolved rocks have simila r or even slight!y less pronou nced Eu anomalies; this points to eli no· pyroxene rather tha n plagioclase fractionation for group 2 rocks.

The Icft-hand diagram of fig. 2 shows the very similar REE pattern far Somma-Vesuvius and Vulture. Pietre Nere however has no Eu anomaly. Very 5imilar pattern again with small Eu anomalies were found by K."y and GAST (1973) for the potassic hasalts of Leucite Hills.

It is coneluded that the Eu anomalies of the Italian potassie rocks is a feature generated in the souree, either inherited from the souree material or reAecting the presence of an unknown phase. Plagiodase cannot be a residual phase far these rocks. Model calculations by KAY and GAST (1973) demonstrated that garnet has co be a relative abundant residua! material mineraI.

The Sr, Nd and Pb isolope ralias fa r Roccamonfina and the measured incom­patible trace elements for the Roccamon6na primitive group are aU well correlated. A correlation also exists between the size of the Eu anoma!y (Eu/Eu-) and the

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T A VOLA ROTONDA

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ROCCAMONFI NA

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13

Fig. 1. - K,o vasuo Sio. (or Roccamonfina lava •. • : high·K ~in; O: \ow. K serin. For definition of primilive (group I) and slightlyevolvcd (group 2) rocb scc ApP LETOH ( 1972). Lines p and .t: fint occurencc of plagiocb'l(: and K·fcJdspllr, resp«tively, al; phcnocrylU. Croucd $ymbol. indicate s:>mples for which Sr isolope data U;A and on which the Ihra: fickb of Sr ilOtope nrialion. (scparatcrl b), lbe broktn lina) are baKd; tbc broken li/W: within tbc high·K ficld i. drawn arbitraril)' at 0.709. Chemical data (rom ApP"ETON ( 1972), Sr jlOtopc data from Col( CI al. (1976). Ct.I.TU cl aL (l 978), and H"WI<~~WnJ'TU and VO .... "'f .•. in prHl.

-•. - Pielre nere __ VuUUrt

__ SOmno''''',uvlus

Roccomorllno prlmoti.,.

• mOri n oN.ci

Fig. 2. - Rarc earth eonlenl of alkal inc rocb (rom 1121)'. T hc anal)'SCI arC by jlOtope d ilmion and are from H " WIi;UWOI.TH and Vou.MU, in prcss.

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14 TAVOLA ROTONOA

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O,'L~

• , • -~ • • • • Sm/Nd

M 0.'8 o,zo 19,0 IO) .,.,& 0.0

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l';~ • • • • o o , 18,8

• • Rb/Sr """, " '" ,> ° F;~. J. - Nd ~nd Sr isochron diagrams for Roe-amnnfina .. , <>thcr alkalinc rock, from Italy. Sl'mbols IO in fi,. S.

C,~124

Sm/Nd ratio. Roccamonfina primitive rocks show

a good linear celation between the 1~ 3Nd/'44Nd and SmfNd ratios but a 0.5122 relative large $Calter far 8TSr/~Sr againsl

. 1~4 . ' .

~ 86

Sr

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206Pb

204 Pb

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I43Nd

144Nd

'" . ..l .102 S,

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0,1

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0,10

. 11 4

."

l Pb

l Nd

0,2

0,03 Rb/Sr. Work in progress (VOU.ME1l,

CHIARA, JOH NSTON, LlllER, MUNNO, in pre· paraticn) has shown SI" isolape disequili. bria to occur betwecn most phenocrysts

FIg. 4. - IMopc ral i<» of Sr, Pb aAd Nd vero". Ihe rwprocc: abundante of 1he dement for Roc· ao monfina grOllp l and 2 rock l.

phases :md betwecn them and the groundrnass even for group l rocks. Thc Sr isolape v3riations between the mi nerals are thought to rcAeet source inhomogeneities falher than contamination. They indicate some modification of even primitive magmas by loosing and acqui ring phenocrysu and interaction between severa\ magma batches with different Sr isotopic composition. As observed variations for the Rb/Sr ralio in the Roccamonfina lavas are more than lO limes larger lhan for the Sm/Nd ratio, such secondary modifications may strongly effttt the Rb/Sr ralio but may not be detttted in the SmfNd mio.

If thc regression line in the u~Nd/IHNd versus Sm/Nd diagram (fig. 3) is

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T A VOLA ROTONDA 15

interprcted as aD isochron, a source diffcrentiation cvent of about 2000 m.y. is indicated. F rom thc Rb-Sr decay system would, however, follow a source differen· t iation age of about 500 m.y. and from the Pb-Pb system a maximum age of 500 m.y .. Thus the three decay systems do nOl yield consistent ages. It is not possible to argue that REE, Rb-Sr :md U-Th.Pb behave independently from each other and

o

0125

0,720

0,715

0.110

0,705

" S, ''s,

• I • •

• , f,'

1000 2000

Sr (pp m)

.. N. Tuscony • S. TusCOIl\l /I VulsIn'-V,co- Sobohni • Roccomodlno [] SOI'MlO- Vuuvius • Vulture-Pietre Nere

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49,4 4 , , • 4 ....

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.. c 'c. • •

,

fig. S. - "Sr/'"Sr vcrsus Sr abundano: fOl Ce:ntn] and Soulhcrn Italian volc.anic rocks. Dna: Col. ~t al. ( 1976). VQl..l.MEIl ( 1976). and HAWUSWOaTH and VOl..LMn, in pras_

thus would date unrelated events be. cause, as we have seen, ali these elements and isotope ralios are correlated. There­fare those lines cannot be isochrons. The only alternative interpretat ion in that of lwo-component mixing lines. Mixing would also explai n tbe correlation of the size of the Eu anomaJy with the Sm/Nd ralio which is otherwise difl1cult to un· derstand . lt ca n further be tested by plouing an iS010pe ratio against the re· ciproce abundance of the element (fig. 4). Such a plot should - fo r primitive rocks - yield straight lines far a twa­<omponent mixing processo Ali thr~

diagrams shown in fig. 4 are consistent with this hypothesis.

In fig. 5 i5 ploued the Sr isotopic composition versus Sr concentration fo r thc relative primitive rocks of Roccamon­fina together with available data far other potassic volcanocs and the Tuscan Ignrous Province .

Among the latter are also some evolved rocks, the Sr concentrations of them is therefore less certaio to be a primary abundance. If is clear from this

diagram that tbe high Sr iSOIOpe ralios far Roccamonfi na high-K series are impossible lO explain by crustal contamination. Crustal contamination would cause a displace­ment of a sample in lhis diagram in the direction of the arrow C. Cruslal contamina· tion or hybrid crustal and mantle derived magmas probably give an explanation for lhe intermediate position of Mt . Amiata lavas (see also Du puy, 1m). lt is possible also responsible far a displacement of some individuaI samples of the potassic vol­canism from their groups, but it is not the cause of the characteristic chemistry of these lavas. Further, the very high Sr concentrations observed fa r the high.K series are incompatible with plagioclase as a residual mineraI. This supports the REE evidence.

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16 TAVOLA ROTONDA

In most studied areas the crust·mantle boundary seems to be defined by a plagioclase bearing granulitic lower crust overlying a mantle consisti ng of peridotite or edogite (e.g. DAWSON, 1m). lf this mode! i5 valid also for Italy, then the SQurce af Rocca monfina and probably also the souree af the alher alkaline rocb from the Roman and Campania n Regions i5 an anomalously enriched uppcr mantle. It wou ld mea n that ~rSrr6Sr f<ltios as high as 0.710 or 0.711 may locally be found in the upper mantle, with the conseq uence that a priori assumptions about sllch high values bei llg indicative of a crmtal sou ree are not permissive any longer. Thc two souree components disti ngui shed for Rocca monfina have to be mantle cornpo­nents which are not related by a simple two-stage evolution since accretion of the Earth. Olle of the componenl5 i~ probably an anomalously enriched lithospheric mantle underlying Italy. The identity of the other mantle component is not clear.

To summarize, wc can distinguish thTee zones within thc volcanic regions of Centrai and South Italy: (1) thc volcanic aTeas of Northern Tuscany (S. Vincenzo, Roccastrada) are clearly

derived from anatectic melts of crustal origin; (2) in the 50mh, the potassic alkaline volca nism of the Roman and Campanian

Regions generally has a mantle SOUTce; (3) in bClwecn both areas there is a zone where hybrid magm:1s of crustal and

manlle origin are likely to exist (Mt. Amiata, Radicofani, possibly al.w some lavas within thc alkalinc volcanism of the Roman Region).

There are lWo mai n prohlems concerni ng the origin of these unusual rocks which we ;Ire now able to form ulate but for whieh we do not yet have an answer. The fi rsl concerns the rdation belween the high- and low-K series not only fo r Rocca­monfina, bUl also for the other areas where they occur: why do we ohserve, for example, :1 relative large difference in the Sr isotopic composition hetween both series for Roccamonfina hut not for the regions north of Rome. Related lo lhis is the second prohlem, that of the nature of the mamle components and the history of enrichment of the one component. lf we define both components by thcir isotopic compositions :1nd tTace element eoncentrations as it has bcen done for Roccamon­fin:1, it is c1ear from fig. 3 (upper diagra m) thal one or both Roccamonfina com­ponents cannot also be the same for Vesuvius or Vulture. If we define both Roc­camonfina components only by lheir isotopic compositions n, then the available data may stili be consistent with the Rocca monfina components being identical to those proposed by VOLLMER (1976) for the other areas. This has to be decided by future work.

BARBERI - Abbiamo avuto ancora un gruppo di dati che amplificano la proble. matica sul vu1canismo potassico.

(I) For example, a solid and melt phase in equilibrium has identical isolopic composition but different tracc eIement abundances; it may in the la tter definition be regarded as one romponem but in {he former as Iwo oomponents.

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T A VOLA ROTONDA 17

TURI - Frazionamento isotopico dell'ossigeno nel magmt alcalino-potassici della Provincia Comagmatica Romana.

1..0 studio della geochimica isotopica dell'ossigeno nella Regione Comagmatica Romana è iniziato alcuni anni or sono (TUR I e TAYLOR, 1976; BARBIERI et aL, 1975). I risultati ottenuti in questa prima fase, benchè numerosi e significativi, sono tut­tavia da considerare preliminari in quanto si riferiscono principalmente ai centri vulcanici del Lazio centro-settentrionale (Colli Albani, Monti Sabatin i. Vico e Monti Vulsini). Per quanto riguarda i centri meridionali, furono presi in esame soltanto alcuni campioni dell'area napoletana (Campi Flegrei, Vesuvio, Ischia), ri­mandando ad una successiva fase lo studio dei vulcani di Roccamonfina e dei Monti Ernici. I lavori sopracitati hanno lasciato intravedere una variazione della compo­sizione isotopica dell'ossigeno nei vari centri, man mano che ci si sposta da sud verso nord. In' particolare fu notato un notevole arricchimento in 180 nei prodotti dei centri vulcanici più settentrionali del Lazio, cioè laddove la Regione Comagma­tica Romana tende a sovrapporsi, sia nello spazio che nel tempo, all'adiacente Pro­vincia Toscana. Questa, com'è noto, è caratterizzata da un magmatismo calc-alcalino di riconosci Ula origine analettica, con rapporti isotopici sia dell'ossigeno che dello stronzio molto elevati (TAYLOR e TURI, 1976). II ~ trend ,. geografico presentato dai rapporti 180/160 trova riscontro in uno analogo relativo alla composizione isotopica dello stronzio (fig. 1). Tale ~ trend "', già messo in evidenza da HURLEY nel 1966, è stato confermato da successivi studi (HAWKESWORTH et aL, 1977).

I materiali crostali sono notevolmente arricchiti in 1\1Sr c 180 a seguito di pro­

cessi geochimici completamente diversi; la crosta è ricca in 81Sr a causa del decadi­

mento dci 81Rb presente nelle rocce continentali antiche o nei sedimenti da essa derivati, mentre le rocce sedimentarie hanno rapporti 180/160 elevati in quanto costituite da minerali depositati a basse temperature da acque superficiali (argille, carbonati, selce). Il fatto che le vulcaniti in esame presentino un contemporaneo arricchimento in ISO e M1Sr costituisce un buon criterio per poter avanzare l'ipo­tesi che i magmi da cui esse derivano abbiano subito una contaminazione con materiali crostali. A questo riguardo, tuttavia, va rilevato che le analisi isotopiche' dell'ossigeno hanno dimostrato come sia assai poco verosimile la teoria secondo la quale l'assimilazione di calcari avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel processo genetico-evolutivo dei magmi sottosaturi della Provincia Romana.

II fano che i valori più alti del rapporto isotopico ddl'ossigeno siano stati riscontrati nei distretti laziali più prossimi al confine con la Toscana apre il campo a due ipotesi. La prima è che si sia verificato un mescolamento di magmi toscani ricchi in 81Sr e 180 con magmi della provincia fXltassica. L'altra ipotesi è q uella di un'assimilazione, da parte di magmi potassici, di rocce metasedimentarie del basamento, favorita dal massiccio riscaldamento e dalle dislocazioni strutturali che verosimilmente queste ultime hanno subito ad opera del magmatismo toscano du­rante i 3-4 milioni di ann i precedenti all'attività vulcanica potassica.

h abbastanza difficile poter discriminare nettamente i due processi su ba~i iso-

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topiche, in quanto entrambi prevedono l'intervento di uno stesso termine ad alto contenuto in 180 e ~1Sr, rappresentato da materiale crostale. Sulla base dei dati disponibili appare comunque molto verosimile che la vicinanza della Provincia Analeuica Toscana abbia esercitato sui cemTi alcalino-potassici del Lazio settentrio­nale un'azione che possiamo chiamare di disturbo; ai fini dello studio della genesi e dell 'evoluzione dei magmi della Regione Romana è perciò conveniente spostarsi in zone che non risentano di interazioni di questo tipo.

Un'area molto promettente, sotto questo profilo, è quella del Vulcano di Rocca­monfina. Oltre che per la sua posizione geografica, questo vulcano è particolar­mente interessante in quanto fra i suoi prodotti sono rappresentati praticamente tutti i principali tipi petrografici che affiorano nella Regione Romana. Infatti sono

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Fig. !. - Diagramma O"O.""'Sr/r.sr per le rOCCe ignee delle province Romana C To>calla (dati di T UIl1 e T~vl.oR. 1976: VOLU'EIl. 1977).

presenti sIa rocce leucititichc che rocce di tipo basaltico, trachibasaltico, latitico e trachitico. Secondo la classificazione di ApPLETON (1972), le prime rappresentano la " serie ad alto contenuto in potassio) (HKS) mentre le seconde costituiscono, nel loro complesso, la " serie a basso contenuto in potassio ) (LKS). Sotto certi aspetti, quindi, il vulcanismo del Roccamonfina si avvicina notevolmente a quello dci Momi Vulsini . Uno studio isotopico comparato dei due cemri, purchè condotto su un numero di campioni sufficientemente grande e rappresentativo di tuni i principali tipi petrografici, potrebbe risultare estremamente utile sia per la comprensione dei processi genetici dei magmi della Provincia Romana che per far luce sulle possibili interazioni del magmatismo anatettico toscano con quello potassico nel Lazio set· tentrionale.

In questa prospettiva è stata intrapresa una dettagliata indagine sulla compo­si zione isotopÌca dell'ossigeno nelle vulcaniti del Roccamonfina (TAYLOR el al., mano­scritto in preparazione) basata sullo sludio di numerosi campioni appartenenti ad

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TAVOLA ROTONDA. 19

entrambe le serie definite da ApPLETON (1972) C). Questa indagine ha messo ill

evidenz..1 variazioni del rapporto 180/160 che non possono essere spiegate soltanto da processi di cristallizzazione frazionata, i quali peraltro hanno avuto un'impor­tanza fondamentale nel determinare le variazioni di chi mismo. Ciò appare evidente se i valori di 01110 dei vari c:1mpioni vengono confrontati con la composizione chimica di questi mediante di:1gr:1mmi K:!0-Si02-0 IRO e AbOa-CaO+oI80. È noto inbtti che nella cristallizz • .1Zionc frazionata di un magma ad alta temperatura il frazionamento isotopico dell'ossigeno è molto piccolo (tipicamente minore dell'I %0); al Roccamonfina, invece, la variazione del rapporto 180/160 nell'ambito di ciascuna serie è più elevato, raggiungendo ci rca il 4 roo nella serie ad alto .c01llenuto in potassio. Nella massima parte dei campioni, inoltre, sono stati misurati valori di 0180 supe· riori, anche notevolmente, a quelli che caratterizzano i magmi primari non conta­minati WIIO = 5,5 ..;.- (j,O %,,).

Una spiegazione assai plausibile di questi risultati è che in qualche stadio del processo genetico dei magmi del Roccamonfina si siano verificate delle interazioni con materiali della crosta. Una simile ipotesi trova conferma nei valori del rapporto 81SrfSGSr presentati dalle vulcaniti in questione, i quali risultano generalmente più elevati di quelli che normalmente si osservano in rocce cristallizzate da magmi provenie1lli d:!l m.mlello (Cox et al., 1976; CARTER et al., 1978). Un quadro isoto­pico sostanzialmente :1nalogo era già stato riscontrato anche negli altri centri penin­sulari della Regione Comagmatica Romana (TURI e TAYLOR, 1976).

l dati isotopici dello slronzio relativi ai magroi del Roccamonfina sono stati interpretati da alcuni autori (Cox et al., 1976; C/o.RTER et al., 1978) come indicativi della provenienza di questi da un mantello c anomalo >. Tale teoria è senz'altro plausibile, almeno in linea di principio, e potrebbe risultare almeno parzialmente corretta. Allo stato attu:1le delle nostre conoscenze, tuttavia, la prima (e più sem· plice) interpretazione dei d:1 ti analitici non può essere scanata; al contrario, esistono valide mgioni per ritenere che una contaminazione crostale sia stata uno dei processi petrologici verificatisi durante la genesi di queste rocce. Ciò ovviamente non esclude a priori che i magmi capostipiti (o almeno alcu ni di essi) derivano da un mantello c anom:1lo >, almeno per quanto riguarda il contenuto e/o la composizione isoto­pic:1 di alcuni elememi, q uale ad esempio lo stronzio.

VOLLMER - 1 would like to make one point d ear : there is some evidence that at least some of the highly evolved rocks may be contaminated during the ascent of the magma. That is one of the reasons why we concentrated on the most primitive rocks we find. This may explain some of the observed oxygen variations wc have just seen. If you would consider on ly the most primitive rocks for which

(2) Il criterio di classificazione di App[eton, benehè certamente non esente da critiche, è quello adottato dalla maggior parte dei ricercatori, soprnttutto strnnieri, che in questi ultimi :Inni si sono ocrupali del Vulcano di Roccamonfina.

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20 TAVOL ... ROTONDA

our data do oot give any evidence for crustal contami nations maybe then the oxygen data would not be in contradiction with our model of a mantle source.

TUJI.I - I think that crustal contaminatlon is quite evident from the data l presented. You can nOl explai n thc variation of oxygen just by crystalliz.1tion fractionation, you have lO assume thar some contamination with alumioa and silic:!­-bearing minerals has nccured . Thcre is no way 10 explai n my data ot herwi.~ .

BARBERI - Credo che lo spirito della domanda di Vollmer fosse un po' dif. ferente. Egli non esclude che in alcune delle rocce ci siano fe nomeni di conta mi­nazione, però concentrando l'auenzione sulle rocce più basiche, più primitive, non gli sembra che ci siano abbastanza campioni di questo tipo nè abbastanza evidenze isotopiche su quanto tu dici.

BECCALUVA L. - Abbiamo visto una correlazione negativa fra AI~o.l e CaO; tale andamento è stato interpretato come conseguenza di una cristallizzazione frazio­nata. Vorrei sapere quali sono le fasi mineralogiche che l'h'lnno prodotta; a me tale interpretazione non sembra la più giusta.

TURI - Questo è uno degli argomenti riportati da Appleton per sostenere la sua teoria. lo ritengo che un processo di cristallizzazione frazionata non possa spiegare, da solo, le fenomenologie che sono avvenute.

DI SABATINO - Nel precedente convegno di S. Margherita Ligure noi avevamo messo in evidenza che i fusi più caldi, cioè quell i capostipiti, sono quelli leucititici. Inoltre l'evoluzione verso prodotti trachitici, e anche sovrassaturi, era interpretata come un processo di cristallizzazione frazionata a cui si sovrappone l'assimilazione di materiale K-micaceo quarzoso. L'incremento di AbO:1 rispetto .1 G10 dipende proprio dall'eccesso di AbO:1 presente nelle fasi micacee.

SANTACROCE R. - Come spieghi la variazione di O isotopico rispeno alla varia­zione di Ab03 come un processo di contaminazione sov rapposto alla differenzia­zione per cristallizz.1Zionc se, rispetto al trend di quest'ultimo processo, si hanno valori di AbO:1 sia più alti che più bassi.

TURI - t natu rale che i materiali più ricchi in AbO~ dovrebbero essere quelli che provocano una maggiore conta minazione; i . ..edimenti pelitici sono quelli più ricchi in AbOl c 11010. Però la contaminazione dipende :mche dal tipo di inte­razione che si è verificata; per avere una variazione della com)Xlsizione isotopica dell'ossigeno, a volte, non è necessario che ci sia un'assimilazione completa ; si può avere una piccola assimilazione chimica e contemporaneamente un sensibi le scambio isotopico tramite l'intervento di una fase Auida.

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TAVOLA ROTONDA 21

INNOCENTI F. - Voglio fare brevemente un commento e una domanda. Gli iso­topi di ° hanno un certo grado di sensibilità nel mettere in evidenza la contami na­zione rispelto ad altri traccianti geochimici. Vorrei sapere qual'è l'entità dell'assimila­zione che si ricava in base a 180, perchè se questa è di grado minimo, cioè dell'or­dine di 5-10 70, probabilmente non è risolvibile in base alla variazione di Sr isoto­pico o Nd.

TURI - Il problema è interessante, però per una valutazione quantitativa biso­gnerebbe conoscere esattamente la composizione isotopica dei due termini, quello contaminante e quello contaminato. Comunque nel mio intervento ho fatto notare che l'incremento di .5 180 è dell'ordine del 2 %11 rispetto ai valori accettati per i basalti non contami nati per cui l'entità della contaminazione con materiali crostali dovrebbe essere superiore al lO %.

SCANDONE - Inquadramento geologico del tlulcanismo potasnco.

Cercherò di tracciare brevemente le strutture geologiche di ordine maggiore della penisola italiana e di porre in evidenza quelle che mi sembrano essere le prin­cipali relazioni tra evoluzione tettonica, strutture crostali e vulcanismo neogenico.. quaternario. Qualunq ue interpretazione si voglia dare al vulcanismo potassico, in­fatt i, non si può prescindere da un'analisi della situazione strutturale attuale e, comeguentemente, dei processi tcnonici neogenici e quaternari responsabili dell 'at­tuale assetto dell'Appennino.

Nella carla del modello strutturale d'Italia sono ben riconoscibili: - l'area di catena nell'Appenni no, nell 'Arco Calabro-Peloritano e in Sicilia, carat­

terizzata da crosta continentale ispessita; - le aree indeformate o scarsamente deformate dei due avampaesi europeo e aEri­

cano (rispettivamente zona sardo<orsa e zona apulo.adriatica, ionica e ibleo.. -ragusana) a crosta continentale normale o (Ionio) a crosta di natura incerta e di spessore ridotto;

- l'avanfossa appenninico-siciliana, all 'esterno dell'area di catena, dalla Valpadana al Tera mano.Pescarese, alla Fossa Bradanica, allo Ionio nord-occidentale, alla fossa di Caltanissetta, marcata da elevati valori negativi dell'anomalia di Bouguer;

- l'area tirrenica, con la sua piana batiale caratteri zzata da crosta di tipo oceanico, vulcanismo basaltico tholeiitico e va lori positivi elevati dall'anomalia di Bouguer.

L 'interpretazionc dell'origine e dell 'evoluzione del T irreno condiziona ogni di­scorso sull'interpretazione del magmatismo dell'Appenni no. Dirò perciò subito che

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22 TAVOLA .OTONIM.

la mia interpretazione del Tirreno non è: quella di un classico bacino marginale retro.1rCO rispondente ai modelli canonici della tcttonica a zolle, ma è quella di un'area di lacerazione crostale impmtata lungo un segmento N-S corrispondente all'asse della catena palcooppen ninica, sviluppatasi con valori di espansione crescenti da nord verso sud in conseguenza di una rotazione antioraria della penisola ita­liana (polo di rotazione a N dell'Isola d'Elba) accompagnate da simultanro sposta­mento laterale della Sicilia rispetto alla Sardegna di seow sin ist rale.

Immediatamente prima dell'apertura del Tirreno il palcoappen nino doveva es­~ere prossimo all'av3mpacse sardo<orso, separato da questo dalla catena co-a lpina. Il T irreno, dunque, si sarebbe aperto non come bacino retroarco (un eventuale bacino retro .. 1rco andrebbe ricercato, in questo tempo, ad occidente dell'allinea mento vulcanico Gllc-alcalino della Sardegna), ma in posizione c avan-arco~. Il vulcanismo delle Eolie è molto più recente dell'apertura del Tirreno, e non è logico cerca re relazioni di causa-efTeuo tra attuale ;'Irco calc .... 1lcalino e piana b..1tiale tirren ica. Un eventuale. embrione di bacino margina le potrebbe al più essere ricercato nella parte sud·orientale del Tirreno, in effettiva attuale posizione retroarco.

Vorrei ora mettere in evidenza tre fatti che, come vedremo, haono implicazioni notevolissime con il vulcanismo neogen ico e qu:nernario.

1. Se calcoliamo la cubatura del materiale crostale oggi contenuto in catena e .se compariamo questo volume con quello della crosta conti nentale che deve essere stata impl icata nella deformazione, il bilancio è fo rtemente negativo. Se noi, cioè, svolgiamo pieghe e falde e riportiamo (\uesti elementi sulla loro originaria htosfera continentale. e assegnamo alla crosta valori di spessore coerenti con la storia p .. 1leo­teuonica della corrispondente copertura sedimentaria, deducia mo valori doppi, se non addi rittura tripli, rispetto a quelli che troviamo attualmente in catena tra la superficie e la Moho. Ne deriva che nella costruzione della catena appenninica il sistema cinematico è stato un sistema aperto, c come I3le è da analizzare. J:: questo un problema sul quale torno spesso, e so che voi petrologi non gradite discorsi di questo tipo; ma per me è evidente che il sistema crosta-mantello e litosfera­·;'Istenosfera deve ricic1arsi. Una delle argomentazioni che viene portata contro queste affermazioni è il ga lleggiamento della crosta conti nentale. lo credo che questo sia un falso problema, dal momento che in una litosfera sufficientemente matura la crosl:1 continentale inferiore, di tipo granuli tico, può faci lmente scollarsi dalla crosta superiore lungo lo strato di inversione di velocità corrispondente alla crosta media, e le granuliti della crosta inferiore per la loro densità elevata possono subdu rre con il soltostante LID alla stessa stregua di una crosta oceanica. Quando parliamo, quindi, di sorgente del vulcanismo nel mantello, non dobbiamo dimenticare che nel mantello possono essere contenuti volumi rilevanti di materiale granulitico­-kinzigitico appartenente ad elementi continentali subdotli.

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2. La comparazione della storia evolutiva della catena appen ninica, dell'avam­paese adriatico-apulo e del Tirreno testimonia contemporaneità di movimenti preva­lentemente distensivi tra catena appenninica e zona sardo-corsa, e movimenti pre­valentemente compressivi tra catena appenninica e avampaese adriatico-apulo. Noi non abbiamo elementi sicuri per datare il momento esatto dell'apertura del Ti rreno, ma dal contesto dei dati al contorno possiamo verosimilmente porre l'inizio della lacerazione nel Miacene medio, intorno a 13-14 milioni di anni fa. Abbiamo co­munque la prova che 7 milioni di anni fa, prima della crisi di salinità messiniana, l'attuale piana batiale era già individuata come crosta di tipo aceanico. Non entro qui nel problema batimetrico, se cioè la subsidenza connessa all'assottigliamento litosferico, non compensata dalla sedimemazione, avesse già portato o meno la piana batiale a profondità comparabili con quelle attuali.

L'evoluzione del T irreno dal Messiniano in poi può essere seguita con suffi­ciente dettaglio, dal momento che si dispone di numerosi profili sismici a riflessione nei quali sono riconoscibili livelli ben datati, come ad esempio l'orizzonte M delle evaporiti. È possibile, pertanto, costruire profili geologici attendibili e filtra re le di­verse fasi tettoniche. La storia rivelata da questi profili, con l'ç>rizzonte M tutt'intorno alla piana batiale, con una serie di faglie a gradinata lungo la scarpata tirrenica e con stretti, fortemente subsidemi, bacini pliocenici allungati parallelamente all'Ap­pennino, è interamente una storia di movimenti distensivi. Nella fascia tra catena e avampaese adriatico-apulo, invece, la storia della deformazione indica fatti essen­zialmente compressivi, con due principali fasi di trasporto orogenico, nel Messiniano e nel Pliocene medio (intorno :l 6 e :l 3,5 milioni di anni fa)_

3. Un terzo punto molto importante è la storia dei movimenti verticali plio­-q uaternari. l terreni calabriani, non più antichi di 2 milioni di anni, si trovano ad una q uota di circa 100 metri sul livello del mare nell'avampaese pugliese; nel­l'avanfossa appenninica si portano via via a quote più elevate per raggiungere innne, attraverso delle spezzate, circa 1500 metri d'altezza sul crinale appenni nico. Passando al versante tirrenico della catena, in q ualche decina di chilometri, gli stessi oriz­zonti calabriani, di facies marina o di pian ura costiera, passano da + 1500 a -3000 metri, con faglie di 4500 metri complessivi di rigetto. Queste dislocazioni si sono verincate in gran parte nel corso stesso del Calabriano. Un fenomeno del genere può essere spiegato soltanto ammettendo la presenza di un c gaJ1cggiante ,. sotto l'Appennino e di una c palla di piombo ,. sotto la fascia tirrenica. Ciò indica, in den­nitiva, che mentre in corrispondenza dell'Appennino dovevano esistere radici crostali capaci di produrre un rapido sollevamento isostatico, sul lato tirrenico doveva svi­lupparsi un rift, responsabile dell'assottigliamento crostale e litosferico che ha deter­minato l'elevata velocità di subsidenza .

Abbiamo dunque una storia mollO complicata di distruzione di vecchia crosta continentale per subduzione, di cost ruzione di nuova crosta continentale in zona

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di radici, di assottiglia mento di radici, di lacerazione di crosta continentale giovane e generazione di crosta di tipo oceanico. I 35-37 km di profondità della Moho nel­l'Appennino non corrispondono allo spessore delle radici di una catena formatasi a seguito di un accorciamento crostale di oltre 300 chilometri in appena 20 milioni di anni. Questi valori bassi testimoniano che a momenti di regime tettonico com­pressivo responsabili di costruzione di radici succedevano, sfasati nel tempo e nello spazio, regimi tettonici tensivi responsabili dell'assottiglia mento delle radici stesse.

Immaginiamo ora di tracciare tre profili litosferici W-E dal blocco sardo-corso all'avampaese adriatico ubicati tra la Toscana e il Tirreno meridionale. In tutti e tre i profili il bordo sardo-corso appare come un margine in distensione, il bordo tirrenico dell'Appen nino come un margine in distensione anch'esso, il bordo adria­tico dell 'Appennino come un margine in compressione. Poichè negli ultimi 11 mi­lioni di anni si è verificato nella fascia orientale dell 'Appennino un accorciamento crostale di oltre 130 chilometri, è evidente che altrettanta litosfera continentale deve essere andata in subduzione sotto la catena, modificando, quanto meno, gea­metria e slato termico del mantello nel quale è penetrata.

In T oscana occidentale ci troviamo in presenza di una crosta continentale gia­vane di solo 25 chilometri di spessore, largamente interessata da fusione parziale che ha generato plutoniti e vulcani ti di origi ne analettica. Se si pensa che ci tro­viamo non solo in zone di radici della catena appenninica, ma addirittura in corri­spondenza di una zona di collisione tra due catene (Alpi e Appennino~ appare chiaro che lo spessore crostale è estremamente esiguo. Bisogna dunque invocare processi distensivi, successivi alla collisione, che hanno causato assottigliamenti era­stali e litosferici. A me sembra abbastanza logico pensare che nelle fasi compressive pre-rifting tirrenico siano stati c: inchiodati ~ in radici ingenti volumi di materiali derivanti da crosta continentale media e superiore, preparando c051 l'anatessi. e che successivamente in fase distensiva si sia generata la fusione parziale di questo mélange crostale.

Nel profilo più meridionale la situazione è molto diversa da quella toscana: gli elementi in comune sono il blocco 5ardo-corso e l'Appennino, con i due margini verso il Tirreno in distensione e col margi ne adriatico della catena in compressione. Nella parte centrale del profilo, però, la distensione è stata di gran lunga maggiore, con conseguente lacerazione della litosfera continentale e generazione di litosfera ocea­nica in corrispondenza della piana batiale.

II profilo passanle per il Tirreno centrale mostra una situazione intermedia tra i due precedentemente descritti.

Un modello di apertura del Tirreno per rotazione antioraria della penisola ita­liana sembra giustificare : - la presenza di crosta continentale assottigliata nel Tirreno settentrionale e di

crosta oceanica nel Tirreno meridionale; - la contemporaneità di una parte del magmatismo anatettico toscano con il mag­

matismo tholeiit ico tirreno;

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TAVOLA ROTONDA 25

- la migrazione spazio-lemporale del fronte del mag matismo toscano, con valori di velocità di poco superiori :I I centimetro per anno;

- b migrnione spnio-temporale del rift e dello sprofonda mento dalla piana ba­tiale tirrenica alle pianure costiere dell'Appennino;

- la coesistenza di un regime tensivo ad occidente e compressivo ad oriente della dorsale appenninica;

- la presenz.1. di un arco calc-alcalino giovane che, oltre che nelle Eolie, sembra essere rappresentato nei prodotti immediatamente sottostanti le serie potassiche in G1.mpani:l.

In questo quadro il vulcanismo patassico è attribuibile ad una situazione tet­tonica di rifl? Se con la parola rift intendiamo riferirci a una situazione tipo Reno o Rodano, vale a dire di assottigliamento crostale e faglia mento di una vecchia crosta continentale, risponderei decisamente no. Come risfXlnderei decisamente no alla do­manda se il vulcanismo potassico può inquadrarsi in uno stadio maturo di arco calc-alcalino. lo tenderei piuttoslO a considçrare magmatismo anatettico, vulcanismo tholeii tico, vulcanismo calc-alcalino giovane e vulcanismo potassico differenti espres­sioni di un unico processo geodinamico che ha comportato costruzione di una catena con relative radici, rifl e rotazione della catena, lacerazione crostale nella pia na batiale tirrenica, alterne vicende di costruzione e assottigliamento di radici nel sistema orogenico in torsione, progressione del rift dal Tirreno all'Appennino. Le variazioni del magmatismo plio-quaternario dalla Toscana al Laz.io alla Campania potrebbero essere in relazione alla differente entità dell'assottigliamento li tosferico e crost'.lle lungo il ma rgine ocddentale dell'Appennino, crescente da NW a SE.

BARBERI - Ci sono stati forniti degli elementi geologici molto interessanti che re.~tringono il ventaglio delle ipotesi genetiche sul magmatismo potassico e dan no

. nuove idee. La discussione è aperta.

SANTACROCE - Se le cause geotettoniche del vulcanismo sono le stesse dalla Toscana alla Campania, noi sappiamo che nell'area della Toscana c'è una migra­zione dell'attività magmatica, nel tempo, da ovest ad est; vorrei sapere se si ha lo Mes~o fenomeno anche nel Lazio e in Campa nia.

SCANDONE - In Toscana abbiamo il vantaggio che la distensione, con la con­seguente subsidenza, è stata minore, e i vari prodotti affiorano estesa mente. In par­ticolare, dal bordo orientale della Corsica alla Toscana le età vanno da 14 milion i di anni al recente, con una velocità di migrazione del fronte di circa 1,3 cm/anno. La parte anatettica toscana di età ~7 milioni di anni è contemporanea con le tholeiiti della piana batiale tirrenica perforate nel punto DSDP 373A; inoltre ab­biamo qui un'attività tholeiitica ancora più giovane, di età pliocenica. Se nel Tirreno si potesse campionare su 7.one esposte come in Toscana certamente avrem mo un

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maggior nu m~ro di informazioni. Con i dati attuali le elà più v~chie si riscontrano ndla pari(: centro-ti rrcoiea; ai due: lati, a Ponza e a Capo Ferrato, si hanno delle età intermedie; infi ne si arriva a manifestazioni ancora più recenti sul bordo sardo e sul bordo appen nin ico. con caratleri del vulcanismo nettamente diversi.

MA NE17' P. - Vorrei sapere due cose: cioè a che periodo si riferiscono i profili che hai menzionato. La seconda domanda riguarda la posizione del polo di rota­zione ubicata grosso modo in Liguria; in questo caso la parte orientale dci Mar L i­gure è una zona che si è aperta più o meno contemporanea mente al Tirreno op­pure è un residuo del bacino ligure-bale:uico? Se è così, siccome: esiste nel Mar L i­gu re un vulcanismo che, se non sbaglio, è dacitico ed ha un'età di ci rca 6 m.a. e che dovrebbe rappresentare la prosecuzione dell 'attività della Corsica-Sardegna, come si giustifica la presenza di questo vulcanismo in base alla posizione del polo di rotazione?

$CANDONE - I profili menzionati si riferiscono alla situazione attuale. Pongo la posizione del polo di rotazione a N dell'Isola d'Elba per ragioni cinematiche, ma non ho elementi per un'ubicazione più precisa. Ovviamente questa è una zona di interazione estremamente complcss.'l, che ha registrato fenomeni di collisione tra catena alpina e catena appenni nica, di apertura durante la migrazione del blocco sa rdo<orso che ha permesso l'apertura del bacino ligure-provenz.'l le. di torsione quando si è aperto il bacino tirrenico con la rotazione dell'Italia.

Non sono capace di inquadrare il vulcanismo dacitico di 6 milioni di anni dci Mar Ligure, tanto più che vulcanismo di questo tipo e con q uesta (tà ce n'è dap­pertutto, dall'Appennino settentrionale alla Calabria. D'altra parte bisogna ricordare che tcfra e tunti sono presenti in tutte le succession i appenni niche mioceniche, pliocen iche e calabria ne. Questi prodotti, però, sono stati poco stud iati fino ad ora. Ad ogni modo escluderei che le cineriti dacitiche di 6 milioni di an ni ~ia no da ricondurre, come tu dici, al vulcanismo calc-alcalino sardo. d:ll momento che que­st'arco si è esti nto ncl Miocene medio.

R APOLLA - Rdaz;on; Ira v"lcanùmo l! ut/onica ;n baSI! a; dal; grofisici.

Il problema delle relazioni t ra l'ambiente tcltonico, sia regionale profondo sia superficiale, e il vulcanismo è abbastanza difficile da affrontarsi specie per il vulca­nismo potassico; esso è pi ù chiaro per il vulcanismo calc-alcalino, per es. quello di tipo b.ualtico come all'Etna. Il problema della relazione tra il vulcanismo potas-

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TAVOLA ROTONDA 27

sico e gli ambienti tenonici non è molto chiaro perchè questo tipo di rocce vulca­niche è presente in situazioni strulturali diverse l'una dall'altra come in rifts con­tinentali e addirittura in isole oceaniche.

Passando alla fascia tirrenica, il vu\canismo potassico qui presente si svi luppa in una zona caranerizzata da uno spessore crostale dell'ordine di 25 km (fig. 1); la crosta va rapidamente assottigliandosi verso il Tirreno fino a raggiungere pro­fondità di circa 10-12 km ed arriva a profondità di 35-36 km nell'area continentale

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l'ig. J. _ Anomalia ~-ra ,' imctrica rclaliva alb Moho lungo il profilo Mar Tirrco,,·Mar Adriatico (a ltezza Dmpania_Gargano) " relativa interpretazione.

italiana (CoRRADO e RAPOLLA, 1979). Siamo quindi in una zona continentale che però rappresenta un'area di transizione tra una zona chiaramente continentale, quella della penisola italiana, e una invece che è già di tipo oceanico, cioè quella del Tirreno.

Il profilo di fig. l mostra anche altre peculiarità; ad es. il fatto caratteristico che la densità del mantello superiore nella zona «ocea nica > tirrenica è più bassa di quella normale, il che, fra i'altro, è in accordo con i dati di Russo di calore. Inoltre è riportata, tratteggiata, un'interpretazione gravimetrica nella quale sono stati posti, come vincolo, i dati di sismica a rifrazione disponibili per quest'area. Dunque siamo in una zona di transizione con rapido assottigliamento della crosta. Il profilo riIX>rtato in fig. l si può, praticamente, considerarlo quasi tipico di tutta la fascia tirrenica.

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28 T A VOLA ROTONDA

Esaminiamo ora un al tro tipo di dati geofisici cioè quelli magnetici (CoRRADO

et al. , 1978): la fig. 2 rappresenta il campo magnetico a più lungo periodo dispo­nibile per ['Italia centrale. Notiamo come, oltre all'anomalia magnetica che si vede nella zona adriatica e che ha un diverso tipo di spiegazione, le aree napo­letane e romane sono caratterizzate da intense anomalie. Questo dimostra che la crosta è intensamente interessata dalla presenza di masse magmatiche ad alta su­sceuività; tali masse interessano anche le parti più superficiali. Nella fig. 3 sono rappresentate le anomalie magnetiche rdative alla zona pi ù superficiale della crosta, quella cioè dci sedimentario che dovrebbe formare qui gli ultimi 9 km. Abbiamo

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tutta una serie di anomalie che mostrano come anche il sedimentario sia interessato da cospicue masse magmatiche. Se adesso ci spostiamo più verso la superficie, e quindi ci riferiamo al problema più propriamente vulcanico, notiamo come tutta la zona sia caratterizzata da una serie di faglie di tipo distensivo; tali faglie con­trollano direttamente la risalita delle masse magmatiche nell'ultima parte della crosta.

In fig. 4 è riportato un profilo che comprende le isole di Vulcano, Lipari e Salina, con un'interpretazione del basamento ottenuta sia con i dati magnetici che con quelli gravimetrici (IAcoBucc l et al., 1977); questo profilo mostra come anche nell'area delle iwle Eolie ci troviamo in una situazione identica a quella prima

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TAVOLA ROTONDA 29

Fig. 3. - Intcnsilà tnlalc: anomalia Con 20 km < 1 < 80 km.

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riportata. Abbiamo anche qui una crosta a bassa suscettività; abbiamo una serie di faglie che dislocano il basamento e lungo queste faglie probabilmente si è impostato il vulcanismo. A differenza dell'area romana e campana, alle Eolie abbiamo una situazione di compressione regionale in atto dimostrata da tutta una serie di dati.

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30 TAVOLA ROTONDA

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Fig. 5. - Mappa geologico-.trutturalc dell'arca yula nica napoletana. _ I. Voleanic producI, and rcccnl alluvial dc~;u (Qualcrnary) • 2. ~;mcntuy out(rop. (Trias_Mioccnc) _ 3. Normal faull • • 4. Strutturai high axi. o( uroonatc sub,uafUm • 5. Struetural low axis of carbonate subSlratum • ti. Mai" v"l_ canic CCmcrs.

Questo non esclude però che in Campania e nel Lazio un'eventuale compressIOne ci sia stata nel passato e oggi sia terminata. La fig. 5 mostra una pane della Campania e riporta le principali linee di frattura, ino]m: mostra gli alti e bassi strutturali presenti nel substrato flegreo e nella piana del Volturno (C.v.U:'LI et al., 1975).

In figg. 6 e 7 sono riportati profili di anomalie magnetiche paralleli e trasver­sali alla costa ti rrenica neUa zona campana (CARRARA et aL, 1974). Qui si vede che il basamento risulta dislocato da faglie; generalmente in corrispondenza di q ueste si hanno delle fo rti anomalie magnetiche che possono essere interpretate come effetto di masse magmatiche presenti lungo tali linee.

Quindi, in definitiva, nella parte più superficiale della crosta, cioè in quella più legata al vulcanismo, è chiaro che vi è un legame strettissimo, sia nello spazio che nel tempo, con l'attività neotettonica. Per quanto riguarda la crosta, q uest:J. è ime-

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T A VOLA ROTONDA 31

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Fig. 6. - Area geotermica di Parete . Napoli . _ Bas.arncnlo carbanatico dcd()(IO clai dal; gravimetrici (Co.RRAR.\ e1 al., 1973, 1971); imrusioni ignee C colate lavichc dedoll!' dai dati magnetici (Cu.ItARA et aL, 1973); dal; di temperatura e ilratigufici dd P<Y~ZO P2 (CAMF.l.T et al., 1975).

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Fig. 7. - C.mpania: anomalie magnetiche lungo due profili NE-SW nella Piana dci Volturno.

ressata fortemente dalla presenza di masse magmatiche. Per quanto riguarda il discorso tettanico più generale, vi sono una serie di dati che possono indicare che vi è stata una situazione di compressione anche se oggi, chiaramente, questa situazione non è più in atto.

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32 TAVOLA ROTONDA

LUONOO - Prob/~mi di g~odjnQmjca d~l Ti"cno.

b ~vidt: nlt: cht: quando si trana di problemi di geodinamica, si parla di terre­moti. Lo studio del terremoto è certamente un potente mezzo d'indagine sia della dinamica della litosfera che delle st rutture profonde. Esistono tuttav ia grossi pro­blemi d'interpretazione che portano alla costruzione di modelli diversi. Quando si affrontano problemi di geodi namica attraverso lo studio dei terremoti certamente

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Fig. I. - Di~lr;bu~ione dci terremO(i intermedi e profondi dd BuIO Tirrel\O, sedti tn quelli meglio locali~ud e proiettati Su piani orientati circa NE·SW (quadro C) e NW·SE (quadro Il) ( RITSEM A, 1972).

dobbiamo tener presente che la nostra serie temporale è molto limitata e c'è un grosso c gap) tra gli strumenti di analisi del geofisico e quelli dci geologo, cioè gli strumenti sono così diversi e con risoluzioni tanto diverse: per cui bisogna usare estrema cautela q uando si mettono insieme i risultati dei due settori e quando si utilizzano le necessarie est rapolazioni per comprendere i processi del passato attraverso l'a nalisi degli eventi attuali.

Quando si analizza no i processi geodi namici del bacino del Mediterraneo e ci riferiamo al Mediterraneo centrale, uno dei punti chiave è certamente il Tirreno.

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T ... VOLA ROTONDA 33

"-~::::::;~~;:~~~~~~,. Innanzitutto ci si domanda se esiste o J I. meno uno c slab :. nel Tirreno: è possi­

bile che l'esistenza solo di terremoti in­termedi e profondi e la presenza di un

kURI LI

M vulcarusmo andesitico siano condizioni necessarie e sufficienti per definire la pre­senza di uno « slab :. ?

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Fig. 2. - Nella parte alta del diagumma è rapo presentato schematicamente il proce!.o di $ubdu· z;une ehe prod uce correnti nell'astenosfera. le qua· li, 3 loro volta, determinano un proccs.o di u spreading ~ nella ZOna d i relJoarco. I diagrammi .uçcC$sivi rappresen!:,"" i valori sperimentali del Rus$<' di calore (punti) etl il valore teorico ( __ ), rispettivamente per le aree delle Kurili , Giappone ,-~I Ital ia meridionale (Su:F.P C TOKSOZ, 1971).

In fig. 1 (RITSEMA, 1972) sono stati riportati i dati più attendibili sugli eventi sismici localizzati nel Tirreno. Se gli ipo­centri sono rappresentati in una sezione verticale in direzione NE-SW si ha una distribuzione un po' caotica e si ottiene una Immersione quasi verticale dello c: slab >. Se invece si ruota la sezione di 90" ecco che si presenta un diverso tipo di distribuzione in profondità; in questo ca­so è molto semplice immaginare che lo c: slab :. si immerga con un angolo di circa SO-SSQ. Ora questa semplice osserva­zione già dà un'idea che esistono almeno due modell i sull'immersione dello cslab:..

A queSto punto chiaramente viene fuori il problema del rapJX'rto dell 'im­mersione dello il slab :. con il vulcanismo. Se seguiamo la prima distribuzione di terremoti il Vesuvio è interessato dallo il slab ) in subduzione, con la seconda in­vece no; abbiamo, $'C esiste uno il slab ) in subduzione, comunque certamente un'immersione che va verso il centro del Tirreno. Una cOSa che voglio fare osser­vare in questa figura è che all'altezza dci golfo di Salerno non localizziamo più

un evento con profondità maggiore di 100 km. Ovvi.amente tutta la sismicità cro­stale, non rappresent:!ta in figur:!, si localizza praticamente lungo tutto l'asse del­l'Appenni no.

Osserviamo quali processi possono essere indotti daUo c slab ) in subduzione nel Tirreno. Ci si può aiutare con un modello prOJX'sto da SLEEP e TOKSOZ (1971). In fig. 2 SOIlO indicati uno c slab :. in subduzione, un bacino marginale, vulca­nismo andesitico e dati sul Ausso di calore per le Kurili, Giappone ed Italia meri­dionale. Le linee continue rappresentano il valore di Ausso di calore che si dovrebbe osservare se ci fosse solo lo «slab) che im merg-c senza alt ri fenomen i che si so-

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vrappongono. Si nota che tutti i dati sperimentali slanno al di sopra del valore teorico nella parte concava dell 'arco mentre nella fossa e nella l'mIe conves~ del­"arco i valori rilOrnano quasi normali.

Per "Italia meridionale i valori del Russo di calore sono rilevati nello Ionio, in Sicil ia e nel Tirreno. I valori del Tirreno, un po' dispersi, sono molto alti in accordo con le previsioni di un bacino margi nale. L'l presenza. di uno c slab ~ che si immerge deve creare una situazione termica anomala nell'astenosfera c quindi il nascere di correnti convettive che poi provocano un processo di c sprcading _ e la formazione dei cosiddetti bacini marginali.

Vediamo ora se è possibile accenare un modello di c slab . in subduzione nel Tirreno meridionale. Spesso si dimentica che la superficie della Terra (. sferica e

B

A

Fig. 3. - Cur~alura delle 7.01Ic liw.fcrithc in .ublluzionc. In A il raglli .. ,Ii curvatura dclb zol la ;, R fI/2; in Il è R {1t - fI)/2. In entrambi i cui ranlt"l" d'im",c .. i"n.: è fI: R è il raltl/i" ,Iella Tcrr3 (LI! t'[I< <.:>10" et al.. 1973).

quindi le masse che vi si muovono sopra devono obbedire a leggi un po' diverse da quelle che noi generalmente utilizziamo considerando superfici non curve. In fig. 3 sono ri fKl rtati due modelli dovuti a Borr (1971) e a FUNK (1968). Questi dimostrano, se tali modelli sono validi, che masse che si muovono su una superficie sferica possono immergere solo qua ndo raggiungono dimensioni proporzionali, secondo una ben determinata funzione, alle dimensioni della sfera. I due modelli si differenzia no essenzialmente perchè la subduzione avviene in uno secondo una forma a cucchiaio memre nell'alt ro secondo una superficie COnVeSs,1. T eniamo pre­sente che il Tirreno è molto piccolo e che con questi modelli dovrem mo avere archi di almeno 2000 km di lunghezza come si osserva nel Pacifico.

Allora cosa è successo nel Tirreno? L'arco, e su q uesto ormai tutti sono d'ac­cordo, doveva inizialmente comprendere il nord Africa, la Sicilia c tutte. l'Ap-pen­nino. Probabilmente il contatto tra le due zolle, la meridionale africana c l'europea a nord, non avve niva secondo una superficie regolare. Da questo è derivato che in certe :lree la subduzione si è fermata prima e quindi l'attività è cominciata a

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TAVOLA ROTONDA 35

diminuire, in altre l'attività è stata ancora intensa; in conseguenza di ciò l'arco si è frantumalO.

Lo "slab ~ in subduzione ha creato nel Mantello una situazione anomala da un punto di vista termico facendo nascere correnti magmatiche che hanno provocato uno" spreading ~ più spinto nella parte più arcuata dell'Appen nino, cioè nel tratto Sici lia-Calabria. Il ca mpo di stress che si è generato per il moto relativo dell 'Africa verso l'Europa (direzione circa N-S) e per i processi di "spreading ~ (direzione prevalente E-W) è molto complesso. La componente E-W forse ha avuto, in tempi recenti, una prevalenza notevole. Queste condizioni hanno determinato la com­plessa struttu ra dell'estremità meridionale della penisola e della Sic; lia.

Proviamo ora a v:llutare l'energi:l liber:lt:l in questi processi e verifichiamo se i dali che si ottengono sono coerenti con il modello proposto. lnnanzitutto l'energia liberata da un terremoto è proporzionale al vol ume della massa nella quale si vanno accumulando le tensioni ed è funzione delle caratteristiche meccaniche del mezzo. In realtà il parametro denominato momento sismico (BRUNE, 1968) ci fo rnisce in­fo rmazioni sulle dimensioni della sorgente sismica, sulle caratterist iche meccaniche del mezzo e movimenti relativi tra i blocchi posti ai due lati di un piano di fagli a, secondo una relazione del tipo:

u = --- 1: Mo , ~A,

dove u è lo spostamento, ~ è il modulo di rigidità e Mo è il momento sismico. Il momento si5mico può essere calcolato attraverso la determinazione della magni­lUdo dei terremoti che avvengono nella stessa st ruttur:l geologica, utilizzando la relazione:

MI} = 17,0 + 1,4 ML ,

dove M L è la magnitudo. t: possibile quindi, attraverso il modello di Brune, calcol:lre la velocità di mo­

vimento di blocchi (du/dt) qU:lndo sono note la magnitudo dei terremoti e le dimension i della strutt ura sismica mente attiva. Considerando tutta l'Italia meridio­nale come un'unica struttura attiva alla quale assegnamo 400 km di lunghezza, consideriamo una crosta di circa 20 km di spessore e prendiamo in considerazione l'intervallo di tempo 1901-1910 che è il periodo di maggiore attività sismica nell'Italia meridionale; 1':J.pplic:J.zione del modello di Brune fo rnisce una velocità media di

TABELUr. l

L, W, ~, A, du/dt

X lO~cm XI~cm x !OH cm2 (cm/anno)

400 20 1901·1910 0,8 8,8 400 20 1901-1975 0,8 l )

400 100 1901-1975 4,0 0,3 400 300 1901-1975 12,0 0,1 400 500 1901-1975 20,0 0,1

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Mo = 17,0 + 1,4 ML

l U L M,

~A,

~ = 3,3 X 1011 dynefcm2 ,

dove: Mo = momento sismico; ML = magnitudo; u = spostamento lungo il piano di faglia; (..I. = modulo di rigidità; Ao = superficie del piano di faglia; Lo = esten­sione longitudinale del piano di faglia; Wo = estensione verticale del pia no di fagl ia.

Tipo di t1ln-gill

E, Energia suhduzione

Ee Energia terremoti (1900-1978)

El Energia flusso di calore

Ec Energia cinetica

Ev = Energia vulcani

Eh = E nergia sol1evamento

TABELLA 2

R t !uzion(

Es =. QChlv (TI-To)

LagE = I l ,8 + 1,'5 M

Anomalia l X 10-6

C..al cm- 2sec- 1

Ec = _ mV2

2

Eh = m (l1T-C+ H) J

Eh = mgah

Erg/anno

1,7 X 1 02~

1.7 X JQ24

3,5 X 1()2:1

Q = 3 gr/cm~; c = 0,25 caljgOC (calore specifico); h = 8 · 1()6 cm (spessore slab); 1= 7 · 107 cm (l unghezz.1 slab); ti = 2,4 cmfy; TI -1'0 = 400" C (l" per km); LlT = l()()()" C; H = 50 cal/gr; .1h = 10-1 cm.

spostamento per anno, lungo la faglia, di 8,8 cm. Via via possiamo costruire van modelli fi no ad avere anche velocità di 0,1 cm per anno. Il valore, fo rse più accet­tabile ~ 1,2 cm/anno in accordo con altre osservazioni geofisiche. Un riassunto dei possibili modelli è ripor~to in tabella l.

Facciamo ora una valutazione dell'energia in gioco quando abbiamo un pro­cesso di subduzione. La prima valutazione riguarda l'energia di subduzione; la rela­zione utilizzata è di M ACKENZlf. e SCLATtR (1969) nella quale entrano i seguenti parametri: la densità Q, il calore specifico c, lo spessore e la lunghezza dello «slab " la velocità con la quale si muove lo « slab , (in questo caso abbiamo considerato 2,4 cm/anno calcolata dai dati del modello globale di Le Pichon) ed infine le variazioni di temperatura dello cslab , (TI - T o) q ua ndo s'i mmerge da 80 km

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TAVOLA ROTONDA 37

fino a ci rca 500 km che è la profondità massima m cui noi localizziamo i terre~ moti nel Basso Tirreno.

Il valore che si ottiene è d i circa 1,7 · Hff, erg/ anno. Abbiamo poi consider:lta

l'energia dei terremoti che presenta valori di Hr2_1cr~ erg; l'energia per flusso di calore assegnando un'anomalia di l · IO-Q cal/cm- 2sec - ' , l'energia cinetica per lo spostamento dello slab da un'eventuale asse di c spreading. nello Ionio; l'energia eruttiva cioè q uell'energia spesa dai vulca ni durante la loro attività durante un intervallo di tempo di lO milioni di an ni e l'energia di sollevamento delle masse crostali. I risultati di questi calcoli sono riassunti nella tabella 2.

L.1 grossa difficoltà nel trarre delle conclusioni nasce dal fatto che nel modello entrano dei parametri molto grossi; in alcuni casi, ad esempio, le dimensioni della massa in gioco sono enormi per cui è difficil issimo verificare se i risultati che si o!tengono applicando il modello possa no essere più o meno significativi.

Un'ultima considerazione che voglio fare è: che spesso si paria di rapporti tra sismicità profonda e genesi dei magmi; questo non è un problema semplice, molto spesso si semplifica dando ulla correlazione positiva oppure nebrativa con estrema superfi cialità. Il prohlcm:, è: Wossissimo; innanzitutto il magma per risalire deve

• •

, ..

R.gg iolcml

"~,,. 4. _ Variazioni ddk dimcnooni delle maNC magma~ iche che risalgono da l profondo in funzio­ne: della vi$CO$ill, dci magma (MAUH, 1976).

avere una differenza di viscosità col mez-zo che lo circonda e non conosciamo i processi fisico<himici che determinano questo contrasto. A seconda dci contrasto di viscosità si realizzano le opportune di­mensioni delle masse che possono risalire.

Il grafico di fig. 4 mostra che se la viscosità del mezzo che risale è: bassa pos­sono anche venire in superficie dei corpi magmatici molto piccoli, cioè: di 100 m di raggio. Tra l'altro stia mo trattando di magmi che si formano a profondità di al­meno un centinaio di km. Via via che la viscosità del magma che dovrà risalire cresce, mantenendosi, comunque, sempre a valori più bassi della viscosità del mez­

zo circostante, le dimensioni della massa devono aumentare moltissimo, cioè si p<lssa da dimensioni lineari di 104 a 106 cm.

Applicando la relazione di Stokes è: possibile ottenere informazioni sulla velo­cità di ris.1lita dei magmi. La relazione che può essere utilizzata è: la seguente:

v = 3 ~

con ti = velocità di risalita, Q = raggio del corpo magmatico. g = accelerazione di gravilt Lio = contrasto di densità. T} = visco~ità del mezw in cu i risale il magma.

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In alcuni casi sembra, almeno per i magmi di tipo :lIldesitico, che sono necessari i~tervalli di tempo da 1.000 a 10.000 anni perchè il rn;\gma che si forma ad una profondità di almeno 100 km possa venire in superficie. Quindi certe conclusioni, certi rapporti diretti tra terremoti, genesi dei magmi ed eru zioni non è p{)s~ibile farli con modelli semplicistici.

D I S.o\BATlNO - La genesi dei fusi alcalino-potoss/ci della Regione Magmatica Romana. Ipotesi dI lavoro. (Vedi questo volume, pagg. 327-34H).

Discussione generale

I NNOCENTI - Vorrei chiedere a Di Sabati no un'informazione pri ma della di­scussione, cio(: il modello che tu proponi si riferisce al Lazio settentriol1nle c alla Toscana o lo estendi a tutto i( magmatismo polassico italiano?

DI SABATINO - t: focalizz.1to soprattutto all'area tosco-Iniale.

I NNOCENTI - La cosa non risulta molto chiara, nel senso che se si riferisce all'evoluzione particolare in un centro vulcanico l'ipotesi potrebbe anche essere accettata, sebbene difficilmente val utabile in un tempo così breve, però se si riferisce a tutto il vulcanismo potassico fino alla Campania, cioè italiano, è molto meno accet­tabile, nel senso che ti sei dimenticato di dire che le trachiti non sono delle rocce isolate, ma fan no parte di una serie di fraz ionamento che comprende i basalti. Quindi il problema non è di spiegare la transizione da leucititi a trachiti ma di spiegare semmai la transizione, dal tuo punto di vista, da leucititi a basalti. Cioè è da stabili re se esiste un legame tra rocce basiche tipo basaltico alcalino leggermente potassiche e rocce leucititiche. Problema che era già stato affrontato a Roccamonfina da Appleton e risolto, diciamo, con un frazionamento di li po eclogitico, ma che i dati isotopici di Sr e Nd, che sono stati pubblicati recentemente sulle rocce italiane, hanno messo fortemente in dubbio; anzi han no messo in evidenza, come del resto faceva vedere Vollmer, che questi due tipi di magmatismo, sebbene fortemente correlati dal punto di vista vulcanologico, hanno delle sorgenti probabilmente indipendenti.

DI SABAnNo - Di norma le trachiti che fanno parte di una serie di solo fra­zionamento (quindi ad evoluzione satura, non alcalina) che comprende i basalti, assumono un carattere da sadico ad intermedio (con un rapporto K20jNa20 = 1 che è quello del minimo termico trachitico) e non un rapporto K20jNa20 = 7/3 delle lave e delle imponenti ignimbriti trachi-latitiche legate al vulcanismo alcalino­-potassico.

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T"'VOLA ROTONDA 39

Escludiamo anche noi la differenziazione eclogitica perchè il sodio si arricchisce nel fuso, man mano che aumcnta la temperatura, ovvero diminuisce la pressione; è sufficiente pensare all'omfacite che essolve [a molecola giadeitica e quindi alla quantità di sodio che può ripartirsi nei fusi. Non solo, ma escludia mo anche grosse internioni ovvero rapport i diretti tra fu~i ba~;Jltici e fusi leucititici. In relazione a quegli s(x.stamenti leggeri verso caratterizzazion i potassiche cu i tu accenni, anche un qualsiasi processo di contaminazione o di mixing può gimtilicarl i; però nessu n processo di contaminazione o di mixing può spiegare come da un carattere chia­ramente ~odico di fusi basaltici si possa pas~are a quello estremame nt{' potassico dellc [cucitili; per conseguire un rapporto K~OfNa~O di 9/1, non esiste alcun modello petrologico che pOSS:l giustilicarlo per processi di contàminazione () di ITIlxmg".

D , GIROLAMO - Una dom:lIlda ;1 Luongo. Della spezzata di archi che hai presentato c'è un tratto che parte dalla Sicilia e termina in Campania. n possibile interpretare questo tr:lUo terminale come un polo di rotazione? Se è cosl, tenendo presemi le affinità petrograliche del magmatismo orogcnico dell'arco delle Eolie e dell'area della Olmpaniil e, inoltre, l'età solo un po' più vecchia del vulcanismo di quest'ultima, tale IXllo potrebbe spiegare l'assenza di terremoti profondi man mano che dall'arco delle Eolie si salt verso la Campania.

LUONGO - Non lo vedrei proprio come polo. C'è stata una maggiore velo­cità di questa parte dell'arco legata ad uno spreading del Tirreno, mentre la parte più settentrionale chI! va in Toscana si è fermata oppure si spostava ad una velocità inferiore; cioè mentre ad ovest dell'arco calabro c'è stata forse più crosta oceanica, qui in Toscana la crosta oceanica è linita prima per cui l'arco si è fermato. Quindi questa è una spezzala più che una rotazione. Il napoletano, e LUtta l'area che va dalla costa del Tirreno lino al Ga rgano, è una zona di transizione estremamente complicata e difficile da interpretare. Nel passato probabilmente faceva parte di un ùnicn arco e (luindi sotto il napoletano le andesiti è nalUrale che ci siano.

MANEl"T1 - Vorrei sapere da Di Girolamo, quando parla di andesiti che ha trovato nel basamento della Campania, e su questa base prospetta la possibilità che le serie potassiche siano delle shoshoniti in considerazione anche dei diagrammi che ha mostrato, che ctà hanno queste andesiti . Cioè se sono delle andesiti miocenichc, tipo quelle della Sardegna, per esempio, oppure sono più 'recenti; perchè nel caso avessero l'età delle andesiti della Sardegna, dato che sappiamo che il Tirreno si è aperto, potrebbero avere lo stesso significato di queste andesiti. Allora vorrei capire la differente evoluzione che ha avuto il vu\canismo della Sardegna riguardo la serie distensiva e invece questa serie potassica che dovrebbe avere un signilicato completamente divers~) anche se su un ambiente ~eodin:J.mico abbastanza simile.

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.0 T" VOLA ROTONDA

D I GlROLAMO - H o accennato che le indicazion i geotettoniche della geochi­mica di queste rocce propongono dei problemi non indifferenti. In Campa nia le andesiti rinvenute ad una profondità di ci rca 2000 metri, ma ce ne sono anche di più superficiali, hanno un'età, determi nata con metodi paleontologici e col K / Ar. molto giovane cioè pleislocenica inferiore. Quindi q uesto magmatismo c: compres­sivo ~ è venuto a giorno in un ambiente tettonico da lungo tempo distensivo.

SANTAClI.OCE - Vorrei chiedere a Scandene il significato che dal suo punto di vista hanno q uelle strutture trasversali rispetto all'Appennino e che invariabilmente, credo, sono in corrispondenza dei vulcani potassici italiani, cioè Sorrento, M. Mas­siccio, M. Canino; cioè sapere se sono interpretabili o no come trascorrenti.

ScA.NDONE - Vorrei prima fa re una precisazione. In Appennino si parla spesso di Horst e Graben, e con questi termini si etichettano strutture negative o positive di piccole dimensioni, quali la Valle dell'Aterno, la Valle Latina, le pianure del Garigliano e dci Scie, o le dorsali dci M. Massico e della Penisola Sorrentina. Nelle regioni dove sono stati defin iti gli H orst e i Graben le dimensioni delle strutture sono di tutt 'altra entità e la struttura crostale è totalmente differente. Quel li che vengono chiamati H orst e Graben, in Appennino, risultano essere dei" mini-Horst ~ e dei " mini-G raben ~, per giunta impostati su un edificio tettonico a falde di rico­primento. Le fagl ie che determinano le vere strutture ad H orst e G raben hanno una geometria ben precisa, non certo casuale. Se noi tentia mo di applicare questi model li geometrici alle strutture dell'Appen nino otteniamo l'assurdo di disegnare una sequenza di sottili prismetti affiancati, reciprocamente sollevati o ribassati di migliaia di metri, senza alcuna logica. Questa precisazione credo sia importante, ncl senso che non dobbiamo vedere nella tettonica superficia le una risposta diretta delle dislocazioni dci c basamento ~ . Non credo si possa parlare con disinvoltura di c basamento ~ riferendoci all'Appennino, dal momento che in una catena le radici dovrebbero essere costituite da un vero e proprio mélange crostale. Le faglie che vediamo in superficie sono la risposta indiretta, estremamente dispersa, ai solleva­menti o agli approfondimenti differenziali di q uesto méla nge crostale in disequi­librio isostatico. L'allineamento di g randi fratture NW-SE può essere legato, a mio parere, a un complesso sistema di faglie sintetiche e antitetiche, con faglie maestre rigettanti verso il T irreno. L'allineamento trasversale, lungo il quale si rilevano dislocazioni secondo l'immersione delle superfici di frattura piuttosto che traslazioni secondo la direzione, può fo rse legarsi allo stesso clima tensivo del sistema appen­ninico, con temporan~ rotazioni dell'ell issoide di sforzo di 90" intorno all'asse !TI

posto verticalmente, con (12 orizzontale e in direzione NW-SE nd sistema appen­ni nico, orizzontale e con direzione NE-SW nd sistema antiappenninico.

SAVELLI C.- Vorrei di re solo qualche cosa in più rispetto a quanto è stato delto sulla dìstensione che si è avuta nell'area centro-tirrenica e sul vulcanismo compres­sivo che si trova più ad orif:nte, cioè nell'arco delle Eolie. facendo presente un

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T"'VOL'" ItOTONO ... 41

dato basato sul tempo. Le datazioni finora raccolte tenderebbero ad indicare due eventi distinti a differente composizione chimica. Infatti la parte che riguarda la distensione, cioè gli apparati vulcanici più recenti nel Centro.Tirreno, ha un'età sui 3 m.a. mentre il vulcanismo calc·alcali no delle Eolie, considerando anche la parte sommersa dell'arco, tenderebbe ad essere più recente. Abbiamo, inoltre, in corso delle analisi radiometriche riguardanti l'età dell'arco eolico sommerso, CIOC di quei seamounts sempre più piccoli che si hanno allontanandosi dalle isole.

LUONGO - Quando parli di 3 m.a. ti riferisci a campioni dragati ~ella parte superficiale della struttura?

SAVELLI - Abbiamo solo informazioni sul seamount Magnaghi; dobbiamo ancora datare i campioni del Vavilov. Qui c'è un basamento sedimentario datato Pliocene superiore; sopra viene tutto l'apparato vulcanico. Di questo apparato abbiamo un campione della base e uno del top, entrambi hanno età di 3 m.a. circa. Quest'età si avvicina molto a q uella del basamento sedimentario; cioè il solleva­mento dci substrato e la formazione del vulcano sono avvenuti pressochè nello stesso tempo per cui si tratta di un evento vulcanO-tettonico.

BARBERI - A questo punto vorrei riassumere alcuni dei principali problemi emersi, per rilanciare su di essi la discussione dato che gli argomenti trattati sono stati moltissimi. Mi pare che, tutto sommato, tenuto conto che siamo in sede S.LM.P., l'aspetto sul quale conviene insistere un po' di più è la problemalica dell'origine dei magmi, che poi di per sè si collega a tutti gli altri aspetti, a cominciare dal sig11ihcato strutturale del vulcanismo. Riassumo brevemente quello che è emerso dalla Tavola Rotonda proprio su questi temi, sui quali mi pare convenga aprire la discussione nella parte hnale. Farò anche qualche breve commento personale che questa volta ha lo scopo di provocazione anzichè di moderazione.

Cominciamo quindi da Di Girolamo il quale ha messo in evidenza, come d'altra parte va facendo ormai da un paio di anni, gli aspetti chimici del vulcanismo potas­sico italiano; facendo un confronto con i dati degli elementi maggiori e adesso anche con gli elementi mi nori, egli richiama l'attenzione sul fatto che rocce alcalino­·potassiche in associazioni tettoniche di arco insulare e di margine continentale risul­tano abbastanza simili a quelle della provincia potassica, in particolare campana, ma in generale anche italiana. Di qui è ovvio che egli pone 'la problematica legata anche ai rinvenimenti di andesiti nel substrato facendo presente che il vulcanismo può risultare da una situazione dello stesso tipo, cioè di arco insulare o di margi ne continentale attivo. Uno dci problemi fondamentali da questo punto di vista, pro­blema già sollevato da Manetti, riguarda l'età; hnora ci sono stati tentativi di data­zione praticamente in tutti i laboratori geocronologici d'Italia, ma non siamo riusciti a risolvere con assoluta certezza il problema dell'età di queste andesiti, cosa che sarebbe veramente essenziale dal punto di vista geotettonico.

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T,l.VOLA IlOTOND,I.

Un commento di carattere generale che mi sembra vada fatto è il seguente. Credo che tutti noi petrografi del vulcanico abbiamo attraversato, q ualche anno fa, un momento di entusiasmo e anche di illusione; infatti c'eravamo convinti che alcuni parametri geochimici fossero sufficientemente significativi da poter ottenere una correlazione diretta fra la natura e il significato tettonico del magma. Pur­troppo i dati accumulati in questi ultimi anni dicono che se effettivamente esistono, non c'è il minimo dubbio, grosse associazion i magmatiche legate a specifici am­bienti tettonici, utilizzare unicamente dei parametri chimici, sia di elementi mag­giori che minori, o di qualunque altro parametro, anche isotopico, per discriminare a priori gli ambienti tettonici è impresa tutt'altro che facile. Questo lo osserviamo, ad esempio, in ambienti di rift dove troviamo rocce basaltiche con caratteristiche oceaniche o semioceaniche in aree di crosta continentale sicura; vediamo quindi che la situazione reale è abbastanza complessa. A questo proposito direi che anche il lavoro che presentammo noi pisani al Congresso di Parma della S.G.I. di qualche anno fa andrebbe oggi riscritto in alcune parti. Questa è una cautela che dobbiamo tener presente; cioè i dati chimici debbono essere interpretati nel contesto generale dei dati geologici e strutturali della zona.

Abbiamo poi avuto due lavori isotopici di Vollmer e Turi concentrati entr:lmbi, come dati originali, sulle rocce del Roccamonfina e poi utilizzati per l'elaborazione di modelli pi ù generali. Ricordo i punti principali di divergenza nei due modelli, che fra l'altro hanno la particolarità di riferirsi allo stesso vulcano e quindi meritano a maggior ragione una comparazione e una discussione.

Gli elementi fondamentali del modello genetico di Vollmer sono i seguenti. Egli suggerisce l'esistenza di almeno due sorgenti nel mantello per spiegare l'ori­gine dei magmi, anche se è imbarazzato a di re quali caratteristiche ha il mantello che ha prodotto i magmi alti in K rispetto a quello che ha prodotto i magmi patas­sici normali. lpotizza, per cercare di spiegare questi valori isotopici particolari, un mantello che è stato modificato chimicamente da processi anche metasomatici, dal quale verrebbero estratti fusi alti in K con composizione isotopica più elevata; una sorgente di mantello non specificata av rebbe invece prodotto i magmi con i tenori in K minori. Rispetto anche a modelli presentati in precedenza dallo stesso Vollmer, viene adesso data maggiore importanza alla sorgente primaria dei magmi alcalino­-potassici; inoltre il ruolo dei processi di mixing è limitato soltanto ad alcune rocce particolari. A tal proposito egli cita rocce di transizione, anche geografica, fra Toscana e Lazio, q uali le rocce dell'Amiata. Quindi questi sono i termini fondamentali della sua ipotesi: origine subcrustale, limitati processi di mixing, varie sorgenti a livello di mantello.

Turi contesta tale modello, egli dice che alla luce dci rapporti isotopici di O non si può spiegare l'origine di questi magmi senza fare intervenire un processo di assimilazione o di contaminazione crustale; anche ammettendo un mantello :1Il0-

malo questo non può spiegare da solo la variegata composizione isotopica dell'ossi­geno nelle rocce del Roccamonfina. Ne è già nata una piccola discussione nella quale

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Vollmer voleva far osservare che, forse, i campioni che sono stati analizzati, anche se provengono tutti dal Roccamonfina, non sono gli stessi e che egli aveva focaliz­zato l'attenzione sui magmi basici, cioè. sul suo gruppo 1 che, nel diagramma che ha proiettato, rappresenta tutta la famiglia dei magmi più basici delle varie serie.

Elementi fondamentali alla discussione genetica li porta anche il discorso geo­logico di Scandone. Dobbiamo ricordare che, in pratica, il petrografo e il geo­chimico ragionano necessariamente per schemi prefissati. Quindi quando si parla di modello genetico, si ha per esempio in mente un certo tipo di mantello che magari poi si cerca di modificare in funzione di quelle che eventualmente sono le esigenze imposte dai dari che abbiamo raccolto sul problema. Ugualmente siamo portati a fare delle grosse distinzioni, in senso verticale, tra un ceno tipo di crosta, un certo mantello e naturalmeme poi entriamo in grosse difficoltà quando dobbiamo parlare di crosta profonda perchè purtroppo questa è la parte meno nota dal pumo di vista geochimico. Il modello di Scandone ha due elementi che sono im?Jrtanti per la nostra discussione. Uno riguarda il significato geotettonico; indipendente­mente dal grosso problema, sul quale egli insiste da alcu ni an ni, cioè la necessità di avere litosfera continentale che scompare nel mamello per spiegare proprio le grosse mancanze di volumi di litosfera continentale nelle zone appenniniche italiane, Scandone fa coincidere temporalmente il processo vulcanico sul quale stiamo discu­tendo con grossi fenomeni distensivi. Infatti egli ci presenta un modello di progressivo assottigliamento crustale andando da nord verso sud; precisamente assot­tigliamento crustale e distensione nel magmatismo toscano, progressiva accelerazione del processo di distensione fino ad una lacerazione totale della crosta nella parte meridionale. Questa è l'impl icazione geotettonica.

L'implicazione magmatologica risiede nei processi precedenti a questo feno­meno recente distensivo, quando, come è indicato dalle ricostruzioni palinspastiche dell'Appennino, litosfera continentale comprendente grossi volumi di crosta, in particolare di crosta bassa, sarebbe sprofondata all'interno dell'astenosfera. In altre parole Scandone dice: c Attenzione colleghi petrologi e geochimici, il mantello che voi immaginate, ?Jtrebbe non essere così omogeneo e così semplice: il substrato delle zone interessate dal vulcanismo distensivo potassico potrebbe essere un mi­scuglio abbastanza complicato di rocce della crosta continentale sprofondate all'in­terno del mantello astenosferico :. . Di conseguenza alcuni dei processi di conta­minazione che i geochimici devono invocare nel corso della risalita dei magmi p0-

trebbero, in realtà, riAettere fenomeni di disomogeneità chimica originari, profondi, a livello di mantello.

Praticamente anche i dati geofisici di Ra?Jlla e di Luongo confermano che il quadro di riferimento principale è di carattere distensivo nel momento in cui si forma il vulcanismo. Luongo ci ha posto un certo numero di problemi interessanti, che però non possiamo discutere ora perchè sono anche un po' marginali rispetto al problema che stiamo dibattendo; fra questi ricordo i tempi che occorrono affinchè

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nei nostri modelli genetici in cui facciamo generare un magma andesitico a 250 km di profondità questo arrivi alla superficie e il bilancio generale di energia nei pro­cessi geodinamici.

Siamo arrivati, infine, a Di Sabati no il quale ci ha presentato un'ipotesi di evoluzione dei magmi potassici. C'è qualche cosa che mi lascia perplesso in quanto egli ha esposto. Riguardo l'identificazione del probabile magma capostipite primario il suo filo di ragionamento è ovvio; cioè cerchiamo il magma a temperatura più alta, poi ipotizziamo che tutti gli altri processi siano comunque a caduta di tempe­ratura; si identificano quindi le leucititi come magma primario. Fin qui tutto va benissimo; a questo punto mi sembra però che ci sia un salto di logica. Cioè accet­tiamo senz'ahro che, una volta di mostrato per evidenze petrografiche che si t ratta di fusi e non di rOCce cumulitiche o di altra natura, le leucititi, chc hanno tempe­rature molto alte, possano rappresentare un fuso primario; quello che non capisco è perchè necessaria mente tutti gli altri magmi potassici debba no derivare da questo fuso. Chiedo cioè a Di Sabatino qual'è il ragionamento, che qui non ci ha presen­tato, che lo porta ad escludere l'esistenza di più fusi primari, ognuno dei quali abbia una sua linea evolutiva.

Un'altra domanda di fondo, che comunque mi sembra più appropriata che gli venga rivolta da $candone, è che nel suo modello è fo ndamentale poter estrapolare fino a profondità rilevante, dell'ordine dell'intera crosta, successioni di tipo Verru­cano, di quelle cioè che si osservano oggi in superficie. Su questo fatto sono rimasto molto perplesso, per cui vorrei che egli insistesse un po' di più sulle evidenze che lo portano a questa conclusione.

La discussione naturalmente a questo punto riprende.

DI SABAnNo - Circa la possibilità di esistenza di più fusi primari alcalino­·potassici, ognuno dei quali abbia una sua li nea evolutiva, possiamo precisare q uanto segue: non solo le composizioni Ieucititiche, ma anche q uelle tehitiche e trachi­tiche-Iatitiche del vulcanismo alcalino-potassico potrebbero rappresentare altrettanti fusi primari potenziali; anzi una situazione del genere ci farebbe sincera mente co­modo perchè, se così fosse, verrebbe a sottolineare, in modo indiscutibile, una cosÌ Stretta contin uità chimica tra i fusi c anatettici ~ toscani (rioliti-trachitiflatiti) e fusi c primari ~ alcalino-potassici (trachiti/latiti-tefriti-Ieucititi~ che sarebbe ineccepibile sotto i diversi aspetti: quello vulcanologico, chimico-petrografico, geografico, ter­mico e temporale, nonchè petrologico-sperimentale (per il momeOlO, invece, solo per quei prodotti del vulcanismo quaternario che sono evoluti in condizioni ipoabis­salitiche si possono cogliere tUlte le transizioni chimiche).

Da un punto di vista sperimentale infatti non esistono grosse obiezioni a tale ipotesi; una continuità chimica dei fusi profondi sarebbe plausibile purchè si tenga conto di una progressiva diminuzione della silice e di una vistosa regressione della partecipazione delle molecole anortitiche ai processi di rifusione al passaggio da

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fusi tefrilici a quelli leucititici, plausibile in processi di difIerenziazione anatettica per l'instabilità chimica e barica del plagioclasio. Per quanto riguarda l'aumento delle temperature nelle successioni rioliti, trachiti/latiti, tefrili, leucit;ti, così come si os­serva sul terreno, sono in corso studi sperimentali di dettaglio; quelli ora accessi­bili mettono sull'avviso che, ad elevate pressioni e con il contenuto in H~O delle fasi ossidrilate presenti, tale continuità è interrotta da una barriera più chimica che tcrmica. Ad esempio: Aogopiti + k feldspato = enstatite + leucite a temperature di ("\.) 950°_1000" C in corrispondenza delle composizioni trachiticoflatitiche e l'esistenza di un minimo di rifusione costituito dall'eutettico (o colettico) tra leucite prevalente, poco pirosseno e scarsa kalsilite, in corrispondenza delJe composizioni leucititiche; quest'ultima situazione ci appa re troppo pi ù aderente ai diversi momenti del vul­canismo tosco-laziale pliocenico-quaternario.

Perciò, se l'abbiamo fatto, è solo perchè siamo stati costretti a limitare solo alle composizioni leucititiche il riconoscimento di quelle caratteristiche consone a magmi capostipiti. Infatti è difficile poter ipotizzare (tra l'altro) che, in profondità, si possa passare da temperature di 800°--850" C, delle imponenti ignimbriti trachiticoflatitiche, a quelle di 1050°_1100" C delle leucititi in intervalli di tempo anche minori ai 50.()()().. 100.000 anni (tufo rosso litoide-Ieucitite del Fosso della Mola). In tali ignimbriti sono già presenti inclusi di natura tefritica, talora leucititica, latitica e trachilatitica; lave ed ignimbriti trachitiche sono presenti anche nelle ultime manifestazioni vulcaniche successivamente all'emissione di estesi espandimenti leucititici. La segregazione, neUe tefriti, di fenocristalli di leucite, con pirosseno, biotite e plagioclasio, nonostante l'incremento dei contenuti in H 20, Na20, Si02 ed Ah03, coincidenti quindi con un vistoso restringimento del camfX> di stabilità della leucite, è plausibile a basse pressioni e non autorizZo 'l estrafX>lazioni a maggiori profond ità . Anche le rare suc­cessioni olivina - biotite indicano evoluzioni a basse pressioni.

Per le imponenti manifestazioni ignimbritiche trachiticoflatitiche sono già acces­sibili risultati sperimentali che documentano come l'associazione leucitefsanidinof fuso si può conseguire a pressioni dell'ordine di l kbH.o.

Noi non abbiamo avuto alcuna preclusione vcrso la possibilità di esistenza di più fusi capostipiti alcalino-potassici, nè l'abbiamo esclusa c. a priori ,.. Ma allo stadio auuale non abbiamo alcun dato che possa documentare per le tefriti, nè tantomeno per le trachitiflatiti un:t diretta provenienza profonda, nonostante la frequenza e la rappresentatività di tali vulcaniti agli affioramenti.

Per quanto concerne il secondo aspetto, concordo con Scandone; sulla base delle ricostruzioni palinspastiche si coglie una deficienza attuale di materiale crustale, soprattutto di basamento metamorfico; questo però se si accettano i dati geofisici lUltOra accessibili per l'Italia centrale, dati che sono da rivedere anche sotto l'aspetto dinamico, non statico, tenendo cioè conto, ad esempio, delle variazioni di densità in profondità conseguenti all'allontanamento della frazione più leggera in seguito alla risalita ·dei fusi protrattasi dal Pliocene ad oggi.

Lo studio sul mctamorfismo dell'area tosco-laziale ha messo in luce come du-

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rante l'orogenesi, a causa di sovrapposizioni multiple a diversa scala ed addensa­menti, il basamento paleozoico-triassico toscano, quello oggi affiorante, ha soppor­tato valori massimi di pressioni anche dell'ordine di 6-8 kb, confrontabili, anche se non direttamente estrapolabili, con quelli che si possono assegnare ai pirosseni f: rc­stitici > delle leucititi.

Nella distribuzione dei litotipi nell'orogene appenninico. come ha messo in evi­denza Scandone, abbiamo enormi spessori di sedimenti recenti sul versante adria­tico, serie carbonatiche mesozoiche, con complesse sovrapposizioni tettoniche sull'asse appenninico; in corrispondenza dell'area tosco-laziale affiora estesamente il basamento con sovrapposizioni dirette (Alpi Apuane) ed inverse (Momagnola Senese-Argen­tario), delle si ngole unità metamorfiche. Nell'area tirrenica ci deve essere quel cristal. lina-basamento metamorfico, considerato da Scandone per la Calabria, documentato dai testimoni clastici rappres<:ntati da ciottoli t: granitici > nella Valle Latina come nelle facies conglomeratiche del Macigno, dagli olistoliti t: granitici > presenti nelle Liguridi, e che, ancora più minuto, ha partecipato abbondantemente all'alimenta· zione dei vari Rysch appenninici.

È da mettere in evidenza anche come in Toscana, man mano che si scende nella serie, dalle varie unità liguridi e sicilidi alla falda toscana, all'unità delle Panie ed infine all't: Autoctono > apuano (che con probabilità t: autoctono > non è) si può constatare che i movimenti t raslativi decrescono; se si tentano cioè ricostruzioni palinspastiche si constata che la diminuzione di movimenti man mano che si passa al substrato metamorfico rende implicito un sensibile t: serrage > di quest'ultimo.

Ci è stato possibile inoltre delineare un modello dell 'andamento del gradiente geotermico medio durante processi orogenetici di tipo alpino; nelle fasi sincine­matiche assume valori bassissimi dell'ordine di 8_12° Cjkm (che già di per sè im­plicano t: veloci > trasporti in profondità del basamento metamorfico toscano stu­diato). Con questi gradienti, durante lo stadio sincinematico, il materiale crustale può essere dislocato a potenziali profondità anche di 50-60 km perchè a tempera­ture di 6QO<'-650" C si è al limite dell'i nizio dei processi di rifusione anatettica che trovano i materiali ideali nelle metamorfiti muscovitico-biotitiche per il relativo con­tenuto in H 20. Però per gli stessi motivi tali profondità segnano un limite alla potenzialità di un loro ulteriore coinvolgimento in trasporti di subduzione.

Nella fase tardo- e post-cinematica, il gradiente geotermico, troppo depresso, tende a riequilibrarsi.

Quando la temperatura perviene a valori di 700"-750" C il fuso, a composizione granitico-monzonitica nel presente caso, si ingigantisce ed assume caratteristiche termodinamiche che ne consentono la risalita. Nella dorsale dell'Isola d'Elba si osserva uno spessore di materiali crustali rifusi di 10·20 km che attualmente è messo in posizio&e verticale, ma che inizialmente doveva trovarsi orizzontalmente in profondità. Come per l'Isola d'Elba, si possono rinvenire altre documentazioni analoghe nella Toscana; nel Lazio, un'ultima è quella prospettata da Locardi per l'area di Bracciano. Cioè la tettonica disgiuntiva ha creato delle aperture attraverso

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le quali i fusi sono risaliti con enormi q uantitativi che vanno sottratti alle artt profonde da cui sono stati rimossi.

ScANDONE - Credo che Barberi si riferisse al perchè tu pensi al Verrucano e ad un basamento metamorflco di tipo toscano come sorgente. Inoltre su che cosa basi quei gradienti di metamorflsmo?

DI SABATINO - Occorre proprio distinguere due situazioni: quella ipoabissa­litica e q uella profonda.

Abbiamo deflnito: substrato .. Verrucano. s.I. triassico-paleozoico (definito così per semplicità in quanto il termine Verrucano deflnisce in realtà solo gli orizzonti metaclastici triassici di tale substr:lto), q uelle assisi metamorfiche tosco-Iaziali affio­ranti a Zannone, ai Monti Romani, in Toscana e rinvenute in sondaggio a Perugia, e che nelle aree vulcaniche alcalino-potassiche sono state coi nvolte in processi vul­ca nici a deboli profondità (da < l kb a circa 2 kb), e posto di rettamente sotto le serie c:lrbonatiche mesozoiche.

Per le situazioni profonde, quelle alle quali appare legata la genesi dei fusi capostipiti del vulcanismo tosco-Jaziale, non è accessibi le alcuna diretta documen­tazione che ci autorizzi ad affermare che è il .. Verruca no. toscano. Abbiamo uti­lizzato la denominazione di .. basamento di tipo toscano., che non può ovviamente essere quello affiorante in Toscana, nè quello posto a deboli profondità nell'area laziale sulla scorta di considerazioni deduttive:

l. La composizione chi mica dei fusi leucititici consente di dedurre che la loro genesi è coerente con rocce madri costituite, in modo dominante, da associazioni di k-tcltosilicati, k-miche, pirosseni, Ca-silicati di estrazione crustale.

2. Gli st udi petrograflci mettono in luce una continuità chimico-mineralogica tm fusi toscani e quelli alcalino-potassici; gli studi vulcanologici indicano che le vulcaniti alcalino-potassiche hanno riutilizzato le stesse artt dei fusi acidi pliocenici, quelli geochimici confermano tutti una continuità tra gli stessi.

3. Se si accetta la genesi anatettica dei fusi saturi e sovrassaturi del vulcanismo tosco-Iaziale, si pone automaticamente anche per loro il problema dell'esistenza in profondità di un originario basamento quarzoso-micaceo ± carbonatico.

Le successioni rioliti, trachitij l:uiti, leucititi implicano una sensibile caratteriz­zazione potassica che doveva già essere insita negli origi na ri litotipi quarzoso-micacei­-carbonatici dai quali si sono origi nati.

Tali presupposti coincidono bene con le successioni del basamento toscano, neU'attuale assetto tettonico, soprattutto con queUo affiorante verso le artt occiden­tali e meridionali e su tali corrispondenze è stata utilizzata la definizione di basa~ mento .. tipo, toscano, che non vuoi essere nè un'affermazione nè una preclusione; a tal flne sarebbe interessante veriflcare se i dati di Cox et al. (1976), possano essere interpretati quali geoisocron:l secondaria e comunque sarebbero auspicabili ricerche indiriz7..3te in tale direzione.

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Effettivamente la ricerca ddle originarie rocce madri dei fusi alcalino-potassici è l'aspetto più delicato, meno documentabile e quindi più discutibile; è quello che rich1cde i maggiori sforzi nelle future ricerche di petrologia sperimentale intese a verificare la presente ipotesi di lavoro c in quelle di geofisica, geodinamica e geo­chimiche che intendano tener conto della stessa.

Per quanto riguarda i gradienti nel metamorfismo dell'area tosco-Iaziale, si osserva che in T oscana, nelle Alpi Apuane, le temperature hanno raggiunto dei massimi termici attorno ai 450" C, mentre a Zan none il Verrucano è stato interes­sato solo da processi diagenetici.

SCJr..NOONE - lo però credo che si debbano comparare elementi comparabili . Zannone certamente non ~ l'unità tettonica delle Apuane, delle scaglie di Stazzema, ecc., così come le unità metamorfiche calabre non sono l'unità di Zannone. Se in Calabria analizw una pila di fa lde la più completa possibile, dalle unità appenni­niche fino alle più alte unità alpine, i vari gradi metamorfici dei quali tu parli individuando un g radiente N-S dalla Tosca na alla Calabria, sono tutti in verticale, rappresentati nelle varie falde di ricopri mento. Fabbrica e grado metamorfico sono differenti da unità a unità, con brusco salto in corrispondenza delle superfici di sovrapposizione, il che implica che ciascuna unità ha subito il proprio metamorfismo e connesse deformazioni prima dell'impilamento nella catena.

Anche l'età del metamorfismo è variabile, essendo questo cretacico-paleogenico nelle unità alpine calabresi, miocenico o al più oligocenico superiore-miocenico nelle unità losc:me metamorfiche e nel loro equi valente nella Catena Costiera calabra. Non credo si possano estrapolare le condizioni termodi namiche del metamorli.smo miocenico alla situazione attuale, dal momento che mentre le unità che hanno subito quel metamorfismo sono state riportate in superficie per sollevamento ed erosione dei termini sovrastanti, altre unità sono state coinvolte nella deformazione, e nuova crosta ha partecipato alla formazione delle radici. In una situazione tipo quella toscana, nella quale il sistema è rimasto relativamente serrato rispetto a quello più meridionale, con rift meno pronunziato e mi nore assottigliamento crostale e litosferico, si è, credo, nelle condizioni ideali per lo sviluppo di processi di tipo anatettico comeguenli la fusione parziale del mélange crostale delle radici della catena.

D I SABATINO - Credo che diciamo pressapoco la stessa cosa : tu da un punto di vista geologico, io da quello petrografico. La distinzione tra le varie fa lde c'è effettiva mente con sovrapposizioni dirette ed inverse, la differenza dei momenti metamorfici anche nelle Alpi Apuane è reale; ad esempio l'c Autoctono > è stato metamorfosato in precedenza rispetto alla sovrapposizione dell'Unità delle Panie. La collocazione della Falda Toscana, nella successione attuale è avvenuta ancora più tardi, quindi gli studi metamorfici non sono sempre direttamente confrontabili; così come tu dici le correlazioni vanno quindi fatte tra unità metamorfiche corre­labili. Tuttavia, a proposito di quello che abbiamo detto prima, possiamo osservare

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che anche l'Unità di Massa, quella delle Panie e le metamorflti tria~siche della Li­guria hanno raggiunto temperature da 350 a 4500 C; nella Toscana meridionale affiorano estesamente metamorfiti di bassissimo stadio, mentre nel Lazio tUlli i litotipi affioranti non denun,iano alcun grado metamorfico.

Vogliamo sottolineare che però anche per te l'evoluzione geodinamica dell'area tosco-laziale, con il ripetuto accumulo di falde, è tale da comportare una disloca­zione in profondità di crosta, presupposto ideale per lo sviluppo di processi anatet­tici; è anche un obiettivo della presente ipotesi di lavoro che spinge tali processi sino alla generazione dei fusi alcalino-potassici.

INNOCENTI - Mi dispiace un po' che la discussione prenda una piega prevalen­temente geologica e non geochimica. Forse perchè i dati geochimici sono dei nu­meri sui quali bisogna ragionare in termini semiquantitativi e quindi è molto più difficile fare quadrare i conti che non con ragionamenti di tipo geologico. Volevo fare un'osservazione a Di Sabatino cioè il fatto di estrapolare la crosta superiore, tipo basamento toscano, fino a zone profonde, ti pone dci grossissimi limiti geo­chimici perchè noi sappiamo che la crosta superiore ha rapporti isotopici di Sr estremamente elevati. A tal proposito, mi pare che Ferrara qualche anno fa abbia determinato la composizione isotopica del basamento toscano in corrispondenza del M. Pisano trovando dei valori estremamente alti. Se tu assumi anche una fusione in disequilibrio, come mi sembra che adombri in certe tue osservazioni, la cosa risulta ancora pi ù difficile da spiegare. Infatti una fusione in disequilibrio ti porta prevalentemente la biotite, o la mica in genere, in fusione e quinti ti conduce a dei rapporti isotopici ancora spostati verso termini più alti di quelli che normal­mente troviamo nella crosta superiore che già sono più alti di quelli che troviamo nelle vulcaniti potassiche. Inoltre bisogna osservare che una fusione in disequilibrio è estremamente difficile da spiegare sulla base dei coefficienti del movimento ionico determinato in fase solida a profondità relativamente alte; infatti si hanno degli spostamenti molto brevi che non permettono di prevedere condizioni di disequi­librio quando è presente un fuso.

Altra considerazione è, per esempio, la distribuzione delle Terre Rare; una fu­sione parziale di materiale crustale porta sempre, come giustamente hai detto, a materiali sovrassaturi con un residuo che di solito è costituito da K-feldspato e plagioclasio. In questo caso dovremmo avere delle anomalie di Eu che non sono del tipo di quelle che ha fatto vedere Vollmer stamattina nelle rocce del Rocca­monfina, cioè estremamente lievi e rilevabili con misure raffinate, ma dovrebbero essere senz'altro anomalie enormi, dci tipo di quelle che noi troviamo ndle rocce trachitiche per esempio, messe in evidenza da Gasparini e Capaldi per le vulcaniti della Campania.

Penso che il discorso fondamentale è il fatto che le vulcaniti quaternarie ita­liane non sono soltanto potassiche ma si hanno anche delle rocce importantissime basse in K, di cui un termine sono appunto le trachiti, inoltre ci sono altri termini

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molto pi ù basici. Vollmer ha pu ntualizzato questo fatto che mi sembra non sia stato raccolto adeguatamente. Il problema è cioè tentare di capi re o proporre deBe ipotesi che in qualche modo spieghino queste associazioni fra termini alti in K e termini relativamente bassi in K che indicano sorgenti diverse. 1.0 studio che ab­biamo fatto sui M. Ernici rivela delle concl usioni che sono abbastanza simili a quelle trattate da Vollmer. Ora una cosa che vorrei cercare di capire è il modello proposto da T uri che è certamente interessa nte ma che presenta alcuni aspetti poco chiari. Cioè questa relazione fra rocce basiche, basse in K, e rocce basiche alte in K in che termini viene interpretata da un punto di vista di interazione della crosta? Fermo restando che questa interazione può essere un fatto realizzabile, però a piccole entità, quale può essere la causa che determina questa va riazione, e in che termini questa variazione può essere vista?

TURI - Vorrei semplicemente dire che, in realtà, tutta questa differenza di fondo fra quanto dice Vollmer e quanto ho detto io non c'è. Anche per me esi­stono a Roccamonfina due famiglie di magmi ben distime con origini probabil­mente diverse. Quello che io ho voluto fa r rilevare dal corso della mia esposizione è che a un certo puma dell'evoluzione di questi magmi è intervenuto un processo combinato di differenziazione e di contaminazione crostale. Non mi sento di speci­fica re quale è l'origine ultima dei magmi per il semplice fatto che io ritengo che sia un problema estremamente diffici le da risolvere. Si tratta infatti di caratterizza re dei magmi capostipiti mediante indagini su dei prodotti che più o meno, attraverso la storia successiva, cioè dopo la loro for mazione e fino alla loro eruzione, hanno subito degli effetti di disturbo, quali la contaminazione crostale in entità minore o maggiore. Comunque l'ipotesi che propongono Vollmer ed altri ricercatori, cioè l'esistenza di un mantello anomalo, in linea generale secondo me può ('~sere accet­tata; non mi sembra però che sia l'unico modello proponibile.

BECCALUVA - Vorrei fare due commenti e porre due domande: una a Scan­done e l'altra a Luongo. Il com mento è che il modello di Scandone è certamente molto interessante; il mettere in riciclaggio crosta continemale, seppurc bassa, in materiale del mantello concilia un po' l'ipotesi di contami nazione crostale di T uri con l'ipotesi di Vollmer di sorgenti differenti in un mantello diversificato, arric­chito più o meno, in ioni a largo raggio, in rapporti isotopici dello Sr, dell'O ecc .. È da ricordare che i dati della sismica ci indicano che questi raddoppi crosta­mantello non sono rari; molto recentemente sono stati trovati ad esempio in corri­spondenza della Corsica oltre che nelle Alpi. A tal proposito il tipo di modello di Scandone potrebbe spiegare anche il magmatismo paleogenico andesitico alpino in quanto abbiamo una gamma di fi loni a carattere da calc-alcalino normale a shoshonitico e addirittura lamprofirico con arricchimento fortissimo, nei termini lam­profirici, di elementi incompatibili. Forse questo modello può essere estrapolato, come meccanismo valido, a livello di tutto il Mediterraneo.

L'altro commento riguarda l'eventuale legame tra le andesiti del substrato della

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Campania e quelle della Sardegna; vorrei far notare che il vulcanisme. andesitico della Sardegna si manifesta esclusivamente nel graben occidentale dell'isola mentre la parte orientale, che possiamo considerare un horst, non presenta vulcanismo calc-alcali no. Quindi, a parte l' incongruenza di età che, come riferiva Di Girolamo, sembra decisamente più giovane per le andesiti campane, mi sembra difficile un collegamento fra le due zone. Piuttosto il vulca nismo cale.alcalino sardo potrebbe essere collegato, almeno dal punto di vista strutturale, agli edifici vulcanici sommersi a sud-ovest e a nord della Corsica a cui accennava Manelti. Naturalmente in questo caso abbiamo il problema della datazione 6 m.a. che non so se sia eSlrapolabile a tutto questo tipo di vulcanismo sommerso il quale, comunque, si collega abba­stanza bene col vulcanismo calc-alcalino sardo. Le domande erano queste: una a Paolo Scandone : vorrei essere illustrato meglio il significato del fronte di com­pressione presente in Sardegn:l.

SCANDONE - ~ in connessione con un vecchio arco calc-alcalino cioè quello che aB-H m.a. tende a eSlinguersi; è un vecchio fronte di compressione. Penso che il margine sardo-corso sia un margine compressivo fino a un certo momento, cioè con accavallamento delle falde alpine a vergenza europea; fino a questo determinato momento c'è la generazione dell 'arco calc-alcalino in Sardegna e accumulo di ma­teriale in radici che prepara il magmalismo anatettico tosca no. Poi, in conseguenza dell'apertura del Tirreno e della torsione della zona italiana in senso antiorario, questo margine diventa passivo, q uindi il vulcanismo calc·alcalino sardo diventa un arco fossile e in corrispondenza del rift pian piano si instau ra [a zona di espan· sione in senso stretto oceanic:l, mentre il m:l rgine compressivo si sposta :lll'altro lato della catena .

BECCALUVA - t un fronte compressIvo dedotto dalla presenza dell'arco mag­matico?

SCANDONE - Non soltanto, direi dalla presenza dell'arco magmatico e dal fatto che in questo momento si stanno costruendo le falde eo-alpine, a vergenza europea, che nel Miocene si saldano sulla Corsica cioè non si muovono pi ù e il fronte diventa inaltivo. Quindi non è soltanto l'evidenza magmatica del fronte vulcanico ma anche tutta quella che è la cinematica delle fa lde alpi ne che in questo momento si sta noo formando.

B ECCALUVA - Vorrei fare una domanda a Luongo. Riguardo al modello di Lauhcher accettato, mi pare, su basi anche geografiche da te, si potrebbe di re che nell'area mediterranea gli eventi di tipo magmatico calc-alcalino alpini, in senso lato, sono in buona parte caratterizzati da piani di subduzioni, se ne ammettiamo l'esi­stenza, concavi verso l'alto. Visto che accetti il modello strutturale di Laubcher che fa interven ire, in zone di possibile subdu zione o di presente subduzione, degli accartocciamenti dovuti a movi menti trasformi, si può dire, almeno lanciare come ipoteSI, che buona parte dei piani di subd uzione attivi, cioè attivi nel T erziario,

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dal Paleogene al recente, siano stati caratterizzati da superfici di subduzione concave verso l'alto?

LUONGO - Ho presentato due modelli: uno a cucchiaio, l'altro è convesso. lo non faccio una scelta tfa i due; generalmente osserviamo degli andamenti sia a cucchiaio sia convesso.

Comunque volevo ritornare sul problema del raddoppiamento crostale. lo non sono molto convinto che sempre i dati di sismica attiva siano da interpretare come raddoppiamenti crostali quando si osservano ripetizioni nei valori delle velocità delle onde P. Non sono d'accordo, per esempio, sull'interpretazione del raddoppia­mento crostale in Toscana. Infatti l'unica cosa che noi misuriamo è una velocità di onde P; generalmente questo è il dato che maggiormente si utilizza in sismica crosta­le. Ora se vi sono delle situazioni termiche anomale, chiaramente si possono avere degli strati con un'inversione del gradiente di velocità per poi riprendere di nuovo valori della velocità più elevata. A questo punto si potrebbe raggiungere, procedendo in profondità, una velocità di circa 8 km/sec. dove si incontra la .. vera :t Moho, poi per la presenza di anomalie termiche la velocità delle onde sismiche prima dimi­nuisce, per poi ritornare a valori intorno a 8-8,2 km/sec .. Questi valori, da un punto di vista sismologico, significano ancora passaggio tra crosta e mantello. In Toscana mi sembra che ci siano dei grossi dubbi sulla validità dell'interpretazione dei dati sismici in chiave di raddoppiamento crostale. Secondo me sarebbe anche il caso di pensare al contributo delle anomalie termiche. Certamente pure q uello che dice Scandone può essere valido sulla costa tirrenica perchè c'è una sovrapposizione di due fenomeni: distensione che partl! dal centro del Tirreno e compressione lungo l'asse appenninico; in quel caso Il veramente si immerge crosta sottile in una crosta di tipo continentale più classica. A questo punto qui effettivamente si ha un raddoppiamento crostale, però mentre in Calabria e anche in Sicilia è più accetta­bile un modello di raddoppiamento crostale, in Tosca na è il caso di pensare a qualche altro modello.

P ECCERILLO - Vorrei sapere da Di Sabati no se il suo modello è stato verificato dal punto di vista geochimico mediante test di tipo teorico. Inoltre volevo fa re una domanda a Vollmer:

We have studied the REE distributions in the Ernici volcanics and we fo und that many of your conclusions are in agreement with our point of view. There is only one point which I think is not exactly the same which regards the problem of the negative Eu anomaly which I think is quite an important point. T hc question is this: If we assume that these Eu anomalies, as you said, are generated in the mantle, the possibilities are two: Ali the mantle is depleted in Eu or, the second possibility, there is a phase which retains Eu preferentially in respect to the neighbours Sm and Gd. The only phase which is known to do this is plagioclase which we can exclude, as you said . So ] would think [hat it is not very probable that the

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reason for this Eu anomaly has to ~ sought in the mantle. I thi nk that there is tbe possibility that the Eu aoomaly is due to someÙling which happened after the partial fusioo of the mantle which generatcd the potassic liquido I mean some kiod of mixing with a material which has a negative Eu anomaly, which is not neces· sarily a sedi ment.

VOLLMER - I think that there is also a third possibility. I have the suspicioo :'lIld it is ooly a suspicion, up to now there is no proof, that this Eu anomaly may ~ caused by pcrovskite. If 80 % tO 90 ro of thc REE we see now in these rocks has originally ~en io perovskite which has a smal1 negative Eu anomaly il may ~ inherited.

PECCERILLO - I think that if Wc have equilibrium melting with the perovskite going into the liquid, which would ~ the case; the amount of Eu we find in the liquid is determined by the bulk distribution coefficient of the solid which remains as a residuum and the liquido lf pcrovskite goes imo the liquid it does not effect any more the Eu dislribution.

VOLLMER - lt is right that in Ihis case we would have te assume disequilibrium melting.

D I SABATINO - Se ci riferiamo, per esempio, ai dati dell'O isotopico riportati da Turi, questi sono perfettamente coerenti con la genesi di un fuso a HXX)·llOOO e contaminazione, in ambiente ipoabissalitico, con materiale del basamento meta· morfico sottocarbonatico. Rig uardo il fuso leucitico, l'osservazione che ha il carato tere di un magma primario in base al fatto che è di termalità molto alta è un tipo di ragionamento scontato però non credo che sia stata mai fatta una selezione fra Jeucititi, rapporti isotopici e problemi geochi mici connessi con le leucititi, come pure tra trachiti o latiti e problemi connessi con queste, Cioè non credo che sia stata fatta una selezione sul terreno di campioni sui quali siano stati affrontati paralle. lamente le varie problematiche geochimiche oltre che petrologiche; quindi il pro· blema è ancora aperto.

Abbiamo visto quella successione tefr iti-trachiti che è 1:1 più semplice, la più comune, la più lineare di tutte; se poi si pensa alle basaniti e ai trachiba'<::llti, questo t: soltanto un processo genetico che prevede l'instabilità della biotite rispetto all'oli· vina che si trova appunto in basaniti e in trachibasalti. Il caraltere del trachibasalto è alq uanto potassico oppure va a fini re verso un rapporto Na/K di l/l. Qualsiasi evoluzione del trachibasalto va verso le rocce sature per fraz.ionamento e se si ha una contaminazione l'abbassamento di temperatura necessario per avere tale con· ta minazione non fa certo risalire il fuso verso le leucititi. Quello del trachibasaho lo considero un problema aperto perchè sta in una posizione ibrida dato che può derivare sia da un fuso sadico per leggera contami nazione o qualsiasi altro problema di spostamento chimico, sia può benissimo venire dalla già accennata successione leuc1titi -basa niti -trachi basalti.

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SAVELLI - Un fatto che: ha sempre attirato la mia attenzione da quando mi occupavo, alcuni anni fa, di queste vulcaniti potassiche è l'enorme: massa di mate­riale piroclastico che è associato al vulcanismo. Abbiamo conside:rato fino ad ora le lave, p.=rò queste grandi q uantità di prodotti piroclastici, secondo 1m, effettiva­mente confermano l'indicazione geologica dell 'interazione tra masse crostali e masse del malllello con evidente liberazione di quanti tà enormi di mau=riali gassosi; t~ l e dato è da contrapporre ad altre zone, ad altre situazioni tetloniche in cui abbiamo veramente una scarsità di questi fenomeni piroclastici.

BARBERI - Con que:st'ultimo intervento chiudiamo q uest'i nteressante discus­sione sul magmatismo potassico tirre:nico ringraziando tutti i partecipanti.

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