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CAPITOLO V LA VALU T AZIONE DELLA PROV A: IL RAGIONAMEN TO D EL GIUDICE N. 108/i mpag. 347- 460 13-10-1999 8:34 Pagina 421

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CAPITOLO V

LA VALUTAZIONE DELLA PROVA:IL RAGIONAMENTO DEL GIUDICE

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LA VALUTAZIONE DELLA PROVA. PROVA LIBERAE PROVA LEGALE. PROVE E ARGOMENTI DI PROVA

Relatore: 

Prof. Michele TARUFFOOrdi nari o di dirit to processuale civil e 

nell’Un iversità di Pavia 

1. – I l pri ncipio del li bero convincim ento.

Ormai da tempo, com’è noto, il tema della valutazione delle proveè dominato da un principio di ordine generalissimo, noto come prin-cipio “del libero convincimento” o della “libera valutazione delleprove”. L’art. 115 cod. proc. civ. non fa che allinearsi alla tendenza chevede in questo principio il cardine del diritto delle prove negli ordina-menti moderni, e che si è da tempo affermata in tutti i sistemi proces-suali di civi l law .

Il riferimento specifico a questi ordinamenti si spiega non perchénegli ordinamenti: di comm on law le prove non vengano valutate libe-ramente dal tri er of fact (giudice togato o giuria), ma perché in quegliordinamenti, non essendo mai esistite le prove legali, non si è mai sen-tito il bisogno di affermare specificamente che le prove sono oggettodi valutazione discrezionale.

L’art. 115 si inserisce nella generale tendenza ad attuare il principiodel libero convincimento del giudice nel processo civile, ma lo fa conuna duplice cautela. Per un verso, non si parla letteralmente di “liberoconvincimento” o di qualcosa di simile alla in tim e conviction della tra-dizione francese, ma di “prudente apprezzamento”. Il richiamo alla pru-denza sembra diretto a mettere in guardia il giudice contro l’eccessivalibertà della valutazione: apprezzamento discrezionale sì, ma tempera-to dalla moderata virtù della prudenza. Che ciò possa suonare retoricoe privo di significato operativo, non esistendo criteri di prudenza iden-tificabili, è altro discorso: è comunque un legislatore incerto e prudentequello che si spinge a raccomandare la prudenza ai giudici.

Per altro verso, il principio della libera valutazione non viene enun-

ciato in termini generali ed assoluti. L’art. 115 fa salve infatti le ipotesiin cui “la legge disponga altrimenti”, così lasciando intatte tutte norme

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di prova legale ancora esistenti. Sul punto si tornera più oltre: quipreme ricordare, senza analizzarle in dettaglio, che queste norme nonsono né poche né irrilevanti, ed anzi testimoniano la sopravvivenza,

nelle codificazioni vigenti, di consistenti residui dell’antico sistemadelle prove legali. Se si tien conto di ciò appare fondato il rilievo che ilnostro ordinamento non merita di essere collocato nel novero di quel-li che attuano sistematicamente il principio del libero convincimento,al più derogando ad esso in poche e limitate fattispecie di prova docu-mentale. Piuttosto, il nostro ordinamento si colloca tuttora a mezzastrada tra il sistema delle prove legali e il sistema della libera valuta-zione. La transizione dal primo al secondo sistema, che la maggiorparte degli ordinamenti di civi l law ha compiuto da tempo, in Italia èancora in iti nere. Si può anzi dubitare che l’it er sia tuttora in corso,posto che la pretesa riforma del 1990 ha evitato con cura di occuparsidel problema, e nessuno è in grado di prevedere se e quando la mate-

ria delle prove sarà presa in organica considerazione dal legislatore.

1.1. –I l signi ficato negativo del pri ncipi o.

Generalmente il principio della libera valutazione viene inteso nelsuo significato più ovvio, che è un significato negativo. La libertà dellavalutazione delle prove viene contrapposta alla valutazione vincolata,ed anzi all’assenza di vera e propria valutazione, che è determinatadalle norme di prova legale. Di conseguenza si riscontra che libertà delconvincimento equivale a mancanza di norme che predeterminanol’efficacia della prova. Ciò è del tutto ovvio. Rimane solo da sottoli-neare che, anche in funzione del già ricordato art. 115, le ipotesi in cui

la valutazione è libera non dovrebbero rappresentare eccezioni in unsistema ispirato al principio della prova legale, bensì la regola genera-le in un sistema che pure ammette eccezioni rappresentate da provelegali. Di conseguenza le superstiti regole di prova legale dovrebberoessere interpretate in modo tassativo e restrittivo.

È chiaro tuttavia che chi si fermasse a questo primo significato dellibero convincimento si limiterebbe a scoprire una verità banale e nonmolto più che tautologica.

1.2. – I l signi fi cato positi vo del pri nci pio. La l i bertà della prova.

Se è facile capire che la versione negativa del principio della libe-ra valutazione delle prove è fondata ma poco interessante, assai menofacile è stabilire se tale principio abbia anche un significato positivo , equale possa essere questo significato.

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Al riguardo qualche utile suggerimento può venire dai sistemi cheda tempo e con maggiore consapevolezza si ispirano al principio dellibero convincimento. Si può allora parlare in generale di li bertà della 

prova per dire che l’ammissione delle prove nel processo dovrebbeessere libera ed aperta, ed ispirata soltanto a criteri di utilità dellaprova per l’accertamento dei fatti. Coerente con l’idea di libertà dellaprova è una concezione inclusiva del principio di rilevanza, secondola quale tutte le prove rilevanti sono per ciò stesso ammissibili, salvoche la loro esclusione sia prevista da norme particolari (questo princi-pio è affermato con chiarezza, ad es., dalla Rule 402 delle Federal Ru les of E vidence statunitensi). Ne deriva un atteggiamento peculiarenei confronti delle norme che regolano l’ammissibilità dei mezzi diprova. Queste norme non configurerebbero infatti la disciplina esclu-siva e completa dell’ammissibilità delle prove, ma soltanto ipotesi par-ticolari nelle quali il legislatore si occupa della materia, principalmen-

te allo scopo di introdurre limitazioni ed esclusioni. Inoltre, le valuta-zioni preliminari di ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova nonandrebbero effettuate stabilendo prima quali mezzi di prova sonolegalmente ammissibili epoi quali di essi sono anche rilevanti nel casoparticolare, ma – al contrario – stabilendo prima quali mezzi di provadisponibili sono rilevanti, e quindi meritevoli di essere ammessi, perpo i verificare se qualcuno di essi debba eventualmente essere esclusoin base a qualche norma di inammissibilità.

Le conseguenze di questo modo di porre il problema sono intuiti-ve. La rilevanza della prova diventa il criterio fondamentale per la suaammissione. Le regole di ammissibilità non vengono intese comeregole “di inclusione” ma come regole “di esclusione” dei mezzi diprova: esse non definiscono quali mezzi di prova possono essereammessi, ma solo quali mezzi di prova debbono essere esclusi. Quin-di sono ammissibili anche prove che non vengano espressamente pre-viste dalla legge, purché rilevanti per l’accertamento dei fatti e purchénon debbano essere escluse per qualche ragione attinente alla disci-plina giuridica dei mezzi di prova. Si tratta ovviamente delle “proveatipiche”, sulle quali si tornerà tuttavia più oltre.

1.3. – (Segue) La scelta degli element i di prova.

Guardando più specificamente al ruolo del giudice nell’applica-zione del principio del libero convincimento, qualche spunto deriva

dalla non diffusa giurisprudenza che se ne occupa. Un orientamentorisalente è costante è nel senso di riconoscere al giudice il potere di

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scegli ere li beramente, entro il materiale probatorio acquisito al giudi-zio, gli elementi di prova su cui fondare il proprio convincimento (trale decisioni più recenti v., ad es., Cass. 20 giugno 1994 n. 5925; Cass.

14 aprile 1994 n. 3498). In termini generali si tratta di un’applicazio-ne piuttosto ovvia del principio del libero convincimento: la valutazio-ne delle prove non sarebbe infatti libera se il giudice fosse vincolato afondare la decisione su determinati elementi di prova e non su altri.

La regola per cui il giudice è libero di scegliere le basi del proprioconvincimento suscita tuttavia alcuni problemi non privi di rilievo.

Anzitutto va sottolineato che essa incontra a sua volta il limitecostituito dalle norme di prova legale. Se infatti esiste, tra il materialeprobatorio acquisito alla causa, una prova legale (ad es., una confes-sione giudiziale), non si può affermare che il giudice è libero di nontenerne conto in base ad una sua decisione discrezionale. Con ogniprobabilità bisogna invece ritenere che, se un fatto è oggetto di una

prova legale, non solo il giudice non potrà valutare liberamente l’effi-cacia di quella prova, ma non potrà neppure evitare di tenerne contoin sede di decisione. Per così dire, le regole di prova legale vincolanoil giudice a tener conto della prova legale, e non solo a stabilirne l’effi-cacia secondo quando previsto dalla legge.

Bisogna poi considerare che la giurisprudenza non è sempre chia-rissima nell’individuare le modalità di esercizio del potere del giudicedi scegliere gli elementi su cui fondare il proprio convincimento. Essaè infatti costante nel consentire al giudice di servirsi di prove atipichedi qualunque tipo (ma su ciò v., meglio infra). Più incerta è invecequanto al comportamento che il giudice deve tenere rispetto ai mezzidi prova su cui non fonda il proprio convincimento. Talvolta si dice

infatti che il giudice “deve fondare il proprio convincimento sull’esa-me e la valutazione di tutte le risultanze istruttorie comunque acqui-site al giudizio, dando conto in motivazione di aver valutato tutti glielementi decisivi ed enunciando le ragioni della preferenza accordataall’uno piuttosto che all’altro” (v., ad es., Cass. 18 ottobre 1991 n.11041). Si tratta di un criterio di completezza della valutazione delleprove, e di necessaria giustificazione delle scelte conseguenti, che paresenz’altro apprezzabile. Talvolta questo orientamento viene però con-traddetto, ed anzi in questo senso sembra essere la giurisprudenzaprevalente, e si ammette che il giudice non sia affatto tenuto a discu-tere ogni singolo elemento di prova acquisito al giudizio (v., ad es.,Cass. 14 aprile 1994 n. 3498). In tal modo si ammette che il giudicefondi il proprio convincimento, o almeno lo motivi (il che è lo stesso,per ogni osservatore esterno) in modo – per così dire – unilaterale. Si

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ammette, in sostanza, che il giudice consideri soltanto quegli elemen-ti di prova che confermano il suo convincimento sui fatti, trascurandodel tutto ogni altro elemento di prova. Può accadere, come spesso

accade, che la diversità delle regole enunciate dalla Cassazione dipen-da da peculiarità del caso concreto non rilevabile dalle massime. Ri-mane tuttavia il fatto che la giurisprudenza della Corte appare oscil-lante sul punto se il giudice debba dar conto della sua valutazione ditutte le prove, pur essendo libero di stabilire su quali si fonda il suoconvincimento, ovvero se possa semplicemente trascurare quelle chenon ritiene utili o attendibili, senza dire nulla intorno alle ragioni dellasua valutazione. Un altro aspetto del principio del libero convinci-mento considerato dalla giurisprudenza riguarda il potere, che al giu-dice si riconosce, di non disporre o ammettere ulteriori mezzi di provaquando ritenga di aver conseguito sufficienti elementi di valutazione(v., ad es., Cass. 22 gennaio 1994 n. 631; Cass. 20 giugno 1994 n. 5925).

In sè considerato questo potere corrisponde ad ovvie esigenze di eco-nomia processuale, e d’altronde l’art. 209 cod. proc. civ. consente algiudice di escludere l’assunzione di prove già ammesse quando sianodivenute superflue in conseguenza di elementi di convincimento giàacquisiti. Tuttavia esistono modalità di esercizio di questo potere chepossono creare gravi problemi. Così ad es., non pare si possa consen-tire al giudice di escludere prove tipiche rilevanti dedotte dalle partisulla base di prove atipiche previamente acquisite, né di escluderetutte le prove dedotte da una parte per decidere solo sulle prove dedot-te dall’altra o disposte d’ufficio, né di escludere le prove contrarie alconvincimento maturato in it in ere (v., anche infra).

1.4. – La valu tazione delle prove.

Come si è già detto, quanto alla valutazione delle prove il signifi-cato generale del principio del libero convincimento è anzitutto nelsenso di escludere vincoli legali precostituiti all’apprezzamento delgiudice. Ciò non esclude tuttavia che ci si chieda come il giudice usa,o dovrebbe usare, il suo “prudente apprezzamento” in vista di unadecisione corretta e attendibile sui fatti della causa.

A questo proposito si pone tuttavia un problema di ordine gene-ralissimo, che in larga misura implica scelte metagiuridiche, di carat-tere filosofico ed epistemologico. Con una fortissima semplificazionesi possono delineare due opzioni fondamentali. La prima opzione è

condivisa da tutti coloro che per le ragioni più diverse non ritengonoche la valutazione delle prove compiuta dal giudice sia o possa essere

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in qualche modo razionale. Le ragioni di questo atteggiamento posso-no risiedere in varie opzioni filosofiche (irrazionalismo, nichilismo,decostruzionismo, idealismo, solo per citare le principali), metodolo-

giche (come l’analisi esclusivamente psicologica, linguistica o erme-neutica del ragionamento decisorio), o filosofico-giuridiche (come nelcaso del realismo scandinavo o americano). Lo stesso atteggiamentodipende però non di rado da ragioni più banali, come quelle di chisemplicemente non crede che un giudizio razionale sui fatti possa tro-vare spazio nelle aule di giustizia. In un modo o nell’altro, paionocoloro che negano la possibilità che la valutazione delle prove e l’ac-certamento dei fatti avvengono sulla base di criteri razionali. La con-seguenza è evidente: il “libero convincimento” del giudice diventasinonimo di valutazione soggettiva, svincolata da qualsivoglia criterioragionevole o regola logica, inconoscibile, incontrollabile, ridotta allatotale discrezione dell’individuo-giudice. Non ci si può allora stupire

se il principio del libero convincimento attira più diffidenza che con-senso.La seconda possibile opzione consiste nel ritenere che il principio

del libero convincimento svincoli il giudice dall’ossequio a regole diprova legale ma non lo esima dal rispetto dei criteri di razionalità,ragionevolezza, coerenza e correttezza logica. In altri termini, che lavalutazione delle prove sia “libera” non implica necessariamente cheessa sia soggettiva ed arbitraria.

L’esperienza quotidiana è piena di valutazioni non vincolate, chetuttavia sono o aspirano ad essere attendibili, fondate, valide, control-labili, ossia, in una parola, razionali. Per rendersene conto basta con-siderare che non esiste solo la razionalità deduttiva delle dimostrazio-

ni matematiche, ma anche la razionalità delle argomentazioni logiche,delle conoscenze empiriche, delle scelte discrezionali fondate su“buone ragioni”, e che questa razionalità fonda e giustifica innumere-voli scelte e decisioni anche importantissime.

In questa direzione è possibile pensare ad una valutazione delleprove che sia non solo libera, ma anche razionale, e che anzi sia razio-nale proprio perché è libera da vincoli di altra natura. L’analisi delleragioni che militano a favore di una concezione razionale del liberoconvincimento del giudice non può essere svolta in questa sede. Tantomeno può essere qui svolta l’analisi della struttura logica delle infe-renze probatorie, delle loro premesse e delle loro concatenazioni ecombinazioni. Si tratta invero di temi assai complessi, ed anche scar-samente indagati almeno in Italia, sui quali approssimazioni e sem-plificazioni sono pericolose ed inopportune. Rimane tuttavia il fatto

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che le forme, i criteri e i modelli per una valutazione razionale deimezzi di prova rappresentano ormai materia di un’ampia letteratura,non solo giuridica, alla quale occorre qui fare un globale rinvio.

Ciò che può essere qui sottolineato è che, se si tien conto dell’a-vanzato livello di elaborazione scientifica ormai raggiunto su questitemi, appare improprio e sostanzialmente erroneo considerare la con-cezione razionale della valutazione libera delle prove come una sortadi ingenua illusione o di pregiudizio illuministico. È invece ingenuo, ofrutto di pregiudizi, proprio l’atteggiamento consistente nel ritenereche, poiché la verità assoluta non si può conseguire del processo, altronon rimanga che affidarsi all’incontrollata soggettività del giudice, oalla saggezza del legislatore che opera con norme di prova legale.

1.5. – Di ri tto all a prova e contr addit tor io su lle prove.

La libertà del convincimento del giudice non deve tener conto sol-tanto delle regole razionali che possono garantire l’attendibilità delladecisione sulle prove. Altri principi, che attengono più specificamenteal processo, debbono essere qui richiamati proprio perché rappresen-tano modalità necessarie di formazione del convincimento del giudicenel corso del processo.

Il primo di questi principi è quello che porta il nome ormai diffu-so di diri tto alla prova. Che le garanzie costituzionali del processoimplichino anche il diritto “di difendersi provando” è cosa ormai nota,sulla quale non mette conto di soffermarsi. Vanno piuttosto sottoli-neate alcune implicazioni specifiche del diritto alla prova, anche per-ché su alcuni suoi contenuti non vi è accordo in dottrina, e non vi sono

chiari orientamenti in giurisprudenza. Per un verso, il diritto allaprova implica che le parti possano servirsi in giudizio di tutti i mezzidi prova di cui dispongono per mostrare la fondatezza delle rispettiveposizioni. Ciò implicherebbe la sostanziale riduzione delle regole diinammissibilità dei mezzi di prova, ma ciò è problema de jure conden- do (ammesso che esista mai un legislatore disposto ad occuparsi delproblema) o eventualmente di pronunce di incostituzionalità (si pensi,per fare un solo esempio, all’art. 246 cod. proc. civ.). Comunque, ildiritto alla prova si riconnette alla concezione inclusiva del principiodi rilevanza di cui si è fatto cenno in precedenza: il diritto alla provasi realizza meglio in un sistema nel quale tutte le prove rilevanti sianoammesse, e poche e residuali, ed interpretate in modo tassativo e

restrittivo, siano le regole di esclusione.Il diritto alla prova implica peraltro anche il diritto di far assume- 

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re le prove rilevanti, poiché è con l’assunzione delle prove, e non solocon la loro ammissione, che le parti dimostrano il fondamento delleloro pretese. La conseguenza è che il giudice dovrebbe provvedere

all’assunzione di tutte le prove dedotte dalle parti, purché rilevanti edammissibili. L’eventualità che una prova risulti superflua nel corso del-l’istruzione probatoria, e che quindi non venga assunta, può evidente-mente verificarsi, ma va definita rigorosamente. Superflua in sensoproprio, invero, è solo la prova che qualora venisse assunta e avesseesito positivo non farebbe che confermare altri elementi di prova giàsufficienti a fondare un razionale convincimento. Non è invece super-flua la prova che pure converga con altre prove, se tuttavia queste sonocontestate o se comunque il materiale probatorio non è sufficiente afondare un convincimento chiaro. Non è poi superflua la prova con- traria ad altre prove già acquisite, poiché anzi il convincimento delgiudice deve proprio derivare dall’analisi critica di tutti gli elementi

rilevanti per il giudizio sui fatti, ed in particolare da prove diverse econtrastanti.Si può anche ipotizzare un diritto delle parti alla valu tazione delle

prove da parte del giudice, poiché il diritto alla prova varrebbe benpoco se il giudice fosse libero di non prendere in considerazione leprove dedotte da una parte. Va del resto in questa direzione l’orienta-mento giurisprudenziale richiamato più sopra, secondo il quale il giu-dice dovrebbe dar conto in motivazione della valutazione effettuata sututti gli elementi di prova acquisiti al giudizio.

Il secondo principio che qui và brevemente richiamato è quello delcontraddittorio. Non vi è ovviamente alcun bisogno di discuterne intermini generali. Vale solo la pena di sottolineare che il contradditto-

rio delle parti è anche una modalità fondamentale della formazionedel convincimento del giudice, nel corso del processo e prima che ilconvincimento finale si formi in sede di decisione. Occorre quindi chele parti siano poste in condizione di dedurre e controdedurre mezzi diprova, di eccepire rispetto ai mezzi di prova dedotti da altre parti odisposti d’ufficio dal giudice, di partecipare alla assunzione delleprove, ed infine di svolgere le loro argomentazioni e conclusioni sulleprove assunte, prima che il giudice formuli la propria decisione. Sinoti che l’attuazione del contraddittorio sulle prove e in vista del giu-dizio sui fatti è cosa assai meno ovvia di quanto possa apparire aprima vista: basta considerare le numerose ipotesi in cui il giudice sce-glie una “decisione della terza via” in fatto, ponendo nel nulla le dife-se delle parti e fondando la decisione su elementi di prova rispetto aiquali le parti non hanno avuto alcuna possibilità di difesa.

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2. – Gli abu si del li bero convin cim ento.

Le considerazioni che precedono includono alcuni accenni a casi

nei quali del libero convincimento viene fatto cattivo uso. D’altrondeabusi di un convincimento che si suppone “libero” sono tanto più fre-quenti in quanto questa libertà venga concepita come assoluta edincontrollabile, sganciata da criteri e regole di razionalità e ragione-volezza, oltre che da vincoli legali. A mò di contrappunto rispetto aquanto si è detto in posit i vo sul libero convincimento, può dunqueessere utile sottolineare in quali modi di esso i giudici abusano.

2.1. – La valu tazione m isteri osa.

Si ha valutazione m isteri osa tutte le volte che il giudice non esplicita icriteri, le scelte e le inferenze che giustificano la valutazione compiu-ta sulle prove ed il conseguente giudizio sul fatto. Il problema riguar-da evidentemente la motivazione della decisione in fatto, e non sorge-rebbe se venisse puntualmente seguito l’orientamento della Cassazio-ne ricordato in precedenza, che richiede una motivazione puntuale ecompleta su tutti gli elementi di prova. Peraltro la giurisprudenzadella Suprema Corte al riguardo non è costante ed uniforme sul punto,e la prassi conosce spesso sentenze nelle quali la valutazione delleprove è enunciata ma non giustificata. Il giudice non spiega, cioè, per-ché ha ritenuto credibili ed attendibili le prove su cui si fonda il giu-dizio di fatto. Quando ciò accade, ed accade di frequente, si verifica unabuso del libero convincimento. Che il giudice possa formulare sulleprove una valutazione non significa infatti che egli sia legittimato a

fare ciò che vuole, né tanto meno che sia legittimato ad eludere l’ob-bligo della motivazione in fatto. Il mistero sulle ragioni del giudizio difatto costituisce un abuso. Spesso questo abuso non viene propria-mente percepito, perché è diffusa l’abitudine a pensare che sulle provenon occorra una motivazione analitica e completa, e questa abitudineè confortata dalla giurisprudenza prevalente della Corte di Cassazio-ne. È però un’abitudine ingiustificata e censurabile, e le violazioni del-l’obbligo di motivare rappresentano un vizio grave della prassi diffusa.

Una ulteriore versione della valutazione misteriosa si ha nel casodella valutazione unilaterale. Essa si verifica quando il giudice, anchequi confortato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, giustifica ilproprio convincimento sui fatti facendo riferimento solo agli elemen-

ti di prova che lo sorreggono, senza far cenno delle prove con esso con-trastanti, né delle ragioni per cui non le ha ritenute attendibili. In que-

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sto modo viene a mancare una parte della valutazione delle prove, nési conosce la relativa giustificazione. Viene inoltre a mancare ladimensione critica e dialettica della valutazione delle prove. Il giudi-

zio di fatto viene presentato come una conseguenza chiara e necessa-ria di determinate prove solo perché viene omessa la menzione deglielementi di prova che avrebbero messo in crisi il convincimento delgiudice. Può anche verificarsi un’inversione del giudizio se il giudice,invece di derivare la decisione in fatto da un esame critico globale ditutti gli elementi di prova disponibili, sceglie a priori una versione deifatti e poi si limita a ricercare e selezionare gli elementi di prova chela confermano, trascurando tutti gli altri. In questo caso il potere delgiudice di scegliere discrezionalmente gli elementi di prova su cui fon-dare il giudizio si traduce in un abuso della libertà del convincimento.

2.2. – La sopravalu tazione della prova.

I l giudice sopravaluta la prova quando ne deriva conseguenze pro-batorie che in realtà non sarebbero giustificate dagli elementi di provadi cui dispone. Questo fenomeno si verifica talvolta quando sui fattidella causa esistono poche prove, e il giudice si trova a dover stabilirese i pochi elementi disponibili siano sufficienti a dare il fatto peraccertato. La scarsità di elementi di prova può spingere il giudice asopravalutare elementi di cui dispone, fondando un giudizio positivosui fatti su fragili basi conoscitive. Sembra talvolta che il giudice siaincline ad attribuire alle prove un valore eccessivo, pur di evitare unadecisione secondo le regole dell’onere della prova. Si spiegano cosìfenomeni per molti versi discutibili come le “presunzioni giurispru-

denziali” o le forme di Anscheinsbeweis che talvolta si riscontranonella giurisprudenza. Si spiegano così anche i diffusi orientamentigiurisprudenziali secondo i quali il giudizio di fatto potrebbe fondarsianche su una sola presunzione semplice, su un solo indizio o su unsolo argomento di prova.

Fenomeni di questo genere sono discutibili perché spesso le rela-tive valutazioni non appaiono sorrette da motivazione adeguata, o damotivazione alcuna. La sopravalutazione dell’efficacia della prova rap-presenta comunque un abuso della libertà del convincimento in quan-to porta a ritenere provati fatti che in realtà non lo sono. Tale abuso èevidente, in particolare, quando il giudice se ne serve per sostenere “adogni costo” una versione di fatti che egli ha individuato a priori come

vera, o addirittura per giustificare l’esclusione di prove diverse o con-trarie.

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2.3. – L’abuso dell e prove atipi che.

L’ammissibilità delle prove atipiche è tema assai controverso chenon può essere adeguatamente affrontato in questa sede. Pare tuttavia

fondata, anche sulla base del principio inclusivo di rilevanza e dilibertà della prova di cui si è parlato in precedenza, la tesi che in lineadi principio le considera ammissibili. Non ci si può tuttavia nascon-dere che proprio il campo delle prove atipiche fornisce numeroseoccasioni di abuso della libertà del convincimento. Probabilmente,anzi, è proprio la consapevolezza di ciò a spiegare il favore di unaparte della dottrina per la tesi contraria all’ammissibilità di tali prove.

Vale la pena di accennare qui ad alcuni dei tipi principali di abusodelle prove atipiche.

Un buon esempio si ha nei casi non infrequenti nei quali unaprova nulla, viziata per violazione delle norme che ne disciplinano laformazione o l’acquisizione, viene considerata atipica al fine di utiliz-zarla ugualmente. In ciò si manifesta la diffusa tendenza ad utilizzaresempre e comunque gli elementi di convincimento che emergono dalmateriale probatorio. Si tratta tuttavia di un orientamento improprioed erroneo. La prova atipica è un prova non prevista dalla legge, men-tre una prova tipica viziata è pur sempre una prova tipica in quantoprevista dalla legge, benché venuta ad esistenza in modo non valido.Per così dire, una prova tipica nulla rimane tipica, e non diventa ati-pica perché è viziata. Quindi essa non può essere utilizzata come ele-mento su cui fondare il giudizio di fatto.

Altri fenomeni discutibili si verificano nell’impiego delle prove ati-piche. Così ad es. accade talvolta che il giudice escluda prove tipiche

perché ritiene che le prove atipiche già acquisite forniscano sufficientielementi di convincimento. È pur vero che tra prove tipiche ed atipichenon esiste una gerarchia, sicché il giudice può servirsi di entrambi i tipidi prova per accertare i fatti, ma non esiste neppure una gerarchia inver-sa che giustifichi la prevalenza delle prove atipiche sulle prove tipiche. Tanto meno, poi, l’esistenza di prove atipiche può giustificare l’esclusio-ne di tutte le prove, tipiche o atipiche, che una parte abbia dedotto.

Un ulteriore rilevante abuso si verifica quando il giudice si servedelle prove atipiche in modo tale da violare la regola del contradditto-rio. Come è noto, tale violazione si verifica spesso, ossia tutte le volteche il giudice fonda la decisione finale “a sorpresa” su elementi suiquali le parti non hanno previamente svolto (o avuto la possibilità di

svolgere) le proprie difese. Questo fenomeno si verifica più facilmentequando si impiegano prove atipiche. Se il giudice decide, nell’àmbito

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del suo potere di scelta, di fondare la decisione su elementi atipici diprova, e formula questa sua scelta solo al momento della decisionefinale, si ha una violazione particolarmente evidente dei diritti di dife-

sa delle parti. Le parti possono infatti prevedere che il giudice fondi lapropria decisione sulle prove tipiche acquisite al giudizio, difenden-dosi su di esse. Diventa invece impossibile prevedere, per difendersi alriguardo, quali elementi il giudice trarrà dal mare magnum degli ele-menti atipici di prova. Il fenomeno è tanto più rilevante in quanto nondi rado un fattore di atipicità della prova consiste nel fatto che le partinon hanno partecipato alla sua formazione.

Distorsioni di giudizio possono poi verificarsi nella valutazionedell’efficacia probatoria delle prove atipiche. In linea di principio nonpare sostenibile una limitazione aprioristica del valore probatorio diqueste prove. Non si può infatti escludere in linea teorica che unaprova atipica sia così chiara e convincente da determinare da sola il

giudizio sul fatto. È chiaro tuttavia che proprio a proposito delle proveatipiche si verificano spesso fenomeni di sopravalutazione, di valuta-zione unilaterale e di valutazione misteriosa. La recente giurispruden-za insiste nel qualificare le prove atipiche come indizi che possono alpiù essere adoperati con altre prove nel contesto della valutazione delgiudice (v., ad es., Cass. 22 aprile 1993 n. 4763; Cass 14 giugno 1990 n.5792; Cass. 13 dicembre 1989 n. 5561), ma è dubbio che ciò basti arazionalizzare l’uso che delle prove atipiche viene fatto nella prassi.

3. – La prova legale.

Come si è accennato in precedenza, le norme di prova legale rap-presentano nella maggior parte dei casi residui storici di un sistemache aveva dominato gli ordinamenti europei sino alla seconda metàdel sec. XVIII. Da questo punto di vista si può sostenere che le provelegali, salvo ipotesi del tutto peculiari e marginali, dovrebbero essereeliminate in un sistema processuale moderno. A favore dell’elimina-zione delle prove legali si possono peraltro invocare argomenti ulte-riori rispetto a quello della loro obsolescenza storica. Così si può affer-mare che gli ordinamenti processuali moderni mirano a far sì che ilgiudice accerti la verità empirica dei fatti, mentre le prove legali neproducono non più che una fissazione formale predeterminata inastratto. Si potrebbe poi sottolineare che le prove legali erano razio-nali in epoche storiche lontane, mentre contrastano con ogni conce-zione attuale della valutazione razionale delle prove. Ancora, si po-

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trebbe rilevare che il giudice attuale non è più il giudice ignorante ostraniero dell’anci en regime, sicché non ha bisogno di essere assistitoo guidato dal legislatore nella valutazione delle prove.

Vi sono tuttavia orientamenti che ancor oggi manifestano favoreper le prove legali, o almeno per alcune prove legali. Con qualche sem-plificazione gli argomenti che si adducono in tal senso possono essereridotti a due. Il primo argomento è che alcune norme di prova legale,e si pensa di solito a norme di prova legale negativa, sarebbero utili perlimitare l’eccessiva discrezionalità del giudice e prevenire abusi nellavalutazione delle prove. Così si suggerisce talvolta l’esclusione dideterminate prove ora qualificabili come atipiche, o di tutte le proveatipiche, ovvero la limitazione legale dell’efficacia probatoria di deter-minate prove. Il tema è complesso e richiederebbe un’analisi specificadi questi orientamenti, che qui non è possibile svolgere. Vale però lapena di rilevare che alla base di essi riemerge una delle giustificazioni

tradizionali del sistema delle prove legali, ossia la sfiducia verso il giu-dice e verso la discrezionalità delle sue valutazioni.Poiché si è appena tentato un piccolo catalogo degli abusi del libe-

ro convincimento, non è possibile negare qui la radice del problema,ossia il rischio che il giudice faccia cattivo uso della sua libertà di valu-tazione. Il problema semmai è quello degli strumenti più appropriatiper prevenire questo rischio, ma la sua soluzione è tutt’altro che sem-plice, e dipende da orientamenti e presupposizioni di carattere moltogenerale. Così ad es., si potrebbe dire che il problema andrebbe risol-to migliorando la professionalità dei giudici e la loro preparazionespecifica in ordine all’uso e alla valutazione delle prove. Chi ha fiducianella possibilità di configurare standards e regole razionali per la valu-

tazione delle prove e la formulazione del giudizio di fatto, e non dispe-ra che la prassi della valutazione delle prove possa essere o diventarerazionale, tenderà invece a pensare che l’eventualità di decisionedistorte o arbitrarie possa essere eliminata attraverso ragionamentirazionalmente controllati e controllabili. Chi invece non ha fiducia innessuna di queste possibilità sarà favorevole a limitare tout court ladiscrezionalità del giudice, vincolandolo al rispetto di regole legali.Altro problema, che qui non può essere neppure sfiorato, è quello diquali regole di prova legale sarebbero opportune.

Il secondo argomento che viene talvolta addotto in favore delleprove legali, o di alcune di esse, è che tali prove possono servire a sem- plifi care il giudizio sui fatti, in particolare quando sia incerto l’esitoche deriva dalle altre prove. Così ad es. si dice talvolta che è opportu-no conservare il giuramento come prova legale, poiché esso è utile

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come extrema rati o di cui le parti possono servirsi per risolvere la con-troversia. Si guarda poi da taluno con simpatia alle prove legali ingenere, proprio perché si ritiene che gli esercizi di aritmetica probato-

ria siano più semplici rispetto alla complessa attività richiesta dallavalutazione discrezionale delle prove, e quindi le prove legali presenti-no il vantaggio di attribuire qualche maggiore certezza, benché mino-re aderenza alla realtà empirica, al giudizio di fatto.

Anche a questo proposito vengono in gioco opzioni di caratteregenerale. Per un verso, non è dubbio che l’applicazione di regole diprova legale possa facilitare il giudizio sul fatto e renderlo in qualchemisura più controllabile. Rimane da stabilire se questi vantaggi giusti-fichino il formalismo e il distacco dalla realtà che le norme di provalegale portano inevitabilmente con sé. Per altro verso, è vero che alcu-ne prove legali possono funzionare come estrema soluzione del proble-ma del giudizio di fatto. Si pùò tuttavia osservare che quando le prove

libere non sono sufficienti a fondare l’accertamento del fatto, o sonotroppo contraddittorie o confuse, non per questo la decisione diventaimpossibile: mancando la chiara e sufficiente prova del fatto il giudicepuò e deve decidere in base alle regole dell’onere della prova. L’alterna-tiva non è allora tra decisione difficile o impossibile e decisione possi-bile o agevole. L’alternativa reale è invece tra una decisione che si fondasu una fissazione positiva – ma formale – del fatto, come quella chederiva dalla prova legale, e una decisione fondata sulla mancata provadel fatto. Ancora, l’alternativa è tra una decisione rimessa alla volontàdelle parti di servirsi di una prova legale, e una decisione che dipendedirettamente dalla legge in funzione del modo in cui la disciplina dellasingola fattispecie ripartisce fra le parti gli oneri probatori.

Come si vede, non si tratta allora di esprimere superficiali prefe-renze per il libero convincimento o per le prove legali. Piuttosto, sitratta di formulare orientamenti globali in ordine al ruolo del giudice,delle parti e della legge nella determinazione della tratta anche di for-mulare opzioni di ordine generale a favore di valutazioni razionaliorientate verso la verità, benché incerte e non controllate a priori , o afavore di certezze legali predeterminate, benché formali e non orien-tate verso la verità dei fatti.

4. – Presun zion i e argomenti di prova.

Presunzioni semplici e argomenti di prova sono temi di particola-re interesse nell’àmbito della valutazione della prova. In questa sede

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non è tuttavia possibile svolgerne un’analisi che abbia pretese di com-pletezza, sicché il discorso dovrà necessariamente limitarsi ad alcunenon esaustive considerazioni.

4.1. – Caratt eri dell ’i n ferenza presun ti va.

Quanto alle presunzioni, un rilevante fenomeno che merita diessere segnalato è che negli ultimi anni è andato chiarendosi l’orien-tamento della Corte di Cassazione circa la struttura dell’inferenza pre-suntiva. La giurisprudenza della Corte è stata a lungo divisa, infatti,tra due diverse concezioni. Secondo la prima di esse, più rigorosa erestrittiva, le presunzioni semplici avrebbero potuto essere impiegatea fini probatori solo qualora la relativa inferenza fosse deduttiva, certae necessaria, tale cioè da far apparire la conclusione sul “fatto ignora-to” come l’unica possibile conseguenza del “fatto noto”. La secondaconcezione, più ampia e flessibile, ammette la presunzione purchè dal“fatto noto” sia possibile trarre inferenze ragionevoli e probabili, talida conferire una sufficiente credibilità alla conclusione sul “fatto igno-rato”. Questo secondo orientamento pare diventato largamente preva-lente, e ciò merita approvazione, poiché esso pare fondarsi su unaconcezione più evoluta ed articolata dell’inferenza presuntiva. Esso èd’altronde consono ad una nozione razionale del libero convincimen-to del giudice, ed opera nel senso di ampliare le possibilità di impiegodelle presunzioni semplici come strumenti di accertamento del fatto.Non si può tuttavia fare a meno di osservare che questo orientamen-to, pure giustificato, porta con sé non pochi pericoli, come quelli chesi sono più sopra delineati. Nel momento in cui si fà perno essenzial-

mente sulla discrezionalità del giudice, su inferenze ragionevoli e pro-babili, diventa infatti maggiormente necessario l’impiego di chiari erigorosi modelli razionali, per evitare il rischio di valutazioni arbitra-rie o ingiustificate. Bene fa dunque la Cassazione ad adottare una con-cezione ragionevole e probabilistica, invece che deduttiva e necessa-ria, dell’inferenza presuntiva: tuttavia questo orientamento deve fon-darsi sul necessario impiego di modelli razionali nella valutazionedelle fonti di presunzione.

Il legislatore è conscio d’altronde dei pericoli di distorsione delgiudizio insiti nell’uso delle presunzioni semplici. Non a caso l’art.2729 cod. civ., e più di recente l’art. 192 n. 2 cod. proc. pen., condizio-nano l’uso di presunzioni semplici e indizi ai requisiti della gravità,

precisione e concordanza. La ratio evidente di queste norme è infattiil tentativo di vincolare la valutazione del giudice a condizioni idonee

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a garantire l’attendibilità delle inferenze presuntive. È dubbio tuttaviache norme come queste, che si presentano come regole di prova lega-le negativa, raggiungano davvero lo scopo per il quale vengono for-

mulate. Per un verso, i requisiti di gravità e precisione della presun-zione sono ovvi, ma lo sono forse troppo, e si risolvono nel prescrive-re che l’inferenza presuntiva riguardi davvero i fatti che ne costitui-scono la premessa e la conclusione, e renda attendibile la conclusioneche si deriva dalla premessa. Essi servono dunque ad escludere infe-renze ambigue, incerte e non attendibili, ma per questo non sononecessarie norme apposite. Quanto al requisito della concordanza,esso potrebbe essere inteso nel senso che solo quando vi sono più infe-renze presuntive, ed esse concordanti, la presunzione semplice puòfornire la prova del fatto. Questa non è però l’interpretazione che pareprevalente. Si ammette invero comunemente dalla giurisprudenza cheanche una sola inferenza presuntiva, purché grave e precisa, possa

bastare a fondare l’accertamento del fatto. Di conseguenza il requisitodella concordanza non presuppone la necessaria pluralità di inferenzepresuntive. Esso viene invece applicato nell’eventualità che di fatto visiano varie inferenze presuntive nel caso concreto, al limitato e bana-le scopo di escludere che l’accertamento del fatto possa fondarsi supresunzioni tra loro divergenti e quindi incapaci di far apparire unaconclusione come preferibile ad un’altra.

Così intese, le norme in esame non hanno più il carattere di rego-le di prova legale negativa, e l’impiego delle presunzioni semplici vieneintegralmente riportato entro l’àmbito del discrezionale convincimen-to del giudice. Al più queste norme hanno la funzione di consigliare algiudice prudenza e ragionevolezza nell’uso delle presunzioni, indu-

cendolo ad evitare di fondare la decisione in fatto su inferenze inat-tendibili o contraddittorie.

Se tutto ciò sia da valutare in modo positivo o negativo dipendeancora una volta da ragioni di ordine più generale e da opzioni in ordi-ne al ruolo del giudice nell’accertamento del fatto. Chi ha qualchefiducia nella possibile e necessaria razionalità della valutazionediscrezionale delle prove tende a non essere aprioristicamente contra-rio ad una concezione flessibile e “libera” dell’uso delle presunzionisemplici, pur non nascondendosi i pericoli che ciò può comportare.Chi invece non crede affatto nella possibile razionalità dei giudici, enella loro capacità di evitare abusi e distorsioni del giudizio, è natu-ralmente favorevole a limitare l’impiego delle presunzioni semplici,vincolandolo per quanto possibile al rispetto di rigorosi criteri fissatidalla legge.

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4.2. – Gli argomenti di prova.

A proposito degli argomenti di prova si pongono sostanzialmentegli stessi problemi che sorgono a proposito delle presunzioni, nonché

le questioni di ordine generale che attengono alla valutazione discre-zionale delle prove. Vale dunque il rinvio a quanto si è detto finorarispetto a questi temi, limitando ora il discorso ad alcuni aspetti cheriguardano tipicamente gli argomenti di prova. Vale la pena di dedi-care qualche attenzione a questo istituto poiché la sua applicazionetende ad estendersi, specialmente in connessione con la generalizza-zione dell’interrogatorio libero delle parti o dei loro speciali rappre-sentanti effettuata da norme come l’art. 420 e il nuovo art. 183 cod.proc. civ..

L’orientamento che pare prevalente in dottrina e in giurispruden-za è nel senso di collocare l’argomento di prova al gradino più bassodi un’ipotetica scala dei valori probatori. Sotto all’argomento di provavi sarebbe il nulla probatorio, ossia valori = 0, mentre salendo si in-contrerebbero via via le presunzioni semplici, le prove liberamente va-lutabili ed infine le prove legali. Per questa ragione si dice comune-mente che l’argomento di prova, proprio perché è l’elemento probato-rio più debole di tutti, non è mai idoneo a fondare l’accertamento delfatto. Si dice anzi di solito, riducendone ancor di più la funzione, chel’argomento di prova non potrebbe neppure essere usato propriamen-te per l’accertamento del fatto, ma solo come elemento accessorio eintegrativo nell’ambito della valutazione delle prove vere e proprie.Pare dunque prevalente, almeno nella maggior parte della dottrina chesi è occupata dell’argomento di prova, una tendenza a svalutarne il più

possibile il ruolo e la funzione. Essa si spiega con la diffidenza versol’impiego di elementi probatori la cui valutazione può comportarepericoli di abuso da parte del giudice, ma si pone in dissonanza conl’apparente tendenza del legislatore ad estendere i riferimenti all’art.116 comma 2. cod. proc. civ..

Rispetto a questo orientamento riduttivo è tuttavia possibile avan-zare qualche riserva. Per un verso, al di là dell’uso di nomi diversi (siricordi che l’argomento di prova è stato “inventato” dal legislatore del1940), non pare agevole distinguere l’argomento di prova dalla pre-sunzione semplice sotto il profilo della loro struttura. Entrambi, infat-ti, constano di inferenze induttive che il giudice trae tra “fatti noti”(nel caso dell’argomento di prova quelli indicati dall’art. 116 comma 2

o da altre norme) per formulare conclusioni intorno a “fatti ignorati”rilevanti per la decisione. D’altronde non appare neppure agevole ope-

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rare una graduazione di efficacia probatoria, se non a costo di ipotiz-zare quantificazioni che sarebbero arbitrarie e inattendibili.

Per altro verso, l’asserita incapacità dell’argomento di prova di fon-

dare l’accertamento del fatto suscita qualche perplessità. Ci si potrebbechiedere ad es., se più argomenti di prova convergenti possano, cosìcome accade per le presunzioni semplici, costituire un’attendibile provadel fatto. A condizione che si tratti di una valutazione fondata su criteriattendibili non si vede perché ciò non possa ammettersi: si pensi ad es.,al caso in cui dall’interrogatorio delle parti e dal loro comportamentoprocessuale possano trarsi coerenti conclusioni su un fatto della causa.

D’altronde, e per quanto possa trattarsi di un’eventualità non fre-quente, non pare neppure possibile escludere che un solo argomento diprova possa fondare un giudizio attendibile su un fatto: basti pensare alcaso in cui una parte che risulti credibile e convincente faccia al giudi-ce una dichiarazione attendibile nel corso dell’interrogatorio libero.

Anche la tesi per cui l’argomento di prova non potrebbe mai ver-tere su un fatto rilevante della causa, ma solo su circostanze utili perla valutazione di altre prove, appare difficilmente sostenibile. Puòinfatti accadere che un argomento di prova attenga in realtà ad un’al-tra prova, perché riguarda ad es., la credibilità di un teste o l’interpre-tazione della volontà di una parte espressa in un documento, ma l’àm-bito degli argomenti di prova non è così ristretto. Accade invece spes-so che l’argomento di prova riguardi direttamente un factum proban- dam invece che un’altra prova: basti pensare alle risposte rese dalleparti nell’interrogatorio libero, al rifiuto di consentire l’ispezione oall’ignoranza dei fatti da parte del rappresentante della parte che com-pare per essere liberamente interrogato.

Se si tien conto di tutto ciò, appare assai difficile, al di là dellapeculiarità del nome, differenziare la funzione e l’efficacia probatoriadegli argomenti di prova rispetto agli altri elementi di prova che ven-gono impiegati come premesse per la formulazione di inferenze indut-tive dirette, a seconda dei casi, alla valutazione delle prove o all’accer-tamento dei fatti. Sotto questo profilo non appare infondata l’impres-sione che l’argomento di prova altro non sia che un’ipotesi particola-re, perché “nominata” dalla legge, di inferenza presuntiva.

5. – Crit eri di valu tazione delle prove.

Secondo gli orientamenti che tendono a dissolvere la valutazionedelle prove entro una indistinta intuizione soggettiva, non esistono

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veri e propri criteri di valutazione delle prove. Quando non sono appli-cabili norme di prova legale, si ricorre allora a denominazioni generi-che e sostanzialmente poco significative come “libero convincimento”,

prudente apprezzamento”, “certezza morale”, e simili.Se, viceversa, si muove dalla premessa che la valutazione delleprove possa svolgersi secondo criteri razionali, essa appare come l’esi-to di un ragionamento complesso, i cui passaggi sono distinguibili edanalizzabili alla stregua di ogni altro procedimento razionale. Ciò nonimplica che la valutazione delle prove si configuri secondo schemicogenti, deduttivi e meccanici. Si ammette invece che la valutazionedel giudice rimanga discrezionale, ma possa essere guidata da regolee modelli di inferenza dotati di fisionomia specifica e validità logica.Anche sotto questo profilo, peraltro, il problema della prova si pre-senta ricco di implicazioni e complicazioni che non possono essereadeguatamente svolte in questa sede. Occorre dunque limitare il

discorso ad alcuni dei suoi aspetti principali, sottolineando le fasiessenziali del procedimento razionale in cui si articola la valutazionedelle prove.

5.1. – La credibi li tà della prova.

Il punto di partenza di questo procedimento consiste nello stabili-re se la prova acquisita merita di essere considerata come possibilefonte di conoscenza dei fatti della causa. A questo scopo è finalizzatala valutazione relativa alla credibi li tàdella prova, che si fonda su uncontrollo di au tent i ci tàse si tratta di una prova documentale.

La credibilità della prova attiene principalmente alle caratteristi-

che del mezzo di prova e alla possibilità che esso fornisca una rap-presentazione del fatto attendibile, non erronea e non viziata. Se sipensa ad es., alla prova testimoniale, vengono in gioco valutazioniche attengono alla personalità del teste, alla possibilità che egli abbiadavvero e correttamente percepito il fatto che racconta, alla suacapacità di ricordarlo fedelmente, al suo comportamento durante ladeposizione, al suo eventuale interesse nella causa, ai suoi rapporticon le parti, e così via. In larga misura questa valutazione avviene permezzo di massime d’esperienza, ed ha struttura inferenziale poichéla credibilità/non credibilità del teste dipende da un giudizio fondatosu fatti che il giudice considera rilevanti, mediato da massime d’e-sperienza e diretto a formulare conclusioni sull’attendibilità della

testimonianza.L’esito positivo di questa valutazione non è ancora un giudizio

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sulla verità del fatto posto ad oggetto della testimonianza, ma un giu-dizio circa la possibilità di usare la testimonianza come strumento peraccertare quel fatto. Se l’esito della valutazione di credibilità è negati-

vo, l’ovvia conseguenza è che la prova viene considerata inutilizzabileai fini dell’accertamento dei fatti. Il cod. proc. civ. dedica limitataattenzione a questo problema, che viene spesso trascurato. L’art. 252 ètuttavia dedicato ad esso, e il giuramento di verità del teste mira acostituire una sorta di garanzia della sua credibilità.

Considerazioni analoghe valgono quanto all’autenticità dei docu-menti. Questa materia è tuttavia ampiamente regolata dalla legge,almeno con riferimento ai documenti tipici. Gli artt. 2699-2720 cod.civ. contengono une serie di norme di prova legale che riguardano l’au-tenticità dei documenti pubblici o privati e che non di rado si riferi-scono a condizioni di attendibilità del documento: v., ad es. l’art. 2703a proposito della scrittura privata autenticata, o gli artt. 2705 e 2706 a

proposito del telegramma. Inoltre, disciplinando gli speciali procedi-menti di riconoscimento-disconoscimento-verificazione della scrittu-ra privata, e di querela di falso, la legge introduce modalità tipizzatedi controllo dell’autenticità dei documenti (o di quella parte di essi cheè dotata di efficacia probatoria legale). Tuttavia il problema della cre-dibilità-autenticità del documento si ripropone per intero, ed è inte-gralmente rimesso alla discrezionale valutazione del giudice, tutte levolte in cui il mezzo di prova è rappresentato da un documento atipi-co, per il quale non valgono né garanzie né controlli specificamenteprevisti dalla legge.

5.2. – L’esi to dell a prova.

Superato il controllo di credibilità-autenticità, la prova può vali-damente essere utilizzata dal giudice ai fini dell’accertamento delfatto. Ciò implica una ulteriore e diversa valutazione, che attiene pro-priamente all’esito della prova e alla sua effi cacia ( o valore) come ele-mento di conoscenza del fatto. Questa valutazione può essere più omeno complessa a seconda dei casi.

Se si tratta di una prova diretta, che verte cioè su di un factum pro- bandum, la valutazione relativa alla credibilità della prova si può tal-volta tradurre in una valutazione relativa all’efficacia di essa come ele-mento per stabilire la verità del fatto. Una testimonianza credibile su diun fatto costituisce una buona ragione per ritenere che quel fatto si sia

davvero verificato. Vi sono tuttavia almeno due motivi per affermareche in linea di principio la valutazione di credibilità della prova non

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coincide con la valutazione attinente alla sua efficacia come strumentodi conoscenza del fatto. Il primo motivo deriva dall’eventualità che unaprova credibile non sia in realtà utile ad accertare il fatto, ad es., per-

ché il teste afferma di non conoscerlo o non ricordarlo, o perché il con-tenuto delle sue dichiarazioni è vago o non riguarda il fatto in questio-ne. In tal caso la prova è priva di efficacia probatoria pur essendo cre-dibile il mezzo di prova. Il secondo motivo deriva dall’eventualità chesul medesimo fatto vi siano diverse prove, convergenti o contrastanti.In questa situazione la singola prova è utile all’accertamento, ma ilruolo effettivo che essa svolge nel giudizio sul fatto dipende dalla valu-tazione complessiva delle prove che lo riguardano (su cui v., infra, 5.3.).

La situazione appare assai più complessa, e logicamente più com-plicata diventa la valutazione del giudice, quando la prova è indiretta,e verte quindi su un fatto diverso dal factum probandum . In tal casoinfatti l’accertamento di quest’ultimo dipende da un’inferenza che il

giudice trae dal diverso fatto che è stato oggetto di prova. Quindi ladeterminazione dell’efficacia della prova rispetto al fatto si fonda suun’insieme di inferenze, l’ultima delle quali riguarda appunto il factum probandum. Queste inferenze sono normalmente fondate su massimed’esperienza di varia natura, e sono logicamente analizzabili in termi-ni di gradi di probabilità logica, ma questo aspetto del problema nonpuò essere sviluppato in questa sede. Ciò che interessa sottolineare èche l’accertamento circa la veridicità del factum probandum deriva dalgrado di attendibilità dell’enunciato che lo riguarda, e che tale gradodi attendibilità è il risultato finale di un procedimento inferenziale. Tale risultato è più o meno fondato, e quindi l’accertamento è più omeno “sicuro”, a seconda della validità logica e della fondatezza cono-

scitiva delle inferenze in cui si articola la valutazione della prova.Anche nel caso della prova indiretta occorre poi tener conto dell’even-tualità che essa non produca risultati effettivamente utilizzabili per laconoscenza del fatto, nonché dell’eventualità che diverse prove, con-vergenti o contrastanti, riguardino lo stesso fatto.

In ogni caso, l’esito della prova (ossia l’esito della sua discreziona-le valutazione) consta nell’attribuzione di un grado di attendibilitàall’enunciato che ha per oggetto un factum probandum .  Talvolta siafferma che esso è quantificabile in termini di probabilità statistica,ma non pare che questa concezione possa essere accolta. Pare più cor-retto parlare invece di probabilità logica, o fondamento inferenziale,per individuare il rapporto razionale che intercorre tra l’enunciazionedi un fatto come vero e gli elementi di prova in funzione dei quali que-sta enunciazione appare attendibile.

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5.3. – La valu tazione complessiva dell e prove.

Un principio di ordine razionale, prima che giuridico, richiede chel’accertamento del fatto in giudizio avvenga sulla base di tutte le prove

che nel processo sono state acquisite, e che si sono rivelate rilevanti edutili per stabilire i fatti della causa. Ciò significa anzitutto che tutte leprove acquisite vengano prese in considerazione dal giudice, e che setalune prove vengono ritenute non credibili, o prive di efficacia pro-batoria, di ciò il giudice dia conto nella motivazione della sentenza.

Il principio di completezza della valutazione delle prove implica poiche di esse il giudice compia una valutazione complessiva. Sul puntooccorre tuttavia fare qualche ulteriore considerazione. Anzitutto, valuta-re complessivamente le prove non significa che tutte le prove debbanoessere inserite entro una valutazione globale indifferenziata, intuitiva,generica e misteriosa, tale da sfuggire a qualsivoglia analisi o controllo.Inoltre, poiché ogni prova riguarda (direttamente o indirettamente) unoo alcuni fatti specifici, ed ogni fatto deve essere oggetto di una o piùprove, occorre che il giudice formuli correttamente ed in modo analiticoi rapporti di attinenza e rilevanza tra ogni prova ed ogni fatto. Solo inquesto modo è possibile stabilire razionalmente quali fatti risultano pro-vati e quali sono carenti di prova, su quali fatti esistono una o più prove,e su quali fatti esistono più prove convergenti e più prove contrastanti.Un’analisi di questo genere è indispensabile per giungere ad un giudiziosui fatti che sia razionalmente fondato sulle prove disponibili. Le teoriesecondo le quali il giudice valuterebbe globalmente la persuasività delle“storie” che gli vengono raccontate, omettendo ogni analisi dei fatti e delsupporto che i relativi enunciati ricevono dalle prove, sono nel migliore

dei casi descrizioni false, o prescrizioni discutibili ed inopportune di ciòche dovrebbe essere il giudizio sui fatti.L’analisi in questione può anche essere utile al fine di semplifica-

re la decisione finale. Se un fatto risulta privo di adeguata confermaprobatoria non è dubbio che esso non entri in alcuna valutazione “glo-bale” dei fatti. Esso è semplicemente non dimostrato, e non può cheessere oggetto di decisione in base alle regole sull’onere della prova. Seun fatto è oggetto di una sola prova, diretta o indiretta, il giudizio sudi esso è relativamente semplice, se la prova è credibile e utilizzabile:l’enunciato su quel fatto sarà vero o falso a seconda che la prova loconfermi vero o falso, con un grado di attendibilità stabilito dal valo-re di quella prova.

Nell’ipotesi non infrequente in cui il medesimo fatto sia oggetto dipiù prove, allora si avrà una valutazione complessiva in senso proprio,

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poiché il giudizio su quel fatto non può che essere l’esito di una valu-tazione che includa tutte le prove che lo riguardano. Tali prove posso-no essere dirette e indirette, positive e negative, convergenti o diver-

genti, più o meno singolarmente attendibili, e più o meno numerose aseconda dei casi. La loro valutazione complessiva implica che il giudi-ce determini il valore probatorio di ognuna, e poi proceda per con-fronti, combinazioni ed esclusioni, considerando e comparando diver-se possibili versioni del fatto, sino a stabilire quale tra queste versioniappare confermata da un grado più elevato di attendibilità. Criterirazionali possono essere impiegati per giungere a stabilire quale ver-sione dei fatti sia sorretta da una probab i li tà prevalen te rispetto allealtre, e quale sia quindi la versione dei fatti che è razionale sceglierecome “vera” ai fini della decisione. Non si tratta di probabilità quanti-tativa, ma del grado più elevato di conferma logica di un’ipotesi rela-tiva i fatti, che induce a preferire questa ipotesi rispetto alle altre pos-

sibili. Esso è l’esito finale della valutazione combinata di tutte le proveche vertono sul medesimo fatto.Questa valutazione può anche essere estremamente complessa, e

può coinvolgere varie inferenze, criteri e standard di valutazione e diinduzione, massime d’esperienza e dati conoscitivi, analisi razionali ecalcoli, giudizi di valore e controlli empirici. Occorre tuttavia tenerpresente che complessità di valutazione e di ragionamento non signi-ficano arbitrio, confusione distorsione di giudizio o soggettivismoincontrollato. È anche utile evitare la ricorrente tentazione di ricon-durre ad una generica “intuizione” tutto ciò che non si può o non sivuole analizzare razionalmente, magari perché è scomodo farlo. Lavalutazione analitica e complessiva delle prove può essere effettuata

secondo criteri razionali e controllabili, e quindi deve essere fattasecondo questi criteri.

Certamente in questo modo il ragionamento del giudice sulleprove e sul fatto diventa difficile e complesso. Non vi sono tuttaviaragioni per ritenere che la valutazione delle prove e il giudizio sui fattidebbano essere necessariamente cose semplici ed elementari. Ancorauna volta, invero, il problema è un altro. Non si tratta di scegliere travalutazioni semplici e ragionamenti complessi, ma tra una concezio-ne superficialmente intuitiva del giudizio e una concezione razionaledi esso. La concezione intuitiva è forse più semplice, ma non soddisfale esigenze di fondatezza e controllabilità del giudizio sui fatti. La con-cezione razionale è di gran lunga più complessa e problematica, mafornisce gli strumenti per fondare la valutazione delle prove su criteridi attendibilità e controllabilità.

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NOTA BIBL IOGRAFICA

La letteratura sui temi della prova e della relativa valutazione è sterminata. Si pos-sono solo indicare qui di seguito, limitandosi alla dottrina italiana, alcune opere e scrit-

ti recenti in cui si affrontano i temi in questione.AA.VV., Le prove nel dir i t to civi le ammi nistrativo e tribut ario, Torino 1986.

CAVALLONE, I l giudice e la prova nel processo civi le, Padova 1991.

CHIARLONI, Riflessioni sui li m iti del giudi zio di fatto nel processo civi le, ora in Id., For- mali smi e garan zie. Stu di sul pr ocesso civi le, Torino 1995, p. 193.

PATTI, Prove. Disposizio ni generali , Bologna-Roma 1987.

RICCI G.F., Premesse ad uno stu dio su lle prove atipi che, Arezzo 1990.

RICCI G.F., Prove e argoment i di prova, in Riv. trim . dir. proc. civ. 1988, p. 1036 ss..

 TARUFFO, La pr ova dei fatti generali. N ozioni generali , Milano 1992.

 TARUFFO, Presunzioni , in versioni , prova del fatto , in Riv. trim . dir. proc. civ., 1992, p.733 ss..

 TARUFFO, Modelli di prova e di procedimento probatori o, in Riv. trim . dir. proc. civ.,

1990, p. 420 ss.. TARUFFO, I l dir itt o alla prova nel processo civi le, in Riv. trim . dir. proc. civ., 1984, p.

74 ss..VERDE, Prova. b) Teori a generale e dir it to processuale civi le, in Enc. dir., vol. XXXVII , Mila-

no 1988, p. 589 ss..

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