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SVILUPPO DI ALGORITMI PER LA CLASSIFICAZIONE DI CROMOSOMI IN IMMAGINI IN METAFASE Enrico Fucigna Relatore: Prof. Alfredo Ruggeri, Università di Padova Correlatore: Enrico Grisan Aprile 2006

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SVILUPPO DI ALGORITMI PER LA CLASSIFICAZIONE DI CROMOSOMI IN

IMMAGINI IN METAFASE

Enrico Fucigna Relatore: Prof. Alfredo Ruggeri, Università di Padova

Correlatore: Enrico Grisan

Aprile 2006

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INDICE

Titolo: Sviluppo di algoritmi per la classificazione di cromosomi in immagini in metafase

SOMMARIO................................................................................................... 5

1 INTRODUZIONE .................................................................................... 6

1.1 Scopo della tesi..........................................................................................................6

2 TECNICHE DI ANALISI CROMOSOMICA............................................. 7

2.1 I cromosomi...............................................................................................................7 2.1.1 Morfologia .......................................................................................................................... 7 2.1.2 Cariogramma....................................................................................................................... 8 2.1.3 Banding pattern ................................................................................................................... 9 2.1.4 Ciclo cellulare ................................................................................................................... 11 2.1.5 Risoluzione........................................................................................................................ 11 2.1.6 Anomalie cromosomiche .................................................................................................. 11

2.2 International System for Human Cytogenetic Nomenclature ............................13 2.2.1 Nomenclatura .................................................................................................................... 13

2.3 Analisi computerizzata dei cromosomi.................................................................14 2.3.1 Analisi automatica............................................................................................................. 14 2.3.2 Pre-processing................................................................................................................... 15 2.3.3 Segmentazione .................................................................................................................. 15 2.3.4 Estrazione parametri.......................................................................................................... 16 2.3.5 Selezione dei parametri ..................................................................................................... 17 2.3.6 Classificazione .................................................................................................................. 17

3 SVILUPPO DI ALGORITMI PER LA CLASSIFICAZIONE................... 19

3.1 Materiali utilizzati ..................................................................................................19

3.2 Algoritmo di image enhancement..........................................................................21 3.2.1 Decomposizione e ricostruzione wavelet .......................................................................... 21 3.2.2 Multiscale pointwise product ............................................................................................ 22 3.2.3 Enhancement algorithm .................................................................................................... 23

3.3 Estrazione di parametri .........................................................................................24 3.3.1 Lunghezza ......................................................................................................................... 26 3.3.2 Density profile................................................................................................................... 26 3.3.3 Centromeric index............................................................................................................. 27

3.4 Calcolo dell’ asse cromosomico .............................................................................29 3.4.1 Algoritmo proposto ........................................................................................................... 31 3.4.2 Osservazioni...................................................................................................................... 33

3.5 Algoritmi che sfruttano il calcolo dell’ asse cromosomico ..................................34

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3.5.1 Estrazione del banding pattern ...........................................................................................34 3.5.2 Calcolo della distanza del bordo cromosomico dall’ asse..................................................35 3.5.3 Calcolo del centromeric index ...........................................................................................36

4 RISULTATI............................................................................................39

5 CONCLUSIONE....................................................................................46

BIBLIOGRAFIA............................................................................................47

APPENDICE.................................................................................................49

Abbreviazioni ......................................................................................................................................50

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Sommario

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1 Introduzione

1.1 Scopo della tesi Lo scopo di questo studio è la realizzazione di alcuni algoritmi di interesse nel campo della classificazione di cromosomi.

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2 Tecniche di analisi cromosomica

2.1 I cromosomi I cromosomi sono i trasportatori fondamentali dell’ informazione genetica degli individui. Il DNA umano è organizzato infatti in cromosomi attivi nelle cellule, le quali si dividono, si differenziano e guidano lo sviluppo dell’ intero organismo. Ci sono 46 cromosomi in una normale cellula umana, visivamente i cromosomi possono essere catalogati in una di 24 classi (etichettate 1-22 X, Y) . Le ultime due classi individuano i cromosomi sessuali, che si presentano entrambi nella classe X per le femmine ed uno nella classe X, l’ altro nella classe Y per i maschi. Tutte le altre classi negli individui normali contengono una coppia di cromosomi identici detti omologhi. Ciascun cromosoma componente la coppia di omologhi viene ereditato da ciascun genitore. I cromosomi non sessuali sono detti autosomi. Dall’ osservazione al microscopio risulta che i cromosomi differiscono per dimensione e morfologia. Ogni cromosoma, lungo la sua lunghezza spesso presenta una costrizione chiamata centromero, che è importante per il comportamento dei cromosomi dal punto di vista cellulare. La collocazione del centromero del cromosoma in una delle quattro classiche posizioni è utile per la classificazione dei cromosomi eucarioti. Un cromosoma metacentrico ha il centromero localizzato al centro del cromosoma, che risulta così diviso in due bracci di lunghezza quasi uguale. I cromosomi sub-metacentrici hanno un braccio più lungo dell’ altro, i cromosomi acrocentrici mostrano un braccio con una breve appendice su cui spesso si osserva un lieve rigonfiamento (denominato “satellite”) e i cromosomi telocentrici hanno soltanto un braccio, poiché il centromero è situato ad una estremità (Figura 2.1).

Figura 2.1 Classificazione generale dei cromosomi in metacentrici, submetacentrici, acrocentrici e telocentrici, basata sulla posizione del centromero.

2.1.1 Morfologia La lunghezza relativa dei cromosomi umani varia in modo considerevole, ed unitamente alla posizione del centromero è di aiuto nell’ identificazione dei singoli

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cromosomi. Gruppi di cromosomi umani con morfologia simile sono designati con una lettera da A a G: Gruppo A (1-3): Cromosomi larghi, metacentrici, facilmente distinguibili dagli altri per le dimensioni e la posizione del centromero. Gruppo B (4-5): Cromosomi larghi, submetacentrici. Gruppo C (6-12,X): Cromosomi di taglia media, metacentrici o submetacen- trici. Gruppo D (13-15): Cromosomi di taglia media, acrocentrici, con satelliti. Gruppo E (16-18): Cromosomi relativamente corti, metacentrici o submeta- centrici. Gruppo F (19-20): Cromosomi corti, metacentrici. Gruppo G (21-22,Y): Cromosomi corti, acrocentrici, con satelliti. Y non pos- siede satellite. Questa era l' unica classificazione possibile in assenza di informazioni oltre alla lunghezza cromosomica ed alla posizione centromerica. Quando i diversi cromosomi sono colorati in modo uniforme, è difficile infatti distinguerli in modo non ambiguo basandosi soltanto su dimensione e forma.

2.1.2 Cariogramma Un insieme completo di tutti i cromosomi metafasici di una cellula viene definito cariogramma. Vengono utilizzati di consueto cromosomi metafasici per la generazione di un cariogramma in quanto questo è il loro stato di maggior condensazione nella mitosi (divisione cellulare). I cromosomi si presentano quindi in questa fase nella loro forma più compatta e di più facile osservazione al microscopio dopo appropriata colorazione. È scelta adottata disporre i cromosomi in ordine decrescente secondo la dimensione e la posizione del centromero. In un cariotipo umano i cromosomi sono numerati per una più facile identificazione. Per convenzione il paio di cromosomi omologhi più lungo è designato come 1, il successivo più lungo 2 e così via. (Figura 2.2). Benché in realtà il cromosoma 21 sia più piccolo del cromosoma 22, è chiamato 21 per ragioni storiche.

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(a) (b)

Figura 2.2

Immagine di cromosomi estratti da una cellula in metafase di essere umano di sesso maschile, colorati con Giemsa in (a) ed in (b) il corrispondente cariogramma.

2.1.3 Banding pattern Per semplificare il riconoscimento dei cromosomi è stata sviluppata una serie di tecniche che colorano alcune regioni cromosomiche o bande più intensamente di altre. I bandeggi sono specifici per ogni cromosoma e questo consente di identificare inequivocabilmente ogni cromosoma del cariotipo. Una banda è definita come quella parte del cromosoma che è chiaramente distinguibile dai suoi segmenti adiacenti perché appare più chiara o più scura attraverso una o più tecniche di bandeggio. Bande che appaiono chiare con una colorazione possono apparire scure utilizzando una tecnica diversa. I metodi di colorazione pubblicati per primi utilizzano quinacrine dihydrocloride, un colorante fluorescente che si lega preferenzialmente al DNA ricco di AT e osservati con fluorescenza UV per produrre un banding pattern fluorescente e le bande risultanti vengono definite bandeggio Q. Un pattern quasi identico viene ottenuto sottoponendo i cromosomi a digestione controllata con tripsina e utilizzando in seguito il colorante Giemsa che si lega anch’esso al DNA ; le bande scure corrispondenti vengno nominate bandeggio G, le bande chiare si dicono G-negative; le bande G scure individuano gli stessi segmenti cromosomici delle bande fluorescenti Q. Le bande R sono essenzialmente il contrario delle bande G. I cromosomi vengono denaturati al calore in soluzione salina prima di essere colorati con Giemsa. Il trattamento al calore denatura il DNA ricco di AT e le bande R sono Q-negative. Il metodo di bandeggio T identifica un gruppo di bande R concentrate in particolare ai telomeri. Le bande T sono tra le bande R quelle che si colorano più intensamente e vengono visualizzate sottoponendo i cromosomi a temperature particolarmente elevate prima di colorarli con Giemsa, oppure utilizzando una combinazione di coloranti e fluorocromi. Il bandeggio C si pensa sia in grado di rivelare la presenza di eterocromatina costitutiva. Una nuova tecnica di colorazione consiste nella Fluorescence In-Situ Hybridization (FISH) in cui il DNA viene ibridato attraverso una sonda adatta marcata con fluorescenza consentendo di

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accrescere significativamente la sensibilità e la risoluzione del’ osservazione (Figura 2.3). Recentemente è stata utilizzata un’ ulteriore tecnica nominata M-FISH in cui viene generata un’ immagine composita di cinque differenti tipi di fluorescenza e a ciascun cromosoma viene assegnato uno pseudocolore a seconda della sua composizione di fluorescenze.

(a) (b)

(c)

Figura 2.3 Tre esempi di immagini di cellule diverse in metafase analizzate con una colorazione differente:nella cellula in (a) è stato messo in evidenza il bandeggio G, in (b) sono state ricavate le bande Q, in (c) vengono evidenziati i centromeri con una colorazione FISH che utilizza la fluorescenza DAPI. Cromosomi con bandeggi Q, G, R più lunghi mostrano un numero di bande maggiore rispetto a quelli più corti. L’ aspetto dei cromosomi al microscopio dipende infatti dallo stadio del ciclo di divisione cellulare in cui vengono visti. Il maggior numero di bande presente in stadi di maggiore elongazione fornisce una descrizione con una risoluzione più elevata della struttura del cromosoma, più vantaggiosa ai fini dell’ analisi. L` osservazione in questa fase viene tuttavia resa più difficoltosa a causa della maggiore complessità del banding pattern (bandeggio) e del fatto che cromosomi più lunghi tendono a toccarsi e sovrapporsi molto di più rispetto a cromosomi più corti.

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2.1.4 Ciclo cellulare Per la maggior parte del ciclo cellulare (interfase), i singoli cromosomi non possono essere distinti. La mitosi, ossia il processo di duplicazione cellulare viene solitamente distino in quattro fasi: profase, metafase, anafase e telofase. All’ inizio della profase, i cromosomi sono molto allungato, simili a sottili stringhe longilinee, che in seguito cominciano ad avvolgersi, per cui appaiono al microscopio più corti e spessi. Nella profase avanzata si osserva che ciascun cromosoma è costituito da due subunità longitudinali definite cromatidi fratelli. La metafase inizia quando la membrana nucleare si è dissolta completamente, i cromosomi si scindono originando due copie esatte, unite al centromero, giusto prima che la divisione cellulare abbia luogo. L’ anafase ha inizio quando i centromeri uniti dei due cromatidi fratelli si separano dando origine a due cromosomi figli. La citocinesi (divisione cellulare generalmente inizia negli stadi tardivi dell’ anafase). Durante la telofase si compie il processo di divisione nucleare ed al termine di questo stadio la cellula possiede due nuclei. Benché non significativo dal punto di vista biologico è comune riferirsi ad uno stadio intermedio di contrazione sito tra profase e metafase indicato con il nome di prometafase.

2.1.5 Risoluzione Operativamente questi stadi del ciclo di divisione cellulare vengono definiti dal numero di bande visibili nella cellula. Le cellule in metafase possiedono approssimativamente 450 bande e si definiscono in prometafase quando hanno 550 bande e oltre (vedi Figura 2.4). Una cellula può essere definita in profase soltanto se almeno 850 bande sono visibili. Il numero complessivo di bande visibili in un’ immagine cellulare viene definito risoluzione del bandeggio.

2.1.6 Anomalie cromosomiche I cromosomi possono presentare delle anomalie ossia cambiamenti che producono un un’ alterazione visibile dei cromosomi, quali di queste siano visibili dipende dalla tecnica utilizzata. La maggior parte delle aberrazioni cromosomiche è prodotta da errori nella riparazione di rotture cromosomiche, da errata ricombinazione o da errata segregazione dei cromosomi durante la mitosi. Le anomalie cromosomiche rientrano per lo più in due categorie: la anomalie numeriche e quelle strutturali. Tra le anomalie numeriche sono note triploidia (presenza di cromosomi in eccesso), trisomia (presenza di autosomi in eccesso es. tre cromosomi 21 indicano la sindrome di Down), monosomia (mancanza di un cromosoma ), mosaicismo, tra quelle strutturali si conoscono delezione (perdita di un pezzo di cromosoma), duplicazione inserzione (un frammento staccato si attacca in un altro punto del cromosoma), cromosoma ad anello, marcatore e traslocazione (scambio di frammenti tra cromosomi). Il cariogramma si presenta quindi con tutti i cromosomi con i bandeggi standard soltanto in individui sani.

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(a) (b)

(c)

Figura 2.4 Tre immagini in banda Q di cariogrammi raccolti da cellule di essere umano di sesso maschile a differenti livelli di risoluzione: l’ immagine in (a) rappresenta un cariogramma estratto da una cellula in metafase iniziale. I cromosomi mostrano approssimativamente 500 bande e presentano una forma allungata e sottile. L’ immagine in (b) contiene un cariogramma in cui i cromosomi sono in metafase intermedia e mostrano una struttura accorciata e compatta, in cui si osservano circa 300 bande. Nell’ immagine in (c) i cromosomi si trovano in metafase avanzata, i due cromatidi fratelli sono in via di separazione ma rimangono uniti all’ altezza del centromero. Non sono visibili in questo caso più di 70 bande.

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2.2 International System for Human Cytogenetic Nomenclature

2.2.1 Nomenclatura Il Sistema Internazionale per la Nomenclatura Umana (ISCN [1]) è stabilito dallo Standing Committee of Human Cytogenetic Nomenclature. La terminologia fondamentale per i cromosomi bandeggiati fu decisa in un convegno a Parigi nel 1971 ed è spesso indicata come “nomenclatura di Parigi”. Le localizzazioni sul braccio corto sono indicate da una p (petite), quelle sul braccio lungo con una q (queue). Si considera che i bracci di ciascun cromosoma siano suddivisi in differenti regioni che vengono indicate come p1, p2, p3 etc. e q1, q2, q3 etc., contando a partire dal centromero e andando verso i telomeri. Le varie regioni sono delimitate da punti di riferimento specifici, con caratteristiche morfologiche costanti e distinte, che comprendono le estremità dei bracci cromosomici, il centromero e alcune bande . Le regioni vengono divise in bande indicate come p11, p12, p13, etc., ed in sottobande p11.1, p11.2, etc., con una numerazione che va sempre dal centromero verso i telomeri. Il centromero è indicato come “cen” ed il telomero con “ter”. Xq prossimale significa il segmento del braccio lungo dell’ X che è più vicino al centromero, mentre 2p distale significa la porzione del braccio corto del cromosoma 2 che è più distante dal centromero e, quindi, più vicina al telomero. La posizione del centromero viene definita attraverso il centromeric index ossia il rapporto tra il braccio più corto e l’ intera lunghezza del cromosoma.

Figura 2.5 Cromosoma in banda G con indicazioni relative al centromero e ai bracci p e q. per definizione il braccio più corto viene designato p. la freccia indica la posizione del centromero

Ideogrammi. L’ ISCN ha definito inoltre un insieme di modelli chiamati ideogrammi volti a fornire una descrizione visuale dei bandeggi cromosomici. Per convenzione questi disegni rappresentano le bande G .

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Figura 2.6

Ideogrammi del bandeggio G per cromosomi umani normali a 3 differenti livelli di risoluzione. Da sinistra, i cromosomi in ogni gruppo rappresentano un cariogramma di rispettivamente 400, 550 ed 850 linee di bandeggio. Le bande G scure corrispondono a bande Q fluorescenti, con l’ eccezione delle regioni variabili (in grigio). La numerazione delle bande R è esattamente la stessa con la condizione di complementare bande chiare e scure. Negli ideogrammi viene rappresentata anche la posizione del centromero

2.3 Analisi computerizzata dei cromosomi Ai fini dello sviluppo di un cariogramma una cellula viene fotografata al microscopio ottico durante lo stadio di metafase, dall’ immagine ottenuta vengono ritagliati i cromosomi e disposti nella locazione appropriata, in accordo con la classificazione visiva operata dal citologo Il cariogramma è uno strumento molto utile per riconoscere deviazioni dalla normale struttura di una cellula ma tuttora l’ analisi dei cromosomi e la relativa classificazione vengono eseguite manualmente nella maggior parte dei laboratori di citogenetica, con un procedimento ripetitivo, dispendioso in termini temporali e molto costoso. Il Canadian Workload Measurement System [9] impiega 465 min per la creazione del cariogramma degli amniociti, una della operazioni più comuni in citogenetica. La gran parte del tempo viene dedicata al microscopio, una fase tediante, stressante per l’ occhio e che richiede una meticolosa attenzione ai dettagli, oltre a necessitare di personale molto qualificato.

2.3.1 Analisi automatica L’ analisi automatica dei cromosomi è stata proposta per la prima volta nel 1960. Nei tre decenni passati sono stati compiuti molti sforzi al fine di risolvere il problema della classificazione completamente automatizzata dei cromosomi. Considerando tuttavia gli innumerevoli possibili aspetti con cui si presentano le immagini cromosomiche, bisogna prendere atto che la complessità di questo problema ascende ad un livello elevatissimo.

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I software di creazione automatica del cariogramma disponibili attualmente in commercio si rivelano essere di grande aiuto ma ancora inadeguati. Alcune delle ragioni che spiegano queste modeste prestazioni vanno ricercate nel carente utilizzo della conoscenza e della competenza degli esperti, nell’ insufficiente capacità di eseguire confronti o eliminazioni tra cromosomi nella stessa metafase. In aggiunta i sistemi attuali richiedono sempre l’ interazione dell’ operatore per separare cromosomi che si toccano o sovrappongono e per verificare il risultato della classificazione. L’ analisi al computer dei cromosomi consiste in primo luogo di pre-processing dell’ immagine ottenuta al microscopio, segmentazione,(eventualmente seguita da un processing intermedio), estrazione dei parametri, selezione degli stessi ed infine classificazione.

2.3.2 Pre-processing La fase di pre-processing ha come obiettivo il miglioramento della qualità dell’ immagine cellulare attraverso tecniche di riduzione del rumore, ottimizzazione dei bordi del cromosoma, aumento del contrasto. Procedure di questo tipo si possono riscontrare ad esempio nei lavori di Moradi e Setarehdan [10], in cui, prima di effettuare il calcolo di qualsiasi parametro dipendente dalle condizioni di illuminazione, viene eseguita una normalizzazione dell’ intensità dell’ immagine attraverso la histogram stretching technique. Anche nello studio di Shunren et al. [19], a precedere il successivo stadio di segmentazione viene modificato l’ istogramma dell’ immagine eseguendo uno stretching dei livelli di grigio. Uno dei lavori migliori nell’ambito della realizzazione di un software destinato al image enhancement di immagini cromosomiche è quello compiuto da Wang e Wu [2],[3], in cui viene esaminato quantitativamente l’ effetto del miglioramento dell’ immagine sulle prestazioni del pattern recognition per immagini cromosomiche e si arriva a verificare come l’ image enhancement comporti un significativo incremento nella precisione dell’identificazione. L’ algoritmo che introducono si basa su filtri differenziali che facilitano l’ estrazione delle caratteristiche geometriche multiscala dell’ immagine cromosomica. Considerando che caratteristiche geometriche come i bordi sono correlate a scale differenti nella rappresentazione in wavelets, viene utilizzato un multiscale point-wise product (MPP) per caratterizzare la correlazione degli aspetti peculiari dell’ immagine a diverse scale.

2.3.3 Segmentazione Il proposito della fase di segmentazione verte invece sull’ isolamento dei cromosomi in metafase dallo sfondo, da nuclei cellulari indivisi, da materiale biologico irrilevante presente all’ interno dell’ immagine e altro. In materia è stato scritto molto in letteratura e generalmente si conviene che il primo passo della segmentazione consti di un processo a soglia per la separazione dello sfondo dagli oggetti di interesse. Karvelis et al. nel loro studio [20] ricorrono al processo di thresholding di Otsu così come Guimaraes et al. [21] e Piper e Granum [13]; questo consente di ricondursi ad un’ immagine binaria da cui si ricavano facilmente i cromosomi singoli ma si incontrano ingenti difficoltà nella separazione di cromosomi che si toccano o sovrappongono.

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Tra le ricerche compiute nell’ intento di risolvere questo problema critico sono di notevole interesse quelle effettuate da Karvelis et al. [20] (relativamente tuttavia a gruppi di cromosomi che si toccano soltanto), ove si esegue una iniziale segmentazione utilizzando la watershed transform ed in seguito questa trasformazione viene applicata ricorsivamente ad ogni area segmentata finché non vengono generate ulteriori aree. Infine vengono prodotte le aree segmentate definitive calcolando tutti i percorsi che partono da punti ad alta concavità. Agam e Dinstein [22] propongono un criterio che tratta il problema della separazione di clusters di cromosomi sovrapposti come un problema di identificazione, Shunren et al. [19] introducono ben due metodi di incisione dei cromosomi sovrapposti: il metodo della caratteristica del contorno, che sfrutta elementi del contorno, ad esempio la presenza di punti concavi sul bordo di un cluster costituito da cromosomi sovrapposti, ed il metodo della trasformata di Fourier, che impiega un filtro passa basso di Fourier per elaborare l’ immagine cromosomica e creare una nuova immagine in cui il tono di grigio degli oggetti viene ridistribuito con il gradiente. Da questa utilizzando a seguire un processo a soglia l’ interno del cromosoma viene rivelato. Ulteriori lavori rilevanti in questo senso sono da riferire a Lerner et al. [7] [6], che introduce il metodo CPOOS (Classification Driven Partially Occluded Object Segmentation) che viene applicato, in seguito alla classificazione degli oggetti isolati, sui clusters che non è stato possibile separare. Il metodo prende i punti più concavi lungo la curvatura dell’ immagine e congiungendoli ricava la possibili linee di separazione dei cromosomi; infine le linee di taglio più probabili vengono scelte come effettive. Charters e Graham, [15], cercano di svincolare le sovrapposizioni attraverso modelli del bandeggio cromosomico che possono essere sottoposti ad un training. I modelli consistono di templates dei profili del banding pattern di lunghezza inferiore a quella cromosomica. I segmenti cromosomici candidati vengono classificati in accordo con il loro confronto con l’ intero set di templates, e uniti in base alla classificazione. In uno studio successivo [15], unitamente ai modelli parziali di bandeggio cromosomico vengono considerati modelli addestrabili della forma introducendo una parametrizzazione definita Chord Distribution Model (CDM). La percentuale complessiva di cromosomi identificati correttamente migliora sensibilmente. In seguito alla segmentazione può venire introdotta una ulteriore fase di processing dell’ immagine ottenuta in precedenza, con l’ obiettivo di perfezionare quegli aspetti dell’ immagine che facilitano il riconoscimento dei cromosomi, quali ad esempio il banding pattern. Da noverare in questo senso l’ esempio offerto da Shunren et al. [19] nel loro scritto, ove alla fase di segmentazione segue un’ operazione matematica di opening morfologico, atto ad assottigliare gli oggetti e rimuovere il rumore ancora presente.

2.3.4 Estrazione parametri Quanto segue le fasi descritte in precedenza viene comunemente ricondotto allo stadio di estrazione delle features. Questo punto richiede di effettuare la misura dei parametri cromosomici per estrarne le caratteristiche che in maggior misura si prestano a discriminare le differenti classi cromosomiche. Il risultato poi della selezione delle caratteristiche, se applicata, consente di ricondurre il cromosoma ad una rappresentazione più sintetica che tuttavia contenga la maggior parte dell’

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informazione cromosomica. A partire da quest’ ultima descrizione del cromosoma viene eseguita la classificazione vera e propria, usualmente valendosi di un metodo statistico. L’ utilizzo di parametri piuttosto che dell’ immagine stessa rende il processo di classificazione più semplice, veloce ed accurato. Sono state utilizzate numerose caratteristiche differenti per descrivere un cromosoma, ad esempio nella pubblicazione di Piper e Granum del 1989 [13] vengono vagliati diversi parametri, taluni misurabili direttamente dall’ immagine cromosomica (area, densità relativa, perimetro del convex hull) altri invece ricavati in seguito al calcolo dell’ asse (lunghezza, banding pattern) ed ulteriori che richiedono, oltre al computo dell’ asse, l’ informazione circa la polarità del cromosoma, che può essere ottenuta determinando anche la locazione del centromero (Centromeric Index, ossia il rapporto tra il braccio più corto del cromosoma e l’ intera lunghezza cromosomica). Sweeney at al. [23] calcolano la lunghezza unitamente ai coefficienti wavelet e di Fourier derivati dal profilo densitometrico per formare un vettore di parametri per ciascun cromosoma, Delshadpour [24] aggiunge a lunghezza e banding pattern la decomposizione dei livelli di grigio o componenti della trasformata di Fourier bidimensionale, Guimaraes [21] considera invece il rilevamento della forma del cromosoma, ne ricava il contorno e quindi la relativa decomposizione attraverso la wavelet packet transform. Nonostante molte possibili analisi effettuate su immagini cromosomiche siano state prese in considerazione, quelle maggiormente discriminanti ai fini della classificazione sembrano essere tuttavia la lunghezza ed il centromeric index (ossia due caratteristiche geometriche), ed il density profile (integrale o densità media lungo sezioni perpendicolari al medial axis del cromosoma), come riportato negli studi di Lerner et al. [7] [8], in quelli di Moradi et al. [10], [11], [12], ed in quelli di Cho [17].

2.3.5 Selezione dei parametri Una volta estratti quelle features del cromosoma che si ritengono più utili alla classificazione è possibile cercare di ridurne il numero mantenendo intatto o diminuendo lievemente il contenuto di informazione attraverso la feature selection, che può essere intesa come la ricerca, tra tutte le possibili trasformazioni dello spazio dei parametri, di quella che preserva la separabilità tra le classi in uno spazio con il minor numero possibile di dimensioni. Lerner [7] propone lo knock-out algorithm che valuta, attraverso una matrice che pesa lo scatter within-class e between-class, l’ efficacia di vettori di parametri costituiti di sottoinsiemi del vettore iniziale, eliminando quindi le features meno discriminanti.

2.3.6 Classificazione Il problema che si pone al termine della convenzionale procedura di analisi dei cromosomi è quello della classificazione vera e propria, l’ argomento che è stato maggiormente esaminato nell’ analisi cromosomica. In quest’ ambito il classificatore più popolare è una rete neurale con multi-layer perceptron, usualmente addestrata con un algoritmo di backpropagation come in Delshadpour [24], Lerner [8], Cho [17], Moradi [10]; altri classificatori sono stati studiati, come gli inferred Markov network models di Granum e Thomason [14], statistici come in Piper and Granum

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[13] (maximum likelihood classifier) o ancora fuzzy o nearest neighbor. La maggior parte di questi classificatori ha due inconvenienti: innanzitutto offre prestazioni di livello inferiore rispetto ad un citologo esperto (70-80% paragonato a 99.7%) ed in secondo luogo richiede l’ intervento di un operatore per risolvere casi di erronea classificazione di cromosomi. Alcune delle ragioni alla base di queste limitazioni vanno ricercate nell’ uso inadeguato della metodologia di un esperto (ad esempio il confronto tra cromosomi o l’ eliminazione), l’ utilizzo di parametri limitati nella qualità o nel numero se raffrontati con il potentissimo meccanismo di sintesi del cervello umano, l’ impiego delle stesse caratteristiche specifiche per descrivere tutti i cromosomi e l’ ingenuo tentativo di rappresentare un problema molto complesso, che comporta il riconoscimento di schemi molto sensibili al contesto ed esibisce una naturale varietà, attraverso le restrizioni di una rigida struttura matematica. In ogni caso un completo ed efficiente sistema di classificazione automatica dei cromosomi è un obiettivo molto ambizioso. Molti dei lavori precedentemente riportati sono in effetti da ritenere studi di fattibilità, in cui gli autori si collocano in un contesto limitato (es. analisi di un numero esiguo di classi cromosomiche, o utilizzo di cromosomi privi di difetti genetici, non sovrapposti, non eccessivamente curvati ) ed inoltre i cromosomi considerati vengono prelevati da data sets di utilizzo pubblico, dove i cromosomi vengono colorati con Giemsa il metodo più diffuso per evidenziare il banding pattern.

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3 Sviluppo di algoritmi per la classificazione 3.1 Materiali utilizzati Le immagini che sono state utilizzate sono di tre tipologie: - immagini in banda Q (cromosomi bianchi su sfondo nero) con risoluzione PAL (768x576)

(a) (b)

Figura 3.1 Immagine di cellula in metafase in figura (a) e relativo cariogramma rappresentato in (b).

(a) (b) (c) Figura 3.2

Immagini cromosomiche in dettaglio: cromosoma preso da immagine di una cellula in metafase in (a), proveninti da immagini di cariogramma in (b) ed in (c). In (b) si nota la presenza dello sfondo da cui l’ immagine è stata tratta, in (c) la presenza di di cromosomi sovrapposti.

Oltre alle immagini metafasiche in banda Q, sono state fornite immagini dei cariogrammi relativi, ottenuti da classificazione eseguita da esperti citogenetisti. Le immagini in metafase con bandeggio Q sono quelle maggiormente utilizzate dai laboratori di Padova in quanto più economiche e semplici da ottenere. Tuttavia

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presentano spesso condizioni di illuminazione non ottimali. Le immagini di cariogramma inoltre sono state scontornate manualmente in modo a volte approssimativo, rendendo l’ operazione di estrazione dei parametri piuttosto difficoltosa. Un problema presentatosi, che rende critico l’ ottenimento del bandeggio, consiste nella presenza di overlaps (sovrapposizioni) anche tra cromosomi del cariogramma. - Immagini in banda G acquisite da telecamera digitale (1024x1280)

(a) (b)

Figura 3.3 Cellula in metafase in banda G in (a), relativo cariogramma in (b).

Queste immagini sono state utilizzate in misura minore in quanto, pur essendo il bandeggio G il più studiato in letteratura, le richieste dei laboratori propendono per lo studio del bandeggio Q. - Immagini in banda Q (768x576) con cariogrammi passati attraverso un programma di cariotipizzazione automatica.

(a) (b) Figura 3.4

Cellula in metafase avanzata con banda G (a) e cariogramma filtrato corrispondente (b).

Queste immagini sono state le meno utilizzate in quanto già filtrate (quindi con un banding pattern modificato) e con cellule in metafase avanzata (bassa risoluzione del bandeggio).

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Il software utilizzato per l’ implementazione degli algoritmi è MATLAB release 12, che fornisce una serie di utili toolboxes per semplificare numerose operazioni di uso comune (Wavelet Toolbox, Neural Network Toolbox etc.).

3.2 Algoritmo di image enhancement Il primo degli algoritmi sviluppati i questo studio è un tipo di algoritmo di processing che cerca di soddisfare la necessità di ottenere una trasformazione dell’ immagine in metafase che faciliti l’ estrazione del banding pattern. Questa caratteristica geometrica si presenta come una serie di bande che attraversano il cromosoma con direzione perpendicolare al medial axis. Tra le varie tecniche utilizzate, gli operatori differenziali sono stati usati per molto tempo in quanto semplificano l’ estrazione di importanti features geometriche come i contorni. Questo tipo di operatori può essere considerato come un filtro passa-alto, quindi una tecnica di questo genere raffina l’ immagine estraendo l’ informazione ad alta frequenza. L’ algoritmo implementato prende le mosse dai lavori di Wang e Wu et al. [2], [3], [4], in cui presentano una struttura formale per la rappresentazione di immagini utilizzando operatori differenziali multiscala. Sono stati disegnati molti tipi di wavelets per la rappresentazione multiscala di immagini. Un’ immagine può essere decomposta e ricostruita a partire dalle sue componenti a scale differenti.

3.2.1 Decomposizione e ricostruzione wavelet Avvalendosi delle proprietà delle splines si è ottenuto un rapido algoritmo e le relative rappresentazioni differiscono dai consueti modelli wavelet in quanto sono completi ed invarianti rispetto alla traslazione. In generale queste rappresentazioni sono più flessibili rispetto a quelle ortogonali e si prestano maggiormente al trattamento di immagine in base alla geometria, permettendo di eliminare spiacevoli artefatti introdotti da modifiche dei coefficienti di espansione delle wavelets ortogonali (vedi Appendice). Sfruttando le proprietà delle splines si può ottenere un algoritmo ricorsivo per il calcolo di queste tre derivate parziali locali lungo scale diadiche {2j}j∈ Ζ .Il costrutto teorico che sta alla base dell’ algoritmo può essere ritrovato in [2], [3], [4]. Si ottiene la seguente formula di decomposizione discreta:

112

112

112

11

2)1()1(

23

2)2(

22

2)2(

21

222

),(

),(

),(

),(

−−

−−

−−

−−

⊗=

⊗=

⊗=

⊗=

jjj

jjj

jjj

jjj

ggfSfW

gdfSfW

dgfSfW

hhfSfS

(3.1)

dove 12

),( −↑⊗ jghI rappresenta la convoluzione separabile delle righe e delle

colonne dell’ immagine con i filtri 1-D 12][ −↑ jh e 12

][ −↑ jg rispettivamente. Il simbolo d

22

denota il filtro di Dirac, il cui impulso vale uno nell’ origine e zero altrove. L’ operazione di upsampling di una sequenza { })(nh di un fattore intero m è definita come mh ↑][ . L’ immagine può essere ricostruita seguendo la formula di ricostruzione discreta

11

111

222)1()1(3

2

2)2(2

22)2(1

22

),()~,~(

)~,(),~(

−−

−−−

↑↑

↑↑

⊗+⊗+

+⊗+⊗=

jjjj

jjjjj

hhfSggfW

gufWugfWfS (3.2)

Dove ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ += +

jn

ju n 22))2/(1()( 22 , 0 ≤ j ≤ 2n+2 sono i filtri a risposta

impulsiva finita (FIR) descritti sotto:

(a)

(b)

Figura 3.5 Filtri FIR di decomposizione e ricostruzione: (a) basato sulle linear splines e (b) basato sulle cubic splines

3.2.2 Multiscale pointwise product Seguendo l’ analisi effettuata da Wang-wu et al. nel loro studio [2] viene osservato come bordi e patterns permangono nella decomposizione attraverso scale differenti e sono correlate spazialmente. In questa tesi, come nel loro lavoro viene pertanto adottato il Multiscale Pointwise Product (MPP) per misurare la correlazione cross-scale. Il MPP è definito come

)()(1

2nfWnp

K

jK j∏

=

= (3.3)

23

Questo criterio è stato usato per il rilevamento e la localizzazione, per eliminare il rumore e per il filtraggio di immagini di risonanza magnetica. In realtà, anche prima dell’ utilizzo della wavelet transform, il MPP era stato usato per rafforzare i picchi multiscala dei segnali e contemporaneamente ridurre il rumore, sfruttando la correlazione multiscala dei segnali desiderati. Dato che i massimi di W2

j f (n) dovuti ai contorni nel segnale f (n) tendono a propagarsi attraverso scale differenti contrariamente ai massimi dovuti al rumore, pK rafforza la risposta del segnale piuttosto che del rumore. Il multiscale product ha quindi la capacità intrinseca di sopprimere impulsi stretti ed isolati e al contempo preservare la risposta dei contorni a scale differenti.

3.2.3 Enhancement algorithm L’ algoritmo di miglioramento dell’ immagine può essere riassunto nei tre passi seguenti:

1. Eseguire delle decomposizioni multiscala dell’ immagine usando le spline wavelets ottenendo così una serie di decomposizioni lungo le direzioni orizzontale, verticale e diagonale. L’ utilizzatore può decidere di modificare queste componenti direzionali in modo selettivo attraverso dei coefficienti passati in ingresso, al fine di evidenziare alcuni dettagli di informazione piuttosto che altri.

2. Ordinare i valori di )(np d

K d = 1, 2, 3 ad ogni pixel in ordine crescente. In questo modo si nota quali componenti wavelet contribuiscono in misura maggiore all’ immagine. L’ utilizzatore imposta una soglia μ per i diversi gradi di enhancement. La fase di thresholding usando la formula seguente:

)()(~

2)(

2nfWnfW djd

jj λ= if μ≥)(np dK

= 0 if μ<)(np dK (3.4)

3. Dopo aver modificato le componenti wavelet nei passi precedenti viene

operata la trasformazione wavelet inversa usando la formula di ricostruzione

11

111

222)1()1(3

2

2)2(2

22)2(1

22

),()~,~(

)~,(),~(

−−

−−−

↑↑

↑↑

⊗+⊗+

+⊗+⊗=

jjjj

jjjjj

hhfSggfW

gufWugfWfS (3.2)

4. Si esegue un histogram stretching dell’ immagine ottenuta.

Nella formula, la scelta di μ dipende dal livello del rumore nell’ immagine. Poiché le immagini cromosomiche utilizzate in questo studio hanno poco rumore, il valore di μ viene impostato molto piccolo. L’ utilizzatore ha l’ opzione di impostare differenti valori di λ(j) per ottenere diversi gradi di miglioramento. Generalmente aumentando il valore di λ(j) si ottiene un aumento più evidente del contrasto. Poiché le componenti ad alta frequenza vengono di consueto evidenziate a risoluzioni a bassa scala, conviene impostare un valore più alto di λ(j) a bassa scala.

24

(a)

(b)

Immagine di cellula in metafase in banda G, in (a) prima ed in (b) dopo l’ algoritmo di image enhancement proposto

3.3 Estrazione di parametri L’ obiettivo finale di questa fase di un software di riconoscimento cromosomico è la determinazione di un vettore di parametri, eguale in numero per ciascun cromosoma che sia in grado di fornire una univoca descrizione di ciascuna classe. Tale vettore, qualora passato in ingresso ad un classificatore opportuno dovrebbe essere in grado di determinare la classe di appartenenza del cromosoma. Si possono distinguere parametri cromosomici di quattro livelli: quelli di livello 1 vengono ottenuti da una misura diretta dell’ immagine cromosomica e sono ad esempio l’ area cromosomica, la densità relativa (rapporto tra densità ottica totale e area), e il perimetro del convex hull. Le caratteristiche di livello 2 richiedono l’ asse come ad esempio la lunghezza cromosomica, quelle di livello 3 richiedono sia l’ informazione circa l’ asse , sia quella relativa alla polarità del cromosoma ed un esempio è il density profile, infine i parametri di livello 4 necessitano ulteriormente della conoscenza della posizione del centromero, ad esempio il banding pattern.

25

(a) (b)

(c)

Figura 3.6 Parametri cromosomici di differenti livelli: in (a) un cromosoma, il suo convex hull ed il rettangolo circoscritto di larghezza minima derivato dal convex hull, che viene utilizzato per ruotare il cromosoma in posizione verticale (parametro di livello 1).In (b) l’ asse mediano del cromosoma utile per trovare la lunghezza cromosomica (livello2). In (c) viene evidenziato il banding pattern di un cromosoma ossia la media dell’ intensità del cromosoma lungo linee perpendicolari al medial axis (livello 3).

Tra i lavori di letteratura utili alla scelta delle caratteristiche cromosomiche che si prestano in maggior misura all’ identificazione, vi sono gli studi di Lerner et al. [6], [7], [8], in cui viene chiaramente indicato come, benché le caratteristiche globali del cromosoma come l’ area possano essere calcolate molto facilmente e siano adatte per l’ implementazione, una combinazione di caratteristiche geometriche (lunghezza e centromeric index) e di intensità (density profile) consenta di ottenere un miglior discriminazione nella classificazione dei cinque tipi cromosomici considerati nel data set dello studio. Il grafico riportato in Figura 3.7, mostra come un vettore di parametri cromosomici costituito da lunghezza, CI e density profile consenta di ottenere una percentuale di riconoscimenti corretti ottimale (compresa tra il 90% ed il 100%), con l’ aggiunta di soltanto 5-10 parametri del density profile, mentre vettori privi della lunghezza ma contenenti il centromeric index raggiungono percentuali simili con l’ aggiunta di 18-20 caratteristiche del bandeggio ulteriori. Vettori infine contenenti soltanto parametri del density profile necessitano di almeno 28-30

26

caratteristiche per raggiungere percentuali superiori al 90% (ricordando che vengono considerati soltanto 5 classi cromosomiche) .

Figura 3.7

Studio effettuato da Lerner et al. [7] [8] per valutare l’ importanza del numero di elementi (in ascissa) del vettore di parametri con cui viene descritto un cromosoma per ottenere una classificazione corretta (valore in percentuale in ordinata). La linea continua rappresenta il vettore costituito dal solo density profile, la linea con” x” rappresenta il vettore con centromeric index e density profile, la linea con “o” indica l’ utilizzo di lunghezza, CI e DP.

Per questa ragione in questo studio è stato concentrato il lavoro sull’ ottenimento di lunghezza, posizione del centromero (quindi centromeric index) e density profile.

3.3.1 Lunghezza Questo parametro cromosomico può essere ottenuto semplicemente come una misura in pixel della lunghezza dell’ asse cromosomico. Nel caso l’ asse venga calcolato attraverso il computo della Medial Axis Transform (vedi par. 3.4) la lunghezza può essere considerata quella del medial axis finché questo non si dirama, e quella della mediana del triangolo costituito dalle due biforcazioni e dal bordo del cromosoma dove iniziano le ramificazioni.

3.3.2 Density profile Ogni campione del density profile viene definito da Moradi et al. [10] come la media o l’ integrale dell’ intensità dei pixels che giacciono su di una linea perpendicolare all’ approssimazione dell’ asse del cromosoma. A questo proposito,in corrispondenza di ogni pixel che appartiene all’ approssimazione della curva centrale del cromosoma

27

viene considerata una retta e vengono mediati i livelli di grigio dei pixel che vi appartengono, generando così un campione del DP-signal ossia un numero compreso nel range 0-255. Nel caso di cromosomi a bande G (come quelli nel data set di Moradi ) poiché usualmente è desiderabile attribuire i picchi del DP-signal alle regioni più scure del cromosoma, ogni campione del DP-signal viene rimpiazzato dal suo complemento a 255.

Figura 3.8

Density profile signal calcolato per i due cromosomi 17 e 18 appartenetnti al gruppo E.

3.3.3 Centromeric index Nel lavoro di Moradi et al. [11] si considera che da un punto di vista morfologico il centromero è il punto lungo l’ asse del cromosoma che possiede la minor larghezza. In corrispondenza del centromero e distinguibile un restringimento lungo i bordi del cromosoma. Per questo motivo è sufficiente ottenere anche in questo caso una versione binaria dell’ immagine attraverso un processo di thresholding, con una soglia che differisce da un’ immagine all’ altra. Una volta ottenuta la binarizzazione vengono calcolati i vettori proiezione nelle direzioni orizzontale e verticale sommando i valori dei pixel lungo le linee di proiezione. Quando sono stati ottenuti i valori delle proiezioni orizzontali, per l’ intera lunghezza del cromosoma, il minimo globale che si presenta nella parte centrale del cromosoma può venire considerato come come locazione del centromero. Calcolando il medial axis, il punto di questo che corrisponde alla posizione del centromero sul piano proiettivo può essere approssimato come locazione del centromero sull’ asse e da questo è possibile ottenere i vettori proiettivi. Questo metodo di calcolo del centromero necessita di cromosomi che si trovi in posizione verticale e presenta tuttavia l’ inconveniente di non riuscire a determinare una locazione corretta se vengono analizzati cromosomi troppo piegati.

28

Figura 3.9

Il metodo di calcolo del centromero basato sul computo dei vettori proiettivi.

La metodologia proposta da Lerner et al. [7] prevede di localizzare la posizione centromerica ricercando la coppia più vicina di punti opposti del contorno lungo linee perpendicolari all’ asse. Questo metodo da risultati migliori rispetto al precedente tuttavia il problema critico di questo approccio si trova nel fatto che la “testa” e la “coda” del cromosoma debbono essere tagliate, sarebbero infatti dei punti di minimo assoluto, e la posizione del taglio è di difficile determinazione (non si conosce a priori infatti se il cromosoma è metacentrico o acrocentrico). Un tentativo di ovviare a questo inconveniente è stato proposto da Piper e Granum;la soluzione adottata in questo lavoro [13] è quella di ottenere il profilo del cromosoma inteso come distanza del bordo del cromosoma dall’ asse, e rifletterlo vicino alle estremità. Se il profilo del cromosoma viene rappresentato come una funzione S di una variabile intera che ha valori non nulli nel range [0-l] ed è zero altrove, dove l è la lunghezza del profilo, allora il profilo è una funzione S’(i) = S(i) + S(k-i) + S(2l-k-i) dove k < l è la lunghezza della sovrapposizione tra il profilo originale e le sue riflessioni. S’ è non nullo nel range [k-l, 2l-k] . L’ effetto di questa trasformazione e indurre un minimo locale artificiale nel profilo si un cromosoma acrocentrico, distinto da uno metacentrico. Questo giace usualmente a k/2 dall’ estremo del profilo originale e quindi k viene preso tale che k/2l è la lunghezza media CI per cromosomi acrocentrici normali. Nel caso di cromosomi metacentrici il minimo globale del profilo trasformato è quasi sempre ancora nel centromero, mentre nel caso di cromosoma acrocentrico il minimo locale indotto nel profilo trasformato costituisce anche il minimo globale (vedi ). Anche questo metodo tuttavia necessita di cromosomi con bordi sufficientemente regolari, che consentano con una semplice funzione di minimo, di determinare la posizione centromerica, condizione non verificata in molte immagini di cromosomi in particolare in banda Q.

Figura 3.10 Trasformazione del shape profile di cromosomi con bandeggio G attraverso la riflessione alle due estremità:Cromosoma metacentrico. La posizione del centromero viene indicata dalla linea trasversale all’ asse.

29

Figura 3.11 Trasformazione del shape profile di cromosomi con bandeggio G attraverso la riflessione alle due estremità: caso di cromosoma acrocentrico.

Tutte le caratteristiche considerate maggiormente discriminanti ai fini della classificazione richiedono quindi il computo dell’ asse del cromosoma. Ecco perché il primo passo è la determinazione di un algoritmo che riesca ad ottenere una buona curva centrale anche per cromosomi morfologicamente complessi.

3.4 Calcolo dell’ asse cromosomico Gli algoritmi utilizzati per ottenere il medial axis possono essere suddivisi in due grandi categorie dipendentemente dal tipo di informazione preservata: algoritmi di tipo “skeleton” e algoritmi di “thinning”. Negli algoritmi skeleton ogni punto viene specificato attraverso la sua distanza dal punto più vicino del contorno. Lo skeleton viene a seguire definito come l’ insieme di punti la cui distanza dal più vicino punto del contorno è localmente massima. Negli algoritmi di thinning invece i punti del bordo vengono gradualmente eliminati se la loro rimozione non modifica la topologia dell’ oggetto. I più utilizzati algoritmi di calcolo dell’ asse cromosomico si fondano sul computo della Medial Axis Transform (MAT), una trasformazione molto conveniente ai fini della rappresentazione di oggetti di forma allungata, dove la larghezza degli oggetti contiene poca (se non nessuna) informazione utile, come ad esempio nel riconoscimento di caratteri o proprio nell’ identificazione di pattern cromosomici. La MAT di un oggetto preserva le proprietà topologiche dell’ oggetto e riduce le esigenze di memoria e tempo di computazione.Dal punto di vista geometrico il medial axis di un oggetto solido può essere definito come il luogo dei centri dei dischi massimali inscritti nel dominio dato. Nello studio di Moradi et al. [10] il computo del medial axis fornisce una curva che passa attraverso il centro del cromosoma lungo la sua direzione longitudinale e si divide in due parti nei pressi delle due estremità. Per ottenere il medial axis si necessita di una versione binaria dell’ immagine, in cui l’ oggetto e lo sfondo sono separati. La versione binaria può essere ottenuta attraverso un opportuno processo a soglia. In seguito, nell’ algoritmo considerato nel lavoro di Moradi viene ricavata una versione primaria dell’ asse basata sulla Euclidean distance transform ed in seguito un processo di raffinamento consente di ottenere il medial axis. La lunghezza del cromosoma viene quindi definita come la lunghezza della curva centrale che coincide con il medial axis per la maggior parte, eccetto ai due estremi del cromosoma. In questi punti il medial axis è diviso in parti e la curva centrale viene approssimata con la mediana del triangolo formato da questi due rami e dal bordo del cromosoma.

30

Figura 3.12

Medial axis transform ottenuta secondo il procedimento descritto da Moradi: in(a) un tipico cromosoma 17 dove è stata identificata la curva centrale; in (b) l’ immagine in versione binaria dello stesso cromosoma; in (c) la distance transform dell’ immagine binaria ed in (d) il medial axis del cromosoma dove sono ancora presenti le due diramazioni.

L’ algoritmo determinato da Moradi in realtà non garantisce un asse cromosomico connesso e della larghezza di un pixel. Altri metodi sono stati studiati per la determinazione dell’ asse. Nello studio di Piper e Granum [13] vengono utilizzati due differenti algoritmi per il calcolo dell’ asse cromosomico. Il primo, definito “poor man’s skeleton”, è più rapido ma necessita di cromosomi non troppo piegati essendo fondato sul calcolo del punto medio di ogni linea orizzontale attraverso il cromosoma orientato verticalmente. Il secondo asse viene invece ricavato a partire dal convenzionale algoritmo di skeletonization (operazione morfologica di dilatazione seguita da una di erosione), seguito da un’ estensione delle estremità e da un’ operazione di smoothing (vedi Figura 3.14).

Figura 3.13

Stadi del computo dell’ asse a partire dall skeleton secondo Piper e Granum; in (a) viene rappresentata l’ operazione di skeletonization, in (b) la rappresentazione poligonale di (a); in (c) l’ operazione di estensione delle estremità ed in (d) l’ asse dopo lo smoothing realizzato attraverso una convoluzione con un filtro passa-basso.

31

3.4.1 Algoritmo proposto In questo studio l’ algoritmo utilizzato per il calcolo dell’ asse è stato ottenuto prendendo le mosse da uno simile utilizzato già in ambito biomedico per effettuare il tracking dei vasi sanguigni dell’ occhio umano. La computazione dell’ asse cromosomico è basata sulla sua rappresentazione come immagine binaria. L’ immagine binaria viene ottenuta attraverso l’ applicazione di un processo a soglia all’ immagine in livelli di grigio. Le variazioni dei livelli di grigio tra tipi diversi di cromosomi e le diverse condizioni di illuminazione impongono la scelta di una soglia adattativa. MATLAB dispone di istruzioni che consentono, a partire da un’ immagine in toni di grigio, il calcolo di una soglia secondo il metodo di Otsu (graythresh). Questa è la soglia che è stata utilizzata per ottenere la binarizzazione.

(a) (b)

Figura 3.14 Operazione di thresholding con soglia di Otsu: in (a) l’ immagine da segmentare ed in (b) l’ effetto della binarizzazione a soglia.

Il software di calcolo dell’ asse implementato, cui in ingresso viene quindi passata la versione binaria dell’ immagine, si compone di quattro step principali:

1) Determinazione del punto di partenza da cui in seguito viene generato l’ asse completo. Il pixel da cui ha inizio l’ algoritmo può essere scelto in modo abbastanza arbitrario, è sufficiente che si trovi in una posizione sufficientemente “centrale” dell’ immagine cromosomica e non eccessivamente in prossimità del bordo. Nell’ algoritmo implementato viene scelto come iniziale il primo punto di una versione dell’ immagine generata attraverso una operazione morfologica di thinning, seguita da una di pulizia (pruning).

2) Il punto ottenuto viene usato come centro per la generazione di un fascio di rette che vengono intersecate con l’ immagine binaria d’ ingresso ottenendone dei segmenti. Tra tutti i segmenti trovati vengono messe in memoria le coordinate cartesiane degli estremi del segmento più corto. Il punto medio del segmento minimo ottenuto viene considerato il primo punto del medial axis del cromosoma. Vengono determinati due punti successivi dell’ asse cromosomico

32

come punti medi di due segmenti paralleli al primo ma traslati di un passo “sopra” e “sotto”.

3) I due nuovi punti trovati identificano col primo due vettori. Per ottenere i punti ulteriori, questi vettori vengono prolungati di un passo ottenendo due punti prova e i punti medi dei segmenti passanti per il punto prova e perpendicolari ai vettori precedenti costituiscono due nuovi punti dell’ asse. I vettori vengono aggiornati con gli ultimi punti trovati. Questo passo viene ripetuto finché un punto non esce dal bordo del cromosoma.

4) Vengono ricalcolati gli estremi dell’ asse trovato in precedenza e

considerati come prolungamento dei due precedenti.

Figura 3.15

Immagine cromosomica binaria con i punti della primaria versione dell’ asse calcolato indicati con x.

5) Si esegue un’ operazione di smoothing dell’ asse con un’

interpolazione spline dei punti.

Figura 3.16

Immagine cromosomica con la versione finale dell’ asse.

33

3.4.2 Osservazioni Osservazione 1. Al di là di una generica conformazione longitudinale, la struttura naturale dei cromosomi è costituita da molte possibili configurazioni e forme, ecco perché si rende necessario l’ ausilio di un efficace sistema di controllo, per evitare di incorrere in anomale deviazioni dell’ asse dal suo regolare percorso. Nel caso in esame il controllo considera distanza di due successivi punti dell’ asse ed angolo del vettore che essi formano e, nel caso superino una soglia pre-impostata sulla base di numerose osservazioni su immagini cromosomiche, termina la chiamata all’ algoritmo di calcolo dell’ asse precedente, l’ ultimo punto viene eliminato e si riprende dal punto precedente con il calcolo del fascio di rette. Questo computo ha lo svantaggio di contenere molti cicli annidati e quindi avere un peso notevole in termini di velocità computazionale, per questo motivo si è cercato di accelerare il processo attraverso una riduzione del numero di step adibito ad ogni ciclo, e l’ utilizzo dell’ algoritmo che procede per vettori successivi. Osservazione 2. Nelle vicinanze di testa e coda del cromosoma si è reso necessario il ricalcolo dei punti finali in quanto spesso il cromosoma ha in questi punti critici un forma complessa (cromatidi in separazione, frammenti mancanti etc.). Osservazione 3. L’ operazione terminale di approssimazione con una spline consente anche di utilizzare un passo qualsiasi per i punti dell’ asse per ciascun cromosoma, possibilità utile nel caso si desideri variare la dimensione del vettore con cui descrivere un cromosoma. Osservazione 4. Una volta ottenuto l’ asse del cromosoma è stato immediato giungere alla lunghezza cromosomica come dimensione in pixel dell’ asse. Osservazione 5. L’ asse così costruito, pur essendo specifico per forme cromosomiche è risultato di ausilio anche nella realizzazione di un software di segmentazione dove vengono considerati frammenti cromosomici di forme qualsiasi.

Figura 3.17

Immagine binaria di cromosoma con due touchings. L’ asse del cromosoma principale non ha subito anomale deviazioni.

34

3.5 Algoritmi che sfruttano il calcolo dell’ asse cromosomico Una volta ottenuto l’ asse l’ estrazione degli ulteriori parametri di caratterizzazione di un cromosoma si fonda su di esso. Gli algoritmi successivi cercano di estrarre le altre due features di maggiore importanza, oltre la lunghezza cromosomica: banding pattern e centromeric index.

3.5.1 Estrazione del banding pattern Il banding pattern è stato ottenuto anche in questa tesi come la media delle intensità dei pixel lungo linee perpendicolari al medial axis del cromosoma. Il metodo qui utilizzato prevede i seguenti passi:

1) Ricavare l’ asse sfruttando l’ algoritmo precedente. 2) Per ogni punto dell’ asse determinare la tangente all’ interpolazione spline

della curva, calcolarne il vettore perpendicolare e determinare tutti i punti che giacciono su questa retta compresi entro il cromosoma.

3) Mediare le intensità dei pixel determinati.

(a)

0 10 20 30 40 50 60 700

20

40

60

80

100

120

140

160

180Density profile signal

Punti del medial axis

DP-s

igna

l

(b)

Figura 3.18 Density profile signal: in (a) è rappresentato il complemento di un’ immagine cromosomica in banda Q. In (b) il grafico del density profile, in ascissa il numero di punti dell’ asse cromosomico, in ordinata la media dell’ intensità dei pixel lungo linee perpendicolari all’ asse.

35

Osservazione. Per ciascuno dei cromosomi presi in esame è stato trovato un vettore di valori del Density profile signal, poi normalizzato in dimensione ed in valore, in accordo con quanto svolto in molti dei lavori correlati visionati.

3.5.2 Calcolo della distanza del bordo cromosomico dall’ asse L’ algoritmo di calcolo della distanza del contorno del cromosoma dalla sua curva centrale è risultato essere utile non soltanto ai fini della determinazione della posizione del centromero, ma anche in sede di segmentazione dell’ immagine. Il calcolo di questa distanza consente infatti di ricostruire in un grafico una rappresentazione rettificata della forma del cromosoma, utile a verificare la somiglianza con un modello di cromosoma. Anche in questo algoritmo viene utilizzata soltanto la versione binaria dell’ immagine cromosomica. L’ algoritmo è stato costruito in questo modo:

1) Estrazione dell’ asse attraverso l’ algoritmo trattato in precedenza. 2) Dall’ interpolazione dell’ asse determinazione delle rette a essa

perpendicolari, computo delle intersezioni di queste con l’ immagine binaria del cromosoma.

3) Calcolo della distanza tra gli estremi ottenuti in precedenza e l’ asse

cromosomico, positiva o negativa a seconda che i punti si trovino da una parte o dall’ altra rispetto all’ asse cromosomico.

0 10 20 30 40 50 60 70-15

-10

-5

0

5

10

15Chromosome border

Punti dell' asse cromosomico

Dista

nze

del b

ordo

dall' a

sse

in p

ixel

Figura 3.19 Distanza dell’ asse cromosomicocalcolata per il cromosoma di Figura 3.18 (a): l’ asse divide il cromosoma in due parti. Per ciascuna viene calcolata la distanza del bordo dall’ asse. Il grafico ottenuto mostra la sagoma del cromosoma rettificata.

36

0 10 20 30 40 50 60 700

5

10

15

20

25Contour function

Punti dell' asse cromosomico

Fun

zion

e co

ntor

no

Figura 3.20 Funzione contorno: è ottenuta dalla somma tra le due distanze dai bordi calcolate nel grafico precedente.

3.5.3 Calcolo del centromeric index La posizione del centromero nei cromosomi delle immagini utilizzate è di difficile localizzazione. Le condizioni di illuminazione delle immagini in possesso sono scadenti e i bordi dei cromosomi sono poco definiti. Si è cercato di determinare il centromeric index prendendo le mosse da alcuni algoritmi presenti in letteratura. Come il precedente anche questo algoritmo necessita soltanto dell’ immagine in versione binaria; i passi:

1) Computo di asse e distanza del bordo dallo stesso. 2) Determinazione della funzione contorno, ossia per ogni punto della curva

centrale, la somma tra le distanze del bordo cromosomico da una parte e dall’ altra dell’ asse.

3) Calcolo del minimo della funzione contorno dopo aver eliminato il 10% dei

punti dell’ asse agli estremi del cromosoma. La posizione centromerica così ottenuta trascura tuttavia la possibilità che il centromero sia situato alle estremità del cromosoma, evento che si verifica nel caso di cromosomi acrocentrici e telocentrici

37

0 10 20 30 40 50 600

5

10

15

20

25Contour function and centromere position

Punti dell' asse

Fun

zion

e co

ntor

no

Contour function

Centromero

Figura 3.21 Determinazione della posizione del centromero come minimo della funzione contorno nei punti “centrali” del cromosoma.

38

39

4 Risultati

4.1 Risultati dell’ image enhancement Il miglioramento del contrasto dell’ immagine si può riscontrare visivamente operando un confronto tra immagini prima e dopo l’ applicazione dell’ algoritmo. L’ immagine in fig mostra il risultato dell’ algoritmo su di un’ immagine di cellula metafasica in banda Q. Inizialmente l’ immagine viene complementata per rendere il bandeggio visivamente più chiaro (questa operazione non aggiunge informazione). Viene poi applicato il metodo di enhancement, dove nella wavelet decomposition si è giunti fino al livello 3 e i coefficienti λ(j) utilizzati sono 5, 2, 2 per la risoluzione in bassa, media ed alta scala rispettivamente, mentre per μ è stato scelto 0.01.

(a)

(b)

40

Dare una quantificazione dei risultati del miglioramento di un’ immagine è generalmente difficoltoso. Il contrasto viene spesso definito come la differenza di luminosità media tra gli oggetti e lo sfondo. L’ effetto del miglioramento dell’ immagine alla fine viene giudicato sulla base dell’ accuratezza nella classificazione dei cromosomi, per determinare se il miglioramento conseguito ha come effetto una migliore cariotipizzazione e quindi una diagnosi semplificata. A questo proposito da Wang et al. [2] viene utilizzato un classificatore bayesiano per effettuare la classificazione dei cromosomi. Estraendo sempre le stesse caratteristiche utilizzando la stessa procedura (che include lunghezza normalizzata, densità, centromeric index e distribuzione di densità pesata), viene effettuato un confronto tra il metodo di enhancement proposto e altri metodi, da cui risulta che il primo ottiene il più basso error rate.

Figura 4.1 Curve dell’ error rate di classificazione come funzione del numero delle features utilizzato. I metodi testati sono: adaptive contrast stretch (ACE), adaptive contrast enhancement (ACE) e contrast gain transform (CGT). Il metodo proposto è il multiscale contrast enhancement (MCE)

41

4.2 Risultati del calcolo dell’asse e degli algoritmi correlati

Risultati del DP signal

Risultati funzione contorno

42

Precisione determinazione del centromero

4.3 Determinazione distanza tra classi Per avere una valutazione circa la capacità degli algoritmi di estrazione delle caratteristiche implementati di determinare l’ appartenenza di un cromosoma ad una determinata classe, si è ottenuto un vettore di parametri cromosomici di 65 elementi per ciascun cromosoma. Il primo parametro è costituito dalla lunghezza del cromosoma, gli ulteriori 64 sono valori del density profile. Le immagini da cui le features sono state estratte sono 7 cariogrammi di cellula in metafase cui è stata effettuata un’ operazione manuale di scontornatura per togliere materiale non cromosomico presente a causa di una approssimativa segmentazione.

43

Utilizzando il vettore 65-dimensionale, innanzitutto è stato realizzato un plot delle lunghezze dei cromosomi in relazione al loro tipo. Si vede chiaramente come sia possibile differenziare abbastanza cromosomi, o restringere la possibile appartenenza di un cromosoma con una determinata lunghezza ad 1-3 tipi.

2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 220

0.2

0.4

0.6

0.8

1

N° della classe

Lung

hezz

a no

rmal

izza

ta d

el c

rom

osom

aLunghezza cromosomica

Intervallo di confidenza

Lunghezza cromosomica normalizzataMedia

Figura 4.2

Sono stati poi calcolati il vettore medio per ogni tipo di cromosoma delle 64 features, ottenendo un ‘prototipo’ per ogni classe. I seguito si è ricavata la correlazione di ogni cromosoma coi prototipi, sperando che la correlazione massima si ottenesse col prototipi della classe di appartenenza.

Tipo di cromosoma

Dat

i ord

inat

i per

tip

o di

cro

mos

oma

Pattern correlation

5 10 15 20

50

100

150

200

250

-0.6

-0.4

-0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

44

Figura 4.3 Il passo successivo è stato il calcolo di un vettore di features ottenuto prendendo il segno della derivata del vettore di caratteristiche precedente. Il prototipo per ogni classe è ottenuto calcolando il segno della derivata sui prototipi calcolati al punto precedente

Tipi di cromosoma

Dat

i per

tip

o di

cro

mos

oma

Correlazione della derivata

5 10 15 20

50

100

150

200

250-0.2

0

0.2

0.4

0.6

0.8

Figura 4.4

Si sono moltiplicate le correlazioni ai due passi precedenti ed in effetti sembra che i massimi di questa misura si trovino in corrispondenza delle classi corrette.

Tipo di cromosoma

Dat

i ord

inat

i per

tipo

di c

rom

osom

a

Correlazione pattern X correlazione derivata

5 10 15 20

50

100

150

200

250-0.1

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

Figura 4.5

45

Osservazione 1: il cromosoma 22 ha correlazioni bassissime, ma probabilmente si può classificare per esclusione.

46

Conclusione

47

Bibliografia

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48

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49

Appendice Nel caso unidimensionale (1-D) una wavelet differenziale che assomiglia al mexican hat o Lapalcian of Gaussian (LoG) è definita come la derivata seconda di B-splines di ordini differenti:

))12()2(2)12((2)(41 2

22

2

1 −+−+== +− xxxx

dxd nnnnn ββββψ

La wavelet transform è definita come:

njj ffW

22ψ⊗= j= 1, 2, .... , J

Se introduciamo l’ operazione di smoothing

njj ffS 22 β⊗= j=1, 2, … , J

Si può dimostrare che le trasformazioni sopra sono le derivate seconde delle operazioni di smoothing.

50

Una rappresentazione multiscala di un’ immagine può essere ottenuta dalla convoluzione dell’ immagine con una funzione di smoothing bidimensionale (2-D) definita come Formula 3 a diverse scale. Per l’ implementazione discreta, si approssimano le tre componenti delle derivate direzionali, o decomposizione wavelet come: formula

Abbreviazioni DNA deossiribonucleic acid AT adenosine trifosfate