Sulle tracce dei figli

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edizioni la meridiana p a r t e n z e Manuale di sopravvivenza per genitori troppo “buoni” Saverio Abbruzzese SULLE TRACCE DEI FIGLI

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"Checosaèsuccessooggiascuolaamamma?" Provate a mettervi nei panni di quel ragazzino che torna da scuola e si sente investito da questa domanda, posta con tono ansioso ogni giorno. Come se ogni giorno a scuola avvenissero eventi memorabili e questi eventi riguardassero la mamma. In questo libro troverete "le parole dei genitori", una rassegna delle modalità comunicative più utilizzate in famiglia per riflettere su quello che diciamo, su come lo diciamo e sui livelli di consapevolezza di quello che diciamo. Sono descritti gli errori in cui cadiamo e gli effetti sui nostri figli. Questo libro cerca di capire cos’è cambiato fra i tempi dei genitori e i giovani d’oggi. Sarete messi in guardia da quella forma di bontà genitoriale che si trasforma in ricatto affettivo, che produce tanti sensi di colpa nei figli. È giunta l’ora che i genitori si rivestano di autorevolezza e diventino più assertivi.

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Euro 13,50 (I.i.)

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

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ISBN 978-88-6153-169-7

edizioni la meridianap a r t e n z e

Manuale di sopravvivenza per genitori troppo “buoni”

Saverio Abbruzzese

SULLE TRACCEDEI FIGLIChecosaèsuccessooggiascuolaamamma? Così, tutto d’un fiato. Quante volte avete

fatto questa domanda a vostro figlio? Che cosa c’è di male? Direte voi. Ognigenitore deve interessarsi di quello che succede al figlio.Certo, ci mancherebbe altro.Ma provate a mettervi nei panni di quel ragazzino, che torna da scuola e,appena varca la porta di casa, si sente investito da questa domanda dellamadre, posta con tono ansioso, ogni giorno. Come se ogni giorno a scuolaavvenissero eventi memorabili. Come se questi eventi riguardassero lamamma. Come se a scuola ci fosse la mamma.In questo libro troverete “le parole dei genitori”, cioè una una rassegna dellemodalità comunicative più frequenti utilizzate in famiglia: per riflettere suquello che diciamo, su come lo diciamo e sui livelli di consapevolezza diquello che diciamo. Sono descritti gli errori in cui cadiamo, spessoinvolontariamente, e gli effetti di queste modalità comunicative sui nostrifigli.“Ai miei tempi – come spesso dicono i genitori più anziani – c’era un’altramusica.” Questo libro cerca appunto di capire cos’è cambiato fra “i mieitempi” e i giovani d’oggi.Sarete messi in guardia anche da quella forma stucchevole di bontà genitorialeche si trasforma in ricatto affettivo, che produce tanti sensi di colpa nei figli.È giunta l’ora che i genitori si rivestano di autorevolezza e diventino piùassertivi. Imparino a utilizzare più punti esclamativi e meno puntiinterrogativi. Se non è chiaro il concetto, proseguite nella lettura di questovolumetto, una sorta di manuale di sopravvivenza per genitori troppo“buoni”.

Saverio Abbruzzese, psicologo psicoterapeuta, criminologo clinico, è stato giudiceonorario del Tribunale per i Minorenni di Bari, ha lavorato come psicologo scolasticonei centri d’ascolto nei diversi ordini di scuola ed è stato docente di Psicologiadell’adolescenza all’Università di Bari. Attualmente insegna Scienze umane nei liceied è docente di Psicopedagogia delle differenze individuali presso la facoltà diScienze della Formazione dell’Università di Bari.Con la meridiana ha pubblicato Un posto per parlare. L’ascolto a scuola (2006).

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Indice Introduzione.......................................................

La famiglia “figliale”..........................................

Ridondanze e assertività.....................................

I giovani di oggi e quelli di una volta ..................

I tempi della pubertà e dell’adolescenza.............

La precocità sessuale..........................................

Genitori troppo disponibili..................................

Regole e affetti.......................................................

Lo zelo genitoriale.................................................

Si può educare senza punire?...............................

Genitori autoritari e genitori autorevoli..............

Empatia genitoriale...............................................

Armonia famigliare e armonia coniugale............

Comunicare in famiglia........................................

Gratitudine figliale................................................

Confronti e preferenze..........................................

Il fascino del male.................................................

Figli aggressivi.......................................................

Amici......................................................................

A scuola.................................................................

Identikit dei nuovi adolescenti.............................

Bibliografia............................................................

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Introduzione

Se non conosci bene te stesso, come fai a conoscere un altro?

E quando conosci te stesso, tu sei l’altro.Nisargadatta Maharaj

Checosaèsuccessooggiascuolaamamma? Così,tutto d’un fiato. Quante volte avete fatto questa domanda a vostrofiglio? Che cosa c’è di male? Direte voi. Ogni genitoredeve interessarsi di quello che succede al figlio. Certo, ci mancherebbe altro. Ma provate a mettervinei panni di quel ragazzino, che torna da scuola e,appena varca la porta di casa, si sente investito daquesta domanda della madre, posta con tonoansioso, ogni giorno. Ripeto: ogni giorno. Come seogni giorno a scuola avvenissero eventi memora-bili. Come se questi eventi riguardassero lamamma. Come se a scuola ci fosse la mamma.“La dose fa il veleno”, diceva Paracelso, medicocontroverso del ’500. Aveva capito che il phar-makon, preso in piccole dosi può costituire unrimedio, ma in dosi eccessive si trasforma in undanno per l’organismo. Ed in effetti il significatodella parola pharmakon è ambiguo, anzi è doppio,perché sta ad indicare appunto il farmaco che si usain medicina per guarire, ma anche il veleno cheuccide.Possiamo attribuire questo doppio significato ancheal logos. La parola può salvare, ma anche fare delmale, aiutare, ma anche denigrare, sostenere, maanche deprimere. Pensate alla buona novella, maanche ai versetti satanici.

Il problema, a volte, non è quello che dite, maquante volte lo dite. Il troppo stroppia. O storpia.Se ogni tanto imparassimo a stare zitti, forse capi-remmo di più i nostri figli.Altre volte è sufficiente una parola per provocaredanni irreparabili. “Ne uccide più la lingua che laspada”, recita un antico proverbio. “Le parole sonopietre”, ammoniva Sciascia. “Sei nata per sbaglio” non è una bella notizia. E tisegna per tutta la vita. “Aspettavamo un maschio, ma non fa niente.” Chesignifica “non fa niente”? Che vi siete acconten-tati? Di me?Poi ci sono i genitori che vogliono essere gentili,democratici, buonisti, quando dovrebbero essereassertivi: “Scusa, potrei sapere a che ora torni sta-notte?”.Perché chiedere scusa? Perché potrei? Vuoi saperel’orario di rientro o vuoi imporlo? Se a questa domanda il ragazzo risponde con unsemplice “no”, non avrebbe tutti i torti. Questo genitore sta facendo un maldestro e goffotentativo di imporre una regola. Non avrebbe piùsenso dire semplicemente: “A mezzanotte rientri,altrimenti per una settimana non esci di casa!”?In questo libro troverete “le parole dei genitori”,cioè una una rassegna delle modalità comunicativepiù frequenti utilizzate in famiglia: sarà l’occasioneper riflettere su quello che diciamo, su come lodiciamo e sui livelli di consapevolezza di quello chediciamo. Parleremo degli errori in cui cadiamo,spesso involontariamente, almeno lo spero. E par-leremo degli effetti di queste modalità comunica-tive sui nostri figli. La comunicazione in famigliaha subito dei notevoli cambiamenti. “Ai miei tempi– come spesso dicono i genitori più anziani – c’eraun’altra musica”. Questo libro cerca appunto dicapire cos’è cambiato fra i miei tempi e i giovanid’oggi. Troverete anche un esplicito invito a non esseretroppo buoni con i vostri figli, che stanno impa-rando ad approfittarne. Sarete messi in guardiaanche da quella forma stucchevole di bontà genito-riale che si trasforma in ricatto affettivo, che pro-duce tanti sensi di colpa nei figli.

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È giunta l’ora che i genitori si rivestano di autore-volezza e diventino più assertivi. Impariamo ad uti-lizzare più punti esclamativi e meno punti interro-gativi. Se non è chiaro il concetto, proseguite nellalettura di questo volumetto, che potreste conside-rare un manuale di sopravvivenza per genitoritroppo buoni.

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I tempi dellapubertà edell’adolescenza

“Ma quando crescerai?!”

La pubertà diventa sempre più precoce, l’adole-scenza, al contrario, si allunga. La maturazione sessuale, che una volta avvenivaal termine della scuola media o nei primi annidella scuola superiore, verso i quattordici anni,adesso avviene molto prima. Spesso già allascuola elementare ci sono ragazzine che hannoavuto il menarca e ragazzini alla prima eiacula-zione. Sicuramente dipende da un’alimentazionericca di proteine, dal benessere a cui i nostri figlisono abituati. Insomma, crescono bene, non glimanca nulla e così il loro corpo matura prima. E la mente? La mente non riesce a stare dietroalla velocità del corpo. Il corpo è sessualmentematuro, ma la mente non è ancora pronta. Anzi,al contrario, il processo psicologico del cambia-mento adolescenziale sembra che si sia rallentato;in altri termini, la mente cresce molto meno infretta, va al rallentatore. Ci sono degli indicatorispecifici che avvalorano questa ipotesi. Una volta,ai miei tempi, come si dice, a diciotto anni si eraconsiderati già giovani, l’adolescenza era finita.Adesso non è più così. Secondo il quinto rap-porto IARD, un istituto che studia i cambiamenti

legati all’adolescenza, alcuni eventi avvengonosempre più in ritardo: l’uscita definitiva dalla casadei genitori, la creazione di una nuova famiglia ela nascita del primo figlio. Sulla base di questi – e di altri – indicatori, siamodi fronte ad un progressivo prolungamento del-l’età entro la quale si è considerati giovani: neglianni Ottanta si era giovani dai quindici ai venti-quattro anni, fino ai ventinove negli anniNovanta, fino ai trentaquattro nel Duemila; iltrend continua ad essere positivo, per cui questaetà, che dovrebbe segnare il passaggio dalla gio-ventù all’età adulta, cioè dall’essere figlio all’es-sere uomo, si dilata in modo impressionante. In effetti, basta guardarsi attorno per vedere tantitrentenni che sono ancora a casa con mamma epapà, che non hanno nessuna voglia di sposarsi edi mettere su famiglia, di rendersi indipendenti,di andare alla ricerca della loro strada. E non èsempre vero che questo dipenda dalla difficoltànel trovare il lavoro e dalla diffusa condizione diprecarietà che è tipica della giovane generazione.No, anche quando ci sono le condizioni perandare a vivere da soli e creare la propria auto-nomia, molti giovani esitano, non decollano. Perché? La responsabilità, quasi sempre, è dei genitori. Cisono tante mamme chiocce che continuano adallevare i loro pulcini, immancabilmente gelosedelle fidanzatine del figlioletto. La futura nuora èil bersaglio della loro ironia, se non della lorosmaccata critica. E questo figlio cresciutello nonriesce a staccarsi, preferisce rimanere a casa, cam-biando spesso fidanzata, perché a mamma non neva bene nessuna. Ovviamente, il giovane in que-stione non lo ammetterà mai, ma sappiamo che ècosì.Ma torniamo alle differenze fra mente e corpo.Cosa accade quando il corpo matura, cambia, hadegli stimoli prima sconosciuti, mentre la menteappartiene ancora a quella di un bambino? Comepuò una mente ancora così immatura gestirequesti prepotenti cambiamenti somatici? Inevita-bilmente avrà qualche difficoltà.

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Si può educaresenza punire?

“Lo faccio per il tuo bene.”

Tutte le volte che faccio questa domanda ai geni-tori, sia nel corso di incontri assembleari a scuola,sia nella pratica clinica, osservo immancabilmenteun senso di smarrimento. Accostare l’educazionealla punizione sembra scandaloso. Eppure è ilpunto cruciale di questo nostro discorso. Anchein questo caso è necessario fare un paragone fraquello che accadeva venti o trent’anni fa e quelloche succede oggi. Una volta questo accostamento non solo non erascandaloso, ma era ritenuto necessario ed oppor-tuno. L’educazione “doveva” passare attraverso lapunizione e nessuno si meravigliava se ogni tantoi genitori mollavano sonori ceffoni ai figli. Pernon parlare di quello che succedeva a scuola,dove le punizioni corporali erano all’ordine delgiorno, dalle bacchettate sulle mani alle sculac-ciate. Ovviamente si esagerava e si arrivava a veree proprie forme di tortura in cui il sadismo degliadulti, genitori o docenti, si scatenava sui bam-bini. L’abuso dei mezzi di correzione è considerato unreato dal codice penale. Già il fatto di considerareil bambino qualcosa da “correggere” la dicelunga su come veniva considerata la condizioneinfantile. C’è stato, giustamente, il movimento

culturale dell’antiviolenza che ha posto fine atutto questo, per cui adesso il ruolo educativo, siadei genitori che dei docenti, non incappa inqueste forme di violenza gratuita.Chiarito questo aspetto del problema, dobbiamoperò esaminare anche il rovescio della medaglia:non credete che stiamo cadendo nell’erroreopposto? Non credete, cioè, che stiamo esage-rando col permissivismo?Quando un genitore mi dice che il suo dovere èquello di accontentare il figlio e di non negarglinulla di quello che a lui è stato negato…Quando mi dicono che non sopportano vederlisoffrire e che sacrificarsi per il bene dei figli è illoro dovere…Quando mi dicono che non sopportano vedere ifigli piangere... Quando mi dicono che i loro figli hanno dirittoalla felicità e al benessere, che a loro sono statinegati… Quando poi vedo questi genitori che letteral-mente si ammazzano di fatica per assicurarequesto benessere ai figli, senza che questi ultimineanche se ne rendano conto…Quando i genitori, per soddisfare i capricci delfiglio diciassettenne, che non vuole aspettare unanno per munirsi della patente di guida, gli com-prano quelle automobiline che possono essereguidate da minorenni…Quando una mamma per assicurare le scarpe e lozaino alla moda per la figlioletta diventa vittimadegli usurai all’insaputa del marito…Quando succede tutto questo – e, credetemi,potrei continuare – non è il caso di interrogarcisul significato di “educazione”?O pensate che questo sia il modo migliore pereducare un figlio? Non lo è. Sono proprio questi genitori che producono figlismidollati e incontrollabili. Se i genitori imparas-sero a coniugare educazione e punizione forsetroverebbero una via d’uscita a questo dilemma.Da un lato non vogliono passare per genitoriautoritari per non perdere l’affetto dei figli, dal-l’altro non sanno come controllarli e, diciamolopure, come farsi rispettare.

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La punizione sembra bandita dalla vita fami-gliare. Tutto è dovuto. I genitori devono sacrifi-carsi, i figli giammai. Anche perché se mio figlionon ha il golf firmato e il compagno di banco sì,poverino, ci fa una brutta figura, ci rimane male,potrebbe subire un trauma…Ci sono molti genitori che entrano seriamente incrisi di fronte a questo dubbio su come esercitareil loro ruolo. Ai miei tempi era assolutamente normale che ilpadre fosse una indiscussa figura autoritaria, cheti metteva a posto con uno sguardo. Adesso sesolo ci prova si rende ridicolo. O peggio, vieneridicolizzato dalla moglie. Pensateci. Quantevolte un papà che ha alzato la voce cercando difarsi rispettare e ha anche cercato di punire unfiglio, è stato fermato dalla moglie, preoccupataper quello che potrebbe succedere? Torniamo alla domanda da cui eravamo partiti. Sipuò educare senza punire?A scanso di equivoci, dico subito di no. Dopo-diché è necessario puntualizzare alcuni aspetti delproblema. Innanzitutto chiariamo subito chequando faccio riferimento alla punizione nonintendo certo quelle corporali. Ci manche-rebbe…Ma il fatto che non bisogna picchiare i bambinisignifica anche che non bisogna punirli? Forsesiamo abituati a pensare alla punizione come unaviolenza fisica e non ci rendiamo conto che pos-sono esserci altri modi di punire, evitando la vio-lenza. Però, prima di continuare, insisto su un concettochiave. La punizione e l’educazione fanno partedello stesso processo formativo. La loro armoniasi manifesta con la disciplina. E la disciplina èesattamente ciò che manca nei nostri ragazzi. Ricordate come era importante una volta “impa-rare la disciplina”? Adesso questa parola èentrata in disuso. Sembra addirittura reazionaria.Perché, retaggio del ’68, la disciplina e l’autorita-rismo sono di destra. Come se avesse un senso,ancora oggi, suddividere concetti e comporta-menti fra destra e sinistra. La politica non c’entra.L’educazione sì.

La punizione è uno strumento dell’educazione.Ovviamente non bisogna approfittarne, maneanche trascurarlo. Ogni punizione va commi-surata all’età del figlio, alla sua condizione fami-gliare, ai suoi interessi. Una punizione deve essereefficace e per essere tale deve provocare dei cam-biamenti. Impedirgli di uscire, di usare il com-puter, di guardare la Tv, deve sortire degli effetti,altrimenti bisogna cambiare metodo. Ho citato le punizioni più frequenti che si adope-rano con i figli, ma quando mi capita di parlarecon loro per verificare quali siano gli effetti diqueste punizioni, loro per primi ridacchiano, unpo’ divertiti, un po’ indifferenti. Che fare? Vi starete chiedendo.Facciamo degli esempi. La ragazzina promette che tornerà a casa entromezzanotte. I genitori le hanno detto che se nonsta ai patti, sarà punita. La ragazzina accetta lasfida. Torna alle due del mattino, trova i genitoriad aspettarla, aveva spento il telefonino per nondover rispondere a imbarazzanti richieste deigenitori e fila in camera sua senza dare spiega-zioni a nessuno. I genitori decidono di punirlaimpedendogli di uscire fino al sabato successivo.Arriva il sabato, la ragazzina esce nuovamente erientra allo stesso orario. Stessa punizione, unasettimana senza uscire. Il sabato successivosempre la stessa storia. I genitori disperati midicono che non sanno cos’altro fare. Io replicoche ci sarebbero tante altre cose da fare e che inrealtà loro avevano utilizzato soltanto una moda-lità punitiva che si era rivelata del tutto inefficace.Non aveva molto senso, infatti, impedirle diuscire tutta la settimana, ma lasciarla libera ilsabato sera, ma questi genitori non se la sentivanodi impedirle di uscire addirittura di sabato.Sarebbe stato troppo! Avrebbero potuto usarealtre punizioni, ad esempio sospendere lapaghetta settimanale, che invece era stata regolar-mente erogata, avrebbero potuto requisire il tele-fonino, cosa intollerabile per una ragazzina,avrebbero potuto impedire che le amiche venis-sero a far visita alla figlia (abitudine abbastanzafrequente), avrebbero potuto impedirle di fre-quentare la scuola di danza, a cui la ragazzina ci

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teneva tanto. Insomma c’erano tante punizioni dautilizzare, ma non ci avevano nemmeno pensato.E mentre io le elencavo vedevo della facce per-plesse e sgomente.Tanto che ad un certo punto mi sono fermato eho chiesto: “Volete educare vostra figlia?”.“Certo, ci mancherebbe!”“Ve la sentite di diventare cattivi?”Le loro facce esprimevano incredulità. La mia eraovviamente una provocazione. Li stavo invitandoad assumere un atteggiamento più severo, manella loro rappresentazione del ruolo genitoriale,la severità rammentava la cattiveria. Ma non sonosinonimi. Si può essere severi senza essere cattivi.È la stessa differenza che c’è fra autoritarismo eautorevolezza.

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Comunicare infamiglia

“Ti prego, ascoltami!”

Il dialogoHo sentito molti genitori vantarsi del loro dialogocoi figli. Ne andavano fieri, mi dicevano che ave-vano raggiunto il bel risultato di confidarsi tutto.Affronto in un’altra parte di questo libro il pro-blema dei genitori-amici dei loro figli (v. p. 72).Qui voglio soffermarmi sulla qualità di questodialogo. Tempo fa in una scuola media inferiore fui chia-mato ad affrontare questo argomento. Distribuiiun questionario sia ai genitori che ai figli e, fra letante risposte significative, ne voglio citare quellapiù emblematica. Alla domanda: “Come ritieni ildialogo in famiglia fra genitori e figli?”, la stra-grande maggioranza dei genitori rispose che perloro non c’era nessun problema nella comunica-zione intergenerazionale. La maggior parte dei figli rispose che c’era un’as-soluta mancanza di comunicazione con gli adulti.Il dato risulta ancor più preoccupante se conside-riamo il fatto che i ragazzini che davano questarisposta erano i figli di quegli stessi genitori chenon percepivano nessun problema comunicativo.Evidentemente siamo di fronte ad un’errata per-

cezione della realtà. Come può un genitore pen-sare che non esistono problemi nella comunica-zione, se il figlio dice che c’è un’assoluta man-canza di comunicazione? Di cosa stiamo par-lando? Il significato del “comunicare” per i geni-tori è lo stesso per i figli? Evidentemente no. Che cos’è questo dialogo, che evidentemente nonfunziona?Quando un genitore crede di essere ascoltato dalfiglio è convinto che fra di loro ci sia un ottimodialogo. Ma non è così. Se il genitore parla e ilfiglio ascolta, non c’è dialogo. La comunicazioneè a una via, non c’è circolarità. Se un genitoreparla al figlio e questi gli dice che ha capito e chetutto è a posto, non significa che c’è un ottimodialogo. In realtà il figlio ha trovato il modo piùsbrigativo per sottrarsi all’interazione. Se il geni-tore parla in continuazione col figlio e questi silimita ad un rapido cenno di assenso col capo,questo non è dialogo. Se il genitore parla tanto,troppo, e il figlio pazientemente ascolta, questonon è dialogo. Se il figlio lascia sfogare il genitore,che ha tanto da dire, questo non è dialogo. Se ilgenitore chiede al figlio se è tutto chiaro e il figliotace, per cui il genitore pensa “chi tace accon-sente”, questo non è dialogo. Se un genitore,quello eccessivamente zelante a cui abbiamo fattoriferimento in precedenza, è pieno di attenzioninei confronti del figlio, a cui fa mille domandeper sapere tutto della sua vita, questo non è dia-logo. In tutti questi esempi appena riportatimanca un elemento fondamentale e caratteriz-zante del dialogo: la capacità d’ascolto.Siamo abituati a considerare la disponibilità all’a-scolto dell’altro, ma trascuriamo la nostra capa-cità. Il fatto che mio figlio stia lì ad ascoltarmisignifica che poi farà quello che gli chiedo? No,non è affatto sicuro che questo accada. Il silenziodi un figlio va interpretato. Non è vero che chitace acconsente. Il silenzio può significare tantecose, ad esempio che mio figlio non ritenganeanche utile perdere tempo a parlare con me,per cui sembra che mi stia dando ragione, pur difarmi smettere. Altro che dialogo!Ci sono tanti genitori che si affannano alla ricercadi questo dialogo, che in realtà è un monologo,

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subissando di parole i figli. Provate a considerarequante volte facciamo domande ai nostri figli epoi siamo noi stessi che forniamo tutte le possibilirisposte, finché troviamo quella che sembra piùaccettabile per il figlio. Ma non è la sua risposta.È la nostra risposta alla nostra domanda. Questonon è dialogo.

Invadenze“Cosa ne pensi di Giovanna?” chiede la mammaalla figlia: Giovanna è la nuova amica di sua figlia. “Pensi che sia una brava ragazza? Pensi che possaavere qualche problema? Perché è così magra?Hai visto la madre che tipo strano? Secondo mec’è qualcosa che non va fra marito e moglie.Credi che abbiano bisogno del nostro aiuto?Secondo te devo chiamare sua madre e presen-tarmi? E se la mamma mi prende per una rompi-scatole? Non credi che sia meglio che rimanga almio posto? Se hanno bisogno di me possonochiamarmi quando vogliono. Ma non è il casoche tu dica alla tua amica della mia disponibilità?No, meglio di no, non credi? Sei preoccupata perquesta tua amica? E lei come ti considera? Tistima? Ti considera la sua migliore amica? Non èche rischi di inimicarti le altre amiche? Giovannami sembra un po’ invadente. Non credi?”A questa raffica di domande della madre – chepotrebbero continuare all’infinito – la figlia nonha fornito una parvenza di risposta, ha ascoltatoin silenzio con un’espressione mista fra rassegna-zione e divertimento. Ma non ha detto unaparola. Al termine del monologo, la madre hadetto: “Noi due dobbiamo parlare sempre così,dobbiamo dialogare, confrontarci, perché i tuoiproblemi sono i miei problemi, cara”. Quale dialogo? Quale confronto? Quali pro-blemi?Eppure questa madre è convinta di avere unottimo dialogo con la figlia.

Domande e risposteUn suggerimento ai genitori: non anticipate ledomande dei vostri figli. Aspettate che siano loroa porvi degli interrogativi. Non abbiate fretta dirisolvere tutti i loro problemi, anche perché cosìnon saranno mai in grado di risolverli da soli.Questo non vuole essere un invito all’indifferenzanei confronti dei problemi dei vostri figli, maalmeno aspettate che siano loro a farvene parte-cipi. In questo modo il vostro intervento saràmolto più efficace ed il vostro ruolo educativoben delineato. La mamma a cui facevo riferimento poc’anzi anti-cipava tutte le domande della figlia e in realtà ini-biva il dialogo, ma soprattutto correva un rischio:quello di non sapere che cosa passasse per la testadella figlia. E sono proprio queste mamme che sistupiscono e scendono dalle nuvole di fronte acerti comportamenti dei figli. Improvvisamentedavanti ai loro occhi si dischiude un altro pano-rama, un altro pianeta. Questi figli, che per lorosembravano un libro aperto, risultano improvvi-samente misteriosi e sorprendenti. Se la nostramamma avesse taciuto ed avesse aspettato che lafiglia le chiedesse che cosa ne pensasse dell’amicaGiovanna, allora il parere della madre sarebbestato più pregnante e soprattutto più ascoltato.

Domande e silenziQualche mamma si starà chiedendo: se mia figlianon mi chiede mai nulla, come faccio a dare unparere su qualche cosa? Invito queste mamme, e– perché no? – i papà, a riflettere su un punto. Sei vostri figli non vi fanno domande è perché liavete sommersi di risposte a domande che non viavevano fatto. Imparate a stare zitti e ad ascoltareil loro silenzio. Spesso il silenzio dei figli è unarichiesta d’aiuto che non necessita di tante parole,ma solo di un’attenta vicinanza. Invece di faretante domande, fate una torta insieme e parlate ditutt’altro, finché sarà lei, vostra figlia, a rompere il

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silenzio. Allora sì, è il caso di parlare. Non prima.Se imparate ad ascoltare, sarete più ascoltati.

Trasgressioni Quando un genitore è convinto di avere unottimo dialogo con i figli, di solito è molto dispo-nibile nei loro confronti. Concedono tutto, anchela trasgressione, creando così un bel paradosso.Un genitore tempo fa mi disse che lui capiva igiovani, che era a conoscenza delle problema-tiche del conflitto generazionale e che pertantoera inevitabile che avessero un atteggiamentoribelle nei confronti dei genitori. “Io queste cosele capisco, sono tipiche della loro età e pertantoho detto a mio figlio di non preoccuparsi.Insomma, gli ho dato il permesso di trasgredire.”Il permesso di trasgredire? Possibile che questopadre non si renda conto che ha costruito unossimoro, una contraddizione nei termini; comesi può trasgredire avendo avuto preventivamenteil permesso? La trasgressione diventa così unaconcessione del genitore e come tale si svuota dicontenuto. Questo padre non si rendeva contoche in realtà aveva negato – concedendola – latrasgressione al figlio, lo aveva messo in trappola.Gli aveva tolto la soddisfazione, il gusto, la curio-sità di trasgredire. Beninteso, non sto dicendo che il genitore debbaassistere silenzioso e impotente alle trasgressionidel figlio. Tutt’altro, deve arrabbiarsi e dargli unalezione se la merita; questo fa parte del ruologenitoriale. Ed in questo conflitto, ribadisco, ilfiglio cresce e impara le regole. Ma se il genitoreconcede la trasgressione, qual è la regola? Se ilfiglio esce dai binari il padre può arrabbiarsi?Che senso avrebbe. Il figlio gli direbbe: “Primami dai il permesso e poi ti arrabbi?!”E non avrebbe tutti i torti. Concedendo la tra-sgressione, il genitore perde anche il diritto diarrabbiarsi e di svolgere il suo ruolo educativo.

RicattiUn’altra categoria genitoriale è quella che con-serva la sua capacità empatica finché i figli,ingrati, prendono il volo. I figli, crescendo, diven-tano incomprensibili. Prima tutto era chiaro,c’era un ottimo dialogo, nessun segreto, poi,improvvisamente, tutto crolla: i genitori si sen-tono traditi e trascurati ed i figli rimangono inter-detti e pieni di sensi di colpa.Una ragazza di 18 anni aveva chiesto alla madredi andare in discoteca, per la prima volta. Lamadre le disse che non era il caso, che potevaaspettare ancora un po’. La figlia insisteva, dicevache era maggiorenne e che tutta la classe cisarebbe andata e lei non poteva far la bruttafigura di mancare. “Come puoi farmi questo!?”, chiese affranta lamadre.“Ma io non ti sto facendo proprio nulla. Vorreisolo andare in discoteca con la mia classe.”“Sicuramente non stai dicendo quello che pensi”,insisteva la madre. Il padre, sullo sfondo, scuoteva la testa; la colpe-volizzazione della figlia era già in corso. Dopoaltre discussioni e alcune telefonate di controlloagli altri genitori della classe, la madre non potevapiù rifiutarsi. Il padre, rassegnato, continuava asostenere la moglie, provata da questa assurdarichiesta della figlia. Quando la figlia si preparò per andare in disco-teca, la madre la apostrofò: “Dove vai conciata inquel modo! Che cosa penserà la gente di me?”.“Cosa c’è che non va?”, chiese la figlia interdetta.“Dovresti vergognarti.” “Ma mamma, devo andare in discoteca, comevuoi che ci vada?”“Povera me”, sospirava la madre. Il maritoannuiva.“Ma insomma, cosa c’è che non va? Si può sapereche cavolo volete?”“Se parli così, significa che non mi vuoi piùbene”, proruppe la madre.“Ma no, lo sai che ti voglio bene. Voglio soloandare a divertirmi con gli amici!”“Come puoi dire certe cose...!?”

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“Ma cosa ho detto! Vuoi smetterla? Mi fai impaz-zire!”“Non sai quello che dici...”La figlia spazientita uscì per andare finalmente indiscoteca, la prima volta in vita sua, carica di sensidi colpa. In discoteca le arrivarono telefonate emessaggi della madre a cui volutamente nonrispose. Quando alle prime ore del mattino tornòa casa trovò la seguente scena: la madre a letto,accanto il padre e il medico amico di famiglia,che la confortavano e la curavano premurosa-mente. Non appena la figlia entrò, la madreesclamò: “Tu mi farai morire di crepacuore!”. Ilpadre e il medico assentivano, guardando con untono di rimprovero la ragazza, la quale corse achiudersi in camera sua e non volle uscire per unasettimana. Uscì soltanto quando la costrinsero avenire da me, perché la madre rischiava un’altracrisi cardiaca. Scene d’altri tempi, direte voi. No, è successopoco fa. Stentavo a crederci anch’io. Il dialogoriportato è il più possibile fedele ed è un concen-trato di parole pesanti come macigni. Questamadre era certa di essere un’ottima madre, lamigliore amica della figlia, ma tutto è crollatoquando la figlia ha preso una decisione non con-divisa da lei. È il modo peggiore per essere unabuona madre: sono buona finché obbedisci. Sedecidi di andare per la tua strada, mi perdi. Anche qui avrete notato l’uso eccessivo deldativo, ma il culmine viene raggiunto quando lafiglia si veste per andare in discoteca e nel vederequell’abbigliamento “sconveniente” la madre sipreoccupa di quello che dirà la gente di lei, nondella figlia. Perché è lei che manda in giro la figliavestita in quel modo vergognoso. La figlia nonesiste senza la madre, è una sua propaggine, unsuo prolungamento e come tale non può pren-dere iniziative. Se ci prova, “vuol dire che non mivuoi più bene”. Ci risiamo con le regole e gliaffetti: se non segui le mie regole significa chenon mi vuoi bene. Ma cosa c’entrano le regolecon gli affetti?

Sensi di colpa Le regole si seguono indipendentemente dall’af-fetto. Non sono una prova d’amore, sono il segnodel comando, di chi comanda e di chi obbedisce.Se un figlio disobbedisce vuol dire che non vuolepiù bene al genitore? No, non necessariamente.Semplicemente ci sta provando, come è giusto einevitabile che sia. Eppure ci sono molti genitoriche fanno questa confusione: si aspettano che ifigli rispettino le regole per affetto. Sarebbemolto meglio tenere separate la sfera affettiva daquella cognitiva. La comprensione e il rispettodelle regole attengono allo sviluppo cognitivo emorale, che è altro rispetto allo sviluppo affettivo.Le regole si rispettano a prescindere dall’affetto,altrimenti si è facilmente ricattabili. In effettiquesta madre stava ricattando la figlia: non diciquello che pensi, non sai quello che dici, se dicicosì vuol dire che non mi vuoi più bene. Che cosaha detto di così scandaloso la figlia? Nulla. Nulladi diverso rispetto a tante altre ragazze della suaetà. Eppure questa madre rischia di morire dicrepacuore e il marito e il medico le sono testi-moni. L’abilità di questa madre nel confezionaresensi di colpa per la figlia è impressionante. Visembra una buona madre? La figlia si stava con-vincendo di essere molto cattiva e, soprattutto,ingrata.

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Figli aggressivi

“Papà, a scuola c’è un ragazzo che non mi lasciamai in pace, mi provoca, cerca sempre di farmi

arrabbiare, qualche volta mi prende a pugni.Che devo fare?”

“Restituiscigli i pugni, non ti far fregare da quelprepotente. Se non la smette vengo a scuola e

gli faccio vedere io.”

Bulli e vittimeQuello della violenza è un problema controverso.Da un lato ci sono genitori che si lamentano diavere un figlio violento, bullo, aggressivo; dal-l’altro ci sono quelli che si lamentano di avere unfiglio troppo mite e remissivo, che non reagiscealle provocazioni e che subisce in silenzio. Isecondi sono sicuramente più preoccupati. Iprimi non riescono a dissimulare una punta diorgoglio per l’esuberanza del figlio. Ma la vio-lenza rimane un problema, soprattutto per le vit-time. Non c’è dubbio che i genitori preferiscanoavere i figli bulli, piuttosto che vittime. Ma così ilproblema non si risolve. Il bullismo a scuola è causato da una serie di fat-tori che vale la pena elencare. Innanzitutto ilbullo può contare sul silenzio della vittima, chespesso subisce senza chiedere aiuto. Ma anche sulsilenzio dei suoi gregari e degli spettatori. Questo

silenzio rinforza positivamente il suo comporta-mento. Più gli altri stanno zitti, più si sente auto-rizzato a continuare. Inoltre, questo silenzio ècondito da un certo compiacimento divertito daparte dell’osservatore, che fa sentire il bulloimportante, se non addirittura ammirato. Va precisato, ancora una volta, che questo com-portamento nasconde spesso profonde frustra-zioni, che inevitabilmente emergono ad un’analisiapprofondita. Del resto sappiamo benissimo chel’aggressività è la risposta più frequente alla fru-strazione. Ma attenzione, anche la vittima starispondendo ad una frustrazione. L’aggressività,infatti, può prendere due vie: quella esterna equella interna. Nel primo caso abbiamo compor-tamenti violenti (bullismo, devianza, ecc.), nelsecondo caso l’aggressività si rivolge contro sestessi (autolesionismo, depressione, isolamento,ecc.). La vittima ed il bullo sono spesso accomu-nati da una stessa genesi. Il bullo si sfoga con l’e-teroaggressività, la vittima prende la strada del-l’autoaggressività. Ma entrambi stanno reagendoalla frustrazione. Non è raro che ogni bullo abbia la propria vit-tima preferita ed è altrettanto frequente che unavittima stuzzichi il bullo per essere maltrattata.Come vedete, stiamo parlando di un legamemolto pericoloso a cui fanno da cornice spettatorie gregari omertosi. Spesso nelle aule si consu-mano atti di violenza inaudita, non solo fisica, maanche psicologica. Una ragazzina pretendeva che la sua vittima pre-ferita le baciasse le scarpe ogni mattina in classeprima di iniziare le lezioni. Un’altra diceva: “Sevuoi essere mia amica devi fare la mongoloide”.Un ragazzo pretendeva che il suo compagno dibanco rubasse i telefonini migliori dei compagnidi classe: e la vittima eseguiva.

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“Se fossi un genitore?”– Prima di tutto cercherei di tranquillizzarlo e dimetterlo al sicuro e poi cercherei di capire chi èstato.– Chiederei a mio figlio di perdonarlo.– Parlerei con i genitori del ragazzo che ha aggre-dito mio figlio, senza alzare le mani. – Cercherei di capire perché mio figlio è così vio-lento.– Penserei che non ho educato bene mio figlio e glifarei fare un altro anno di catechismo.– Prenderei quel bambino che ha fatto del male elo porterei in collegio con il suo genitore.

“Se fossi un insegnante?”– Se io fossi un insegnante andrei in fondo fino allafine e vorrei capire cosa spinge questo bambino acomportarsi così.– Chiamerei i genitori a colloquio dalla preside perdecidere insieme la giusta punizione da dare albullo.– Parlerei con i genitori di entrambi i bambini.– Darei una punizione esemplare ai genitori delprepotente perché sono loro ad avergli insegnato adalzare le mani.

“Se fossi un giudice?”– Condannerei questi bambini per mesi senza poterparlare con altri bambini.– Darei delle multe di prepotenza.– Farei mettere dei poliziotti in classe a osservarechi è prepotente.– Gli farei fare dei lavori per migliorare la città. Locondannerei a pulire pavimenti dalla fine dellelezioni al pomeriggio.– Sceglierei una risposta alternativa: se il bambinocattivo non fa più male all’altro (il bambinobuono) lo proteggerà nel caso venisse maltrattato.– Farei decidere al bambino che ha subito la prepo-tenza la condanna al bullo.

Su ciascuna di queste risposte ci sarebbe da par-lare a lungo. A parte la forma a volte approssima-tiva del lessico, il contenuto è molto ricco e pro-fondo. Lascio a voi i commenti, ma come vedete,i ragazzini hanno le idee molto più chiare delle

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1. Cfr. Abbruzzese, "Il gioco delle regole”, in Cittadini in crescita, 2007;Abbruzzese (a cura di), 2008.

Protezione della vittima,punizione del bulloLe vittime vanno protette e gli aggressori devonoessere neutralizzati. Come?Lo abbiamo chiesto agli alunni, dai dieci aidiciotto anni, attraverso un questionario sommi-nistrato ad alunni di scuola elementare e mediainferiore e superiore. Ne abbiamo ricavato ottimisuggerimenti. Da questa ricerca emergevano due precise istanzeda parte dei ragazzi intervistati: da un lato ilbisogno di comunicare, dall’altro la richiesta diuna maggiore severità da parte degli educatori,sia genitori che docenti. Alla base della violenza c’è dunque un disturbodella comunicazione all’interno del contestofamigliare e scolastico. Comunicare in modo piùefficace, sviluppando le capacità d’ascolto, è –secondo i nostri ragazzi – l’antidoto alla violenza.Contestualmente essi ci invitano ad essere piùseveri, ma noi non li ascoltiamo. Continuiamo afare i buoni a tutti i costi. La situazione sta diventando paradossale. Ai mieitempi accadeva il contrario; avevamo genitoriseveri e chiedevano maggiore comprensione e tol-leranza. Adesso abbiamo genitori troppo buoni efigli che chiedono una maggiore severità. Maquello che è peggio è che noi non li ascoltiamo...proseguiamo imperterriti sulla strada di un dif-fuso, stucchevole, inutile e pericoloso buonismo. Nella nostra ricerca-azione sul bullismo1 abbiamochiesto ai ragazzi di mettersi nei panni degliadulti. Anche in questo caso sono emerse interes-santi proposte. Ve ne elenco qualcuna.Alle domande:“Che cosa faresti per impedire atti di prepotenza?”– Conosco un modo per impedire alcune prepo-tenze: basta distogliere il cacciatore dalla preda.– Mi indurirei e cercherei di non aver paura pernessun motivo.– Farei fare delle classi formate da meno bambinicosì c’è più silenzio e si studia di più.

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nostre su quello che si dovrebbe fare. Basterebbeascoltarli. Le “multe di prepotenza”, la giustizia ripartiva(chi rompe, paga), il coinvolgimento dei genitorinello stabilire la sanzione insieme alla scuola,sono indicazioni molto chiare ed illuminate.

PrepotenzeIn che modo reagiscono i nostri ragazzi? Come sidifendono da queste prepotenze?Ascoltiamoli:

In poche parole tutto avviene in modo strano!Cerchi di dare il meglio di te, ma ad essere contentaè solo la maestra; infatti mi è capitato di essere con-siderata “secchiona” da un gruppo di bambini… Ingenere sono un po’ tutti e questo mi fa sentire unpo’ diversa dagli altri. Io non me la prendo molto...So rispondere, fare una brillante battuta, ma comequella volta, la tristezza mi è un po’ assalita.

La vittima secchiona è molto frequente. A volte lasituazione diventa talmente insostenibile chequesti ragazzi si rifiutano di andare a scuola. Igenitori devono intervenire non solo per proteg-gerla, ma soprattutto per denunciare energica-mente l’accaduto all’autorità scolastica. Un’altra ragazza racconta:

Per un po’ di tempo mi prendevano in giro per ilcognome di mia madre, ma io facevo finta diniente, anche se a volte mi sentivo male e miveniva voglia di piangere. Un bel giorno tuttoquesto finì prendendo in giro un altro mio amico.

E così la tragica catena è avviata. La violenzachiama violenza e in questo caso la responsabilitàdei genitori è enorme. L’invito a reagire fatto daigenitori delle vittime della violenza in classespesso provoca maggiori danni, specialmente inchi non è capace di reagire. Ma perché poi dovrebbe reagire? Per scatenareuna spirale di odio e incomprensioni? Non è

meglio denunciare e chiedere agli adulti di inter-venire per essere protetti, prendendo seri provve-dimenti?

L’intervento dei genitori“Dillo al prof. Se vuoi vengo io e gliene parlo.”Questo dovrebbe essere il modo in cui un geni-tore risponde alle lamentele del figlio che subisceprepotenze in classe. Dopodiché dovrebbe spie-gare che dirlo al docente non significa fare la spia,anche se tutti lo pensano. In realtà è proprio iltimore di fare questa figuraccia che frena i nostriragazzini nel denunciare questi soprusi. E i pre-potenti contano proprio su questa reticenza, anzi,a volte arrivano a minacciare: “Se parli, avrai lapeggio!”.Ma è proprio in questi casi che non bisogna averepaura e il genitore deve essere molto deciso nel-l’incoraggiare il figlio a denunciare. Ma è ancheimportante che aggiunga: “Se vuoi, vengo a par-larne io”, perché in quel “se vuoi” c’è un invitoalla presa di coscienza e alla responsabilizzazione.Il messaggio che il genitore trasmette al figliodeve essere di questo tenore: io sono a tua dispo-sizione, se vuoi, intervengo, ma sempre seguendol’ordine gerarchico, dal dirigente scolastico aldocente. Non deve passare il messaggio: reagisci,massacralo di botte, fatti rispettare e cose delgenere. Significherebbe mortificare il ragazzinoche non ce la fa e farlo sentire ancora più impo-tente. Ancora più deleterio sarebbe l’interventismo adoltranza: “Adesso vengo a scuola e gli facciovedere io a quello sbruffone”. Oppure: “Dammiil numero di telefono che gliene dico quattro a luie ai suoi genitori!”. In più di un’occasione hoassistito a veri e propri conflitti allargati allerispettive famiglie d’appartenenza. Iniziavano alitigare i figli, i genitori intervenivano e iniziavanoa litigare anche loro, offrendo ai figli uno spetta-colo davvero poco edificante.

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Calma! Se vostro figlio è vittima di prepotenza,deve imparare a difendersi, non a fare giustizia dasolo o a contare su un genitore giustiziere. Non sipuò rispondere alla prepotenza con la prepo-tenza. Eppure, ammettiamolo, è quello che suc-cede più spesso. Perché noi genitori non soppor-tiamo che qualcuno possa soverchiare nostrofiglio: “Giù le mani da mio figlio!”. Ma questo figlio potrà sempre contare su unpadre così premuroso? E, a parte questo, comecrescerà? Forte, sicuro di sé, vigoroso? Oppurepiagnucoloso, imbranato, esitante? Che figlio volete?Ma attenzione, non esagerate, non siate ridon-danti. La vostra deve essere una presenza attenta,partecipe e discreta, ma soprattutto il vostrointervento deve essere successivo ad una esplicitarichiesta di vostro figlio.

Chi ha sbagliato?In una scuola media, in cui stavo organizzandoun programma sull’educazione alla legalità, unragazzino mi disse: “A furia di parlare di regole,ci fate venire voglia di trasgredirle!”. Sembravache pretendesse le mie scuse. In realtà gli stavanorompendo le scatole da un mesetto, docenti egenitori. Tutti parlavano, ma lui non capiva e siera irritato. Anche perché, probabilmente, quelloche ascoltava non sempre coincideva con quelloche vedeva. Sentir parlare di regole da chi nonsempre le rispetta non è un bell’esempio.Nel questionario della ricerca già citata, i ragazzivenivano invitati a suggerire modalità per contra-stare il bullismo a scuola. Alla domanda: “Se fossiun genitore che cosa faresti?” un ragazzino diseconda media ha scritto: “Se fossi il genitore delbullo impedirei di fargli fare gli sbagli che hofatto io”. Probabilmente chi scrive è un bullo eimpietosamente punta il dito contro i genitori.Potrebbe essere un modo per disimpegnarsi escaricare le proprie responsabilità, ma non pos-

siamo escludere che questi genitori abbiano con-cesso troppi errori al figlio.Alla base di questi errori c’è un atteggiamentogenitoriale eccessivamente permissivo, contrab-bandato per democratico, ma che non viene coltocome tale dai figli, i quali imparano ad andaresull’onda del desiderio protetti da un senso diimpunità garantito da solleciti ed amorevoli geni-tori.

Il vuoto di potereDobbiamo avere il coraggio di ammettere che laprepotenza mette radici dove c’è un vuoto dipotere. Me ne rendo conto ogni giorno a scuola.Il bullo riesce ad essere prepotente quando ha ache fare con docenti rammolliti. Con quelli auto-revoli sta al posto suo e non si azzarda a manife-stare la sua arroganza. Non ci prova nemmeno,perché avrebbe pane per i suoi denti. Il che signi-fica che anche il bullismo è un problema relazio-nale. Con i professori tosti, il bullo sta al suoposto. Con quelli teneri si scatena. Esattamentequello che succede a casa, nelle migliori famiglie.Il genitore severo ha in pugno i figli, quello mor-bido e affettuoso non riesce a contenerli. Dopo-diché vi chiedo: il comportamento di questiragazzini dipende da loro o da noi? Coraggio,ammettiamolo!

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Identikit dei nuoviadolescenti

“Ma che mondo ci avete lasciato?”

CambiamentiPer concludere il nostro discorso, riprendiamoloda dove avevamo iniziato: come sono cambiati igiovani d’oggi? Un cambiamento sicuramente c’è stato, perché èevidente che nei comportamenti, nelle abitudinidi vita, nelle credenze, nelle convinzioni, c’è unasostanziale differenza. Diciamo pure che questo èil prodotto di un altro cambiamento. I giovani dioggi sono i figli della generazione del ’68, dei gio-vani che allora protestavano e contestavano tuttoe tutti, a cominciare dalla famiglia e dai genitori.Sono quindi i figli di coloro che si contrappone-vano allo strapotere genitoriale del padrepadrone. Abbiamo voluto rendere più democratica la fami-glia, ma con quali risultati? Non sempre sonostati positivi, soprattutto quando questa demo-crazia era un modo per entrare nella vita deinostri figli, negando un minimo spazio di auto-nomia. In realtà la democrazia è uno strumentomolto difficile da usare. E non mi piace neancheil fatto che si usi il termine democrazia, che lette-ralmente significa potere del popolo. Di quale

popolo stiamo parlando? Abbiamo preso in pre-stito un termine dalla politica e dalle lotte socialie lo abbiamo attribuito alla realtà famigliare. Maè un procedimento sbagliato, perché i due con-testi non sono sovrapponibili. Non ho dubbisulla validità della democrazia in campo sociale,ma ho dei seri dubbi che questo modello possafunzionare in un contesto famigliare, dove nonc’è un popolo che deve comandare e neanche untiranno da abbattere. Diciamo più semplicementeche una famiglia sana si fonda su efficaci modalitàcomunicative. Il problema è la comunicazione,non la democrazia. Anzi, abbiamo concessotroppa libertà, troppa comprensione, troppo ditutto.

L’attesaChe cosa se ne fanno gli adolescenti di questalibertà che i genitori concedono? “Da bambinivogliono le chiavi di casa, da grandi non se nevanno mai”, mi diceva una mamma, un po’annoiata da questi figli giovani adulti che nonriusciva a togliersi dai piedi, ma anche un po’compiaciuta dal fatto che questi figli rimanessero“affezionati”. E così l’attesa si prolunga, la moratoria psicoso-ciale si dilata, con un corpo che matura prima.Siamo ormai abituati a ragazzini che vivono l’in-congruenza di una pubertà precoce e un’adole-scenza lunga, un corpo sessualmente maturo, mauna mente impreparata a gestirlo, un fisico dagrandi, ma trattati ancora come bambini. La pre-carietà del lavoro in effetti ritarda l’uscita dallafamiglia di questi giovani, che non se la sentanodi entrare definitivamente nel mondo degliadulti: essere adulti non conviene. Non c’è nientedi buono in quel mondo dei grandi, il futuro nonpromette niente di buono. I giovani di oggi sono più spigliati, ma sembrache siano le ragazze che fanno la corte ai ragazzi,che invece sembrano molto timorosi. I giovani di

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oggi sono meno contestatori, accettano di più icompromessi, vanno alla ricerca delle raccoman-dazioni e lo ammettono senza pudore; sono piùdisincantati rispetto alle ideologie, invecchianorimanendo giovani perché incontrano notevolidifficoltà a diventare adulti; si rimane più a lungostudenti, perché la scuola e l’università sonodiventate area di parcheggio per tutti quelli chenon sanno – e non hanno – che fare. Tutti sem-brano fermi in una posizione di stand by, in attesache qualcosa cambi. Ma non si fanno illusioni. Siesce sempre più tardi dalla casa famigliare ancheperché è difficile trovare un alloggio. Il lavoro hala caratteristica della precarietà; i vari contrattiatipici, a tempo determinato, le flessibilità in tuttele varianti, non assicurano redditi sicuri neltempo e tali da permettere di costruire una fami-glia, mettere al mondo dei figli, oppure, semplice-mente, di progettare una vita propria e auto-noma. I giovani di oggi si stanno abituando a vivere nelrischio, cioè in una condizione in cui viene esal-tata l’instabilità e la discontinuità (lavorativa, rela-zionale, affettiva). Ricordate ai nostri tempicom’era importante avere il “posto” anzi il“posto fisso”? Altro che precarietà. I giovani di oggi si rifiutano, pertanto, di fare pro-grammi a lungo termine: del resto come potreb-bero?E non solo perché il mercato del lavoro non offrenessuna certezza, ma anche perché quando i gio-vani trovano un impiego non hanno tante diffi-coltà nel cambiarlo, per andare alla ricerca dinuove esperienze. Insomma, si sono così abituatialla precarietà che ne fanno virtù: nuove opportu-nità, nuove esperienze, nuova vita. In questo modo diventa difficile mantenere deilegami stabili. La precarietà si diffonde anchenella vita affettiva. Infatti i fidanzamenti non esi-stono più, non si sa mai con precisione se duegiovani stanno insieme o hanno una relazione.Anche quando convivono si presentano comeamici. Per non parlare della precarietà del matri-monio, a cui si arriva sempre più tardi e che durasempre di meno, con un vertiginoso aumento diseparazioni e divorzi, ed una diminuzione del

numero dei figli per famiglia, il più basso d’Eu-ropa. La facilità e la precocità con cui si arriva alla ses-sualità la rende sempre più immatura, molto pra-ticata e sempre più sganciata dal riferimento pro-creativo. Un’altra differenza rispetto alla nostra genera-zione riguarda l’interesse per le problematichesociali. Noi ci credevamo, volevamo ingenua-mente cambiare il mondo. I giovani di oggidenunciano un vero e proprio disgusto per la poli-tica, perché anche qui le cose non sono più tantochiare. Per loro diventa difficile capire la diffe-renza tradizionale fra destra e sinistra. Pertantopreferiscono schierarsi agli estremi per non cor-rere rischi di inciuci. Il ritratto che sto facendo non è però generalizza-bile. E questo è il bello dei giovani di oggi, capacidi sorprenderti con comportamenti alternativi esicuramente positivi. Penso alle carovane dellasolidarietà contro le mafie, al mondo del volonta-riato, ai papa boys. Mai come in questa epoca i giovani sono capacidi tutto e del contrario di tutto. Ma è qui che sta– tutto sommato – il loro fascino. Noi dobbiamo preoccuparci di assicurare perloro il migliore dei mondi possibili. Perché lorosicuramente lo renderanno migliore.

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Euro 13,50 (I.i.)

In copertina disegno di Fabio Magnasciutti

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ISBN 978-88-6153-169-7

edizioni la meridianap a r t e n z e

Manuale di sopravvivenza per genitori troppo “buoni”

Saverio Abbruzzese

SULLE TRACCEDEI FIGLIChecosaèsuccessooggiascuolaamamma? Così, tutto d’un fiato. Quante volte avete

fatto questa domanda a vostro figlio? Che cosa c’è di male? Direte voi. Ognigenitore deve interessarsi di quello che succede al figlio.Certo, ci mancherebbe altro.Ma provate a mettervi nei panni di quel ragazzino, che torna da scuola e,appena varca la porta di casa, si sente investito da questa domanda dellamadre, posta con tono ansioso, ogni giorno. Come se ogni giorno a scuolaavvenissero eventi memorabili. Come se questi eventi riguardassero lamamma. Come se a scuola ci fosse la mamma.In questo libro troverete “le parole dei genitori”, cioè una una rassegna dellemodalità comunicative più frequenti utilizzate in famiglia: per riflettere suquello che diciamo, su come lo diciamo e sui livelli di consapevolezza diquello che diciamo. Sono descritti gli errori in cui cadiamo, spessoinvolontariamente, e gli effetti di queste modalità comunicative sui nostrifigli.“Ai miei tempi – come spesso dicono i genitori più anziani – c’era un’altramusica.” Questo libro cerca appunto di capire cos’è cambiato fra “i mieitempi” e i giovani d’oggi.Sarete messi in guardia anche da quella forma stucchevole di bontà genitorialeche si trasforma in ricatto affettivo, che produce tanti sensi di colpa nei figli.È giunta l’ora che i genitori si rivestano di autorevolezza e diventino piùassertivi. Imparino a utilizzare più punti esclamativi e meno puntiinterrogativi. Se non è chiaro il concetto, proseguite nella lettura di questovolumetto, una sorta di manuale di sopravvivenza per genitori troppo“buoni”.

Saverio Abbruzzese, psicologo psicoterapeuta, criminologo clinico, è stato giudiceonorario del Tribunale per i Minorenni di Bari, ha lavorato come psicologo scolasticonei centri d’ascolto nei diversi ordini di scuola ed è stato docente di Psicologiadell’adolescenza all’Università di Bari. Attualmente insegna Scienze umane nei liceied è docente di Psicopedagogia delle differenze individuali presso la facoltà diScienze della Formazione dell’Università di Bari.Con la meridiana ha pubblicato Un posto per parlare. L’ascolto a scuola (2006).