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1 SUI PASSI DELL’INFINITO 365 riflessioni sulla preghiera per il cammino quotidiano a cura di Bruno Gastaudo Terza sezione (Marzo): 60- 90 Torino 2012

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SUI PASSI DELL’INFINITO

365 riflessioni sulla preghiera per il cammino quotidiano

a cura di Bruno Gastaudo

Terza sezione (Marzo): 60- 90

Torino – 2012

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In ogni sezione di questo itinerario a 365 tappe viene proposta una serie di riflessioni, una per ogni giorno del mese, per facilitarne la lettura e la meditazione quotidiana. I testi sono numerati così da poter essere comodamente abbinati al calendario. Alla costanza della lettura giornaliera si può affiancare qualche minuto di silenzio e l’impegno di provare a vivere concretamente qualche spunto. Nulla sostituisce, però, nella preghiera e nella vita, la guida e il sostegno dello Spirito Santo …

1C (Marzo). PREGHIERA DI OFFERTA (I)

Non si tratta certamente di pensare ad una visione pagana dell’ “offerta” intesa come sacrificio di animali o di cose donate a Dio. Questo tipo di offerta manifesta fondamentalmente un legame quasi ragionieristico con la divinità, a scopo propiziatorio o come adempimento di un voto. Peraltro l’antico “do ut des” (= ti do perché tu mi dia) è purtroppo presente anche oggi nei comportamenti religiosi. Riflettendo in termini molto semplici: che cosa possiamo dare a Dio che non sia già Suo? Il fedele che offre un mazzo di fiori alla statua di una chiesa fa realmente un “dono” a Dio, visto che Lui può avere ben di più dei fiori che poi appassiscono? E poi, in una visuale più ampia, che cosa se ne fa il Signore dei fiori? Aggiungono forse qualcosa al Suo essere divino? Caso mai saranno l’atto generoso e il cuore del donatore ad essere graditi, non la “cosa” offerta! L’unico sacrificio eternamente valido nei confronti del Padre è Cristo che si offre per tutti gli uomini: sulla croce una volta per tutte, e nell’Eucaristia ogni volta che essa riattualizza il Corpo e il Sangue di Gesù per la nostra salvezza (“Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”). La giusta concezione dell’offerta e della preghiera di offerta è quella espressa anche da San Paolo: “Tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai dato. Non hai gradito né olocausti, né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo, o Dio, per fare la Tua volontà»”. (Eb 10,5-7). Ci rendiamo conto del radicale cambiamento? Dio non si aspetta delle cose. Aspetta l’offerta di noi stessi, perché ci apriamo e realizziamo la Sua volontà che in fondo è anche la nostra realizzazione, felicità e salvezza. L’offerta di noi stessi nelle Sue mani corrisponde a ciò che ci fa felici per l’eternità. E Dio attende che ci offriamo a Lui stessi perché vuole darci Se stesso in eterno. Dio attende il nostro dono perché desidera farcene Uno immensamente più prezioso! Prima fra tutte, Maria, mamma di Gesù, ha lentamente compreso questa verità, cercando di tuffarsi nell’ardua impresa fin dal momento dell’Annunciazione, adottando come “linea di comportamento” quella della fiducia totale. La sua preghiera di offerta ha fatto sì che il Figlio di Dio potesse venire in questo mondo attraverso il suo grembo materno: “Ecco sono la serva del Signore, avvenga di me quello hai detto!” (Lc 1,38).

2C. PREGHIERA DI OFFERTA (II)

Con la nostra preghiera di offerta e con un atteggiamento di quotidiana donazione a Dio, chissà che cosa potrebbe fare Lui attraverso di noi per il mondo! Riporto un brano che può aiutarci a puntualizzare ulteriormente: «Un cristiano vive la disponibilità, il servizio, il perdono, l’amore al prossimo non per improvvisazione o così naturalmente, ma perché a un certo punto incontra il Signore, si rende disponibile alla sua voce, rumina la Parola di Dio, e cerca, cadendo e rialzandosi, di mettersi in sintonia con queste realtà profondamente cristiane. Quindi riconosce il progetto di Dio, si offre, dimentica se stesso, muore al proprio egoismo per aprirsi a…! Il Cristo ha scoperto nell’offerta il progetto del Padre su di noi e l’ha vissuto. Così il nostro cammino trova la sua radice profonda nell’incontro con il Cristo offerto al Padre. Si tratta quindi di un movimento di ritorno a Dio che oggi è forse il più difficile, perché contrastato da un clima culturale che certamente è contrario a tutto ciò che è offerta, dimenticanza di sé per un amore più grande, per un amore all’altro». (Padre Francesco Peyron, Missionario della Consolata). La preghiera di offerta ci aiuta a superare la nostra concezione egoistica che è narcisistica, infantile, accentrata su noi stessi, per aprirci ad una vita oblativa (da “oblazione”, cioè “offerta” gratuita di chi non si aspetta nulla in contraccambio), propria dello stadio affettivo più maturo, in contrapposizione all’amore possessivo decisamente più interessato. La preghiera di offerta ci stimola a maturare come uomini mentre ci fa procedere come cristiani, e ci conduce su un percorso che è anche scoperta e realizzazione di noi stessi. La preghiera di offerta ci stacca gradualmente da quella gretta mentalità che ci fa pensare “che cosa ne avrò in contraccambio?” ogni volta che stiamo per dare qualcosa agli altri. Senza ridurre l’offerta al caso triste della sofferenza, tuttavia anche il dolore, se viene unito a quello di Cristo in offerta comune, può diventare mezzo di redenzione e non pretesto di ribellione o di negativa rassegnazione.

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3C. PREGHIERA DI OFFERTA (III)

Che cosa offrire, quindi, a Dio, nella preghiera e nella concretezza quotidiana? La risposta viene anche da una lettura meno devozionale del nostro cristianesimo bi-millenario. Possiamo offrire a Dio ciò che Lui “non può avere” perché dipende da noi. Possiamo offrire a Dio ciò che è legato alla nostra libera scelta e volontà. Possiamo offrire a Dio ciò che potremmo tenere per noi e invece decidiamo di “restituirGli” perché abbiamo colto il legame che c’è tra noi e Lui. Quindi possiamo offrire il tempo, la disponibilità per gli altri, l’impegno quotidiano (forse proprio il più “eroico”), le umiliazioni per il Vangelo, la fedeltà ad una Chiesa madre e peccatrice, le azioni per la giustizia fatte con coraggio, gli atti compiuti per fedeltà e non per piacere, le attività sgradevoli per aiutare qualche bisognoso… In sostanza “ogni” situazione quotidiana può essere offerta a Dio perché Egli ne ricavi qualcosa di buono. Mi permetto di riportare una piccola esperienza personale. Nei primi anni di insegnamento, a Giaveno, una collega mi passò su un foglietto sciupato una preghiera ricopiata chissà da dove, che lei recitava spesso ad inizio giornata (e che io, come vedete, ho conservato): “Signore, vorrei che le mie ore di lezione fossero piene di amore. Anche se so che perderò la pazienza con la mia ciurma di scalmanati, che avrò voglia di finire presto, che sarò delusa per i magri risultati raccolti, che mi chiederò ancora una volta se sono tagliata per questo lavoro, che rimpiangerò di aver preparato con tanta cura quella spiegazione... Ti offro ora la mia faticosa presenza fra i ragazzi: fa’ che non sia del tutto inutile. Tu fanne l’uso che vuoi!”. Ciascuno provi a pensare come potrebbe essere una preghiera analoga per il proprio particolare lavoro. Se Dio ha prediletto il Figlio che si è offerto sulla croce, quale dono è più gradito di ciascuno di noi che spende la propria vita per i fratelli? Nella preghiera di offerta impariamo a non cercare noi stessi, ad uscire da noi, a smettere di rincorrere le soddisfazioni, le gratificazioni emotive, l’esaudimento delle nostre richieste, per diventare noi stessi “offerta viva”. La preghiera autentica, infatti, non può non aprirci al mondo. Non appena entriamo in dialogo con Dio, ci rendiamo conto che Lui non è ripiegato su Se stesso, ma si dona, si apre alle Sue creature, si fa “Trinità d’amore” per amare.

«A Te, Signore, innalzo l’anima mia. In Te ho fiducia, mio Dio, non mi deludere

e i miei nemici non trionfino su di me. Chi spera in te non sarà mai deluso;

deluso sarà chi ti abbandona. Fammi conoscere le tue vie, Signore;

insegnami il cammino da seguire. Guidami con la tua verità e istruiscimi:

sei Tu il Dio che mi salva, ogni giorno sei la mia speranza.

Non dimenticare il tuo amore e la tua fedeltà: durano da sempre, Signore.

Buono e giusto è il Signore; ai peccatori insegna la sua via;

conduce i poveri sulla via della giustizia, insegna loro a compiere la sua volontà.

Il Signore guida con fedeltà e amore chi osserva il suo patto e i suoi comandi.

Il Signore mostrerà la via da scegliere all’uomo che ha fede in Lui».

(dal Salmo 25).

4C. PREGHIERA NEL FALLIMENTO (I)

Può sembrare fuori luogo affermare che proprio in certe situazioni di “fallimento” si nascondono opportunità privilegiate di preghiera e di crescita. La possibilità di ritrovare occasioni di bene in contesti negativi, però, non va intesa in modo ingenuo o tale da rasentare il fanatismo religioso. L’esperienza umana di tutti i giorni porta a dire che è più facile che un fallimento generi disagio, sofferenza e fondamentalmente scoraggiamento.

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Quando non ci sono più appigli cui agganciarci, allora possiamo intraprendere varie strade: la rivolta contro tutti, la chiusura in noi stessi, la fuga in qualche insano nido di depressione, l’entrare in conflitto con il mondo (soprattutto con chi riteniamo ingenuamente stia meglio di noi), il lamentarsi inutilmente. Oppure possiamo guardare bene in faccia la caduta o la sconfitta subita, accettandone l’evidenza oggettiva, soprattutto se essa è stata inevitabile nella situazione e con i mezzi a nostra disposizione. Poi possiamo abbandonarci a Dio che forse vuole agire in noi “al pulito” da ogni falsa sicurezza, e ovviamente possiamo provare a non restare con le mani in mano piangendoci addosso. Per quanto appaia strano, Dio sembra prediligere gli uomini scartati, sconfitti, disfatti, con poche carte da giocare… per compiere le Sue opere. Gli esempi biblici e quelli tratti dalla vita dei santi sono molti. Già la saggezza dell’Antico Testamento faceva pregare così nel celebre salmo 118: “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”. E dopo l’esemplare vicenda di Gesù, San Paolo sviluppa in modo esemplare la sua riflessione sulla debolezza dell’uomo “sconfitto” che però è in costante dialogo con Dio e si pone con fiducia a disposizione dei Suoi piani: “Quando sono debole, è allora che sono veramente forte” (2Cor 12,10). Anche a noi potrebbe capitare di trovarci sconfitti da qualche situazione della vita e di percepire più o meno intensamente la nostra finitezza, limitatezza, pochezza. Nonostante la sofferenza in cui ci troviamo, quello può essere un momento d’oro. Si tratta di trasformare la sconfitta umana in occasione offerta a Dio perché Lui possa cominciare a costruire finalmente qualcosa di veramente Suo in noi. Dopo che è stato distrutto in noi qualcosa di ingombrante, dopo che le nostre ambizioni o presunzioni sono state abbattute, sentiamo tutto il peso dell’operazione dolorosa, ma ricostituente per la nostra fede. E’ forse proprio la preghiera nel fallimento l’inizio della “rivincita” che Dio intraprende con e per noi.

5C. PREGHIERA NEL FALLIMENTO (II)

Scrive Alessandro Pronzato: «L’immagine della preghiera come rifugio è parziale. Il più delle volte la preghiera ti espone, senza difese, alla tempesta. Ti dà solidarietà sradicandoti. Pregare, infatti, è avere le radici piantate in alto. La preghiera costruisce l’uomo dal di dentro, attraverso una successione inesorabile di crolli, abbattimenti e rovine. La tenerezza dell’uomo di preghiera trasuda dalla sua scorza ruvida e martoriata». Accettare di essere limitati e deboli è prima di tutto un indice di dignità umana e di vera forza interiore, ed è lo spiraglio attraverso cui la potenza di Dio può irrompere e porre dimora nel nostro essere più autentico. Se in noi c’è ingombro di cianfrusaglie o di false sicurezze su cui basiamo la nostra illusoria presunzione, con difficoltà Lui può trovare posto. Quali sono le più frequenti cause all’origine dei nostri veri e presunti fallimenti? Insuccessi nei vari campi della vita, delusioni, tradimenti (non solo sentimentali), discredito più o meno palese, calunnie, emarginazione nei vari ambienti che frequentiamo, malattie, rifiuto da parte di alcune persone, derisione, persecuzioni, soprusi (magari compiuti da chi sta più in alto di noi), prepotenze o arroganza, reazioni ai nostri difetti o limiti personali, senso dell’irreversibilità del tempo (soprattutto dopo la cosiddetta “mezza età”), cancellazione inevitabile del passato, coscienza dell’invecchiamento, impossibilità di cambiare certe situazioni o di ripetere occasioni ormai perdute. Questo elenco è ovviamente incompleto. Quale possibile via d’uscita ha di fronte un cristiano? La Parola di Dio, la lunga tradizione dei santi e la sapienza religiosa di ogni epoca concordano su due linee parallele (e che quindi non si escludono a vicenda): la preghiera come atteggiamento fondamentale di abbandono a Colui nel quale “tutto possiamo”; l’impegno personale, inteso non come “arrampicata” verso il cielo, bensì come decisione di mettersi a

disposizione della via tracciata da Gesù.

6C. PREGHIERA NEL FALLIMENTO (III)

L’abate André Luof offre una bellissima pagina in proposito da cui traggo questa citazione: «Ogni sforzo naturale è destinato fin dall’inizio a staccarsi da se stesso e ad esaurirsi, per raggiungere un punto zero da cui l’uomo non può avanzare né fare un solo passo ulteriore sulla via verso Dio. Ma è proprio in questo punto zero che la potenza di Dio lo rimpiazza e lo porta a un risultato che l’uomo non avrebbe mai sperato di raggiungere con le proprie forze». Il fondamento della preghiera nel fallimento è non soccombere, non lasciarsi schiacciare, ma perseverare nell’essere orientati a Dio, continuare a stare in contatto con Lui, anzi, rafforzare e intensificare ogni minima occasione di rapporto con Lui. Concretamente, poi, potrebbe esserci utile:

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rifarci alla Parola di Dio, soprattutto guardando ai personaggi più toccati dalla sconfitta (Giobbe ed Elia, per esempio) o ad episodi in cui Gesù trionfa sulle debolezze umane, provando ad accogliere in noi la forza di Dio che “risolleva l’umile e il debole”;

liberarci con decisione dai pensieri ossessivi che rendono ancora più negativa la sconfitta e che vogliono girare il coltello nella piaga, per aprirci invece alla preghiera disinibita e serena;

invocare Dio perché ci indichi “dove” ci sta aspettando: Lui probabilmente ci farà intuire che ad un livello meno superficiale della nostra sconfitta c’è un germe che sta nascendo per aprirci nuove prospettive;

non restare appollaiati sui nostri modi rattrappiti di pregare: usiamo la fantasia, facciamoci ispirare dallo Spirito Santo, chiediamogli il dono dell’intelletto per uscire dallo stallo che ci blocca;

affiancare alla preghiera individuale nella nostra caduta il sostegno dei fratelli di un serio gruppo di formazione cristiana o di un buon direttore spirituale,

E poi le vie del Signore sono davvero infinite: Lui potrebbe attenderci all’angolo del quartiere con una frase “appropriata a noi” da parte di un conoscente qualunque. In ogni caso il nostro impegno non dovrebbe mai assumere i connotati di una estenuante battaglia contro noi stessi: potremmo ritrovarci con un’ulteriore batosta, dopo la recente, bruciante esperienza. Fidiamoci più di Dio che delle nostre strategie psicologiche (a volte pericolosamente fai-da-te).

“Grido a Te, Signore;

non essere sordo, mia roccia sicura. Se non rispondi io sono già come morto.

Ascolta il mio grido quando ti chiedo aiuto, quando tendo le mani in preghiera

verso la dimora dove Tu sei presente. Non trattarmi come i malvagi,

come quelli che compiono il male; con gli altri parlano di pace,

ma dentro di sé portano odio. Essi non danno importanza

alle azioni che il Signore ha fatto. Benedetto il Signore: ascolta la mia supplica

Il Signore mi dà forza e mi protegge. In lui ho fiducia, da lui ricevo aiuto.

Il mio cuore esulta di gioia e col canto lo ringrazio”.

(dal Salmo 28).

7C. PREGHIERA DI SFOGO (I)

“Se Dio t’infastidisce, diglielo ugualmente!” Così affermava Fenelon nel già citato libro di don Joao Mohana. Non stiamo assolutamente cercando di giustificare l’imprecazione, la maleducazione o la sfrontatezza nei confronti di Dio. D’altra parte il grido per lasciar uscire liberamente ciò che abbiamo dentro è la forma più elementare, essenziale, spontanea di preghiera, tutt’altro che rifiutata da Dio. Anzi, Egli sembra proprio prediligere il grido del povero che si sfoga con Lui, più che le parole sofisticate, recitate per assolvere solo farisaicamente al dovere dell’orazione. Non si tratta quindi di “debolezze infantili” da evitare con vergogna perché non adatti alla forma richiesta da una preghiera “seria”! André Louf scrive acutamente in proposito: «gridare è un’attività profondamente umana: è stata la prima che abbiamo imparato appena venuti al mondo. I nostri polmoni erano ancora chiusi e, al primo contatto con l’aria, appena usciti dal grembo materno, rischiavano di soffocare. A quel punto abbiamo gridato, inventato il grido. Era un grido vitale, che ci salvava per la vita: infatti nel gridare la nostra disperazione, abbiamo aperto i polmoni permettendo così all’aria di irrompervi. Il ricordo di questo primo grido è rimasto impresso nella nostra psiche e nel nostro corpo, ne siamo segnati per sempre: ogni volta che ci troviamo in una situazione difficile l’eco di questo grido torna a galla. Poter gridare la nostra disperazione è allora un grande sollievo e, in certi casi, rappresenta il primo passo verso la guarigione». Ogni bisogno, dolore, angoscia, trauma, desiderio è degno di essere ascoltato da Dio, indipendentemente dal tipo di esaudimento che ci aspettiamo. Se sentiamo il bisogno di sfogarci con qualcuno, vuol dire che stiamo cercando di uscire da noi stessi per rivolgerci ad un altro. E se ciò avviene sinceramente con Dio, Lui non può non ascoltare il nostro grido.

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Non ripiegandoci più su noi stessi, ma ricercando Dio, avviamo la svolta decisiva. Infatti, mentre ci rivolgiamo a Lui, incontriamo già il Suo amore. Lo Spirito Santo che è in ciascuno di noi “si esprime con gemiti ineffabili”, come afferma San Paolo. 8C. PREGHIERA DI SFOGO (II)

La tradizione biblica cristiana inserisce tra le virtù anche la “parrhesia”, cioè la libertà, la franchezza, il “coraggio di dire” (comunque sempre nell’ottica di non essere mai offensivi o distruttivi). Esempi illustri possono essere reperiti un po’ ovunque. Elia che a un certo punto della sua contraddittoria e difficile missione, sente il fallimento della propria predicazione e, fuggito nel deserto per lasciarsi morire, sbotta con uno sdegnato “Ora basta! Prendi la mia vita…” (1Re 19,4). Giobbe la cui avventura umana e spirituale è spesso uno sfogo violento con Dio: “Darò libero sfogo ai miei lamenti…” (Gb 10,1-3). Analogamente alcuni salmi che potrebbero sembrarci addirittura blasfemi, perché costellati di insofferenze, espressioni graffianti, parole urtanti, invocazioni provocatorie… ma che sono preghiera, per di più inserita poi nella liturgia della Chiesa. Anche nei Vangeli si incontrano personaggi che “osano” tanto da sfogarsi apertamente con lo stesso Gesù. Per esempio in Mc 4,38 (vedi: www.bibbia.net/ oppure www.bibbiaedu.it), nell’episodio della tempesta sul lago, i discepoli non usano certo toni delicati e composti nell’indirizzare a Cristo un secco “Maestro, non t’importa nulla che affondiamo?”. Ce n’è per tutti i gusti anche nelle biografie di santi, beati e personaggi autorevoli del cristianesimo di ogni epoca. Che cosa ne traiamo allora per la nostra vita? Prima di tutto che il rapporto vita/preghiera dovrebbe essere così naturale e intenso da far entrare ogni situazione come occasione di dialogo con Dio. Se lo sfogo, però, è fine a se stesso, è astiosa opposizione al Padre, è rabbia rivolta verso tutto e tutti, è angoscia senza speranza, è urlo prodotto con l’intento di allontanare gli altri, è prepotenza verso chi ci sta accanto, è furore che medita vendetta, allora questo non può essere preghiera, ma ha bisogno di purificazione del cuore, necessita di una doverosa revisione. Lo sfogo diventa preghiera se è consapevolmente indirizzato al Signore, lasciandogli almeno uno spiraglio aperto affinché Lui possa a sua volta entrare nella nostra situazione di disagio. Nel momento in cui Dio diventa il “destinatario”, Egli comincia a dar forza alla nostra debolezza umana.

9C. PREGHIERA DI SFOGO (III)

Seguiamo cosa ci propone ancora Alessandro Pronzato su questa linea di riflessione: “Non sempre abbiamo il coraggio di esprimere a Dio i nostri sentimenti più turbolenti. O ci imprestiamo e indossiamo le disposizioni d’animo che vorremmo avere. Allora la preghiera diventa sostanzialmente falsa. Abbiamo paura di dire al Signore tutto ciò che pensiamo, tutto ciò che ci tormenta, tutto ciò che ci agita, tutto ciò su cui non siamo d’accordo con Lui. Pretendiamo di pregare nella pace. E non vogliamo prendere atto del fatto che, prima, bisogna attraversare la bufera. Si arriva alla docilità, all’ubbidienza, dopo essere stati tentati dalla ribellione. I rapporti con Dio diventano sereni, pacati, solo dopo che sono stati burrascosi. Meglio lamentarsi che fingere la rassegnazione. Meglio sfogarsi, piuttosto che tenersi dentro veleni che intossicano tutto l’organismo, e accumulare amarezza indigeribile”. Le occasioni dalle quali, come un’eruzione vulcanica, può erompere uno sfogo con il Signore sono tante quanti i casi della vita, soprattutto quando ci sembra di raggiungere il limite, il punto critico, la goccia che fa traboccare un vaso già strapieno… Due semplicissime esperienze su cui possiamo riflettere: L’ultima volta in cui ci siamo “sfogati” come abbiamo espresso da cristiani il nostro disagio? Verso chi?

Possiamo dire che vi sia stata anche una qualche preghiera di sfogo? La prossima volta in cui ci toccherà di dare espressione concreta a un nostro tormento, in che modo

proveremo ad indirizzare a Dio l’espressione sincera del nostro cuore in tempesta? Sarebbe interessante scambiarci le impressioni …

«O Dio, ascolta la mia preghiera, non nascondermi quando ti invoco. Prestami attenzione e rispondimi: mi lamento preso da tristi pensieri, sono turbato dalle grida dei nemici.

dall’aggressione dei malvagi.

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Mi sento scoppiare il cuore, mi ha afferrato il terrore della morte.

Sono pieno di timore e paura, schiacciato dallo spavento.

Mi son detto: “Avessi ali di colomba. volerei via, andrei a posarmi altrove.

Fuggirei in un luogo lontano, passerei la notte nel deserto.

M’affretterei a trovare un riparo dal vento impetuoso della tempesta”».

(dal Salmo 55).

10C. PREGHIERA DI SFOGO (IV) – UN RACCONTO

Quante volte le nostre inibizioni o ossessioni ci hanno impedito di presentarci a Dio così come siamo, di comunicargli la gioia, la preoccupazione o la condizione del momento! E se la nostra preghiera, senza mancare di rispetto, ritrovasse una certa sana e santa libertà da tutte quelle pretese di formalismo esagerato che ingessano i nostri rapporti col Padre? Davvero Dio si scandalizzerebbe di fronte al nostro sincero sfogo (“Signore, non ne posso più”… “Ma di questo passo dove andremo a finire?”... ”Signore, dove sei?”…” Abbi pazienza, buon Dio, ma sono proprio furibondo”… “Che cosa devo ancora aspettarmi dopo quello che ho combinato. E tu, Dio, che cosa facevi nel frattempo?”… “Se solo tu, Signore, fossi più esplicito!”… “Signore, Signore, perché non ti fai sentire?”…). Ecco un piccolo racconto che può essere complementare di quanto stiamo suggerendo. Il bambino protagonista del film “Capitani coraggiosi” entra in chiesa. Deve fare qualcosa per ricordare il suo amico Manuel, il pescatore che l’ha salvato e che, successivamente, è stato inghiottito dall’oceano. Un candeliere, due candele accese, ha i dollari sufficienti per tutto ciò. Fin qui agisce con sufficiente disinvoltura, avvolto dallo sguardo compiaciuto di un prete. Poi, all’improvviso, si trova imbarazzato. “E adesso, che cosa devo fare?” “Mettiti a pregare”, lo ammonisce paternamente il sacerdote. Ma il ragazzo non è a suo agio. “Tu rimani qui”? “No. lo vado via.” “E... posso dire tutto ciò che voglio”? “Sì, figliolo, puoi dire tutto ciò che vuoi al Signore”. L’imbarazzo del bambino esprime l’imbarazzo di tanti uomini che provano il desiderio, almeno qualche volta, di pregare. Fino alle candele accese, al segno di croce furtivo, tutto bene. Ma quando si vorrebbe uscir fuori dal convenzionale, dall’abitudine, spuntano le difficoltà. Non sarà forse perché Dio non è diventato ancora un “Tu”? e Gesù il mio vero fratello?”. (Aneddoto tratto dal sito WEB http://digilander.libero.it/unaparolaalgiorno.htm )

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11C. PREGHIERA DI INSODDISFAZIONE E DI DESIDERIO (I)

E’ questa una nobilissima forma di preghiera che affonda le radici nella constatazione di ciò c’è dentro e intorno a noi, ci porta a percepire una sana insoddisfazione e a desiderare un cambiamento costruttivo. Nonostante questo mondo sia amato da Dio, è una legittima aspirazione la realizzazione di una realtà più giusta e più conforme ai progetti del Creatore. La richiesta è già sapientemente presente nel “Padre nostro” in cui Gesù ci insegna a pregare “venga il tuo regno!” E Dio non può volere un regno dove ci sono ingiustizie, prepotenze, guerre, soprusi, prevaricazioni, fame, malattie, indifferenza, egoismo, sfruttamento, violenze, persecuzioni, distruzioni… morte! Non soltanto è legittimo desiderare una vita migliore, ma è lo stesso desiderio del Padre, tanto che il Figlio prediletto, venuto sulla terra, si è prodigato affinché i mali che soffocano l’uomo fossero superati. Nel Vangelo una delle beatitudini è riservata proprio a queste creature “scontente” del modo in cui vanno le cose e mai rassegnate al male: “Beato chi ha fame e sete della giustizia, perché sarà saziato”. Scrive don Joao Mohana: «Ogni volta che desideriamo di cuore un qualsiasi valore concreto che abbia relazione col regno di Dio, vi troviamo dentro questo tipo di preghiera. Ma non è indispensabile che il desiderio abbia un legame diretto ed esplicito con Dio. Desiderare che in città vi sia un ospedale per tumori, ad esempio, è una maniera di far preghiera di desiderio. Desiderare che le prostitute comprendano l’obiettivo delle persone che si sono impegnate ad installare un centro di recupero è pregare in desiderio. Desiderare che gli alunni accolgano i suggerimenti dell’insegnante è un’altra mistica maniera di pregare col desiderio».

12C. PREGHIERA DI INSODDISFAZIONE E DI DESIDERIO (II)

La preghiera di un cristiano è lo strumento di chi non si rassegna all’andazzo del mondo, soprattutto quando si pensa infelicemente che tanto mai nulla cambierà. Pensiamo ai perseguitati dei primi secoli, o alle chiese dell’Est sotto i regimi comunisti, o a certe comunità dell’America Latina angustiate da governi dittatoriali: se non avessero saputo pregare nel profondo delle loro situazioni, con quali forze e con quali motivazioni avrebbero potuto tirare avanti? La loro determinazione nel tendere verso un’alba più luminosa dopo sequenze interminabili di giorni oscuri, ha fatto sì che intere popolazioni potessero rialzarsi e continuare a vivere. Afferma, con la consueta acutezza, don Alessandro Pronzato: «L’orazione consente al fatto che la nostra minuscola isola di soddisfazione anneghi e venga sommersa dall’oceano di Dio, della sua tenerezza, dei progetti folli del suo amore. Che i meschini e ti idi sogni dei figli vengano inghiottiti dalle onde del sogno di un Padre che vuole farci frequentare gli orizzonti del suo regno. La preghiera è per chi non si arrende. Per chi non accetta l’inevitabile. Per chi avverte non la languorosa nostalgia di un passato sepolto sotto le macerie, ma la nostalgia robusta di un oggi e di un futuro da costruire. Per chi rifiuta le sentenze di una realtà deludente, e si affida all’utopia». L’uomo saggio sa riconoscersi debole e destinato a subire limitazioni, ma può sempre decidere di non soccombere, aspirando a un suo adeguato progresso e facendo partecipe di questo profondo desiderio il Padre dal Quale può venire il vero bene. Un’importante sottolineatura: pregare non è mai scaricare su Dio le nostre responsabilità, standocene passivi ad aspettare che qualcosa magicamente cambi. Sarebbe una deleteria scuola di irresponsabilità e di ipocrisia, invece che di maturazione. La nostra sana insoddisfazione dovrebbe piuttosto comprendere due aspetti paralleli: positiva insoddisfazione di come vanno alcune cose nel mondo e nel nostro “io”; costruttiva insoddisfazione di come viviamo il Vangelo. La non soddisfazione dovrebbe toccare il suo culmine quando guardiamo con profondità ai “valori” del mondo d’oggi (per esempio al fatto che così spesso nelle cose che facciamo cerchiamo un qualche tornaconto personale). La preghiera in questo caso dovrebbe portarci al desiderio di diventare uomini della gratuità, creature della libertà, esseri amati che amano veramente.

13C. PREGHIERA DI INSODDISFAZIONE E DI DESIDERIO (III)

Certe volte una genuina insoddisfazione (non dovuta a situazioni patologiche) perché stiamo male nei nostri panni può essere un provvidenziale momento di grazia che ci fa sapientemente desiderare la fine del nostro uomo vecchio, quell’uomo vecchio che in noi asfissia la vita e ci impedisce un’autentica realizzazione.

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Ben venga allora qualche benefico “tarlo” che ci fa saltare dalla sedia perché non sopportiamo più i nostri personali pensieri egoistici, le nostre esibizioni ipocrite e meschine, le nostre azioni così distanti dal Vangelo! Scrive ancora don Pronzato: «L’uomo vecchio è quello che ti va stretto, che ti soffoca. L’uomo nuovo non è quello largo. E’ semplicemente l’immagine originaria ritrovata. Se Dio non ti fa star male nella tua pelle, dubita di averlo incontrato durante la preghiera. Nella preghiera l’uomo non trova lo specchio per guardarsi (ammirarsi o detestarsi, due atteggiamenti ugualmente sterili). Trova l’icona, ossia l’immagine, la somiglianza primitiva. Qualcuno ha definito il cristiano un “contento insoddisfatto”. Già. Contento perché c’è un Padre che non lo perde di vista, si occupa di lui, e ha risuscitato Suo Figlio. Insoddisfatto perché la realtà non corrisponde alle attese di questo Padre. Nella preghiera confesso che non sono contento del mio modo di essere figlio, fratello, cittadino del Regno. Si imbocca la strada della preghiera solo dopo aver coltivato germi di inquietudine». E noi che temiamo con tanta forza ciò che può scomodarci dalle nostre morbide poltrone, troviamo stavolta un pungolo benefico che ci dà una spinta nella direzione giusta. L’imprevisto incitamento, però, ci costa la rottura del nostro ben architettato e rassicurante “equilibrio”. Guai a chiederci allora se ne vale la pena!

Come una cerva anela a un corso d’acqua.

anch’io vado in cerca di te, mio Dio. Di te ho sete, o Dio, Dio vivente:

quando potrò venire e stare alla tua presenza?

Le lacrime sono il mio pane di giorno e di notte,

mentre tutti continuano a dirmi: “Dov’è il tuo Dio?”.

Perché sei così triste, anima mia? Spera in Dio! Tornerò a lodarlo,

lui, mia salvezza e mio Dio. Di giorno, mandi il Signore

la sua misericordia; di notte canto la mia lode

al Dio che mi dà vita. Dirò al Signore: “Mia roccia, perché mi hai dimenticato?”

Spera in Dio! Tornerò a lodarlo, lui, mia salvezza e mio Dio.

(dal Salmo 42).

14C. PREGHIERA DI STANCHEZZA (I)

Probabilmente molti di noi si sentiranno coinvolti direttamente in questa forma singolare di preghiera. Non soltanto perché la stanchezza è una situazione molto frequente, ma anche perché tocca una delle componenti più umane della nostra realtà di creature. Sia che si tratti di stanchezza fisica (dovuta al lavoro, alle intense ore di attività, alla carenza di riposo) sia che si tratti di fatica spirituale o esistenziale (e non solamente causata dall’onnipresente “fatica di vivere”), ci troviamo spesso senza quella carica che ci consentirebbe di proseguire spediti il cammino. La vita moderna con i suoi ritmi impone una legge ferrea, come un complicato meccanismo: se vogliamo far parte del sistema, dobbiamo girare insieme agli altri ingranaggi, alla stessa velocità; se perdiamo qualche giro perché non ce la facciamo a stare al passo, non siamo più “elementi funzionali dell’insieme”. Senza voler affrontare casi particolari quali gli esaurimenti o le patologie legate all’eccesso di stress, ciascuno di noi è soggetto alla sua dose quotidiana o settimanale di stanchezza ordinaria, cioè a quella che ci bisbiglia col fiatone: “Basta! Fermati un momento, per pietà!”. Ecco allora un altro momento privilegiato da trasformare proficuamente in momento di grazia. Far diventare la stanchezza un’occasione per fermarsi e ritrovare qualche istante di sereno, affettuoso dialogo con Dio. Senza tante formalità inutili. La fatica, anziché schiacciare il nostro desiderio di cielo, può invece spingerci ad alzare gli occhi e a rivolgerci lì dove anche le nostre spossatezze ritrovano un senso. Come i montanari che in passato, con le loro pesanti gerle di fieno, sostavano ai piedi di un pilone per dire un’Ave Maria e consacrare così il loro sudore, anche noi possiamo compiere un piccolo miracolo: trasformare la nostra stanchezza in una freccia di gratitudine o di amore che vuole raggiungere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per elevare la nostra attività e le preoccupazioni che l’accompagnano. Vogliamo davvero credere che Dio resti indifferente a queste preghiere?

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15C. PREGHIERA DI STANCHEZZA (II)

Per fortuna non sono pochi i cristiani che riescono a ricavare nelle loro pause uno spazio per pregare, anche soltanto una minuscola finestra affacciata su Dio per dirgli qualcosa: un grazie per il lavoro, un aiuto per un momento difficile, una supplica per riuscire a sopportare con amore un collega veramente fastidioso, un’offerta dei sacrifici che vengono o che verranno, un pensiero affettuoso ai figli, alla moglie o a qualche caro, una commossa richiesta per un sofferente… Sono davvero tanti i modi attraverso cui possiamo “consacrare” la fatica delle nostre mani o dello spirito. Quando vediamo nero in una giornata in cui tutto sembra andare storto, c’è la possibilità di una luce che può farci cambiare punto di vista. Quando sentiamo che il peso di quel momento è più grande di quel che possiamo reggere, c’è la possibilità di posare a terra il fardello e di riprenderselo in spalla dopo averne condiviso la fatica con Gesù. Quando abbiamo smarrito il senso dell’impegno, c’è la possibilità di chiederci perché nel racconto biblico della creazione Dio si è riposato il settimo giorno. Non sono che alcuni tra i moltissimi esempi e riferimenti che possiamo estendere ai nostri casi particolari. Anche quando gli occhi tendono a chiudersi pesantemente dopo una giornata turbinosa che ci ha chiesto il massimo delle energie, l’ultimo pensiero prima di addormentarci può essere per Dio, affidandogli idealmente la buonanotte affettuosa. Non è sentimentalismo sdolcinato per bimbi piccoli! Si tratta piuttosto di riscoprire ancora una volta come vita e preghiera vadano di pari passo, come l’una condizioni l’altra e come l’una senza l’altra diventi vuota. Se certe attività ci procurano stanchezza, prima di soccombere al “non ce la faccio più”, fermiamoci: pochi istanti per fare il punto, tirare il fiato e risistemare il filo d’oro che ci unisce a Dio, e poi, con uno spirito diverso, ripartire. Non è bello tutto questo? 16C. PREGHIERA DI STANCHEZZA (III)

Oltre ad una equilibrata razione periodica di giusto riposo e di diversivi, c’è anche chi consiglia di provare a farsi aiutare da qualche corretta pratica di rilassamento (pochi istanti di un buon esercizio di respirazione e di decontrazione generale), dopo la quale si entra nel clima di una preghiera serena con più facilità. Se queste tecniche sono e restano un mezzo, senza trasformarsi in una rischiosa forma di dipendenza, possono talora essere di qualche aiuto. In varie comunità religiose, gruppi di spiritualità, famiglie, si prega dopo aver eseguito qualche momento di distensione che serve anche a focalizzare meglio l’atto del pregare e dare il giusto posto a preoccupazioni e affanni. A volte restare anche solo in silenzio per due minuti prima di pregare è già un buon modo di passare dall’affannoso trantran quotidiano al dialogo con Dio. La scelta è ancora quella di orientare a Dio la nostra realtà umana così com’è, stanchezza compresa. Seguiamo ancora le preziose indicazioni di don Alessandro Pronzato che così scrive: «La preghiera non è una cura miracolosa che faccia passare la stanchezza; ma ti consente di camminare nonostante la stanchezza. La preghiera come sosta non è la fine del cammino. E’, piuttosto, la ripresa del cammino. La preghiera nella stanchezza è la preghiera della fedeltà più sofferta. E’ la preghiera di chi vuol rispettare tutti gli impegni, a qualunque costo; non intende sottrarsi a nessuna responsabilità, per quanto pesante; non vuole scansare nessun compito, per quanto sgradevole. Quando non ce la fai più, ti fermi a pregare per far capire al Signore che dopo ci saranno altri passi». Allacciamoci allora idealmente le nostre scarpe da jogging spirituale e… avanti!

«Soltanto in Dio trovo riposo, da Lui viene la mia salvezza.

Lui solo è mia salvezza e mia roccia, al suo riparo starò saldo e sicuro.

In ogni tempo confidate in Lui, voi che siete il suo popolo. Aprite a Lui il vostro cuore:

solo Dio è un rifugio per noi. Gli uomini sono un soffio di vento:

esseri umani di relativo valore, se salgono insieme sulla bilancia

pesano meno di un soffio. Non abbiate fiducia nella violenza,

non riponete nella rapina vane speranze,

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anche se cresce la ricchezza, ad essa non attaccate il cuore.

Dio ha parlato, molte volte l’ho udito: “A Dio appartiene il potere”. Tu solo, Signore, sei fedele,

ricompensi ciascuno secondo le sue azioni. Soltanto in Dio trovo riposo,

da Lui viene la mia salvezza». (dal Salmo 62)

17C. PREGHIERA NELLA SOFFERENZA (I)

“Se qualcuno è nella sofferenza, si metta a pregare!”. Così San Giacomo, nella sua lettera (Gc 5,13-15; vedi: www.bibbia.net/ oppure www.bibbiaedu.it), affronta la situazione del dolore. Lapidario, incisivo e con chiarezza cristallina. Più che facendo ricorso a contorsioni teologiche (ammesso che da qualche parte esita una “spiegazione” teologica al problema del dolore…) o inutili verbosità, l’apostolo propone in breve una medicina. Le motivazioni non vanno ricercate nelle teorie filosofiche, perché nulla più del dolore è compagno dell’uomo. Dolore che a volte è così intenso da diventare peso schiacciante e a volte è così sottile e insidioso da farsi protagonista continuo perfino dei pensieri. Lo sappiamo tutti: di fronte a certo dolore non c’è ragione che tenga. Non si può che balbettare qualcosa con molta umiltà e ancor più rispetto per chi sta soffrendo. Non si possono proporre soluzioni credibili se non condividendo con il fratello sofferente una presenza che sia soprattutto vicinanza e amore. Nelle variegate situazioni della sofferenza umana la domanda cruciale si presenta in tutta la sua crudezza: “Dio, dove sei?”. Le mascherate servono a poco. Che si voglia camuffare il dolore, tentare di addolcirne le conseguenze, ricercarne i significati per attutirne l’impatto sulla fragile struttura umana, bisogna prepararsi all’insuccesso. L’esperienza di molti insegna che la via d’uscita razionalistica in molti casi non tiene. Quando tutto pare cominciare a crollare e ci sembra di dover far fronte a un ostacolo insormontabile, allora è indispensabile restare ancorati a Dio, anche se costa un’ulteriore, abbondante, dose di coraggio. La preghiera del dolore, la preghiera NEL dolore è una di quelle che maggiormente entrano nella preghiera di Gesù stesso, che gli fanno sperimentare la dimensione della sofferenza vissuta nella fiducia e nell’abbandono totale al Padre. Lo affermano con forza i nostri teologi: la passione e morte di Gesù non sono accadute “per finta”! Egli ha fatto esperienza reale del dolore fisico, dell’abbandono, dell’umiliazione, dell’agonia lancinante e tutto questo per una ragione: restare fedele fino in fondo al progetto di Dio! Questo è già un primo aspetto illuminante per comprendere l’apparente insensatezza della fiducia in Dio proprio nei momenti in cui questa fiducia viene seriamente messa in crisi dal dolore. 18C. PREGHIERA NELLA SOFFERENZA (II)

Non esistono ricette preconfezionate. Tuttavia uno dei primi passi da compiere in una situazione di sofferenza, dovrebbe essere quello di non cadere in una trappola abbastanza frequente e pericolosa, quella di vedere il Signore come “nemico” che manda o che vuole il dolore. Già la riflessione sapienziale dell’Antico Testamento faceva esclamare: “Dio non gode della rovina dei viventi!” (Sap 1,13). Questo dovrebbe essere inciso nel granito della nostra esperienza concreta. I passi ulteriori possono nascere dalla fede personale: aprirsi a Dio, fidarsi di Lui, gettarsi nelle Sue braccia, senza chiedergli spiegazioni razionali convincenti o garanzie di buon esito. Attraverso questa fase in cui si alternano buio e angoscia possiamo cominciare ad intravedere una piccolissima luce, ed è a quest’ultima che dobbiamo guardare con speranza. La preghiera del dolore è quella di chi, in fondo, sta giocando le sue carte fondamentali, perché probabilmente sta toccando il fondo, là dove si intuisce ruvidamente che cos’è l’essenziale. Certe conversioni radicali avvengono proprio contestualmente a grosse sofferenze. Sembra che attraverso queste drammatiche esperienze Dio riesca ad “infilarsi” nella vita di una persona, evocandole la sostanza del suo vivere terreno. Ma per essere corretti bisogna anche dire che vi sono persone che in mezzo alla bufera di un dolore sostengono di aver perso la fede. La riflessione rispettosa e sapiente di chi è abituato a frequentare la Parola di Dio ci può essere di aiuto: «Il dolore si fa preghiera quando cerchiamo Dio come compagno della nostra sofferenza, quando scopriamo che egli la condivide, quando poniamo il nostro dolore con una continua preghiera di fronte a Lui, quando gridiamo aiuto sorretti da Lui che ci porta avanti verso la comunione con sé. Dopo, educati dal dolore, se ne scoprirà il valore; accettato e vissuto con il Signore, diventerà una chiave che ci apre il senso della vita. Tutti abbiamo notato in persone che hanno molto sofferto senza ribellarsi una grande maturità, l’intuizione della sofferenza dell’altro, il

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rispetto per chi soffre, per la vita stessa, e un’umiltà vera. La lotta, la perseveranza, la fede viva, il rialzarsi dopo ogni caduta, non sono conquiste assicurate dalla precisione di un manuale. Il cammino è accidentato, ma ci libera e ci innesta veramente al Signore. Nessuno è maggiormente innestato in Cristo di chi vive una sofferenza offerta al Padre». (Francesco Peyron.) 19C. PREGHIERA NELLA SOFFERENZA (III)

La preghiera non può essere “usata” per spiegare definitivamente il dolore o per esorcizzarlo del tutto. E’ più saggio e più biblico confessare a Dio che non capiamo certi “perché” ed arrendersi a Lui senza digrignare i denti con rabbia, ma alzando le braccia affinché Lui possa sollevarci verso di Sé. La sofferenza può apparire inutile e distruttiva alla maggior parte delle persone, ma per un cristiano questa sensazione si proietta oltre la sua dimensione di creatura. Il misterioso sguardo di Dio, che non può essere spiegato a parole, ci assicura che quando il dolore viene fecondato dall’amore non è più assurdo. Solo chi non ha provato grandi o protratte sofferenze non comprende… Scrive Ignacio Larranaga: «Ci sono momenti in cui niente e nessuno riescono a consolarci. La desolazione raggiunge livelli troppo profondi: né amici, né famigliari, né amanti possono raggiungere tale profondità. A volte si verificano situazioni indescrivibili, indecifrabili perfino per noi stessi: non si sa se si tratta di solitudine, frustrazione, nostalgia, vuoto o tutte le cose insieme. Solo Dio può arrivare fino al fondo di quell’abisso. Non c’è anima che non abbia avuto una tale esperienza e che, trovandosi in simili frangenti, repentinamente e senza sapere come, non abbia sentito una profonda consolazione, quasi un olio soavissimo fosse stato versato sulle sue ferite. Dio stesso era presso quell’anima ferita». Se dall’oscurità di una qualunque sofferenza eleviamo a Dio un nostro segnale, Egli sicuramente è lì, pronto ad accoglierci, che ne sentiamo i segnali o meno. Con molta umiltà dobbiamo tutti augurarci di non avere mai grandi esperienze di dolore. Dobbiamo anche ammettere francamente che è più facile parlare della sofferenza piuttosto che trovare vie concrete da seguire per “elevarla” a forma di preghiera. Proprio per questo camminare sulle orme sicure di Cristo ci aiuta a non andare allo sbaraglio. Ancora una volta il modello perfetto è Gesù.

«Pietà di me, sono esausto; guariscimi, io sono sfinito.

Mi sento sconvolto: fino a quando, Signore, aspetterai? Vieni ancora a liberarmi, Signore;

mi salvi dalla morte il tuo amore fedele. Nel mondo dei morti tu non sei ricordato,

laggiù nessuno ti può lodare. Il dolore mi toglie le forze, passo le notti nel pianto,

mi trovo in un mare di lacrime. Sono stanco di tanti avversari, il tormento mi oscura la vista.

Il Signore ha udito il mio lamento, ha ascoltato il mio grido di aiuto:

risponde alla mia preghiera». (dal Salmo 6).

20C. PREGHIERA NELLA SOFFERENZA (IV) – UN RACCONTO

Senza banalizzare il dolore o mancare di rispetto a chi soffre, ci lasciamo proporre degli spunti di riflessione da un racconto trovato sul sito Internet di un sacerdote torinese, don Franco Locci. «“Credi in Gesù!, comincia di lì perché lì è l’essenza”. L’essenza è cominciare! Smettiamola di chiederci tanti perché: cominciamo! Una tempesta terribile si era abbattuta sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal fondo del mare. Quando la tempesta fu passata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa. Il fenomeno aveva richiamato molta gente da tutte le parti della costa. Arrivarono anche delle troupe televisive per filmare lo strano fenomeno. Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano morendo. Tra la

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gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente. All’improvviso il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione. Dalla balaustrata un uomo lo chiamò: “Ma che fa, ragazzino?”. “Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti muoiono tutte sulla spiaggia”, rispose il bambino senza smettere di correre. “Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!”, gridò l’uomo. “E questo succede su centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi cambiare le cose!”. Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: “Ho cambiato le cose per questa qui”. L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed erano in quattro a buttare stelle marine in acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento… Così furono salvate quasi tutte». (Dal sito WEB http://digilander.libero.it/unaparolaalgiorno.htm )

21C. PREGHIERA DI ATTESA (I)

Il significato del verbo “attendere” deriva dal latino e significa “tendere-verso.” Tendere cioè verso qualcosa. Per il cristiano si tratta piuttosto di tendere verso Qualcuno con tutta la persona (forze, volontà, intelletto, sensi, aspirazioni, motivazioni…). La preghiera di attesa (definizione che ci potrà sembrare sibillina) ci fa puntare l’attenzione su un comportamento purtroppo diffuso ai giorni nostri, anche tra i cosiddetti credenti: l’atteggiamento di non aspettarsi più granché da Dio. Il tentatore si insinua volentieri in questa situazione, cercando di spingere subdolamente a interrompere o ad allentare il legame con Dio. Se cominciamo infatti a credere meno probabile che il Signore si comunichi, si offra e doni amore insieme ad un’infinità di altre cose, allora rischiamo di distaccarci gradualmente dalla Sorgente che porta all’inaridimento della fede e della vita spirituale. Con l’intento di non farne un elenco esaustivo, ecco alcune delle cause più frequenti: l’uomo che si procura con superbia e autosufficienza ciò di cui ha bisogno per vivere attraverso i moderni

mezzi a disposizione (mentre un tempo si pregava, oltre a lavorare, per un buon raccolto, oggi ci si fida esclusivamente delle tecniche agrarie, della chimica, delle previsioni meteo…);

l’uomo che sta andando alla conquista del cosmo e dell’infinitamente piccolo, e che con scienze sempre in evoluzione si sta addentrando in molti ambiti della vita, scoprendone alcuni segreti impensabili anche solo pochi decenni fa;

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l’uomo che è sempre più abituato a volere tutto e subito, senza riuscire a pazientare e a vivere con una saggia mentalità dell’attesa e della temperanza;

il mondo contemporaneo con i suoi subdoli, insidiosi atteggiamenti anticristiani che trascinano molti su stili di vita lontani da Dio;

la progressiva mancanza del senso del mistero (purtroppo anche in ambiti propriamente religiosi), per cui tutto deve essere spiegato in termini razionali, sperimentabili, materialisti, tangibili.

Se pregare è vivere il dialogo con Dio, come possiamo tener fuori da questo dialogo le situazioni sopra citate in cui, in varia misura, siamo tutti coinvolti? Possiamo limitarci ad una preghiera che comprende solo pochi aspetti limitati del nostro vivere su questa terra? 22C. PREGHIERA DI ATTESA (II)

Fede e attesa, speranza e pazienza, preghiera e tensione verso qualcuno, vita eterna e aspettative sono strettamente legate, quasi inscindibili. La stessa Parola di Dio ci invita a entrare nel dinamismo del “tendere verso Dio”, in un fiducioso atteggiamento di speranza che non si lascia spaventare dalla crudezza e dalla materialità delle esperienze quotidiane. Inoltre il “tendere-verso-Dio” riesce a farci compiere quasi un miracolo: allenare il nostro cuore all’intelligenza profonda della realtà, cioè del senso della vita e delle cose. Il “tendere-verso-Dio” pregando e agendo ci pone in una giusta scala di valori che ci fa restare nel flusso di amore di Dio e ci distoglie dalla tentazione diabolica di distaccarcene. Scrive in proposito il già citato padre Francesco Peyron: «Il vivere l’attesa nella preghiera produce in noi effetti tangibili. Conosciamo valori che la preghiera, poi, intensamente ci dona, come la capacità di cogliere la voce di Dio negli avvenimenti quotidiani. Il crescere nell’esperienza di fede produce in noi uno sguardo sapienziale che coglie le connessioni profonde delle cose e la stessa quotidianità appare diversa, più significativa, perché all’interno di incontri, situazioni e parole si intuisce un disegno, una presenza di Dio che muove alla lode, al ringraziamento, alla supplica, per me e per gli altri. E’ così che si comprendono i legami profondi degli avvenimenti, della storia stessa, pur nel suo mistero; non immediatamente, certo, tuttavia gradualmente si penetra il divario tra la realtà delle cose: “intus legere”, vedere dentro le situazioni, alle diverse realtà. E’ frutto di una preghiera di fede, è frutto di grande pace e sapienza del cuore». Lo sforzo e l’impegno messi in atto nell’attesa che si realizzi il piano di Dio suscitano in noi un rafforzamento della fede, della pazienza, dell’umiltà che sono pilastri essenziali nella vita cristiana. In altre parole l’armonia e l’unità della nostra persona si realizzano meglio se sappiamo “tendere “verso un Unico Obiettivo, senza frammentarci e disperderci in mille direzioni, come un automobilista sconsiderato che cercasse di raggiungere contemporaneamente più mete differenti. 23C. PREGHIERA DI ATTESA (III)

Anche se il tempo dell’attesa e la preghiera di tensione possono sembrare sprecati, in realtà sono spazi privilegiati di grande fertilità interiore, in cui possiamo anticipare il momento della pienezza, dell’incontro, della realizzazione. L’attesa e la tensione verso Dio sono occasioni privilegiate in cui pregustiamo il compimento di lunghe fatiche spirituali. “Una persona che attende non ha tempo per altro” (Alessandro Pronzato). Dunque chi sta in attesa di Dio non ha altra “divinità”, altri “idoli” da cercare al di fuori di Dio. Chi è pienamente occupato nel tendere verso il Signore non si preoccupa di volgersi verso altri (falsi) dèi. Nella società odierna che predilige la velocità, il tutto subito, il consumo immediato, l’uomo che vuole attendere con sapienza trova qualche difficoltà. Figuriamoci allora quanto costa l’attesa di Dio che non è razionalizzabile! Risalta allora il grande valore della preghiera di attesa: essa ci insegna e ci abitua a far diventare il nostro cuore uno luogo di attesa, i nostri occhi telecamere dell’attesa, il nostro tempo la dimensione dell’attesa fruttuosa, perché “Agli occhi del Signore mille anni sono come il giorno di ieri che è passato! (Salmo 90,4). All’ansia corrosiva la preghiera sostituisce la capacità di gustare i momenti della vita con la saggezza, la pazienza, l’umiltà del cristiano maturo. All’agitazione disumanizzante la preghiera contrappone il lento cammino della creatura che è in viaggio verso l’assoluto di Dio rispettando i propri ritmi, quelli della natura, del cosmo e dei disegni divini. La preghiera di attesa insegna la saggezza del “saper aspettare” quando Dio sembra ritardare. E sui ritardi di Dio tutti avremmo qualcosa da dire…

“A Te mi rivolgo, Signore.

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Al mattino Tu ascolti la mia voce, all’alba ti offro la mia preghiera

e aspetto la tua risposta. Tu non sei un Dio che gode del male,

accanto a Te non trova riposo il malvagio. Tu non vuoi la presenza dei superbi,

detesti tutti i malfattori. Ma grande, Signore, è la Tua bontà:

io sono accolto nella Tua dimora con fede Ti adoro nel Tuo santuario.

Molti mi sono nemici, Signore: guidami nei sentieri del Tuo volere, appiana davanti a me la tua strada.

Si rallegrino e sempre cantino di gioia quelli che a Te si appoggiano.

Trovino in Te felicità e protezione tutti quelli che Ti amano.

Tu, Signore, benedici i giusti, come scudo li protegge il Tuo amore”.

(dal Salmo 5).

24C. PREGHIERA DI PENTIMENTO (I)

Una delle decisioni più sconsiderate che possiamo prendere è quella di abbandonare la preghiera dopo aver commesso qualche grave peccato o, analogamente, quando ci rendiamo conto di vivere in una situazione di evidente lontananza da Dio. La sensazione di essere impresentabili a Dio provoca forse una sorta di imbarazzo/paura a relazionarci a Lui, facendoci sentire indegni di comparirgli davanti. Il diabolico tentatore, allora, si mette freneticamente in azione per allontanarci dal Signore, aumentando la percezione di distanza tra noi e Dio e provocandoci perché compiamo atti che ci collochino effettivamente fuori dal rapporto con il Signore. C’è un modo ancora più subdolo e raffinato per distaccarci dall’amore del Padre: portarci a credere che, nella situazione di peccatori in cui ci troviamo, non valga la pena pregare, sia inutile rivolgersi a Dio, cercarlo per andargli incontro. In altre parole: insinuare in noi la terribile convinzione che sia inefficace la comunicazione con Dio perché il dialogo non potrebbe avvenire tra la nostra meschinità e la Sua intransigente bontà. Spunta così l’idea malsana che la preghiera, se si radica in questa visione, sia “roba per santi”. Invece è proprio con la preghiera di pentimento e la richiesta di perdono che continuiamo a restare uniti a Dio il Quale ci ama “mentre” siamo ancora peccatori. Addirittura in questi casi il nostro legame può rafforzarsi o rigenerarsi con grandi giovamenti. Del resto uno dei cardini della nostra fede cristiana è che l’amore di Dio è infinitamente più grande ed avvolgente di qualunque peccato, di qualunque colpa o misfatto l’uomo possa compiere. Se poi ci rendiamo conto che il nostro peccare è spesso recidivo, abbiamo un forte motivo in più per evitare di interrompere il dialogo con Dio, per non rinunciare mai al benefico rapporto con Colui che è “lento all’ira e immenso nell’amore”.

25C. PREGHIERA DI PENTIMENTO (II)

Per uno strano “teorema” sulle conseguenze dell’amore divino che raggiunge l’umana piccolezza, accade spesso ai santi che più essi pregano e più si sentono peccatori. Per tutti noi dovrebbe valere che più frequentiamo la presenza di Dio e più si delineano con nitidezza, accanto alle possibilità offerte dalla fede, anche i contorni della nostra pochezza (o mancanza) di amore. Ed è quasi logico: a confronto con il Signore il nostro modo di amare risulta sicuramente imperfetto, sbiadito, carente. Ma Lui ci vuole bene così come siamo, Lui ama proprio il nostro arrabattarci talora inconcludente, purché la meta dei nostri passi sia quella giusta. Sia quando il nostro sentirci peccatori prende una forma più definita (a volte perfino insopportabile) sia quando abbiamo solo vaghi sentori di non essere più in sintonia con Dio, possiamo gettarci nella Sua misericordia, nell’abbraccio senza condizioni del Padre. Schematizzando in modo non proprio rigoroso, ecco cos’è in fondo la preghiera di pentimento. La dismisura bruciante tra il Suo amore infinito e la nostra pochezza ci fa andare verso di Lui, non da frustrati, nemmeno da arrabbiati, ma da amati.

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Rivolgendoci a Dio “da peccatori” ci sentiamo talmente in debito con l’Amore, che ci verrà il desiderio di ricorrere all’Amore in persona. Cercando la misericordia presso Colui che ne è la Sorgente, troveremo i mezzi più adatti per avviarci sulla strada della purificazione e del miglioramento. Orientando le nostre vele verso il porto che ospita anche il più miserabile degli esseri umani, la nostra barchetta sballottata troverà un rifugio anziché affondare. Ce lo garantisce la Bibbia: a Dio poco interessa la quantità o le dimensioni delle nostre mancanze, anzi, ad essere paradossali, quanto più siamo deboli nel peccato, tanto più forte è la Sua misericordia e tanto più evidente il Suo “iper – dono”. Per quanto nessuno possa giustificare il male e il peccato in quanto tali, tuttavia il peccatore è il figlio che incontra l’attenzione privilegiata del Padre. Gesù stesso ci dice che il Buon Pastore lascia le novantanove pecore al sicuro nell’ovile per andare in cerca della pecorella smarrita (cfr. Lc 15; vedi: www.bibbia.net/ oppure www.bibbiaedu.it). Essendo la preghiera un dialogo d’amore, l’espressione sincera di pentimento è caratteristica di chi riconosce “il peccato per eccellenza”: il non amore! 26C. PREGHIERA DI PENTIMENTO (III)

Tentando una sintesi, a rischio di eccessive schematizzazioni, dovrebbero allora essere questi gli atteggiamenti focali della preghiera di pentimento: riconosciamo e confessiamo che siamo peccatori e che non rispondiamo alle innumerevoli

occasioni in cui Dio ci vuole bene; riconosciamo e confessiamo che Dio, per il Suo amore “gratuito” e senza limitazioni, ci perdona perché questo

fa parte del Suo modo di essere “Padre buono”; riconosciamo e confessiamo di essere chiamati ad amare come Lui, di prendere coscienza che la nostra

vocazione comune è proprio l’amare “come” ama Dio. La preghiera di pentimento e la richiesta di perdono sono efficaci quando un fratello ammette umilmente – e senza turbarsi per la vergogna – di essere come gli altri, ossia peccatore bisognoso del perdono e quindi disposto a rimettersi in discussione per cominciare ad amare. Questo atteggiamento di preghiera ci permette di gettare finalmente via la nostra maschera davanti a Dio e ai nostri fratelli. Soltanto nella nostra “nudità” riusciamo a scoprire la nostra vera identità, il nostro vero volto. Questo passo importante può essere un grande stimolo a recuperare una dimensione di autenticità. Da parte di Dio ci sono ostacoli o esitazioni a perdonare qualche peccatore in particolare? Racconta Van der Meersch: «Un soldato chiedeva ad un santo eremita se Dio poteva perdonare anche ad un peccatore indurito come lui. “Quando il tuo vestito è sudicio - chiese di rimando il solitario - lo butti via?”. “No - rispose - lo lavo perché mi possa servire ancora”. “E allora come vuoi che Dio butti via la tua anima, per quanto sfigurata dal peccato, ma redenta con il suo sangue?”. Non dobbiamo proprio mai disperare della misericordia di Dio. Ricordiamoci che “se anche i tuoi peccati fossero rossi come lo scarlatto diventeremo bianchi come la neve”».

27C. PREGHIERA DI PENTIMENTO (IV)

Certi fantasmi che inquietano le nostre coscienze si scacciano praticando la preghiera, attraverso la quale Dio ha via libera in noi e può operare la nostra guarigione interiore. Perfino quei sensi di colpa che nessuno psicoterapeuta riesce a curare si possono dissolvere là dove c’è un cuore disponibile a coinvolgere Dio nelle ferite e nelle cadute della vita. La serenità e il senso di animo rinnovato che molti cristiani percepiscono dopo il pentimento e soprattutto dopo una buona confessione non sono soltanto frutto di autosuggestione, di induzione psicologica, di liberazione di forze psichiche represse. Come ben sappiamo, il pentimento implica anche l’intenzione sincera di non peccare più, e l’impegno attivo per evitare le occasioni che potrebbero condurre a mancare ancora. Osserva con piacevole sagacia padre Ioao Mohana: “L’amore cristiano non promette di non peccare più. Solo Dio potrebbe prometterlo, perché solo Dio non pecca, solo l’amore di Dio non viene mai meno. Molti a questo punto sbagliano. Promettono di non peccare più. Questo, per la natura umana, è una chimera. O non promettono nulla. Il che è un’evasione. Dobbiamo promettere ciò che ci è possibile fare: non voler più peccare, lottare per non peccare, adottare i mezzi capaci di rompere le catene del peccato. E così in questa dialettica di caduta e di promessa, di promessa e di sforzo, di sforzo e di invocazione, saliamo a poco a poco al livello dell’amore di Cristo”. Non entriamo volutamente qui nel merito del sacramento della riconciliazione o “confessione” di cui la preghiera di pentimento è un aspetto necessario. La Chiesa ci propone con forza l’insegnamento di Gesù che ci spinge a perdonare gli altri così come è stato perdonato a noi (cioè “sempre”).

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Come possiamo negare ai fratelli la gioia di un dono così importante che noi riceviamo continuamente da Dio? Sarebbe come pretendere per noi una cosa senza essere disposti a concederla agli altri! La preghiera sincera aiuta anche ad amare con più profondità coloro che ci fanno del male. La sollecitudine con cui siamo pronti a perdonare a nostra volta è la prova di come il perdono di Dio è stato accolto in noi e ci ha resi capaci di dispensare la Sua misericordia ai fratelli attraverso le nostre mani. 28C. PREGHIERA DI PENTIMENTO (V)

Nel brano evangelico del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio per pregare (Lc 18,9-14; vedi: www.bibbia.net/ oppure www.bibbiaedu.it) troviamo gli elementi necessari per rivedere la nostra condizione di peccatori e l’atteggiamento che ci fa sentire “a posto” davanti a Dio solo perché noi “certe cose” non le facciamo! In situazioni simili la presunzione umana rende molto difficoltoso maturare nell’amore, perché l’amore vero è dono gratuito che viene offerto senza che nessuno se lo meriti, senza aspettarsi contraccambio, senza pretendere nessuna forma di riconoscenza. Pregare diventa allora indispensabile. La preghiera di pentimento apre innanzitutto il cuore perché, mentre si accoglie la benevolenza senza limiti di Dio, ci si dispone a trattare con la stessa magnanimità il prossimo. La preghiera di pentimento fa sentire meno abissale la distanza tra noi peccatori e Dio infinitamente buono, proprio perché anche noi ci sentiamo spinti a vedere i nostri simili come fratelli e non come antagonisti. Se ci atteggiamo a persone “a posto”, come può la misericordia di Dio entrare in noi e recuperare quella somiglianza primitiva con Lui? Il rischio, poi, è di costruirci l’idea che a salvarci siano i nostri buoni comportamenti, i nostri piccoli o grandi meriti… Si tramanda che un giorno San Bernardo di Chiaravalle si lamentasse nella preghiera di non trovare più niente da offrire a Cristo. E Gesù stesso pare gli abbia così rivolto la parola: “Allora dammi i tuoi peccati!”.

«Pietà di me, o Dio,

nel tuo grande amore; nella tua misericordia cancella il mio errore.

Lavami da ogni mia colpa, purificami dal mio peccato.

Sono colpevole e lo riconosco, il mio peccato è sempre dinanzi a me.

Contro te, e te solo, ho peccato; ho agito contro la tua volontà.

Fin dalla nascita sono nella colpa, peccatore mi ha concepito mia madre. Ma tu vuoi trovare dentro di me verità, nel profondo mi insegni la sapienza. Purificami dal peccato e sarò puro, lavami e sarò più bianco della neve. Fa’ che io ritrovi la gioia della festa,

si rallegri quest’uomo che hai schiacciato. Togli lo sguardo dai miei peccati,

cancella ogni mia colpa. Crea in me, o Dio, un cuore puro;

donami uno spirito rinnovato e saldo. Non respingermi lontano da te,

non privarmi del tuo spirito santo. Ridonami la gioia di chi è salvato,

mi sostenga il tuo spirito generoso. Ai peccatori mostrerò le tue vie e i malvagi ritorneranno a te.

Vero sacrificio è lo spirito pentito,

un cuore contrito tu, Dio, non respingi».

(dal Salmo 50)

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29C. PREGHIERA DI PENTIMENTO (VI) – UN ANEDDOTO

Di fronte al nostro peccato la tendenza al disfattismo o a proseguire per la nostra strada passando sopra alle nostre responsabilità è un facile tentazione. Il pentimento accompagnato da una genuina preghiera aiuta a cicatrizzare le ferite morali e rilancia la vita verso nuovi itinerari, lontano dalle frustrazioni o dalle presunzioni. Proviamo a leggere in questa prospettiva la seguente storiella. «Un portatore d’acqua indiano aveva due anfore che poneva all’estremo di un palo e portava sulle proprie spalle. Una delle due anfore aveva varie screpolature, mentre l’altra era perfetta. L’anfora perfetta conservava tutta l’acqua fino al termine del lungo viaggio a piedi, dalla sorgente fino alla casa del suo padrone; mentre l’anfora screpolata vi giungeva con solo la metà dell’acqua. Durante due interi anni fu così ogni giorno. L’anfora perfetta era molto orgogliosa di sé, poiché si sapeva perfetta e adatta allo scopo per il quale era stata fatta. Invece la povera anfora screpolata si vergognava della sua imperfezione e si sentiva indegna poiché poteva fare solo la metà di ciò che era il suo dovere. Dopo due anni, l’anfora screpolata si rivolse al portatore d’acqua e gli disse: “Mi voglio scusare con te perché, a causa delle mie screpolature, ricevi solo la metà del compenso che dovresti avere”. Il portatore d’acqua le rispose pieno di comprensione: Nel prossimo viaggio guarda il sentiero”. L’anfora fece così. E in effetti vide moltissimi bei fiori lungo tutto il tragitto, ma ciò non le tolse la pena di portare solo la metà dell’acqua che doveva. Il portatore d’acqua allora le disse: “Ti sei accorta che i fiori crescono solo dal tuo lato del sentiero? Ho sempre saputo delle tue screpolature. Per questo seminai sementi di fiori lungo tutto il percorso e ogni giorno le hai irrigate, sì che dopo due anni ho potuto raccogliere questi bei fiori.” Ognuno di noi ha le sue screpolature. Siamo tutti anfore screpolate, ma dobbiamo sapere che esiste la possibilità di approfittare delle nostre screpolature per ottenere buoni risultati». (Dal sito WEB http://digilander.libero.it/unaparolaalgiorno.htm ) 30C. UNA VOCE AUTOREVOLE (I)

“Figlio mio, dice il Signore conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, so la tua debolezza e le tue infermità, i tuoi cedimenti e i tuoi peccati, ma ti dico ugualmente: dammi il tuo cuore, amami così come sei! Se aspetti di essere Santo per abbandonarti all'amore, non mi amerai mai. E' il canto del tuo cuore che mi interessa perché ti ho creato per amare. In tutto ciò che vivi, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nell'abbandono amami così come sei. E allora ti concederò di amare più di quanto possa immaginare”. (Mons. Lebrun). (Tratto da “Sete di Parola” del 19 Giugno 2011, reperibile su www.qumran2.net ) 31C. UNA VOCE AUTOREVOLE (II)

“Guidami, Luce gentile, in mezzo alle tenebre guidami Tu. Buia è la notte e la mia casa è lontana: guidami Tu. Dirigi tu il mio cammino; di vedere lontano non te lo chiedo - un solo passo sicuro mi basta. In passato non pensavo così, né ti pregavo: guidami Tu. Amavo scegliere da solo la via; ma ora

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guidami Tu. Amavo la luce del giorno e senza timore cedevo all'orgoglio - non ricordare, ti prego, il passato. A lungo tu mi sei stato vicino; posso dunque ripetere: guidami Tu. Fra acquitrini e paludi, fra crepacci e torrenti finché la notte è trascorsa. All'alba, quei volti di angeli torneranno a sorridere, da me amati un tempo e poi purtroppo perduti”. (Beato card. John Henry Newman). (Tratto da “Sete di Parola” del 24 Giugno 2011, reperibile su www.qumran2.net )

INDICE DELLA TERZA SEZIONE (MARZO 60-90)), paragrafi 1C-31C 1. Preghiera di offerta (I) pag. 2 2. Preghiera di offerta (II) 2 3. Preghiera di offerta (III) 3 4. Preghiera nel fallimento (I) 3 5. Preghiera nel fallimento (II) 4 6. Preghiera nel fallimento (III) 4 7. Preghiera di sfogo (I) 5 8. Preghiera di sfogo (II) 6 9. Preghiera di sfogo (III) 6 10. Preghiera di sfogo (IV) – Un racconto 7 11. Preghiera di insoddisfazione e di desiderio (I) 8 12. Preghiera di insoddisfazione e di desiderio (II) 8 13. Preghiera di insoddisfazione e di desiderio (III) 8 14. Preghiera di stanchezza (I) 9 15. Preghiera di stanchezza (II) 10

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16. Preghiera di stanchezza (III) 10 17. Preghiera nella sofferenza (I) 11 18. Preghiera nella sofferenza (II) 11 19. Preghiera nella sofferenza (III) 12 20. Preghiera nella sofferenza (IV) – Un racconto 12 21. Preghiera di attesa (I) 13 22. Preghiera di attesa (II) 14 23. Preghiera di attesa (III) 14 24. Preghiera di pentimento (I) 15 25. Preghiera di pentimento (II) 15 26. Preghiera di pentimento (III) 16 27. Preghiera di pentimento (IV) 16 28. Preghiera di pentimento (V) 17 29. Preghiera di pentimento (VI) – Un aneddoto 18 30. Una voce autorevole (I) 18 31. Una voce autorevole (II) 18