STUDIO DELLE PROPRIETA` OTTICHE DI UN NUOVO PROTOTIPO … Introduzione All’interno dell’apparato...
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ALMA MATER STUDIORUMUniversita di Bologna
FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALICorso di Laurea in Fisica
Tesi specialistica - Interazioni fondamentali
STUDIO DELLE PROPRIETA
OTTICHE DI UN NUOVO
PROTOTIPO DI LUMINOMETRO
PER L’ESPERIMENTO ATLAS
Tesi di:Alberto Mengarelli
Relatore:Chiar.mo Prof.
Nicola Semprini Cesari
Sessione IIIAnno Accademico 2006-2007
A mio padre, mia madree mia sorella.
Qualsiasi via e solo una via, e non c’e nessun affronto,a se stessi o agli altri, nell’abbandonarla,
se questo e cio che il tuo cuore ti dice di fare...Esamina ogni via con accuratezza e ponderazione.
Provala tutte le volte che lo ritieni necessario.Quindi poni a te stesso, e a te stesso soltanto, una domanda...
Questa via ha un cuore? Se lo ha, la via e buona.Se non lo ha, non serve a niente.
(Carlos Castaneda, The Teachings of don Juan)
Indice
Introduzione 1
1 L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 31.1 L’acceleratore LHC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.2 L’esperimento ATLAS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.2.1 Il programma sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . 71.2.2 Magneti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121.2.3 Inner Detector . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.2.4 Calorimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.2.5 Spettrometro muonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.2.6 Sistema di trigger e acquisizione dati (DAQ) . . . . . . 201.2.7 Sistema di calcolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2 La misura della luminosita ad ATLAS 252.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 252.2 Metodi di misura della luminosita . . . . . . . . . . . . . . . . 272.3 Roman Pot e Alfa: misura della luminosita attraverso processi
di diffusione elastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302.4 ZDC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 342.5 LUCID . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
2.5.1 Struttura del rivelatore LUCID . . . . . . . . . . . . . 372.5.2 Il codice di simulazione di LUCID . . . . . . . . . . . . 412.5.3 I test-beam effettuati su LUCID . . . . . . . . . . . . . 442.5.4 La resistenza alla radiazione di LUCID . . . . . . . . . 47
3 Verso un nuovo progetto di luminometro 513.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 513.2 L’ambiente del luminometro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
3.2.1 Simulazioni Monte Carlo . . . . . . . . . . . . . . . . . 533.3 Lo schema generale del nuovo luminometro . . . . . . . . . . . 54
3.3.1 L’effetto Cherenkov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
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3.3.2 Le bacchette di quarzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 563.3.3 Estrazione dei fotoni dalla bacchetta di quarzo . . . . . 59
3.4 La resistenza alla radiazione dei materiali . . . . . . . . . . . . 633.4.1 La facility d’irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . 663.4.2 Il banco ottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 673.4.3 La misura dell’indice di rifrazione del quarzo . . . . . . 683.4.4 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 753.4.5 La misura del coefficiente di trasmissione del quarzo . . 813.4.6 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 843.4.7 Resistenza alla radiazione del WLS Kuraray Y11 . . . 913.4.8 Considerazioni conclusive sulla resistenza alla radiazio-
ne dei materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 933.5 Prove su fascio di un primo prototipo . . . . . . . . . . . . . . 94
3.5.1 Descrizione del prototipo . . . . . . . . . . . . . . . . . 943.5.2 Le misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 953.5.3 I risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
Conclusioni 101
A La caustica 105
B Relazioni di Fresnel 109
Bibliografia 115
Ringraziamenti 125
Introduzione
All’interno dell’apparato ATLAS (A Toroidal LHC ApparatuS ), uno dei
quattro grandi rivelatori attualmente in costruzione lungo il collisionatore
LHC, verra installato il LUCID (Luminosity M easurement U sing Cherenkov
Integrating Detector), un rivelatore dedicato alla misura della luminosita di
LHC in entrambe le fasi di operativita previste dal collisionatore.
Il LUCID e un ”detector” che stima la luminosita rivelando le particelle pri-
marie provenienti dal punto di interazione (IP) tramite la misura della luce
Cherenkov emessa in tubi di alluminio riempiti di gas. Per la prima instal-
lazione sono previsti due ”vessel” posizionati a circa 17 m prima e dopo l’IP
contenenti 20 tubi dei quali 16 direttamente accoppiati a PMT a singolo ano-
do (LUCID fase 1), mentre i restanti 4 sono letti da fibre ottiche che portano
il segnale a fotomoltiplicatori a multi anodo MAPMT (LUCID fase 2).
La prima configurazione risulta, dai test-beam effettuati, molto piu perfor-
mante rispetto a quella di fase 2 che e pero imposta dalla elevata dose di
radiazione prevista ad alte luminosita nella zona del LUCID.
In base a queste considerazioni, il lavoro di questa tesi e stato quello di an-
ticipare lo studio di una nuova possibile configurazione del LUCID fase 2
proponendo lo schema generale di un nuovo luminometro piu compatto e
maneggevole.
Nel tentativo di amplificare il segnale, si e pensato infatti di sostituire i tubi
di alluminio ed il mezzo radiativo gassoso con delle bacchette di quarzo che
garantiscono un numero maggiore di fotoni prodotti per effetto Cherenkov.
La resistenza alla radiazione del quarzo, va pero accertata con cura non es-
sendo un materiale sostituibile durante gli anni di presa dati ad LHC.
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2
In questa tesi si sono quindi studiati i parametri ottici di interesse (indice
di rifrazione e coefficiente di trasmissione) del quarzo e la loro eventuale al-
terazione, sottoponendoli all’irraggiamento con un flusso di neutroni veloci
pari a quello previsto in prossimita di LUCID in un anno di LHC ad alta
luminosita.
Il capitolo 1 di questo lavoro e dedicato all’inquadramento del ruolo dell’espe-
rimento ATLAS, descritto in tutte le sue componenti, all’interno del progetto
LHC. Nel secondo capitolo vengono invece descritti i metodi di misura della
luminosita, focalizzando l’attenzione sui rivelatori che svolgono questo ruo-
lo internamente al programma di ATLAS. Il capitolo 3 costituisce la parte
sperimentale principale della tesi dove vengono presentati lo schema generale
del nuovo luminometro ed i risultati delle misure di resistenza alla radiazione
effettuate sulle sue componenti. Nell’ultimo paragrafo vengono infine breve-
mente riportati i risultati preliminari ottenuti testando su fascio un primo
prototipo del luminometro in quarzo.
Capitolo 1
L’acceleratore LHC el’esperimento ATLAS
1.1 L’acceleratore LHC
LHC, acronimo di ”Large H adron Collider”, e un acceleratore di particel-
le e collisionatore situato al CERN, vicino a Ginevra, e contenuto in un anello
sotterraneo di circa 27 Km di circonferenza ad una profondita variabile da 50
a 175 m. La macchina, attualmente in costruzione, dovrebbe essere operativa
a partire da ottobre 2008 ed a regime sara in grado di accelerare protoni fino
alla energia di 7 TeV con una energia totale nel centro di massa pari a 14
TeV. Dopo un anno di esercizio alla luminosita di 2× 1033 cm−2 s−1, la mac-
china dovrebbe raggiungere la luminosita di progetto pari a 2.3× 1034 cm−2
s−1. Ciascun fascio di protoni sara composto da 3564 pacchetti, dei quali
solamente 2808 pieni, ed ogni pacchetto conterra al momento dell’iniezione
1.15×1011 protoni. Ciascun pacchetto sara lungo 7.55 cm ed avra dimensioni
trasversali dell’ordine del millimetro ridotte a 16 µm nei punti di interazione.
La ”sopravvivenza” dei fasci e stimata essere dell’ordine delle 13 ore, con
collisioni ogni 25 ns, come determinato dalla distanza spaziale dei pacchetti
all’interno dell’anello. L’acceleratore e stato progettato per potere accelerare
oltre ai protoni anche nuclei pesanti (piombo) completamente ionizzati fino
ad un’energia nel centro di massa pari a 2.76 TeV ed una luminosita di 1027
cm−2 s−1. I fasci di particelle circoleranno in due tubi separati e saranno
3
4
Figura 1.1: Prospetto generale del tunnel dell’acceleratore LHC, delle salesperimentali e delle strutture di accesso.
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 5
fatti collidere in quattro punti di interazione, in corrispondenza dei rivelatori
attualmente in costruzione (Fig. 1.1).
L’energia finale delle particelle che circoleranno negli anelli di LHC sara rag-
giunta attraverso una complessa successione di accelerazioni e trasferimenti
nella rete di accelerazioni del CERN. I protoni ad esempio, dopo essere stati
prodotti ed accelerati all’interno del LINAC fino ad una energia di 50 MeV,
verranno trasferiti al PS Booster ed accelerati fino alla energia di 1.4 GeV,
nuovamente trasferiti al PS ed accelerati fino ad una energia di 26 GeV, poi
all’SPS fino a 450 GeV e nuovamente trasferiti negli anelli di LHC dove sa-
ranno accelerati alla energia finale di 7 TeV e fatti collidere al centro delle
sale sperimentali dove sono installati i rivelatori degli esperimenti.
La necessita di raggiungere le piu alte energie compatibili con la preesistente
struttura del tunnel ha in qualche modo imposto di accelerare protoni che
rispetto agli elettroni sono affetti da una minore emissione di luce di sincro-
trone. Da un punto di vista costruttivo sarebbe stato piu semplice impiegare
protoni ed antiprotoni che attraverso tecniche ben collaudate possono essere
contenuti ed accelerati all’interno dello stesso anello. Tuttavia, per evitare i
tempi morti associati all’accumulazione degli antiprotoni, si e preferito ope-
rare solo con protoni pagando pero il prezzo della realizzazione di due distinti
anelli di accelerazione.
Parametro ValoreEnergia 7 TeVNumero di particelle per pacchetto 1.67× 1011
Numero di pacchetti ' 2808Luminosita iniziale 2× 1033 cm2 s−1
Luminosita finale 1034 cm2 s−1
σ(sezione d’urto pp) 100 mb = 10−25 cm2
L ×σ 109 Hz (1)
Tabella 1.1: Alcuni parametri caratteristici dell’acceleratore LHC. (1) Collisionipp alla luminosita di progetto.
Tenendo conto della relazione che lega l’impulso p delle particelle che orbita-
no all’interno di un acceleratore circolare al campo magnetico medio fornito
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dai suoi magneti dipolari ed al suo raggio:
p = 0.3BR (1.1)
ci si rende conto facilmente che l’energia di 7 Tev per fascio dei protoni e
la massima raggiungibile con le attuali tecnologie di produzione del campo
magnetico. Ponendo infatti p = 7000 Gev/c ed R = 4240 m dall’equazione
(1.1) otteniamo un campo magnetico medio sull’orbita di 5.5 T. Dato che non
e possibile disporre magneti dipolari per la curvatura della traiettoria su tutta
la circonferenza, ma solo su una frazione di questa (una parte di questa deve
essere riservata alle cavita risonanti per gli stadi di accelerazione), risulta
che per produrre un tale campo magnetico medio e necessario disporre di
magneti dipolari da 8.33 T realizzabili oggi con tecniche superconduttive
piuttosto spinte.
Piu in dettaglio il progetto prevede 1232 dipoli magnetici superconduttori
per la curvatura della traiettoria dei protoni (Fig. 1.2) e 392 quadrupoli
magnetici per la loro focalizzazione. Ciascuno dei dipoli magnetici ha una
Figura 1.2: Prospetto generale di un dipolo magnetico superconduttore conindicate le componenti costitutive.
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 7
lunghezza di 14.3 m ed una massa di 23.8 tonnellate, ed e in grado di fornire
un campo magnetico di 8.33 T operando attraverso cavi superconduttori
mantenuti dall’elio alla temperatura di 1.9◦K. Ogni quadrupolo ha una
massa di 6.5 tonnellate ed una lunghezza di 3.10 m e produce un campo
magnetico di 6.86 T operando, come i dipoli, alla temperatura di 1.9◦K.
1.2 L’esperimento ATLAS
L’esperimento ATLAS (A Toroidal Lhc ApparatuS) [1] [2], sara situato
in una delle quattro grandi cavita sotterranee (punto 1 di Fig. 1.1) dispo-
ste lungo il tunnel di LHC ad una profondita di circa 100 m. L’insieme dei
rivelatori che lo costituiscono e tipico di un esperimento multi-purpose pro-
gettato per operare con una grande varieta di ”trigger” e di configurazioni di
particelle prodotte nel corso delle collisioni.
Dei quattro grandi esperimenti previsti ad LHC l’apparato dell’esperimento
ATLAS e quello con dimensioni maggiori pari a circa 45 m di lunghezza e 12
m di raggio.
1.2.1 Il programma sperimentale
Il principale obiettivo del programma scientifico dell’esperimento ATLAS
e costituito dalla ricerca del bosone di Higgs sul quale il modello standard
(SM) fonda la propria spiegazione del meccanismo di generazione delle masse
dei leptoni e dei mediatori della interazione elettrodebole. Tale meccanismo,
indicato con il nome di rottura spontanea della simmetria (SSB) di gauge
della interazione elettrodebole, prevede l’esistenza di un solo bosone di Higgs
(H), oppure, nella cosiddetta estensione minimale supersimmetrica (MSSM),
di una famiglia (H±, h, H ed A) di bosoni di Higgs.
Per quanto riguarda il primo scenario il canale piu favorevole accessibile ad
LHC e costituito dal decadimento: H −→ ZZ −→ 4` in grado di coprire
l’intervallo di massa 180 < mH < 800 GeV.
Piu complessa e invece la situazione nel secondo scenario dove sono attesi i
segnali corrispondenti a cinque bosoni di Higgs con differenti possibilita dei
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Figura 1.3: A sinistra: sono mostrati sul piano (mA, tanβ) tutti i segna-li del bosone di Higgs ad una luminosita integrata di 10 fb−1 per esperimento(ATLAS+CMS). A destra: numero di bosoni di Higgs della MSSM osservabili adLHC da ATLAS ad una luminosita di 300 fb−1
valori delle loro masse. Il modo in cui gli esperimenti di LHC si collocheranno
in questo scenario e riassunto nella Figura 1.3 dove si assumono come para-
metri liberi del modello la massa del bosone pseudoscalare mA ed il rapporto
dei valori d’aspettazione nel vuoto delle componenti neutre dei due campi di
Higgs (tanβ).
Un secondo importante capitolo del programma scientifico di ATLAS e co-
stituito dallo studio dei sistemi con quark pesanti b e t.
L’elevata ”rate” di produzione di questi ”quark”, attesa gia alla luminosita
prevista per la fase iniziale, rende ATLAS un esperimento di grandi potenzia-
lita nello studio dettagliato di questo settore. Saranno infatti possibili misure
precise della massa mt del quark top e l’osservazione di canali di decadimento
rari come t−→b H+ oppure t−→Z c.
Per quanto riguarda la fisica del B invece, l’enfasi maggiore sara data alle
misure precise di violazione di CP nel sistema B0d e nella determinazione degli
angoli nel triangolo di Cabibbo-Cobayashi-Maskawa.
Ad ATLAS verra esplorata anche la fisica oltre il modello standard (SM).
L’estensione supersimmetrica (SUSY) del SM prevede un ampio spettro di
nuove particelle, dette sparticelle, partner supersimmetriche di quelle esi-
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 9
stenti, che seguono l’opposta statistica. In questo scenario ad ogni fermione
corrisponderebbe un bosone supersimmetrico e ad ogni bosone un fermione
supersimmetrico, il cui nome viene convenzionalmente costruito aggiungendo
una s davanti al nome del fermione e il suffisso ino al nome del bosone (ad
esempio all’elettrone dovrebbe corrispondere un bosone chiamato selettrone,
ai quark corrispondono gli squark, ai gluoni corrispondono i gluini e cosı via).
Tra le particelle ipotizzate da questa teoria riveste particolare importanza il
partner supersimmetrico del neutrino, detto neutralino, che essendo la par-
ticella supersimmetrica piu leggera dovrebbe essere stabile, e come tale al
pari di tutte le altre particelle stabili osservabili, tuttora presente nel cosmo
costituendo una possibile candidata come materia oscura. Oltre a questa,
se effettivamente la supersimmetria esiste ed opera alla scala della energia
elettrodebole, e attesa la produzione di squarks e gluini. Anche in questo
caso, considerando il limite cinematico raggiungibile ad LHC, l’esperimento
ATLAS e potenzialmente in grado di compiere misure precise su tutto questo
settore della fisica delle particelle.
Nell’ambito di possibili estensioni del modello standard (Technicolor ed alcu-
ne versioni delle teorie di grand’unificazione, GUT) e prevista anche la ricer-
ca di particelle dotate sia di numero leptonico che barionico. Tali particelle,
dette leptoquark (LQ), potrebbero manifestarsi in processi quali qg −→ lLQ
dove l e sia un elettrone che un neutrino, e gg entrambi accessibili ad ATLAS.
Sempre nell’ambito di alcune estensioni del modello standard si colloca pure
la ricerca di nuovi bosoni vettori di gauge come Z ′ neutro e W ′ neutro. Questi
sono presenti sia in modelli di minima estensione dello SM sia in modelli che
prevedono una struttura interna dei quark e dei leptoni oggi ritenuti fonda-
mentali. ATLAS sara particolarmente sensibile al canale Z ′ −→ ee, mentre
gli altri canali di decadimento forniranno importanti informazioni sull’accop-
piamento della Z ′ per comprendere l’origine di queste nuove risonanze.
Un programma scientifico cosı vasto ed articolato richiede necessariamente
un apparato sperimentale versatile ma al tempo stesso capace di prestazioni
elevate. L’esperimento ATLAS infatti dispone di:
• calorimetri elettromagnetici di alta precisione per la rivelazione di elet-
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Figura 1.4: Prospetto generale dell’insieme dei rivelatori dell’esperimentoATLAS.
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 11
troni e fotoni accompagnati da calorimetri adronici per misure su jet
ed energia trasversa mancante (EmissT );
• spettrometro per muoni di altissima precisione che copre tutta la re-
gione esterna dell’esperimento cui si aggiunge eventualmente il sistema
di tracciamento interno;
• efficiente tracciamento dei leptoni ad alto impulso trasverso (pT ) nel
regime di alta luminosita, identificazione di elettroni, fotoni, τ ed al-
tre particelle a ”sapore pesante”, ricostruzione completa degli eventi a
bassa luminosita;
• grande accettanza in pseudorapidita (η) e copertura azimutale (φ) quasi
completa ovunque;
• capacita di trigger e possibilita di misurare particelle per soglie di
pT basso, in modo da fornire alta efficienza per la maggior parte dei
fenomeni fisici di interesse ad ATLAS.
L’esperimento ATLAS mostrato in Figura 1.4 e costituito da una serie di ap-
parati concentrici a simmetria cilindrica che circondano il punto di interazione
dove i due fasci di protoni provenienti da LHC collideranno. Riconosciamo
in esso quattro sezioni principali: l’Inner Detector (rivelatore interno, ID),
i calorimetri elettromagnetico (EM) ed adronico (Tile Cal), lo spettrometro
per i muoni e le componenti (solenoide centrale (CS), toroidi del barrel (BT)
e degli end-cap (ECT)) del sistema magnetico.
La descrizione dell’apparato risulta piu conveniente se si utilizza un sistema
di coordinate avente l’asse z coincidente con l’asse dei fasci, come origine il
punto di collisione e come ulteriori coordinate, l’angolo azimutale φ, misurato
sul piano ortogonale a z e la variabile η =-ln tan(θ/2) (pseudo-rapidita), al
posto dell’angolo polare θ.
Nelle sezioni che seguono vengono descritte piu in dettaglio le caratteristiche
dei rivelatori che compongono l’apparato sperimentale ATLAS.
12
Figura 1.5: Prospetto generale del sistema di spire del ”barrel toroid” (BT).
1.2.2 Magneti
La struttura del campo magnetico dell’esperimento ATLAS e piuttosto
complessa ed e essenzialmente distinta in due differenti regioni: una interna,
con un campo uniforme parallelo all’asse del fascio che si estende su tutto il
volume del sistema di tracciamento interno (ID) con una intensita di circa
2T; ed una esterna di grandi dimensioni con un campo toroidale che si esten-
de su tutto il volume dei rivelatori di muoni con una intensita di circa 4T.
Questa complessa configurazione di campo magnetico e realizzata nella regio-
ne interna attraverso un solenoide centrale (CS) di lunghezza 5.3 m, larghez-
za 2.3 m, spessore 45 mm e peso totale di 6 tonnellate; nella regione esterna
attraverso un grande solenoide toroidale (Fig. 1.5) costituito da 8 spire ret-
tangolari lunghe 25 m e larghe 5 m (BT) unitamente a due solenoidi toroidali
piu piccoli di 8 spire rettangolari di raggio 11 m e spessore 5 m (ECT)(Fig.
1.6). Gli elevati campi magnetici necessari per curvare le particelle cariche di
altissima energia prodotte al centro del rivelatore (da 2 a 6 Tm) richiedono
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 13
Figura 1.6: Prospetto generale del sistema di spire dell’end-cap (ECT).
l’uso di magneti superconduttori.
Particolari accorgimenti si sono resi necessari nel caso del CS che si trova nel-
la regione interna dell’esperimento per il quale e stato necessario impiegare
la minima quantita di materiale in modo da non compromettere le capacita
di misura dei calorimetri. Ciascuno dei tre toroidi e composto da otto bo-
bine assemblate radialmente e simmetricamente attorno all’asse del fascio.
Il sistema di bobine dell’ ECT e ruotato di 22.5◦ rispetto a quello del BT,
questo per fornire sovrapposizione radiale ed ottimizzare il potere curvante
nelle regioni di interfaccia dei due sistemi.
Il sistema magnetico nel suo complesso raggiunge una massa totale di 1400
tonnellate ed e raffreddato indirettamente da un flusso di elio liquido a 4.5◦K attraverso delle tubature saldate all’involucro degli avvolgimenti.
1.2.3 Inner Detector
Il sistema di tracciamento interno (Inner Detector, ID) occupa la cavita
cilindrica definita tra i tubi a vuoto dei fasci e il criostato del calorimetro
14
elettromagnetico estendendosi per 7 m in lunghezza e 115 cm in raggio. L’ID
(Fig.1.7), il cui compito e di fornire una buona risoluzione in momento ed
identificazione dei vertici di interazione, e interamente contenuto nel CS e
quindi soggetto ad un campo magnetico di 2 T.
Per fare fronte alla elevata densita di tracce attesa in questa regione, l’ID de-
ve possedere una elevata risoluzione e granularita, ottenibili tramite l’utilizzo
di differenti tecnologie. Nella regione piu prossima al punto di interazione,
si utilizzano i dispositivi a semiconduttore (SCT) e le micro-strips counters
(MSGC), rivelatori dotate di alta risoluzione spaziale. A distanze maggiori,
vengono invece impiegati i transition radiation tracker (TRT), che pur aven-
do una risoluzione intrinseca inferiore assicurano una elevata precisione sulla
traccia fornendo un elevato numero di punti (36 punti per traccia). Per i
rivelatori interni (SCT ed MSGC) si ha una risoluzione spaziale in z e φ di
circa 10÷15 µm, mentre per quelli piu esterni (TRT) questa vale approssi-
mativamente 170 µm.
L’ID e diviso in tre regioni: il ”barrel”, che si estende fino a ±80 cm dal
punto di interazione, e due ”end-cap”, che chiudono le estremita della cavita
cilindrica. All’interno del barrel i rivelatori a pixel sono organizzati in tre
strati (layer) cilindrici e concentrici alla direzione del fascio, mentre negli
end-cap vengono disposti su quattro dischi ortogonali a tale direzione. L’u-
nita fondamentale dei rivelatori e il sensore a pixel, un wafer di silicio di
16.4× 60.8 mm contenente 46080 pixel 50× 400 µm.
Sui successivi quattro cilindri del barrel ed i nove dischi degli end-cap sono
disposti i rivelatori a strips. Le SCT forniscono otto misure di precisione per
traccia nella regione dei raggi intermedi, contribuendo alla misura dell’im-
pulso, parametro d’impatto e posizione dei vertici di interazione. I moduli
sono montati su strutture in fibra di carbonio che ospitano anche il sistema
di raffreddamento.
A distanze ancora maggiori sono montati i TRT, disposti parallelamente alla
direzione del fascio nel barrel e perpendicolarmente negli end-caps. Questo
tipo di rivelatore, composto da tubi a deriva di 4 mm di diametro intervallati
con fogli di polipropilene dello spessore di 15 µm, che emettono raggi X al
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 15
Figura 1.7: Vista 3-D dell’inner detector ad ATLAS.
passaggio di particelle ultra-relativistiche, consente una misura della cinema-
tica e della natura della particella cosı veloce (tempo di deriva ∼ 38 ns), da
essere utilizzabile anche a livello di trigger. Nel regime di alta frequenza di
interazione (cioe alla luminosita per cui LHC e stato progettato), il TRT e
in grado di eseguire nel barrel misure ad un rate (in funzione del raggio) di
6 ÷ 18 MHz, e negli end-cap di 7 ÷ 19 MHz (in funzione di z).
1.2.4 Calorimetri
Esternamente all’ID e disposto il sistema calorimetrico dell’apparato spe-
rimentale ATLAS (Fig. 1.8). Questo e progettato sia per la ricostruzione
dell’energia di elettroni, fotoni e jets adronici, sia per la misura dell’energia
trasversa mancante, e prevede due differenti sezioni: il calorimetro elettro-
magnetico ed il calorimetro adronico.
Questi calorimetri sono posizionati in modo da avere una copertura angolare
ermetica attorno al punto di interazione (IP). Entrambi cioe, sono suddivisi
in tre parti, una centrale a simmetria cilindrica (barrel) e due end-cap che
chiudono davanti e dietro l’angolo di 4π attorno all’IP.
16
Figura 1.8: Prospetto generale dei calorimetri dell’esperimento ATLAS.
Il calorimetro elettromagnetico (EM) ha il compito di identificare e ricostrui-
re elettroni e fotoni in un vasto range di energia (100 MeV≤E≤1.5 TeV)
coprendo la regione |η| < 1.475 nel barrel e 1.375 < |η| < 3.2 negli end-caps.
Per la sua costruzione sono impiegate camere a ionizzazione, che usano come
mezzo attivo l’Argon liquido, intervallate da lastre in Pb come assorbitori;
la struttura ha una geometria a fisarmonica con una segmentazione in η e
φ pari a ∆η ×∆φ ' 0.025 × 0.025, su gran parte dell’intervallo di rapidita.
La geometria a fisarmonica consente di avere una buona simmetria assiale e
minimizza lo spazio non sensibile.
Lo spessore totale del calorimetro EM e di 24 lunghezze di radiazione (X0) nel
barrel e 26 negli end-cap ed offre una risoluzione in energia pari a 10%√E⊕ 1%,
ed una risoluzione angolare pari a ∼ 40 mrad/√
E(Gev), quest’ultima ne-
cessaria per la ricostruzione delle masse invarianti degli stati neutri.
Il compito del calorimetro adronico e, invece, quello di identificare i jets
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 17
adronici, misurare l’energia trasversa mancante, ma anche di migliorare la
capacita di identificazione del calorimetro elettromagnatico.
Si divide in tre moduli diversi a seconda della posizione: (Barrel Hadronic
Tile) attorno alla linea di fascio, (Hadronic End Cap) e (Hadronic Forward)
nella zona anteriore e posteriore di chiusura.
Nella regione del barrel esso e costituito da assorbitori in ferro, intervallati
da piani di materiale scintillante letti da fibre ottiche. Questi piani, posti
perpendicolarmente alla direzione del fascio, hanno una segmentazione pari
a ∆η ×∆φ ' 0.1× 0.1 offrendo una risoluzione in energia di 50%√E⊕ 10%.
Nella regione degli end-caps, dove e necessaria una maggiore resistenza al-
le radiazioni, sara di nuovo utilizzato dell’Argon liquido, ma con strati di
rame come assorbitori sia per gli Hadronic End Cap che per gli Hadronic
Forward. Questi ultimi inoltre sono costituiti, oltre che di rame, da due se-
zioni di tungsteno e sono integrati nei criostati degli end-cap a circa 4.7 m
dal punto di interazione. La segmentazione prevista per questa zona e pari
a ∆η ×∆φ ' 0.2× 0.2 con una risoluzione di 100%√E⊕ 10%.
Le dimensioni del calorimetro adronico sono fondamentali per il buon fun-
zionamento dello spettrometro muonico, che costituisce lo strato piu esterno
dell’apparato ATLAS. Pertanto, al fine di ridurre il fondo dovuto a quei
muoni prodotti da reazioni interne al calorimetro, lo spessore di quest’ulti-
mo e stato fissato in 11 lunghezze di interazione per il barrel ed in 14 negli
end-caps.
1.2.5 Spettrometro muonico
Lo spettrometro dei µ e stato progettato per ottenere un’alta precisione
nella misura dell’impulso, senza dover ricorrere alle informazioni provenienti
dagli altri rivelatori. Lo spettrometro deve, quindi, avere una copertura omo-
genea fino a grandi rapidita (|η| = 3) ed essere efficiente nell’individuazione
dei muoni su un intervallo di pT che va da 5 GeV a 1 TeV.
Il principio di funzionamento e basato sulla deflessione delle tracce delle par-
ticelle cariche nei campi magnetici generati dai toroidi superconduttori. La
complessa configurazione dei magneti di ATLAS fornisce un campo che nella
18
Figura 1.9: Prospetto generale dello spettrometro muonico dell’esperimentoATLAS.
maggior parte dei casi e ortogonale alla traiettoria delle particelle, in modo
tale da minimizzare lo scattering multiplo che causa una diminuzione della
risoluzione. Il trigger e gli algoritmi di ricostruzione sono ottimizzati per
far fronte alle difficili condizioni di lavoro dovute ai prodotti delle collisioni
primarie e alla elevata radiazione di background, (soprattutto neutroni e fo-
toni nel range del MeV), prodotti nelle interazioni secondarie con il materiale
circostante. La Figura 1.9 fornisce una visione completa dello spettrometro
muonico di ATLAS.
Le misure di precisione delle tracce muoniche vengono proiettate sul piano
Rz, in una direzione parallela alla curvatura del campo magnetico (Fig. 1.10);
la coordinata assiale (z ) e misurata nel barrel in camere disposte su tre strati
cilindrici (stazioni) attorno all’asse del fascio, mentre quella radiale (R) e
misurata in camere disposte verticalmente.
Per gran parte dell’intervallo in η, la misura delle tracce lungo la direzione
principale di curvatura del campo magnetico e fornita dai Monitored Drift
Tubes (MDT). In prossimita del punto di interazione, vengono invece utiliz-
zate le Cathode Strip Chambers (CSC).
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 19
Figura 1.10: Vista trasversale dello spettrometro muonico ad ATLAS.
Gli MDT sono rivelatori a deriva, costituiti da tubi di alluminio di 30 mm
di diametro contenenti un filo catodico centrale di 50 µm di diametro in lega
di tungstenio-renio e una miscela di gas non infiammabile alla pressione di
3 bar. Ogni tubo costituisce un singolo elemento di deriva per gli MDT che
offrono una risoluzione spaziale di 80 µm con un tempo di deriva massimo di
circa 700 ns.
Le CSC sono delle camere proporzionali a molti fili (MWPC) con catodo
segmentato, la cui misura di posizione e ottenuta valutando la carica indotta
sulle striscie catodiche dalla valanga generata sugli anodi. Con un tempo di
deriva di 30 ns ed una risoluzione temporale di 7 ns si riesce ad ottenere una
risoluzione spaziale di 60 µm.
Il sistema di trigger copre il range di pseudorapidita | η |≤ 2.4 ed ha come
requisito base l’identificazione del bunch-crossing, che richiede un tempo di
risoluzione migliore di 25 ns (bunch-spacing ad LHC). I rivelatori usati per
la sua costruzione sono gli RPC (Resistive plate chamber), nel barrel, e le
TGC (Thin gap chamber) negli end-cap.
Le RPC sono rivelatori gassosi in grado di fornire una risoluzione di 1cm×1ns
costituite da un sottile strato tra due piastre di bakelite, separate da un ma-
teriale isolante. La ionizzazione primaria viene moltiplicata in una valanga
da un campo elettrico uniforme molto elevato (4.5 KV/m), producendo im-
20
pulsi di circa 0.5 pC.
Le TGC sono MWPC con la differenza che la distanza tra i fili anodici (1.8
mm) e maggiore della distanza tra il piano anodico e quello catodico (1.4
mm), con conseguente riduzione dello spessore del gap.
I rivelatori utilizzati per il sistema di trigger, forniranno inoltre la seconda
coordinata nelle misure di traccia.
1.2.6 Sistema di trigger e acquisizione dati (DAQ)
Il programma di ricerca ad LHC comprende lo studio di processi fisici
molto rari (es: produzione dell’Higgs) i quali richiedono una luminosita mol-
to elevata (dell’ordine di 1034 cm−2s−1). A questa luminosita, i processi di
fondo con grande sezione d’urto produrrano interazioni con una frequenza at-
tesa di circa 109 Hz pari ad un volume di dati complessivo di 4×104 Gbyte/s.
Dato che la frequenza massima di acquisizione si prevede che sia dell’ordine
di 100 Mbyte/s cio significa che il sistema di trigger dovra ridurre i segnali di
minimum bias di un fattore ∼ 106 mantenendo pero un’eccellente efficienza
per i processi fisici rari (es: decadimento del bosone di Higgs) d’interesse ad
ATLAS.
Il sistema di trigger e di acquisizione dati di ATLAS (Fig. 1.11) e basato su
tre livelli di selezione on-line degli eventi. Ciascun livello di trigger raffina le
decisioni prese al livello precedente e, dove necessario, applica nuovi criteri
di selezione.
Il trigger di livello 1 (LVL1) ha il compito di individuare i bunch-crossing di
interesse prendendo una decisione iniziale di selezione sulla base delle infor-
mazioni provenienti dai rivelatori sottostanti. Per esempio, i muoni ad alto
pT sono identificati usando solamente le camere di trigger RPC (barrel) e le
TGC (end-cap) (Fig. 1.12), mentre particelle come elettroni e fotoni ad alto
pT , jet, τ che decadono in adroni, EmissT vengono identificate dai calorimetri.
La latenza e definita come il tempo che intercorre tra le collisioni protone-
protone ed il momento in cui la decisione presa dal trigger (LVL1) e disponi-
bile per l’elettronica di front-end. Per contenerne il valore al di sotto di 2.5
µs, l’informazione proveniente dai canali del rivelatore viene salvata in me-
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 21
Figura 1.11: Diagramma a blocchi del sistema di trigger ed acquisizionedell’esperimento ATLAS.
morie pipeline poste fisicamente vicine ai sottorivelatori che lo compongono.
Gli eventi selezionati dal trigger LVL1 sono inviati dai read-out driver (ROD)
ai read-out buffer (ROB) dove vengono registrati e mantenuti in memoria so-
lo nel caso in cui il trigger del livello successivo (LVL2) convalidi la misura.
In questo caso, inizia il processo di trasferimento dei dati dai ROB all’Event
Filter (EF) che provvede alla loro registrazione. L’EF analizza l’utilita del
dato e lo posiziona in un’unica area di memoria.
Il trigger di livello 2 (LVL2) riduce il rate da 75 KHz ad approssimativamen-
te 1 KHz facendo uso delle informazioni fornite dall’LVL1 dette ”regioni di
interesse” (RoI). Le RoI possono includere la posizione in (η,φ), il pT , l’e-
nergia trasversa totale e mancante dei segnali di interesse (quali ad esempio
muoni ad alto pT , elettroni, adroni, e jet). Le RoI transitano dal LVL1 al
LVL2 tramite un percorso preferenziale (data path) che permette all’LVL2 di
accedere direttamente ai dati di interesse senza doverli trasferire tutti. In-
fatti, usualmente, solo dati provenienti da una regione ristretta del rivelatore
centrata sull’oggetto indicato dal LVL1 sono veramente necessari. La latenza
22
Figura 1.12: Rappresentazione schematica del trigger fornito dallo spettrometromuonico (LVL1 trigger).
dell’elettronica che gestisce il LVL2 trigger e variabile e stimata essere nel-
l’intervallo compreso tra 1 e 10 ms.
L’ Event Filter (EF) e il terzo ed ultimo stadio del sistema di trigger on-line
e segue immediatamente l’LVL2. L’EF implementa algoritmi sviluppati off-
line sfruttando le informazioni provenienti dalla calibrazione degli strumenti
e dalla mappa del campo magnetico. Riduce, inoltre, il rate di informazio-
ni provenienti dal LVL2 di un ordine di grandezza portandolo a ∼100-200
Hz corrispondente ad un flusso di dati di 100 MB/s se si registra l’evento
completo.
1.2.7 Sistema di calcolo
Una parte cruciale per la riuscita dell’esperimento ATLAS e costituita
dal sistema di calcolo che dovra gestire in modo efficiente un volume di dati
dell’ordine di 1 PByte (1015Bytes) all’anno che richiedera la definizione di
nuovi metodi di riduzione, selezione e di analisi. Lo schema proposto e quello
di archiviare i dati ”raw” selezionati dall’ EF e processarli brevemente subito
dopo l’acquisizione valutando le quantita fisiche richieste dalla maggior parte
Capitolo 1. L’acceleratore LHC e l’esperimento ATLAS 23
Figura 1.13: Schema della struttura a multistrato del ”LHC Computing Grid”(LCG) .
delle analisi e classificando gli eventi in canali fisici.
Il sistema di calcolo sviluppato da ATLAS e basato sulla struttura ”LHC
Computing Grid” (LCG)[3] di architettura a multistrato (Fig. 1.13) ed ha
subito diversi test in attesa dell’inizio della presa dati prevista per il 2008.
Lo scopo del LCG e quello di fornire e mantenere un’infrastruttura per la
registrazione permanente dei dati e l’analisi di questi per gli esperimenti del
CERN. I dati ricevuti vengono distribuiti in tutto il mondo seguendo uno
schema a 4 strati di cui il primo detto Strato-0 e situato nel CERN stesso,
ed e costituito da un apparato di registrazione su nastro (backup primario)
dei dati grezzi (RAW data).
Questi dati, insieme ad una prima analisi, vengono inviati ai centri Strato-
1 che forniscono uno spazio per il riprocessamento, l’accesso alle differenti
versioni delle analisi e una programmazione organizzata nel tempo delle varie
attivita richieste da gruppi diversi.
Ogni Strato-1 invia i dati disponibili agli Strato-2 tipicamente costituiti da
piu centri computazionali minori in grado di registrare una quantita di dati
inferiore a quelli Strato-1 e che si occupano di analisi specifiche (simulazioni,
24
calibrazioni...).
Al livello piu basso di questa gerarchia ci sono i centri Strato-3, cluster di
computer appartenenti per esempio ad un dipartimento universitario, dai
quali gli scienziati possono accedere ai dati.
Capitolo 2
La misura della luminosita adATLAS
2.1 Introduzione
La luminosita L [2] [4] [5] mette in relazione la sezione d’urto σ di un
dato processo con la corrispondente frequenza R di eventi:
R = L× σ (2.1)
e pertanto risulta essere una quantita completamente determinata dalle pro-
prieta dei fasci collidenti ed indipendente dai processi fisici.
La luminosita di un collisionatore puo essere espressa in funzione dei para-
metri del fascio attraverso la seguente relazione:
L = Ff
∑i N
i1N
i2
4πσ∗xσ∗y, (2.2)
dove F e un fattore dipendente dell’angolo di collisione dei fasci, f la fre-
quenza di rivoluzione dei fasci, N i1 ed N i
2 sono il numero di particelle dei fasci
collidenti e σ∗x e σ∗y sono le dimensioni trasverse del fascio (assunte essere le
stesse per ogni fascio) nel punto di interazione (IP).
Si puo mostrare che la (2.2) puo essere riespressa nel modo seguente:
L = ξFfNkbγ
rpβ∗, (2.3)
25
26
Figura 2.1: Precisione della misura del ”rate” di produzione del bosone diHiggs in diversi canali in funzione della sua massa Mh e dell’errore di misura dellaluminosita (simboli vuoti 10%, pieni 5%).
dove ξ e il parametro di sintonizzazione, kb il numero di pacchetti, γ il fat-
tore di Lorentz, rp il raggio classico del protone e β∗=0.5 m e il valore della
funzione d’ampiezza β nel IP.
Negli esperimenti di fisica delle particelle condotti su ”collider” la lumino-
sita, sia istantanea che integrata, rappresenta un fondamentale parametro che
deve essere conoscuito con sufficiente precisione. La luminosita istantanea,
sopratutto se misurata per ogni pacchetto di particelle del fascio, rappresenta
un importante ”monitor” del ”beam- tuning” ed in generale delle condizioni
di lavoro della macchina. Per ottenere una maggiore precisione si preferisce
spesso affidarsi a misure relative piuttosto che a misure assolute affette da
una maggiore incertezza statistica.
La luminosita integrata invece e necessaria per ottenere dalla misura del ”ra-
te” il valore della sezione d’urto del processo di interesse (vedi Eq. 2.1).
Evidentemente l’errore nella sua misura contribuisce a determinare la preci-
sione con cui puo essere misurata la sezione d’urto di un processo. A titolo
di esempio riportiamo l’andamento con la massa, in diversi canali della pre-
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 27
cisione nella determinazione del ”rate” di produzione del bososne di Higgs
nella ipotesi di due differenti errori di misura della luminosita (Fig. 2.1).
E possibile mostrare [2] che ad una luminosita di 300 fb−1 l’errore nella de-
terminazione della luminosita rappresenta la principale fonte di errore della
misura del rapporto di decadimento.
In base a quanto detto riguardo l’importanza di una corretta stima della lumi-
nosita, un apparato sperimentale complesso come ATLAS, dati gli obiettivi
scientifici per cui e stato costruito, deve riuscire a controllare diversi aspetti
della misura di L. In particolare deve:
• fornire il valore della luminosita integrata finale per l’analisi ”off-line”
dei dati. Sono richieste anche misure di luminosita media per intervalli
brevi e per singolo incrocio dei pacchetti.
• fornire un veloce monitoraggio ”on-line” della luminosita per poterla
ottimizzare assieme alla direzionalita del fascio. A questo scopo e au-
spicabile una precisione statistica del 5%, ed incertezze sistematiche al
di sotto del 20% circa.
• controllare velocemente le condizioni di funzionamento della macchina
e monitorare la struttura temporale dei fasci.
L’esperimento ATLAS ha definito una strategia di misura che a regime ri-
chiedera una precisione nella determinazione della luminosita integrata del
2 − 3% nonche un monitoraggio praticamente istantaneo delle condizioni di
lavoro della macchina.
Poiche non esiste un’unica tecnica sperimentale, che possa soddisfare tutte
le richieste sovracitate, risulta necessario affidarsi a tutta una serie di misure
complementari che saranno descritte e commentate nei paragrafi successivi.
2.2 Metodi di misura della luminosita
In generale si possono distinguere tre tipi di misure di luminosita [5].
Il primo consiste nel misurare accuratamente la frequenza di un processo con
28
una ben nota sezione d’urto ed applicare l’equazione (2.1). Questo metodo
e usato con successo nei collisionatori e+e−, attraverso la misura del proces-
so di QED Bhabha scattering, mentre nei collisionatori per adroni, poiche
i processi di QED hanno piccola sezione d’urto, non risulta particolarmente
indicato per ottenere una stima della luminosita. Nel caso di ATLAS i pro-
cessi fisici indicati sono quelli di QED che prevedono la produzione di coppie
leptone-antileptone attraverso lo scambio di due fotoni. L’esempio migliore
e quello con produzione di una coppia di muoni ad alto pT : pp −→ ppµ+µ−.
Questo processo ha pero la limitazione di avere una sezione d’urto osservabile
molto piccola a causa delle condizioni di trigger imposte ai muoni.
Un altro processo candidato e studiato a fondo ad ATLAS e la produzione
dei bosoni di gauge W e Z ed il loro decadimento W± −→ l±ν, Z −→ l+l− .
In particolare questo processo misura direttamente la luminosita dei partoni
e richiede un buon controllo sulla PDF dei protoni. Anche in questo caso
non e chiaro se la precisione sulla luminosita possa essere migliore del 5%.
Un secondo metodo consiste nel misurare la luminosita tramite i parametri
del fascio usando cioe la (2.2). Per questo, si ha bisogno di una misura pre-
cisa delle dimensioni dei fasci nel punto di interazione (IP), cosa tutt’altro
che semplice dato che l’IP non e direttamente accessibile, e si rende dunque
necessaria una estrapolazione da una eventuale misura esterna all’area spe-
rimentale. La maggiore accuratezza e raggiunta tramite il metodo di Van
der Meer basato sulla scansione trasversa del fascio in entrambe le direzioni
e l’ausilio dei ”forward detector” che monitorano le interazioni p-p. Il valore
dello spostamento del fascio richiesto per ridurre il ”rate” p-p, ad esempio del
50% del suo valore di picco, risulta una misura della forma del fascio nell’IP.
Ovviamente l’efficienza del conteggio delle interazioni p-p non deve dipen-
dere dallo spostamento del fascio. La precisione stimata nella misura finale
di L non e ben nota, ma si prevede un’incertezza intorno al 10%. Inoltre,
il metodo di Van der Meer non potrebbe essere applicato alle condizioni di
luminosita e di parametri di fascio previste, e richiederebbe run dedicati a
luminosita minori di 1030cm−2s−1.
Il terzo metodo utilizza il teorema ottico negli scattering di alta energia ed
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 29
e usato anche per calibrare la scala assoluta delle misure di luminosita. In
quest’ultimo caso L e derivata dalla relazione:
LdRel
dt
∣∣∣∣r=0
= R2tot(1 + ρ2)/(16π). (2.4)
con
ρ ≡ Refel(t)
Imfel(t)
∣∣∣∣r=0
(2.5)
dove sono misurati Rtot, frequenza totale di interazioni pp, e dRel/dt(t=0),
frequenza delle diffusioni elastiche in avanti, mentre ρ e il rapporto tra la
parte reale ed immaginaria dell’ampiezza elastica in avanti. Anche in questo
caso la precisione tipica e del 5− 10%.
Le misure di L effettuate con i metodi appena descritti ne forniscono una
misura assoluta. Vale la pena comunque osservare che misure relative della
luminosita potrebbero essere calibrate, con i metodi assoluti, a basse lumi-
nosita ed in condizioni favorevoli.
Per quanto riguarda ATLAS, la prima stima della luminosita assoluta ov-
viamente derivera dai parametri della macchina e verra utilizzata, anche se
piuttosto imprecisa, per una prima calibrazione del LUCID, un sottorive-
latore dedicato (contatore Cerenkov) che sara operativo sin dall’inizio. Nel
prosieguo dell’esperimento sara poi operativo un secondo rivelatore chiamato
Alfa che dovra essere calibrato con ”run” dedicati a bassa luminosita dell’or-
dine di 1027 cm−2 s−1.
La migliore stima di luminosita assoluta ottenuta sara riutilizzata come cali-
brazione per il LUCID essendo quest’ultimo il piu duttile dei sistemi presenti
potendo operare in un ampio regime dinamico ed in differenti condizioni del-
l’ottica del fascio. Infine anche i processi fisici a sezione d’urto ben nota
forniranno un controllo sulla misura di L.
Riporto in seguito le diverse caratteristiche dei dispositivi citati sopra ed il
principio di funzionamento per la stima di L.
30
2.3 Roman Pot e Alfa: misura della lumino-
sita attraverso processi di diffusione ela-
stica
Come mostrato dalle espressioni (2.4) e (2.5) la luminosita puo essere de-
terminita misurando la frequenza delle interazioni totali e quella dei processi
elastici dato che il parametro ρ e noto con sufficiente precisione e non con-
tribuisce in maniera significativa all’errore sistematico. Questa costituisce la
tecnica ”standard” nella misura della luminosita tuttavia richiede una pre-
cisa misura del ”rate” inelastico per un ampio intervallo di pseudorapidita η
non accessibile ad ATLAS.
Per questo si misura la diffusione elastica per piccoli valori di t in modo che
la sezione d’urto diventi sensibile all’ampiezza elettromagnetica. Si ottiene
cosı, introducendo il termine Coulombiano, una misura della luminosita e
della sezione d’urto che non richiede la conoscenza del ”rate” inelastico.
La misura nel regime d’interferenza coulumbiana nucleare (CNI) richiede
un’ottica dedicata della macchina ed una meccanica abbastanza complessa
per avvicinare il sistema di tracciamento al fascio.
Questo sistema di tracciamento, che utilizza la diffusione elastica per la misu-
ra di L, e chiamato ALFA (Absolute Luminosity For ATLAS) ed e contenuto
all’interno del meccanismo mobile Roman Pot.
Le Roman Pot, sono dispositivi realizzati per avvicinare i rivelatori di trac-
ciamento ai fasci circolanti ad una distanza di 10 σ e verranno collocati in
entrambi i lati tra il sesto e settimo quadrupolo a circa 240 m dal punto di
interazione del rivelatore ATLAS.
Su ciascun lato saranno collocate due unita Roman Pot separate da una di-
stanza di 4 m per cui il sistema prevede 4 diverse stazioni per un totale di 8
Roman Pot.
All’interno di ogni Roman Pot, vi e un vuoto secondario in modo da rende-
re minima la deformazione indotta dal vuoto primario di LHC. Il rivelatore
di tracciamento (ALFA) e racchiuso dalla pot che deve quindi essere com-
patibile con le restrizioni imposte dal perfetto funzionamento del rivelatore
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 31
Figura 2.2: Prospetto generale di una Roman Pot.
stesso. Queste restrizioni riguardano in particolare lo spessore dei materiali
che costituiscono la Roman Pot: 2 mm di spessore per le pareti e solo 150
µm per la finestra sottile che interfaccia il rivelatore al vuoto della macchina
dove circola il fascio (Fig. 2.2).
ALFA (Fig. 2.3) [7] e un rivelatore a tracciamento basato su fibre scintillanti
che sono sensibili al passaggio di particelle e che non richiedendo un sistema
di raffreddamento rendono piu semplice la loro integrazione nel sistema Ro-
man Pot.
Il rivelatore e costituito da dieci piani distanti 70.7 µm, ciascuno dei quali e
formato da due livelli U e V fissati ad uno strato di ceramica spesso 170 µm.
Ciascun livello, orientato a ±45◦, e connesso a sessantaquattro fibre plastiche
di sezione quadrata (0.5× 0.5 mm2).
Ogni volta che una particella attraversa il rivelatore, ciascun piano fornisce
una coordinata spaziale e la luce prodotta dalle fibre e letta da fotomoltipli-
catori a multianodo (MAPMT). All’interno delle Roman Pot, oltre alle fibre
di tracciamento, vi sono anche fibre per l’allineamento reciproco tra la Pot
superiore e quella inferiore.
Il principio di funzionamento del dispositivo consiste nella misura dello spet-
32
Figura 2.3: Prospetto generale del rivelatore di luminosita ALFA.
tro dei valori del momento trasferito t dei protoni diffusi elasticamente ad
angoli piccoli (micro radianti) nella regione CNI (Fig. 2.4).
In questa regione la sezione d’urto differenziale della diffusione elastica si
scrive:
dRel
dt= Lπ|fC + fN |2 ≈ Lπ
∣∣∣∣−2α
|t| +σtot
4π(i + ρ)e−b|t|/2
∣∣∣∣2
(2.6)
t = −(p · sinθ)2
dove il primo termine (fC) corrisponde all’ampiezza Coulombiana ed il secon-
do (fN) all’interazione forte. Una volta misurata la dRel
dt, la luminosita verra
ricavata fittando l’espressione precedente (2.6).
Il raggiungimento delle condizioni sperimentali per operare nella CNI richie-
de per prima cosa un valore elevato del parametro ottico β∗ ottenibile solo
con divergenza intrinseca minore dell’angolo di diffusione piu piccolo che de-
ve essere misurato (β∗ = 2625 m, L' 1027 cm−2s−1).
Inoltre la misura del momento trasferito |t| deve essere indipendente dal
punto di interazione reale. Un avanzamento di fase di 90◦ della funzione di
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 33
Figura 2.4: Distribuzione dei punti d’impatto nel rivelatore ALFA.
34
Figura 2.5: Distribuzione e fit della luminosita del parametro t: (sinistra)rappresentazione lineare e (destra) logaritmica.
betatrone tra l’IP ed il piano verticale produce una focalizzazione ”parallel-
to-point”, cioe una relazione lineare tra il punto spaziale d’impatto nel piano
trasverso del rivelatore e l’angolo verticale di diffusione nell’IP.
Parallelamente allo sviluppo e alla costruzione del rivelatore, la misura della
diffusione elastica e stata adeguatamente simulata. In Figura 2.5 e mostra-
ta la ricostruzione della distribuzione di t dalla simulazione delle misure di
ALFA. La misura della luminosita si presume sia stimata con una precisione
del 3%.
2.4 ZDC
Un altro sistema che fa parte dei ”forward detector” del rivelatore ATLAS
e lo ZDC (Zero Degree Calorimeter) [8] che verra inserito nell’apertura tra-
sversale dell’assorbitore di particelle neutre (TAN), a circa 140 m dal punto
di interazione. ZDC avra un ruolo centrale nel programma di ATLAS quan-
do LHC sara dedicato allo studio delle collisioni tra ioni pesanti (HI) dove
verra usato per misurarne la centralita e la luminosita oltre che per fornire
il trigger.
Lo ZDC (Fig. 2.6) sara costituito da sei moduli in tungsteno/quarzo, dove
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 35
Figura 2.6: Prospetto generale del calorimetro ZDC.
la luce trasportata dalle fibre al quarzo e letta da fotomoltiplicatori. Inoltre
lo ZDC sara equipaggiato con sbarre orizzontali al quarzo, parallele al fascio,
in modo da determinare la posizione delle cascate nel piano perpendicolare
al fascio.
Nella fase (HI) il compito principale di ZDC sara quello di misurare i neu-
troni spettatori (resti delle collisioni) che forniscono informazioni sul valore
e la direzione del parametro d’impatto. In aggiunta tramite la ben nota se-
zione d’urto delle particelle neutre ad angolo nullo la luminosita potra essere
stimata con una precisione superiore al 5%.
Nella fase di collisioni p-p, ZDC sara principalmente utilizzato per lo studio
delle particelle prodotte in avanti. Sara un dispositivo molto utile per regolare
i parametri di LHC nei primi giorni di funzionamento dell’acceleratore.
36
2.5 LUCID
Il LUCID (LUminosity measurement using a Cerenkov Integrating Detec-
tor) [4] e il principale monitor di luminosita ad ATLAS. Il suo scopo primario
e quello di misurare la diffusione inelastica p-p in avanti, per stimare sia la
luminosita integrata sia quella istantanea e per monitorare le condizioni dei
fasci.
La misura effettuata dal rivelatore e basata sul fatto che la frequenza de-
gli eventi di diffusione inelastica vista dal LUCID (Rpp) e proporzionale alla
luminosita tramite la relazione:
Rpp = µLUCID · fBC = σpp · εLUCID · L. (2.7)
Il numero medio di interazioni inelastiche, viste dal LUCID, per ogni incrocio
dei pacchetti µLUCID, e collegato alla luminosita L tramite la sezione d’urto
inelastica σpp e l’efficienza di rivelazione εLUCID. Il termine fBC rappresenta
la frequenza di incrocio dei pacchetti (25 ns).
Vi sono diversi modi in cui il LUCID potrebbe operare per misurare la gran-
dezza µLUCID. In condizioni di bassa luminosita, tramite lo ”Zero counting”
che consiste nel contare gli incroci dei pacchetti con nessuna interazione(NzeroBX
NtotalBX
), il valore di µLUCID deriverebbe immediatamente considerando
la statistica Poissoniana:
P (n, µ) =e−µµn
n!e considerando il caso in cui il numero n sia nullo:
P (0, µ) =
(NzeroBX
NtotalBX
)= e−µ
µ = −ln
(NzeroBX
NtotalBX
)(2.8)
Il secondo metodo ”Hit counting” consiste nel contare il numero di tubi con
un segnale per cui:
µLUCID =〈Nhits/BX〉〈Nhits/pp〉
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 37
L’ultimo infine detto ”Particle counting” consiste nel contare il numero di
particelle nel LUCID facendo diversi tagli sull’ampiezza del segnale:
µLUCID =〈Nparticles/BX〉〈Nparticles/pp〉
Gli ultimi due metodi sono coincidenti finche si verifica la condizione in cui
il segnale in ogni singolo tubo e dovuto al passaggio di una sola particella.
Cio accade fino alla luminosita dell’ordine di 1033 cm−2 s−1 mentre allo sta-
dio finale di luminosita prevista per LHC (dell’ordine di 1034 cm−2 s−1), si
verifica sovrapposizione di segnale dovuto al passaggio contemporaneo di piu
di una particella nello stesso tubo.
Quale delle strategie verra adottata e ancora sotto esame tramite accura-
te simulazioni (vedi Par.2.5.2) della risposta lineare del LUCID alle diverse
luminosita ed espressa dall’equazione:
L =fBX
σpp · εLUCID
µLUCID (2.9)
Ultimo aspetto di fondamentale importanza riguarda la fase di calibrazione
del rivelatore. Sono infatti previsti ”run” dedicati di calibrazione in parallelo
al rivelatore Alfa alla luminosita nominale di 1027 cm−2 s−1 che misurando
in maniera assoluta L permettera la stima della costante di calibrazione σpp ·εLUCID.
Una volta calibrato sara compito del LUCID estendere la sua operativita di 7
ordini di grandezza allo scopo di stimare L con una precisione inferiore al 5%
necessaria agli obbiettivi che l’intero apparato ATLAS intende raggiungere.
2.5.1 Struttura del rivelatore LUCID
Il LUCID coprira l’intervallo di pseudorapidita |5.4 −→ 6.0| e verra po-
sizionato nello spazio tra la linea del fascio e la sua struttura di supporto, a
circa 17 m dal punto di interazione (IP) di ATLAS, come mostrato in Figura
2.7.
38
Figura 2.7: Posizione del rivelatore LUCID in ATLAS.
Sono previsti due moduli LUCID simmetrici rispetto al IP costituiti ciascuno
di 168 tubi Cherenkov, lunghi 1.5 m e del diametro di 1.5 cm che puntano
verso il punto d’interazione. Questi tubi sono di alluminio e disposti a gruppi
di 42 in 4 anelli concentrici attorno alla linea del fascio. Al loro interno vi e
del gas C4F10 che funziona da radiatore Cherenkov la cui scelta e motivata
dal suo elevato indice di rifrazione (1.00137) e dal fatto che alla pressione di
utilizzo ha una buona trasparenza nella regione ultravioletta dove la maggior
parte della luce e emessa. La radiazione Cherenkov e emessa con un angolo
di circa 3◦ e viene riflesso mediamente 3 volte all’interno dei tubi prima di
arrivare nella zona di raccolta dove e letta da fotorivelatori. In Figura 2.8
viene mostrato il prospetto generale e particolare delle componenti del LU-
CID.
Le particelle che vengono dall’IP (primarie) attraversano l’intera lunghezza
del contatore e generano il segnale d’ampiezza massima nel fotorivelatore.
Quelle secondarie, invece, originate dall’interazione dei primari con il mate-
riale del rivelatore e con il tubo del fascio, sono meno energetiche ed attra-
versano i tubi del LUCID con angoli d’incidenza maggiori e per tratti piu
brevi. Dunque la radiazione Cherenkov da loro emessa subira un maggior
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 39
Figura 2.8: Prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID.
numero di riflessioni con conseguente segnale molto piu debole e distinguibi-
le da quello dei prmari usando semplicemente un’opportuna soglia di segnale
(vedi Par.2.5.2). La soglia del momento per l’emissione della luce e di 10
Mev/c per gli elettroni e 2.8 Gev/c per i pioni. Dato che non vi sono fluttua-
zioni di Landau, la distribuzione delle ampiezze di ogni contatore ha picchi
separati per ogni ”hit” e permette di contare il numero di particelle primarie
che colpiscono il LUCID.
Lo scopo del LUCID e quello di contare il numero di particelle che incidono
sul rivelatore, provenienti dalla zona dell’interazione primaria e usare questa
informazione per una misura di luminosita (applicando l’equazione (2.8)); ed
il progetto di tale strumento e strettamente legato al valore di luminosita no-
minale che si deve misurare. La strategia di sviluppo del rivelatore prevede
infatti due fasi distinte in coincidenza dei periodi di bassa ed alta luminosita
previsti dal collisionatore LHC.
La fase 1 (bassa luminosita dell’ordine di 1033cm−2s−1 con una media di 2
interazioni per collisione fra fasci) prevede la costruzione di due rivelatori
con 20 tubi di alluminio ad effetto Cherenkov ciascuno disposti su due cerchi
40
Figura 2.9: Configurazioni possibili delle unita del rivelatore LUCID. In alto:accoppiamento tubo, Winston Cone, fibra e PMT. In basso: accoppiamento direttotubo, PMT.
concentrici attorno alla beam-pipe e orientati verso il punto dei interazione.
16 di questi sono collegati all’estremita finale a fotomoltiplicatori singoli (di-
segno in basso Fig. 2.9), mentre 4 sono collegati ad un fotomoltiplicatore
multianodo attraverso delle fibre ottiche (disegno in alto Fig. 2.9). Questa
scelta e dettata dalla necessita di testare un sistema come il multianodo pre-
visto per la fase 2.
La fase 2 (alta luminosita dell’ordine di 1034cm−2s−1 corrispondente a circa
25 interazioni per collisione fra fasci) consiste nel realizzare la proposta ori-
ginale di 168 tubi disposti in 4 anelli concentrici attorno alla linea del fascio
come mostraro in Figura 2.10. A differenza della fase 1, in questa seconda
fase la luce proveniente da ogni tubo, prima di arrivare al fotomoltiplicatore,
e raccolta da un collettore di alluminio detto Winston Cone, la cui lunghezza
varia da 80 mm per l’anello interno di tubi Cherenkov a 130 mm per l’anello
esterno, spessi 0.5 mm, ideati per aumentare l’efficienza di raccolta. A sua
volta la luce dal Winston Cone e raccolta da un fascio di fibre di 1 mm di
diametro con ”core” al quarzo. La scelta di questo materiale per le fibre e
stata fatta in base alla sua resistenza alle radiazioni. Nel disegno in alto di
Figura 2.9 si puo vedere lo schema di accoppiamento fra il tubo Cherenkov,
il Winston Cone, la fibra e il fotomoltiplicatore finale; si nota che in questa
configurazione si ha la maggiore raccolta di luce possibile.
Sia in fase 1 che in fase 2 i tubi Cherenkov sono racchiusi da una struttu-
ra cilindrica di supporto (detta ”vessel”) di alluminio a tenuta di pressione
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 41
Figura 2.10: Schema di realizzazione del LUCID come pensato per la fase 2.
riempito con un gas radiatore. Nominalmente la pressione a cui il LUCID
lavorera sara di poco superiore a quella atmosferica; in ogni caso il vessel e
stato disegnato per funzionare fino a pressioni di 2-3 atmosfere. Questo per-
mette di aumentare la pressione del gas radiatore nel caso in cui si richieda
una maggiore quantita di luce. Infine in entrambe le fasi di funzionameno,
sul rivelatore LUCID verra anche montato un sistema di LED all’ingresso dei
tubi Cherenkov che permettera la calibrazione dell’intero apparato tramite il
controllo della risposta del sistema quando viene illuminato con un segnale
luminoso noto.
2.5.2 Il codice di simulazione di LUCID
Il rivelatore LUCID e stato adeguatamente simulato per riprodurre corret-
tamente la condizioni sperimentali a cui sara sottoposto una volta installato
in ATLAS.
La simulazione si compone di 3 blocchi principali. Innanzitutto, bisogna si-
mulare le interazioni p − p e selezionare in particolare quelle che rientrano
nell’intervallo di accettanza in |η| del LUCID. Poi l’intero ATLAS deve essere
42
Figura 2.11: Simulazione della tipologia delle particelle che colpiscono il LUCID.
simulato in modo da tracciare le particelle secondarie prodotte dall’intera-
zione dei primari con gli elementi del rivelatore (magneti, calorimetri, linea
di fascio...). I primari sono principalmente π±, mentre i secondari sono e±
e γ delle cascate elettromagnetiche (Fig. 2.11). Terza fase della simulazione
riguarda la costruzione del LUCID in tutte le sue specifiche componenti nel
volume che occupera dopo installato.
Le coordinate dei punti d’impatto e i quadrivettori di tutte le particelle che
colpiscono il rivelatore sono usati per tracciare con GEANT4 la propagazione
all’interno del volume. Qui, i γ prodotti per effetto Cerenkov arrivano, dopo
riflessioni multiple sulle pareti, nella zona di raccolta dove si trovano i PMT.
Fondamentale risulta la stima della soglia dei fotorivelatori che permette di
ridurre il contributo al segnale di particelle secondarie e primarie che col-
piscono di lato il LUCID (Fig. 2.12). Come mostrato in Figura 2.12, al
di sopra della soglia di 50 fotoelettroni il segnale e costituito da particelle
che colpiscono il rivelatore frontalmente attraversando il LUCID per tutta la
sua lunghezza e producendo fotoni Cherenkov sia nel gas sia sulla finestra di
quarzo dei PMT.
La stima della soglia sara determinante anche per la scelta del metodo di
operativita del LUCID. Come mostrato in Figura 2.13, una volta calibrato
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 43
Figura 2.12: Simulazione della risposta dei fotooltiplicatori al passaggio delleparticelle (primarie o secondarie).
Figura 2.13: Andamento della luminosita in funzione del numero di interazioniper evento.
il rivelatore alla luminosita di 1027 cm−2 s−1, la simulazione di estensione a
valori di L superiori mostra un comportamento lineare fino a valori dell’or-
dine di ∼ 1033cm−2s−1.
44
Figura 2.14: Parziale perdita della linearita della risposta del LUCID ad alteluminosita.
La cosa si fa piu delicata nel passaggio alla luminosita finale di progetto di
LHC (dell’ordine di ∼ 1034cm−2s−1 corrispondente ad un numero di 20-30 in-
terazioni per incrocio di pacchetto) dove le simulazioni (Fig. 2.14) mostrano
una parziale deviazione dalla linearita al variare della soglia fissata.
2.5.3 I test-beam effettuati su LUCID
Per testare il funzionemento del LUCID sono stati effettuati due test-
beam [12] (agosto e dicembre 2006) all’acceleratore di particelle DESY di
Amburgo. Il set-up sperimentale (Fig. 2.15) era costituito dal fascio di e−
da 6 Gev del DESY e dal ”vessel” contenente 6 tubi riempiti di gas a pressione
Figura 2.15: Rappresentazione schematica del set-up sperimentale del test-beam.
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 45
Figura 2.16: Distribuzione tipica dei canali ADC alle pressioni di 1 bar (sinistra)e 0 bar (destra).
variabile da 0 a 2 bar. Vi erano inoltre tre scintillatori (S1, S2, S3) per il
trigger e 3 telescopi (T1, T2, T3) per controllare la forma e la posizione del
fascio.
Il programma del test-beam, prevedeva le seguenti serie di misure:
• un set di run di LED, per effettuare la calibrazione.
• un set di run di fascio nelle condizioni di lavoro previste per il LUCID:
1 atm di pressione per il gas e i tubi Cherenkov allineati rispetto al
fascio.
• uno scan in pressione, cambiando la presssione del gas isobutano nel-
l’intervallo [0,2] atm, allo scopo di testare la risposta di pruduzione dei
fotoni per differenti indici di rifrazione del gas.
• uno scan angolare, ruotando il vessel attorno all’asse y, cambiando
l’angolo θ tra l’asse del vessel e la direzione z nell’intervallo [-3.0◦,
+3.0◦]. Lo scan angolare permette di testare la capacita di puntamento
del rivelatore.
I risultati ottenuti per i run di fascio nelle condizioni di lavoro per il LUCID,
mostrano (Fig. 2.16 a sinistra) tre picchi differenti del segnale (P0,P1,P2).
Questi picchi corrispondono rispettivamente al segnale causato dagli elettroni
46
Figura 2.17: Diagramma dei tre possibili cammini dell’elettrone all’interno deltubo del LUCID.
che ”triggerano” il sistema ma non entrano nel tubo (P0), al segnale Cheren-
kov nel gas (P1) ed al segnale Cherenkov nel gas e nella finestra di quarzo
del PMT (P2) (Fig. 2.17). Nel caso in cui le misure vengano effettuate alla
pressione di 0 bar (Fig. 2.16 a destra) si vede, come era prevedibile, la scom-
parsa del picco (P1) corrispondente alla luce Cherenkov emessa nel gas.
Il passo finale riguarda l’analisi dati ed il passaggio dai canali ADC al numero
di fotoelettroni (Fig. 2.18) ed il confronto dei dati con le simulazioni Monte-
carlo (MC). Questo e stato effettuato sia per tubi letti da fotomoltiplicatori
a singolo anodo (LUCID fase 1) sia per tubi letti da MAPMT (LUCID fase
2) con rispettivamente i seguenti risultati:
< Npe > = (117.4± 0.8)± 10%
< Npe > = (9.5± 0.3)
Questi risultati sono forniti alla pressione nominale di 1 atm e l’errore del
10% viene dalle incertezze di calibrazione nel caso dei PMT, mentre per i
MAPMT e stato gia inserito nell’errore totale.
Il sistema adottato per il LUCID di fase 2 e che fa uso di fibre ottiche, mostra
una produzione di fotoni 10 volte minore di quello adottato per la fase 1. La
spiegazione di questa violenta riduzione sta nella perdita di fotoni dovuta al
trasporto nelle fibre ed all’accoppiamento di queste con il tubo Cherenkov ed
il MAPMT.
In generale, comunque, i dati del test-beam mostrano un buon comporta-
mento del dispositivo LUCID e le simulazioni MC forniscono una realistica
descrizione di tutti gli effetti fino ai PMT.
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 47
Figura 2.18: Spettro di segnale del tubo alla pressione P=1 atm ed ad un angoloθ = 0 rispetto alla direzione del fascio.
2.5.4 La resistenza alla radiazione di LUCID
Durante il funzionamento, le componenti del LUCID saranno sottopo-
ste ad una dose di radiazione molto elevata come previsto dalla simulazione
di Figura 2.19 relativa al flusso dei gamma ad ATLAS [13] nel periodo di
alta luminosita. Questo comporta che, sia in fase 1 che in fase 2, le parti
piu sensibili del rivelatore siano altamente resistenti alla radiazione. Nella
struttura di progetto del LUCID l’alluminio che costituisce i tubi ed il gas
C4F10 non si rivelano materiale soggetto ad alterazioni in ambiente radioat-
tivo. Un’accurata verifica deve invece essere effettuata sui dispositivi attivi
quali i PMT, le cui caratteristiche sono state misurate prime e dopo irrag-
giamento da gamma [17]. Sui fotomoltiplicatori (Hamamatsu R762) previsti
per il LUCID sono state controllate le seguenti caratteristiche: ”dark cur-
rent”, risposta spettrale e guadagno. L’irraggiamento con γ e avvenuto al
”National Physical Laboratory” (UK) con γ provenienti da 60Co con dosi da
0.004 a 1 MRad/ora, per un totale di 20 MRad che corrisponde a 3 anni in
ambiente LHC alla massima luminosita e 30 anni alla luminosita di fase 1
del LUCID.
Le Figure 2.20 e 2.21 mostrano il confronto tra il PMT 1 e 2 prima e dopo
48
Figura 2.19: Flusso totale di fotoni previsto a piena luminosita in un quadrantedell’esperimento ATLAS (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di intera-zione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). Il riquadro in rosso evidenzia ilpunto dove verra installato il LUCID.
Figura 2.20: Confronto prima e dopo irraggiamento da γ delle misure di darkcurrent in funzione del voltaggio dei PMT.
Capitolo 2. La misura della luminosita ad ATLAS 49
Figura 2.21: Misure di guadagno relativo dei PMT prima e dopo irraggiamentoda γ.
l’irraggiamento del PMT1 per quanto concerne ”dark current” e guadagno.
In definitiva queste misure mostrano una buona resistenza alla radiazione
da γ dei PMT testati, fatta eccezione per un aumento del valore di ”dark
current” (Fig. 2.20) che non pregiudica il corretto funzionamento dell’intero
apparato.
50
Capitolo 3
Verso un nuovo progetto diluminometro
3.1 Introduzione
Come discusso nel Capitolo 2.5.3 i risultati dei test-beam indicano chiara-
mente che il rivelatore nella configurazione tubo-PMT lavora in modo soddi-
sfacente nella fase 1 a bassa luminosita (L dell’ordine di 1033cm−2s−1), mentre
la configurazione tubo-Winston cone-MAPMT risulta piuttosto inefficiente
nella fase 2 ad elevata luminosita (L dell’ordine di 1034cm−2s−1).
In particolare, in questa seconda fase il limite dell’attuale progetto e costi-
tuito dalla perdita di una frazione rilevante di fotoni Cherenkov nel Winston
cone e nella fibra con un conseguente minor numero di fotoelettroni prodotti
dal segnale (circa dieci volte inferiore rispetto a quello di fase 1).
Allo scopo di superare questa limitazione e stato necessario modificare in piu
parti il progetto esistente. Si e pervenuti in questo modo alla definizione di
un nuovo progetto che sara esposto dettagliatamente nei paragrafi seguenti.
In successione, il Paragrafo 3.2 e dedicato allo studio della radiazione esi-
stente nella zona del rivelatore, necessario per definire le caratteristiche di
resistenza dei materiali utilizzati. La struttura complessiva del nuovo rivela-
tore e invece descritta nel Paragrafo 3.3. La definizione delle grandezze fisiche
da misurare nonche le misure di resistenza alla radiazione dei materiali che
costituiscono il nuovo rivelatore sono riportate nel Paragrafo 3.4 assieme alle
51
52
Figura 3.1: Flusso totale di neutroni in un quadrante dellesperimento ATLAS.(Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R: distanza radialedall’asse del fascio).
cosiderazioni conclusive. L’ultimo Paragrafo 3.5 presanta in breve, i risultati
ottenuti testando su fascio un primo prototipo del rivelatore studiato.
3.2 L’ambiente del luminometro
Il luminometro e posizionato immediatamente a ridosso della linea di fa-
scio in posizione simmetrica rispetto alla zona d’interazione ad una distanza
di circa 16.80 m. Se da un lato tale posizione ne migliora le prestazioni dal-
l’altro espone il rivelatore ad una piu elevata dose di radiazione.
Secondo le stime fornite dal Monte Carlo LUCID sara esposto ad una dose
di circa 0.5-0.7 MRad/y nella fase iniziale (fase 1) e 5-7 MRad/y nella fase
finale a piena luminosita.
La stima Monte Carlo del flusso totale dei neutroni in un quadrante dell’e-
sperimento ATLAS [13] e mostrato in Figura 3.1 mentre i flussi dei differenti
tipi di particelle nella regione occupata da LUCID sono riportati nella Ta-
bella 3.1.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 53
Particella Flussoe± 18 MHz/cm2
γ 93 MHz/cm2
n 50 MHz/cm2
p 0.3 MHz/cm2
π± 1.5 MHz/cm2
Tabella 3.1: Stima Monte Carlo dei flussi medi di particelle attesi nella regineoccupata da LUCID.
Particella Energia depositatae± 0.80 MeVγ 0.15 MeVn 0.87 MeVp 0.88 MeVπ± 0.72 MeV
Tabella 3.2: Energia depositata dai diversi tipi di particelle su di uno spessoredi 2 mm di quarzo.
Si nota che nella regione di LUCID il contributo maggiore al flusso di parti-
celle e di tipo elettromagnetico (γ e±) costituendo circa il 68% del totale.
Dai flussi di particelle e possibile poi ottenere l’energia depositata nei diversi
meteriali che compongono il rivelatore. Dato che uno dei progetti prevede
il posizionamento di fotomoltiplicatori in coda ai tubi Cherenkov e dunque
nello stesso volume del rivelatore puo essere utile riportare l’energia deposi-
tata su di uno spessore di quarzo di 2 mm (Tab. 3.2). Si osserva allora che
in termini di energia depositata i diversi tipi di particelle tendono a contri-
buire allo stesso modo con l’eccezione dei fotoni cui compete un contributo
5-6 volte inferiore. Tra queste particelle particolare attenzione deve essere
riservata ai neutroni.
3.2.1 Simulazioni Monte Carlo
Dato che i neutroni forniscono il principale contributo al bilancio della
energia depositata nella regione di LUCID e importante studiarne la distri-
54
Entries 546045Mean 0.002451RMS 0.02336Underflow 0Overflow 416
Neutron energy [GeV]0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
En
trie
s / 0
.001
GeV
1
10
210
310
410
510
Entries 546045Mean 0.002451RMS 0.02336Underflow 0Overflow 416
Neutron spectrum in the proximity of LUCID
Figura 3.2: Simulazione Monte Carlo dettagliata dello spettro energetico deineutroni attesi nella zona del LUCID.
buzione in energia.
Il risultato della simulazione Monte Carlo e mostrato in Figura 3.2. Si no-
ta che l’energia media dei neutroni che investono la regione del LUCID e
dell’ordine del MeV.
3.3 Lo schema generale del nuovo luminome-
tro
Come discusso in precedenza (Par.2.5), l’elevata luminosita e dunque l’e-
levata radiazione attesa nella zona di LUCID nella fase 2 richiede alcune
sostanziali modifiche del progetto (raccolta di luce Cherenkov prodotta at-
traverso il sistema Winston cone-fibre anziche direttamente col fotomoltipli-
catore) che determinano un peggioramento delle prestazioni.
Per questo motivo si e cercato di definire un progetto alternativo, specifico
per la fase di alta luminosta, costituito essenzialmente da sottili cilindri di
quarzo (bacchette) accoppiati a fibre ottiche attraverso un materiale diffusore
di luce (wave lenght shifter, WLS).
Da un punto di vista meccanico questa soluzione semplifica la struttura ge-
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 55
Figura 3.3: Schema grafico del cono di emissione Cherenkov.
nerale del rivelatore riducendone le dimensioni ed evitando l’utilizzo del gas
che richiede un complesso sistema di flussaggio (utilizzato per il ricambio del
C4F10 degradato) e di mantenimento della pressione interna.
3.3.1 L’effetto Cherenkov
Come noto, l’effetto Cherenkov (Fig. 3.3) consiste nell’emissione di fotoni
da parte di particelle cariche che attraversano un materiale con una velocita
superiore a quella della luce nello stesso mezzo. L’emissione di radiazione
Cherenkov puo essere interpretata attraverso la formazione di un’onda d’urto
a fronte conico con angolo di apertura, rispetto alla direzione di moto della
particella, dato dalla formula:
cosθC =1
n(λ)
c
v=
1
n(λ)β(3.1)
dove n e l’indice di rifrazione del mezzo, c la velocita della luce nel vuoto e
v la velocita della particella carica nel mezzo.
Un parametro essenziale nella progettazione di rivelatori di luce Cherenkov
e il numero di fotoni emessi per unita di cammino percorso e per unita di
lunghezza d’onda:
d2Nγ
dλdx=
2πz2α
λ2
(1− 1
β2n2(λ)
)(3.2)
56
dove z e la carica della particella ed α e la costante di struttura fine. L’equa-
zione (3.2) integrata su di un intervallo definito di lunghezze d’onda (che do-
vra coincidere con l’intervallo di rivelazione del fotomoltiplicatore adottato)
e su di un percorso di lunghezza L fornisce il seguente risultato:
Nγ ≈ LN0 · sin2θC
= LN0 ·(
1− 1
β2n2
)(3.3)
il quale mostra che il numero di fotoni emesso (Nγ) e sostanzialmente pro-
porzionale alla lunghezza del cammino (L) nel mezzo ed al quadrato del seno
dell’angolo di emissione (θc).
Nell’ultima forma l’espressione chiarisce che il numero di fotoni Cherenkov
emessi da una particella carica aumenta sostanzialmente con l’aumentare del
valore di n del mezzo materiale che attraversa.
3.3.2 Le bacchette di quarzo
Dalle formule esposte nel paragrafo precedente risulta che l’unico modo
per elevare il numero di fotoni Cherenkov e quello di utilizzare un radiatore
otticamente denso. Dati i requisiti di facile reperibilita, facile lavorazione e
relativa economia un candidato ideale e il quarzo lavorato in sottili cilindri
che assicura un indice di rifrazione n = 1.46 invece del valore n = 1.00137
corrispondente al gas C4F10.
Un ulteriore vantaggio nell’utilizzo di bacchette di quarzo risiede nel fatto che
il salto di indice di rifrazione assicura il contenimento della luce Cherenkov
praticamente senza perdite.
Infatti quando la luce, viaggiando in un mezzo con indice di rifrazione n1,
incide su di una interfaccia con un mezzo di indice di rifrazione n2 (con
n1 > n2) con un angolo superiore all’angolo limite:
θlimite = asin
(n2
n1
)(3.4)
si ha il fenomeno della riflessione totale.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 57
Figura 3.4: Schema grafico di emissione del cono Cherenkov nella bacchetta peruna particella incidente in un punto generico della sezione.
Considerando il caso mostrato in Figura 3.4 di una bacchetta di quarzo posta
nel vuoto, l’angolo di incidenza θgenericoi per un fotone emesso in un punto
qualsiasi della bacchetta verifica:
θgenericoi > θestremo
i =π
2− θC ;
dunque:
sinθgenericoi > sin
(π
2− θC
)= cosθC =
1
βn1
=1
βn2
n2
n1
che tramite la (3.4) diventa:
sinθgenericoi >
1
βn2
sinθlimitei (3.5)
e da cui si ricava la condizione:
βn2 < 1 (3.6)
sempre soddisfatta assumendo il vuoto all’esterno della bacchetta.
La condizione (3.6) garantisce che, in condizioni ideali, tutta la luce Che-
renkov emessa nella bacchetta sia riflessa internamente poiche l’angolo di
58
h4Entries 57142Mean 341RMS 1.03e+03Underflow 0Overflow 33
Number of p.e./Tube/Event0 5 10 15 20
310×
En
trie
s / 2
00 p
.e.
10
210
310
410
510h4
Entries 57142Mean 341RMS 1.03e+03Underflow 0Overflow 33
All particles
Primaries (FRONT)
Secondaries (FRONT)
Secondaries (SIDE)
from Quartz Rod and PMTCh.
γ
Figura 3.5: Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodottinella bacchetta di quarzo.
incidenza dei fotoni sulle pareti della bacchetta risulta sempre maggiore di
quello limite.
La stessa situazione non si verifica utilizzando i tubi di alluminio che neces-
sitano una lavorazione accurata delle superfici raggiungendo una riflettivita
limite dell’ordine dell’80-90% con conseguente perdita di luce Cherenkov ad
ogni riflessione interna.
Dalle considerazioni precedenti emerge quindi che le bacchette di quarzo co-
stituiscono, rispetto al sistema tubo + gas, una alternativa complessivamente
piu efficiente per quanto riguarda il numero di fotoni Cherenkov prodotti dal
passaggio di una particella carica.
La conferma di questa affermazione arriva anche dalle simulazioni Monte
Carlo. Analizzando un arrangiamento nel quale il fotomoltiplicatore (la cui
efficienza quantica e stata assunta costante e pari al 20% indipendentemen-
te dallo spettro di lunghezze d’onda dei fotoni che incidono sul fotocatodo)
e accoppiato direttamente al rivelatore e quest’ultimo e irraggiato da una
radiazione di particelle cariche corrispondente sia a segnale che a fondo si
ottengono le seguenti distribuzioni del numero di fotoelettroni prodotti nel
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 59
Number of p.e./tube/event0 50 100 150 200
En
rtie
s / 1
p.e
.
10
210
310
410
510All particles
Primaries (FRONT)
Secondaries (FRONT)
Secondaries (SIDE)
from Gas and PMTCh.
γ
Figura 3.6: Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodottinel sistema tubo + gas.
caso di una bacchetta di lunghezza 30 cm (Fig. 3.5) e di un tubo riempito di
gas (C4F10) (Fig. 3.6) di lunghezza 1.5 m. Si osserva immediatamente che
le bacchette sono in grado di isolare meglio gli eventi di segnale (Primaries
FRONT) fornendo un picco meglio definito. Inoltre assai piu elevato risulta
il numero di fotoelettroni prodotti che e di circa 6000 contro i 65 del sistema
tubo + gas.
Sempre sul picco corrispondente alle bacchette si osserva un minor contribu-
to di fotoelettroni provenienti da radiazione secondaria (secondaries FRONT
e SIDE) che indica una maggiore sensibilita alla direzione della radiazione
incidente da parte delle bacchette.
3.3.3 Estrazione dei fotoni dalla bacchetta di quarzo
I fotoni prodotti per effetto Cherenkov all’interno del mezzo radiativo,
vengono trasportati sul fotocatodo dei fotomoltiplicatori (PMT) dove ha luo-
go la conversione in fotoelettroni di segnale.
I PMT, nella fase di alta luminosita prevista ad LHC, non garantistcono un
corretto funzionamento se posti in prossimita del rivelatore LUCID a causa
60
della elevata dose di radiazione (5-7 MRad/y) a cui sarebbero esposti.
Una possibile soluzione consiste nel collocare i fotomoltiplicatori in una zona
di sicurezza, lontano dalla linea del fascio. Il trasporto di fotoni sul fotoca-
todo dei PMT puo essere effettuato per mezzo di un fascio di fibre ottiche
che fungono da guide d’onda della luce Cherenkov.
Le fibre ottiche sono caratterizzate da un parametro chiamato apertura nu-
merica (N.A.) legato all’angolo massimo di incidenza dei fotoni propagabili
lungo la fibra:
N.A. = nsin(θmax) (3.7)
Nella configurazione attualmente prevista per il LUCID (fase 2), i fotoni
vengono raccolti da fasci di fibre ottiche poste parallelamente all’asse del tu-
bo. Per adattare la sezione circolare del tubo alle fibre viene interposto un
Winston-cone (vedi Par.2.5.1) che permette di focalizzare la luce prodotta
mantenendo elevata l’efficienza di raccolta. In questa geometria, l’ angolo di
emissione nel gas C4F10 (≈ 3◦) coincide approssimativamente con l’angolo di
incidenza dei fotoni sulle fibre ed e minore dell’angolo di accettanza massimo
tipico di una fibra (≈ 20◦).
Nel caso del rivelatore a bacchette, un semplice sistema di lettura costituito
da un fascio di fibre accoppiato direttamente alle bacchette non consentireb-
be l’estrazione del segnale. La luce prodotta dal passaggio di una particella
carica viene emessa nel quarzo ad un angolo di circa 45◦ (Eq. 3.1) che, essen-
do prossimo all’angolo limite, produce una condizione di riflessione interna
totale oppure trasmissione esterna radente alla superficie di separazione di
accoppiamento bacchetta-fibre. Di conseguenza, la luce Cherenkov non puo
essere propagata attraverso le fibre (θmax < 45◦). Il problema della lettura di
luce Cherenkov emessa in radiatori al quarzo viene comunemente affrontato
nel campo della fisica delle alte energie ricorrendo a mezzi diffondenti del
tipo ”wave lenght shifter” (WLS) che avendo una bassa efficienza di rive-
lazione intrinseca (dell’ordine del percento) vengono tipicamente impiegati
nelle lettura di segnali intensi. I WLS sono materiali che assorbono luce in
una caratteristica banda di lunghezze d’onda e la riemettono per fluorescen-
za a lunghezze d’onda superiori (”shifting”) in maniera isotropa. Sfruttando
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 61
Figura 3.7: Schema grafico del processo di estrazione dei fotoni dalla bacchetta.
questa proprieta si e pensato di estrarre i fotoni inserendo nella parte finale
dalla bacchetta un materiale di tipo WLS (Fig. 3.7) che permette di rivela-
re la frazione di fotoni emessi entro l’angolo solido di accettanza delle fibre
direttamante accoppiate allo scintillatore.
Il numero totale di fotoni rivelati (NDet) puo essere fattorizzato nei seguenti
termini:
NDet = NCh ⊗ εWLSabs ⊗ εWLS
emis ⊗ εPMT × εgeo (3.8)
dove NCh e il numero di fotoni Cherenkov emmessi in funzione della lunghez-
za d’onda (∝ ad 1/λ2), εWLSabs e l’efficienza di assorbimento del WLS, εWLS
emis
l’efficienza di riemissione del WLS, εPMT e l’efficienza quantica (Q.E.) del
fotomoltiplicatore (percentuale di fotoni incidenti sul fotocatodo che vengo-
no effettivamente convertiti in segnale), e εgeo e la frazione di fotoni diffusi
dal WLS e propagati dalle fibre ottiche. Le efficienze, tranne εgeo, dipendono
dalla lunghezza d’onda dei fotoni.
In Figura 3.8 vengono mostrati in funzione della lunghezza d’onda ed in scala
logaritmica di unita arbitrarie: lo spettro di emissione Cherenkov, lo spet-
tro di assorbimento ed emissione del WLS KURARAY Y11 e l’andamento
dell’efficienza quantica del PMT HAMAMATSU R762 fornito dalla casa co-
struttrice.
La scelta dei fotomoltiplicatori R762 - gia utilizzati per il LUCID - non ri-
sponde ad un criterio di ottimizzazione ma e stata effettuata per minimizzare
i tempi di realizzazione di un prototipo.
62
Wave Length (nm)
200 300 400 500 600 700
a. u
.
-310
-210
-110
1
10
210 2λCherenkov emission function 1/WLS Kuraray Y11 absorption spectrum
WLS Kuraray Y11 emission spectrum
PMT Hamamatsu R762 Q.E.
Figura 3.8: Andamento dello spettro di emissione Cherenkov, assieme alle pro-prieta ottiche dei materiali previsti (WLS Kuraray Y11 e PMT Hamamatsu R762)per il nuovo progetto di luminometro.
L’utilizzo del KURARAY Y11 e suggerito dalla sua elevata resistenza alla
radiazione come sara esposto nel seguito del capitolo (vedi Par.3.4.7) anche
se la forma del suo spettro di emissione caratteristico (valore massimo per
λ = 475 nm) non e interamente contenuto nell’intervallo (300-500 nm) dove
il PMT raggiunge la massima efficienza quantica (20-25%).
Le proprieta dei materiali considerati e la geometria del sistema conducono
ad un numero medio di fotoelettroni rivelati pari a:
NDet = 30000× 0.068× 0.85× 0.18× 0.03 ≈ 10p.e. (3.9)
Il valore di εWLSabs (0.068) rappresenta la frazione di fotoni assorbiti dal WLS
rispetto allo spettro Cherenkov emesso tra λ = 160 nm a λ = 700 (intervallo
di sensibilita del PMT), εWLSemis = 0.85 e il valore tipico di efficienza di conver-
sione dei WLS, mentre εPMT e il valore medio della Q.E. del PMT.
La stima di εgeo e stata effettuata in prima approssimazione come rappor-
to tra la superficie individuata dall’angolo solido di accettanza delle fibre
(≈ 20◦) e la superficie della sfera di raggio unitario. Si ottiene in questo
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 63
modo un valore di εgeo dell’ordine del 3%.
Il numero di fotoelettroni prodotti nel quarzo (NCh) e stato ricavato dalla
simulazione Monte Carlo descritta al Paragrafo 3.3.3. Il segnale mostra-
to in Figura 3.5 corrisponde a 6000 fotoelettroni rivelati e quindi a 30000
(6000/< Q.E. >) fotoni generati (NCh) in 30 cm di quarzo.
La relazione (3.9) mostra come le principali perdite di efficienza siano dovute
al taglio dello spettro Cherenkov effettuato dal WLS e alla limitata accet-
tanza geometrica delle fibre ottiche.
Tuttavia, senza alcuna procedura di ottimizzazione, risulta gia apprezzabile
che il numero di fotoelettroni atteso sia paragonabile a quello ottenuto dal
LUCID in fase 2.
La valutazione dei fattori di efficienza e stata completata tramite lo stu-
dio dell’effetto della radiazione presente in ambiente ATLAS sulle proprieta
ottiche dei materiali che compongono il nuovo luminometro.
3.4 La resistenza alla radiazione dei materiali
L’elevata radiazione attesa nella regione occupata dal luminometro (vedi
Par.3.2) soprattutto nella fase 2 di attivita del collisionatore LHC rende lo
studio della resistenza alla radiazione dei materiali una parte cruciale dell’in-
tero progetto.
Questo aspetto assume ancora maggiore rilevanza se si pensa che non sara
possibile intervenire sui rivelatori dopo averne effettuata l’installazione, per
cui il deterioramento di una sua parte potrebbe pregiudicarne le prestazioni
su tutto l’arco della presa dati. Il progetto del luminometro che si sta discu-
tendo prevede che i materiali esposti alla radiazione saranno essenzialmente
due:
• le bacchette di quarzo
• il ”wave lenght shifter” (WLS)
Di questi materiali e necessario studiare i parametri fisici che sono diretta-
mente correlati alla funzione che svolgono all’interno del rivelatore.
64
Figura 3.9: Foto del campione sperimentale irraggiato.
In particolare nel caso delle bacchette si dovranno valutare l’indice di rifra-
zione ed il coefficiente di trasmissione che evidentemente regolano la pro-
pagazione della luce Cherenkov e dunque l’ottica dell’intero sistema mentre
nel caso del WLS si dovra soprattutto valutare la frazione di luce emessa in
funzione di quella assorbita.
Per quanto riguarda il WLS e stato possibile affidarsi ad uno studio preceden-
te condotto all’interno del progetto del ”Tile calorimeter” dell’esperimento
ATLAS che viene qui riportato (vedi Par.3.4.7) [22], mentre lo studio della
radiazione sull’indice di rifrazione e sul coefficiente di trasmissione e stato
ideato e realizzato all’interno del presente progetto e costituisce la parte cen-
trale della tesi.
In generale, gli studi di resistenza alla radiazione dei materiali, si basano
sui test di irraggiamento con γ dai quali vengono poi ricavati risultati sui
neutroni tramite la conversione flusso-dose assorbita. Nel caso di materiali
ottici, e per il quarzo in particolare, sono presenti numerosi studi degli effetti
sulle proprieta ottiche dovuti all’irraggiamento da γ [14]. Si e quindi data la
priorita allo studio degli effetti sul quarzo dovuti alla componente adronica
(tra cui la parte dominante e rappresentata dai neutroni come mostrato in
Tab. 3.1) della radiazione presente in ambiente ATLAS in prossimita del
luminometro LUCID.
Per ottenere dati che possono essere direttamente correlati al rivelatore si e
deciso di sottoporre ad irraggiamento segmenti delle stesse bacchette di quar-
zo che saranno utilizzate nella sua costruzione (cilindri di 6 mm di diametro
e 9 cm di lunghezza come mostrato in Fig. 3.9).
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 65
Inoltre, dato che sono reperibili in commercio differenti tipi di quarzo si e
deciso di sottoporre ad irraggiamento almeno due di queste varieta identi-
ficate nel prosieguo con il nome della ditta costruttrice: Hera da Heraeus
ed Ital da Italquarz. Entrambe le ditte sono in grado di lavorare il quarzo
in forma di sottili cilindri, estraendolo da sabbie miste tramite processi di
fusione elettrica allo scopo di ottenere un elevato grado finale di purezza di
SiO2 riducendo al massimo la presenza di ioni OH che causano degrado del
materiale e una perdita di efficienza nella trasmissione della luce.
Le schede tecniche delle due ditte costruttrici hanno permesso di valutare
con cura il materiale piu idoneo per lo studio effettuato in questa tesi; in-
fatti necessitando la massima trasmissione nella regione visibile dello spettro
elettromagnetico, un elevato valore dell’indice di rifrazione e di purezza del
materiale sono stati acquistati campioni di quarzo SUPRASIL 1 dalla ditta
Heraeus [15] ed NH1-1100 dalla ditta Italquarz [16], in quanto corrispondenti
a tali esigenze. Vale la pena sottolineare che le ditte costruttrici garantisco-
no inoltre una resistenza alla radiazione da γ per una dose totale di 6 MRad
(pari ad un anno in ambiente LUCID nella fase 2 di LHC).
Le misure, come verra commentato in maggior dettaglio nel seguito, sono
basate sul confronto diretto di due bacchette identiche ricavate tagliando i
segmenti di quarzo da un unico campione sperimentale prodotto da ciascuna
ditta.
Definendo A e B due campioni identici di materiale (due segmenti di bacchet-
ta di quarzo ad esempio) l’idea e quella di misurare prima dell’irraggiamento
il valore di un certo parametro di riferimento (ad esempio l’indice di rifrazio-
ne) per entrambi i campioni ottenendo i valori PA e PB.
Una volta sottoposto ad irraggiamento uno solo dei campioni (il campione B
ad esempio) si deve poi ripetere la misura dello stesso parametro ottenendo i
valori P’A e P’B. Il confronto tra PB con P’B e PA con P’A fornisce una stima
quantitativa dell’effetto dell’irraggiamento indipendente da effetti sistematici
dovuti a misure effettuate in tempi diversi.
66
Figura 3.10: Spettro energetico del reattore Tapiro in scala lineare (a sinistra)ed in scala logaritmica (a destra).
3.4.1 La facility d’irraggiamento
Sulla base delle stime dei flussi di neutroni attesi nel volume occupato
dal LUCID e delle simulazioni Monte Carlo (Par.3.2), si e scelto di utilizzare
il reattore nucleare TAPIRO dei laboratori ENEA presso Casaccia (RM)
il quale fornisce neutroni veloci con una distribuzione in energia piccata al
valore del MeV che simula correttamente le condizioni di lavoro di LUCID
in ambiante ATLAS.
Il nocciolo del reattore di forma cilindrica di 12 cm di diametro e 15 cm
di altezza, e costituito da 22 kg di U235 in grado di fornire un flusso di
neutroni dell’ordine di 9× 1011n·cm−2s−1 a 2 cm di distanza. In Figura 3.10
e mostrato lo spettro energetico del reattore Tapiro dell’Enea di Casaccia
nella scala lineare (a sinistra) e logaritmica (a destra). Si nota che lo spettro
e di tipo esponenziale.
Il materiale e stato irraggiato per una durata complessiva di 1.5 h, sottoposto
cioe ad un flusso totale di 5 × 1014n·cm−2, corrispondonte a quello che si
avrebbe in prossimita di LUCID per 1 anno di funzionamento di LHC a
piena luminosita.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 67
Figura 3.11: Immagine del binario a T del banco ottico THORLABS dellaboratorio di Bologna.
3.4.2 Il banco ottico
Le misure sull’alterazione delle proprieta ottiche dei materiali irradiati
con neutroni che saranno presentate nel seguito sono state tutte eseguite nel
laboratorio del gruppo AtlasLumi presso la sezione di Bologna dell’INFN at-
trezzato di recente con un banco ottico.
Il banco (Fig. 3.11) e costituito da binari in alluminio disposti in piano che
possono essere montati in diverse configurazioni e sui quali e possibile a sua
volta disporre in vario modo la strumentazione ottica.
Oltre a Laser di bassa potenza (5 mW) a stato solido (λ=405 nm, λ=635
nm) ed ad elio-neon (λ=543 nm) e disponibile anche una lampada allo Xenon
da 180 W che attraverso un monocromatore puo fornire luce incoerente di
bassa intensita da λ=200 nm a λ=800 nm.
La strumentazione e convenzionale e consiste in fenditure regolabili, diafram-
mi, lenti, vetri assorbitori, prismi, specchi e divisori. Oltre a questa vi e una
meccanica per il montaggio su banco dell’ottica completa anche di movimen-
tazioni micrometriche.
E stata inoltre prevista la possibilita di studiare su banco anche le fibre ot-
68
tiche per questo l’attrezzatura e completata con meccanica di supporto ed
ottica adatta alla immissione di luce laser nelle fibre ottiche.
Infine e disponibile un misuratore di intensita luminosa con fotodiodo al sili-
cio di 10 mm di diametro in grado di misurare luce nell’intervallo di lunghezza
d’onda λ=400-1100 nm con una sensibilita di un nW ed una macchina foto-
grafica digitale CANON da 8.1 MegaPixel che unitamente ad un programma
di elaborazione delle immagini permette di compiere misure di ottica geome-
trica di elevata precisione.
I setup sperimentali realizzati per le misure di resistenza alla radiazione sono
descritti in dettaglio in seguito nelle relative sezioni.
3.4.3 La misura dell’indice di rifrazione del quarzo
Come illustrato in precedenza, l’indice di rifrazione e il parametro ottico
che determina il numero di fotoni emessi per effetto Cherenkov e governa la
propagazione della luce all’interno della bacchetta, per cui lo studio della sua
eventuale alterazione, in seguito alla radiazione assorbita deve essere consi-
derato di primaria importanza per valutare la stabilita nel tempo del nuovo
luminometro.
L’indice di rifrazione n e una proprieta caratteristica di ogni mezzo ma-
teriale definita come il rapporto tra la velocita di propagazione dell’onda
elettromagnetica nel vuoto c e quella nel mezzo v:
n =c
v. (3.10)
I metodi per la misura dell’indice di rifrazione dipendono in modo critico dal-
la forma geometrica del campione a disposizione (film sottili: rifrattometro
di Abbe; film molto sottili: metodi interferometrici).
Nel nostro caso nel quale i campioni hanno una geometria cilindrica (Fig.
3.9) la tecnica di misura e suggerita dalla possibilita di amplificare gli effet-
ti della legge di Snell sfruttando la sezione circolare del campione che una
volta investito da un fronte d’onda sufficientemente esteso ed energicamente
uniforme da luogo ad un fenomeno ottico di particolare intersse noto con il
nome di caustica.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 69
Principio della misura
La caustica [18] [19], e definita come il luogo dei punti in cui l’intensita
dei raggi luminosi riflessi o rifratti da una superficie curva e massima.
Figura 3.12: Addensamento dei raggi riflessi e rifratti da una superficie curvaper raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto h/R.
Lo studio fisico della formazione della caustica puo essere affrontato in modo
del tutto generale dal punto di vista dell’ottica ondulatoria tuttavia nel no-
stro caso risulta appropriata anche una trattazione basata sulla sola ottica
geometrica.
In Figura 3.12 e mostrato schematicamente il processo di formazione della
caustica per raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto
h/R. Gia qualitativamente ci si rende conto che la luce emergente risulta ad-
densata a certi angoli anche se il fronte incidente risulta essere perfettamente
omogeneo.
Il calcolo, riportato dettagliatamente in Appendice A, mostra che l’angolo
θout a cui emerge la prima caustica dipende solamente dal rapporto tra l’in-
dice di rifrazione del mezzo (n2) e quello dell’aria (n1). Pertanto la misura
di θout permette di ricavare l’indice di rifrazione del mezzo relativamente a
quello dell’aria.
70
n2/n11.2 1.25 1.3 1.35 1.4 1.45 1.5 1.55 1.6
(deg
rees
)o
ut
θ
20
30
40
50
60
Caustic Angle Function
(n2/n1)outθ
Figura 3.13: Andamento dell’angolo θout in funzione del rapporto n2/n1 tra gliindici di rifrazione.
La formula cercata risulta essere (Fig. 3.13):
θout =
4arcsin
n1
n2
1
3
√12− 3
(n2
n1
)2
− 2arcsin
1
3
√12− 3
(n2
n1
)2
360
2π(3.11)
ed una volta invertita attraverso una opportuna tabulazione puo essere uti-
lizzata per ottenere il rapporto degli indici di rifrazione a partire dal valore
misurato dell’angolo θout di emergenza della caustica.
Setup sperimentale e tecnica di misura
Le misure dell’indice di rifrazione sono state effettuate su banco ottico
tramite l’utilizzo di una lampada allo Xenon che permette di variare la lun-
ghezza d’onda della luce incidente in maniera continua nell’intervallo da 300
a 660 nm nel quale sono stati considerati 14 diversi valori distanziati di circa
25 nm.
Oltre alla lampada allo Xenon, il setup sperimentale comprendeva due dia-
frammi con foro di 4 mm di diametro posti alla distanza di 32 cm seguiti da
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 71
Figura 3.14: Schema grafico del setup sperimentale utilizzato nelle misure diindice di rifrazione.
una lente di 75 cm di focale per minimizzare la divergenza dei raggi luminosi.
Il parallelismo del fascio incidente con l’asse ottico e stato sempre controllato
per mezzo di diaframmi con foro di 1 mm di diametro posti alla stessa altezza
e distanziati 150 cm.
Una volta disposta trasversalmente al fascio luminoso la bacchetta genera una
caustica che puo essere proiettata e fotografata su di uno schermo orizzonta-
le appoggiato sul binario ottico (Fig. 3.14). Per poter applicare l’equazione
(3.11) si deve misurare con la massima precisione la quota del centro della
bacchetta ripsetto al piano dello schermo e la distanza del piede della per-
pendicolare allo schermo condotta dal centro della bacchetta dal massimo di
intensita della caustica, ricavando poi θout per via trigonometrica.
L’uso di diaframmi e lenti focalizzanti necessari per assicurare una precisa
direzione della luce incidente, ne abbatte notevolmente l’intensita ed impone
che le misure vengano effettuate al buio fotografando la caustica con lunghi
tempi di esposizione (Fig. 3.15).
Dalla fotografia e possibile ricavare l’esatta posizione del massimo utilizzan-
do il programma ImageJ di elaborazione delle immagini che, selezionando
72
Figura 3.15: Foto della caustica generata da luce incidente di 635 nm (sinistra),543 nm foto (destra).
un’area della foto, e in grado di fornire il valore dell’intensita luminosa inte-
grata raccolta da ogni singolo pixel della superficie sensibile della macchina
fotografica.
La distanza in pixel del massimo di intensita luminosa della caustica puo
essere poi convertita in millimetri attraverso il confronto con la distanza fissa
misurata con calibro di opportuni segni sullo schermo presenti in ogni foto-
grafia e corrispondenti a due minimi di intensita.
In Figura 3.16 e mostrato il plot fornito dal programma ImageJ dove sono
visibili il massimo di intensita corrispondente alla caustica ed i minimi che
permettono la conversione della distanza da pixel a millimetri.
Per la misura finale si procede quindi in due passi successivi. Viene indicato
un valore di off-set L1 corrispondente alla distanza tra la proiezione del centro
della bacchetta sul piano ottico ed il minimo di intensita plottato program-
ma ImageJ e fissato per la conversione in mm. A questo valore va sommato
quello di L2 (vedi Figura 3.14) fornito dal programma corrispondente alla
posizione del massimo di intensita che individua la caustica. Si ottiene cosı
L1 + L2 = Ltot che permette di ricavare θout trigonometricamente tramite la
relazione:
θout = arctg(h/Ltot). (3.12)
Il valore di θout si traduce nella misura di n2/n1 utilizzando la tabulazione
dell’inversa della relazione (3.11).
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 73
Pixel Number0 500 1000 1500 2000 2500
Inte
nsi
ty (
a.u
.)
10
20
30
40
50Maximum and Minimums of Luminosity Intensity
Figura 3.16: Plot dei valori di intensita integrata per pixel. Sono evidenti ilmassimo relativo alla caustica ed i minimi di intensita fissati per la conversione incm.
In realta la distanza Ltot deve essere corretta stimando un errore sistematico
associato al fatto che i raggi luminosi escono dalla bacchetta in un punto che
non coincide con l’estremo inferiore del diametro verticale (Fig. 3.17).
Questo spostamento L3 dipende dalla lunghezza d’onda della luce incidente e
va sottratto agli altri due valori L1 ed L2. Percio il valore corretto da inserire
nell’equazione (3.12) ha la forma seguente:
Ltot = L1 + L2 − L3. (3.13)
Il sistematico L3 viene calcolato andando a considerare gli angoli interni di
Figura 3.18 ricavando il valore di θsist ed applicando la relazione trigonome-
trica:
L3 = Rcos(θsist), (3.14)
dove R e il valore del raggio della bacchetta (0.3 cm) e
θsist = 2π − (θi + 2(π − 2θr)) (3.15)
Analizzando invece il sistematico su h (Fig. 3.17), quest’ultimo risulta tra-
74
Figura 3.17: Schema grafico degli errori sistematici associati alla misuradell’indice di rifrazione.
Figura 3.18: Angoli in gioco per la stima dell’errore sistematico L3.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 75
scurabile in quanto introduce variazioni dh che non superano il valore di 0.15
mm e che portano ad una variazione dell’ordine di 10−3 gradi sull’angolo θout.
Questa variazione e di gran lunga minore dell’errore sperimentale associato
alla misura.
L’errore sperimentale e principalmente dovuto al non parallelismo dei raggi
luminosi provenienti dalla lampada allo Xenon e lo si e stimato valutando la
dimensione dello spot in due punti diversi del banco ottico a distanza nota.
Nelle misure effettuate, il diametro dello spot passava da d1=6.84 mm a
d2=11.18 mm lungo una distanza D=1171 mm che per mezzo dell’equazione:
∆θout =180
πarctg
(d2 − d1
2D
)= 10−1 (3.16)
fornisce l’angolo (in gradi) di disallineamento verticale del fascio. Questo
angolo si traduce direttamente nell’errore associabile alla misura di θout.
Utilizzando la tabulazione del valore di n2/n1 in funzione di θout si ottiene
che a 10−1 gradi equivale un errore in ∆n pari a 10−3 sulla misura dell’indice
di rifrazione. Il valore ∆n = 10−3 e stato assunto come incertezza associata
alla misura di n2/n1.
3.4.4 Risultati sperimentali
In questa sezione vengono confrontati risultati dell’andamento di n2/n1
del quarzo prima e dopo l’irraggiamento con neutroni veloci. In quel che
segue vengono indicati con la sigla Ital3 ed Hera3 i campioni sottoposti ad
irraggiamento, e con Ital1 ed Hera1 i campioni non irraggiati.
Una prima misura sulle bacchette, a verifica della validita del metodo di misu-
ra, consiste nel confronto (Fig. 3.19 e 3.20) dei valori dell’indice di rifrazione
ottenuti in laboratorio con quelli forniti dalle ditte costruttrici (∆n = 10−5).
Mentre per le bacchette Ital1/Ital3 le misure risultano compatibili entro gli
errori sperimentali (Fig. 3.19), si osservano invece deviazioni nel caso delle
bacchette Hera1/Hera3 (Fig. 3.20).
Un esame del campione mostra che tale deviazione e probabilmente dovuta
alla non perfetta circolarita della sua sezione. Un effetto sistematico do-
vuto alla geometria non ha alcuna influenza sulle misure qualora si abbia
76
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
n2/
n1
1.455
1.46
1.465
1.47
1.475
1.48
1.485
1.49
ITAL1
ITAL3
ITAL Technical Schedule
Figura 3.19: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezzad’onda della luce incidente per le bacchette Ital1 ed Ital3 con i valori della schedatecnica forniti dalla ditta costruttrice.
l’accortezza di orientare i campioni cilindrici nello stesso modo ogni volta si
effettuino le misure.
L’effetto riscontrato non vanifica, quindi anche nel caso delle bacchette He-
ra1/Hera3, lo scopo di poter individuare variazioni sostanziali dovute al-
l’irraggiamento, in quanto le misure risultano perfettamente riproducibili a
parita di condizioni sperimentali e se la geometria del campione rimane inal-
terata.
Le condizioni di riproducibilita delle misure sono confermate dal confronto
dell’andamento dell’indice di rifrazione delle bacchette di controllo Ital1 e
Hera1 (Figg. 3.21 e 3.22) non irraggiate. I vaolori di n2/n1, nei due diversi
setup sperimentali allestiti per le misure prima e dopo irraggiamento risulta-
no infatti perfattamente compatibili.
Di seguito, le Figure 3.23 e 3.24 mostrano rispettivamente il confronto dei
valori dell’andamento dell’indice di rifrazione delle bacchette Ital3 ed Hera3
prima e dopo il loro irraggiamento.
Infine, i grafici in Figura 3.25 e Figura 3.26 riportano, per ogni coppia di
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 77
campione sperimentale delle due ditte costruttrici (Ital3 ed Ital1) (Hera3 ed
Hera1), i valori dei rapporti tra le misure effettuate nei due setup sperimen-
tali allestiti.
I grafici riportati mostrano come sulle bacchette di quarzo non si osservano
variazioni sostanziali del valore dell’indice di rifrazione, che entro gli errori
sperimentali non risulta essere un parametro sensibile all’irraggiamento da
neutroni.
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
n2/
n1
1.455
1.46
1.465
1.47
1.475
1.48
1.485 HERA1
HERA3
HERA Technical Schedule
Figura 3.20: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezzad’onda della luce incidente per la bacchetta Hera1 ed Hera3 con i valori dellascheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice.
78
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
n2/
n1
1.455
1.46
1.465
1.47
1.475
1.48
1.485
1.49
ITAL1 first setup
ITAL1 second setup
Figura 3.21: Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchettaItal1 non irraggiata nei due setup sperimentali.
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
n2/
n1
1.455
1.46
1.465
1.47
1.475
1.48
1.485
HERA1 first setup
HERA1 second setup
Figura 3.22: Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchettaHera1 non irraggiata nei due setup sperimentali.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 79
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
n2/
n1
1.455
1.46
1.465
1.47
1.475
1.48
1.485
1.49
ITAL3
ITAL3 IRRADIATED
Figura 3.23: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezzad’onda della luce incidente per la bacchetta Ital3 prima e dopo l’irraggiamentocon neutroni.
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
n2/
n1
1.455
1.46
1.465
1.47
1.475
1.48
1.485
HERA3
HERA3 IRRADIATED
Figura 3.24: Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezzad’onda della luce incidente per la bacchetta Hera3 prima e dopo l’irraggiamentocon neutroni.
80
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
Ref
ract
ive
Ind
ex R
atio
0.992
0.994
0.996
0.998
1
1.002
ITAL3
ITAL1
Refractive Index Ratio for Irradiated Ital3 and not Irradiated Ital1
Figura 3.25: Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setupsperimentali per la bacchetta Ital3 irraggiata e quelli misurati per la bacchetta Ital1di controllo.
Wave length (nm)250 300 350 400 450 500 550 600 650 700
Ref
ract
ive
Ind
ex R
atio
0.992
0.994
0.996
0.998
1
1.002
HERA3
HERA1
Refractive Index Ratio for Irradiated Hera3 and not Irradiated Hera1
Figura 3.26: Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setupsperimentali per la bacchetta Hera3 irraggiata e quelli misurati per la bacchettaHera1 di controllo.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 81
3.4.5 La misura del coefficiente di trasmissione del quar-zo
Il secondo parametro ottico che richiede un accurato controllo per valu-
tare l’efficienza del nuovo luminometro e il coefficiente di trasmissione delle
bacchette di quarzo. Questo non deve subire alterazioni dall’irraggiamento
e mantenersi il piu elevato possibile, in modo da garantire che i fotoni pro-
dotti per effetto Cherenkov non vengano riassorbiti dal mezzo stesso prima
di raggiungere il sistema di estrazione e di rivelazione.
Da un punto di vista teorico, la trasmissione (T ) e la riflessione (R) sul-
le interfacce di due mezzi sono regolate dalle relazioni di Fresnel, esposte
in dettaglio in Appendice B. Queste stabiliscono la percentuale di energia
che viene ripartita tra la componente riflessa e quella trasmessa di un’onda
elettromagnetica che incide sulla superficie di separezione tra due mezzi di
diverso indice di rifrazione. La sola misura di T in laboratorio risulta com-
plessa in quanto richiderebbe un taglio sottile del campione e sarebbe poco
utile agli scopi prefissi poiche trascurerebbe l’attenuazione della luce dovuta
al mezzo stesso, quando e proprio l’effetto dell’irraggiamento sull’assorbimen-
to del quarzo che si vuole controllare.
Una stima diretta dell’assorbimento delle baccette non e pero possibile, poi-
che richiede che la luce trasmessa venga misurata all’interno del campione
sperimentale (valori P1 e P2 di Fig. 3.27).
Quello che si e quindi misurato e la potenza incidente (P1m) normalmente
Figura 3.27: Schema grafico della tecnica di misura del coefficiente ditrasmissione. Sono indicati i diversi contributi alla potenza trasmessa P2m.
82
sulla prima faccia e quella trasmessa esternamente alla seconda (P2m) dal-
l’altra parte della bacchetta (Fig. 3.27).
Il valore di P2m misurato corrisponde alla potenza incidente P1m trasmessa
dalle due interfacce ed attenuata dal mezzo secondo la legge:
P (d) = P0e− d
λ (3.17)
dove (P0) e la potenza iniziale d la distanza percorsa nel mezzo e λ il coeffi-
ciente di attenuazione tipico del materiale.
Bisogna inoltre considerare in linea teorica anche il contributo dovuto alle
infinite riflessioni interne alla bacchetta, dunque l’espressione finale di P2m
all’ordine N risulta:
P2m = P1mT1e− d
λ T2 + P1mT1e− d
λ (R2e− d
λ R1e− d
λ )T2 +
... +P1mT1e− d
λ (R2e− d
λ R1e− d
λ )NT2
≈ P1mT1e− d
λ T2 (3.18)
dove l’ultimo passaggio si scrive in quanto il contributo del termine di secon-
do ordine risulta di un fattore 10−3 rispetto al primo. I pedici 1 e 2 sono
relativi alle due superfici di separazione.
Il rapporto P2m/P1m fornisce l’effettiva trasmissione della luce all’interno del-
le bacchette di quarzo includendone il comportamento sulle interfacce e la
propagazione nel mezzo ed e stato questo rapporto il parametro controllato
prima e dopo l’irraggiamento delle bacchette.
Per ottenere indicazioni immediate sulla lavorazione delle superfici dei cam-
pioni disponibili, e possibile confrontare la misura diretta del coefficiente
di riflessione delle bacchette con i valori teorici previsti dalla relazione di
Fresnel. Per angoli di incidenza piccoli (minori di circa 20◦) il valore di R
tende a quello per incidenza normale come mostrato in Figura B.5 esposta in
Appendice B. In questa situazione, il calcolo del valore teorico risulta sem-
plice in quanto funzione del solo indice di rifrazione dei mezzi come espresso
dall’equazione:
R =(n1 − n2)
2
(n1 + n2)2(3.19)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 83
Figura 3.28: Foto del setup sperimentale delle misure di coefficiente ditrasmissione. Sono indicate in rosso le specifiche componenti.
con nel caso specifico n1 indice di rifrazione dell’aria e n2 quello del quarzo. Il
controllo sulle superfici e stato effettuato con misure in riflessione ad angolo
θ = 12◦.
Setup sperimentale
Le misure in trasmissione e riflessione sono state effettuate su banco ot-
tico investendo la sezione circolare delle bacchette di quarzo con un fascio
uniforme.
Il setup sperimentale mostrato in Figura 3.28 comprendeva l’utilizzo di tre
laser che fornivano luce alle lunghezze d’onda di 635 nm, 543 nm e 405 nm
in modo da esplorare tre punti dello spettro visibile.
Lo spot puntiforme veniva esteso e reso uniforme utilizzando due lenti con-
secutive di lunghezze focali 25 mm e 500 mm poste alla distanza di 525 mm
pari alla somma dei fuochi. Infine il fascio veniva diaframmato per regolare la
sezione incidente a quella della bacchetta (diametro = 6 mm). Il parallelismo
del fascio all’asse ottico e stato sempre controllato tramite traguardi forati
del diametro di 1 mm posti alla distanza di 1.5 m.
Le misure della potenza del fascio laser sono state effettuate tramite il misu-
84
ratore THORLABS PM100 con sensibilita dell’ordine del nw. Questo stru-
mento e interfacciato graficamente con un pc ed e dotato di un programma
che fornisce i valori della media e della deviazione standard dalla media per
un numero N di misure in un intervallo di tempo ∆t settati a piacimento.
Tutti i valori delle misure riportate e graficate relative a questa sezione sono
state effettuate mediando 10 misure consecutive con un intervallo di 0.5 s
l’una dall’altra. Questo sistema di acquisizione permette di minimizzare gli
errori sperimentali dovuti alle oscillazioni di potenza a cui sono soggetti i
laser.
Una ulteriore possibile fonte di errori sulle misure e dovuta al fondo di luce
presente nell’ambiente sperimentale. Per ovviare a questo problema il labo-
ratorio di misura e stato perfettamente oscurato tramite pannelli assorbenti,
verificando inoltre ad ogni acquisizione che il fondo fosse nullo ovvero che in
assenza di luce incidente il misuratore segnasse il valore di 0 nW.
3.4.6 Risultati sperimentali
In questa sezione vengono riportati i valori delle misure effettuate in ri-
flessione e trasmissione commentando i risultati ottenuti.
In ogni plot sono presenti due valori per ogni misura alle diverse lunghezze
d’onda dei tre laser per un totale di sei punti sperimentali. Ciascun valore
corrisponde ad una delle due facce (1 e 2) di ogni bacchetta scelta in modo
alterno come sezione incidente.
Si ricorda inoltre l’indicizzazione assunta in precedenza: Ital3 ed Hera3 sono
i campioni irraggiati; Ital1 ed Hera1 sono i campioni di controllo dei setup
sperimentali.
Risultati delle misure del coefficiente di riflessione
Nelle Figure 3.29 e 3.30 vengono presentati i valori del coefficiente di ri-
flessione indicato in ordinata come il rapporto P.rif/P.inc, tra la potenza
riflessa e quella incidente, misurati sulle bacchette Ital3 ed Hera3 prima che
venissero irraggiate. I risultati vengono confrontati con i valori di Fresnel teo-
rici calcolati applicando la relazione (3.19) dove n1 = 1 e assunto come valore
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 85
Incident Face 1 & 2
P.r
if/P
.inc
(%)
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
red laser 635 nm green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Fresnel coefficients
Ital3 Reflected Power
Figura 3.29: Confronto, per la bacchetta Ital3, tra i valori del coefficientedi riflessione P.rif/P.inc misurati ad un angolo di 12◦ ed i valori di Fresnelteorici.
costante per l’aria mentre per il quarzo il valore di n2 e quello corrispondente
alle tre lunghezze d’onda misurate e fornito dalla casa costruttrice. Come si
nota dai due plot, la bacchetta Ital3 (Fig. 3.29) mostra un comportamento
in buon accordo con le relazioni di Fresnel mentre si hanno forti deviazioni
dai valori teorici per la bacchetta Hera3 (Fig. 3.30). Queste deviazioni sono
dovute alla luce diffusa ad angoli grandi che non rientra nell’accettanza del
misuratore e sono un indice della lavorazione delle superfici da parte delle
ditte produttrici.
In base ai risultati ottenuti per il valore di R ci si attende una maggiore
percentuale di luce trasmessa delle bacchette Ital, poiche anche il coefficiente
T risente della lavorazione sulle superfici di transizione.
Risultati delle misure del coefficiente di trasmissione
Nei plot seguenti vengono presentate le misure del rapporto P.tras/P.inc
dove P.inc e la potenza incidente sulla prima sezione della bacchetta e P.tras
e quella trasmessa esternamente alla seconda. La misura e stata effettuata
86
Incident Face 1&2
P.r
if/P
.inc
(%)
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
red laser 635 nm green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Fresnel coefficients
Hera3 Reflected Power
Figura 3.30: Confronto, per la bacchetta Hera3, tra i valori del coefficientedi riflessione P.rif/P.inc misurati ad un angolo incidente di 12◦ ed i valoridi Fresnel teorici.
sui campioni Ital3 ed Hera3 sottoposti ad irraggiamento e sulle bacchette
Ital1 ed Hera1 di controllo non irraggiate.
Contrariamente a quanto precedentemente visto per l’indice di rifrazione, le
Figure 3.31 e 3.32 mostrano un effetto notevole dovuto all’irraggiamento da
neutroni in entrambe le bacchette irraggiate.
In particolare alla lunghezza d’onda di 405 nm per la bacchetta Ital3 (Fig.
3.31) la potenza trasmessa scende da circa il 92% a circa il 70% in seguito
all’iirraggiamento. Stessa cosa accade per la bacchetta Hera3 (Fig. 3.32) do-
ve si ha una diminuzione di trasmissione ancora maggiore, in cui dall’85-90
% si passa a valori compresi tra il 55-60% post irraggiamento.
L’effetto non si osserva invece sulle bacchette di controllo Ital1 (Fig. 3.33)
ed Hera1 (Fig. 3.34) i cui valori misurati nei due setup sperimentali sono so-
stanzialmente gli stessi entro qualche percento. Questo permette di accertare
che la variazione osservata nei campioni irraggiati e dovuta esclusivamente
all’effetto del flusso di neutroni a cui sono stati sottoposti e non a differenti
condizioni sperimentali di misura prima e dopo l’irraggiamento.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 87
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Ital3 Transmicted Power before irradiation
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Ital3 Transmicted Power after irradiation
Figura 3.31: Confronto dei valori del rapporto P.tras/P.inc per la bacchettaItal3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento.
88
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Hera3 Transmicted Power before irradiation
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Hera3 Transmicted Power after irradiation
Figura 3.32: Confronto dei valori del rapporto P.tras./P.inc. per la bacchettaHera3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 89
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Ital1 Transmicted Power first setup
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Ital1 Transmicted Power second setup
Figura 3.33: Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchettadi controllo Ital1 nei due setup sperimentali.
90
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Hera1 Transmicted Power first setup
Incident Face 1 & 2
P.t
ras/
P.in
c (%
)
55
60
65
70
75
80
85
90
95
100
red laser 635 nm
green laser 543 nm
blue laser 405 nm
Hera1 Transmicted Power second setup
Figura 3.34: Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchettadi controllo Hera1 nei due setup sperimentali.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 91
3.4.7 Resistenza alla radiazione del WLS Kuraray Y11
Nel progetto proposto per il nuovo luminometro, il processo di estrazione
dei fotoni dalla bacchetta di quarzo e reso possibile grazie all’utilizzo di un
mezzo di tipo wave lenght shifter (WLS) (Par.3.3.3). La scelta di materiali
idonei a svolgere questo compito deve essere valutata con cura e, coeren-
temente a quanto gia misurato direttamente sul quarzo, la resistenza alla
radiazione del WLS risulta cruciale per garantire una efficienza prolungata
nel tempo dell’intero dispositivo.
Gli studi qui riportati sul comportamento di differenti WLS sono stati ef-
fettuati per i test di resistenza alla radiazione del ”Tile Calorimeter” dell’e-
sperimento ATLAS [22] dove vengono mostrati i valori della frazione di luce
emessa per quanto riguarda diversi tipi di fibre WLS (tra cui il KURARAY
Y11) testate prima e dopo l’irraggiamento con γ da 60Co e con γ + neutroni
forniti da un reattore nucleare.
Irraggiamento con sorgenti di 60Co
La procedura di irraggiamento prevedeva tre differenti zone, ottenute tra-
mite schermaggio con piombo, con i seguenti tassi di radiazione forniti dalla
facility:
• A con una dose oraria pari a 40 Gy/h;
• B con una dose oraria pari a 11 Gy/h;
• C con una dose oraria pari a 5.5 Gy/h;
Le fibre testate, di lunghezza totale pari a 2 m, sono state irraggiate con una
dose trascurabile nei primi 50 cm (quelli in prossimita del fotorivelatore) ed
una dose media totale di 1.4 KGy nei restanti 150 cm per tutte e tre le rispet-
tive dosi orarie (A, B e C). Prima e dopo l’irraggiamento e stata misurata la
frazione di luce emessa alle divrse distanze percorse all’interno del WLS.
In Tabella 3.3 viene riportata in maniera riassuntiva la frazione di luce emes-
sa a 180 cm R(180) misurata in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento
(4 h, 60-90 giorni) in modo da valutare l’effetto immediato e permanente
92
Tipo di WLS A,4h A,90gg B,4h A,60gg C,4h C,60gg Rc(180)BCF91-A 0.84 0.81 0.76 0.83 0.79 0.74 0.79KUR.Y11 0.82 0.90 0.83 0.93 0.86 0.89 0.91S048-100-4 0.39 0.57 — — 0.54 0.62 0.66
Tabella 3.3: Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento alle differentidosi orarie (A, B e C), misurata per tre tipi di WLS ad una distanza di 180 cm ed intempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (4 h, 60-90 giorni). L’ultima colonnaRc(180) e la stessa frazione di luce calcolata usando le lunghezze di attenuazionemisurate prima e dopo l’irraggiamento.
della radiazione sulle fibre.
I risultati ottenuti per i tre tipi di WLS riportati evidenziano come in gene-
rale il KURARAY Y11 sia il meno sensibile all’irraggiamento da γ in quanto
la perdita di luce sia immediata (misurata dopo 4h dall’irraggiamento) sia
permanente risulti compresa tra il 7 % e l’11 % alla distanza di 180 cm. Inol-
tre di particolare interesse e il dato riportato in ultima colonna (Rc(180)) che
rappresenta la frazione di luce emessa alla distanza di 180 cm, ma calcolata
con le lunghezze di attenuazione dei WLS misurate prima e dopo l’irraggia-
mento.
Il confronto di R(180) con Rc(180) permette di stabilire che il danno maggiore
subito da queste fibre viene dal degrado della lunghezza di attenuazione.
Irraggiamento in un reattore nucleare
Nel reattore portoghese per la ricerca nucleare (RPI) sono state irraggiate
in un campo misto (80 % γ + 20 % neutroni) fibre WLS di lunghezza 150
cm. La dose oraria di circa 15 KGy/h era applicata tra 100 e 150 cm per
una dose totale non uniforme massima di 10 KGy.
In questo caso, per le due fibre WLS BCF91-A e KURARAY Y11 che hanno
evidenziato migliore resistenza alla radiazione da γ, viene riportata in Tabel-
la 3.4 la frazione di luce emessa (prima e dopo l’irraggiamento nel reattore)
ad una distanza di 130 cm R(130) per diversi tempi di ricovero dalla fine
dell’irraggiamento (1h, 2h, 20h, 6gg, 20gg).
I valori risultanti mostrano danni molto elevati (70-80 %) subito dopo l’ir-
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 93
Tipo di WLS 1h 3h 20h 6gg 20ggBCF91-A 0.26 0.30 — 0.76 0.79KUR.Y11 0.20 0.22 0.60 0.70 0.72
Tabella 3.4: Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento in campomisto γ + neutroni misurata per due tipi di WLS ad una distanza di 130 cm edin tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (1h, 3h, 20h, 6 giorni e 20 giorni).
raggiamento mentre i danni permaneneti sono minori e comuni ad entrambe
le fibre testate che evidenziano un tempo di ricovero di sei giorni. Per il
KURARAY Y11 i danni in termini di luce persa sono dell’ordine del 28 %.
Anche in questo caso il danno permanente da irraggiamento e principalmente
dovuto ad un degrado della lunghezza di attenuazione delle fibre testate.
3.4.8 Considerazioni conclusive sulla resistenza alla ra-diazione dei materiali
Nell’analisi della resistenza alla radiazione dei materiali previsti per il
nuovo luminometro, le misure riportate sul WLS Kuraray Y11 ed in genere
anche sugli altri wave lenght shifter irraggiati sia con γ da 60Co sia con un
campo misto di γ + neutroni fornito da un reattore nucleare, mostrano come
i danni da radiazione su questi tipi di fibre siano principalmente dovuti ad
un degrado della lunghezza di attenuazione.
Per quanto riguarda i campioni (bacchette) misurati direttamente in questo
lavoro, la stbilita del numero di fotoni Cherenkov prodotti nel quarzo e ga-
rantito dalle misure effettuate sul parametro ottico indice di rifrazione che
non risulta sensibile all’irraggiamento da neutroni.
Diversamente accade per la percentuale di luce trasmessa alle diverse lun-
ghezze d’onda misurate (635 nm, 543 nm, 405 nm) dove viene a verificarsi
un calo consistente pari al 25− 30% della trasmissione alla lunghezza d’onda
di 405 nm.
L’efficienza nel tempo in ambiente ATLAS del sistema bacchetta + WLS
sembra essere inevitabilmente dimunuita dai risultati ottenuti in quanto la
lunghezza d’onda di 405 nm rientra nel ”range” di lavoro del Kuraray Y11
94
(ed in genere dei comuni WLS) proposto nel sistema di estrazione dei fotoni
Cherenkov prodotti nel quarzo.
3.5 Prove su fascio di un primo prototipo
In seguito alle misure di resistenza alla radiazione effettuate sulle bac-
chette di quarzo, si e potuto realizzare in tempo breve, vista la semplicita
meccanica del dispositivo, un prototipo di luminometro secondo lo schema
generale presentato al Paragrafo 3.3.
Anche in assenza di una simulazione Monte Carlo dettagliata che sara svi-
luppata successivamente si e pensato di testare su fascio il prototipo in modo
da avere una prima indicazione sulla risposta dello strumento a particelle
cariche di alta energia.
Il test e stato effettuato nel mese di ottobre 2007 ed ha avuto luogo presso l’a-
rea test (H-8) del CERN (Ginevra) riservata ad ATLAS situata a Prevessin,
lungo l’SPS (Super-Proto-Sincrotrone).
3.5.1 Descrizione del prototipo
Il prototipo testato era costituito da un cilindro di PVC nero a tenuta di
luce contenente una bacchetta di quarzo lunga 30 cm sezionata a 45◦ rispetto
al proprio asse (Fig. 3.35). La parte terminale della bacchetta e stata forata
centralmente per una lunghezza pari a 10 mm ed un diametro pari a 2 mm
per inserirvi il materiale plastico scintillante (WLS KURURAY Y 11). Il
WLS e stato poi accoppiato otticamente ad un fascio di 7 fibre ottiche del
diametro di 1 mm ciascuna connessa a loro volta alla finestra di un PMT a
singolo anodo del tipo HAMAMATSU R762. Inoltre, sul cilindro contenitore
della bacchetta era presente un foro per inserire una singola fibra, accoppiata
al taglio a 45◦ della bacchetta, che serviva a fornire il segnale di LED per la
calibrazione del sistema.
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 95
Figura 3.35: Vista generale delle singole componenti del prototipo.
3.5.2 Le misure
Il fascio incidente era costituito da pioni di 180 GeV di energia ed il proto-
tipo era stato accuratamente disposto lungo la linea di fascio dai ”surveyors”
del CERN.
Il programma delle misure effettuate sul prototipo era cosı composto:
• run di led per la calibrazione del sistema;
• run di segnale con il prototipo allineato al fascio (angolo = 0◦);
• run di segnale con il prototipo inclinato a 45◦ e 90◦ per valutare l’am-
piezza del segnale delle particelle che provengono di lato;
Per ciauscuno dei run elencato sopra e stata effettuata l’acquisizione di 20000
eventi.
Dato il carattere preliminare delle misure non e obbiettivo di questo lavoro
presentare in dettaglio il setup sperimentale, l’elettronica ed il sistema di
acquisizione.
Procedendo per ordine secondo il programma elencato si e per prima cosa
96
effettuata la calibrazione del sistema ricavando il numero di canali ADC
corrispondenti al segnale di singolo fotoelettrone con l’obbiettivo di ottenere
il numero di fotoelettroni corrispondenti al segnale registrato su fascio.
3.5.3 I risultati
In questa sezione vengono presentati i risultati ottenuti durante il test-
beam secondo il programma precedentemente elencato.
Calibrazione
La calibrazione del prototipo consiste nell’illuminare debolmente il siste-
ma in modo che si verifichi la condizione di segnale di singolo fotoelettrone.
Questa particolare situazione si realizza quando la luce incidente sulla fine-
stra del fotocatodo del PMT produce l’emissione di un singolo elettrone per
effetto fotoelettrico.
Il segnale di singolo fotoelettrone e stato ottenuto impulsando un LED con
una ampiezza di 3 V alla frequenza di 50 MHz (durata 20 ns). L’impulso
di LED veniva trasportato alla bacchetta tramite una fibra ottica singola
incidente normalmente sulla sezione a 45◦ della bachetta.
Questa configurazione assicura che i fotoni trasportati dalla fibra viaggino
all’interno della bacchetta con lo stesso angolo, rispetto all’asse, di fotoni
Cherenkov prodotti dalle particelle cariche che interessano (angolo di emis-
sione Cherenkov ≈ 45◦).
Come mostrato in Figura 3.36 la distribuzione del segnale di singolo fotoelet-
trone presenta un picco corrispondente al piedistallo con un ecceso di eventi
di segnale a canali di ADC immaditamente superiori.
Lo spettro ADC e fittato con una funzione Gaussiana per il piedistallo ed
una convoluzione di Gaussiane per il segnale:
S(x) = G(Q0, σ0) ++∞∑n=0
e−µ
n!µn ∗G(Qn, σn). (3.20)
dove la sommatoria rappresenta una funzione poissoniana che descrive la
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 97
Figura 3.36: Spettro di singolo fotoelettrone per il PMT utilizzato.
probabilita di avere n fotoelettroni se la media attesa e µ, pesata per la
distribuzione di carica per eventi con n fotoelettroni G(Qn, σn).
Elencati a lato in Figura 3.36 sono presentati i parametri liberi della funzione
di fit:
1. Q0, posizione del piedistallo.
2. σ0, deviazione standard del piedistallo.
3. Q1, carica media in unita ADC prodotta da un fotoelettrone alla fine
del sistema di amplificazione.
4. σ1/(σ1)Poisson e il rapporto tra la deviazione standard della distribu-
zione di singolo fotoelettrone ed il suo valore ottenuto assumendo un
statistica pefettamente poissoniana.
5. < Npe > e µ, la media dei fotoelettroni attesi per lo spettro considerato.
Il parametro di interesse e Q1 detto anche costante di calibrazione che rap-
presenta la distanza espressa in bin di ADC tra il picco di piedistallo e quello
di singolo fotoelettrone.
98
Figura 3.37: Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)e a 45◦ (in rosso).
Il valore della costante di calibrazione che si estrae applicando la procedura
di fit allo spettro ottenuto risulta:
Qprototipo1 = 11.6± 0.1 (3.21)
espresso in unita ADC con una incertezza sul parametro dell’ordine del 1 %.
Segnale
Una volta calibrato, il prototipo e stato posizionato sul fascio in tre di-
verse configurazioni: 0◦, 45◦ e 90◦ (angolo tra l’asse della bacchetta e la linea
di fascio).
Nelle Figure 3.37 e 3.38 sono mostrati gli spettri ADC del segnale registrato
a 0◦ sovrapposto a quello registrato a 45◦ e 90◦.
Il segnale registrato nel caso in cui la bacchetta e allineata e costituito es-
senzialmente da un picco, corrispondente al piedistallo dell’ADC posizionato
attorno al canale 190 (circa 0 fotoelettroni), e da una distribuzione di even-
ti poco strutturata che si estende fino al canale 900 (circa 60 fotoelettroni)
Capitolo 3. Verso un nuovo progetto di luminometro 99
Figura 3.38: Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)e a 90◦ (in verde).
(Figg. 3.37 e 3.38).
Il segnale registrato nel caso in cui la bacchetta forma un angolo di 45◦ (Fig.
3.37) e 90◦ (Fig. 3.37) invece risulta compreso in pochi bin attorno al piedi-
stallo.
Si ottiene pertanto l’indicazione positiva che il prototipo possiede una for-
te sensibilita alla direzione delle particelle incidenti e che agendo con una
semplice soglia e possibile separare in modo efficiente il segnale proveniente
da particelle che attraversano la bacchetta parallelamente all’asse da quello
delle particelle che l’attraversano trasversalmente.
Emerge anche l’indicazione che il prototipo, quando viene investito da parti-
celle cariche dirette parallelamente all’asse della bacchetta tende a rispondere
in modo assai differenziato con segnali da 0 fino a 60 fotoelettroni. Per com-
prendere adeguatamente questo comportamento che dipende sia dalla distri-
buzione dei parametri d’urto delle tracce cariche nel fascio che dai dettagli
della geometria del prototipo e necessario disporre di un Monte Carlo, che
attualmente e in fase di scrittura, e che consentira anche di ottimizzare il
100
sistema di trasferimento della luce dalla bacchetta alle fibre ottiche.
Conclusioni
Nella presente tesi si e iniziato lo studio di un prototipo di luminometro
basato sull’effetto Cherenkov (LUCID) da utilizzare nella fase 2 di funziona-
mento del collisionatore LHC quando la luminosita raggiungera il valore di
1034cm−2s−1. Le simulazioni Monte Carlo mostrano infatti che nella regione
occupata dal luminometro la dose di radiazione salira dal valore di 0.5-0.7
MRad/y previsto per la fase iniziale al valore di 5-7 MRad/y. In queste con-
dizioni la tenuta nel tempo dell’attuale progetto, anch’esso basato sull’effetto
Cherenkov ma che prevede fotomoltiplicatori posizionati in coda al rivelatore
e dunque nella stessa regione di elevata radiazione, non e garantita.
Per questo si e iniziato lo studio di possibili soluzioni alternative che per-
mettano di allontanare i fotomoltiplicatori dalla regione del rivelatore. In
generale questo e possibile solo se si riesce ad aumentare corrispondentemen-
te l’intensita del segnale ovvero il numero di fotoni Cherenkov prodotti dal
passaggio delle particelle cariche.
Ci si e quindi orientati verso uno schema che prevede l’utilizzo di un mez-
zo radiativo di elevata densita ottica (n=1.46) quale il quarzo, che presenta
evidenti vantaggi di economicita e facilita di lavorazione, sagomato in sottili
cilindri per assicurare il trasporto della luce Cherenkov attraverso le rifles-
sioni interne.
Data questa scelta un primo problema da risolvere riguarda l’efficienza del
trasferimento della radiazione Cherenkov dalla bacchetta di quarzo alle fibre
ottiche che raggiungeranno il fotomoltiplicatore. Questo e un punto delicato
in quanto l’elevato valore dell’indice di rifrazione (utile per aumentare il se-
gnale) comporta anche un elevato angolo di emissione Cherenkov (circa 45◦)
101
102
e dunque una radiazione luminosa al di fuori della normale apertura nume-
rica delle fibre ottiche (circa 20◦). Per questo motivo si e pensato di inserire,
nella parte terminale della bacchetta, un segmento di ”wave lenght shifter”
(WLS) in grado di diffondere la luce incidente in tutte le direzioni e quindi,
in parte, anche all’interno della apertura numerica delle fibre.
Premesso che la geometria del sistema non e stata ancora ottimizzata lo sco-
po principale di questa tesi e quello di verificare la resistenza alla radiazione
dei materiali impiegati. Dato che la resistenza alla radiazione del WLS e gia
stata misurata all’interno della collaborazione ATLAS (i risultati mostrano
che si ha un degrado della lunghezza di attenuazione del mezzo) si e proce-
duto allo studio dettagliato della resistenza alla radiazione del quarzo.
Per questo si sono definiti i parametri ottici da misurare che nel caso in esame
risultano essere l’indice di rifrazione (che governa l’aspetto geometrico della
propagazione della luce) ed il coefficiente di trasmissione (che governa l’effi-
cienza nella trasmissione della luce) e si sono sopratutto definite le tecniche
di misura.
Mentre per quanto riguarda il coefficiente di trasmissione la tecnica di misu-
ra e quella standard basata sostanzialmente sulla misura della intensita della
radiazione in ingresso ed in uscita dalla bacchetta, per l’indice di rifrazione si
individuata un tecnica originale basata sulla misura dell’angolo di emergenza
delle caustiche.
Successivamente campioni delle bacchette di quarzo sono stati irraggiati con
gli intensi flussi di neutroni forniti dal reattore TAPIRO presso i Laborato-
ri della Casaccia dell’Enea (5 × 1014n·cm−2) corrispondenti a circa un anno
di permanenza nella regione di LUCID all’interno dell’esperimento ATLAS
nella fase di massima luminosita del collisionatore LHC.
Il confronto ripetuto di due campioni, uno solo dei quali irraggiato, ha per-
messo di effettuare una misura degli effetti indotti sia sull’indice di rifrazione
che sul coefficiente di trasmissione.
I risultati mostrano che l’indice di rifrazione del quarzo non subisce apprez-
zabili alterazioni in tutto l’intervallo di lunghezze d’onda compreso tra 300 e
660 nm.
Conclusioni 103
Per quanto riguarda il coefficiente di trasmissione invece si registra un sensi-
bile degrado verso la regione della lunghezze d’onda piu corte. In particolare
si osserva una diminuzione del coefficiente di trasmissione dell’ordine del 25%
alla lunghezza d’onda λ=405 nm. Questo fatto indica che sara necessario va-
lutare con cura la diminuzione nella efficienza di trasferimento dei fotoni che
e basata sulle proprieta del WLS che lavora proprio in questo intervallo di
lunghezze d’onda.
A completamento di questa fase di studio preliminare si e costruito un primo
prototipo e lo si e collocato sul fascio di pioni da 180 GeV presso l’area H8
del CERN. I risultati ottenuti mostrano una notevole sensibilita alla direzio-
ne della radiazione carica incidente ed un numero di fotoelettroni su di un
fotomoltiplicatore connesso al rivelatore attraverso un fascio di fibre ottiche
sufficientemente elevato.
Nel loro complesso i risultati ottenuti fino a questo punto mostrano che il ri-
velatore proposto e in grado di assicurare le prestazioni richieste per un tem-
po sufficientemente lungo anche nell’elevata radiazione ambientale esistente
nella regione di LUCID.
104
Appendice A
La caustica
Al fine di ottenere la relazione che lega l’angolo a cui compare la prima
caustica θout al rapporto n2/n1 tra l’indice di rifrazione del mezzo (n2) e
quello dell’aria (n1), esprimiamo innanzitutto θout in funzione degli angoli di
incidenza (θi) e di rifrazione (θr), e del numero N di riflessioni interne dei
raggi luminosi.
Le formule di seguito riportate fanno riferimento alla Figura A.1 dove e mo-
strata la geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso
incidente la sezione circolare della bacchetta.
θout = (θi − θr) + N(2π − 2θr) + (θi − θr)
(A.1)
= 2θi − 2θr(N + 1) + 2Nπ.
Ora utilizzando la legge di Snell:
n1sinθi = n2sinθr; h/R = sinθi;
=⇒ θi = arcsin(h/R); (A.2)
possiamo scrivere θout in funzione del rapporto hR
tra la distanza h del raggio
luminoso dal piano centrale della bacchetta ed il suo raggio R.
θout = 2arcsin(h/R)− 2(N + 1)arcsin
(n1
n2
h
R
)+ 2Nπ (A.3)
105
106
Figura A.1: Geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso.
Dobbiamo ora ricavarci la relazione che lega il rapporto hR
al valore n2/n1.
Per farlo imponiamo la condizione che realizza la caustica, massimizzando ladε
dθoutdove dε e la densita di energia elettromagnetica:
dε
dθout
= ε0cE2L
dh
dθout
−→∞, (A.4)
questo si traduce, usando l’espressione (A.3), nella seguente condizione:
dθout
dh= 2
1/R√1− (
hR
)2− 2(N + 1)
n1/(n2R)√1−
(n1
n2
hR
)2= 0, (A.5)
da cui si ricava:
h
R=
n2
n1
√(N + 1)2(n1/n2)2 − 1
N2 + 2N, (A.6)
che sostituita nella (A.3) per N = 1 fornisce la relazione tra l’indice di rifra-
zione del mezzo e la posizione angolare della prima caustica:
Appendice A. La caustica 107
θout =
4arcsin
n1
n2
1
3
√12− 3
(n2
n1
)2
− 2arcsin
1
3
√12− 3
(n2
n1
)2
360
2π(A.7)
108
Appendice B
Relazioni di Fresnel
Il passaggio di un’onda elettromagnetica da un mezzo con indice di ri-
frazione n1 ad un altro con differente indice di rifrazione n2 e regolato dalla
legge di Snell per quanto riguarda la direzione di propagazione, mentre le
relazioni di Fresnel descrivono come l’intensita di un raggio luminoso viene
ripartita tra la componente riflessa e quella trasmessa.
Le relazioni di Fresnel permettono cioe di ricavare le espressioni per i coeffi-
cienti di riflessione e di trasmissione dell’ampiezza del campo elettrico oscil-
lante dell’onda (le stesse relazioni valgono anche per l’ampiezza del campo
magnetico).
Si ragiona separatamente sulle ampiezze delle due componeneti Ep (paralle-
la) ed Es (perpendicolare), ottenute rispettivamente proiettando il vettore E
Figura B.1: Componenti parallele e perpendicolari del campo elettrico emagnetico considerate nelle relazioni di Fresnel.
109
110
nel piano d’incidenza e sulla normale ad esso. In Figura B.1 sono illustrate
le componenti del campo elettrico e magnetico considerate.
Caso 1, componente di E nel piano di incidenza (p) Facendo riferimen-
to alla Figura B.1 (schema di sinistra), e considerando la componente
dei campi polarizzata nel piano di incidenza, le relazioni di Fresnel per
le ampiezze del campo elettrico si scrivono:
rp =E ′
0ip
E0ip
=tg(θi − θr)
tg(θi + θr)=
n2cosθi − n1cosθr
n2cosθi + n1cosθr
. (B.1)
tp =E0rp
E0ip
=2sinθrcosθi
sin(θi + θr)cos(θi − θr)=
2n1cosθi
n2cosθi + n1cosθr
. (B.2)
Caso 2, componente di E normale al piano di incidenza (s) In que-
sto caso riferendosi alla schema di destra della Figura B.1 si ottiene
per le componenti delle ampiezze del campo elettrico perpendicolare al
piano d’incidenza:
rs =E ′
0is
E0is
= −sin(θi − θr)
sin(θi + θr)=
n1cosθi − n2cosθr
n1cosθi + n2cosθr
. (B.3)
ts =E0rs
E0is
=2sinθrcosθi
sin(θi + θr)=
2n1cosθi
n1cosθi + n2cosθr
. (B.4)
Cio che si misura in laboratorio e l’energia ottica trasportata dal raggio lumi-
noso nell’unita di tempo, ossia la potenza luminosa P . L’intensita luminosa
e legata alla potenza luminosa e al campo elettrico dalla relazione:
I =P
S∝ E2
0
2Z, (B.5)
dove S e la sezione del fascio luminoso e Z =√
µ/ε e l’impedenza ottica del
mezzo.
Appendice B. Relazioni di Fresnel 111
Figura B.2: Nella rifrazione, la sezione del fascio cambia, quindi il rapportotra la potenza trasmessa e quella incidente e diverso da quello delle corrispondentiintensita.
Definiamo quindi il coefficiente di riflessione R come il rapporto tra la potenza
ottica riflessa P ′i e quella incidente Pi:
R =Pr
Pi
=E′20i
E20i
, (B.6)
ed il coefficiente di trasmissione T come il rapporto tra la potenza ottica
trasmessa Pr e quella incidente Pi
T =Pr
Pi
=IrSr
IiSi=
n2E20rcosθr
n1E20icosθi
, (B.7)
dove i coseni sono dovuti alla trasformazione della sezione del fascio luminoso
mostrata in figura B.2.
Sostituendo in queste equazioni le espressioni delle relazioni di Fresnel ri-
caviamo i valori dei coefficienti di riflessione e di trasmissione scritte per le
componenti parallele (p) e perpendicolari (s) al piano di incidenza:
Rp =E′20ip
E20ip
=
(n2cosθi − n1cosθr
n2cosθi + n1cosθr
)2
. (B.8)
Tp =E2
0rp
E20ip
=4n1n2cosθicosθr
(n2cosθi + n1cosθr)2 . (B.9)
112
Figura B.3: R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sini-stra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenzaθi nel caso in cui n1 = 1 ed n2 = 1.5.
Rs =E′20is
E20is
=
(n1cosθi − n2cosθr
n1cosθi + n2cosθr
)2
. (B.10)
Ts =E2
0rs
E20is
=4n1n2cosθicosθr
(n1cosθi + n2cosθr)2 . (B.11)
Le espressioni ottenute sono rappresentate in Figura B.3. Per ciascuna com-
ponente del campo, la somma dei due coefficienti vale sempre 1, garantendo
la conservazione dell’energia.
Nel caso in cui l’onda incide da un mezzo piu rifrangente ad uno meno rifran-
gente valgono le stesse relazioni che portano ai grafici di Figura B.3, salvo
che bisogna tener conto della presenza dell’angolo limite come mostrato in
Figura B.4 nel caso n1 = 1.5 e n2 = 1.
Se la luce incidente non e polarizzata, si puo ragionare come se essa in ogni
istante risultasse dalla combinazione di due componenti, una polarizzata p e
l’altra s, ciascuna di potenza ottica pari al 50% di quella totale. I coefficienti
di riflessione e di trasmissione sarebbero allora dati da:
R =1
2(Rs + Rp) T =
1
2(Ts + Tp) con R + T = 1
Appendice B. Relazioni di Fresnel 113
Figura B.4: R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (sini-stra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’angolo di incidenzaθi nel caso in cui n1 = 1.5 e n2 = 1.
Figura B.5: R e T di luce non polarizzata in funzione dell’angolo di incidenzaθi nel caso in cui n1 = 1, n2 = 1.5 (sinistra) n1 = 1.5, n2 = 1 (destra).
ed avrebbero l’andamento illustrato in Figura B.5.
Infine l’ultima cosa da considerare riguarda la condizione in cui i raggi della
luce incidente siano perpendicolari alla superficie di separazione dei due mezzi
(incidenza normale). In questa situazione essendo θi ≈ θr ≈ 0 le espressioni
114
per R e T si semplificano notevolmente risultando:
R =(n1 − n2)
2
(n1 + n2)2(B.12)
T =4n1n2
(n1 + n2)2(B.13)
sempre verificando la condizione R + T = 1.
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Elenco delle figure
1.1 Prospetto generale del tunnel dell’acceleratore LHC, delle sale spe-
rimentali e delle strutture di accesso. . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2 Prospetto generale di un dipolo magnetico superconduttore con
indicate le componenti costitutive. . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 A sinistra: sono mostrati sul piano (mA, tanβ) tutti i segnali del
bosone di Higgs ad una luminosita integrata di 10 fb−1 per esperi-
mento (ATLAS+CMS). A destra: numero di bosoni di Higgs della
MSSM osservabili ad LHC da ATLAS ad una luminosita di 300
fb−1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.4 Prospetto generale dell’insieme dei rivelatori dell’esperimento ATLAS. 10
1.5 Prospetto generale del sistema di spire del ”barrel toroid” (BT). 12
1.6 Prospetto generale del sistema di spire dell’end-cap (ECT). . . . . 13
1.7 Vista 3-D dell’inner detector ad ATLAS. . . . . . . . . . . . . . . 15
1.8 Prospetto generale dei calorimetri dell’esperimento ATLAS. . . . . 16
1.9 Prospetto generale dello spettrometro muonico dell’esperimento
ATLAS. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.10 Vista trasversale dello spettrometro muonico ad ATLAS. . . . . . 19
1.11 Diagramma a blocchi del sistema di trigger ed acquisizione dell’e-
sperimento ATLAS. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.12 Rappresentazione schematica del trigger fornito dallo spettrometro
muonico (LVL1 trigger). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.13 Schema della struttura a multistrato del ”LHC Computing Grid”
(LCG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
117
118
2.1 Precisione della misura del ”rate” di produzione del bosone di Higgs
in diversi canali in funzione della sua massa Mh e dell’errore di
misura della luminosita (simboli vuoti 10%, pieni 5%). . . . . . . 26
2.2 Prospetto generale di una Roman Pot. . . . . . . . . . . . . . . . 31
2.3 Prospetto generale del rivelatore di luminosita ALFA. . . . . . . . 32
2.4 Distribuzione dei punti d’impatto nel rivelatore ALFA. . . . . . . 33
2.5 Distribuzione e fit della luminosita del parametro t: (sinistra)
rappresentazione lineare e (destra) logaritmica. . . . . . . . . . . 34
2.6 Prospetto generale del calorimetro ZDC. . . . . . . . . . . . . . . 35
2.7 Posizione del rivelatore LUCID in ATLAS. . . . . . . . . . . . . . 38
2.8 Prospetto generale e particolare delle componenti del LUCID. . . . 39
2.9 Configurazioni possibili delle unita del rivelatore LUCID. In al-
to: accoppiamento tubo, Winston Cone, fibra e PMT. In basso:
accoppiamento diretto tubo, PMT. . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
2.10 Schema di realizzazione del LUCID come pensato per la fase 2. . . 41
2.11 Simulazione della tipologia delle particelle che colpiscono il LUCID. 42
2.12 Simulazione della risposta dei fotooltiplicatori al passaggio delle
particelle (primarie o secondarie). . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.13 Andamento della luminosita in funzione del numero di interazioni
per evento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.14 Parziale perdita della linearita della risposta del LUCID ad alte
luminosita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
2.15 Rappresentazione schematica del set-up sperimentale del test-beam. 44
2.16 Distribuzione tipica dei canali ADC alle pressioni di 1 bar (sinistra)
e 0 bar (destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
2.17 Diagramma dei tre possibili cammini dell’elettrone all’interno del
tubo del LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.18 Spettro di segnale del tubo alla pressione P=1 atm ed ad un angolo
θ = 0 rispetto alla direzione del fascio. . . . . . . . . . . . . . . . 47
ELENCO DELLE FIGURE 119
2.19 Flusso totale di fotoni previsto a piena luminosita in un quadrante
dell’esperimento ATLAS (Z: distanza lungo l’asse del fascio dal
punto di interazione, R: distanza radiale dall’asse del fascio). Il
riquadro in rosso evidenzia il punto dove verra installato il LUCID. 48
2.20 Confronto prima e dopo irraggiamento da γ delle misure di dark
current in funzione del voltaggio dei PMT. . . . . . . . . . . . . . 48
2.21 Misure di guadagno relativo dei PMT prima e dopo irraggiamento
da γ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.1 Flusso totale di neutroni in un quadrante dellesperimento ATLAS.
(Z: distanza lungo l’asse del fascio dal punto di interazione, R:
distanza radiale dall’asse del fascio). . . . . . . . . . . . . . . . . 52
3.2 Simulazione Monte Carlo dettagliata dello spettro energetico dei
neutroni attesi nella zona del LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . 54
3.3 Schema grafico del cono di emissione Cherenkov. . . . . . . . . . 55
3.4 Schema grafico di emissione del cono Cherenkov nella bacchetta
per una particella incidente in un punto generico della sezione. . . 57
3.5 Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti
nella bacchetta di quarzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
3.6 Simulazione Monte Carlo del numero di fotoni Cherenkov prodotti
nel sistema tubo + gas. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
3.7 Schema grafico del processo di estrazione dei fotoni dalla bacchetta. 61
3.8 Andamento dello spettro di emissione Cherenkov, assieme alle pro-
prieta ottiche dei materiali previsti (WLS Kuraray Y11 e PMT
Hamamatsu R762) per il nuovo progetto di luminometro. . . . . . 62
3.9 Foto del campione sperimentale irraggiato. . . . . . . . . . . . . . 64
3.10 Spettro energetico del reattore Tapiro in scala lineare (a sinistra)
ed in scala logaritmica (a destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.11 Immagine del binario a T del banco ottico THORLABS del labo-
ratorio di Bologna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.12 Addensamento dei raggi riflessi e rifratti da una superficie curva per
raggi luminosi incidenti a diversi valori del parametro d’impatto h/R. 69
120
3.13 Andamento dell’angolo θout in funzione del rapporto n2/n1 tra gli
indici di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
3.14 Schema grafico del setup sperimentale utilizzato nelle misure di
indice di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
3.15 Foto della caustica generata da luce incidente di 635 nm (sinistra),
543 nm foto (destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
3.16 Plot dei valori di intensita integrata per pixel. Sono evidenti il
massimo relativo alla caustica ed i minimi di intensita fissati per
la conversione in cm. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
3.17 Schema grafico degli errori sistematici associati alla misura dell’in-
dice di rifrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
3.18 Angoli in gioco per la stima dell’errore sistematico L3. . . . . . . . 74
3.19 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’on-
da della luce incidente per le bacchette Ital1 ed Ital3 con i valori
della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice. . . . . . . . . 76
3.20 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’on-
da della luce incidente per la bacchetta Hera1 ed Hera3 con i valori
della scheda tecnica forniti dalla ditta costruttrice. . . . . . . . . 77
3.21 Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta
Ital1 non irraggiata nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 78
3.22 Confronto della misura dell’indice di rifrazione per la bacchetta
Hera1 non irraggiata nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 78
3.23 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’on-
da della luce incidente per la bacchetta Ital3 prima e dopo l’irrag-
giamento con neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
3.24 Confronto dell’indice di rifrazione in funzione della lunghezza d’on-
da della luce incidente per la bacchetta Hera3 prima e dopo l’ir-
raggiamento con neutroni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
3.25 Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup
sperimentali per la bacchetta Ital3 irraggiata e quelli misurati per
la bacchetta Ital1 di controllo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
ELENCO DELLE FIGURE 121
3.26 Rapporto tra i valori dell’indice di rifrazione misurati nei due setup
sperimentali per la bacchetta Hera3 irraggiata e quelli misurati per
la bacchetta Hera1 di controllo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
3.27 Schema grafico della tecnica di misura del coefficiente di trasmis-
sione. Sono indicati i diversi contributi alla potenza trasmessa
P2m. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
3.28 Foto del setup sperimentale delle misure di coefficiente di trasmis-
sione. Sono indicate in rosso le specifiche componenti. . . . . . . . 83
3.29 Confronto, per la bacchetta Ital3, tra i valori del coefficiente
di riflessione P.rif/P.inc misurati ad un angolo di 12◦ ed i
valori di Fresnel teorici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
3.30 Confronto, per la bacchetta Hera3, tra i valori del coefficiente
di riflessione P.rif/P.inc misurati ad un angolo incidente di
12◦ ed i valori di Fresnel teorici. . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
3.31 Confronto dei valori del rapporto P.tras/P.inc per la bacchetta
Ital3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento. . . . . . . 87
3.32 Confronto dei valori del rapporto P.tras./P.inc. per la bacchetta
Hera3 prima (in alto) e dopo (in basso) l’irraggiamento. . . . . . . 88
3.33 Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta
di controllo Ital1 nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . . . 89
3.34 Confronto dei valori del coefficiente di trasmissione per la bacchetta
di controllo Hera1 nei due setup sperimentali. . . . . . . . . . . 90
3.35 Vista generale delle singole componenti del prototipo. . . . . . . . 95
3.36 Spettro di singolo fotoelettrone per il PMT utilizzato. . . . . . . . 97
3.37 Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)
e a 45◦ (in rosso). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
3.38 Confronto degli spettri ADC del segnale registrato a 0◦ (in nero)
e a 90◦ (in verde). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
A.1 Geometria del singolo raggio luminoso di un fronte d’onda esteso. . 106
B.1 Componenti parallele e perpendicolari del campo elettrico e ma-
gnetico considerate nelle relazioni di Fresnel. . . . . . . . . . . . 109
122
B.2 Nella rifrazione, la sezione del fascio cambia, quindi il rapporto tra
la potenza trasmessa e quella incidente e diverso da quello delle
corrispondenti intensita. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
B.3 R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (si-
nistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’an-
golo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1 ed n2 = 1.5. . . . . . . 112
B.4 R e T della potenza ottica associata alle componenti parallela (si-
nistra) e normale (destra) al piano di incidenza in funzione dell’an-
golo di incidenza θi nel caso in cui n1 = 1.5 e n2 = 1. . . . . . . . 113
B.5 R e T di luce non polarizzata in funzione dell’angolo di incidenza
θi nel caso in cui n1 = 1, n2 = 1.5 (sinistra) n1 = 1.5, n2 = 1
(destra). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
Elenco delle tabelle
1.1 Alcuni parametri caratteristici dell’acceleratore LHC. (1) Collisioni
pp alla luminosita di progetto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
3.1 Stima Monte Carlo dei flussi medi di particelle attesi nella regine
occupata da LUCID. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.2 Energia depositata dai diversi tipi di particelle su di uno spessore
di 2 mm di quarzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.3 Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento alle differenti
dosi orarie (A, B e C), misurata per tre tipi di WLS ad una distanza
di 180 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (4 h,
60-90 giorni). L’ultima colonna Rc(180) e la stessa frazione di luce
calcolata usando le lunghezze di attenuazione misurate prima e
dopo l’irraggiamento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
3.4 Frazione di luce emessa prima e dopo l’irraggiamento in campo
misto γ + neutroni misurata per due tipi di WLS ad una distanza
di 130 cm ed in tempi diversi dopo la fine dell’irraggiamento (1h,
3h, 20h, 6 giorni e 20 giorni). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
123
124
Ringraziamenti
Desidero ringraziare il prof. Nicola Semprini Cesari per il tempo dedi-
catomi in questo lavoro, e tutto il gruppo AtlasLumi di Bologna con cui ho
trascorso questo periodo. Un ringraziamento particolare va ad Antonello per
la disponibilita e le competenze informatiche condivise.
Ringrazio la mia famiglia, zii e zie, cugini e cugine per tutto il sostegno ri-
cevuto in questi anni di universita. Un ringraziamento profondo va ai miei
nonni per avermi insegnato l’amore per la Terra ed il valore delle cose sem-
plici.
Ringrazio gli amici e le amiche: Ale, Dream ed Hutch compagni di una vita;
Teo ed Ivonne, Chiox e l’Ale, Betta Riccardo ed Emanuel recchia di gom-
ma; i coinquilini/e: Ubi Ciocco e Moro, Annina Fede Osvaldo e Flaviuccia;
l’Hotel Filippone tutto, passato e presente, reale e virtuale: Filippo, Socio,
Capitano, Tank, Silva, Francesca, Mimmo, Cile, i cugini Spaccaforno, Vitto-
rio, Laurinda, Ludovica, Nicoladancona, Marta, Angela.....; le Bolognesi Fra
e Chiara; Matilde da Roma e tutti/e coloro che porto nel cuore ma che non
riesco ad esprimere con le parole.
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