STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

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Istituto Nazionale di Economia Agraria Regione Marche Osservazioni & Analisi 2005.02 sservatorio Agroalimentare delle Marche Andrea Arzeni STRUMENTI E METODI PER LIDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI RURALI NELLE MARCHE Rapporto di analisi 2005 Lo studio è stato cofinanziato da Unione Europea Programma Leader Plus GAL Colliesini GAL Sibilla

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Istituto Nazionale di Economia Agraria Regione Marche

Osservazioni & Analisi 2005.02

sservatorio Agroalimentare delle Marche

Andrea Arzeni

STRUMENTI E METODI PER

L’IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI

RURALI NELLE MARCHE

Rapporto di analisi 2005

Lo studio è stato cofinanziato da

Unione Europea

Programma Leader Plus

GAL Colliesini

GAL Sibilla

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L‟Osservatorio Agroalimentare delle Marche nasce nel 2002 da una collaborazione tra INEA e Regione Marche, al fine di costituire un centro studi capace di far fronte alle esigenze conoscitive e di analisi dei fenomeni socio-economici che caratterizzano il sistema l‟agricolo e agro-alimentare della regione. Il principale obiettivo è quello di produrre informazione scientifica e di diffonderla, nelle forme più facilmente accessibili, non solo tra gli operatori di settore ma verso tutti coloro che sono interessati a vario titolo alle tematiche dello sviluppo rurale. La realizzazione del rapporto annuale sul Sistema agricolo e alimentare delle Marche, rappresenta il maggiore impegno per l‟Osservatorio in quanto riassume e accoglie le attività di ricerca intraprese nel corso dell‟anno. L‟opera è il frutto del lavoro congiunto di numerosi ricercatori e intende essere uno strumento conoscitivo di riferimento per il settore grazie al rigore delle analisi scientifiche ed al dettaglio delle informazioni statistiche. Parallelamente a questo lavoro, l‟Osservatorio realizza alcuni approfondimenti raggruppandoli in una linea editoriale denominata “Osservazioni & Analisi”. Questi rapporti propongono una lettura sintetica di alcuni fenomeni evolutivi con un approccio che integra gli strumenti di indagine statistica con la conoscenza diretta dei soggetti che operano sul territorio e delle questioni che essi percepiscono ed esprimono. L‟intenzione è quella di realizzare una linea di documenti agili ed essenziali, che non richiedono una particolare conoscenza degli strumenti di analisi e che vogliono stimolare la riflessione e lo spirito critico, cercando, per quanto possibile, di affrontare le questioni in modo oggettivo e razionale. Volutamente questi rapporti non terminano con una parte di conclusioni in quanto vogliono essere aperti alla discussione e ad eventuali successivi approfondimenti. A questo proposito sono estremamente graditi consigli e suggerimenti per migliorare la qualità e l‟utilità di questi lavori ed è possibile farlo inviando i messaggi al seguente indirizzo di posta elettronica: [email protected].

Il responsabile

Andrea Arzeni

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Il gruppo di ricerca

Questo rapporto è stato realizzato nell’ambito del programma di studi e

ricerche dell’Osservatorio agroalimentare delle Marche e ed è stato

sviluppato da un gruppo di ricercatori che ha operato in collaborazione con la

sede regionale dell’INEA per le Marche e con i GAL Colli Esini e Sibilla che

hanno concorso alla realizzazione del progetto.

Hanno partecipato alla stesura di questo rapporto:

Francesco Adornato

Analisi del contesto normativo: Programmazione negoziata in agricoltura e

sviluppo locale

Andrea Arzeni

I presupposti progettuali

Il percorso per l’identificazione del DR

Esempio di applicazione: la conoscenza di base

Esempio di applicazione: l’integrazione della conoscenza – analisi

quantitativa

Esempio di applicazione: il capitale territoriale

Antonio Attorre

Esempio di applicazione: l’integrazione della conoscenza – analisi

qualitativa

Renato Novelli

L’analisi sociologica

Laura Piccari

Esempio di applicazione: la conoscenza di base – accessibilità e uso del

suolo

Maria Pia Pirro

Esempio di applicazione: l’integrazione della conoscenza – analisi

qualitativa

Monica Sabbatini

Analisi del contesto normativo: un quadro introduttivo

Esempio di applicazione: la conoscenza di base – Piani e programmi

Appendice B: strumenti di programmazione

L’organziazzione del rapporto di ricerca è stato curato da Andrea Arzeni, il

coordinamento delle azioni di animazione è stati di Maria Pia Pirro che si è

avvalsa degli animatori:operanti presso i GAL Colliesini e Sibilla

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Indice

I presupposti progettuali .................................. 6 Obiettivi e articolazione dello studio ................. 7 Zone preferenziali e aree sperimentali .............. 9 Come consultare questo documento .............. 13

Analisi del contesto normativo .................... 15

Un quadro introduttivo ....................................... 15 Programmazione negoziata in agricoltura e sviluppo locale .............................. 19

L’analisi sociologica ........................................ 52

Il percorso per l’identificazione del DR ...... 56 La costruzione della conoscenza di base ........................................................................... 58 L’interazione con la realtà ................................... 62

Una valutazione complessiva ............................. 66 I caratteri identificativi .......................................... 70

Esempio di applicazione: la conoscenza di base ................................................................... 79

Caratteristiche strutturali ..................................... 79 Le dotazioni infrastrutturali ................................ 93 Caratteri sociali ....................................................... 98

Esempio di applicazione: l’integrazione della conoscenza ........................................... 127

Gli strumenti e le azioni .....................................127 L’analisi quantitativa ...........................................130 L’analisi qualitativa ..............................................134

Esempio di applicazione: il capitale territoriale ...................................................... 142

La valutazione di sintesi .....................................142 La costruzione del progetto di territorio .................................................................145

Riferimenti ...................................................... 147 Bibliografici ............................................................147

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Appendice A: statistiche territoriali .......... 149 Caratteristiche generali ......................................149 Insediamenti e infrastrutture ............................155 Evoluzione demografica....................................160

Appendice B: strumenti di programmazione .......................................... 187

Piani Territoriali di Coordinamento (PTC) ........................................................................187

Piani agricoli ..........................................................205 Patti territoriali ......................................................209 Documenti di indirizzo, pianificazione e programmazione delle Comunità Montane ................................................................221 Piani locali di sviluppo (PLS) dei Gruppi di Azione Locale (GAL) ......................................226 Piani delle aree protette ....................................235

Appendice C: materiali e risultati dell’indagine sociologica ............................. 261

Il questionario .......................................................261 Lo spoglio dei questionari .................................262 La traccia di discussione per i focus ...............269

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I PRESUPPOSTI PROGETTUALI

L‟approccio territoriale alla programmazione socio-economica è divenuto un presupposto basilare per l‟attuazione di ogni tipo di intervento pubblico o privato. E‟ ormai chiara la necessità di coordinare a livello territoriale le numerose iniziative, imprenditoriali e non, che vengono cofinanziate con risorse pubbliche ma anche esclusivamente con quelle private. Il processo di decentramento amministrativo in atto e la diminuzione delle risorse fanno intendere che sarà sempre più difficile accedere a fonti di finanziamento sulla base di iniziative isolate e, al contrario, verrà premiata la capacità di integrazione sul territorio e il perseguimento di obiettivi comuni. Le politiche settoriali hanno mostrato evidenti limiti specie in ambiti di intervento come l‟agricoltura dove la concentrazione spaziale e la specializzazione produttiva raramente raggiungono intensità tali da delineare veri e propri distretti. In effetti lo stesso concetto di distretto, mutuato dall‟economia industriale, appare in contrasto con quello di sviluppo rurale dove è importante la compresenza equilibrata nel territorio delle attività economiche. In questi ultimi tempi emerge da più parti il tentativo di individuare i cosiddetti distretti rurali, ma è ovvio che non possono essere usati gli stessi parametri dei distretti industriali se non contraddicendo i principi della diversificazione e multifunzionalità su cui poggia lo sviluppo rurale sancito dall‟Unione Europea. Il riconoscimento dello status di distretto rurale portato avanti da alcuni territori, riguarda un diverso approccio di sviluppo socio-economico basato sul potenziamento della rete di relazioni tra quei soggetti che sono interessati all‟area (stakeholder) e sulla condivisione di programmi ed obiettivi comuni. Il distretto quindi, con questa accezione, è l‟ambito territoriale dove è possibile attuare questo tipo di approccio, la cui delimitazione deve però tener conto di alcuni elementi distintivi. Innanzitutto la popolazione deve essere omogeneamente distribuita sul territorio senza che vi sia la presenza di grandi centri urbani, altrimenti questi creerebbero uno squilibrio nel rapporto tra città e campagna. Inoltre le attività agricole devono rappresentare un elemento caratterizzante del territorio sia sotto il profilo paesaggistico che sociale. Infine il territorio che aspira a diventare distretto rurale non deve essere contraddistinto da un‟attività economica prevalente, altrimenti le strategie per lo sviluppo sarebbero condizionate da questo polo di attrazione. Oltre a questi presupposti, una caratteristica basilare che il distretto rurale deve possedere è identificabile nella presenza di un gruppo di soggetti di riferimento, pubblici e/o privati, già abituati a collaborare e capaci di coinvolgere e stimolare i principali stakeholder. Se questa “rete relazionale” è già presente, le probabilità di successo di un approccio di programmazione territoriale integrato aumentano notevolmente. Ovviamente non esistono fonti statistiche capaci di identificare questa caratteristica e solo il manifestarsi di fenomeni spontanei di organizzazione delle risorse locali, rende più evidente questa specificità. Le argomentazioni fin qui esposte si collegano logicamente alle esperienze del programma di iniziativa comunitaria LEADER che ha promosso la costituzione dei GAL (Gruppi di Azione Locale), configurati come Agenzie di sviluppo, radicate

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nel territorio, rappresentative delle forze locali ed in grado di mobilitare le risorse delle aree in cui intervengono. L‟esperienza acquisita da questi organismi, offre diversi spunti di riflessione utili per capire quale possa essere il ruolo di un‟Agenzia di Sviluppo Locale nei processi di sviluppo territoriale e sulle funzioni, le attività e le competenze che la dovrebbero caratterizzare.

Obiettivi e articolazione dello studio

La ricerca che è stata sviluppata, parte da questi presupposti e concentra la sua azione sul rapporto tra società e territorio in particolare nelle aree interne delle Marche dove è maggiormente presente il carattere di ruralità su cui si basa il concetto di Distretto Rurale. Gli obiettivi principali sono quelli di indagare e valutare quali possono essere quegli elementi che contraddistinguono i sistemi locali e quali sono le modalità operative che favoriscono l‟emergere e la condivisione delle strategie di sviluppo del territorio. Si tratta di obiettivi estremamente ambiziosi che necessariamente sono stati circoscritti e finalizzati, selezionando alcuni strumenti metodologici e sperimentandoli in alcuni ambiti territoriali. Si consideri infatti che il sistema di relazioni e la gamma di questioni che influenzano lo sviluppo locale, crescono in maniera esponenziale all‟aumentare dell‟ampiezza territoriale per cui occorre limitare l‟estensione dell‟area oggetto di studio a pochi Comuni. Questi sono stati selezionati sulla base di alcuni criteri generali che caratterizzano un Distretto Rurale, così come meglio specificati nel paragrafo successivo. La ricerca, seppur circoscritta sotto il profilo geografico, si è occupata di un vasto spettro di questioni che hanno richiesto la partecipazione di esperti in varie discipline e la selezione e condivisione di diversi approcci di analisi quantitativa e qualitativa nel tentativo di cogliere e sintetizzare la complessità dell‟ambiente reale. Il percorso metodologico che ha consentito di svolgere le analisi è stato il seguente:

1. Analisi del contesto territoriale (profilo territoriale); 2. Identificazione del sistema di connessioni e relazioni (sistema territoriale); 3. Sperimentazione dei metodi di animazione (azioni sul territorio); 4. Valutazione dell‟offerta e della competitività territoriale (capitale territoriale); 5. Stesura del percorso per l‟identificazione del distretto rurale.

La logica con cui è stato progettato questo percorso parte dalla creazione di una base conoscitiva del territorio e successivamente, l‟individuazione delle principali connessioni e relazioni che identificano un sistema territoriale. La creazione della base conoscitiva e del sistema relazionale ha avuto molteplici finalità:

> individuare e applicare le metodologie gli strumenti di analisi capaci di sintetizzare il profilo di un territorio e la sua capacità di auto-organizzarsi;

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> permettere ai ricercatori delle diverse discipline di comprendere e condividere i principali caratteri del territorio e della sua popolazione così da poter partecipare attivamente alle azioni di animazione;

> esprimere una prima valutazione qualitativa dei punti di forza, debolezza, opportunità e minacce (analisi SWOT) che è stata dibattuta e modificata dopo i contatti con gli attori locali;

Questo primo blocco progettuale non aveva quindi lo scopo di individuare i caratteri di un eventuale Distretto Rurale in quanto si è consapevoli che non è sufficiente l‟identificazione di parametri oggettivi (es. dati statistici) ma che occorre integrare questi con informazioni qualitative che possono essere raccolte solo interagendo con la realtà territoriale. A questo punto del progetto si è completata la fase conoscitiva (risorse e soggetti), ma prima di passare alla valutazione complessiva del capitale territoriale, nella fase 3 il progetto si occuperà di sperimentare alcune azioni di animazione con il duplice scopo di testare le conoscenze acquisite e di integrarle con le indicazioni che emergeranno da una serie di incontri. Questi incontri si svolgeranno utilizzando alcuni strumenti metodologici che faciliteranno la discussione e il raggiungimento di risultati condivisi e coinvolgeranno alcune categorie di soggetti, secondo un programma che sarà deciso in seguito ai risultati emersi nella seconda fase progettuale. Si tratta in pratica di attivare alcuni “laboratori sociali” specifici per singole questioni di interesse per cercare di identificare qualche possibile soluzione. I modelli di partecipazione applicati nel confronti dei cittadini, appartengono quasi sempre alla categoria della comunicazione verticale: da una parte i decisori (top), dall‟altra i cittadini (down). Un modello assai meno diffuso è quello della comunicazione orizzontale: in questo caso tutte le parti sociale entrano in un processo di partecipazione e interagiscono con l‟obiettivo di arrivare ad un accordo attraverso la negoziazione e la mediazione. Questo è il tipo di modello che si vuole sperimentare con questo progetto, per verificarne la fattibilità e l‟utilità. A questo punto (fase 4) sarà possibile identificare il cosiddetto capitale territoriale come sintesi delle risorse territoriali e come base per la valutazione dell‟offerta destinata ai potenziali fruitori, residenti innanzitutto, ma anche turisti ed investitori esterni. L‟identificazione e la valutazione del capitale territoriale è un approccio di analisi ormai consolidato e utilizzato in ambito di pianificazione delle aree Leader, in quanto consente di effettuare il posizionamento strategico di ogni territorio nel contesto globale. Questo metodo ha il pregio di evidenziare gli elementi caratterizzanti dell‟offerta che possono distinguere un‟area da quelle limitrofe e migliorarne quindi le capacità competitive. Poiché il progetto ha finalità esclusivamente sperimentali e non programmatorie, non si giungerà alla definizione di un vero e proprio un progetto di sviluppo locale ma l‟intento è quello di organizzare tutti quegli elementi, conoscitivi e metodologici, che sono alla base di una corretta e

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razionale programmazione territoriale integrata delle aree rurali, nel rispetto del significato attribuito al termine di “Distretto Rurale”.

Zone preferenziali e aree sperimentali

La definizione delle aree sperimentali è stata una fase preliminare che non prefigura la costituzione in quei luoghi di un vero e proprio Distretto Rurale ma è stata utilizzata per individuare alcuni “laboratori territoriali” dove verificare la validità e l‟efficacia di alcuni strumenti metodologici. Infatti l‟individuazione di un eventuale Distretto Rurale non è ragionevole effettuarla solo sulla base di parametri oggettivi (es. dati statistici) ma occorre integrare questi con informazioni qualitative che potranno essere raccolte solo durante l‟esecuzione del progetto (es. sistema di relazioni). I Distretti Rurali, in seguito, potranno eventualmente essere identificati alla luce dei risultati progettuali. La preselezione effettuata quindi non prefigura l‟identificazione di eventuali futuri distretti rurali e il suo obiettivo è esclusivamente quello di circoscrivere alcuni ambiti territoriali circoscritti per semplificare la lettura e l‟analisi delle sperimentazioni. In ogni caso si è scelto di utilizzare fin dalla fase preliminare alcuni criteri oggettivi per la preselezione nel tentativo di migliorare l‟efficacia delle azioni programmate. Le aree sperimentali sono state individuate attraverso questi passaggi:

> definizione delle zone preferenziali per lo sviluppo rurale regionale; > delimitazione all‟interno delle zone di aggregati di comuni con

maggiore intensità di domanda di politiche per lo sviluppo rurale.

Per quanto riguarda il primo punto si è proceduto ad una zonizzazione complessiva del territorio regionale al fine di prendere in considerazione solo i comuni che presentano i caratteri associati al concetto comunitario dello sviluppo rurale ovvero:

> la diffusa e moderata presenza di popolazione; > l‟importanza delle attività agricole sotto il profilo territoriale; > l‟equilibro tra attività agricole ed extra-agricole sotto il profilo socio-

economico

Ad ognuno di questi tre punti è stato associato un indicatore statistico cos‟ come descritto di seguito. Per la presenza di popolazione, l‟indicatore che è sembrato più adatto allo scopo è la densità di popolazione residente (abitanti per Kmq), a cui è stato aggiunta una ulteriore condizione per evitare che centri urbani di media grandezza con ampie estensioni amministrative e centri minori compresi in piccoli comuni fossero classificati alla stessa maniera1.

1 Ad esempio un centro di 20 mila abitanti con una estensione amministrativa di 200 kmq ha la stessa densità di popolazione

(100 ab/kmq) di un paese di 2000 abitanti in un comune di 20 kmq di superficie territoriale. Le caratteristiche insediative di questi due comuni sono sicuramente diverse così come le dotazioni infrastrutturali (viabilità, servizi, …) e quindi non possono essere considerati allo stesso modo.

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La quota di SAU sul totale di superficie territoriale esprime invece il peso dell‟agricoltura nell‟uso del territorio. Infine per quanto riguarda l‟equilibrio tra attività agricole ed extra agricole sotto il profilo socio-economico, è stato considerato il tasso di attività dei diversi settori economici2 assumendo che una bassa percentuale dell‟attività in agricoltura, sia indice della prevalenza degli altri settori produttivi e segnali di conseguenza uno “squilibrio” nell‟ambito delle economie locali. La sintesi di questi tre indicatori in un‟unica rappresentazione cartografica è un‟operazione non esente da rischi interpretativi in quanto non esistono valori di soglia prefissati ed unanimemente riconosciuti, ad eccezione della densità demografica, dove l‟OCSE fissa in 150 abitanti/kmq il livello che discrimina le aree rurali da quelle urbane. Di conseguenza viene adottata la seguente metodologia:

> di ogni variabile è stato calcolato il rapporto tra il valore comunale e la media regionale (media regione = 100);

> i comuni con una densità di popolazione sopra la media e con almeno uno dei due altri parametri al di sotto della media regionale sono stati considerati “non rurali”;

> i comuni con una densità sotto la media ma con la quota di SAU al di sopra della media regionale sono stati considerati “rurali a carattere sociale”, così come i comuni con tutti e tre gli indicatori sopra la media;

> tutti le altre combinazioni di indicatori individuano i comuni “rurali a carattere territoriale”.

Infine è stato utilizzato un criterio aggiuntivo per evitare le distorsioni prodotte dalle eterogenee estensioni amministrative; il criterio è il seguente;

> se la popolazione che risiede nelle aree urbane supera i 10 mila abitanti, l'intero comune viene considerato "non rurale" anche se la densità abitativa è inferiore alla media;

> se la popolazione che risiede nelle aree urbane è inferiore ai 2 mila abitanti, anche se la densità complessiva è superiore alla media, il comune è considerato rurale a carattere sociale.

In sintesi le tre tipologie distrettuali individuate sono:

> le zone rurali a carattere sociale (ZRS), sono costituite da quelle aree in cui l‟agricoltura è rilevante sotto il profilo socio-economico e territoriale e dove è ancora presente una considerevole densità demografica;

> le zone rurali a carattere territoriale (ZRT) riguardano quelle aree poco popolate in cui l‟agricoltura riveste spesso un ruolo rilevante sotto il profilo socio-economico, ma a causa della debolezza degli altri

2 Rapporto tra popolazione residente attiva in condizione professionale nel settore agricolo sul totale della popolazione attiva

(censimento popolazione 1991).

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settori economici (SAU quasi sempre sotto la media e addetti agricoli sopra la media);

> le zone non rurali (ZNR) sono quelle densamente popolate in cui l‟agricoltura svolge un ruolo secondario o nel gestire il territorio o nell‟ambito dell‟economie locali o per entrambi le condizioni.

La carta tematica che segue mostra la distribuzione territoriale delle tipologie territoriali appena descritte.

Figura 1 - I caratteri territoriali rurali dei comuni marchigiani Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

I territori “non rurali” (comuni in bianco) sono concentrati lungo la costa e comprendono tutti i capoluoghi provinciali; solo alcuni comuni dell‟entroterra risultano presenti in questa tipologia. Le zone “rurali a carattere sociale” (colore chiaro) coincidono quasi perfettamente con la fascia collinare interna della regione, toccando appena la costa nell‟ascolano e addentrandosi nella dorsale appenninica con alcuni comuni ricadenti nella cosiddetta sinclinale camerte (Matelica e Castelraimondo). Infine lungo la dorsale appenninica si addensano i comuni “rurali a carattere territoriale” (colore scuro), con alcuni casi isolati nella fascia collinare di piccoli comuni “satellite” dei maggiori centri urbani3. In generale sono proprio queste due ultime tipologie territoriali che manifestano quei requisiti che le rendono adatte a interventi di sviluppo rurale: nella prima è la presenza di un consistente tessuto sociale ed economico a caratterizzare il

3 Alcuni piccoli comuni prossimi a grandi centri urbani quali ad esempio Tavullia per Pesaro e Camerata Picena per Ancona

mostrano densità abitative sotto la media e tassi di attività agricola sopra la media. Questo fenomeno è probabilmente dovuto al fatto che le città hanno attirato i residenti dei piccoli comuni “satellite” ed in particolare quelli occupati in settori extra-agricoli.

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territorio, nella seconda invece sono le risorse naturali che prendono il sopravvento su una società ed una economia più marginale. All‟interno di queste due ultime zone sono state successivamente individuate le aree sperimentali utilizzando l‟intensità della domanda di politiche per lo sviluppo rurale come criterio di selezione. L‟indicatore scelto per evidenziare questo fenomeno è dato dal numero di domande presentate per accedere agli interventi programmati nel Piano di Sviluppo Rurale regionale, ponderato sulle aziende agricole e sulla manodopera aziendale. In particolare è stata scelta una misura per ogni asse prioritario di intervento e stilata una graduatoria sulla base dei percentili per giungere ad un indicatore di sintesi costituito dalla media dei tre assi. La carta tematica che segue rappresenta la distribuzione geografica di questo indicatore suddiviso in quattro classi di intensità.

Figura 2 - L’intensità di domanda per le politiche di sviluppo rurale

Fonte: nostra elaborazione su dati Regione Marche

L‟individuazione delle aree sperimentali è scaturita dalla lettura di questa carta tematica, ma anche tenendo in considerazione la disponibilità mostrata dai GAL e dei Comuni aderenti al progetto. Le aree individuate sono cinque, comprese nelle province di Ancona e Macerata. La tabella che segue mostra le dimensioni dei comuni selezionati in termini di superficie territoriale e popolazione residente.

Intensità relativa

Massima

Alta

Bassa

Modesta

Nulla

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Comune Superficie (kmq) Abitanti Densità Kmq

Castelplanio 15,07 3.226 214

Montecarotto 24,08 2.178 90

Serra de' Conti 24,52 3.456 141

Poggio San Marcello 13,53 737 54

Rosora 9,42 1.745 185

Totale area 1 86,62 11.342 131

Mergo 7,26 970 134

Serra San Quirico 49,12 3.015 61

Apiro 53,65 2.431 45

Poggio San Vicino 12,91 303 23

Totale area 2 122,94 6.719 55

Muccia 25,65 888 35

Pievebovigliana 27,33 880 32

Pieve Torina 74,85 1.377 18

Totale area 3 127,83 3.145 25

Gualdo 22,11 920 42

Monte San Martino 18,5 820 44

Penna San Giovanni 28,18 1.302 46

Totale area 4 68,79 3.042 44

Fiuminata 76,67 1.515 20

Pioraco 19,48 1.231 63

Sefro 42,31 433 10

Totale area 5 138,46 3.179 23

Totale generale 544,64 27.427 50

Tabella 1 - Le aree selezionate per la sperimentazione delle metodologie Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

La scelta di queste aree ha rappresentato il punto di partenza della ricerca i cui risultati sono descritti nei capitoli successivi.

Come consultare questo documento

Prima di procedere con la lettura dei risultati dello studio è opportuno sottolineare che date le finalità del sperimentali del progetto, il documento prodotto risponde a due differenti esigenze non sempre conciliabili:

1. la prima è quella di sperimentare e descrivere un percorso logico-metodologico che sia in grado di identificare ed esprimere i caratteri di un territorio ed in definitiva ciò che esso ha da offrire (capitale territoriale);

2. la seconda è di giungere alla determinazione di alcuni elementi distintivi capaci di facilitare il processo di riconoscimento dei Distretti Rurali da parte dell‟Ente regionale.

Dato il duplice scopo, il rapporto è strutturato un due parti: la prima descrive la strumentazione e le metodologie sperimentate e selezionate, mentre la seconda accoglie i risultati della loro applicazione sulle aree selezionate.

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E‟ bene precisare che la seconda parte non descrive i risultati di una analisi completa ed approfondita dei territori presi a riferimento, ma tocca in sintesi quei punti che si ritengono essenziali per una corretta e razionale valutazione del capitale territoriale. Si tratta di una sorta di simulazione in quanto lo scopo progettuale non era quello di produrre conoscenza sui territori presi in considerazione, ma di verificare l‟adeguatezza del metodo per la produzione di conoscenza. D‟altro canto, è stato detto precedentemente, che le aree selezionate non prefigurano in alcun modo un distretto rurale e quindi sarebbe stato inutile e controproducente sotto il profilo della chiarezza espositiva, sviluppare cinque distinte analisi territoriali. Le analisi quindi sono esemplificative e propongono ciò che invece dovrebbe essere fatto in maniera molto più approfondita nel momento in cui si intenda valutare e proporre un territorio sotto forma di Distretto Rurale. In estrema sintesi il documento descrive due percorsi logici:

1. il primo è quello che porta ad assegnare al termine “Distretto Rurale” un significato più preciso e concreto rispetto a quello definito dalla normativa nazionale, inquadrandolo nella realtà regionale;

2. il secondo propone un processo di autovalutazione delle risorse presenti sul territorio capace di attestare la presenza dei caratteri distrettuali così come definiti al punto 1.

Il termine autovalutazione è sottolineato in quanto si ritiene che il processo di produzione della conoscenza sul territorio sia esso stesso una metodologia che consente ai soggetti “promotori” del Distretto di apprendere e di rafforzare la consapevolezza di appartenere ad una entità geografica ben identificabile, attraverso la raccolta sistematica delle informazioni sul territorio e l‟identificazione e il coinvolgimento dei i principali soggetti che vi operano. Infine una annotazione sulla grafica utilizzata nel testo. Per commentare alcuni passaggi nel testo, sono stati utilizzati questi riquadri:

box di commento

per evidenziare che si tratta di una nota di commento destinata a coloro che vorranno seguire lo stesso percorso metodologico.

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ANALISI DEL CONTESTO NORMATIVO

Un quadro introduttivo

► L’agricoltura dopo la riforma del titolo V

La legge cost. n. 3/2001 di revisione del titolo V parte II della Costituzione ha introdotto delle conseguenze rilevanti anche per ciò che concerne la materia dell‟agricoltura. Facendo un raffronto tra l‟art. 117 Cost. nella versione anteriore alla riforma e la medesima disposizione nella nuova stesura, emerge la scomparsa della menzione della materia agricoltura. Nel vecchio art. 117 la materia “agricoltura e foreste” (unitamente alle materie affini della “caccia” e della “pesca nelle acque interne”) rientrava tra i settori nei quali le Regioni erano legittimate a legiferare nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dalle c.d. leggi-cornice dello Stato, oltre che nel rispetto dell‟interesse nazionale e di altre regioni: l‟agricoltura era dunque inserita tra le materie riservata alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni. Nel nuovo art. 117, la materia agricoltura non viene menzionata né nel comma 2 (materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato) né nel comma 3 (materie riservate alla potestà concorrente), per cui si desume che essa ricada nell‟ambito applicativo del nuovo art. 117/co. 4 (“Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.” ). Non è però pensabile che la legislazione statale incidente in materia agricola sia destinata a venire completamente meno, visto il combinato disposto di due diversi elementi: da un lato, la forte incidenza della normativa di origine comunitaria (regolamenti e direttive) che necessita sia di un‟attuazione uniforme sull‟intero territorio nazionale (di qui la possibilità dell‟esercizio del potere sostitutivo statale in caso di inadempienza regionale, ai sensi dell‟art. 117/co.5 e 120/co. 2 Cost.), sia di un completo ripensamento del meccanismo di partecipazione delle regioni alla produzione (fase ascendente) e all‟attuazione (fase discendente) del diritto comunitario; d‟altro lato, la contiguità tra la materia agricola e alcune materie contenute nell‟elenco di cui agli artt. 117/co. 2-3 Cost. dà titolo al legislatore statale per intervenire in via esclusiva o concorrente, erodendo lo spazio residuo destinabile alla normazione regionale, con un evidente problema di sovrapposizione tra gli ambiti di competenza dei due diversi livelli di legislazione. Con il nuovo titolo V, l‟impressione è che, al di là della attribuzione alle Regioni della competenza legislativa residuale in materia agricola, i poteri regionali effettivi siano in realtà diminuiti: l‟art. 117 Cost. prevede una serie di competenze esclusive dello Stato idonee a marginalizzare le competenze residuali regionali. Un esempio, è dato dalla “tutela della concorrenza”: essa limita le competenze agricole delle Regioni, dal momento che la legislazione agraria regionale è prevalentemente orientata all‟erogazione di sostegni a categorie di imprenditori agricoli; essendo la concorrenza di competenza

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esclusiva dello Stato, ogni atto regionale volto a sostenere gli agricoltori, anche se di esecuzione della normativa comunitaria, dovrebbe essere assoggettato alla verifica del potere statale, ovvero potrebbe essere presentato un ricorso alla Corte Costituzionale per violazione delle regole sulla competenza. Le Regioni, per porsi al riparo da questo pericolo, hanno preteso, in sede di Conferenza Stato-Regioni-Province Autonome, che nella L. n. 38/2003 sia previsto, all‟art. 1/co. 2 lett. b), che ogni progetto di legge regionale il quale implichi deroghe alle regole della concorrenza sia assoggettato al “nihil obstat” del governo che, in seguito, provvederà ad inoltrarlo alla Commissione C.E. e a seguirne l‟iter comunitario. Dunque si rileva come l‟intreccio tra normativa comunitaria, competenze esclusive dello Stato e competenze concorrenti Stato-Regione privino di significato la riserva di competenza residuale regionale in materia di agricoltura. Per ciò che concerne le nuove norme costituzionali sul riparto di competenze regolamentari e amministrative ai sensi dell‟art. 117/co.6 e 118/co.1 Cost., tutte le leggi aventi incidenza sull‟agricoltura possono trovare attuazione solo mediante la potestà regolamentare delle Regioni: i vari profili della valorizzazione e gestione dei beni ambientali, del governo del territorio, del paesaggio, dello spazio rurale, dell‟alimentazione e della tutela della salute implicano al massimo un potere statale di determinazione dei principi fondamentali, senza alcuna possibilità di dettare norme di dettaglio. Occorre però sottolineare come il governo dell‟agricoltura è stato attribuito, come materia esclusiva, alla Comunità europea (artt. 32 e ss. Trattato C.E.). La costituzione di un mercato unico dei prodotti agricoli, da preferirsi rispetto a quelli extra-comunitari e con suddivisione dei costi tra gli Stati membri, non può che essere disciplinata e gestita unitariamente e, quindi, direttamente ed esclusivamente dall‟Unione europea. Dunque, considerata la competenza esclusiva della Comunità nella materia agricoltura e il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale, gli interventi normativi delle Regioni nella materia agricoltura avranno soprattutto una natura ed un carattere di normazione di mera attuazione, ovvero “regolamentare”. Per concludere, la materia agricoltura risulta composta da vari frammenti incisi da altre competenze, come quelle esclusive dello Stato in tema di “tutela della concorrenza” e di “tutela dell’ambiente”, e come quelle statali in ordine ai principi fondamentali delle normative regionali di “sostegno all’innovazione per i settori produttivi”, di “tutela della salute”, di “governo del territorio” e di “alimentazione”. Più in generale, gli interventi in tema di agricoltura non sono collegati ad una materia in senso stretto, bensì ad una attività e ad un complesso di norme di disciplina, ossia con una politica connessa ad una serie di settori ampliabili a dismisura. L‟inestricabile intreccio con altri interessi e competenze fa sì che possano ricorrere, nelle componenti dell‟agricoltura, una pluralità di titoli di legittimazione per interventi statali, i quali finiscono con il soddisfare esigenze di carattere unitario definite dallo Stato, ma incidendo nell‟ambito delle attribuzioni delle Regioni che, per la presenza di ulteriori esigenze locali, sono però anch‟esse pienamente legittimate a regolare l‟attività economica primaria dell‟agricoltura nell‟area territoriale di propria competenza. Di qui la necessità, in futuro, di un frequente intervento della Corte Costituzionale per ridefinire i limiti delle rispettive competenze.

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► La situazione a livello regionale: il caso delle Marche

Esaminati i profili di carattere generale si passerà ora all‟analisi del contesto marchigiano. Con la deliberazione legislativa statutaria approvata dal Consiglio regionale in prima votazione, a maggioranza assoluta nella seduta del 22 luglio 2004, n. 199 è stato approvato il nuovo statuto della regione Marche. L‟approvazione del nuovo statuto, che risponde ad un preciso dettato previsto dal nuovo titolo V della Costituzione, costituisce un importante punto di partenza per la comprensione delle relazioni istituzionale nella materia agricoltura tra l‟ente regione e gli altri enti locali territoriali che hanno competenze nella disciplina della materia. Di particolare importanza il titolo V del nuovo statuto che disciplina i rapporti con le autonomie locali. Il comma 3 dell‟art 36 prevede che “ …La regione conferisce agli enti locali, con legge e previo parere del Consiglio delle autonomie locali, le funzioni amministrative secondo principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”. Tale affermazione di principio risulta particolarmente rilevante nella ricerca riguardante la prospettabilità dell‟istituzione di distretti rurali. In questa materia è infatti prevedibile che l‟esigenza di avere competenze normative vicine agli interessi da tutelare e da valorizzare sarà fortemente sentita dagli operatori del distretto rurale. Allo stato attuale bisogna far riferimento alla fondamentale legge regionale 27 luglio 1998 n.24 intitolata “Disciplina organica dell'esercizio delle funzioni amministrative in materia agro-alimentare, forestale, di caccia e di pesca nel territorio regionale.” Finalità espressa di tale legge è quella di conferire ai Comuni, alle Comunità montane e alle Province di tutte le funzioni relative alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità in materia di agricoltura, foreste, agriturismo, sviluppo rurale, agroindustria, alimentazione, caccia, pesca ed acquacoltura. Il conferimento si ispira a principi di:

1. sussidiarietà, per cui tutte le funzioni regionali che non attengono ad esigenze unitarie per la collettività e il territorio regionale sono attribuite o delegate con legge regionale ai Comuni, alle Comunità montane e alle Province secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative;

2. cooperazione, per cui all'individuazione delle funzioni di interesse unitario regionale e alla determinazione dell'ente cui vengono conferite le singole funzioni, così come alla definizione dei tempi e delle modalità del trasferimento dei beni, del personale e delle risorse finanziarie, la Regione procede assicurando la massima partecipazione degli enti interessati;

3. completezza, di omogeneità e di unicità della responsabilità amministrativa, in modo da assicurare ai singoli enti l'unitaria responsabilità di servizi e funzioni amministrative omogenei e un'effettiva autonomia di organizzazione e di svolgimento;

4. adeguatezza e di differenziazione nell'allocazione delle funzioni, in modo da assicurare un adeguato ed efficiente esercizio delle funzioni anche attraverso la differenziazione dei conferimenti in considerazione delle diverse caratteristiche e dimensioni degli enti riceventi in relazione all'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l'esercizio delle funzioni;

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5. copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l'esercizio delle funzioni amministrative conferite.

Altro principio di notevole importanza è quello che prevede il rapporto diretto dei cittadini con i Comuni; i cittadini possono rivolgersi agli uffici dei Comuni per qualsiasi pratica amministrativa che riguardi le funzioni disciplinate dalla legge n.24/‟98. L'ufficio informa il cittadino sul procedimento da seguire. Nel prosieguo della legge si provvede poi ad elencare le attività di competenza dei Comuni, della Regione, delle Province e delle Comunità Montane omettendo di riservare le attività innominate ad uno specifico ente. Per concludere l‟esame sommario della l. 24/‟98 si deve notare che la Giunta regionale ha presentato in data 30 marzo 2004 la proposta di legge n. 238 concernente modifiche alla legge citata. Tale proposta intende completare il processo avviato liberando definitivamente la Regione dalle funzioni gestionali che non richiedono l‟unitario esercizio a livello regionale, potenziando le competenze di Comuni, Province e Comunità Montane al fine di avvicinarsi il più possibile ai cittadini il livello decisionale e favorire la qualificazione e l‟accrescimento della competitività e dell‟efficienza nel settore dell‟agricoltura. La proposta, in particolare, trasferisce ai Comuni le funzioni amministrative concernenti l‟autorizzazione e la vigilanza relativa all‟abbattimento di piante d‟olivo, la dichiarazione per l‟immatricolazione ed il trasferimento di proprietà delle macchine agricole, le agevolazioni fiscali per la proprietà contadina ed il vincolo di indivisibilità relativo ai fondi rustici acquistati con agevolazioni o finanziamenti pubblici. Assegna, inoltre, alle Province le funzioni amministrative concernenti la denuncia di inizio attività e la tenuta degli elenchi degli operatori biologici, l‟autorizzazione per il prelevamento del carburante a prezzi agevolati e la tenuta dell‟elenco dei motori agricoli, nonché l‟assistenza agli stessi. La proposta, poi, anche in relazione alla grande rilevanza dell‟intervento dell‟Unione Europea nel settore, prevede il concorso delle Province, quali enti di riferimento di area vasta, alla programmazione delle politiche agricole e rurali, con particolare riferimento all‟utilizzo dei finanziamenti comunitari ed impone alla Giunta regionale di definire, acquisito il parere della Conferenza regionale delle autonomie locali, i criteri e le modalità per la partecipazione degli enti locali alla gestione dei finanziamenti, nonché ai comitati di sorveglianza sugli interventi di sostegno allo sviluppo rurale. Nella prospettiva della valorizzazione della sussidiarietà orizzontale, la proposta prevede anche la possibilità per gli enti locali di avvalersi, nell‟esercizio delle funzioni conferite, dei centri autorizzati di assistenza agricola. La proposta, inoltre, affianca alla redifinizione dell‟assetto delle funzioni amministrative, alcuni interventi di semplificazione del quadro normativo, come quello riguardante la soppressione della licenza e della denuncia relative alla trebbiatura e sgranature a macchina dei cereali e delle leguminose di cui al decreto legislativo luogotenenziale 3 luglio 1944 n.152, nonché l‟abrogazione di leggi regionali da tempo non operanti. La proposta, infine, fissa al 31 dicembre 2004 il termine per il trasferimento agli enti locali delle risorse finanziarie, umane, organizzative e strumentali necessarie per l‟esercizio delle funzioni conferite.

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► Problematiche e prospettive istituzionali ed economiche dell’istituzione dei distretti rurali

Numerose sono le problematiche di sviluppo rurale che il distretto rurale dovrebbe facilitare. In questa relazione ci atterremo agli aspetti strettamente agricoli e agroindustriali e aspetti connessi. Questi saranno, secondo i soggetti istituzionali ed economici intervistati, il volano a cui poi collegare tutto lo sviluppo del distretto rurale, a partire dalle attività artigianali locali e servizi turistici. Secondo gli operatori economici intervistati, il distretto rurale dovrebbe primariamente rafforzare lo sbocco sul mercato dei prodotti e servizi offerti dal territorio delineato nel distretto. Il DR quindi come valore di vero e proprio marketing per l‟offerta integrata di prodotti alimentari, di servizi di artigianato tipico e locale, di itinerari turistici di carattere storico, artistico, paesaggistico e culturale. In questo modo il DR valorizzerebbe le caratteristiche intrinseche a territori marginali, sviluppando la crescita economica di tali aree. Sarebbe opportuno progettare sin dalla costituzione del DR l‟utilizzo di un marchio per contraddistinguere sul mercato i prodotti e servizi offerti e per il lancio di adeguate campagne pubblicitarie e promozionali. Discorso collegato alla valorizzazione commerciale del territorio é quello riguardante la valorizzazione e l‟integrazione dei prodotti tipici presenti all‟interno del territorio del DR. Il distretto costituirà un‟opportunità per coalizzare le tipicità presenti sul territorio e offrire tipicità per così dire di scala, cioè offerta di prodotti tipici quantitativamente adeguata alla domanda internazionale di tali prodotti. Altro rilevante tema è quello dei modi di finanziamento del DR. Gli operatori del settore si domandano in che termini si porrà il DR rispetto al GAL e al PSR e su quale fondo comunitario si appoggerà. Ci sarà delega piena sui fondi oppure ci sarà il controllo della regione come per il GAL? Il punto della gestione del DR è quello maggiormente sentito dagli operatori. La questione è articolata se si pensa che il DR può essere gestito a livello locale o a livello regionale; la proprietà dell‟eventuale società può essere pubblica, privata o mista. Gli operatori locali propendono per una struttura costruita dal basso, con gestione a livello locale e con capitale privato. Tale modello di struttura dovrebbe essere il più idoneo a favorire lo sviluppo. Ultimo punto che merita riflessione è quello riguardante il coordinamento delle competenze del DR con le competenze degli altri enti locali interessati ( province ,in primo luogo, comunità montane, comuni e camere di commercio)

Programmazione negoziata in

agricoltura e sviluppo locale

► Processi economici, indirizzo politico, programmazione negoziata

La programmazione negoziata è un fenomeno di recente acquisizione nel panorama socio-economico e giuridico-istituzionale del nostro Paese.

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Per essa si intende “la regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l‟attuazione di interventi diversi, riferiti ad un‟unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza”4; interventi inizialmente previsti per i settori dell‟industria, agroindustria, servizi, turismo ed in quello dell‟apparato infrastrutturale, tra loro integrati5 e, successivamente, per il settore agricolo6. La programmazione negoziata, anche in agricoltura, nasce da un contesto di trasformazione e di movimento che coinvolge in modo specularmente simmetrico, ma pressochè contestuale: i processi economici internazionali (caratterizzati, in sintesi, dalla “dematerializzazione” della produzione e dalla “globalizzazione” degli scambi); la revisione, anche per forza di cose, conseguente, della Politica agricola comune, recentemente ribadita dalla riforma di medio termine di cui al Reg. Cee n. 1782/2003; la recente riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione, culminata con la legge costituzionale n. 3/2001 ed ulteriormente oggetto di revisione; la riconsiderazione della nozione e della funzione di indirizzo politico, in ragione della poliarchia dei centri decisionali e ad una spiccata “complessità” istituzionale. La maturazione congiunta, ancorchè distinta, di questi non trascurabili fenomeni porta inevitabilmente ad un rimodellamento dell‟intervento pubblico e delle forme attraverso cui esso si è fin qui manifestato. L‟evoluzione dell‟intervento pubblico in agricoltura e gli stessi aspetti della contrattazione programmata non verrebbero, infatti, colti appieno se non inquadrati preliminarmente all‟interno del più complessivo processo economico mondiale caratterizzato da una rapidità ed ampiezza dei commerci mai viste prima e da una concorrenza sempre più serrata, che determinano nuove regole giuridiche nei rapporti di scambio e che si riverberano inevitabilmente anche sui processi produttivi agricoli. Nell‟economia e nella società attuali si sta chiudendo un grande ciclo storico aperto nel XVIII° secolo con la “rivoluzione industriale”, che faceva coincidere il processo produttivo con il fenomeno industriale e l‟economia mondiale con quella occidentale, e che modellava il sistema politico economico sullo schema Stato-nazione-mercato [J. Kemp]. Al contrario, ci troviamo oggi dinanzi a processi di informatizzazione, globalizzazione e liberalizzazione negli scambi economici che incidono sugli assetti istituzionali, imponendo e determinando profondi mutamenti agli standards tradizionali dello Stato di diritto e sociale, a partire dall‟esercizio della stessa sovranità nazionale. In sostanza, alla globalizzazione dei mercati corrispondono l‟obsolescenza degli Stati nazionali. Per il primo profilo, come è stato rilevato [J. Rifkin], l‟economia, almeno in termini fisici, si sta contraendo. Se l‟era industriale, infatti, si caratterizzava

4 Così art. 1, comma 1, lett. b) del decreto legge 8 febbraio 1995, n.32, convertito nella legge 7 aprile 1995, n. 104, e,

analogamente, art. 2, comma 203, lett. a) della legge 23 dicembre 1996, n. 662. 5 Così la delibera Cipe 21 marzo 1997, “Disciplina della programmazione negoziata” - Gazz. uff., 8 maggio 1997, n. 105 - al

par. 2.1. ed al par. 3.1. 6 “Estensione degli strumenti previsti dalla programmazione negoziata all’agricoltura e alla pesca. Attuazione dell’art. 10 del

decreto legislativo 30 aprile 1978, n. 173”, in Gazz. Uff., 7 gennaio 1999, n. 4.

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per l‟accumulazione di capitale fisico e di beni “reali”, la nuova privilegia forme intangibili di potere, raccolte in pacchetti di informazione e di capitale intellettuale. L‟economia, insomma, sta conoscendo una progressiva perdita di peso, e non solo in senso fisico, come avviene nel caso di pochi grammi di fibre ottiche che hanno più capacità di trasmissione di una tonnellata di rame. Si assiste, in sostanza, ad una vera e propria dematerializzazione dei processi produttivi: la tecnologia industriale tende ad essere sostituita dalla tecnica contrattuale, che costruisce nuovi progetti finanziari, dai commercial papers agli immobili in multiproprietà. La stessa moneta cartacea, che già aveva significativamente sostituito quella aurea, oggi è a sua volta sostituita dalla “moneta scritturale”, dematerializzandosi in un numero trasmesso per impulso elettronico. Il marchio, che nella società industriale era solo il segno distintivo delle merci prodotte, oggi è esso stesso un bene, un bene immateriale dal valore spesso più elevato rispetto all‟insieme delle altre componenti aziendali ed autonomamente circolante rispetto all‟azienda stessa [N. Klein]. I prodotti non sono l‟unica cosa che sta perdendo di peso, ma anche gli stessi immobili si vanno riducendo: le imprese, infatti, creano “spazi aperti” da adattare al lavoro in rete, sostituendo allo spazio privato, inteso come gerarchico, uno spazio sociale, circolare, in cui ci si scambia informazioni, conoscenze, esperienze [G. Soros]. Comparando, insomma, gli effetti della rivoluzione informatica rispetto a quella industriale, non si può non rilevare come il ruolo dalla proprietà dei mezzi di produzione sia stato progressivamente sostituito dal possesso o dall‟accesso alla conoscenza come forza conduttrice; conoscenza i cui contenuti e confini mutano rapidamente, rendendo rilevante l‟esigenza di una forza lavoro flessibile e ben istruita, al contrario di quanto era richiesto in una società industriale, che necessitava di una massa di operai manuali con abilità relativamente limitate e costanti [S. Bensasson]. Se la rivoluzione industriale strappò artigiani e contadini dalle loro occupazioni e dai loro paesi per rovesciarli ed inserirli nelle nascenti realtà metropolitane (basti pensare alle straordinarie testimonianze letterarie lasciateci, tra gli altri, da Zola, Dickens), oggi, invece, è il Sud del mondo a rovesciarsi in Occidente, con effetti di straordinaria rilevanza non solo per quanto riguarda i processi economici, ma anche gli aspetti sociali e culturali dei Paesi di arrivo [A. Giddens]. Per quanto riguarda il secondo profilo, relativo, cioè, alla crisi della “forma” Stato tradizionale, innanzitutto, ordinamento statale e mercati divengono asimmetrici in quanto questi ultimi si deterritorializzano, consentendo agli investimenti privati di sfuggire al controllo statale [S. Cassese]: la parte più mobile degli investimenti, quella finanziaria, si sottrae di regola al controllo di un solo Stato [A. Giovannini]. In secondo luogo, lo Stato perde parte della propria sovranità a causa dell‟influenza esercitata sulle proprie decisioni dalle scelte effettuate dagli altri governi, con effetti ed eventi ultranazionali, peraltro ingigantiti ed espansi dalla rapidità con cui si verificano e dalla estrema visibilità a cui sono sottoposte, come avviene nella politica monetaria; secondo alcune tesi, anzi, la perdita

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della sovranità nazionale nell‟ambito monetario e finanziario è (oltre che evidente) ormai conclusa, poiché la diffusione dei mezzi dell‟informatica, unita alla possibilità di agire liberamente sui mercati mondiali e all‟intensa attività innovativa nel settore, ha causato il trasferimento della sovranità monetaria dalle autorità al mercato [P. Savona]. Analogamente avviene nella politica fiscale ed in quella del lavoro. Nel primo caso, il fisco, il cui orizzonte è stato fin qui agrario, “nel senso latino di ager - che - si forma e si ferma sui confini dei territori degli Stati” [G. Tremonti], perde molti “clienti” sempre più alla ricerca di “paradisi artificiali” e soprattutto paga il costo della disimmetria tra ricchezza trasnazionale e potere fiscale nazionale. La perdita della sovranità fiscale è meno palese e modesta di quanto possa apparire in superficie; se si considera, infatti, che “le leggi di spesa e i bilanci pubblici vengono „votati‟ prima e dopo dai mercati, attraverso variazioni nei tassi dell‟interesse, nelle quotazioni azionarie, nei prezzi delle materie prime e nei rapporti di cambio, ci si può rendere conto che i parlamenti, nati per decidere e controllare le „spese del principe‟ e, più recentemente, la distribuzione dei redditi, non hanno più la libertà per farlo” [P. Savona]: ne consegue “l‟impoverimento degli Stati-nazione per le loro incapacità a finanziare le prestazioni collettive con le imposte” [J.M. Guéhenno], nonché l‟erosione delle fondamenta dello Stato gestore [A. La Spina – G. Majone]. Nel secondo caso, ovvero nella politica (e nel diritto) del lavoro, quelli che erano i connotati tradizionali, la nazionalità e la standardizzazione, sono messi in discussione da due fattori fondamentali nell‟evoluzione dei processi economico-produttivi in corso, ovvero l‟internazionalizzazione e la diversificazione: entrambe rese possibili e radicalizzate dallo sviluppo di nuove tecnologie, specie informatiche [T. Treu]. La diversificazione dei lavori, specie terziari (ma non solo), si accompagna ad esasperate frammentazioni, se non a forme di miniaturizzazione, del mercato del lavoro, che frantumano, differenziano, circoscrivono e rendono meno comunicanti tra loro i gruppi di cui è composta la popolazione lavoratrice. Inoltre, la “mobilità” e la deterritorializzazione delle imprese erode la sovranità dei diritti nazionali del lavoro, aggirandone l‟efficacia ed in un modo tanto più marcato quanto più si interconnettono le economie e crescono le tecnologie informatiche [F. Rampini]. La globalizzazione dei mercati induce nei paesi più avanzati una caduta della domanda di lavoro non specializzato e una crescita della domanda di lavoratori ad alto livello professionale, determinando, da un lato, un forte ampliamento del ventaglio retributivo e, dall‟altro, una condizione di precarietà per i lavoratori più deboli [U. Beck], che subiscono la concorrenza del mercato del lavoro nei Paesi emergenti [M. Arcelli]. In sostanza, i contenuti del lavoro cambiano perché le attività materiali (tanto di produzione, trasformazione e costruzione, quanto che di manutenzione, riparazione e ripristino) lasciano spazio maggiore sia ad un diverso contenuto, per via delle attività immateriali di ricerca, progettazione e creazione, che ad una diversa metodologia, per via di fluidificazione, routinizzazione, despecializzazione e polifunzionalità...[A. Accornero]. Dunque, “l‟effetto della globalizzazione è stato quello di legare i Paesi del mondo in una densa e complicata trama di relazioni che rende la loro prosperità

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e la loro stabilità sociale e politica più dipendente che mai dalle norme, dai regolamenti e dalle pratiche del sistema globale nel quale operano” [S. Micossi], anche se occorre costruire un processo di globalizzazione in cui non sia solo regolata la circolazione delle merci, ma riconosciuti e rispettati sia i diritti individuali e sociali che le identità nazionali [J. Habermas]. Questi eventi, ineludibili e di portata epocale, provocano effetti rilevanti sul diritto e sulle istituzioni. Il primo effetto di ordine giuridico attiene al contratto, che “prende il posto della legge anche per organizzare la società civile” [F. Galgano] e, soprattutto, per sopperire alle “frizioni sistemiche” [S. Micossi] causate dalle sostanziali differenze sia tra ordinamenti giuridici nazionali e istituzioni dei diversi Paesi che tra le politiche di regolamentazione della concorrenza, nonché dalla normativa dei mercati del lavoro e dei capitali. La dimensione del mercato fa sì che circolino non soltanto merci, ma, prima ancora, il know how e le licenze di produzione, mentre contratti di joint venture collegano imprese di paesi distanti e dalle differenti istituzioni, apparentemente irraggiungibili. Sono, infatti, nuovi schemi contrattuali, atipici, creati dagli uffici legali delle società multinazionali, a sostenere questi processi di mondializzazione dei mercati; contratti come, oltre quelli già citati, il franchising, il leasing, il factoring, il performance bond, il counter trade non hanno nazionalità, ma solo l‟urgente e delicata funzione di “realizzare l‟unicità del diritto entro l‟unità dei mercati”. In tal modo, gli stessi profili dell‟autodeterminazione del mercato sono così incisi e mutati al punto di porre interrogativi sul “senso odierno della democrazia” [G. Oppo] e, non a caso, per nuova lex mercatoria si intende oggi “un diritto creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati, e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che si instaurano entro l‟unità economica dei mercati” [F. Galgano]. Del resto, J. Stiglitz, già vice presidente senior della Banca mondiale e premio Nobel 2001 per l‟economia, ha parlato di “mondo imperfetto”, di governance globale senza governo globale, sottolineando l‟esigenza sia di regole migliori, democratiche e trasparenti che un nuovo e più efficiente ruolo dello Stato. Il secondo effetto, sempre di ordine giuridico, attiene ai meccanismi istituzionali perché, nel quadro attuale della competizione geo-economica, “si svilupperà una tendenza a rivaleggiare nell‟offerta di vantaggi istituzionali, dall‟imposizione fiscale alle infrastrutture, per cui gli assetti normativi e le politiche nazionali dovranno essere sottoposti a costante monitoraggio e resi

giorno dopo giorno più snelli ed efficienti, tenendo conto di ciò che offrono i Paesi concorrenti” [P. Savona], fermo restando il limite invalicabile di alcuni princìpi dello Stato di diritto quali la difesa, l‟amministrazione della giustizia, l‟ordine pubblico [O. Hoffe].

Come ha osservato S. Cassese “in offerta può esserci un diverso diritto o, più semplicemente, una diversa amministrazione del diritto. La scelta è ammessa per la ricerca della migliore tutela, o del diritto meno severo, o di quello più conveniente. I diritti o le amministrazioni oggetto della scelta sono, quindi, posti in concorrenza”.

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L‟effetto conclusivo di questi ormai affermati processi risiede in una nuova gerarchia spaziale di relazioni economiche e politiche, caratterizzata da diversi livelli istituzionali che assumono e svolgono differenti funzioni, la cui centralità (anche in termini di competizione) è data da sistemi territoriali locali che interagiscono reciprocamente e che trovano nelle realtà regionali “le fondamenta o i motori”. Infatti, “le economie regionali funzionano come entità organizzate in cui i vantaggi competitivi e il destino economico di ciascuna singola impresa sono strettamente legati ai vantaggi competitivi e al destino economico dell‟intero aggregato di imprese locali” [A.J. Scott]. Emerge, in tutta evidenza, la logica del sistema distrettuale, che ormai coinvolge nelle sue reali prospettive anche il settore agricolo [L. Iacoponi], arricchendolo di nuovi contenuti. Se è vero, infatti, che la diversità del terreno da zona a zona abitua alla individuazione di ambienti produttivi omogenei, intermedi fra l‟impresa singola e la complessiva agricoltura nazionale, proprio “il fatto che manodopera e imprenditorialità risiedano, di norma, più vicino al luogo

della produzione, fa sì che il clima culturale locale venga ... percepito come influente sulla produttività individuale e la redditività aziendale” [G. Becattini]. Peraltro, nessun‟altra attività produttiva ha relazioni così intense con il territorio come l‟agricoltura, tant‟è vero che autorevole dottrina agraristica, all‟indomani dell‟emanazione del codice civile, ha rilevato come il rapporto con il fondo sia alla base della “agrarietà” di cui all‟art. 2135 del codice stesso [E. Bassanelli] e che dottrina recente, non meno autorevole, ha ribadito come “mutando prospettiva ed allargando ad un orizzonte più vasto, tutto ciò che

attiene ai terreni nei singoli fondi o entro un limitato ambito fondiario ... tende ad evolversi in ciò che ha per termine di riferimento il territorio o addirittura lo spazio rurale” [A. Carrozza]. Tale relazione, invero, affonda le sue radici nella particolare tradizione economico-agraria italiana caratterizzata da una ricca diversificazione culturale e naturale (basti pensare alle “cento Italie agricole” sottolineate, oltre un secolo addietro, da S. Jacini) e rafforzata dall‟esperienza istituzionale delle Regioni: non a caso lo stesso Jacini osservava che “per ragioni di economia e nell‟interesse della buona amministrazione, gli organi del potere centrale distaccati dalla capitale allo scopo di poter funzionare localmente - dovevano essere - principalmente regionali”, incontrando le analoghe posizioni di Ghino Valenti, espresse alcuni decenni dopo: posizioni a cui la recentissima legge costituzionale, 18 ottobre 2001, n.3, ha dato ulteriore e definitivo peso, sia giuridico che politico [F. Adornato]. Il riferimento concettuale alla categoria del distretto ha conseguenze dirette ed immediate sul diritto positivo in quanto, intendendo il sistema economico come interazione di sistemi locali, viene necessariamente limitata l‟influenza della legge in generale sul comportamento dei soggetti economici, per cui si dovrà fare ricorso a formule che governino, in particolare quei determinati comportamenti sul piano più strettamente normativo; solo successivamente a questo impianto valutativo, lo strumento di intervento pubblico (di regolamentazione, di spesa, organizzativo...) filtrerà le sue finalità alla luce delle regole del sistema locale a cui è destinato. A maggior ragione, poi. atteso che le differenziazioni tra agricolture regionali nell‟Europa comunitaria non sembrano attenuarsi in termini di competitività,

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nonostante l‟omologazione delle tecniche produttive e dopo quaranta anni di Pac [M. Merlo], ma addirittura rafforzate dall‟allargamento ai Paesi dell‟Europa centro-orientale [A. Piccinini], la specificità territoriale sottolinea ulteriormente l‟esigenza di un intervento pubblico differenziato, adatto alle diverse realtà, in cui la funzione di indirizzo politico si coniughi con strumenti modulabili in grado di comporre sul territorio conflitti ed interessi attraverso un processo di autoregolamentazione negoziale. Come è stato osservato, la stessa efficacia delle politiche pubbliche dipende, in larga misura, dalla competizione, di cui, anzi, costituisce l‟esito positivo: competizione che non è solo di ogni Stato con altri, ma anche dei governi locali fra loro, oltre che, talora con l‟amministrazione centrale stessa [E. Rotelli]. Nel mercato globale, infatti (e tale rilievo riguarda non poco l‟agricoltura), la competizione non è tanto di una produzione nazionale complessiva, quanto di singole produzioni sviluppate in territori specifici per via delle più favorevoli condizioni ambientali, culturali, sociali, organizzative e istituzionali [G. Becattini]: conseguentemente, si parla di “federalismo competitivo” [E. Rotelli], orizzontale (tra governi di pari livello) e verticale. Si combina, cioè, una strana miscela di globale e locale, in cui “più globale corrisponde specularmente a più locale, non solo dal punto del produrre, ma come bisogno di costituzione di reti di prossimità sociale” [G. De Rita – A. Bonomi] e, aggiungiamo noi, come esigenza tanto necessaria quanto ineludibile di una disciplina normativa che, in modo flessibile, assicuri l‟unità dei principi del diritto nella pluralità delle fonti legislative e l‟equilibrio tra l‟intervento pubblico e le iniziative dei privati: la frammentazione della società e la parcellizzazione dei suoi bisogni necessitano, a maggior ragione, di un luogo politico di sintesi condivisa e di strumenti di regolazione dell‟agire. “Catturato dall‟economia”, dunque, il diritto degli Stati [S. Cassese] si trova “nella necessità di inseguire la dilatazione spaziale degli scambi” considerato

che - “i mercati globali non sono in un dato luogo, ma attraversano tutti i luoghi [N. Irti]. A sua volta, anche il settore agricolo è coinvolto dai fenomeni della dematerializzazione del processo produttivo e della diffusione dei contratti atipici. Quanto al primo punto, va innanzitutto osservato come i processi produttivi agricoli (e sarà ancora più chiaro nel successivo paragrafo) tendano a muoversi sulla linea dell‟evoluzione dell‟organizzazione socio-economica della società post-moderna: basti pensare alla destrutturazione aziendale, ovvero al progressivo trasferimento delle funzioni organizzative dell‟imprenditore a componenti operative esterne all‟azienda [S. Vellante], al comportamento di molti imprenditori europei che producono in territori (Paesi est-europei e latino-americani) distanti dalle loro originarie realtà aziendali. Addirittura, secondo gli economisti agrari, la stessa politica di sviluppo rurale, da un lato, e quella di supporto alla “qualità” dei prodotti, dall‟altro, rientrerebbero all‟interno di questi fenomeni “nuovi”: per quanto riguarda il primo aspetto, “la necessità di diversificazione delle iniziative economiche e sociali, l‟esigenza di ridurre la regolamentazione delle stesse attività - ancora più nella forma che nella sostanza - il bisogno di decentrare il più possibile le stesse iniziative, costituiscono esigenze tipiche del capitalismo post-moderno”;

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quanto al secondo aspetto, i medesimi economisti. si interrogano se la particolare attenzione al problema della qualità dei prodotti non sia collegata non solo e non tanto alla maggiore complessità della società ed alla conseguente necessità di diversificare la produzione, quanto anche ai canoni di comportamento di una società post-moderna, in cui l‟attenzione per i connotati dell‟immagine risulterebbe maggiore rispetto a quella per i caratteri chimico-organolettici intrinseci [F. Pennacchi – A. Boggia]. In merito, poi, alla dematerializzazione, vera e propria rappresentazione emblematica della transizione in atto nel mondo della produzione ed intesa, in agricoltura, come “quel fenomeno per il quale la crescita economica di una data realtà è accompagnata da un impiego meno che proporzionale di materie prime” [F. Pennacchi – A. Boggia], ovvero un modo di produrre sempre meno legato ai materiali e, viceversa, sempre più legato alle informazioni [E. Gerelli], va rilevato come recentissime ricerche dei citati economisti agrari hanno confermato in pieno, con riferimento all‟ultimo decennio, “una tendenza dematerializzante del processo produttivo agricolo, tanto in assoluto, quanto soprattutto in relazione alle condizioni di sviluppo delle differenti aree - e, nonostante la tendenza alla produzioni risulti positiva nelle [dette] aree indagate, di contro - con la sola eccezione dei combustibili, i coefficienti angolari delle rette di regressione dei mezzi produttivi hanno sempre il segno negativo”. Nondimeno, vanno facendo capolino in agricoltura contratti atipici, quali il leasing e, addirittura, il franchising, oltre a contratti rappresentativi della attualità e rapidità delle negoziazioni commerciali, quali i futures. In particolare, comincia ad emergere l‟esigenza di impiegare anche in agricoltura il contratto di franchising, inteso come quella forma di collaborazione continuativa tra franchisor (affiliante) e franchisee (affiliato), attraverso cui un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d‟autore, know-how o brevetti, vengono impiegati per la rivendita di beni o per la prestazione di servizi ad utilizzatori finali. Nel programma Leader II del Gruppo di azione locate (Gal) “Piceno” compare, per la prima volta a nostra cognizione, l‟idea di un “franchising rurale” (peraltro finanziato nell‟ambito del progetto di azione locale per circa 4 miliardi), “al fine di valorizzare commercialmente i prodotti dell‟area Leader II Piceno, organizzandone e programmandone le rispettive qualità e tipicità e colmando in tal modo il “gap” che da sempre caratterizza le produzioni marchigiane e picene in particolare: la scarsa propensione alla cura degli aspetti legati alla commercializzazione, con danni economici e di immagine evidenti”. Il progetto di franchising rurale contenuto nel Piano di azione locale elaborato dal Gal intende avviare un processo di riorganizzazione e valorizzazione commerciale dell‟agricoltura, dell‟artigianato (tipico, artistico e tradizionale e del turismo (con particolare riferimento a quello agricolo e rurale, ambientale e storico-culurale) attraverso un processo integrato e modulare, la cui peculiarità sul piano giuridico è costituita dal fatto che il promotore (ed affiliante) del progetto non è un operatore (produttore o distributore), interessato, come avviene normalmente nel contratto di franchising, a collocare sul mercato i propri prodotti e/o servizi, bensì un soggetto “collettivo” (in quanto

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rappresentativo di una pluralità di interessi), ancorché connotato come persona giuridica (nel nostro caso si tratta di una società cooperativa), il cui fine principale non è tanto e solo quello di collocare un prodotto o fornire un servizio, quanto, invece, più complessivamente, quello di promuovere e rafforzare economicamente e socialmente un certo territorio. Per quanto riguarda, invece, gli affiliati, l‟aspetto che si profila interessante è che, invece di un singolo soggetto, persona fisica o giuridica, si tratterebbe di cosiddetti “centri pilota”, il cui modello organizzativo e giuridico non viene precisato, né individuato, ma che certo hanno il compito non solo di vendere, quanto anche di diffondere i valori di un territorio, partecipando al progetto in maniera molto più identificante di quanto avvenga normalmente nel contratto di franchising. A parte questi profili teorici, va osservato, inoltre, come livello internazionale, il quadro entro cui si collocano i sistemi agricoli ed alimentari regionali stia profondamente cambiando con un aumento della concorrenza su scala internazionale tra i sistemi agricoli locali. Con l'ingresso dell'agricoltura nel sistema di accordi multilaterali sul commercio - prima il Gatt ed oggi la WTO - si è innescato un indubbio processo di liberalizzazione degli scambi che espone i sistemi nazionali e regionali alla concorrenza delle importazioni di prodotti simili provenienti da altre parti del globo. La stessa presenza di numerose quote di importazione a dazio preferenziale accordate ai paesi in via di sviluppo, nel quadro delle più generali politiche di cooperazione che l'Ue sta adottando, rischiano di cambiare profondamente gli equilibri interni all'Ue. Si pensi ad esempio all'iniziativa Everything but arms , con la quale l'UE concede ai 48 paesi più poveri del mondo di esportare liberamente tutti i prodotti , tranne le armi, sul mercato europeo, senza pagare alcun dazio. Ciò significa che entreranno nei mercati europei alcuni beni agricoli, come lo zucchero o il riso, a prezzi decisamente inferiori a quelli che oggi prevalgono sui mercati comunitari. D'altro canto, gli accordi multilaterali sul commercio stanno ponendo notevoli vincoli alle politiche agrarie nazionali: vincoli rilevanti alle politiche interne di sostegno alla produzione, e limiti altrettanto significativi alle politiche di sostegno delle esportazioni. Come è noto questi vincoli hanno già negli anni passati contribuito a causare un accumulo di eccedenze all'interno dell'Ue in alcuni settori, tra i quali ad esempio quello del vino: l'Ue si è infatti trovata a non potere più esportare i prodotti in eccedenza concedendo quei sussidi alle esportazione necessari a renderli appetibili sui mercati internazionali. Sul fronte comunitario, è fuor di dubbio che l'allargamento ad est dell'UE comporterà ripercussioni sul mercato interno. I nuovi paesi membri (Npm) rappresentano al tempo stesso un'opportunità e un vincolo per i nostri sistemi agricoli nazionali e regionali: una opportunità perché costituiscono un mercato di consumo di ampie dimensioni e con prospettive di notevole crescita nei prossimi anni. Ma allo stesso tempo una minaccia perché i loro sistemi agricoli- alimentari, oggi ancora impegnati nei processi di ristrutturazione e di adeguamento agli standard europei, hanno notevoli potenzialità di sviluppo e nell'arco di pochi anni saranno in grado di competere sui mercati europei con i "vecchi" paesi membri, potendo per altro contare su rilevanti vantaggi sotto il profilo delle risorse naturali e del costo del lavoro. Si tratta di una competitività

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basata sulla produzione delle commodities e che pertanto dovrebbe non influire su quei sistemi agricoli territoriali che hanno invece puntato sulla tipicità dei prodotti e sul legame del prodotto con i territori di provenienza. Infine, non si può non menzionare il radicale cambiamento che ha subito l'intervento pubblico in agricoltura in Europa con la recente riforma della Politica agricola comune. La nuova filosofia di intervento si basa sull'idea che non debba più essere sostenuto il "prodotto" ma il "produttore", a patto che questo adotti comportamenti virtuosi sotto il profilo della tutela ambientale, del rispetto del benessere degli animali e della salubrità e qualità dei beni alimentari. Il disaccoppiamento del sostegno avrà effetti evidenti sulla produzione agricola nell'Unione Europea e nel nostro paese: si prevede infatti una contrazione della produzione di alcune produzioni come il grano duro dell'ordine del 20% rispetto agli attuali livelli e ciò avrà ripercussioni evidenti nelle regioni di produzione tradizionale e che non si limiteranno alle aziende agricole, ma si estenderanno all'equilibrio economico-sociale dell'intero territorio. Sul piano istituzionale, in particolar modo, la nuova Pac offre, peraltro, la possibilità agli Stati membri di disegnare politiche agrarie più articolate e più aderenti alle esigenze delle realtà regionali e dei loro territori (a patto che non si scelgano soluzioni applicative di carattere centralistico), consentendo di configurare, da un lato, una concreta risposta alle esigenze delle agricolture italiane e, dall‟altro, il dispiegarsi di nuovi e più efficaci sistemi di governance. Inoltre, questo modulo nuovo di espressione della “statualità” in agricoltura è ulteriormente motivato da intervenuti fattori che hanno mutato gli elementi caratterizzanti la funzione di indirizzo politico da cui l‟intervento pubblico trae origine e legittimazione. Come hanno rilevato, infatti, gli stessi costituzionalisti, “i vincoli sempre maggiori che gravano sulla sovranità nazionale, l‟erosione della centralità governativa dinanzi alla globalizzazione e al localismo, da una parte, un'osservazione disincantata del fenomeno partitico, dall‟altra, impongono una revisione della tradizionale nozione di indirizzo politico”, che tenga conto della presenza di alcuni elementi essenziali di cornice e di alcuni principi di base della forma di Stato democratico tracciato in Costituzione” [P. Ciarlo]: elementi di cornice individuabili con riferimento al principio della sovranità popolare (art. 1 Cost.), al pluripartitismo (art. 49 Cost.), al decentramento politico e amministrativo (artt. 5 Cost. e 114 ss.), al quadro delle libertà individuali e di gruppo (art. 13 ss. Cost.), agli istituti di democrazia diretta (artt. 71, 75 e 138 Cost.), all‟insieme dei contrappesi esercitati dai diversi organi costituzionali, indipendenti e dialetticamente coordinati; senza tralasciare, poi, rispetto agli indirizzi tracciati nel settore agricolo, il ruolo primario dell‟Unione europea. Da tutto l‟insieme delle considerazioni fin qui svolte emerge, dunque, l‟esigenza indifferibile di ridisegnare l‟intervento pubblico in agricoltura, attraverso una nuova combinazione dei rapporti pubblico-privati, tesi a governare in una struttura mista sia il territorio, che la capacità di combinare le diverse risorse dello stesso. La programmazione negoziata, risponde a questa esigenza, perché, nelle diverse forme giuridiche in cui si manifesta, da un lato, realizza in modo compiuto sempre la valutazione complessiva dei bisogni di un territorio e, dall‟altro,

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coinvolge paritariamente soggetti pubblici e privati, attraverso reciproche assunzioni di obblighi, la cui esecuzione è analiticamente e cronologicamente scandita. In tal modo, il progetto si coniuga con il contratto ed il comportamento va oltre lo status. Peraltro, la dimensione economica del processo innescato dalla programmazione negoziata non è di poco conto. Da un‟analisi, infatti, dei dati relativi allo stato di attuazione dei Patti territoriali a febbraio 2003, emerge che per quelli agricoli l‟ammontare complessivo degli investimenti programmati è di 1.830 milioni di euro, di cui 540 nel Centro-nord e 1.290 nel Mezzogiorno. Se si considera, poi, che l‟occupazione complessiva per i Patti agricoli è di 1.244 unità e quella aggiuntiva stimata è di 20.007 unità (+48,5%), ci si può rendere conto dell‟impatto che questi strumenti possono avere, soprattutto nelle regioni dell‟Obiettivo 1, dove sono maggiormente concentrati [INEA].

► Programmazione negoziata in agricoltura. La disciplina nazionale e le forme giuridiche

Il riferimento legislativo della concertazione non è identificabile in un solo provvedimento, ma in diverse misure legate tra di loro da meccanismi di connessione. Alla base vi è, innanzitutto, l‟art. 55, commi 14 e 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, “Misure di stabilizzazione della finanza pubblica”, ove si stabilisce che gli interventi pubblici nel settore agricolo e forestale e le azioni di sostegno alle attività produttive e forestali si esplicano nel quadro degli obiettivi prioritari fissati dal Documento di programmazione economico-finanziaria, con particolare riferimento al contenimento e all‟armonizzazione con i costi medi comunitari dei costi medi delle imprese agricole al fine di accrescere la competitività, favorire l‟innovazione tecnologica e l‟imprenditoria giovanile e garantire la sicurezza alimentare. Successivamente, a tal fine, nel rispetto dei principi fissati dalla norma appena citata, viene emanato il decreto legislativo 30 aprile 1998, n.173, recante “disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole”. Tralasciando tutte le altre norme attuative della delega, importa qui sottolineare l‟art. 10, titolato “rafforzamento strutturale delle imprese”, il cui primo comma così recita: “Il Cipe determina limiti, criteri e modalità di applicazione anche alle imprese agricole, della pesca marittima ed in acque salmastre e dell‟acquacoltura, e ai relativi consorzi, degli interventi regolati dall‟articolo 2, comma 203, lettera d) <<Patti territoriali>>, e) <<Contratto di programma >> ed f) <<Contratto di area>>, della legge 23 dicembre 1996, n. 662”. La delibera Cipe dell‟11 novembre 1998, in attuazione dell‟art. 10 del d. lgs. 30 aprile 1998, n. 173, estende gli strumenti previsti dalla programmazione negoziata all‟agricoltura e alla pesca7, rinviando non solo ai provvedimenti legislativi (la legge n. 662/1996 ed il decreto legislativo n. 173/1998), ma,

7 In Gazz. uff. del 7 gennaio 1999, n.4.

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significativamente, sia all‟Accordo per il lavoro del 24 settembre 1996 che alla Piattaforma programmatica per gli interventi di politica agricola negoziale del 16 aprile 1998. In particolare, essa rimanda, in maniera esplicita, alla disciplina dei patti territoriali e dei contratti di programma, di cui alla delibera Cipe del 25 febbraio 19948 e a quella già citata del 21 marzo 1997, alle iniziative proposte dalle “imprese agricole ”, della pesca marittima, ed in acque salmastre e dell‟acquacoltura9. I patti territoriali ed i contratti di programma presentano significative differenziazioni, sotto il profilo (oggettivo) delle finalità e (soggettivo) dei sottoscrittori. Dal primo punto di vista, il patto territoriale deve essere caratterizzato da obiettivi di promozione dello sviluppo locale in ambito subregionale compatibili con uno sviluppo ecosostenibile10; molto più puntuale, invece, è la finalizzazione dei contratti di programma, poiché i piani, oggetto dei contratti, dovranno essere atti a generare significative ricadute dell‟apparato produttivo mediante prevalente attivazione di nuovi impianti e creazione di occupazione aggiuntiva: insomma, emerge, per così dire, una componente di industrialità. Ne rileva, conseguentemente, anche il profilo soggettivo, perché, nel primo caso, le esigenze dello sviluppo locale, verosimilmente eco-compatibile, potrebbero richiedere, di massima, imprese agricole anche di piccola e media dimensione in una logica multifunzionale e di sviluppo rurale, mentre, nel caso di contratti di programma, la logica “industriale” sottesa alle finalità, richiede imprese di grandi dimensioni, operanti nel settore agricolo, oppure ancora consorzi anche in forma cooperativa. Quest‟ultimo profilo è confermato dalla delibera Cipe 11 novembre 1998 che integra la delibera Cipe 21 marzo 1997 la quale, a sua volta, integrava la delibera Cipe 25 febbraio 1994, prevedendo tra i soggetti promotori le rappresentanze dei distretti agricoli, agroalimentari ed ittici - in aggiunta a quelli industriali previsti dalla delibera 21 marzo 1997 -, per la realizzazione in aree depresse di organici piani di investimenti produttivi, operanti anche in più settori, che potranno comprendere attività di ricerca ed attività di servizio a gestione consortile.

8 La delibera Cipe del 25 febbraio 1994 è relativa alla “Disciplina dei contratti di programma relativi ai centri di ricerca e ai

progetti di ricerca”, in Gazz. uff., 21 aprile 1994, n. 92. 9 L’estensione al settore agricolo, della pesca e dell’acquacoltura degli strumenti della programmata negoziata deve essere

particolarmente finalizzata a: - garantire una partecipazione adeguata e duratura dei produttori dei prodotti di base ai vantaggi economici che da essi

derivano; - assicurare la partecipazione del settore agricolo e della pesca al processo di sviluppo economico locale; - favorire l’integrazione economica di filiera e l’organizzazione dell’offerta; - accrescere l’orientamento competitivo e le capacità concorrenziali del sistema agroalimentare, anche attraverso la

valorizzazione delle produzioni tipiche di qualità, al fine di produrre miglioramenti nella bilancia commerciale; - incentivare e salvaguardare l’occupazione ed il lavoro nella filiera agroalimentare e della pesca, con particolare

riferimento al ricambio generazionale; - favorire la tutela delle risorse naturali e forestali, della biodiversità ed il mantenimento del paesaggio; - favorire l’offerta di servizi collettivi a beneficio di tutti gli utenti nello spazio rurale; - incentivare l’utilizzo ai benefici energetici delle produzioni agricole. 10

Da un’analisi dei dati relativi allo stato di attuazione dei Patti territoriali a febbraio 2003, emerge che per quelli agricoli

l’ammontare complessivo degli investimenti programmati è di 1830 milioni di euro, di cui 540 nel Centro-nord e 1.290 nel Mezzogiorno. Se si considera che l’occupazione complessiva per i Patti agricoli è di 41.244 unità e quella aggiuntiva stimata è di 20.007 unità (+48,5%), ci si può rendere conto dell’impatto che questi strumenti possono avere soprattutto nelle regioni dell’Obiettivo 1, dove sono maggiormente concentrati: in Bollettino INEA, 2003, 5/6, 3.

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Recentissimamente il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, cd. Sulla competitività, ha previsto all‟art. 10 la fattispecie del contratto di distretto, in una integrazione normativa dell‟art. 66, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003), che andrebbe letto così: “Al fine di favorire l‟integrazione di filiera del sistema agricolo e agroalimentare e il rafforzamento dei distretti agroalimentari nella aree sottoutilizzate, il Ministero delle politiche agricole e forestali, nel rispetto della programmazione regionale, promuove, nel limite finanziario complessivo fissato con deliberazione del Cipe, in attuazione degli articoli 60 e 61 della presente legge, contratti di filiera e contratti di distretto a rilevanza nazionale, con gli operatori delle filiere, ivi comprese le forme associate, finalizzati alla realizzazione di programmi di investimenti aventi carattere interprofessionale, in coerenza con gli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato in agricoltura”. Il secondo comma della legge prevede che i criteri, le modalità e le procedure per l‟attuazione delle iniziative sopra previste siano fissati, entro sessanta giorni, con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, sentita la Conferenza Stato Regioni. Il giurista, pur restando perplesso di fronte a tanta “levità” nell‟uso delle fattispecie, non può che interpretare la norma. Bisogna, infatti, innanzitutto, individuare il carattere nazionale dei contratti di distretto, che si fondano, evidentemente, su un progetto il quale deve avere rilevanza nazionale; non è, dunque, il contratto ad avere rilevanza nazionale, ma il progetto, di cui il contratto costituisce la “forma” giuridica. Peraltro, essendo il contratto espressione della più piena autonomia negoziale privata, a stretto rigore non sarebbe necessaria, all‟interno del progetto di sviluppo distrettuale, una specificazione formale, come avviene con il decreto legge, senza dimenticare che esistono già le figure del patto territoriale e del contratto di programma. In sostanza, la legge, al di là del messaggio di natura politica, sembra indicare un contenitore generale entro cui inserire gli accordi che non ricadono nelle tipologie del patto territoriale e/o del contratto di programma, che, comunque, continuano ad avere vigenza, visto che non è prevista una loro esplicita abrogazione.

► Programmazione negoziata e contratti: i profili teorici

Sul piano teorico, il dibattito tra gli studiosi si è incentrato sul rapporto tra le fattispecie della programmazione negoziata ed i profili inerenti alla dialettica provvedimento amministrativo/contratto di diritto comune. E‟ ammissibile che la pubblica Amministrazione impieghi strumenti contrattuali interamente regolati da canoni normativi mutuati dal diritto civile? E gli schemi giuridici impiegati nella programmazione negoziata in agricoltura rientrano nella categoria del contratto di diritto comune? Su questi argomenti la dottrina giusamministrativista ha dibattuto da sempre [M. D‟Alberti] la vicenda dell‟impiego dei moduli contrattuali nell‟attività amministrativa che, anche nel nostro ordinamento, ha seguito un percorso tortuoso. Tra la fine del secolo scorso e l‟inizio del „900 finiscono con il prevalere gli orientamenti anticontrattualistici della dottrina tedesca rappresentati

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soprattutto da Mayer e determinati da motivi fondamentalmente ideologici, in quanto alla concezione hegeliana dello Stato, cui tali autori si ispiravano, ripugnava che i pubblici poteri addivenissero ad accordi con il soggetto privato, il quale, rispetto ad essi, era da ritenersi collocato in una posizione decisamente inferiore. Con l‟avvento dello Stato pluriclasse, secondo l‟ormai nota definizione di M. S. Giannini, la società è divenuta via via sempre più disarticolata e disomogenea, con i soggetti privati sempre più gelosi della loro autonomia e con i diversi gruppi di interesse che acquistano sempre più peso ed influenza, fino a divenire interlocutori necessari per l‟Amministrazione. Del resto, per quest‟ultima, agire in via autoritativa ed imperativa risulta spesso concretamente impossibile o, comunque, comporta costi, sia prettamente economici, che “politici” in senso lato, difficilmente sostenibili [R. Ferrara]. Il ribaltamento della logica anticontrattualistica e la tendenza verso l‟affermazione di un rinnovato favore per i moduli contrattuali culmina, con molta nettezza, nella legge n. 241/1990, sul procedimento amministrativo che “risolve definitivamente l‟annoso problema del contratto ad oggetto pubblico” e/o di diritto pubblico [Manfredi]. All‟interno della “fenomenologia” contrattuale il legislatore ricomprende figure quali accordi, patti, intese, la cui denominazione sembra dettata, secondo la dottrina, piuttosto che da precise ragioni dogmatiche, dalla preoccupazione di trovare sinonimi onde evitare il riferimento - ancora imbarazzante in ambito giurispubblicistico - alla esplicita parola contratto [Manfredi]; secondo altri studiosi, la stessa varietà terminologica evocherebbe piuttosto processi negoziali che atti giuridici aventi natura ed efficacia di contratti [G. Corso]. Ciò premesso, si tratta di individuare le due diverse fattispecie della programmazione negoziata in agricoltura, ovvero il patto territoriale ed il contratto di programma e la loro collocabilità rispetto al profilo dicotomico del contratto di diritto comune e del provvedimento amministrativo, scontando la difficoltà dovuta all‟assenza di approfondimenti mirati sui contenuti concreti delle fattispecie stesse. Iniziamo dai patti territoriali. Se osserviamo la sequenza giuridica che, a partire dalla delibera Cipe del 10 maggio 199511, disciplina i patti territoriali (allora non ancora estesi al settore agricolo), possiamo percepire come la struttura del patto sia del tutto diversa da quella consegnataci, poi, dalle citate delibere Cipe del 21 marzo 1997 e 11 novembre 1998, e dalla previsione normativa di cui all‟art. 2, comma 203, lett. d) della legge n. 662/1996. Nella prima delibera il patto viene definito “strumento” e non, come nelle altre fonti citate, “accordo” tra soggetti pubblici e soggetti privati. Al di là, però, degli aspetti formali, va anche aggiunto che la sua promozione e redazione vengono affidate ad una o più Amministrazioni pubbliche, nonché alle Camere di commercio (anche per iniziativa di operatori economici, di rappresentanze di categoria o sindacati), a cui i soggetti privati aderiscono: al contrario, nella delibera Cipe 11 novembre 1998, le imprese agricole sono promotrici del patto. Gli obiettivi, sempre nella prima delibera del 10 maggio 1995, riguardano

11

In Gazz. uff. 20 settembre 1995, n.220.

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interventi di tipo produttivo e promozionale, nonché quelli infrastrutturali ad essi funzionali: nelle altre fonti, invece, si fa riferimento solo ad interventi di tipo promozionale dello sviluppo locale, con una diversa dimensione, dunque, dell‟intervento, che sposta quelli di tipo produttivo verso altre fattispecie della programmazione negoziata. Quanto alla localizzazione geografica degli interventi, la delibera Cipe 20 novembre 199512 fa riferimento alle aree depresse: riferimento che nelle fonti successive viene corretto in direzione di tutto il territorio nazionale, fermo restando che le specifiche risorse destinate dal Cipe sono destinate a quelle iniziative attivate nelle aree depresse (intendendo per tali quelle ammissibili agli interventi dei Fondi strutturali)13. Focalizzando, in particolar modo, il patto territoriale agricolo, si constaterà, invece, che la promozione è riferita esclusivamente alle imprese agricole, le quali, dunque, si fanno portatrici di un progetto di sviluppo del territorio locale, attivando e/o assecondando una finalità squisitamente pubblica. La stessa apertura, da parte dei soggetti privati della fase negoziale toglie ogni residua possibilità di individuare il patto tra i provvedimenti amministrativi; né, tantomeno, può profilarsi l‟ipotesi di un contratto di diritto pubblico, visto che l‟Amministrazione non stabilisce le clausole contrattuali. La delibera, in questo senso, indica il quadro dei contenuti del patto, ma sono i singoli sottoscrittori a prevedere i rispettivi obblighi e ad autodisciplinarsi rispetto ad essi. E‟ vero che il patto territoriale in agricoltura è approvato dal Ministero del bilancio, ma l‟approvazione ha, a nostro giudizio, natura declaratoria, prevista, com‟è, solo per la verifica della disponibilità delle risorse finanziarie di provenienza Cipe, tant‟è (e questo elimina in radice qualsiasi possibile contestazione) che l‟efficacia dello stesso patto decorre dalla sua sottoscrizione, successiva all‟approvazione del Ministero. Si badi, inoltre, che la delibera 21 marzo 1997 affida al Ministero del bilancio solo compiti accertativi, non prevedendo poteri d‟intervento (né di alcun altro tipo) sugli obblighi e sulle clausole sottoscritti nel progetto14. Va segnalato, infine, che, proprio per rispondere alla logica contrattuale sottesa ad una situazione sostanzialmente paritaria tra le parti, si tende a riportare la complessità procedurale delle amministrazioni partecipanti ad un punto di sintesi e di semplificazione, impegnando i soggetti pubblici a definire un accordo all‟interno del quale individuare un soggetto rappresentativo, al fine di esprimere con carattere di definitività la volontà degli stessi rispetto agli adempimenti a cui sono tenuti. Quanto al contratto di programma, non è diversa la sua natura giuridica, da quella del patto territoriale, confermata com‟è, dal lessico, dal contenuto e dai meccanismi procedurali. Oggetto del contratto, durata del contratto, contenuto del contratto, sono espressioni ricorrenti, supportate, peraltro, dalla sostanza del rapporto stesso.

12

In Gazz. uff. 26 febbraio 1996, n. 47. 13

Così delibera CIPE 21 marzo 1997, cit., par. 2.2. 14

Il par. 2.10.1, lett. b) prevede un’istruttoria da parte di soggetti convenzionati con il Ministero del bilancio ai sensi del

decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato del 20 ottobre 1995, n. 527, solo nel caso di utilizzo di somme assegnate dal Cipe ai patti territoriali, istruttoria che non si inserisce, peraltro, autoritativamente nella fase negoziale.

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Come abbiamo visto, lo schema seguito nella formulazione del contratto di programma è tipicamente privatistico [F. Adornato], se si considera la sua articolazione preparatoria tipicamente negoziale e la previsione di obblighi reciproci; gli stessi poteri istruttori e di verifica da parte dell‟Amministrazione pubblica non fanno riferimento a schemi di carattere autoritativo, quanto a quelli di natura contrattuale, come avviene, appunto nei cd. contratti di distribuzione, le cui clausole, di regola, attribuiscono ad una delle parti tale potere. Sembra, dunque, di poter affermare conclusivamente su questo aspetto, che, nel caso di patti, accordi, intese tra soggetti privati e pubblica Amministrazione, il rapporto giuridicamente rilevante si forma e si articola tra un potere pubblico ed un analogo (ma opposto) potere privato, portatori reciprocamente di interessi differenziati, ma non contrapposti; poteri intenzionati a confrontarsi e a cercare, attraverso un rapporto (di integrazione/cooperazione), un punto di equilibrio e sintesi. In tal modo, viene ad “intorbidarsi” la tradizionale distinzione tra pubblico e privato [R. Ferrara], lungo un asse di relazioni che, dalla egemonia/supremazia del potere pubblico, può arrivare tendenzialmente non solo alla pari ordinazione, ma anche a risultati nei quali, di fatto, la posizione dominante è occupata dal soggetto privato che è parte dell‟accordo.

► La disciplina regionale in materia di programmazione negoziata

La logica sottesa alla programmazione negoziata, ha coinvolto anche le istituzioni regionali, in provvedimenti normativi di disciplina della stessa, anche perché la dimensione locale dello sviluppo a cui essa sottende esige nei fatti che anche la regione e gli enti locali siano tra gli agenti dello sviluppo stesso e, quindi, soggetti di riferimento delle varie formule negoziali. Né poteva essere diversamente, visto che le Regioni esercitano, ai sensi dell‟art.117 Cost., poteri direttamente incidenti sullo sviluppo del territorio e che già, ai sensi dell‟art.11, comma 3, del DPR n. 616/1977 esse erano competenti a determinare “i programmi regionali di sviluppo, in armonia con gli obiettivi della programmazione economica nazionale e con il concorso degli enti locali territoriali secondo le modalità previste dagli statuti regionali” [G. Amato]. Oggi, com‟è noto, questi poteri sono stati decisamente rafforzati dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, a partire dalla <<riallocazione>> copernicana della materia agricola; materia che, nello schema del rovesciamento del criterio del riparto [G. D‟Atena], non apparendo nella materia indicata di competenza statale, rientra nella potestà esclusiva regionale. Anche se la competenza esclusiva regionale in agricoltura è destinata ad incrociarsi con altri livelli di competenza che interferiscono con l‟agricoltura stessa e, ad esempio, con riferimento alla disciplina in materia di contrattazione programmata, con il governo del territorio e la valorizzazione dei beni ambientali, creando non pochi problemi pratici. Tuttavia, la legislazione regionale in materia di contrattazione programmata sembra muoversi secondo uno schema unitario, sia per quanto riguarda il profilo definitorio, sia per quanto riguarda quello delle “forme” giuridiche. Per quanto riguarda la definizione, infatti, di regola, viene riportata la concettualizzazione espressa del legislatore nazionale, ancorchè finalizzata

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operativamente alle esigenze dello sviluppo locale ed inserita all‟interno della architettura della programmazione regionale; le singole fattispecie richiamate sono quelle già indicate a livello nazionale, anche se vengono previste, talvolta, delle ulteriori “forme” giuridiche e determinate, in modo autonomo e specifico, tipologie, modalità, procedure, contenuti, soggetti e risorse. Nella legislazione regionale, la programmazione regionale viene definita più che nella sua struttura, nel suo divenire, ovvero essa, come recita la l.r. Emilia Romagna n. 30/96 “si svolge tra regione, enti locali e altri soggetti pubblici o a partecipazione pubblica, con la partecipazione delle parti e dei soggetti privati interessati, ed è tesa a realizzare le condizioni per lo sviluppo locale sostenibile, in coerenza – appunto – con gli strumenti della programmazione regionale e sub-regionale”15. In particolare, per quanto riguarda la “creatività” regionale nell‟appena citata legge emiliano-romagnola viene predisposto lo strumento del “programma d‟area”, come modalità ulteriore di programmazione negoziata, inteso come un complesso di interventi finalizzati alla valorizzazione di aree territoriali, caratterizzate da peculiari situazioni economiche, sociali, culturali ed ambientali, nonché di aree urbane per le quali appaiono necessari rilevanti interventi di riqualificazione o di recupero, per la cui realizzazione sia necessaria l‟azione coordinata ed integrata di più soggetti. Il programma d‟area non sembra distaccarsi molto dallo spettro modulare della programmazione negoziata precedentemente illustrato, e, in particolare, dal contratto d‟area di cui alla delibera Cipe 21 marzo 1997, sia sul terreno delle finalità che sul piano della strumentazione, che, ancora, su quello del contenuto, ma è altresì vero, come si è detto, che la legge regionale Emilia-Romagna è precedente sia alla legge n. 662/96 che alla delibera Cipe 21 marzo 1997. Nella fattispecie in esame, lo strumento regionale di programmazione (il programma regionale di sviluppo ex art. 3 legge 25 settembre 1988, n. 36) deve recepire gli obiettivi dei programmi d‟area eventualmente approvati; tuttavia, per la loro predisposizione e realizzazione, è necessario l‟assenso degli enti locali ricompresi nell‟ambito territoriale interessato: soltanto in tal caso la giunta regionale ne avvierà la promozione. La stessa giunta propone annualmente al Consiglio l‟approvazione dei programmi d‟area, individuando i capitoli di spesa per la copertura finanziaria della quota regionale di partecipazione al programma fissando la priorità per l‟impiego di dette risorse per l‟attuazione degli interventi. La predisposizione e l‟approvazione del programma d‟area avvengono su iniziativa della giunta, poiché essa promuove il consenso degli enti locali e delle parti sociali interessate, provvede alla prima definizione del territorio interessato e degli obiettivi generali del programma, costituisce un gruppo di lavoro tra i soggetti pubblici e privati partecipanti per elaborare la proposta del programma d‟area: successivamente, il presidente della Giunta, o un suo

15

Così art. 1, comma 4, l.r. Emilia Romagna, 19 agosto 1996, n.30, Norme in materia di programmi speciali d’area, in Bur del

23 agosto 1996, n.96.

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delegato, convoca una conferenza di programma per accertare il consenso di questi ultimi sulla proposta di programma. Se, nella fase preliminare, la predisposizione è promossa unilateralmente dalla parte pubblica, l‟aspetto negoziale emerge nel procedimento di approvazione, poiché il programma d‟area è recepito da un accordo tra i soggetti interessati, il quale prefigura le azioni di competenza degli stessi dirette a dare attuazione, in modo coordinato ed integrato, agli interventi oggetto del programma; con l‟accordo i soggetti partecipanti si vincolano, altresì, ad impegnare le risorse finanziarie occorrenti e ad assumere le iniziative necessarie per l‟acquisizione di eventuali contributi nazionali e comunitari. In particolare, proprio in coerenza con una logica contrattuale, l‟accordo deve, tra l‟altro, contenere gli obblighi assunti da ciascun soggetto partecipante, prevedere gli effetti derivanti dall‟inadempimento degli obblighi medesimi, prevedere il diritto di recesso, “di uno o più soggetti partecipanti”16. Il controllo sull‟attuazione del programma è assicurato dalla Autorità di programma (della quale non vengono individuate né natura, pubblica o privata, né soggettività, persona fisica e/o giuridica, per cui non vi sono divieti in queste direzioni), attraverso i responsabili del programma, individuati da ciascuno dei soggetti partecipanti, e la Conferenza di programma (istituita dal presidente della giunta e presieduto dallo stesso, o da un suo delegato) e composta da un rappresentante per ognuno dei partecipanti. Abbiamo appena detto che la fattispecie del programma d‟area riecheggia sostanzialmente, per alcuni aspetti, quella del contratto d‟area, ma se ne differenzia, altrettanto sostanzialmente, per alcuni altri non secondari. Innanzitutto, mentre l‟oggetto del programma d‟area, da un lato, si riferisce ad interventi finanziati in aree genericamente caratterizzate da peculiari situazioni economiche, sociali, culturali ed ambientali, nonché ad aree urbane per cui siano necessari rilevanti interventi di recupero o riqualificazione, il contratto d‟area si caratterizza per l‟attivazione di nuove iniziative imprenditoriali dirette alla creazione di nuovi posti di lavoro nei settori dell‟industria, della agroindustria, dei servizi e del turismo in aree industriali interessate, da gravi crisi occupazionali: inoltre, mentre nel primo caso, la promozione è del soggetto pubblico, in questo, l‟iniziativa è assunta dalle rappresentanze dei lavoratori e dai datori di lavoro ed è comunicata alle regioni interessate, mentre il responsabile del contratto d‟area è unico ed individuato tra i soggetti pubblici firmatari dell‟accordo. Secondo un diverso modello si è mossa la l. r. Sardegna 26 febbraio 1996, n. 14, “Programmi integrati d‟area”17, che attribuisce al livello regionale la funzione di indirizzo politico, attraverso direttive che indicano gli obiettivi da perseguire, i vincoli e le priorità da osservarsi, la spesa occorrente e i criteri di verifica, ed al livello sub-regionale provinciale i compiti di promozione e coordinamento dei

16

Quest’ultima formulazione, di cui alla lettera i) del secondo comma dell’art. 5, l.r. n. 30/1996 lascerebbe intendere che non

a tutti è consentito il diritto di recesso. Se così è, si tratta di individuarne i soggetti: evidentemente, non dovrebbe essere consentito alla regione e/o agli enti locali territoriali. A parte, infatti, le finalità pubbliche sottese al programma – v. art. 2 della citata legge n. 30/1996, le quali presuppongono che i soggetti pubblici debbano stabilmente attivarsi per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, è la regione, come abbiamo visto – che promuove il programma stesso e in ragione dell’assenso degli enti locali.

17 In Bur Sardegna, 5 marzo 1996.

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programmi integrati, che hanno una dimensione d‟area caratterizzata dall‟interesse sovra-comunale e/o comunale. La ratio giuridica che ispira la citata legge sembra fare riferimento più alla logica del provvedimento che a quella contrattuale. Preponderante e gerarchico sembra, infatti, il ruolo del soggetto pubblico in tutto il procedimento, come risulta dal fatto che la provincia predispone e coordinati programmi, promuove “forme di collaborazione” dei comuni, delle comunità e degli altri soggetti pubblici e privati interessati; contributo, quello dei privati, secondo l‟art. 7, comma 3, limitato alla definizione della “eventuale” entità dell‟apporto di proprie risorse, di cui vanno indicate le modalità ed i tempi di erogazione e le fonti di finanziamento. In sostanza più che una forma di programmazione negoziata, sembrerebbe trattarsi di un modello di programmazione che, accanto ai metodi tradizionali, aggiunge il modulo della specificazione territoriale sub-regionale, sia per quanto riguarda la dimensione geografica che l‟attribuzione delle funzioni di promozione e coordinamento. Ne fanno fede il richiamo alla mera eventualità della partecipazione finanziaria dei soggetti privati e la previsione di copertura finanziaria pressochè pubblica, secondo quanto disposto dagli artt. 8 e 9. Del resto, l‟art.11, che pur rimanda all‟attuazione dei programmi integrati d‟area attraverso la stipula di accordi di programma, nel prevedere, appunto, il contenuto di tale accordo, specifica che esso debba disciplinare in particolare gli impegni finanziari assunti da ciascun soggetto partecipante al programma ed individuare “le modalità entro le quali possono essere definiti contratti di programma tra le amministrazioni pubbliche e le imprese partecipanti ai programmi integrati d‟area”. L‟aspetto negoziale vero e proprio sembra essere quello rappresentato dal successivo contratto di programma nel quale coinvolgere i privati, mentre il programma integrato rappresenterebbe il livello programmatorio quadro, sia pure con riferimento ad una ben individuata dimensione territoriale; ciò è tanto più esatto, se si considera che il comma 3 del medesimo art.11 dispone che “qualora uno dei soggetti interessati non sottoscriva l‟accordo di programma, il programma integrato d‟area viene rimodulato dall‟amministrazione regionale (...)”. Il riconoscimento esplicito della programmazione negoziata quale strumento (fra gli altri) della programmazione regionale viene dalla l.r. Basilicata 24 giugno 1997, n.30, “Nuova disciplina degli strumenti e delle procedure della programmazione regionale”18. Secondo il primo comma dell‟art. 8, infatti, la regione riconosce e promuove gli atti di programmazione negoziata quali strumenti fondamentali di concertazione delle azioni e degli interventi pubblici e privati finalizzati allo sviluppo locale. A sua volta, il secondo comma enuncia che “costituiscono atti di programmazione negoziata:

> le intese istituzionali di programma tra lo Stato e la Regione e i conseguenti accordi di programma-quadro;

18

In Bur Basilicata, 1 luglio 1997, n. 33.

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> gli accordi di programma, i contratti di programma, i patti territoriali, i contratti d‟area e ogni altra forma di cooperazione e d‟intesa, comunque denominata, sottoscritta da soggetti pubblici e privati nel rispetto delle normative vigenti;

> i programmi integrati d‟area promossi da enti locali, comprendenti investimenti produttivi, infrastrutture e servizi finalizzati a realizzare ben definite condizioni di sviluppo locale sostenibile, attraverso l‟attivazione di risorse proprie degli enti promotori e di provenienza regionale, nazionale e comunitaria”.

Gli indirizzi di riferimento della programmazione negoziata sono individuati nel programma regionale di sviluppo, approvato all‟inizio di ogni legislatura secondo una procedura di formazione già definita e verificabile nella sua attuazione ogni anno in sede di approvazione del documento annuale di programmazione economico-finanziaria, il quale contiene (anche) le linee di coordinamento per l‟elaborazione dei programmi integrati d‟area e degli atti della programmazione negoziata. Dal canto suo, la giunta regionale, in coerenza con le indicazioni contenute nel piano regionale di sviluppo, su conforme parere della competente commissione consiliare e dopo avere consultato il comitato regionale della economia e del lavoro e la conferenza permanente delle autonomie, può emanare apposite direttive per disciplinare le condizioni e le modalità dell‟eventuale partecipazione regionale. Nell‟ottica della regione Basilicata, dunque, la programmazione negoziata va a connotarsi come uno dei tanti strumenti19 della più complessiva programmazione regionale, correlati, comunque, al programma regionale di sviluppo; strumenti che fanno riferimento al livello locale, sia per territorio (province e comunità montane) che per ambiti funzionali (bacino, enti strumentali), in una sorta di intersezione settoriale che, nel rapportarsi agli indirizzi del programma regionale di sviluppo, sembra voler dare concreta attuazione ai principi della coesione e della sussidiarietà. Come si è potuto rilevare, le “forme” ed il ruolo della contrattazione regionale differiscono nelle discipline regionali. La regione Emilia Romagna crea una figura ad hoc, il programma d‟area, riecheggiante i contratti di area, il quale, ancorchè promosso dal soggetto pubblico, si muove pur sempre all‟interno di una logica coordinata ed integrata di intervento di soggetti pubblici e privati, che richiama effettivamente l‟approccio contrattuale; la regione Sardegna, invece, prevede i programmi integrati d‟area quale presupposto progettuale (predisposto a livello sub-regionale) su cui innestare, attraverso gli accordi di programma attuativi dei primi, i contratti di programma, secondo una linea che sembra essere più provvedimentale che contrattuale.

19

Ai sensi dell’art. 2, essi sono: il piano di riferimento territoriale regionale e i connessi piani di coordinamento territoriale

provinciale; i piani di bacino derivanti dalla legge 18 maggio 1989, n. 183 e dalla l.r. 2 settembre 1996, n. 43; i piani settoriali e i progetti speciali di competenza regionale; i programmi pluriennali delle province e i piani socio-economici di sviluppo delle comunità montane e degli enti di gestione dei parchi; i programmi cofinanziati della Unione europea; i piani di attività degli enti strumentali della regione, oltre, ovviamente agli atti di programmazione negoziata.

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La regione Basilicata, infine, usa un metodo ancora differente, prevedendo un contesto procedurale e progettuale dove inserire la programmazione negoziata, per le cui “forme” si rinvia a quelle previste dalla disciplina nazionale, senza ulteriore precisazione procedimentale che regoli gli obblighi delle diverse figure partecipanti; tuttavia, la legge regionale, con una significativa precisazione, solo in apparenza residuale, considera, come si è detto, tra gli atti di programmazione negoziata “ogni altra forma di cooperazione e d‟intesa, comunque denominata, sottoscritta da soggetti pubblici e privati nel rispetto delle normative vigenti”. La dizione impiegata sembra essere contraddittoria, perché se, da un lato, il rimando ad “ogni altra forma” è ampio e consente la creazione di strumenti negoziali nuovi, dall‟altro, la sottolineatura del rispetto delle normative vigenti sembra in realtà circoscrivere la novità alle formule già regolate dalla normativa già esistente, e quindi non avrebbe senso. A nostro avviso, il richiamo non è alle normative vigenti in materia di programmazione negoziata, ma a quelle generali che regolano i principi della stessa (aiuti di Stato, ad es.). Alla stessa logica progettuale si ispira la l.r .Toscana 11 agosto 1999, n. 4920, recante “norme in materia di programmazione regionale”, la quale significativamente individua, tra le finalità della programmazione, quella di favorire il concorso dei soggetti pubblici e la partecipazione dei privati nella scelta degli obiettivi di sviluppo, della definizione delle strategie di intervento, nell‟attuazione delle conseguenti politiche e quella di garantire la trasparenza delle decisioni, i diritti dei singoli cittadini, la certezza degli obblighi e delle facoltà nei soggetti pubblici e privati (art.2, lett. b e c). Dopo aver sottolineato sia i principi generali ed i criteri guida a cui si conforma la programmazione regionale (ovvero sostenibilità, coerenza, sussidiarietà e adeguatezza, coesione istituzionale e concertazione, corresponsabilità e concentrazione tematica e finanziaria alle scale territoriali adeguate), sia i raccordi istituzionali verso l‟alto e verso il basso, indica gli strumenti attraverso cui attua la programmazione medesima. Strumenti che, partendo dal programma regionale di sviluppo e dal documento di programmazione economica e finanziaria, attraverso i quali vengono individuati gli obiettivi e destinate le risorse, arrivano ai programmi locali di sviluppo, autonomamente promossi dai comuni, dalle parti sociali o dalle autonomie funzionali e coordinate e formalizzate dalle province. La contrattazione programmata entra in una scena a questo punto ed a questo livello istituzionale, poiché ai programmi locali di sviluppo è data attuazione “anche mediante accordi di programma, patti territoriali e altri istituti negoziali o convenzionali” (art. 12, comma 2); in sostanza, secondo la legge citata, le diverse forme della programmazione negoziata, possono essere attivate solo a livello locale e in un‟ottica integrata, poiché i programmi locali di sviluppo realizzano, alla scala territoriale appropriata in relazione agli obiettivi perseguiti e alla natura degli investimenti, il coordinamento programmatico dei progetti di investimento degli enti locali e il loro ordinamento secondo criteri di priorità e di fattibilità; definiscono le modalità di raccordo operativo tra i servizi degli enti

20

In Bur Toscana 20 agosto 1999, n. 26.

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locali e quelli offerti da altri soggetti pubblici e privati; garantiscono e valorizzano il concorso delle imprese e degli altri soggetti pubblici e privati alla individuazione, selezione e attuazione degli obiettivi di sviluppo, anche sostenendone specifici progetti di investimento (art. 12, comma 4). La l.r Veneto 6 aprile 1999, n.1321, pur riferendosi, tra gli strumenti di contrattazione programmata, ai soli patti territoriali22, ne richiede la coerenza con i piani economico-sociali, territoriali e ambientali adottati dalla Regione; con gli accordi sottoscritti tra la Regione, le autonomie locali e funzionali e le parti sociali; con i piani e la programmazione comunitaria. La legge si premura, inoltre, di precisare l‟ambito territoriale di applicazione, ovvero in aree subprovinciali, provinciali o sovraprovinciali che siano tra loro omogenee dal punto di vista socio-economico, anche con riferimento alle delimitazioni territoriali individuate dalla programmazione regionale e comunitaria. Il ruolo della Regione ha un‟articolazione progressiva, nel senso che essa può sottoscrivere il protocollo di intesa del patto, dando corso all‟attuazione degli impegni e degli obblighi previsti e inserendo il protocollo fra le azioni e le iniziative alternative di programmi regionali, oppure assumere una serie di misure tra loro, quali l‟inserimento tra i programmi di rilevanza comunitaria e/o il concorso al finanziamento di azioni comprese nel patto territoriale, per la quota non finanziata da altre parti. Ovviamente la Regione può sottoscrivere il patto e, in tal caso, può obbligarsi a promuovere attività di animazione istituzionale economica nell‟area interessata

dal patto …, sostenere l‟assistenza per la diffusione di reti e sistemi informativi tra i sottoscrittori e gli attuatori del patto, oppure, ancora, contribuire al finanziamento alla progettazione degli interventi previsti, contribuire alla formazione di piani o programmi di azioni settoriali o plurisettoriali di sviluppo locale (art. 6). A questo proposito si deve rilevare che gli interventi della giunta sono disposti in modo discrezionale, in relazione alle specificità del patto territoriale sottoscritto, sia pure nel rispetto della normativa che disciplina i regimi di aiuto utilizzati dal patto stesso. La l.r. istituisce, peraltro, nell‟ambito della Conferenza delle Autonomie, l‟Osservatorio regionale sui patti territoriali, con il compito di verificare l‟andamento e l‟efficacia degli interventi previsti. Nella legge provinciale Trento 13 dicembre 1999, n. 623, che inserisce i patti territoriali tra gli strumenti della programmazione, vi sono molti profili interessanti connessi alla tradizionale funzione assegnata ai patti relativamente allo sviluppo locale. Essi, infatti, vengono intesi anche come strumenti di raccordo fra gli interventi di una pluralità di soggetti pubblici, finalizzati allo sviluppo integrato e al miglioramento della qualità e della produttività dei

21

In Bur Veneto 9 aprile 1999, n. 32. 22

Intendendo per patto territoriale, “l’accordo promosso dalla Regione, o da altri enti locali, o da parti sociali, o da altri

soggetti pubblici o privati, per l’attuazione di un programma di interventi caratterizzati da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale, in conformità alla disciplina di cui all’art. 2, comma 203, lett. d) della legge 23 dicembre 1996, n. 662, come integrata dalla deliberazione del Cipe adottate ai sensi del comma 207 dello stesso articolo.

23 Recante Interventi della Provincia autonoma di Trento per il sostegno dell’economia e della nuova imprenditorialità.

Disciplina dei patti territoriali in modifica della legge provinciale 8 luglio 1996, n. 4, e disposizione in materia di commercio, in Bur 21 dicembre 199, suppl. 1, n. 1.

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servizi pubblici; inoltre, sono strumento di attuazione della riforma istituzionale per il decentramento della pubblica Amministrazione, tant‟è che, nelle priorità, vengono privilegiati i patti tra i cui sottoscrittori figurano i soggetti che la l.p. indica come forme istituzionali per la gestione associata delle funzioni amministrative negli ambiti territoriali per l‟esercizio delle funzioni trasferite o subdelegate ai comuni. La regione Emilia-Romagna, andando oltre la precedente legge regionale n. 30/96, con la l.r. 28 dicembre 1999, n. 3924, prevede, invece, in modo più ampio, una serie di interventi per lo sviluppo dei sistemi agroalimentari25, di cui sono destinatarie figure imprenditoriali ben individuate26. Tali interventi possono essere realizzati nell‟ambito dei programmi speciali d‟area, di cui alla citata l.r. 30/1996 e/o concorrere alla realizzazione dei patti territoriali, dei contratti di programma, del contratto d‟area, nonché di quelli previsti dal secondo comma del d.l. n.173/199827, a condizione che abbiano ricevuto esito positivo da parte della Commissione Ue ai sensi degli artt. 87 e 88 del Trattato. Molto significativo è l‟art. 21 della l.r. Lombardia 7 febbraio 2000, n. 7, recante “Norme per gli interventi in agricoltura”28, il quale, pur titolato “programmazione negoziata”, contiene, in realtà la fattispecie del cd. contratto territoriale, ben conosciuta dal legislatore francese [F. Bruno], sottoscritto tra la Regione, gli enti locali e persone fisiche o giuridiche imprenditori agricoli e consistente in un accordo volto ad attuare un programma di intervento coordinato riguardante l‟insieme della attività agricole o di una filiera e, in particolare, condizioni concordate di produzione, il contributo dell‟attività agricola alla conservazione delle risorse naturali, la salvaguardia delle forme del paesaggio agricolo e delle relative strutture ed infrastrutture, la produzione di servizi collettivi, nonché lo sviluppo di progetti collettivi di produzione o di sviluppo del territorio. Finalità di supporto finanziario presenta la l.r. Umbria 7 aprile 1998, n.829, che prevede la costituzione, presso la Regione, di un fondo30 per contribuire alla realizzazione, nell‟ambito delle priorità individuate negli strumenti di programmazione regionale, di iniziative di programmazione negoziata per lo sviluppo locale, ovvero: patti territoriali, contratti d‟area e contratti di programma, di cui all‟art. 2, comma 203 della l. n. 662/1996.

24

In Bur Emilia Romagna 31 dicembre 1999, n. 152. 25

Ristrutturazione e ampliamento di impianti esistenti, nonché realizzazione di nuovi impianti; acquisto, a determinate

condizioni, di impianti esistenti; ricapitalizzazione di imprese cooperative in connessione all’apporto di capitale di soci, esclusivamente a copertura di investimenti: art. 3.

26 Secondo l’art. 4, possono beneficiare degli aiuti previsti dall’art. 3: a) cooperative agricole e i loro consorzi; b) associazioni

di produttori agricoli costituite in forma di società di capitali, anche consortili; c) piccole e medie imprese di lavorazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e loro consorzi; d) cooperative e società di servizi costituite in prevalenza da produttori agricoli o da loro cooperative che svolgano prevalentemente attività di supporto alla filiera agroalimentare; e) società di capitali operanti nel settore agroalimentare controllate stabilmente almeno al 51% da parte di uno o più soggetti indicati alle lettere a), b) e d); f) aziende agricole che effettuano la lavorazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

27 Si tratta di investimenti diretti a incrementare la qualità delle produzioni; la protezione dell’ambiente, con particolare

riferimento ala ristrutturazione dei fabbricati aziendali finalizzati ad adeguare la struttura produttiva delle norme sulla sicurezza del lavoro.

28 In Bur Lombardia, 11 febbraio 2000, n. 6, I suppl. ord.

29 In Bur Umbria, 14 aprile 1999, n. 21.

30 Dotato di circa 8 miliardi per il 1999, rinvia, per gli anni successivi alla legge di bilancio regionale.

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La Regione cofinanzia sulla base dei criteri e delle priorità di intervento stabiliti dal Consiglio regionale, con ciò eliminando agli organi di governo ed amministrativi qualsiasi margine di discrezionalità. Risalendo indietro nel tempo, si rinvengono nella legislazione regionale riferimenti normativi in direzione esclusiva degli accordi di programma31. La l.r. Friuli-Venezia-Giulia 31 ottobre 1987, n. 35, “Provvedimenti per lo sviluppo dei territori montani”32, istituisce la Commissione regionale per lo sviluppo dei territori montani, attribuendole l‟esercizio di funzioni di indirizzo generale e di verifica ai fini della programmazione degli interventi per lo sviluppo della montagna e definendola, in tale ambito, sede per la formazione e conclusione di “accordi di programma” fra la regione e le comunità montane singole o associate. Gli accordi di programma costituiscono, in sostanza, un modulo procedimentale che disciplina i rapporti tra i diversi enti, poiché essi attuano il coordinamento delle azioni di competenza rispettivamente della regione e degli enti strumentali da questa controllati e delle Comunità montane, determinando tempi, modalità e finanziamento degli interventi, nonché i destinatari della loro gestione33. La stessa regione ribadisce la funzione di coordinamento degli accordi di programma con la legge 9 marzo 1988, n. 19, “Riordinamento istituzionale della regione e riconoscimento e devoluzione di funzioni agli enti locali”34. Anche in questo caso, gli accordi di programma attuano il coordinamento delle azioni di competenza della regione, degli enti strumentali e delle provincie, per la definizione e la realizzazione di interventi che siano qualificati prioritari e indispensabili dal Piano regionale di sviluppo per il conseguimento di obiettivi di riequilibrio territoriale. Più articolata, invece, è la figura dell‟accordo di programma previsto dall‟art. 7-bis della l.r. Lombardia 31 marzo 1978, n. 34, come aggiunto dall‟art. 6 della l.r. 25 novembre 1986, n. 5535. Per l‟attuazione, infatti di piani e progetti di intervento che richiedono l‟iniziativa integrata e coordinata della regione, degli enti locali, di altre amministrazioni e soggetti, anche privati, il presidente della giunta o l‟assessore competente, se delegato, sentita la commissione consiliare competente, può promuovere fra gli interessati accordi di programma per coordinare le azioni di rispettiva competenza. L‟accordo, approvato con delibera della giunta regionale, determina in particolare le responsabilità, i risultati, i finanziamenti secondo le disponibilità dei singoli bilanci, i tempi e le modalità del programma, nonché le modalità di controllo dell‟attuazione degli adempimenti spettanti ai vari soggetti previsti dall‟accordo e le misure in corso di inadempienza.

31

Secondo il comma 203, lettera c, dell’art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per accordo di programma si intende

l’accordo promosso da un’amministrazione centrale con i soggetti pubblici e privati, interessati, quando per l’attuazione di interventi programmati si rende necessaria una iniziativa integrata e coordinata di regioni, enti locali, amministrazioni statali (anche ad ordinamento autonomo) ed altri soggetti pubblici e privati.

32 In Bur Friuli-Venezia-Giulia, 31 ottobre 1987, n. 132.

33 Cfr. art. 3, comma 5, l.r. 35/1997.

34 In Bur Friuli-Venezia-Giulia, 9 marzo 1988, n. 31.

35 La legge n. 34/1978 trovasi in Bur Lombardia, 3 aprile 1978, n. 13, 2° suppl.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 43

La delibera di approvazione dell‟accordo ha valore di dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità per le opere in esso previste. In tempi più recenti è stata la Regione Molise con legge 11 giugno 1999, n. 1736, a disciplinare il procedimento per l‟accordo di programma, promosso “al fine di assicurare il coordinamento di tutte le attività necessarie all‟attuazione di opere, interventi e programmi di intervento di prevalente interesse regionale, e che richiedono l‟azione integrata e coordinata di enti locali o comunque di Amministrazioni pubbliche, soggetti pubblici, consorzi e società a partecipazione pubblica che gestiscono pubblici servizi”. La procedura per la promozione dell‟accordo di programma è analoga a quella appena citata della regione Lombardia, attribuendo il relativo potere al presidente della Giunta e/o all‟assessore competente se delegato: tuttavia, la legge molisana prevede un apposito Comitato con compiti non solo istruttori, ma anche tecnici e di valutazione e coordinamento, oltre che di ricerca di fonti di finanziamento. Analoghi, ancora, sono il contenuto dell‟accordo, formalizzato dal decreto di approvazione, ed i suoi effetti per quanto riguarda la dichiarazione di pubblica utilità, etc. Come può rilevarsi, si tratta di una fattispecie “anfibia”, perché nasce da una promozione di parte pubblica e gerarchicamente sovraordinata: lo stesso accordo viene approvato con delibera, alla quale, peraltro, viene ricondotto valore di dichiarazione di pubblica utilità, che potenzia la componente provvedimentale della fattispecie stessa. Tuttavia, la rapida espansione della programmazione negoziata (e soprattutto dei patti territoriali intesi come strumenti determinanti di promozione dello sviluppo nelle cd. aree depresse) ed il considerevole ammontare di risorse finanziarie a tal fine previste “pongono evidenti risvolti problematici in relazione alla programmazione nazionale e regionale di settore” [M.C. Nencioni – S. Vaccari]. La questione principale che si pone, infatti, è quella del raccordo tra i soggetti istituzionali coinvolti, ovvero la Regione, titolare di tutte le funzioni legislative ed amministrative in materia di agricoltura, il Ministero delle politiche agricole e forestali, per i compiti non gestionali ad esso rimasti, e per quelli ad esso specificatamente trasferiti in materia di programmazione negoziata dalla legge, il Ministero delle attività produttive a cui il d.lgs. 30 luglio 1999, n.300, ha affidato la gestione della programmazione negoziata ed il Ministero dell‟economia, che è il soggetto di coordinamento e di finanziamento generale, ex art. 43, legge 17 maggio 1999, n. 144. A questo deficit di coordinamento avrebbe dovuto supplire l‟Intesa istituzionale di programma, come cornice negoziale entro cui definire il ruolo delle diverse forme di intervento pubblico e come strumento di raccordo, appunto, tra le tipologie di programmazione negoziata poste in essere sul territorio regionale e la programmazione generale. “Nella concreta attuazione, tuttavia, l‟Intesa istituzionale di programma non ha assunto il ruolo guida ad essa affidato dalla legge, tanto che a tutto il 1998 per

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In Bur Molise 16 giugno 1999, n. 11.

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nessuna Regione meridionale era stato concluso l‟iter approvativo dell‟Intesa” [M.C. Nencioni – S. Vaccari], per cui nei fatti, l‟attivazione delle diverse forme della programmazione negoziata è avvenuta al di fuori di un quadro organico e coordinato, come previsto dalla normativa, registrando ritardi di varia natura nella messa in opera dei Patti territoriali. Del resto, la delibera Cipe 21 marzo 1997 non prevedeva il coinvolgimento specifico dell‟assessorato alla agricoltura nella gestione operativa dei Patti, ma solo un‟acquisizione, da parte del Ministero del Tesoro, di un parere della Regione (emanato entro trenta giorni dalla sottoscrizione) ove questa non sia tra i soggetti sottoscrittori del Patto stesso, obbligandola, nei fatti, ad una ratifica su scelte compiute dai soggetti promotori, ancorché negoziate e concertate a lungo. Si è, pertanto, concluso che “la programmazione negoziata si è rivelata in alcuni casi una misura di sviluppo parallela a quelle adottate dalle regioni anche se, per le particolari modalità applicative, i temi dilatati ed il limitato collegamento con le iniziative promosse dagli altri soggetti pubblici operanti sul territorio, non ha potuto sinora svolgere appieno quel ruolo di catalizzatore dello sviluppo auspicato in sede legislativa [M.C. Nencioni – S. Vaccari].

► Programmazione negoziata e distretti

Ad un‟attenta osservazione, i processi di programmazione negoziata si incrociano altrettanto parallelamente con quelli legati ai distretti non solo perché investono in molti casi lo stesso territorio, ma anche perché viaggiano attraverso gli stessi meccanismi di coinvolgimento di soggetti pubblici e privati a sostegno dello sviluppo locale e, altresì, di integrazione delle attività agricole con le altre risorse, materiali ed immateriali, del territorio. I distretti, o sistemi produttivi locali, sono a ben vedere, in larga parte, espressione al pari dei fenomeni di programmazione negoziata, dei meccanismi economico-istituzionali conseguenti alla globalizzazione. L‟effetto conclusivo, infatti, del processo di asimmetria tra Stato e mercato, della perdita di sovranità nazionale, della emersione di organismi sovranazionali, della dematerializzazione produttiva, del primato del contratto rispetto alla legge, della “offerta” di diritto piuttosto che della “domanda”, che connotano i processi di globalizzazione, risiede, come si è detto nelle pagine precedenti, in una nuova gerarchia spaziale di relazioni economiche e politiche, caratterizzata da diversi livelli istituzionali che assumono e svolgono differenti funzioni, la cui centralità (anche in termini di competizione) è data da sistemi territoriali locali. Da questa comune origine, risulta, in tutta evidenza, come l‟impianto distrettuale abbia evidenti e significative assonanze con le logiche della programmazione negoziata, sia perché rispetto alle esigenze di sviluppo proposte dal distretto, ne hanno stimolato il collegamento tra molti di quei soggetti, pubblici e privati, che hanno competenze ed interesse a livello locale e sia perché, anche nell‟ipotesi distrettuale, l‟integrazione tra agricoltura ed altre attività economiche è un approccio irrinunciabile: insomma, distretti e contratti procedono parallelamente. Poiché, come si è già detto, la connessione ed il coordinamento tra diversi strumenti di programmazione territoriale è il presupposto necessario per un

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percorso di sviluppo che abbia una coerenza tra le esigenze locali e l‟orizzonte globale, il distretto avrebbe potuto essere (e così non è stato) il luogo contenitore dello sviluppo agricolo locale segnato dagli strumenti della programmazione negoziata. Invero, i due fenomeni hanno seguito percorsi normativi asimmetrici, sia a livello nazionale che regionale. Innanzitutto, per quanto riguarda i distretti, a livello nazionale, la normativa, molto recente37, estende, sostanzialmente ed acriticamente, la terminologia dei distretti industriali (legge 5 ottobre 1991, n. 317) a quelli rurali ed agroalimentari di qualità “senza che a ciò si accompagni una rimodulazione e riarticolazione degli strumenti, in ragione degli effettivi contenuti assegnati a tali modelli, nella loro differenziata implementazione, e dei concreti possibili esiti, sistematici, ma anche operativi ed applicativi” [F. Albisinni]. In sostanza, ad un processo spontaneo, espressione di autorganizzazione e di crescita dal basso, è stata artificiosamente sovrapposta una definizione normativa, mutuata dal modello industriale e comunque anelastica, che non accoglie la ricchezza della pluralità delle esperienze dei sistemi distrettuali, i quali, come è stato efficacemente osservato da De Rita, costituiscono “un circuito normativo non legiferato”, legato alla specificità ed alla originalità delle formule negoziali tra i diversi soggetti animatori del distretto. Questa discrasia tra rigidità della formula e molteplicità effettuale dimostra anche la fallacia sostanziale dell‟intervento del legislatore nazionale che, con l‟art. 13 d. lgs. n. 228/2001, si è sovrapposto, sia pure al solo livello definitorio, alla potestà regionale in merito; alla sovrapposizione normativa si è aggiunto poi, con il terzo comma del medesimo art. 13, il pleonasmo giuridico, essendo del tutto pacifico che le Regioni, sempre ai sensi dell‟art. 117, comma quarto, “provvedono all‟individuazione dei distretti rurali e agroalimentari”, poiché, accanto all‟agricoltura, anche lo sviluppo rurale, categoria concettuale che amplia la connotazione della prima, appartiene alla competenza regionale. Quanto alla dimensione agroalimentare, essa è da intendersi, perlomeno nella dimensione distrettuale, come estensione del processo produttivo agricolo e, comunque, agroindustriale, e pertanto di stretta competenza regionale; ove, peraltro, ci si volesse riferire al risultato finale del processo, ovvero al prodotto destinato all‟alimentare, si tratterebbe pur sempre di legislazione concorrente, all‟interno della quale, ai sensi del comma terzo dell‟art. 117, la potestà legislativa spetta alle Regioni. Significativamente la Regione Toscana, con l. r., 5 aprile 2004, n. 2138, ha significativamente provveduto ad una propria definizione di distretto rurale, la quale pur richiamandosi in senso lato all‟indicazione offerta dal primo comma dell‟art. 13 d. lgs. n. 228/2001, se ne differenzia significativamente. Intanto, e non è di poco conto, la legge fa riferimento solo ai distretti rurali, poiché ciò non solo corrisponde al modello di sviluppo regionale toscano, ma perché esattamente secondo gli orientamenti dell‟Unione europea39, la

37

Si tratta degli artt. 13 ss. del d. lgs. n. 228 del 18 maggio 2001. 38

In Bur, 14 aprile 2004, n. 14. 39

Per l’Ue, infatti, il territorio rurale si estende “attraverso regioni, paesaggi naturali, agricoli, foreste, piccoli centri, nuclei

industriali e comprende una varietà di attività economiche e sociali”: così Commissione Europea, DG VI, 1997.

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dimensione rurale ha carattere trasversale e non settoriale ed ha come riferimento non tanto e non solo la dimensione unicamente produttivistica quanto la crescita complessiva dei territori ed il miglioramento della qualità della vita dei residenti e dei fruitori di quelle aree. Coerentemente con questa impostazione ideale, nella definizione di distretto rurale si fa riferimento ai sistemi economico-territoriali e non ai sistemi produttivi, come invece fa la legge nazionale; all‟interno, poi, dei parametri individuativi del distretto si avverte una maggiore corposità dei criteri40, proprio per affermare un percorso dal basso, risalente ed affermato: in sostanza, la disciplina del distretto rurale, non si sovrappone artificiosamente con un involucro normativo, ma conferma un percorso già consolidato, offrendo gli strumenti giuridico-istituzionali per un più efficace funzionamento di quella che, nei fatti, si è dimostrata la realtà distrettuale. Nell‟impianto normativo toscano, sistema distrettuale e strumenti negoziali viaggiano parallelamente, poiché il distretto si costituisce mediante accordi tra enti locali e soggetti privati, perché rappresentativi dell‟identità territoriale e del tessuto produttivo, storico e sociale del territorio del distretto. Ed è l‟accordo, si badi bene, e non la legge, che definisce l‟ambito territoriale interessato dal distretto rurale ed individua, di norma in ambito provinciale, un coordinatore, con compiti di referente, che svolge attività di ordine organizzativo, avvalendosi delle strutture degli stessi soggetti aderenti. Per ottenere il riconoscimento di distretto rurale occorre rispettare una serie di parametri e presentare, con l‟accordo costitutivo, un progetto economico territoriale che definisca processi concertativi ed azioni integrate per il coordinamento e l‟implementazione dei piani e dei programmi del territorio distrettuale. All‟interno di questo orizzonte progettuale il distretto rurale ha precise finalità, tra cui quella di “favorire le iniziative di programmazione negoziata e di patti d‟area interessanti il territorio di competenza”. Un nesso significativo tra sistema distrettuale e programmazione negoziata si registra nella l.r. Piemonte 13 ottobre 2003, n. 26, i cui principi ispiratori e le cui norme differiscono, però, nettamente da quelli appena indicati nella legge regionale Toscana. Nella normativa piemontese, infatti, i distretti rurali e (anche quelli) agroalimentari di qualità (definiti riprendendo esattamente la norma nazionale) sono individuati dalla Giunta regionale, acquisito il parere della Commissione competente su proposta delle Province interessate, che sentono le rappresentanze economiche, sociali ed istituzionali: la l.r. Piemonte indica, tuttavia, i requisiti necessari all‟individuazione dei distretti. Il piano di distretto è adottato dalla provincia o, di intesa, dalle province, qualora il distretto comprenda territori di diverse province ed è attuato “mediante strumenti di programmazione negoziata che individuano, tra l‟altro, i

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Si parla, infatti, all’art. 2, di produzione agricola significativa per l’economia locale e di consolidata integrazione tra attività

rurale ed altre attività locali.

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progetti di innovazione41, nonché le amministrazioni, gli enti e gli altri soggetti interessati. Come può rilevarsi, le leggi regionali Toscana e Piemonte sembrano ispirarsi a schemi e modelli differenti: negoziale e dal basso, il primo, piuttosto istituzionale, e dall‟alto il secondo. Ulteriore modello distrettuale, sia pure con specifico riferimento ad un settore merceologico, è quello espresso dalla l.r. Liguria, 30 novembre 2001, n. 42, “Istituzione del distretto agricolo florovivaistico del Ponente”42. L‟art. 2 indica già l‟ambito territoriale del distretto, ovvero quello “costituito dai territori delle province di Imperia e Savona in quanto presentano” una serie di caratteristiche diffuse nel territorio43. Tuttavia, il dato in certo qual modo sorprendente, rispetto perlomeno, ad una necessità di funzionalità, è rappresentato dal Comitato di distretto che è costituito da ben ventuno componenti, esperti designati da varie rappresentanze (territoriali, di interesse, di ricerca…) e che elegge al proprio interno un presidente, un vicepresidente ed un consiglio direttivo ed alle cui riunioni possono partecipare altri esperti. Il Comitato predispone il programma del distretto, sulla base di un‟analisi della situazione esistente e delle potenzialità di sviluppo, nonché gli obiettivi e gli interventi (principalmente indicati nella l.r., art. 5) necessari per lo sviluppo del distretto. Tuttavia, la legge precisa – art. 5, comma 4 – che la Regione possa estendere ad altre zone al di fuori del distretto le azioni o le direttive o derivanti del programma del distretto44, vanificando, in certo qual modo, l‟idea stessa che sta alla base del distretto, ovvero un sistema di relazioni definito in un‟area territoriale ben definita; conseguentemente a questa impostazione “estensiva”, la legge precisa, altresì, in questo caso con un ragionevole criterio, che possano usufruire dei servizi più generali del distretto, nonché presentare richieste di contributo, le imprese florovivaistiche della regione, ancorchè non ricomprese nel territorio del distretto, a condizione che le loro attività produttive e commerciali sono comunque in coerenza con il programma del distretto. Decisamente positiva è, invece, la previsione ex art. 5, comma 6, per cui il programma costituisce quadro di riferimento per la pianificazione territoriale di livello provinciale e comunale, come prevista dalla “legge urbanistica” regionale n. 36/97: in effetti lo sviluppo integrato di territori, che si esprime anche attraverso i sistemi distrettuali, presuppone delle regole urbanistiche a presidio della crescita equilibrata dei territori medesimi, in cui siano rispettate le esigenze del “fare”, ma altrettanto tutelati e realizzati i valori immateriali

41

Si definiscono progetti di innovazione, secondo l’art. 2, comma 3, della l.r. Piemonte, le iniziative aziendali, interaziendali e

di servizio finalizzate ad accrescere l’interrelazione e l’interdipendenza produttiva ed economica tra le imprese del distretto e tra queste e il territorio.

42 In Bur 5 dicembre 2001, n. 12.

43 In nota art. 2.

44 Si tratta, anche, secondo l’art. 5, comma 2, di azioni tese all’introduzione nelle imprese della filiera delle innovazioni di

prodotto e di processo; alla creazione e l’ampliamento di servizi di assistenza tecnica, divulgazione e informazione, promozione e marketing; all’introduzione di sistemi di certificazione riconosciuti a livello internazionale.

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identificativi delle comunità locali, fino a “conformare” le attività edilizie in funzione di quelle agricole45. Lo schema adoperato dalla Regione Liguria per la figura del distretto florovivaistico del Ponente sembra dare risalto ai profili istituzionali della rappresentanza ampia, quasi che esso fosse un ente infraregionale e non espressione di un processo autorganizzato e dai confini ben individuati: a fronte dello scarto di velocità tra autonomia e istituzioni, la dimensione “paraistituzionale” del distretto potrebbe rivedersi meno efficace del previsto. La conferma della molteplicità delle formule giuridiche regionali (anche) per quanto riguarda i sistemi distrettuali in agricoltura arriva, altresì, dalle proposte di legge, a partire da quella depositata in Consiglio regionale del Lazio, n. 441 del 24 giugno 2002, e dal progetto di legge n. 427/20 n. 4, depositato in Consiglio regionale della Calabria. La prima, pur avendo per oggetto la disciplina dell‟individuazione ed organizzazione dei distretti rurali nel Lazio, prevede, tra gli obiettivi degli stessi, anche “il sostegno alla reindustrializzazione delle aree che evidenziano processi di declino ed alla riconversione di settori colpiti da fenomeni di crisi strutturale (…)” ed un Comitato di distretti abbastanza ampio, anche se non delle dimensioni di quello previsto dalla legge regionale ligure. Quanto al progetto di legge del Consiglio regionale calabrese, per quanto nella relazione introduttiva venga sottolineato come l‟obiettivo del testo legislativo sia quello di superare logiche di approccio al territorio di tipo parcellizzato e puntiforme, esso prevede, in certo qual modo contraddicendosi, oltre all‟istituzione dei distretti rurali ed agroalimentari di qualità (la cui definizione è mutuata dalla normativa nazionale), anche l‟istituzione di uno specifico distretto agroalimentare di qualità (art. 8), del quale vengono indicati specificatamente (i territori ricadenti ne) i Comuni facenti parte (art. 8 bis), in quanto presentino determinate caratteristiche. La proposta esprime una sorta di combinazione tra la complessità istituzione e l‟efficientismo economico. Il distretto è, infatti, proposto dalle Organizzazioni professionali provinciali e/o regionali nel cui territorio ricade il distretto, oppure da imprese agroindustriali; se il coordinamento del distretto spetta ad un Comitato ampiamente composto (Organizzazioni professionali, Comuni, Università…) (art. 7), la rappresentanza dello stesso è affidata ad una società di distretto, dalla natura giuridica non definita e predisposta dagli imprenditori del territorio di concerto con le Organizzazioni professionali. Con differente meccanismo legislativo si occupa di distretti la l.r. Veneto 12 dicembre 2003, n. 40. In un contesto generale di nuove norme per gli interventi in agricoltura (definizione dei soggetti, programmazione…), il Titolo III, riferito ai distretti rurali ed agroalimentari di qualità, ne formula la definizione e prevede l‟impegno della Giunta regionale a definire, entro centoventi giorni dall‟entrata in vigore della legge, sentita la competente commissione consiliare, criteri per l‟individuazione e procedure per il riconoscimento dei distretti rurali ed agroalimentari di qualità, i quali costituiscono ambito di attuazione degli interventi previsti dalla legge.

45

Significativa, in tal senso, la sentenza del Consiglio di Stato n. 156 del 15 gennaio 2003, in Dir. giur. agr. amb., 2004, 54.

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Pur scegliendo il ricorso a (futuri) provvedimenti amministrativi (per loro natura più flessibili della legge) individuativi e regolatori dei sistemi distrettuali, la l.r. Veneto, art. 9, comma 2, precisa che l‟atto istitutivo del distretto debba contenere sia la denominazione dello stesso che il territorio a cui si riferisce; promuove, inoltre, l‟avviamento di forme associative fra produttori agricoli e alimentari nell‟ambito del distretto [L. Paoloni]. È difficile, allo stato, in assenza di procedure amministrative, dare una più compiuta valutazione sulla legge regionale veneta: l‟atto istitutivo del distretto, ad es., presuppone un accordo tra le parti e la forma associativa promossa tra i produttori si sovrappone all‟accordo stesso? Procedure amministrative in tal senso sono state invece deliberate dalla Regione Basilicata, in esecuzione della l.r. 1/2001, art. 3, comma 2 e si ispirano ad un modello distrettuale attivato dal basso. Infatti, la proposta di riconoscimento dei sistemi produttivi locali e dei distretti industriali, rurali ed agroalimentari di qualità deve essere avanzata da gruppi di imprenditori, assistiti da associazioni di categoria e organizzazioni sindacali, sulla base di un protocollo di intesa che certifichi l‟avvenuta concertazione fra i suddetti soggetti, gli enti locali e la Camera di Commercio territorialmente competenti; protocollo che deve essere adeguatamente documentato sulle iniziative preparatorie tenute nei territori dei Comuni interessati all‟iniziativa46. In conclusione, può rilevarsi come le Regioni abbiano fatto ampiamente uso della loro potestà normativa ed esercitato le funzioni amministrative per disciplinare e/o supportare il fenomeno dei distretti con schemi e moduli differenziati, all‟interno dei quali, di regola, l‟accordo negoziale è un presupposto essenziale per avviare la procedura di riconoscimento del distretto, ma senza incrociare, salvo significativi casi, il percorso della programmazione negoziata. È, invece, questa, una soluzione che andrebbe recuperata.

► I nuovi rapporti contrattuali tra Pubblica Amministrazione e agricoltori.

L‟evoluzione della dialettica negoziale nei rapporti tra pubblica Amministrazione ed imprenditori agricoli ha conosciuto in questi ultimi tempi una prima formalizzazione normativa a livello nazionale, attraverso il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 22847, che ha introdotto nuovi strumenti di governo del settore agricolo, frutto di accordi tra pubbliche Amministrazioni ed imprenditori agricoli, riconducibili alla categoria dei contratti territoriali, mutuata dal diritto francese [F. Collart Dutilleul, 1999; F. Bruno, 2000]. Si tratta di fattispecie diversamente articolate e ricche di implicazioni per i processi di sviluppo locale (anche perché la formulazione al plurale di pubbliche Amministrazioni lascia intendere il più ampio coinvolgimento possibile di

46

La procedura di riconoscimento prevede che entro dieci giorni il Dipartimento Agricoltura e sviluppo rurale verifichi la

completezza formale e sostanziale della proposta e la sua coerenza con la programmazione regionale e la trasmetta al Nucleo regionale di accettazione e verifica degli investimenti pubblici, istituito presso la Presidenza della Giunta. Accertata, entro dieci giorni, la sussistenza dei requisiti di identificazione dei distretti, con la possibilità di integrazioni e chiarimenti, il Dipartimento attività produttive trasmette alla Giunta la proposta di deliberazione che, una volta adottata, viene trasmessa al Consiglio Regionale, il quale provvede con propria deliberazione ad istituire i sistemi produttivi locali e/o distretti.

47 In attuazione della legge delega 5 marzo 2001, n. 57, che al Capo I contiene i principi per la delega per la

“modernizzazione” nei settori dell’agricoltura, delle foreste e della pesca.

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soggetti amministrativi), ovvero: 1) i contratti di collaborazione tra imprenditori agricoli e p.a. per “la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali48; 2) i contratti di promozione tra p.a. ed imprenditori agricoli che si impegnino, nell‟esercizio dell‟attività agricola, ad assicurare la tutela delle risorse naturali, delle biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale49; le convenzioni tra p.a. ed imprenditore agricolo, al fine di favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale alla cura ed al mantenimento dell‟assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio50. Dalla prima tipologia contrattuale, sembra che le pubbliche Amministrazioni possano concludere un contratto di collaborazione attraverso il quale si impegnano a sostenere e promuovere un determinato territorio, anche se non è chiaro l‟oggetto di tale collaborazione (offre pertanto risorse finanziarie o potrebbe anche fornire servizi?). È stata avanzata l‟ipotesi che i contratti di collaborazione possano rientrare in una logica distrettuale, come strumento di sostegno e promozione del distretto [F. Bruno, 2001] ma, pur convenendo con tale argomentazione, che costituisce la parte sostanziale della fattispecie del contratto di collaborazione, riteniamo che quest‟ultima vada oltre tale prospettiva, potendo in essa rientrare qualsiasi proposta dell‟imprenditore agricolo diretta a sostenere e promuovere il territorio, pur nel limite della programmazione locale; in sostanza, all‟esercizio autoritativo di potestà pubblicistiche finalizzate alla cura di interessi collettivi, si sostituisce lo strumento negoziale, proposto anche dall‟imprenditore agricolo. Più chiaramente individuati ed individuabili sono i contratti di promozione. Ai sensi, infatti, dell‟art. 14, comma 3, gli imprenditori agricoli che si impegnano nell‟esercizio dell‟attività di impresa ad assicurare la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale possono concludere con la pubblica Amministrazione (o rectius, con una o più delle pubbliche Amministrazioni competenti territorialmente o funzionalmente: comune, comunità montana, ASL…) contratti di promozione. Dal canto suo, l‟Amministrazione può erogare aiuti al fine di assicurare un‟adeguata informazione ai consumatori e di consentire la conoscenza della provenienza della materia prima e della peculiarità delle produzioni, in cambio dell‟impegno a svolgere un servizio di interesse collettivo, ovvero la tutela dell‟ambiente e del territorio. In sostanza, si tratta di un servizio prestato alla collettività “nell‟esercizio dell‟attività di impresa” – precisa il legislatore – per cui se ne deduce che, di per sé, il solo esercizio di attività di impresa agricola produce un servizio di interesse pubblico [F. Bruno, 2001].

48

Art. 14, comma 1, d. lgs. n. 228/2001. 49

Art. 14. Comma 3, d. lgs. n. 228/2001. 50

Art. 15, comma 1, d. lgs. n. 228/2001. Convenzioni sono previste dall’art. 5 del d. lgs. n. 226/2001 di orientamento e

modernizzazione nel settore della pesca, tra Mipef e/o Regioni ed associazioni nazionali di categoria, o con i centri di servizi da esse istituiti, per una serie di attività e finalità ambientali e/o produttive, che qui non mette in conto riportare anche perché l’insufficienza del testo ci obbligherebbe ad un lungo lavoro interpretativo.

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Ben diversa, almeno dal punto di vista della sistematica giuridica, è la fattispecie delle convenzioni, essendo la formulazione dell‟art. 15 del d. lgs. n. 228/2001 che le disciplina, contraddittoria e tecnicamente incongruente. Mentre, infatti, secondo autorevole e condivisa dottrina le convenzioni possono essere inquadrate nelle figure negoziali e volontarie che hanno come oggetto – si badi – rapporti non patrimoniali e quindi devono espungersi dalla cerchia del contratto [F. Messineo, 1970], nella citata ultima norma i termini contratto e convenzioni si sovrappongono e si intrecciano anche con la previsione di prestazioni patrimoniali, dando ragione a chi ha sottolineato che il decreto legislativo n. 228/2001 presenta “aspetti tecnicamente bisognosi di ritocchi anche intensi” [L. Costato, 2001]. Poiché il contenuto della convenzione ricalca sostanzialmente quello dei contratti di promozione è probabile che il legislatore abbia voluto fare generico riferimento alla fattispecie delle “convenzioni amministrative” che comprendono “in primo luogo, in senso puramente empirico e descrittivo, il manifestarsi dell‟attività amministrativa non tanto come provvedere unilaterale, autoritario ed imperativo, quanto piuttosto attraverso atti bilaterali di individuazione consensuale di linee di comune interesse, da realizzarsi attraverso la collaborazione delle organizzazioni amministrative e degli amministrati, con i quali vengono fissati impegni reciproci” [G. Falcon, 1988]. La convenzione, rispetto alla più diretta ed essenziale fattispecie del contratto, è una formula che, pur nella sua bilateralità, consente, altrettanto, un impianto analiticamente e preventivamente ben definito delle prestazioni reciproche e si adatta, tecnicamente, ad un impiego reiterato in modo funzionale attraverso lo strumento dell‟atto tipo: in sostanza, la convenzione prevede un modello contrattuale sostanzialmente uniforme (per via, appunto, dell‟atto tipo). Peraltro, come succede quando la legge prevede, come in questo caso, lo strumento della convenzione, la convenzione stessa può “seguire”, al fine anche di far emergere interessi pubblici e privati e consentire interventi programmatori reiterati, il modello di un atto tipo, predisposto da un‟autorità amministrativa “anche se non è del tutto necessario che l‟atto tipo sia vincolante per le parti della futura convenzione - ma – avere carattere meramente orientativo e funzionare perciò come mero ausilio e sollecitazione nella redazione dell‟atto pattizio” [G. Falcon, 1988].

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 52

L’ANALISI SOCIOLOGICA

► I presupposti della ricerca

La ricerca sociologica di campo impostata sui dati e sulle informazioni raccolte nel settore economico – statistico e sulle linee scaturite dalle definizioni di tipo normativo, tende ad individuare i fattori di identità tra la popolazione delle aree pilota e identificare l‟autopercezione degli abitanti, le possibili dinamiche sociali legate alla caratterizzazione rurale, il senso di comunità e, di conseguenza i fattori potenziali che creano le linee direttive per le tipologia di sviluppo rurale. Insieme alla “scoperta” degli elementi sociali di definizione dell‟unità delle aree considerate, la ricerca è stata organizzata anche per analizzare le debolezze di regolazione della socializzazione, della partecipazione e dello scambio interne alle aree. Nello stesso tempo, si è cercato di determinare la qualità delle relazioni esterne con le aree confinanti, la regione e le strutture amministrative. Nella preparazione del questionario e dei focus groups si è partiti dai profondi mutamenti del paesaggio sociale rurale degli ultimi anni. La stessa idea di ruralità storica ha subito tali cambiamenti che alcuni storici (Anselmi, Moroni, Sori)51 hanno identificato con “la grande trasformazione”, termine di grande suggestione perché riferito alla definizione usata da Polanij per l‟affermarsi storico della modernità del mondo contemporaneo. “Il sistema agrario storico marchigiano, fondato sulla casa poderale, sul lavoro dell‟intera famiglia colonica, sul patto mezzadrie, dà vita ad un paesaggio agrario della coltura promiscua” (Moroni 2004).52 L‟agricoltura è fondata sul grano e più in generale le granaglie, l‟univo, la vite. I poderi mezzadrili, sono “una miriade di eco – sistemi perfettamente integrati tra loro, non solo attraverso la varietà delle colture nel promiscuo del seminativo – olivato – vitato, con relativa rotazione delle foraggerei, ma mediante un ingegnoso sistema idrico di utilizzazione delle acque piovane e con l‟armatura di difese naturali costruita con siepi e presenza non casuale di alberi da legna, da frutto e da foglia.53 A questo “paesaggio artificiato” che si presenta come “custode ambientale” corrisponde una società coesa, fortemente autoritaria che fa corrispondere ad un‟alta dispersione di case e di presidi nel territorio, una funzione amministrativa, accentratrice e centrale dei borghi, dove risiedono i proprietari , i ceti amministrativi, gli artigiani. La civiltà contadina mezzadrile nelle Marche è rintracciabile nei Musei della civiltà contadina, appunto, ma a livello sociale sopravvive in una serie di comportamenti, di valori e di modelli culturali che costituiscono gli elementi di continuità attraverso i quali i protagonisti della grande trasformazione hanno affrontato i mutamenti socio- economici. Il mondo mezzadrile costituiva socialmente una formazione sociale coesa, con una regolazione sociale spesso

51

Anselmi Sergio “ Chi ha letame non ha fame” vol. 1 – 2 Proposte e Ricerche, Moroni Marco “L’Italia delle colline” Proposte e

Ricerche 2004, Sori Ercole in Marche a cura di S. Anselmi Einuadi. 52

Moroni Marco op. cit. 53

Anselmi Sergio “Città e campagna:conflitti e controllo sociale”, i n Annali dell’Istituto Cervi n. 2, 1980.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 53

elogiata dalle scienze sociali negli anni successivi alla grande trasformazione. Franco Rodano in un saggio scritto nel 1946 per Il Politecnico di Vittorini, prese una posizione opposta. Per lui, la mezzadria non era un‟istituzione modulata sulla famiglia contadina, ma un processo storico autoritario ed oppressivo che aveva al contrario, costretto l‟organizzazione della famiglia, la rete delle relazioni parentali e la stessa trama degli affetti alla “formazione sociale” dell‟agricoltura del centro Italia. Il sistema socialmente era sicuramente rigido, se giudicato con i criteri di oggi, ma conteneva nel corpo di questa immobile conservazione sociale, elementi di dinamismo e di continui micro – cambiamenti. Vi erano anche varchi di iniziativa scarsamente regolata, come i famosi furti sulle suddivisioni quasi istituzionali da parte dei mezzadri. La dimensione rurale delle Marche mezzadrili, fu, in definitiva, una società forte, apparentemente affetta da immobilismo, considerata un retaggio feudale, che investì l‟intero mondo sociale della regione. Per dirla con Sori, “si respirava ed era pervasiva”.54 Eppure conteneva elementi innovativi di profondità, che hanno permesso il passaggio verso il paesaggio delle Marche industriali, delle aziende diffuse, di piccole medie proporzioni. La grande trasformazione , appunto, che portava uno storico prudente come Anselmi che in 10 anni, avevamo distrutto il paesaggio lentamente costruito nei precedenti 10.000. Il passaggio dalla ruralità del mondo mezzadrile a quella che noi dobbiamo riconoscere oggi, è sintetizzata da alcuni dati facilmente leggibili. Le aziende a mezzadria che nel 1961 rappresentavano il 50,5% del totale, e occupavano il 59,1% delle superfici coltivate. Nel censimento del 2000 la mezzadria è scomparsa anche per legge(0,1%), la conduzione diretta rappresenta il 93,1%, mentre il 6,6% delle aziende fa uso di salariati. Il totale delle aree coltivate assomma al 78% a conduzione diretta, il 21,7% con salariati e lo 0,2% ancora a mezzadria. Per i dati sulla popolazione sparsa, si passa dal 34,9% del 1961, al 15,1% del 199155. Al di là dei rilevamenti quantitativi, è l‟organizzazione stessa della vita ad avere subito mutamenti definitivi. Per citare un esempio di minuscole dimensioni che però pesa molto, poi, nella definizione dei rapporti sociali,la mezzadria scomparsa ha, come il nostro stesso survey suggerisce, prodotto rapporti informali di divisione dei prodotti tra proprietari oramai urbanizzati per abitudini anche se ancora domiciliati in casolari sparsi o nei piccoli centri e agricoltori anziani rimasti culturalmente ancora i coltivatori dell‟età mezzadrile. Sul piano macro sociale, le nuove caratteristiche delle aree agricole sono di grande novità nel panorama italiano:

1. la nuova ruralità rappresenta una fase successiva a quella dell‟industrializzazione diffusa. Qualcuno l‟ha definita come riscoperta dei vantaggi della lentezza (Dubbini, Prisma). Le aree che hanno sviluppato industrie meno inquinanti e meno trasformatrici del paesaggio agricolo e naturale, le più lente rispetto alla fase del modello industriale marchigiano, hanno, negli anni, sviluppato un‟agricoltura di

54

Sori Ercole op. cit. 55

Moroni Marco op.cit. ppgg. 126 – 131.

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qualità che oggi può diventare sistema, convivere con una ripresa industriale più aderente al territorio e costituire un modello di ult4eriore sviluppo profondo senza fratture sociali.

2. I diversi continuum con i borghi e le città della costa hanno assunto un connotato di relazione continua, ma sfrangiata lungo una rete di canali di relazioni reciproche. Basti pensare al fatto che sulla costa balneare, circa l‟80% degli ombrelloni affittati, vengono noleggiati da clienti giornalieri provenienti dall‟interno, che hanno con la spiaggia lo stesso rapporto quotidiano degli abitanti della costa. La ruralità viene, in parte, definita dalle relazioni con le aree diverse confinanti

3. La forte accentuazione del percezione soggettiva della ruralità riassumibile nello slogan più comune della regione che è: nelle Marche si vive bene, i servizi base funzionano, non si respira il clima affannato delle città, il tasso di criminalità è basso, siamo gentili, per un paradosso viene coniugata con una sensazione di marginalità e con un continuo bisogno di rinnovamento di auto – legittimazione dello stile di vita

In altre parole, se si guarda ai modelli di socializzazione delle comunità locali, la grande trasformazione viene vista come continuità di contenuti con il passato, ma il passaggio auto – percettivo avviene da una società coesa, fortemente autoritaria, con ruoli stabiliti, ad una dimensione di società liquida, nella quale la “forza dei legami deboli” è un fondamento significativo di organizzazione della vita quotidiana. Per questo motivo, le relazioni soggettive, i processi partecipativi, le iniziative e le attività sono molto importanti nella definizione stessa di ruralità. La singolarità dei luoghi, definita da Hilman come anima, assume un ruolo portante nella struttura della percezione di sé e della località comunitaria. Nessuna fonte dà un‟acqua uguale all‟altra, nessun odore è uguale in due posti. Questo assioma diventa una affermazione di attenzione all‟identità locale, molto più che non i processi tradizionali di regolazione sociale.

► Gli obiettivi

Gli obiettivi chiave del survey sociologico sono:

> la conoscenza diffusa nelle aree della dinamica socio – economica, > della percezione dell‟identità collettiva, da parte degli abitanti > il rapporto soggettivo con l‟eco sistema e l‟ambiente più in generale > il rapporto soggettivo con la cultura tradizionale, l‟identificazione dei

saperi rurali diffusi e l‟atteggiamento rispetto alla cultura materiale del mondo rurale

> il rapporto con i patrimonio culturale – architettonico e artistico, della storia del territorio

> identificare i percorsi informativi e di formazione delle opinioni nella comunità locale

> identificare gli elementi di disagio e le difficoltà allo sviluppo di una consapevolezza della dimensione rurale del territorio e i limiti materiali ad una crescita di un concetto unitario di distretto rurale

Questi obiettivi tendono a definire le condizioni generali identificate dai testimoni privilegiati e dai gruppi di discussione per lo sviluppo di programmi di sviluppo rurale e di politiche partecipative

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 55

Gli obiettivi particolari sono fondati sulla descrizione articolata delle componenti socio – economiche dell‟identità locale, della percezione della comunità e del territorio attraverso una descrizione delle risorse naturali, dell‟ambiente, del patrimonio culturale e di sapere tradizionale Riassunti schematicamente sono:

> raccolta di informazioni sulle caratteristiche morfologiche, fisiche, ambientali sui problemi derivati dalla gestione non oculata delle risorse

> raccolta di informazioni sul patrimonio culturale, l‟eredità della cultura tradizionale, della storia stratificata nel territorio

> raccolta di informazioni economico – sociali sul contesto produttivo, sulle caratteristiche agricole, sulle produzioni tipiche, sulla stratificazione della popolazione, sulle forme di nuovi insediamenti nella campagna, di nuove attività connesse con l‟agricoltura (turismo ecc)

> ricostruzione dei mutamenti avvenuti nell‟area così come essi vengono percepiti dai soggetti coinvolti nella ricerca e sulle dinamiche della popolazione locale (età anziana, gruppi giovanili ecc)

> identificazione delle dinamiche di partecipazione e delle difficoltà connesse con la stessa, i sistemi informativi, le relazioni amministrative più ampie dell‟area di indagine

> raccolta di osservazioni, proposte e suggerimenti da parte degli intervistati e dei partecipanti alla ricerca

> identificazione dei fattori che possono aiutare uno sviluppo di distretto

> utilizzazione della raccolta di informazioni in funzione di un modello socio – economico generale che definisca alcune linee di caratterizzazione del DS (Distretto Rurale)

Le analisi sviluppate sono state riassunte nel capitolo successivo, i risultati di dettaglio ed alcuni approfondimenti sono contenuti nella parte applicativa del presente rapporto.

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IL PERCORSO PER L’IDENTIFICAZIONE DEL DR

Al termine dello sviluppo del progetto è possibile delineare con maggiore precisione, rispetto alle fasi iniziali, il percorso che conduce ad una razionale identificazione delle risorse territoriali e quindi alla valutazione della presenza di un sistema socio-economico locale. Il processo proposto è schematizzato nel seguente diagramma.

Figura 3 - Il processo logico proposto per l’identificazione dei Distretti Rurali Fonte: nostra elaborazione

Il percorso metodologico ha due punti di ingresso che corrispondono a due ambiti di intervento, uno che interessa l‟area che si propone come distretto e l‟altro il decisore regionale a cui è demandato il riconoscimento. In altri termini il primo ambito si riferisce a cosa dovrebbe fare un territorio per verificare se ha i caratteri attribuiti ad un Distretto Rurale e il secondo cosa dovrebbe fare la Regione per valutare oggettivamente la proposta. Si ritiene che questo approccio non solo consenta di accrescere e la probabilità di produrre effetti tangibili sul territorio ma che in definitiva attribuisca un valore concreto al riconoscimento. Se l‟attribuzione fosse fatta sulla base di criteri poco selettivi e/o incoerenti, il termine “Distretto Rurale” diventerebbe un semplice marchio di territorio accessibile a molti, e la sua “spendibilità” dipenderebbe esclusivamente dalle azioni di marketing territoriale, con inevitabili problemi di competitività e riconoscibilità.

Ambito amministrativo

regionale

Ambito progettuale locale

Costruzione base conoscitiva

Interazione con la realtà

Valutazione del capitale territoriale

Delimitazione dei caratteri distrettuali

Selezione dei criteri

identificativi

Contesto normativo

Riconoscimento

Distretto Rurale

Identificazione della strategia

portante

Valutazione della proposta

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Viceversa se venisse adottata la presente proposta metodologica, l‟attenzione si focalizzerebbe solo sui territori che hanno evidenti i caratteri associati al DR e che contemporaneamente sono capaci di attivare un processo partecipativo di conoscenza ed auto-valutazione che li renderebbe più consapevoli dei propri mezzi nel contesto competitivo globale. Non da ultimo occorre considerare la convenienza di un territorio ad essere riconosciuto come DR. La questione non è stata oggetto di questo studio, ma è certo che il processo di riconoscimento deve portare a qualche tangibile vantaggio, altrimenti non si comprende la ragione per cui un gruppo di soggetti operanti in un distretto dovrebbe intraprenderlo. Trovare il punto di equilibrio tra gli oneri a carico delle aree proponenti derivanti dal processo di riconoscimento e i benefici che se ne potranno trarre è la questione centrale che può determinare il successo di questa nuova configurazione territoriale. Che l‟approccio distrettuale di per sé porti ad alcuni benefici è innegabile ma la sperimentazione ha messo in luce come questo processo ha bisogno di una spinta dall‟esterno per essere avviato. Tornando al percorso metodologico, il primo punto di partenza è il contesto normativo che riguarda il Distretto Rurale, che detta le “regole del gioco” in quanto delimita il contesto entro il quale occorre collocare questa nuova configurazione territoriale. Ci si riferisce non solo alla cosiddetta legge di orientamento ma anche alla normativa comunitaria che programma gli interventi nell‟ambito dello sviluppo rurale e, in successione gerarchica, alle leggi e ai programmi nazionali e regionali. Parallelamente l‟altro punto di ingresso del percorso riguarda l‟ambito locale, che per prima cosa dovrebbe preoccuparsi di raccogliere tutti quegli elementi informativi utili a comprendere, a qualificare e a presentare se stesso. La costruzione della base conoscitiva va affiancata da un processo iterativo di raccolta delle informazioni sul territorio che consentirà poi di valutare il capitale territoriale e la scelta di una strategia portante per lo sviluppo dell‟area. Le frecce più spesse di colore grigio identificano le connessioni che sono state attivate a livello sperimentale per lo sviluppo di questo progetto, ma che a regime, una volta fissati i criteri definitivi, non avranno più ragione di esistere. Infatti in questa fase sperimentale, la specificazione delle caratteristiche associate ad un distretto è stata effettuata sulla base dei risultati prodotti dalla conoscenza sul territorio sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Il passo successivo è stato quello di verificare quali di questi caratteri potessero essere trasformati in indicatori misurabili sia dal decisore regionale sia in ambito locale, attivando così un processo preliminare di autovalutazione. Il confronto fra il quadro informativo elaborato localmente e i criteri stabiliti a livello regionale consente infine di stabilire se esistono i requisiti adeguati al riconoscimento del territorio come Distretto Rurale.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 58

La costruzione della conoscenza di

base

La costruzione del quadro informativo di base è il primo passo del percorso che porta alla valutazione dei caratteri di un territorio e quindi alla successiva predisposizione di un progetto di sviluppo integrato. Le analisi esemplificative contenute nella seconda parte del lavoro, offrono un ampio ventaglio di metodi e strumenti per l‟elaborazione e la successiva valutazione delle principali caratteristiche strutturali e socio-economiche e sui fenomeni evolutivi che li hanno interessati. Al termine di ogni paragrafo è stata inserita una tabella riassuntiva che accoglie i punti salienti dell‟analisi da utilizzare per la successiva valutazione del capitale territoriale.

► Il profilo territoriale

La prima parte è dedicata alle caratteristiche fisiche del territorio che va posizionato geograficamente nel contesto regionale, evidenziando quei fenomeni naturali che lo identificano ma anche che hanno determinato l‟attuale stato (es. fenomeni geologici) e che condizionano lo sviluppo futuro (es. clima, suolo, risorse naturali). In questa parte va anche analizzato l‟impatto della presenza dell‟uomo sia nel concorrere alla costruzione e allo sviluppo del paesaggio, sia per quanto riguarda gli insediamenti e le infrastrutture. Infine una particolare attenzione è stata posta all‟accessibilità delle risorse del territorio sia dall‟interno che dall‟esterno. La metodologia proposta non è di facile ed immediato utilizzo ma potenzialmente applicabile a differenti contesti ed in grado di misurare oggettivamente il grado di concentrazione e/o dispersione delle risorse territoriali. In generale le informazioni di base sono in gran parte disponibili da diverse fonti e pubblicazioni (es. dati geografici e ambientali, cenni storici) ed in alcuni casi possono derivare dall‟utilizzo di metodologie specifiche come nel caso dell‟uso del suolo e della classificazione dei paesaggi. Le analisi esemplificative contenute nella seconda parte del rapporto, specificano le fonti informative da cui attingere i dati, ma questo non significa che non possano essere integrate con altre fonti che offrono un maggiore dettaglio a livello locale. Indipendentemente dalle metodologie e dalle fonti utilizzate da questa prima parte del lavoro di analisi deve emergere chiaramente l‟attuale struttura del territorio e le sue potenzialità immediate in quanto su queste si attueranno le future azioni di sviluppo in maniera coerente e sostenibile. La definizione di territorio è anche associata alle attività umane che in esso si svolgono, e una parte consistente del quadro conoscitivo è dedicato a descrivere e analizzare il contesto sociale. Alcuni brevi cenni storici possono far comprendere meglio l‟attuale condizione di coloro che vivono, lavorano od in generale fruiscono del territorio per poi

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spostare l‟attenzione sulle organizzazioni sociali che vi operano e sulle modalità con cui lo fanno. In quest‟ultimo ambito è opportuno avere una visione complessiva dei piani e dei programmi in atto che regolano le attività sul territorio. I caratteri demografici sono essenziali per capire le società locali e la loro struttura e spiegano anche il tipo di attività economiche che svolgono. Gli aspetti economici rivestono un ruolo estremamente rilevante in quanto la capacità di produrre reddito determina o meno la permanenza delle popolazioni sul territorio. In questo ambito è stata data un‟ampia rilevanza alle attività agricole che devono sicuramente caratterizzare un potenziale Distretto Rurale. Con il termine rurale però si comprendono anche le attività connesse all‟agricoltura e con il territorio e nell‟ultimo paragrafo di questo percorso di analisi è possibile includere quei caratteri e quei fenomeni che si ritengono adatti ad far emergere un ambiente socio-economico integrato e coeso (es. turismo, artigianato locale, associazionismo, no-profit, …). In sintesi dall‟analisi dei caratteri sociali, deve emergere l‟attuale struttura sociale e produttiva del territorio e la sua capacità di perseguire un chiaro e ampiamente condiviso sentiero di sviluppo.

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Finalità informativa Metodi Strumenti Fonti

Caratteri ambientali Analisi morfologiche, geologiche, pedo- climatiche

Statistiche territoriali, carta pedologica, dati climatici

Dati statistici ISTAT

/censimenti Studi locali specifici

Caratteri strutturali

Analisi delle risorse naturali, delle opere insediative e infrastrutturali

Piani infrastrutturali, certificati di conto cosnsuntivo dei Comuni

Dati amministrativi regionali/provinciali/comunali (es. bancadati ANCI)

Evoluzione dell’uso del suolo:

Evoluzione e localizzazione dei fenomeni di urbanizzazione, agrarizzazione e rinaturalizzazione nel lungo periodo

comparazione cartografica Carta del suolo Regione; Banca dati comunitaria Corine

Paesaggio

Analisi del paesaggio sulla base di aspetti geologici/morfologici/di uso del suolo

Quantificazione della diversità/omogeneità del paesaggio

Atlante dei pedo-paesaggi ASSAM Documentazione fotografica

Grado di accessibilità al territorio

Analisi spaziale delle risorse naturali ed artificiali

GIS, calcolo delle distanze e delle risorse accessibili (es. popolazione)

Dati statistici ISTAT Dati amministrativi Regione/Province/Comuni Ricognizioni a livello locale

Evoluzione demografica

Analisi della popolazione residente/variazioni popolazione residente per classi d’età/livello di scolarizzazione

Statistiche demografiche Dati ISTAT/censimenti popolazione, movimenti anagrafici

Economia Analisi del tessuto imprenditoriale e delle forze di lavoro

Statistiche su imprese e addetti per settore economico

Dati ISTAT/censimenti industria Dati camerali

Agricoltura

Analisi delle superfici coltivate, delle consistenze zootecniche, delle strutture produttive, per settore e classe dimensionale

Confronto tra peso agricoltura nell’area e a livello regionale/ andamento nel tempo

Dati ISTAT/censimenti AGRICOLTURA Indagini strutturali

Caratteri specifici del territorio (turismo, artigianato, coesione ed organizzazione sociale ed istituzionale)

Analisi dei flussi turistici, delle imprese artigiane, dell’associazionismo, del volontariato e delle organizzazioni private e oubbliche

Quantificazione dei fenomeni e confronto con la media regionale

Dati ISTAT, Regione Marche, Organizzazioni di categoria Piani e programmi amministrativi

Tabella 2 - Riepilogo delle modalità per la costruzione della conoscenza di base Fonte: nostra elaborazione

Alcune ipotesi di lavoro

La costruzione del quadro conoscitivo di riferimento potrebbe essere facilitata dalla disponibilità di alcuni punti informativi centralizzati a livello regionale. Difatti le fasi di raccolta potrebbero essere accelerate e semplificate con la realizzazione di alcune banche dati, ad accesso remoto, specificamente studiate per accogliere e distribuire le informazioni utili per i progetti di sviluppo rurale. Ci si riferisce in particolare ad un archivio di dati statistici a livello comunale ed ad un repertorio documentale di norme e atti amministrativi che hanno rilevanza in ambito di programmazione e pianificazione territoriale. Coloro che intendono ripercorrere la presente proposta metodologica potrebbero interrogare le banche dati e redigere più rapidamente la proposta progettuale. L‟organizzazione dei dati e dei documenti raccolti per il presente progetto potrebbe costituire il primo nucleo di questi sistemi informativi per lo sviluppo locale.

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Per concludere questo paragrafo dedicato alla conoscenza di base sul territorio, si fa presente che una efficace organizzazione e gestione complessiva delle informazioni è possibile utilizzando strumentazioni di tipo GIS56 che sono utili sia in fase di analisi che di diffusione delle stesse. Negli esempi proposti nella seconda parte del documento sono stati utilizzati questi strumenti solo in alcuni ambiti specifici, ma la loro potenzialità è sicuramente molto più vasta. Data la potenza e la versatilità degli attuali programmi cartografici la possibilità di realizzare un sistema informativo territoriale è ora molto più semplice e la loro interfacciabilità con la rete Internet apre nuovi interessanti sviluppi sul fronte dell‟accesso alle informazioni. Dal lato dell‟organizzazione, gestione e analisi delle informazioni, questo tipo di strumentazione è già diffusa da diverso tempo ma quasi esclusivamente tra coloro che si occupano di pianificazione territoriale. In realtà il processo di georeferenzazione potrebbe essere applicato a informazioni che non riguardano esclusivamente le risorse naturali e/o artificiali di un territorio ma anche a elementi economici (es. imprese), sociali (es. servizi sanitari), culturali (es. eventi). Il meccanismo noto agli addetti ai lavori, è quello dell‟identificazione geografica dei punti di interesse (POI), associando ad essi alcuni dati specifici e collegandoli ad altre fonti informative. Un breve esempio per chiarire questo passaggio. La localizzazione dei siti museali ed archeologici e la loro trasposizione su una cartografia digitale è un lavoro di facile attuazione che consiste nell‟identificare con un punto sulla mappa ogni struttura presente nel territorio. Il punto in questo contesto, non è solo un elemento grafico ma anche una potenziale porta di accesso a varie informazioni come ad esempio la superficie espositiva, l‟età dei reperti, gli orari di visita. Inoltre il POI può essere collegato ad un sito Internet dove è presente il calendario degli eventi, il catalogo, i servizi di prenotazione e acquisto dei biglietti. I moderni strumenti GIS consentono infatti il riversamento degli strati informativi su Internet (WEBGIS) e questi possono essere selezionati ed interrogati dagli utenti interessati a conoscere il territorio per finalità turistiche o per altri scopi. Ad esempio un “visitatore virtuale” potrebbe costruire un percorso personalizzato che collega i punti di suo interesse, in preparazione del viaggio “reale” attraverso il territorio. Non da ultimo le ultime tendenze tecnologiche prefigurano una rapida diffusione di questi sistemi informativi geografici abbinati a strumenti di navigazione satellitare (GPS). Questi dispositivi presenti ormai su molte autovetture e disponibili anche come apparecchiature portatili57, localizzano l‟utilizzatore e visualizzano la sua posizione su una cartografia digitale sulla quale è possibile riportare i punti di interesse e le informazioni ad essi collegate.

56

Geographical Information Systems, è una categoria di programmi dedicata alla gestione ed elaborazione di informazionii

attraverso la rappresentazione cartografica. 57

I dispositivi GPS (Global Positioning System) si basano su una tecnologia consolidata e diffusa su molte apparecchiature

elettroniche dai computer palmari ai telefoni cellulari.

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Ciò significa che un turista che attraversa un territorio può accedere alle informazioni rilevanti sull‟area e visualizzare le mete che aveva programmato, magari nel suo percorso personalizzato su Internet, o decidere sul momento una variazione di percorso per raggiungere un luogo visualizzato come POI sul navigatore (es. una rivendita di prodotti tipici o uno sportello bancomat). La futura diffusione di tali strumentazioni se supportata da un‟adeguata disponibilità di informazioni territoriali, renderebbe meno indispensabile la creazione di sportelli informativi sul territorio, la cui gestione è sicuramente onerosa e non può garantire un analogo servizio per durata (24 ore su 24) e per accessibilità (da ogni parte del mondo).

L’interazione con la realtà

Il processo che porta alla conoscenza del territorio non può limitarsi all‟utilizzo di informazioni pre-esistenti. E‟ necessario infatti che il processo si estenda coinvolgendo direttamente i soggetti che vivono nell‟area e che possiedono una conoscenza che consente di integrare ed in parte revisionare, il quadro informativo di base. L‟approccio metodologico scelto è stato di tipo partecipativo e di auto – ricerca, cioè fondato sul coinvolgimento di soggetti come testimoni privilegiati mediante interviste individuali e come protagonisti di scambio e discussione mediante focus groups intorno a temi determinati. Le interviste sono state orientate a raccogliere le informazioni base e i punti di vista dei singoli testimoni. I groups hanno avuto la funzione di approfondire in senso qualitativo le informazioni raccolte mediante le interviste e di mettere a confronto diverse posizioni sulle informazioni stesse. Il significato di metodo partecipativo va interpretato in base a due obiettivi di carattere metodologico:

1. Le interviste (il testo del questionario elaborato è contenuto in appendice) sono state svolte in modo da invitare il testimone non solo a dare informazioni soggettive, ma anche a sviluppare, un‟auto - ricerca, cioè osservazioni e rilevazioni sulla propria esperienza diretta sulle informazioni date. E‟ stata usata la cosiddetta Intervista di profondità. In questo modo, si ottiene di operare già durante l‟intervista una verifica qualitativa delle informazioni diretta ad un approfondimento delle stesse e a impegnare il testimone in un‟attività di verifica – apprendimento potenzialmente permanente nel futuro. Con l‟intenzione di produrre, dove possibile, uno strumento di indagine partecipativa per il futuro all‟interno delle strutture del DR stesso;

2. I focus (Composizione e traccia della discussione degli stessi in appendice) sono stati programmati in modo da confrontare le informazioni e gli approfondimenti emersi dalle interviste. Anche in questo caso l‟uso dello strumento di ricerca è stato costruito in modo da verificare lo stesso come potenziale strumento di consultazione e partecipazione alle strutture o alle pratiche partecipative del DR.

Il questionario attraverso il quale è state poi sviluppate le interviste, è stato somministrato sulla base di una griglia di selezione schematizzata nella tabella che segue.

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Tipo di griglia Criteri di selezione

Demografica

> età > genere > ambiti “geografici”di abitazione (centro amministrativo, borgo, gruppo di case, case

sparse, se lungo una via di comunicazione, se in area isolata)

Sociale > professione come status > innovativo – tradizionale > amministrativo – produttivo

Economica > reddito > composizione del reddito – rapporto formale – informale > vantaggi e svantaggi del rapporto con il milieau rurale

Culturale

> rapporti sociali nell’ambito locale > rapporti matrimoniali e peculiarità delle relazioni rispetto al contesto urbano > rapporti tra generazioni e tra generi > condizione dell’età anziana e potenzialità del territorio > strutture degli interessi

Tabella 3 - Struttura della griglia di selezione per l’individuazione dei soggetti da intervistare Fonte: nostra elaborazione

I testimoni privilegiati sono stati selezionati in base alla rappresentatività delle categorie più frequenti nell‟area (agricoltori, produttori innovatori, amministratori, intellettuali locali), per rappresentatività delle fasce di età e di genere. Non sempre si è riusciti a costruire un campione completo. D‟altronde una ricerca per interviste qualitative presenta sempre carattere diverso da quelle fondate sui questionari di campione quantitativo. Il questionario non è stato distribuito, ma esibito durante le interviste come traccia della conversazione. Spesso si è usato il sistema a reticolo, cioè si è cercato di trovare testimoni ulteriori attraverso le conoscenze dei testimoni identificati ed intervistati Le tematiche sulle quali gli intervistati sono stati chiamati a rispondere sono state:

1. Ambiente, ricerca sul rapporto di fruizione e intervento rispetto al patrimonio naturale

2. Tipicità alimentari; 3. Agricoltura; 4. Beni culturali, ricerca su reale fruizione; 5. Ambito storico locale, ovvero l‟anima del luogo.

Le difficoltà maggiori, incontrate in questa fase dell‟indagine sono state:

> la disponibilità di tempo degli intervistati; > la tendenza a risposte generiche; > la sovrapposizione continua della propria esperienza personale, non

come articolazione delle domande, ma come riduzione dello spettro di ragionamento sui fenomeni.

I partecipanti ai focus sono stati successivamente selezionati tra gli intervistati più disponibili, assieme ad amministratori e persone note per la conoscenza della storia, dell‟ambiente e della Realtà locale in generale. Due figure hanno svolto il ruolo di promotori: il facilitatore e l‟esperto del settore più toccato dalla discussione. I gruppi di focus sono stati programmati, infatti con una parte generale uguale in ogni gruppo e una parte orientata a

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sviluppare la discussione su un aspetto particolare che nelle interviste era emerso come tema importante nell‟area specifica. In questo modo, le 5 aree sono state utilizzate anche come campione delle altre. Questa fase dell‟indagine ha incontrato notevoli difficoltà organizzative anche per le copiose nevicate che hanno ritardato la realizzazione dei focus. Le altre problematicità hanno riguardato:

> la ritrosia nell‟esprimere le proprie opinioni > la tendenza a ripetere quanto si crede di sapere senza ascoltare con

attenzione i contributi degli altri.

Le considerazioni di sintesi

Sul piano metodologico si può concludere che la specificità di distretto rurale è collegata a due aspetti: il concorso della produzione agricola che denota un‟area e la nuova ruralità. Nelle aree dell‟inchiesta, testimoni e partecipanti ai gruppi individuano un sistema agricolo prevalente che denota le attività agricole della zona e la caratterizza. Questo elemento appare più importante della divisione in confini precisi di superfici delimitate. L‟identità rurale fa leva, insieme alla produzione prevalente su altre componenti diverse da area ad area. Nei nostri casi queste sono state identificate nelle produzioni tipiche di media e piccola scala commerciale, ma fortemente locali, nello sviluppo integrato (quella che nella parte introduttiva abbiamo chiamato la lentezza), nelle caratteristiche ambientali, nel patrimonio culturale e nell‟eredità della cultura contadina tradizionale. Altri elementi di identità della ruralità sono stati individuati in due altri aspetti dell‟organizzazione del territorio:

> il concetto di imprenditore agricolo legato ad un marchio di territorio che dia valore a tutto quanto in esso contenuto;

> gli interventi dei fondi strutturali/patti territoriali, Gal ecc, che hanno rinnovato il ruolo dell‟imprenditore agricolo integrandolo con le economie locali in un network che promuove il territorio.

Dall‟indagine emerge anche che i prodotti tipici fortemente radicati sul territorio sono una risorsa importante, ma viene osservato che manca un coordinamento con marchi di area che potrebbero traghettare nuovi modelli di sviluppo. Si rileva che i vincoli ambientali troppo accentuati spesso costituiscono un limite allo sviluppo creando rabbia e rifiuto degli abitanti. In alcune aree esiste un campanilismo che a volte limita forme di cooperazione costruttiva. Esistono forti difficoltà per costruire comunità locali coese, ed è quasi assente un lavoro sinergico tra pubblico e privato mentre esistono coordinamenti diversi tra le associazioni di categoria o nel sociale. Qualcosa anche qui si sta muovendo, lentamente. La partecipazione, il coinvolgimento dei cittadini vede forme sporadiche di avvio che a volte, pur funzionando, si bloccano. La comunità locale spesso non riesce ad autorganizzarsi perché non esiste la

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cultura della partecipazione, del lavoro di rete, del coinvolgimento attivo: occorre investire in questo e questo è stato richiesto da tutti a gran voce. E‟ risultata assai gradita ed utile la figura del facilitatore come supporto per le dinamiche partecipative Il distretto rurale viene considerato un ottimo strumento di sviluppo e molti lo identificano nel GAL anche se con alcune differenze. Da quanto detto, si deduce che i criteri di identificazione di un DR poggia su potenziali caratteri:

1. fattori socio economici non solo agricoli, che caratterizzano e danno omogeneità ad un territorio;

2. I fattori socio culturali che identificano un territorio evitando vincoli rigidi di dimensioni, ma che lasciano sazio a processi di aggregazione non necessariamente delimitati entro confini fisici;

3. I fattori di innovazione produttiva e di sviluppo integrato con nuove forme di impresa, di forte dinamica occupativi;

4. I fattori soggettivi di attività culturali (musei, rievocazioni, culto della storia locale) o di manifestazioni collegate all‟identità del territorio (sagre, fiere qualificate, manifestazioni collegate alla produzione agricola) I fattori di aggregazione, coordinamento, di formazione di reti bottom – up e di esperienze di auto – organizzazione.

Fase Metodo Strumento

Individuazione dei soggetti di riferimento per l’acquisizione delle informazioni integrative

Analisi demografica-anagrafica e individuazione categorie più frequenti nell’area per età, genere, ruolo e interesse

Quadro demografico da fonti statistiche

Individuazione dei nominativi tramite la rete sociale (soggetti indicati da altri testimoni già individuati)

Contatti con soggetti che per ruolo e interesse hanno una specifica conoscenza del territorio e delle persone che vi operano e/o risiedono

Acquisizione tramite contatti individuali

Predisposizione di uno schema di intervista

Colloquio-intervista tramite animatore professionista

Acquisizione tramite riunioni di gruppo

Predisposizione di una traccia di discussione Organizzazione di focus-group

Analisi della conoscenza di base e individuazione delle tematiche di discussione Selezione dei soggetti che hanno partecipato alla fase delle interviste in base ai temi da discutere

Tabella 4 - Riepilogo della metodologia di integrazione delle informazioni sul territorio Fonte: nostra elaborazione

Alcune ipotesi di lavoro

Sulla base del discorso sull‟anima dei luoghi e del carattere liquido della società rurale, particolare attenzione dovrebbe essere data nella dinamica del DR alle iniziative sulle caratteristiche specifiche più che a percorrere sentieri già sperimentati come la memoria generica della trebbiatura ecc. uguali più o meno in tutte le aree. Va esaltata la singolarità del patrimonio locale Altro ambito è promuovere le reti di scambio e le iniziative di coordinamento locale attraverso una attenzione particolare alla comunicazione. Può essere opportuno produrre una ricerca specifica sui sistemi di informazione orizzontale, di filtro - interpretazione delle notizie, sul ruolo specifico reale della dimensione locale nella selezione delle opinioni e dei comportamenti.

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Accentuare il ruolo della tradizione locale, non come evento unico, ma come esperienza di riferimento di dinamiche più vaste attraverso un maggiore rigore delle strutture culturali(Musei ecc) e iniziative di larga scala che comprendano la realtà del territorio del DR (Mostra sui mestieri del passato di diverse zone, analisi comparate delle produzioni tipiche ecc). Sviluppare una maggiore consapevolezza del DR come insieme di eco – sistemi particolari, nel quale tutto il territorio è un bene da preservare. Sviluppare attraverso iniziative una sensibilizzazione al degrado ambientale continuo di piccole dimensioni che compromette il paesaggio, ma non viene percepito come un pericolo uguale agli eventi di shock ecologico o ai mutamenti del paesaggio dovuti all‟espansione di attività produttive o all‟abbandono di aree. Estendere la mobilitazione dei cittadini locali dalla tutela delle aree protette a tutto il territorio del DR e affrontare con una metodologia di partecipazione dal basso diversa dalla consultazione, ma fondata su una dinamica di comunicazione orizzontale e orizzontale – verticale il nodo dei vincoli e della gestione. Promuovere una visione dinamica e una comunicazione innovativa all‟esterno sull‟identità del territorio

Una valutazione complessiva

La tappa successiva di questo percorso metodologico è la valutazione complessiva del territorio associando ed integrando le informazioni raccolte nelle due fasi precedenti. Per far questo ci si avvale di una metodologia sviluppata nell‟ambito del progetto comunitario Leader volta all‟identificazione del cosiddetto capitale territoriale così definito: “Il capitale territoriale è il complesso degli elementi (materiali e immateriali) a disposizione del territorio, i quali possono costituire punti di forza o veri e propri vincoli a seconda degli aspetti presi in considerazione”58. Dietro questo concetto c‟è in sintesi la valutazione del patrimonio territoriale sulla base del quale è possibile identificare l‟offerta del territorio e quindi delineare un progetto integrato di sviluppo. Come è intuitivo, questo concetto è perfettamente coerente con il concetto di Distretto Rurale con l‟unica differenza che tale metodologia è teoricamente applicabile anche in contesti non rurali (sebbene le finalità del programma Leader riguardino esclusivamente le aree rurali). Un territorio quindi che si propone come Distretto Rurale dovrebbe avere al suo interno le capacità di valutare il suo capitale territoriale e sulla base di questo decidere innanzitutto se l‟offerta è tale da poter caratterizzarsi e competere con altri territori e poi delineare alcune strategie di sviluppo. E‟ opportuno sottolineare che le capacità di valutazione devono essere innanzitutto interne al territorio stesso ovvero possedute dai residenti e/o da coloro che hanno un interesse specifico per lo sviluppo locale (stakeholder). Semmai si potrebbe pensare ad un apporto esterno per sviluppare ambiti

58

Osservatorio Europeo Leader (2001), “Innovazione in ambiente rurale”, quaderno n. 6 – fascicolo 1.

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specifici di individuazione e quantificazione di alcune componenti del capitale territoriale ma la valutazione complessiva deve essere interna. Assegnare esternamente questa fase cruciale significa prima di tutto delegare alcune scelte strategiche fondamentali e poi dimostrare una bassa capacità di autovalutazione e percezione del patrimonio locale. Tornando alla metodologia, il capitale territoriale comprende tutti quegli aspetti che rappresentano la “ricchezza” di un territorio siano essi elementi fisici (ambiente, produzioni, beni artistici, …) o componenti immateriali (coesione sociale, know-how, …); inoltre non si tratta di un concetto statico che deriva da un inventario dell‟esistente ma da una lettura critica del passato in funzione degli obiettivi futuri per i quali esiste una chiara volontà collettiva a perseguirli. La capacità di leggere il proprio passato per capire il presente e immaginare il futuro è un processo che solo i residenti di un territorio possono compiere. Se questi presupposti non esistono, ogni tentativo di predisporre un progetto di territorio diventerà un mero processo di assemblaggio di proposte ed idee che per quanto valide hanno una bassa probabilità di produrre effetti moltiplicatori. L‟identificazione e la valutazione “interna” del capitale territoriale rappresenta quindi in sintesi, un “esame di maturità” dell‟area che si propone come Distretto Rurale. Se questa capacità non si manifesta significa che gli stimoli e le opportunità per lo sviluppo locale devono essere indotti prevalentemente dall‟esterno. Sotto questo profilo è possibile delineare tre tipologie di territori:

1. quelli che manifestano chiaramente le capacità di autovalutazione; 2. quelli che mostrano evidenti segnali ma non hanno ancora sviluppato tali capacità; 3. quelli in cui i segnali sono deboli o inesistenti.

Si ritiene che la prima tipologia sia quella associabile alla definizione di Distretto Rurale, mentre la seconda richiede ancora un approccio programmatorio dall‟alto (o meglio dall‟esterno) che consenta alla società locale di consolidarsi e crescere. Infine l‟ultima tipologia riguarda territori in cui le prospettive di sviluppo socio-economico sono scarse e per le quali le politiche sociali ed ambientali rivestono un ruolo prevalente. Le capacità di autovalutazione che sono richieste, sono finalizzate alla determinazione delle componenti del capitale territoriale ovvero:

> le risorse fisiche e la loro gestione; > la cultura e l‟identità del territorio; > le risorse umane; > il know-how e le competenze; > le istituzioni e le amministrazioni locali; > le attività economiche e le imprese; > i mercati e le relazioni con l‟esterno; > l‟immagine e la percezione del territorio.

Le metodologie e gli strumenti che sono stati sperimentati in questo progetto sono stati selezionati per identificare e quantificare proprio le componenti elencate. Un esempio di possibile applicazione è descritto nella seconda parte del presente rapporto.

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L‟identificazione del capitale territoriale rappresenta il momento di sintesi della valutazione degli elementi che costituiscono l‟offerta di un territorio. Si tratta di un passaggio cruciale e complesso che tenta di riassumere tutti quegli aspetti materiali ed immateriali che caratterizzano un territorio e lo identificano rispetto alle aree circostanti. La tabella che segue riepiloga le componenti oggetto di valutazione associandole alle metodologie e agli strumenti conoscitivi descritti nei capitoli precedenti.

Componente Descrizione Metodo Strumento

Risorse fisiche

Sono costituite dalle risorse materiali presenti su territorio intese sia come elementi naturali (es. aree protette, emergenze ambientali, …) sia artificiali (opere dell’uomo) come ad esempio le infrastrutture. La valutazione riguarda anche la loro gestione.

Analisi territoriale e ricognizione di tutti gli elementi che rappresentano la struttura fisica sulla quale sviluppare le attività future

Utilizzo di strumentazione GIS per georeferenziare le risorse associandole con informazioni quantitative e qualitative. Ad esempio: - uso del suolo; - accessibilità alle risorse

Identità e cultura

E’ un elemento immateriale costituito dal legame tra i residenti ed il territorio e dalla condivisione di sentimenti comuni che riguardano il passato, il presente ed il futuro del territorio

Analisi degli elementi storico-culturali che hanno concorso allo sviluppo della comunità locale. Identificazione dei soggetti di riferimento.

Storiografia e cronologia degli eventi storici rilevanti. Analisi degli stakeholder. Interviste e focus group.

Risorse umane

La struttura sociale intesa come popolazione presente e le sue caratteristiche demografiche

Analisi socio-economica della popolazione.

Elaborazione di indicatori demografici e valutazione spaziale e temporale.

Competenze

Le esperienze, le capacità professionali, le tradizioni e la propensione a recepire le innovazioni

Ricognizione delle tipicità e delle attività tradizionali.

Analisi economica delle produzioni locali. Interviste e focus

Istituzioni e amministrazioni

La presenza delle organizzazioni pubbliche e la gestione degli interessi collettivi, le risorse finanziarie pubbliche e private

Ricognizione delle organizzazioni pubbliche e private presenti e dei rapporti tra esse.

Inventario dei principali strumenti di programmazione e pianificazione del territorio e individuazione delle risorse disponibili e delle competenze

Imprese e attività economiche

Le strutture produttive, le loro caratteristiche di distribuzione spaziale e settoriale

Analisi economico-strutturale delle unità produttive presenti sul territorio.

Elaborazione di indicatori strutturali ed economici e valutazione spaziale e temporale

Mercati e relazioni

La presenza sui mercati interni ed esterni delle produzioni locali ma anche dei soggetti economici e delle loro organizzazioni

Analisi del sistema distributivo e dei consumi.

Indagine sulle reti distributive sui consumi locali. Interviste e focus group

Immagine del territorio

La percezione interna che hanno i residenti e quella esterna che i non residenti associano a quel territorio

Analisi degli eventi e delle azioni collettive Presenza di organizzazioni locali per la promozione e lo sviluppo del territorio

Ricognizione degli eventi, delle azione e della documentazione che promuovono il territorio in maniera unitaria. Interviste e focus group

Tabella 5 - Componenti del capitale territoriale e modalità di valutazione Fonte: nostra elaborazione

La valutazione del capitale territoriale proposta in questo lavoro è riferita ad un solo momento che in termini operativi corrisponde al periodo immediatamente precedente (ex-ante) alla presentazione del progetto territorio. La metodologia

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però prevede che questa valutazione venga effettuata sia per un periodo passato che aggiornata successivamente in maniera tale da valutare i fenomeni evolutivi e quindi l‟impatto sul territorio. Inoltre le componenti non vanno solo identificate e valutate singolarmente ma correlate fra loro al fine di evidenziare le relazioni:

> tra individui; > tra operatori economici; > tra soggetti istituzionali.

La rete di relazioni formali ed informali presente sul territorio è il segnale dell‟esistenza di un sistema socio-economico ed essa si può manifestare attraverso accordi espliciti, come ad esempio accordi commerciali tra privati per la gestione di una rete di vendita o l‟utilizzo di un marchio, ma anche attraverso collaborazioni tra amministrazioni locali per l‟erogazioni di servizi di pubblica utilità. Le forme possono essere molteplici e non sempre facilmente rilevabili e documentabili: l‟elemento di valutazione discriminate è che queste devono esprimere una chiara volontà associativa e non essere la risposta ad un obbligo. Ad esempio l‟appartenenza di più Comuni ad un ente gestore di un‟area protetta o ad una società di servizi ha per il DR una valenza sicuramente più elevata di quella di far parte della stessa Comunità Montana. Non da ultimo nel capitale territoriale occorre ricomprendere ed evidenziare le eccellenze ovvero gli elementi naturali o artificiali che costituiscono un punto di forza e di riconoscibilità. Ci si riferisce ad esempio a particolari emergenze ambientali o storiche (la cascata piuttosto che l‟area archeologica), ma anche alle attività economiche di particolare importanza (l‟impresa di rilevanza nazionale o internazionale, la produzione tipica, …). In sintesi, se un‟area intende proporsi come Distretto Rurale dovrebbe avere al proprio interno le risorse umane capaci di completare questo percorso di autovalutazione utilizzando la strumentazione metodologica proposta ed integrandola con gli elementi conoscitivi che ritiene più opportuni per far emergere nella maniera più evidente possibile i caratteri distrettuali. Solo a quel punto potrà essere identificato un obbiettivo focale ed una strategia portante sul quale basare tutte le azioni di sviluppo già in essere e che potranno essere attuate. La condivisione di un obbiettivo generale e di una strategia che consenta di perseguirlo è il segnale di una capacità programmatoria che è richiesta ad un DR. Il processo che porta alla valutazione interna del capitale territoriale però non è da solo sufficiente a garantire l‟effettiva presenza di un distretto ma occorre individuare alcuni caratteri di base che consentano non solo di delimitare il campo di applicazione della metodologia ma anche di effettuare una valutazione esterna in grado di verificare la coerenza e la fondatezza dei giudizi espressi.

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I caratteri identificativi

Nella parte introduttiva di questo lavoro erano già stati introdotti alcuni caratteri identificativi, delle aree distrettuali che ora sulla base dei risultati della ricerca è possibile ulteriormente circostanziare ed articolare. Una rapida premessa per spiegare l‟assenza di alcuni elementi identificativi che in altri contesti geografici possono avere un ruolo importante. Ci si riferisce ad esempio all‟identità linguistica o religiosa che non sono caratteri che consentono di distinguere almeno territorialmente la società marchigiana. Inoltre non si è tenuto conto di un altro elemento identificativo che eppure per gli storici assume un ruolo importante quale la toponomastica che spesso è il segnale di una comune radice culturale. Ad esempio il Montefeltro e il Piceno sono aree facilmente identificabili sotto il profilo geografico ma la loro recente evoluzione socio-economica è solo in minima parte influenzata dalle origini storiche che hanno determinato il nome. In ogni caso se un territorio si identifica con una denominazione che non deriva dal maggiore centro abitato (es. Fabrianese) o da un carattere fisico-morfologico (es. Riviera del Conero), può essere interpretato come il segnale di una riconoscibilità da non sottovalutare. I caratteri identificativi proposti intendono specificare la definizione di Distretto Rurale, e derivano dal contesto normativo e dalle analisi prodotte in questo lavoro. A questi caratteri saranno poi associati alcuni indicatori in grado di misurarne la presenza e l‟intensità. La logica con la quale sono stati raggruppati e presentati i caratteri riprende i concetti base su cui poggia la definizione di distretto rurale ovvero:

1. la ruralità; 2. il sistema locale.

La prima serie di caratteri che vengono proposti intendono circostanziare il termine “rurale” che accompagna la parola “distretto”. E‟ ormai assodato che “Rurale” è una qualità che non coincide con “agricolo”, ma riassume i principi ispiratori della politica comunitaria per lo sviluppo rurale ovvero: integrazione, diversificazione e multifunzionalità. L‟agricoltura svolge ovviamente un ruolo fondamentale nel caratterizzare le aree rurali, non più sotto il profilo occupazionale e economico, ma certamente sotto il profilo della gestione del territorio e del mantenimento di alcuni caratteri culturali e paesaggistici. Un primo carattere identificativo di un DR, che è emerso evidente durante lo sviluppo del progetto, è quindi la presenza di una agricoltura attiva e multiforme che non è solo espressione di un settore produttivo vitale ma di un contesto socio-economico che non è in declino o viceversa fortemente specializzato. In questo senso l‟altro carattere da affiancare è la presenza di una economia diversificata e stabile anche se la crescita può essere avvenuta con ritmi più bassi rispetto alle aree più sviluppate della regione. Un terzo criterio identificativo di questo primo gruppo si riferisce alla società che deve mostrare una stabilità strutturale e una diffusa presenza sul territorio. Le dinamiche demografiche analizzate e poi riscontrate assieme ai residenti durante le azioni di animazione, hanno messo in evidenza come in situazioni di forte cambiamento sociale come ad esempio quelle indotte dallo spopolamento

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e dall‟invecchiamento, è difficile focalizzare temi comuni per lo sviluppo dell‟area; inoltre le campagne devono essere abitate per garantire un interesse specifico verso i luoghi dove non solo si lavora ma anche si risiede. L‟ultimo carattere di questo gruppo è relativo al paesaggio rurale dinamico ed eterogeneo. Dinamico in quanto la sua evoluzione dovrebbe mostrare la centralità delle attività agricole nella gestione del territorio e che tendenzialmente i fenomeni di urbanizzazione o di rinaturalizzazione non comprometteranno a breve questo carattere identificativo. Eterogeneo in quanto indice della presenza della diversificazione produttiva in agricoltura che arricchisce e caratterizza l‟offerta delle produzioni locali. L‟altro concetto base si rifà al territorio come contenitore di un sistema locale coeso ed interconnesso. Il primo carattere è quindi la coesione interna ovvero l‟area deve essere compatta e facilmente accessibile in ogni sua parte ma al contempo comprendere un territorio che abbia dimensioni significative nel contesto regionale sia sotto il profilo fisico, che socio-economico per il raggiungimento della massa critica necessaria. Un qualsiasi sistema è identificabile dalla presenza di relazioni tra i soggetti che lo compongono. Nel caso del distretto la rete relazionale può essere rilevata sia dal fatto che esiste un centro capofila sia dal manifestarsi di alcuni fenomeni di collaborazione siano essi formali od informali. Ad esempio la partecipazione a iniziative comuni sia a livello istituzionale che di imprese, rappresenta un buon segnale per la presenza di questa rete ed in particolare se l‟adesione è stata volontaria. Infine l‟ultimo carattere identificativo è il più difficile da oggettivare e riguarda la consapevolezza che i residenti hanno di far parte dello stesso sistema territoriale e la volontà di perseguire obiettivi comuni anche se non coincidono perfettamente con quelli individuali. L‟autodeterminazione è il termine usato per esprimere questo carattere che richiede un elevato livello di autoconsapevolezza delle potenzialità ma anche dei limiti, e la capacità di comprendere il ruolo dei singoli rispetto alla collettività. In contesti territoriali, come quelli oggetto di questo studio, dove lo sviluppo non ha seguito una sola direzione e quindi non ha polarizzato gli interessi attorno ad un unico polo, la capacità di mediare gli interessi individuali rispetto a quelli collettivi è la chiave di volta che determina o meno il successo di un sistema locale e quindi di un distretto rurale. In altri contesti territoriali dove si sono create le condizioni socio-economiche che hanno permesso uno sviluppo settoriale e specializzato, i comportamenti individuali sono premianti in quanto poggiano su risorse materiali e immateriali abbondanti. In contesti “rurali” queste risorse sono sicuramente meno disponibili, e la capacità di usarle in maniera coordinata e condivisa determina quella differenza che può essere associata al Distretto Rurale.

► Il sistema di valutazione

Sulla base dei caratteri identificativi prima evidenziati, di seguito si propone una serie di criteri valutativi che in qualche modo ne misurano la presenza e l‟intensità. Questi criteri si basano su alcuni elementi informativi (parametri) che i promotori dell‟area dovranno essere in grado di produrre e che la Regione invece

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dovrà validare nell‟ambito del processo che porta al riconoscimento del Distretto Rurale (valutazione ex-ante).

Concetto di base Carattere identificativo Parametri di valutazione

Ruralità

Agricoltura attiva e multiforme

Aziende condotte da giovani agricoltori (+) Superfici investite a cereali (-)

Economia diversificata e non in declino (economia non specializzata e dinamica)

Distribuzione imprese per attività economica (+) Variazione e distribuzione del Valore Aggiunto (+)

Popolazione stabile e diffusa (campagna abitata)

Variazione positiva della popolazione (+) Rapporto tra residenti del capoluogo e della campagna (-)

Paesaggio rurale dinamico ed eterogeneo (agrarizzazione e diversificazione del paesaggio)

Variazione positiva delle superfici agricole(+) Rapporto tra superfici agricole e altre superfici (+)

Sistema territoriale

Coesione ed integrazione (grado di accessibilità interna ed esterna)

Area di accessibilità dal centro capofila (+) Rapporto VA tra comune capofila e altri comuni (-)

Dimensione significativa (massa critica)

Valore Aggiunto agricolo (+) Quota di superficie ricadente nel SLL (+)

Rete relazionale (comunità locale)

Partecipazione ad organismi associativi e/o a progetti intercomunali (+) Persone aderenti a organismi associativi, cooperativi e di volontariato (+) Attivazione di contratti e convenzioni tra pubblico e privato (+)

Autodeterminazione (condivisione degli obiettivi)

Completezza e condivisione della proposta territoriale (+) Risorse finanziarie locali (pubbliche e private) da destinare alle attività del progetto territorio (+)

Tabella 6 - Quadro sinottico dei caratteri identificativi di un distretto rurale e dei corrispondenti parametri valutativi ex-ante Fonte: nostra elaborazione

La logica con la quale sono stati raggruppati e presentati i parametri, segue la sequenza espositiva utilizzata per i caratteri identificativi. Il significato positivo o negativo associato ad ogni indicatore è simboleggiato dall‟operatore matematico posto affianco. Non appare opportuno scendere nel dettaglio tecnico di ogni singolo parametro proposto sia per non limitare l‟azione amministrativa che avrà il compito di tradurre le proposte in norme specifiche (definizione degli indicatori e delle modalità di calcolo), sia per lasciare la possibilità al dibattito che precederà la nascita dei DR, di far scaturire proposte alternative. Ciò significa che si potrebbe arricchire il quadro informativo proposto introducendo altri elementi che non sono stati qui presi in considerazione, a patto che risultino coerenti con il carattere identificativo che si intende misurare. E‟ opportuno ribadire a questo punto, una delle premesse progettuali ovvero che un Distretto Rurale non può essere identificato da una serie di indicatori per quanto essi possano essere complessi e significativi. La metodologia predisposta non intende quindi fissare i confini all‟interno dei quali può esistere un distretto ma facilitare il processo di valutazione interna ed esterna delle proposte che emergeranno. In concreto, il sistema di valutazione non è orientato alla stesura di una rigida graduatoria di merito ma ad una comparazione delle proposte distrettuali.

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Queste in realtà se riescono a seguire correttamente il processo di autovalutazione proposto possono già essere considerate “idonee”. Ovviamente la Regione deve avere la possibilità di verificare la correttezza delle informazioni e delle affermazioni presentate. Data l‟oggettiva difficoltà di fissare, per ogni criterio una soglia discriminante, la proposta metodologica è di trasformare i valori in un numero puro (indice) che stima l‟intensità del carattere distrettuale e che successivamente potrà poi essere ponderato per giungere ad una valutazione complessiva. Ad esempio non è possibile stabilire a priori qual è la presenza di giovani agricoltori, in termini assoluti o relativi, che dovrebbe caratterizzare un DR ma è certo che maggiore è questo valore migliore è il giudizio qualitativo. In questo caso la proposta è di prendere a riferimento la media regionale e assegnare un valutazione positiva quanto più l‟indice la supera59. Non sempre il giudizio è così semplice in quanto per alcuni criteri, anche i valori molto superiori e/o inferiori alla media possono assumere un significato negativo, per cui occorre valutare caso per caso. Ad esempio il tradizionale indicatore della densità di popolazione se di molto inferiore alla media regionale è un segnale in contrasto con il carattere di vitalità della società locale atteso in un DR. Al termine tutti i parametri possono essere ponderati in una valutazione complessiva che consenta di ordinare le eventuali proposte distrettuali, l‟attribuzione dei pesi è però una operazione che va concordata in sede amministrativa e non di indagine scientifica. Una riflessione a parte meritano due aspetti che sono critici per il riconoscimento dei DR: la dimensione territoriale e le potenzialità distrettuali. Con il primo ci si riferisce all‟estensione minima e massima che dovrebbe avere un DR; con il secondo alla valutazione di quei territori che attualmente non hanno evidenti i caratteri distrettuali ma che vogliono comunque intraprendere questo percorso. Partiamo dall‟aspetto dimensionale. L‟estensione del territorio distrettuale è un fattore critico in quanto da esso dipende in gran parte il successo di questo tipo di approccio. La ricerca della cosiddetta “massa critica” ovvero di quel volume produttivo, economico o sociale che fa si che il territorio sia visibile in un contesto almeno regionale, è direttamente correlato alle dimensioni spaziali (maggiori le dimensioni, maggiore la massa critica). Viceversa il senso di appartenenza alla comunità, la coesione sociale, il coinvolgimento dei soggetti nelle strategie di sviluppo, e la capacità di governo (governance), sono correlati inversamente a queste dimensioni (più è piccola l‟area, più facile è la gestione delle risorse locali). La soluzione, non certo facile, è quella quindi di individuare una dimensione di equilibrio tra queste due “componenti” contrapposte. In realtà, analogamente a quanto accade nel mondo imprenditoriale, una corretta pianificazione strategica consentirebbe al territorio proponente di capire quali sono gli obiettivi perseguibili con le risorse a disposizione, ma per

59

La trasformazione dei valori dei criteri in indici avviene tramite un processo di normalizzazione che produce una serie

numerica con media pari a 0 (media regionale) e scarto quadratico pari a 1 (dispersione media).

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facilitare il compito di coloro che intendono costruire una proposta progettuale e di coloro che poi devono essere in grado di valutarla, qui di seguito viene esposta una proposta metodologica per collocare le dimensioni di un DR tra un valore minimo ed uno massimo. Per far questo ci si appoggerà all‟unica statistica territoriale a livello nazionale che utilizza informazioni di flusso tra territori al fine di aggregarli in Sistemi Locali del Lavoro (SLL). Il concetto di SLL ha poco a che fare con il DR ma il modo con cui vengono raggruppati i Comuni riguarda in parte le stesse problematiche affrontate per i Distretti ovvero l‟identificazione delle reti relazionali a livello locale. Rimandando il lettore alla documentazione metodologica che descrive i SLL, qui si tiene a sottolineare come queste aggregazioni territoriali sono individuate sulla base dei flussi di lavoratori che nel tragitto casa-lavoro coprono una distanza che spesso travalica i confini comunali. I SLL sono quei gruppi di comuni in cui i flussi interni di lavoratori superano quelli esterni (autocontenimento dei flussi). Sebbene sotto il profilo metodologico non è consequenziale che un SLL corrisponda esattamente ad un DR, sotto il profilo logico possono essere sviluppate alcune considerazioni utili all‟identificazione di quest‟ultimo:

> una persona che abita e lavora nello stesso territorio è sicuramente più interessata al suo sviluppo rispetto ad un'altra che risiede o lavora fuori area;

> le connessioni spaziali tra luogo di residenza e di lavoro generalmente non sono casuali in quanto si cerca di trovare lavoro vicino al luogo nel quale si preferisce vivere (legame con il territorio);

> anche quando è il luogo di lavoro a divenire il baricentro spaziale della vita di un individuo (costringendolo ad esempio ad abbandonare il luogo di nascita), nel lungo periodo si crea una nuova rete sociale e quindi la nascita di una nuova comunità o l‟integrazione con quella pre-esistente;

> il centro capofila di un SLL corrisponde generalmente al nodo principale della rete sociale locale che determina la presenza di servizi alla popolazione (es. sanità, istruzione) ma che nel lungo periodo diventa anche la sede di governance60 (se già non lo è);

> se due comuni geograficamente vicini fra loro, sono capofila di due diversi SLL significa che fanno da riferimento a due “bacini socio-economici” con differenze abbastanza marcate da essere rilevate statisticamente.

Ci sono al contrario alcuni elementi che discostano i SLL dalla logica dei DR come ad esempio il fatto di non tener conto che gli agricoltori spesso risiedono e vivono nello stesso posto o che i legami occupazionali possono non corrispondere a quelli della tradizione storica che tengono assieme alcuni Comuni.

60

Sono ormai numerosi nelle Marche i casi di Comuni nei quali il capoluogo storico è meno popolato della frazione nata

successivamente attorno ad attività economiche. In questi contesti sebbene la sede storica mantenga la presenza del municipio, il vero centro decisionale (es. elettorato) è localizzato ne nuovo centro urbano.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 75

In generale però occorre considerare che se il DR deve essere un approccio che favorisce lo sviluppo socio-economico locale, esso non può prescindere dal fatto che alcuni legami storici contino ormai meno di quelli economici. Costruire un progetto di sviluppo di un territorio solo sulla base di una identità storica che accomuna i territori ma che contrasta con l‟evoluzione delle strutture economiche, aumenta il rischio di insuccesso61. In ogni caso il reticolo geografico identificato dai SLL va utilizzato come riferimento e non come rigida zonizzazione, nel senso che appare logico, per i motivi descritti precedentemente, che un DR non sia più piccolo di un SLL né molto più grande di esso. Si potrebbe immaginare che un DR possa essere costruito attorno al capofila di un SLL, riunendo i comuni contigui non necessariamente compresi nello stesso SLL ma evitando di includere altri comuni capofila. Tale approccio consentirebbe di superare i limiti di un SLL, lasciando la liberta di rispettare ad esempio i caratteri naturali di un territorio (es. zone produttive vocate) ma evitando che vi sia più di un centro decisionale che renderebbe più complicata l‟individuazione di strategie condivise. Affrontiamo ora il secondo aspetto, quello della valutazione delle potenzialità distrettuali. La valutazione ex-ante proposta intende evidenziare i caratteri distrettuali già presenti ma è chiaro che la realtà, come ha messo in evidenza il presente studio, è fatta anche di territori che aspirano a divenire DR senza però averne già le caratteristiche. Per evitare che il sistema di valutazione sia troppo selettivo e di fatto produca solo due alternative (DR e non), è possibile modulare il giudizio suddividendo il processo in due distinte fasi, separate nel tempo: la prima finalizzata ad esprimere un giudizio di idoneità sull‟aggregato territoriale e la seconda per vagliare nel merito la proposta progettuale. Con la prima, la Regione verifica se il territorio possiede i requisiti minimi necessari per essere riconosciuto come DR, mentre con la seconda, valuta le sue capacità potenziali attraverso una valutazione della documentazione presentata dai soggetti promotori. Il rispetto dei requisiti minimi consente di prendere in considerazione solo quei territori in cui sono presenti i caratteri associati al concetto di DR, mentre gli altri elementi informativi contenuti nella proposta sono utilizzati per stilare una graduatoria comparativa. I differenti livelli di “idoneità” dei territori potrebbero essere ricondotti alle seguenti categorie tipologiche:

> assenza di caratteri distrettuali rurali; > presenza di un contesto socio-rurale debolmente interconnesso; > presenza di un sistema rurale locale parzialmente organizzato; > presenza di un sistema rurale locale integrato e attivo.

61

Ad esempio la Regione Toscana ha adattato il concetto di SLL identificando i Sistemi Economici Locali (SEL) che sono

aggregati di comuni utilizzati in sede di programmazione territoriale regionale.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 76

La prima tipologia intende escludere dall‟approccio distrettuale quei territori in cui i caratteri non-rurali sono prevalenti. Quindi ci si riferisce in particolare ai comuni della fascia costiera e ai maggiori centri urbani regionali. Una prima proposta di zonizzazione è stata già inserita nel Piano Agricolo Regionale e descritta nella parte iniziale di questo rapporto di studio. La scelta dei limiti amministrativi comunali come unità minima di territorio rappresenta sicuramente un vincolo necessario sotto il profilo gestionale, ma penalizzante in alcuni contesti quali ad esempio nei comuni di grande estensione con una forte differenziazione tra capoluogo e resto del territorio di competenza (in termini di densità abitativa). Mentre per i requisiti minimi è stato opportuno identificare alcuni parametri oggettivi e quindi è stato possibile produrre una rappresentazione cartografica, per le altre tipologie proposte si ritiene che la classificazione non possa seguire uno schema rigido delineato da soglie numeriche ma che debba tenere conto dell‟intensità con cui si presentano i caratteri distrettuali elencati precedentemente. Ciò significa, che analogamente a quanto viene fatto per un qualsiasi concorso, una volta che siano stati rispettati i requisiti minimi di accesso, la valutazione delle proposte avviene attraverso la comparazione dei differenti “curricula” dei territori sulla base della documentazione presentata. A titolo esemplificativo e per specificare meglio che cosa si potrebbe comprendere per documentare i caratteri “rete relazionale” e “autodeterminazione” inseriti in fondo alla tabella precedente, sono schematizzati di seguito alcuni elementi informativi volti a identificare e classificare le potenzialità distrettuali.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 77

Carattere Natura dell’informazione Indicatore Segnale atteso

Valutazione della rete di relazioni

Tra operatori locali Presenza cooperazione e associazionismo

Indice di presenza dell’associazionismo distinto per settore produttivo

Collaborazione socio-economica

Tra amministrazioni locali

Progetti di sviluppo in comune Gestione in comune di servizi Pianificazione territoriale in comune Progetti infrastrutturali gestiti o perlomeno pianificati in comune

Numero e importo totale dei programmi/piani cogestiti Numero di servizi gestiti in comune Numero di studi e/o strumenti di pianificazione in comune Numero di progetti infrastrutturali pianificati e/o gestiti in comune

Cooperazione amministrativa

Tra operatori ed amministrazioni locali

Presenza di accordi territoriali che coinvolgano amministrazioni operatori e/o comuni cittadini

Numero e importo totale delle convenzioni/contratti sottoscritti

Collaborazione pubblico-privato

Tra soggetti in grado di stimolare la partecipazione degli operatori pubblici e privati

Presenza di un gruppo di lavoro Attività svolte, soggetti coinvlti, impegni sottoscritti e avviati

Capacità di animazione territoriale

Valutazione della capacità di governo del territorio

Definizione di un obiettivo prioritario e di una visione strategica per il suo raggiungimento

Realizzazione di: - studi; - analisi di contesto (comprensive della individuazione delle criticità e delle opportunità); - progetti (con l’individuazione delle strategie generali di sviluppo)

Qualità e completezza delle analisi e dei progetti: - Coerenza delle idee progettuali con le caratteristiche del distretto (Punto non essenziale: se si chiede un livello si analisi dettagliato, in assenza di finanziamenti regionali, sarà improbabile la presentazione di proposte di distretto) - Coerenza delle idee progettuali con le politiche regionali - Presenza nelle idee progettuali di sinergie tra settori, tra istituzioni e altri soggetti operanti sul territorio; - Presenza di collegamenti con altri progetti di sviluppo locale regionali, interregionali, internazionali (Punto non essenziale)

Presenza di una strategia di sviluppo coerente con le politiche regionali Presenza di collegamenti tra settori produttivi ed istituzioni

(segue)

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 78

Livello di condivisione della strategia da parte degli operatori locali

Numerosità e rappresentatività dei soggetti coinvolti Interesse e impegno dei soggetti Modalità partecipative di individuazione dell’obiettivo prioritario

Adesioni per tipologia /categoria operatori aderenti rispetto al totale operatori Incontri e livello di partecipazione Strumenti utilizzati per i processi partecipativi (questionari, assemblee, focus group..) Impegni formali e finanziari

Condivisione dell’obiettivo e delle strategie a livello privato

Livello di condivisione strategica da parte delle amministrazioni locali

Numerosità e livello dei soggetti istituzionali coinvolti Interesse dei soggetti Modalità partecipative di individuazione dell’idea cardine

Adesioni per tipologia /categoria amministrazioni aderenti rispetto al totale amministrazioni Incontri e livello di partecipazione i Strumenti utilizzati per la partecipazione (questionari, assemblee, focus group..) Fasi successive di affinamento della strategia Impegni formali e finanziari

Condivisione strategica a livello istituzionale locale

Identificazione degli obiettivi secondari e collegamenti con la strategia prioritaria

Numero di progetti operativi (con obiettivi da raggiungere ed azioni da attivare)

Qualità delle azioni previste: Coerenza degli obiettivi e delle azioni con l’idea cardine; Impatto delle strategie su almeno uno dei seguenti punti: a) qualità di vita delle popolazioni locali (disponibilità di servizi, accessibilità…); b) livello occupazionale; c) sviluppo economico; d) sostenibilità ambientale

Stretto legame tra, obiettivi, strategie ed azioni Impatto positivo delle azioni

Identificazione delle modalità di monitoraggio e valutazione delle azioni progettuali

Articolazione e strutturazione del sistema informativo territoriale per il controllo dei processi in atto

Indicatori di monitoraggio e valutazione fisica e finanziaria

Capacità di gestione e controllo delle azioni operative

Tabella 7 – Gli elementi per la valutazione delle proposte distrettuali Fonte: nostra elaborazione

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 79

ESEMPIO DI APPLICAZIONE: LA CONOSCENZA DI BASE

Le analisi che seguono, intendono proporre un percorso metodologico in grado di delineare un profilo territoriale sintetico ma allo stesso tempo essenziale per capire le principali caratteristiche fisiche e i recenti fenomeni evolutivi delle aree oggetto di studio. E‟ bene ricordare che le analisi conoscitive proposte non sono finalizzate a valutare l‟attitudine delle aree sperimentali selezionate a divenire Distretti Rurali, ma hanno lo scopo di costruire un quadro informativo di base da utilizzare per lo sviluppo delle azioni di animazione territoriale successive.

Le analisi comparative tra le aree sperimentali sviluppate in questo documento non hanno alcuna rilevanza nell’ottica di sviluppare un progetto per un Distretto Rurale. In questo caso il confronto dovrà avvenire tra l’aggregato dei comuni selezionati e la regione ed eventualmente la provincia nella quale ricade. Date le finalità sperimentali del progetto, le informazioni raccolte e presentate di seguito, sono un ottimo punto di partenza per lo sviluppo di una analisi, ma in una successiva fase progettuale esse vanno verificate e aggiornate

attingendo direttamente alle fonti citate

Caratteristiche strutturali

► Localizzazione e ambiente fisico

Questo paragrafo consente di identificare rapidamente la collocazione geografica dell’area all’interno della regione e di comprenderne i principali caratteri fisici e ambientali che rappresentano il contenitore (vincoli e risorse) nel quale verranno

sviluppate le attività distrettuali

Figura 4 - Localizzazione dell’area 1 e limiti amministrativi dei Comuni interessati dalla sperimentazione

Fonte: nostra elaborazione

Localizzata nella fascia centrale della provincia di Ancona, nella zona di passaggio dalla bassa alla media collina, l‟area è caratterizzata in prevalenza da una morfologia dolce. Compreso tra due vallate fluviali che ne delimitano i confini Nord-Ovest e Sud-Est, il territorio è, infatti, nella sua parte meridionale, attraversato dalla vallata del fiume Esino, mentre a Nord è delimitato dal fiume Misa.

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Sono superfici piane e a bassa pendenza che raggiungono raramente i 500 m di altitudine nella parte Sud-Ovest delimitata dai due corsi fluviali, dove aumentano anche le pendenze. L‟idrografia superficiale del territorio è caratterizzata d a frequenti corsi d‟acqua a natura torrentizia con portate anche accentuate, nei periodi piovosi, e portate pressoché nulle in corrispondenza dei periodi di siccità. Nell‟area, le condizioni climatiche, soprattutto per le zone che si trovano nella bassa e media collina, sono influenzate dalla presenza del Mare Adriatico che mitiga le escursioni annue delle temperature che si attestano attorno ai 14°-16°, con medie mensili intorno ai 3°-8° gradi in Gennaio e 21°-26° in Agosto. Le precipitazioni risultano di circa 800 mm all‟anno. Nel complesso si tratta di un clima mite con inverni non molto freddi anche se spesso rigidi e talora nebbiosi, ed estati mediamente calde ed asciutte. La piovosità presenta generalmente dei picchi di massima nelle stagioni intermedie.

Figura 5 - Localizzazione dell’area 2 e limiti amministrativi dei Comuni interessati dalla sperimentazione Fonte: nostra elaborazione

Rispetto all‟area precedente, l‟area 2 si trova spostata a Sud-Ovest, a cavallo tra le due province di Ancona e Macerata. Il confine naturale però è delineato dal medio bacino del Fiume Esino che taglia, in direzione Ovest-Est, il comune di Serra San Quirico, porzione di territorio questa che riprende le caratteristiche dell‟area 1 con le quote più basse. Nel resto del territorio le quote altimetriche sono variabili: al confine Nord-Est le quote arrivano fino ai 750 m ad Est del centro abitato di Apiro con pendenze anche del 30%, ma generalmente rimangono al di sotto dei 500 m. Al confine Ovest, invece, il paesaggio si fa montuoso, raggiungendo la massima altitudine nel territorio di confine tra Poggio San Vicino e Apiro con quote che sfiorano i 1.500 m di altitudine (1.479 m del Monte San Vicino). L‟area 2 interessa, infatti, una delle due catene montuose che corrono lungo il confine Ovest della Regione e che verso sud si fondono a costituire il massiccio dei Monti Sibillini. Come per l‟area 1, l‟idrografia superficiale del territorio è caratterizzata da frequenti corsi d‟acqua a natura torrentizia con portate anche accentuate, nei periodi piovosi, e portate pressoché nulle in corrispondenza dei periodi di siccità. Numerose sono anche le sorgenti presenti sopra i 500 m.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 81

I caratteri climatici del territorio sono determinati dagli eventi pluviometrici e termometrici. Le precipitazioni piovose (e nevose) della zona collinare (350 – 500 m) hanno valori medi annui di 930 mm circa, mentre nelle zone montane i valori medi annui sono di 1350 mm circa. Le temperature medie annuali si aggirano sui 13 gradi, per la zona collinare, 12 gradi nelle zone a quote più elevate. In linea di massima il clima è di tipo secco e asciutto.

Figura 6 - Localizzazione dell’area 3 e limiti amministrativi dei Comuni interessati dalla sperimentazione Fonte: nostra elaborazione

Territorio dell‟entroterra della provincia di Macerata l‟area presenta ambiti differenziati dove il locale livello di sviluppo risente inevitabilmente delle caratteristiche morfologiche. Nel complesso la morfologia mostra un forte contrasto tra la posizione centrale e le estremità. La prima, a confine con i tre comuni, è caratterizzata, in direzione O-E, dal il passaggio del Fiume Chienti che segna due vallate con le quote più basse, mentre in direzione N-S è la vallata che separa le due catene montuose che confluiscono a pochi km di distanza nel massiccio dei Monti Sibillini; per quanto concerne i territori localizzati alle estremità Est ed Ovest questi assumono una connotazione prima collinare e poi montuosa, con quote comprese tra i 600 e i 1500 m e pendenze in genere superiori al 30%. L‟idrografia superficiale si caratterizza ancora per la sua natura torrentizia con portate anche accentuate, nei periodi piovosi, e portate pressoché nulle in corrispondenza dei periodi di siccità.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 82

Figura 7 - Localizzazione dell’area 4 e limiti amministrativi dei Comuni interessati dalla sperimentazione Fonte: nostra elaborazione

Al confine con la provincia di Ascoli Piceno è localizzata l‟area 4 che interessa una porzione più centrale del territorio maceratese. Il territorio, attraversato in direzione O-E dal Fiume Tenna e comprendente anche affluenti minori del fiume Chienti, che ne dettano la divisione in fasce, presenta morfologie diversificate. Ad Ovest i rilievi collinari maceratesi, al margine esterno della dorsale marchigiana, con quote comprese tra 300 e i 700 m; la fascia centrale rientra nella stretta fascia di colline del maceratese interno tra i Fiumi Chienti e Tenna con quote tra i 400 e i 600 m, mentre, infine, la porzione orientale dell‟area 4 vede quote e pendenze inferiori, essendo in maggior parte delimitata dalla vallata del Fiume Tenna.

Figura 8 - Localizzazione dell’area 5 e limiti amministrativi dei Comuni interessati dalla sperimentazione

Fonte: nostra elaborazione

La quinta area è localizzata nella zona interna della provincia di Macerata al confine con quella di Ancona. E‟ un territorio prevalentemente montuoso caratterizzato da rilievi che superano in alcuni casi i 1000 metri, solcati da profonde vallate che caratterizzano il paesaggio dell‟area. Il principale corso d‟acqua è il fiume Potenza che ha formato un ampio deposito alluvionale fondo-vallivo sul quale sono posti i centri di Fiuminata a Pioraco, nel comune di Sefro è localizzato un altopiano (piani di Montelago 1000 metri di altitudine), particolare

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forma di carsismo che riproduce su scala ridotta i caratteri fisici di alcuni vasti altopiani dell‟Appennino centrale (es. Colfiorito, Castelluccio).

Fenomeno Cause Obiettivi Mezzi

Nelle aree 3 e 5 la distribuzione della popo-lazione e delle infrastrutture è disomogenea

La morfologia del territorio obbliga lo sviluppo delle attività nei centri abitati e lungo le principali vallate

Migliorare i collegamenti intervallivi e le reti di ai servizi

Potenziare il trasporto pubblico. Organizzare una sportello di servizio polifunzionale mobile in collegamento remoto

Tabella 8 - Localizzazione ed ambiente fisico: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

► Territorio e paesaggio

I caratteri fisici e ambientali del territorio hanno influenzato e influenzano la diffusione e lo sviluppo delle attività umane. In questo paragrafo sono descritti sinteticamente gli aspetti che derivano dall’interazione dell’uomo con il territorio (paesaggio)

Le trasformazioni avvenute sul territorio in relazione alle attività umane sono state analizzate utilizzando una metodologia di comparazione cartografica che sebbene non estremamente precisa62, ha consentito di evidenziare nelle aree campione tre processi evolutivi:

> l‟urbanizzazione; > l‟agrarizzazione; > la rinaturalizzazione.

L‟urbanizzazione è il processo che ha portato all‟occupazione del suolo per finalità insediative ma anche per altre opere infrastrutturali; l‟agrarizzazione invece è il passaggio verso la coltivazione del suolo, infine la rinaturalizzazione è l‟”abbandono” del suolo da parte dell‟uomo che ritorna così alle condizioni naturali. Il periodo preso in considerazione nel valutare questi passaggi è di circa quindici anni: dalla carta del suolo regionale del 1984 all‟indagine comunitaria Corine completata nel 1999.

62

La metodologia ha finalità estimative e non georeferenzia con elevata precisione i fenomeni evolutivi analizzati. Maggiori

informazioni sono contenute in appendice.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 84

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Urbanizzazione

Agrarizzazione

Rinaturalizzazione

Legenda

Figura 9 - Dinamiche nell’uso del suolo

Fonte: nostra elaborazione su cartografia Regione Marche e Corine63

Dalle immagini risulta ben evidente come in tutte le aree il processo di agrarizzazione sia stato quello a caratterizzare l‟evoluzione dell‟uso del suolo nel periodo preso in considerazione. Ciò sembrerebbe testimoniare come le attività agricole rivestano ancora un ruolo importante e in crescita sotto il profilo della gestione del territorio.

63

Successivamente alla realizzazione di queste elaborazione l’Agenzia europea per l’ambiente ha reso disponibili i dati

cartografici del sistema Corine aggiornati al 2000 e una elaborazione delle variazioni intervenute rispetto al 1990.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 85

Esistono però delle differenziazioni tra le aree come illustrato dalle analisi che seguono. Nell‟area 1 un primo processo rilevabile è quello del completamento del disegno delle aree urbanizzate che prima presentavano un assetto frammezzato; il processo ha riguardato in particolare i nuclei abitati di Serra de‟ Conti e la frazione Osteria a nord-ovest di questa e il comune di Montecarotto; in misura minore l‟asse dell‟urbanizzato dei comuni di Rosora e Castelplanio, al confine sud-est. E‟ ravvisabile un discreto processo di rinaturalizzazione nelle aree prossime ai centri abitati principali e da qui verso i territori a quote maggiori. A livello indicativo, se si semplifica la carta della variazione da superfici urbanizzate a superfici coltivate si può comunque notare come il passaggio verso l‟uso agricolo dei territori completi il processo di recupero delle aree indicate nella carta del 1984 come “incolto”, processo spesso associabile alla presenza di piccoli insediamenti extraurbani. L‟area 2 ripresenta le medesime caratteristiche dell‟adiacente area 1. Anche in questo caso, infatti, si riscontra un completamento delle superfici urbanizzate attorno ai nuclei principali, così come avviene nel comune di Serra San Quirico, nel centro abitato di Apiro in direzione nord-est e per le frazioni minori del comune di Mergo a confine con Serra San Quirico e Rosora lungo il tracciato ferroviario (come precedentemente già indicato a proposito dell‟area 1). Consistente il processo di rinaturalizzazione per i territori al di sopra i 500 m della propaggine occidentale di Serra San Quirico, in prossimità dei monti Murano e Sassone (siamo in prossimità di una delle due catene montuose che corrono lungo il confine ovest della regione e che più a sud si incontrano formando il massiccio dei Monti Sibillini), che trova nella conversione in aree boscate la nuova destinazione delle aree precedentemente lasciate incolte. Altre aree interessate dalla rinaturalizzazione dei territori sono quelle a sud del percorso del fiume Esino in prossimità del centro abitato di Serra San Quirico, le aree dove le pendenze rendono difficili altri usi, in particolar modo a fini agricoli e lungo i crinali. Come per l‟area 1, e con le medesime considerazioni, la variazione delle destinazioni d‟uso dei suoli verso un utilizzo agricolo ha interessato in particolar modo quei territori che, localizzati alle quote minori, erano designati nella Carta del 1984 come suoli “incolti”. Localizzata a cavallo delle due catene montuose di cui si accennava precedentemente, l‟area 3 non presenta particolari processi di urbanizzazione se non il completamento dei nuclei principali di Muccia e Pieve Torina, come era anche facile attendersi date le conformazioni del territorio. Discreto il processo di rinaturalizzazione che interessa maggiormente le aree al di sotto dei 500 m di quota e verso sud, in prossimità del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, anche quelle a quote maggiori. Consistente il processo di agrarizzazione che si concentra nella fascia settentrionale e in quella centrale dei tre comuni interessati dove le quote altimetriche sono più modeste.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 86

Appena accennato il processo di urbanizzazione, che interessa quasi esclusivamente il comune di Penna San Giovanni, per quanto concerne l‟area 4 un significativo processo di rinaturalizzazione è legato alla presenza dei due corsi d‟acqua che delimitano il confine nord e sud dell‟area e il confine tra i comuni di Penna San Giovanni e Monte San Martino. L‟immagine indica un diffuso passaggio verso superfici coltivate; escludendo le superfici inferiori ai 25 ha (si ricorda che la cella assume il valore della destinazione d‟uso prevalente dell‟area) e date le premesse indicate in precedenza, si può notare come la variazione avvenga in prevalenza nella fascia centrale del territorio indagato tra i corsi dei due fiumi Chienti e Tenna. Prevalentemente montuosa, con quote anche oltre i 1500 m slm, l‟area 5 interessa l‟alta valle del fiume Potenza. Qui risulta pressoché nullo qualsiasi processo di urbanizzazione del territorio se non per il centro abitato di Fiuminata, mentre, al contrario, è nettamente distinguibile un processo di rinaturalizzazione che ha interessato soprattutto i territori che si affacciano al percorso del fiume Potenza e, a sud-est, nel comune di Sefro, tutta l‟area dell‟altopiano (Piano di Monte Lago e Piano della Camera) a quote poco inferiori a 1000 m s.l.m.. L‟immagine, sempre considerando le premesse indicate, evidenzia come aree preferenziali di conversione dei terreni in superfici coltivate, quelle attigue al percorso del fiume Potenza, sia in prossimità dei centri abitati di Fiuminata e Pioraco, sia verso il confine occidentale del comune di Fiuminata dove il territorio assume pendenze minori. Nel tentativo di descrivere oggettivamente i paesaggi che si sono originati da queste trasformazioni è stata utilizzata come fonte informativa per l‟analisi deriva dal lavoro svolto dal Centro Operativo Servizio Suoli dell‟Assam – Regione Marche in occasione del Progetto Carta dei Suoli d‟Italia – Area Marche alla scala 1:250.000, secondo quanto previsto dal Programma interregionale “Agricoltura e qualità” - Misura 5.

I caratteri del paesaggio sono un elemento che determinano l’immagine di un territorio e possono diventare un veicolo per farsi conoscere e allo stesso tempo per differenziarsi dalle aree limitrofe (marketing territoriale).

Tra i risultati del lavoro64, gli autori sono giunti alla definizione prima di 17 Province di terre (Pt) e successivamente ad una ipotesi di 71 Sottosistemi di Paesaggio (Sst) che cercano di identificare zone geografiche tipiche di un certo assemblaggio di caratteri dell‟ambiente, facendo riferimento ai contenuti informativi della cartografia ambientale tematica elaborata. Nello specifico il lavoro poggia su tre strati informativi principali relativi alla geologia, morfologia ed uso del suolo dove in particolare: la morfologia è risultata utile per riconoscere aree ampie, soprattutto collinari e per definire grandi contorni; la geologia e l‟uso del suolo per confermare contenuti e definire meglio molti limiti. Attraverso l‟utilizzo di procedure GIS, per ogni Sottosistema sono stati

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ASSAM (2002), Pedopaesaggi delle Marche.

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calcolati i valori di superficie interessata per i tre tematismi, offrendo quindi, sia attraverso la lettura della cartografica finale che del relativo legenda, una banca dati dettagliata attraverso il cui utilizzo sono state caratterizzate le aree pilota. Di seguito sono descritti i risultati di sintesi dell‟analisi i cui dettagli sono allegati in appendice. Le immagini che seguono evidenziano con diversi i colori i Sottosistemi di Paesaggio che caratterizzano le aree campione. Già da questa prima rappresentazione si nota l‟eterogeneità paesaggistica delle aree con l‟unica eccezione della quinta zona contraddistinta quasi esclusivamente da un‟unica tipologia di paesaggio. Prima di scendere nel dettaglio per singola area è opportuno precisare che sotto il profilo morfologico la maggior parte del territorio compreso nelle aree ricade in quattro tipologie di Paesaggi di Terre che sono sistemi omogenei che riassumono i caratteri fisici delle zone collinari e montane dell‟interno delle Marche. Sovrapponendo a queste omogeneità fisiche, l‟uso del suolo si sono ottenuti i Sottosistemi di Paesaggio che di seguito vengono analizzati per singola area. Due sono le Province di Terre che identificano il territorio dell‟area pilota n.1, la Provincia 5.2 e 5.4 già definite nel paragrafo precedente. Scendendo ad un livello di dettaglio e caratterizzazione maggiore del territorio è possibile descrivere l‟area secondo tre diversi Sottosistemi di Paesaggio: due afferenti alla prima provincia e uno alla seconda. Partendo da quest‟ultima (Pt 5.4) è il Sottosistema 5.4.1 dei fondovalle e terrazzi dei medio-bassi corsi dei fiumi dal Cesano al Chienti, e, nello specifico del contesto in oggetto, dei fiumi Misa a nord ed Esino a sud, che descrive i confini settentrionale e meridionale dell‟area n. 1. Le superfici sono piane e a bassa pendenza, non superando i 300 m di quota e pendenze del 10%. Dal punto di vista geologico si tratta di substrati costituiti da depositi alluvionali pleistocenici ed olocenici. Esclusi i confini settentrionali e meridionali dell‟area, il resto del territorio è descritto da due sottosistemi in due aree ben circoscritte. La fascia est dell‟area 1 è, infatti, caratterizzata dai rilievi della media collina della provincia di Ancona (sottosistema che si estende poi anche nel territorio maceratese, con andamento nord-sud), con quote comprese tra i 150 e i 450 m di quota e pendenze raramente superiori al 10%, substrati geologici in depositi pelitici plio-pleistocenici, ad ovest dell‟allineamento Jesi-Macerata (Sst 5.2.5). Per contro la fascia ovest dell‟area 1 è descritta dal Sottosistema 5.2.1, cioè da rilievi che si fanno via via maggiori spostandoci verso i rilievi appenninici: sono, infatti, i rilievi della media e alta collina del medio bacino del fiume Esino ed est della dorsale del M.Murano, dove le quote arrivano fino a 600 m e le pendenze, anch‟esse più accentuate, variano dal 10 al 30%. Dal punto di vista geologico siamo ancora in presenza di substrati geologici pelitici pliocenici. Per quanto concerne l‟uso del suolo, dedotto dalla Carta dell‟uso del suolo Corine Land Cover, si nota facilmente il maggior peso delle superfici a seminativi (Clc 2.1) nella fascia nord-est dell‟area pilota, in corrispondenza del sottosistema Sst 5.2.5, mentre, invece, in corrispondenza del Sst 5.4.1, che ne

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descrive le fasce nord e sud, il territorio si caratterizza per la presenza di aree agricole eterogenee (Clc 2.4), in particolare di sistemi colturali e particellari complessi. Ai piedi dei primi rilievi, dove il territorio vede quote e pendenze sensibilmente maggiori, e dove sono localizzati i principali nuclei urbanizzati, prima (procedendo da est-verso ovest) del passaggio dal Sst 5.2.5 al Sst 5.2.1 si fa rilevante la presenza di colture permanenti, mentre, spostandoci verso l‟entroterra aumentano considerevolmente le superfici a bosco (Clc 3.1) e, alternate a queste, sono ancora presenti ampie fasce di superfici agricole a seminativo. Parte dei caratteri fisico-territoriali presentati al punto precedente appartengono anche nell‟area pilota 2, proprio per la contiguità che esiste fra le due aree. Tra questi, innanzitutto, si evidenzia la presenza, lungo il versante orientale dell‟area 2, del sottosistema 5.2.1 che interessa quasi tutto il comune di Mergo, la fascia est di Serra San Quirico e la parte nord di Apiro: è questo, lo ricordiamo, il sistema dei rilievi collinari pedemontani interni tra i Fiumi Cesano e Chienti (Esino e Musone nello specifico dell‟area 2) a debole energia di rilievo, dove, infatti, le quote sono prevalentemente comprese tra i 250 e i 600 m e le pendenze tra il 10 e il 30%. In questa porzione di territorio, su substrati geologici pelitici pliocenici, l‟utilizzo principale del suolo è legato ai seminativi, con sporadiche presenze, dove i rilievi sono più deboli, di colture permanenti; a queste si alternano le prime superfici boscate, che vedono la preminenza di specie come querceti di roverella e rovere, di formazioni riparie e zone agricole eterogenee che si fanno via via più consistenti man mano che ci si sposta verso sud. E‟, infatti, in corrispondenza del sottosistema 4.3.2 dei rilievi collinari tra la dorsale del M.S.Vicino e la dorsale di Cingoli, a quote tra 300 e 550 m e pendenze mediamente inferiori al 30%, su substrati marnosi, marnosi-arenacei e arenacei, che l‟utilizzo del suolo per sistemi colturali complessi si fa preponderante, alternandosi ad ampie aree a seminativo e sporadici lembi di vegetazione naturale. Netto è il taglio, secondo la verticale, dei sottosistemi dell‟area 2, per via dell‟immissione in senso nord-sud nel contesto prima delineato, della Provincia di Terre 3.2, e relativi sottosistemi, che delineano il territorio della dorsale montuosa marchigiana, che si estende dal fiume Metauro ai Monti Sibillini e rilievi isolati ad essi riferibili. A nord-ovest dell‟area 2, infatti, nel territorio del comune di Serra San Quirico, è il sottosistema 3.2.2 a descrivere il territorio; qui siamo in presenza delle porzioni meno elevate della dorsale marchigiana, con quote che vanno dai 300 ai 600/700 m e pendenze prevalentemente comprese tra il 20 e il 30%, che si accentuano in corrispondenza del picco del monte Murano. Per contro, a sud-ovest dell‟area 2, nei comuni di Poggio San Vicino e Apiro, il territorio inizia a caratterizzarsi per la presenza di versanti e sommità della dorsale marchigiana, tra i monti Sibillini e il M.Murano, con quote comprese tra i 600 e i 1000 m (sul versante ovest) e pendenze attorno al 30% (Sst 3.2.1). Entrambi i sottosistemi, su substrati calcarei e calcareo-marnosi, vedono la maggior occupazione del territorio da superfici boscate (Clc 3.1), in prevalenza di latifoglie, dove prevale la presenza di orno-ostrieti, querceto di roverella, faggete e aree di rimboschimento a prevalenza di conifere, e aree miste caratterizzate da vegetazione arbustiva e/o erbacea (Clc 3.2).

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Sono queste caratteristiche che appartengono anche al sottosistema 4.3.1, localizzato nella frazione a sud-est del comune di Apiro, e che l‟immagine stralcio della carta dell‟uso del suolo dell‟area 2 riportata nella Figura 5 ci descrive come prevalentemente occupato da superfici boscate. Tre sono le province di terre che descrivono l‟area pilota n. 3: la prima, Pt 3.3 che interessa la fascia centrale a confine tra i comuni di Muccia, Pieve Torina e Pievebovigliana, e che è un sistema che coinvolge il territorio marchigiano da quest‟area per una fascia che si estende verso nord, la Pt 3.2 delle dorsali marchigiana e umbro-marchigiana che interessa invece le fasce esterne, ed infine, la Pt 3.1 nella parte meridionale del comune di Pieve Torina. Il primo (Pt 3.3) è il sistema delle colline e piane interne da Pergola a Fabriano, Matelica e Camerino, tra i fiumi Cesano e Chienti, ed è composto da due sottosistemi che si distinguono maggiormente dal punto di vista fisico e meno per la destinazione d‟uso dei territori. Il Sst 3.3.2 interessa l‟area centrale e settentrionale della provincia; è la porzione collinare del bacino marchigiano interno, tra i fiumi Cesano ed Esino (e nel contesto dell‟area pilota interessato dal corso del fiume Chienti), ad ovest di Arcevia, a quote comprese tra 300 e 600 m e pendenze medie del 10-30%. Il Sst 3.3.1 interessa la fascia a sud del sottosistema precedente: è un‟area limitata al margine meridionale del bacino di Camerino, tra i 600 e i 1200 m di quota e pendenze modeste inferiori comunque al 30%. Entrambi su substrati calcareo-marnosi, le due porzioni di territorio così delineate si caratterizzano per la prevalente destinazione a seminativo che si alterna a lembi di aree a bosco (prevalentemente di querceti di roverella e orno-ostrieti) nel caso del Sst 3.3.1 e a zone agricole eterogenee nel caso del Sst 3.3.2. L‟area pilota 3 si è detto è interessata da entrambe le dorsali, marchigiana e umbro-marchigiana (Sst 3.2.1): il territorio si caratterizza per la presenza di versanti e sommità delle dorsali, tra i monti Sibillini e il M.Murano, con quote comprese tra i 600 e i 1200 m (sul versante ovest) e pendenze in genere superiori al 30%. Qui, rispetto all‟area pilota 2, come si vede anche dalla collocazione geografica, i rilievi si fanno più marcati. L‟utilizzo del territorio vede la prevalenza di superfici a bosco, dove predominano gli orno-ostrieti, i querceti di roverella e rovere e le faggete, alternati da superfici a prato stabile nella punta più ad est, e da zone agricole eterogenee lungo il corso che fiume Chienti, nel versante occidentale tra i comuni di Muccia e Pieve Torina. Peculiarità del Sst 3.1.2 è la presenza di prati stabili nelle fasce esterne e l‟alternarsi di boschi (prevalentemente di faggete, orno-ostrieti e querceti) a zone agricole eterogenee (quest‟ultime legate anche all‟andamento del fiume) nel resto del sottosistema. Qui siamo in presenza degli alti e medi versanti orientali e occidentali dell‟inizio della dorsale principale dei Sibillini e dorsale del M.Fema e M.Cavallo, oltre i 1200 m di quota e con pendenze di oltre il 30%. Localizzata ad est della dorsale marchigiana, l‟area 4, descritta da due sole province di terre (Pt 4.2 e Pt 5.5) e da sette sottosistemi (di cui quattro prevalenti), non mostra grandi differenze tra una parte e l‟altra del territorio. I sottosistemi 4.2.2 ad ovest, 4.2.3 nella parte centrale e 4.2.1 a sud, descrivono tutti territori della media e alta collina, con quote comprese tra 300 e 600/700

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m, a media pendenza (10/20%), su substrati torbidici arenacei-pelitici e pelitico-arenacei. Allo stesso modo, i sottosistemi 4.2.4, 5.5.1, 5.5.2 e 5.5.6, che descrivono la parte nord-est dell‟area, presentano caratteristiche della media e bassa collina a pendenza medio-bassa. Territorio quindi senza grandi differenze fisiche, l‟area 4 si mostra apparentemente, secondo l‟immagine stralcio della carta dell‟uso del suolo dell‟area riportata in Figura 7, senza aree ben distinte o indirizzi particolari tra una frazione e l‟altra. L‟utilizzo del territorio dei comuni di Gualdo, Monte San Martino e Penna San Giovanni è invece legato, almeno in parte, all‟andamento dei due rami principali del fiume Tenna che da un lato seguono il confine nord dell‟area e dall‟altro, più a sud, il confine tra i comuni di Penna San Giovanni e Monte San Martino: dall‟immagine si vede chiaramente come ad essi sia legata la presenza di formazioni boschive che si diramano poi seguendo gli affluenti minori (si tratta in prevalenza di neoformazioni, formazioni boschive riparali, e lembi di bosco di latifoglie miste) assieme a diversi spazi naturali. Per contro, l‟utilizzazione principale del resto del territorio vede la compresenza sia di seminativi sia di zone agricole eterogenee composte da sistemi colturali e particellari complessi, con la presenza di isolate aree a prati stabili. L‟area 5, localizzata in territorio maceratese, a confine con l‟Umbria, rientra quasi completamente nel sottosistema 3.2.1 della dorsale montuosa umbro-marchigiana, che si estende dal Metauro ai monti Sibillini. Le quote sono comprese tra i 600 e i 1200 m e le pendenze sono in genere superiori al 30%. Localizzata su substrati calcarei e calcareo-marnosi, l‟uso principale del suolo vede la prevalenza di copertura del territorio da superfici boscate (oltre l‟80% dell‟area) e, in misura inferiore, da superfici a pascolo naturale e praterie d‟alta quota (Clc 3.2). In prossimità dei centri abitati maggiori sono presenti aree agricole in sistemi colturali e particellari complessi e aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali; isolate e di minima estensione sono poi le aree a prati stabili. La presenza di seminativi, spesso in sistemi colturali complessi, è per lo più associata al Sottosistema 3.3.3 che descrive la punta orientale del comune di Pioraco dove le quote scendono sotto i 600 m e le pendenze sono in genere inferiori al 20%.

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Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Figura 10 - Dinamiche nell’uso del suolo Fonte: nostra elaborazione su cartografia Regione Marche e Corine

Fenomeno Cause Obiettivi Mezzi

L’area 5 è molto omogenea sotto il profilo morfologico

Il paesaggio è poco diversificato e prevalentemente coperto da boschi

Introdurre degli elementi che caratterizzino e diversifichino il paesaggio

Individuazione e mantenimento di aree ecotonali e di punti panoramici

Tabella 9 - Territorio e paesaggio: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

► Insediamenti e abitazioni

La distribuzione della popolazione sul territorio è un aspetto rilevante per capire la diffusione delle attività socio-economiche e la loro evoluzione temporale. In un ipotetico Distretto Rurale i fenomeni di concentrazione urbana dovrebbero essere limitati e ciò sta a significare che le aree al di fuori dei maggiori insediamenti sono tuttora attive e vitali. In questa sezione l’analisi dovrebbe mettere in evidenza questi caratteri di diffusione geografica della popolazione valutando se possibile anche la volontà dei residenti a continuare a vivere in questi territori. Lo schema dell’analisi dei problemi serve ad elencare i principali elementi di criticità e a delineare alcune prime soluzioni

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Per misurare la distribuzione della popolazione sul territorio ed in particolare per evidenziare il legame tra campagna e città, è utile valutare la figura che segue in cui i residenti sono stati suddivisi tra centri, nuclei e case sparse65.

1991

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Centri Nuclei Case sparse

Figura 11 - Distribuzione dei residenti sul territorio Fonte: Censimenti popolazione ed abitazioni

In quasi tutte le aree, come era logico aspettarsi, la popolazione è maggiormente distribuita sul territorio rispetto alla media regionale. In particolare la quarta area è quella più “equilibrata” sotto questo profilo mentre la terza e la quinta evidenziano una minore quota residenziale nelle case sparse a causa della localizzazione prevalentemente montana. Per quanto riguarda i caratteri insediativi è interessante notare come la quota di abitazioni occupate è sempre inferiore alla media regionale e questo fenomeno è più evidente nelle zone montane come nell‟area 3 dove quasi il 50% risulta non occupato segno della consistente presenza di seconde case, probabilmente abitate solo nei mesi estivi. La quota di abitazioni nuove è un buon indicatore della propensione ad investire nell‟area e quindi dà una misura indiretta sulla volontà da parte dei residenti (ma non solo di questi) di restare sul territorio. Sotto questo profilo è l‟area 4 quella apparentemente meno attiva ma occorre ricordare che la ricostruzione post-terremoto del 1997 ha sicuramente inciso innalzando questo indice nelle altre aree. Infine l‟incidenza delle abitazioni in proprietà non varia molto e ciò dipende da un omogeneo comportamento del marchigiano orientato al possesso dell‟immobile che abita. La casa rappresenta quindi un forte legame con il territorio.

65

L’assenza dei dati censuari del 2001 è dovuta alla loro indisponibilità alla data di realizzazione del rapporto.

L’aggiornamento dei dati è ovviamente indispensabile per una corretta valutazione dei fenomeni evolutivi.

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1991

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

Marche Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5

Occupate Nuove

(<= 5 anni)

In proprietà

Figura 12 - Quota di abitazioni occupate, nuove e in proprietà Fonte: Censimenti generali popolazione e abitazioni

Fenomeno Cause Obiettivi Mezzi

Elevata la quota di popolazione che non risiede nei centri abitati

Morfologia del territorio che ha ostacolato la concentrazione insediativa

Migliorare l’accesso ai servizi da parte dei residenti

Mantenere e migliorare la rete viaria minore

Relativamente bassa la percentuali di abitazioni occupate nelle aree 3 e 5

Presenza di seconde case abitate in limitati periodi dell’anno

Migliorare la fruibilità turistica del patrimonio abitativo

Reti di country houses

Prevalente la forma in proprietà delle abitazioni

La casa di proprietà è un elemento di garanzia di vita ed economica

Valorizzare il patrimonio immobiliare nelle aree più marginali

Diffusione di informazioni sul mercato immobiliare locale anche al di fuori delle aree

Tabella 10 - Insediamenti e abitazioni: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

Le dotazioni infrastrutturali

La presenza di infrastrutture è indice dell’integrazione del territorio con le aree circostanti ma è una misura che esprime il grado di sviluppo socio-economico. Senza un adeguato “patrimonio” infrastrutturale il Distretto Rurale stenterebbe a svilupparsi. La breve analisi esemplificativa sviluppata in questa parte del documento riguarda solo alcuni indicatori ma andrebbe utilmente estesa ad altri quali ad esempio le reti di servizi (comunicazioni, energia, trasporti, acqua, …), disponibili presso gli Enti locali (es. Certificato di conto consuntivo dei Comuni). Si presti particolare attenzione a orientare l’analisi verso obiettivi che mettano in luce le potenzialità del territorio e non solo eventuali svantaggi infrastrutturali.

Gli indicatori presi in considerazione riguardano tre grandi aree tematiche: l‟istruzione, la sanità ed il credito.

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Area Istruzione

(aule) Turismo

(posti letto) Credito

(sportelli bancari)

Marche 144 7 1.463

Ancona 148 10 1.475

Macerata 140 7 1.464

Area 1 172 48 1.419

Castelplanio 190 35 3.223

Montecarotto 198 272 2.176

Poggio San Marcello 123 53 737

Rosora 146 58 583

Serra de' Conti 173 37 1.732

Area 2 156 19 1.680

Apiro 128 12 1.216

Mergo 194 44 n.c.

Poggio San Vicino 303 51 n.c.

Serra San Quirico 168 24 1.508

Area 3 113 11 633

Muccia 113 3 907

Pievebovigliana 88 98 879

Pieve Torina 138 99 460

Area 4 127 48 1.014

Gualdo 115 44 920

Monte San Martino 117 51 820

Penna San Giovanni 145 50 1.302

Area 5 163 27 1.634

Fiuminata 201 20 1.604

Pioraco 137 72 1.231

Sefro 144 17 n.c.

Tabella 11 - Alcuni indicatori infrastrutturali (abitanti/indicatore) Fonte: Sistema Informativo Statistico della Regione Marche

La presenza di strutture scolastiche, misurato in termine abitanti per ogni aula disponibile, segnala una maggiore carenza nelle aree più popolate (1 e 2) dove la prossimità geografica con alcuni centri urbani di maggiore dimensione (Senigallia, Jesi e Ancona) fa si che gli studenti tendano a spostarsi al di fuori delle aree prese in considerazione. Diversa è la situazione nella quinta area dove il valore superiore alla media regionale è da attribuire alla marginalità geografica dei comuni e alla minore presenza di popolazione in età scolare. Le aree 3 e 4 appaiono invece ben dotate sotto il profilo delle strutture scolastiche. Il turismo è un settore sul quale puntano molte delle strategie di sviluppo delle aree interne. Senza entrare nel merito delle differenze anche marcate tra le diverse tipologie di turismo, la disponibilità sul territorio di strutture ricettive è un presupposto per la diffusione di queste attività. Inoltre il dato quantitativo utilizzato non consente di discriminare la qualità e la categoria del servizio che invece, per il turista, è un rilevante criterio di scelta. Il rapporto tra abitanti e posti letto rende particolarmente evidente come le zone vocatamente turistiche della regione non siano comprese tra i territori selezionati. I valori medi delle aree sono generalmente molto lontani da quelli

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della regione e delle province ad eccezione della terza area contigua al Parco nazionale dei Sibillini. L‟area 1 è la meno attrezzata sotto il profilo ricettivo probabilmente a causa della vicinanza con la costa dove insistono numerosi alberghi. Infine i servizi di credito allo sportello non sembrano penalizzare particolarmente le zone interne della regione sebbene le aree 2 e 5 registrino valori significativamente superiori alle medie regionali e provinciali. Interessante il dato della terza area che appare in relazione alla presenza di flussi turistici che attraversano la zona in direzione delle zone montane del Parco nazionale dei Sibillini.

Effetti Cause Obiettivi Mezzi

Bassa la presenza di strutture scolastiche nella prima e nella quinta area

Attrazione da parte dei comuni limitrofi (area 1) Minore presenza di popolazione in età scolare (Area 5)

Migliorare la mobilità degli studenti per facilitare l’accesso ai servizi educativi

Potenziare i servizi pubblici di trasporto Favorire la diffusione delle tecnologie e-learning

Bassa la disponibilità di strutture ricettive nelle aree 1 e 4

Vicinanza alle strutture della costa (Area 1)

Qualificare l’offerta turistica

Differenziazione delle modalità di accoglienza rispetto alle tradizionali strutture alberghiere (agriturismo, B&B)

Tabella 12 - Dotazioni infrastrutturali: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

► L’accessibilità e le connessioni

Al fine di rendere evidente l‟impatto che ha la dotazione infrastrutturale nei territori presi a riferimento, di seguito viene proposta una metodologia di analisi che combina l‟informazione statistica con quella cartografica relativa alla viabilità. Il risultato è la quantificazione del “grado di accessibilità” del territorio inteso come popolazione raggiungibile spostandosi in automobile entro un predeterminato lasso di tempo fissato convenzionalmente in 30 minuti. La tecnica è stata sviluppata utilizzando un programma GIS ed è descritta nel dettaglio nella scheda in appendice. I risultati che vengono di seguito illustrati rappresentano solo un esempio di applicazione della metodologia che può essere utilmente estesa ad altri contesti, sostituendo al dato della popolazione qualsiasi altra informazione georeferenziata. Ad esempio potrebbe essere calcolato il grado di accessibilità ai servizi sanitari (es. centri di cura, posti letto) o a quelli educativi (es. istituti, aule scolastiche) o a una risorsa localizzata (es. aree protette, siti archeologici, aziende agrituristiche). Il periodo di tempo posto convenzionalmente a 30 minuti potrebbe essere rivisto in funzione dell‟indicatore da calcolare ma la sua vera utilità è quella di fornire una base comune sulla quale operare i confronti spaziali e temporali. La quantificazione del grado di accessibilità ad un servizio e/o ad una risorsa può essere interpretato come una misura della “lontananza” di un area dal resto del territorio e quindi, attraverso una comparazione temporale, verificare se si sia verificato un processo di integrazione o viceversa di marginalizzazione.

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Uno dei caratteri attesi in un Distretto Rurale è dato dalla sua capacità di essere connesso ai territori circostanti mantenendo una forte coesione interna

L‟analisi proposta si basa sulla georeferenziazione dell‟informazione statistica relativa alla popolazione residente all‟anno 1990 disaggregata al livello delle frazioni comunali66. Il grado di accessibilità, inteso come popolazione raggiungibile da alcuni punti di riferimento (in questo contesto dai capoluoghi delle aree pilota), viene qui calcolato non su una distanza ma su un raggio di tempo di 30 minuti. Il procedimento seguito per raggiungere l‟informazione desiderata è così impostato: primo passo è l‟interrogazione di un atlante stradale informatizzato al quale viene chiesto di indicare l‟area raggiungibile dal capoluogo nel tempo di 30 minuti; l‟immagine ottenuta viene estrapolata e inserita, tramite un processo di georeferenziazione, nel programma GIS, dove l‟area delineata viene ridigitalizzata sotto forma di poligono irregolare chiuso; a questa nuova base informativa viene associata l‟informazione relativa alla popolazione presente nelle frazioni comunali, desunta dal Censimento ISTAT della Popolazione; infine, tramite interrogazione, il programma GIS restituisce il calcolo della popolazione residente compresa nell‟area. L‟analisi viene condotta sulla sola popolazione residente nelle diverse frazioni comunali, escludendo quindi gli abitanti in case sparse in quanto dato non georeferenziabile. Allo stesso modo, anche nelle schede di dettaglio il calcolo delle percentuali di popolazione raggiungibile sul totale della popolazione comunale non tiene conto degli abitanti in case sparse.

66

Il corrispondente dato del Censimento 2001 non è stato reso ancora disponibile

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Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Legenda

Accessibilità

globale

Accessibilità

comune

Figura 13 - Aree di mobilità in 30 minuti Fonte: nostra elaborazione su cartografia De Agostini e dati ISTAT

Le zone di colore più chiaro evidenziano l‟area di accessibilità complessiva dai capoluoghi comunali, quella più scura l‟area di accessibilità comune a tutti i capoluoghi. Se le due tipologie di area risultano molto differenti significa che il grado di accessibilità del territorio è disomogeneo. Passando all‟analisi dei risultati emerge che in generale le aree 1 e 2 (ad eccezione del comune di Poggio San Vicino) sono quelle che servono, in un raggio

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di 30 minuti di percorrenza, la maggiore popolazione, sia perché siamo in territori di bassa collina, con numerosi collegamenti stradali principali, sia perché i centri interessati mostrano i maggiori valori di densità di popolazione rispetto alle altre aree. In una situazione intermedia si attestano le aree pilota 3 e 5 localizzate la prima a cavallo delle due dorsali marchigiana e umbro-marchigiana e la seconda su quest‟ultima a confine con l‟Umbria, dove, mentre influisce in senso negativo la morfologia del territorio, la presenza delle poche ma principali vie di accesso che collegano i capoluoghi con alcuni centri principali come Camerino, Matelica, Castelraimondo, ecc., influiscono positivamente sul calcolo della popolazione raggiungibile. Sono quindi comuni relativamente “periferici”, in quanto il rapido collegamento a centri di una certa dimensione suggerisce anche il raggiungimento, sempre nell‟arco di 30 minuti, di alcuni servizi principali. Il caso peggiore è quello dell‟area pilota 4 che pur essendo localizzata a quote modeste, presenta ampi spazi non coperti da infrastrutture (ne è una dimostrazione l‟ampia irregolarità delle aree raggiungibili dai capoluoghi), ed inoltre sono questi i territori a confine tra le province di Macerata e Ascoli Piceno dove i centri presentano i valori più bassi di popolazione residente raggiungibile.

Effetti Cause Obiettivi Mezzi

Le aree 3 e 4 registrano un grado di accessibilità minore rispetto alle altre

Le aree sono localizzate in zone alto-collinari e non sono attraversate dalle principali vie di comunicazione

Abbassare i tempi di percorrenza tra i comuni interni

Migliorare le vie di comunicazione e gli accessi dalle direttrici principali

Tabella 13 - Accessibilità e connessioni: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

Caratteri sociali

► Cenni storici

In questa sezione vanno descritti brevemente i principali eventi storici che hanno riguardato il territorio ed in particolare, se esistono, quelli che hanno contribuito a formare l’identità socio-culturale, e che tuttora costituiscono un elemento catalizzatore. Data l’esiguità delle aree campione, non è stata sviluppata l’analisi storica, mentre alcuni cenni al patrimonio storico sono riportati tra i risultati delle analisi qualitative sul territorio.

► Politiche e programmi di intervento

Le attività economiche e sociali sono in gran parte regolate da un sistema complesso di norme e da disposizioni amministrative che coinvolgono numerosi enti di diversa natura e competenza. In questo paragrafo sono stati raccolti e descritti sinteticamente quegli strumenti che hanno una maggiore rilevanza per la programmazione territoriale a livello locale nel contesto oggetto di studio ovvero lo sviluppo rurale.

L’individuazione del quadro conoscitivo di base degli strumenti normativi che agiscono su un territorio è un passo necessario per predisporre un progetto di sviluppo, in quanto le scelte strategiche locali debbono essere

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coerenti con quelle globali. Inoltre questa fase conoscitiva consente di delineare l’insieme di vincoli ed opportunità all’interno del quale è possibile collocare le ipotesi di sviluppo. Date le finalità sperimentali del progetto, le informazioni raccolte, sono un ottimo punto di partenza per lo sviluppo di una analisi, ma in una successiva fase progettuale esse vanno verificate e aggiornate attingendo direttamente alle fonti citate. Per questo motivo le schede di sintesi riportate in appendice sono solo esemplificative delle principali tipologie di documenti per la programmazione territoriale e non costituiscono un completo repertorio normativo. Un aspetto importante che non è stato possibile verificare in questa fase, è l’attuazione di questi strumenti di programmazione territoriale a livello locale: dai dati sullo stato di avanzamento possono essere tratte utili

considerazioni sugli ambiti sui quali intervenire.

Il lavoro di ricognizione è consistito nel reperimento della normativa, delle politiche e dei programmi di intervento in atto, sia a livello provinciale che regionale, nei settori della pianificazione territoriale, ambiente, servizi alla popolazione, infrastrutture ed attività produttive ed ha portato alla raccolta di un copioso numero di documenti, adeguatamente analizzati e di cui si intende sintetizzare gli aspetti salienti. A livello regionale, in particolare, sono stati raccolti i seguenti documenti di programmazione:

> PSR marche, suoi aggiornamenti ed integrazioni (marzo 2004) e relativi bandi;

> Piano Agricolo Regionale (PAR); > Piano di Inquadramento Territoriale (PIT) > Documento di Programmazione Economica e Finanziaria Regionale

(DPEFR) 2004/2006 > delibera della giunta regionale concernente i “criteri per avviare la

costituzione e sperimentazione delle agende regionali strategiche per lo sviluppo territoriale locale (ARSTEL). Individuazione delle priorità territoriali e settoriali e ripartizione delle risorse (articoli 7 e 11 legge regionale n.19 del 28 ottobre 2003)

> Docup ob.2 2000-2006 > programma di azioni ambientali per lo sviluppo sostenibile (ASSO); > Programma Regionali di Sviluppo (PRS) > Agenda 21

A livello provinciale, invece, sono stati reperiti e tradotti in schede sintetiche i più importanti strumenti di programmazione (vedi allegati), che interessano tutti o alcuni territori ricompresi nell‟area pilota:

> Patto territoriale per l‟agricoltura; > documento di indirizzi di pianificazione e programmazione della

Comunità montana Alte valli del Potenza e dell‟Esino; > documento di indirizzi di pianificazione e programmazione della

Comunità montana Monti Azzurri; > documento di indirizzi di pianificazione e programmazione della

comunità montana Alte valli del Fiastrone, Chienti e Nera; > Patto territoriale della provincia di Macerata; > Piano di sviluppo locale (PSL) del GAL Sibilla; > Piano territoriale di coordinamento (PTC) della provincia di Macerata; > progetto preliminare del Piano del parco - Parco nazionale dei monti

Sibillini;

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> Piano pluriennale economico e sociale (PPES) del Parco nazionale dei monti Sibillini;

> Piano di sviluppo locale GAL Colli esini – San vicino (province di Ancona e Macerata);

> Piano agricolo della Provincia di Ancona; > Documento preliminare del patto territoriale dell‟Appennino

marchigiano.

L‟elenco non è certamente esaustivo sia riguardo ai settori di intervento che ai territori interessati. L‟intento infatti non è stato quello di realizzare un sistema informativo completo ma proporre una sintesi di queste informazioni. In appendice sono proposte alcune schede esemplificative che riassumono i documenti analizzati e che consentono una rapida ricerca delle tematiche che possono interessare il progetto di sviluppo del territorio. Qui di seguito viene proposta una lettura ragionata di alcune attività progettuali che toccano la tematica dello sviluppo locale. L‟analisi intende far comprendere come sia necessario verificare non solo l‟operatività degli strumenti di programmazione precedentemente elencati ma anche la progettualità in atto, spesso espressione degli stessi programmi.

Le ARSTEL67

L'avvio della sperimentazione delle Agende regionali di sviluppo territoriale locale rappresenta un contributo concreto alla impostazione delle strategie di sviluppo locale su basi innovative. Si tratta di una azione necessaria e coraggiosa, sia a livello strutturale per fronteggiare i problemi di adattamento dei sistemi locali ai nuovi scenari delineati nel paragrafo precedente, sia a livello congiunturale per contribuire al sostegno dell'economia regionale in presenza della attuale crisi economica internazionale. Le ARSTEL costituiscono uno strumento operativo d'integrazione e di potenziamento degli interventi programmati per lo sviluppo locale di determinati territori, nel tentativo di fronteggiare la sfida competitiva con programmi concertati e coordinati di infrastrutturazione leggera, di politiche sociali e formative, di misure a favore della crescita tecno-economica, di difesa di diritti locali. La Giunta Regionale non ha mai abbandonato, anche in presenza di un quadro politico caratterizzato non solo dalla scarsità, ma anche dall'incertezza delle risorse a disposizione dopo la modifica del titolo V della Costituzione italiana, una scelta che rafforza ed arricchisce una coerente strategia di sviluppo. Grazie a questa strategia, i risparmi e i sacrifici imposti dalla politica del rigore non hanno frenato, ma al contrario hanno ulteriormente stimolato, il governo regionale a proseguire nella politica volta ad utilizzare al meglio le risorse disponibili per promuovere lo sviluppo delle Marche. Le ARSTEL assumono un ruolo decisivo e qualificante in questa strategia, coerentemente a quanto già dichiarato e programmato nel DPEFR 2003-05 e nel DPEFR 2004-06~. Come è già stato chiarito in questi documenti, con le Agende la Regione si propone:

67

Agende regionali strategiche per lo sviluppo territoriale locale.

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> di potenziare la sua capacità di coniugare decentramento istituzionale sviluppo locale e programmazione negoziata;

> di non aggiungere un nuovo strumento di intervento sul territorio ai tenti altri già esistenti ma di disporre di uno strumento di programmazione strategica da attivare quando occorra riportare a coerenza le molte iniziative che investono uno stesso territorio;

> di attivare un processo di regionalizzazione della programmazione negoziata, individuando i territori di riconosciuta rilevanza strategica per lo sviluppo non solo dei sistemi locali coinvolti, ma anche dell'intero sistema regionale;

> di coinvolgere una pluralità di soggetti pubblici e privati nella messa a fuoco delle iniziative da concordare, progettare e realizzare nell'interesse comune della collettività.

L'avvio della sperimentazione delle ARSTEL deve essere fatto in tempi rapidi e con chiarezza procedurale, per evitare che l'uso di questo strumento strategico e i suoi risultati vengano inficiati da problemi di natura procedurale. Facendo tesoro delle positive esperienze fatte con riferimento ad alcuni strumenti di programmazione negoziata (Accordi di Programma Quadro e Patti Territoriali), è' importante mettere a punto le linee guida da seguire, che riguardano:

> gli aspetti organizzativi e gestionali; > i requisiti di ammissibilità; > i criteri di selezione.

In questa prima fase la scelta delle Agende, sulle quale avviare la sperimentazione, viene espressamente riferita a territori/settori individuati dalla Giunta Regionale di concerto con le Province. Questo non deve però condizionare l'obiettivo da raggiungere che resta comunque quello di sensibilizzare gli attori locali (in particolare i comuni, veri presidi della tenuta civile del territorio), ai vari livelli e nei diversi ambiti di competenza, a individuare il proprio percorso di sviluppo locale e ad attivare i motori sui quali contare in modo concreto e coordinato. E' necessario pensare ad una modalità operativa di programmazione che sin dalla sperimentazione venga basata sulla stretta concertazione istituzionale multilivello con le parti economico e sociali. Le linee guida sono le seguenti:

> l'ARSTEL è uno strumento operativo della programmazione strategica della Regione Marche che si realizza con un procedimento la cui titolarità è attribuita alla Regione;

> l'Autorità di Gestione è individuata nel Dipartimento Programmazione e Bilancio, che coordina le proposte e le iniziative dei Dipartimenti e che provvede alla concertazione (Conferenza regionale delle autonomie locali e Comitato economico e sociale) per quanto concerne i criteri; deve inoltre verificare l'ammissibilità formale, curare la fase di valutazione e accertare i progetti esecutivi;

> il coordinamento organizzativo delle ARSTEL e dei rapporti interistituzionali compete al Dipartimento Programmazione e Bilancio, con il supporto del Comitato tecnico e scientifico della

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programmazione (CTSP) e del Comitato di coordinamento dei direttori di dipartimento;

> le responsabilità e le procedure sopra descritte devono necessariamente poggiare su alcune conseguenti decisioni di ordineorganizzativo che dovranno portare all'individuazione di una struttura apposita, capace di supportare il Dipartimento Programmazione e Bilancio nella realizzazione della sperimentazione;

> il coordinamento delle procedure di formazione delle ARSTEL è affidato alle Province. Ciò comporta che esse promuovano, di concerto con gli altri soggetti pubblici coinvolti, le ARSTEL e sottopongano alla RE un progetto.

A seguito della verifica dei requisiti di ammissibilità,verranno redatti e stipulati per ciascuna ARSTEL:

> un Accordo Quadro ARSTEL, tra Regione, Provincia ed Enti interessati; > un'intesa operativa per l'attuazione dell'ARSTEL, tra Regione e

Provincia, comprendente la definizione di un Tavolo Operativo Tecnico;

> riguardo i contenuti delle ARSTEL, da dettagliare nel Disciplinare del Dipartimento Programmazione e Bilancio, essi sono costituiti in primo luogo da un complesso di interventi e operazioni integrati, di profilo intersettoriale. Le eventuali risorse aggiuntive riguarderanno il sostegno delle economie esterne, incluse infrastrutturazioni leggere e immateriali e gli aiuti a favore delle imprese. Riguarderanno altresì in maniera prioritaria il miglioramento e la salvaguardia del tessuto sociale nonché le modalità dell'integrazione ambientale nelle politiche di settore, quali idee guida che devono orientare lo sviluppo locale.

Le proposte di ARSTEL, oltre a quanto previsto dal Disciplinare, dovranno comunque soddisfare alcuni requisiti di ammissibilità, riguardanti i contenuti minimi delle proposte:

> individuazione dei soggetti responsabili regionali e provinciali; > condizioni e vincoli per il governo delle trasformazioni locali; > previsioni di scenari, opportunità e rischi; > interpretazione della struttura territoriale esistente e sue possibili

evoluzioni; > costruzione della visione guida per il futuro del territorio i cui

obiettivi sono condivisi tra i principali partner della ARSTEL; > verifiche di coerenza: Individuazione delle azioni da confermare, da

adeguare, da rigettare, e nuove azioni da prevedere per lo sviluppo integrato del territorio interessato;

> valutazioni di fattibilità tecnica, ambientale, amministrativa, economico-finanziaria, sociale delle azioni previste.

E' importante precisare che l'obiettivo non è quello dare il via ad una nuova tornata di studi generali e settoriali. Al contrario occorrerà guardare prioritariamente e prevalentemente all'utilizzazione integrata e funzionale dei risultati di studi già condotti. Anche per questo un requisito di ammissibilità è

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costituito dal rigoroso rispetto del limite massimo di incidenza delle spese di progettazione sul totale della spesa per gli interventi complessivamente previsti nell'ambito di ciascuna ARSTEL. L'incidenza percentuale delle spese di progettazione non potrà pertanto essere superiore al 10%. La selezione dei progetti ARSTEL, da realizzare tra quelli proposti e ammissibili, sarà effettuata sulla base di criteri concordati e resi noti, che riguarderanno:

> la realizzabilità, che può essere valutata in termini di avanzamento progettuale (piani, studi e progetti di fattibilità già predisposti) e di tempi previsti di realizzazione degli interventi (da limitare ad un periodo massimo di 24 mesi dall'erogazione delle risorse);

> la rilevanza territoriale, che può essere stabilita tenendo conto sia di indicatori quantitativi, semplici ma rappresentativi (numero di Comuni interessati, quota della popolazione direttamente interessata rispetto alla popolazione regionale) sia di situazioni di rapido mutamento, condizionate da fattori interni e internazionali;

> la coerenza programmatica rispetto alle linee guida della programmazione regionale (PRS, PIT, Docup, DPEFR) e ai programmi di intervento territoriale e settoriale;

> l'integrazione finanziaria intesa come possibilità di co-finanziamento con fondi comunitari, nazionali, regionali, locali e, nelle forme consentite, con finanziamenti privati mediante la finanza di progetto;

> l'integrazione istituzionale tra più enti pubblici locali; > l'integrazione economico-sociale nel senso del coinvolgimento di una

pluralità di operatori locali: imprese, banche, associazioni, rappresentanze sociali;

> la rilevanza politico-strategica che può essere stabilita dal governo regionale in base a ragioni di merito, di validità delle idee-forza, di opportunità degli interventi in relazione alle trasformazioni territoriali in atto.

Confermando la scelta prioritaria, definita nel DPEFR 2004-2006, che suggerisce di riferire la prima sperimentazione delle ARSTEL ad un numero limitato di "casi territoriali pilota di aree svantaggiate, interne, destinazioni classiche di politiche di riequilibrio territoriale, le risorse saranno ripartite, finanziando un'ARSTEL per ciascuna provincia, con riferimento alle aree interne sottoutilizzate (DOCUP Obiettivo 2 2000-2006 e zone in phasing out). I settori di interesse sono:

> ricerca, innovazione e società dell'informazione; > beni culturali; > sistemi di mobilità; > ambiente e difesa del suolo; > risorse idriche; > sviluppo economico locale; > infrastrutture socio-sanitarie (vedi integrazione APQ Ricostruzione).

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Tale scelta, oltre ad essere coerente con gli indirizzi contenuti nel DPEFR 2004-2006, riflette le decisioni recentemente assunte dal Comitato Istituzionale di Gestione dell'intesa istituzionale di programma tra il Governo della Repubblica e la Giunta regionale delle Marche per l'aggiornamento degli obiettivi dell'ambito di intervento dell'intesa nonché per l'attuazione della deliberazione Cipe 36/2002 (DGR 618 del 7 maggio 2003). Al fine di incentivare il ricorso al cofinanziamento, la ripartizione delle risorse sarà effettuata assegnando una quota pari al 40% delle disponibilità ai progetti ARSTEL che prevedono un grado di cofinanziamento superiore al 20%. lì 50% delle risorse saranno ripartite in parti uguali tra le ARSTEL ammesse a finanziamento. Al fine di incentivare l'accelerazione della spesa e il rispetto dei tempi previsti per la realizzazione degli interventi, le risorse assegnate con la presente delibera che non dovessero risultare impegnate entro due anni dall'erogazione, attraverso obbligazioni giuridicamente vincolanti, saranno riutilizzate secondo le procedure stabilite nel Disciplinare del Dipartimento Programmazione e Bilancio. Per l'attuazione di meccanismi di premialità, una quota pari al 10% del totale delle risorse disponibili è accantonata ai fini dell'attribuzione ditali risorse ai progetti ARSTEL per i quali sarà dimostrato entro un anno dall'erogazione delle risorse il raggiungimento di un grado di impegno delle risorse non inferiore al 70% oppure di un target di spesa non inferiore al 50% della spesa finanziata.

I progetti provinciali

Con l'avvenuta approvazione del Piano Agricolo la Provincia di Ancona ha dato un primo avvio ad alcune azioni previste dal piano stesso che di seguito vengono elencate.

> Progetto "Olivicoltura Tipica" per incentivare ed adeguare gli impianti olivicoli con quanto previsto dal disciplinare di produzione della DOP Marche. Per l'anno 2003 sono state poste a dimora in 38 Comuni della Provincia 13.000 piante di olivo delle seguenti cultivar: Frantoio, Leccino, Moraiolo, Pendolino, Raggia, Rosciola, Mignola, Coroncina, Carboncella, Orbetana, Piantone di Magliano, Piantone di Falerone, Sargano di Fermo.

> Progetto "Riconversione alla Frutticoltura - Realizzazione e gestione di impianti modello di colture di fragole, ciliegio e melo". Con il sostegno sperimentale fornito dalla Università Politecnica delle Marche, Facoltà di Agraria, sono state individuate le colture della fragola, del ciliegio e del melo in quanto capaci di utilizzare territori definiti dalla Provincia, onde ottenere produzioni qualitativamente rilevanti e capaci di cogliere gli obiettivi posti da un' agricoltura multifunzionale ed ecosostenibile.

> Progetto "Recupero, miglioramento genetico e diffusione della razza ovina Fabrianese". Nell'ambito della produzione zoo tecnica della Provincia, un particolare interesse è dato dal settore ovino per la produzione della carne. La produzione degli agnelli da carne può essere incentivata attraverso il progetto di che trattasi volto a

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interessare sia la ricerca a livello universitario che la Selezione MassaIe attraverso un Centro di Completamento che ha anche la finalità di diffondere la razza ovina fabrianese.

La provincia di Ancona, in collaborazione con il G.A.L. Colli Esini- San Vicino, sta inoltre promovendo il Distretto Rurale di qualità Colli Esini. Il DR è localizzato territorialmente nell‟ambito di estensione del G.A.L. Colli Esini e vede la partecipazione degli enti locali (comuni e comunità montane) e delle associazioni imprenditoriali i categoria. All‟interno del distretti rurale di qualità la Provincia ha il compito di realizzare un‟azione denominata “INIZIATIVA DI PROMOZIONE DEL TERRITORIO E DEI SUOI PRODOTTI”; si tratta di promuovere i territori dell‟entroterra per quanto riguarda i prodotti tipici, l‟offerta turistica e artigianale locale. Un quadro di sintesi del progetto è riportato in appendice. Le Province in genere, hanno le competenze per la valorizzazione del territorio e operano attraverso azioni di promozione e valorizzazione delle produzioni tipiche. La provincia di Ancona è intervenuta in particolare per promuovere i prodotti DOP (formaggio, olio e miele) e DOCG (vini). Tra le attività a cui ha partecipato la provincia sono da segnalare:

1. partecipazione a mostre e fiere, sia locali che nazionali; 2. sostegno alle iniziative promozionali dei comuni; 3. Iniziative autonome tra cui: a)sostegno all‟agricoltura biologica; b) promozione dei

prodotti tipici VALLI MISA, NEVOLA, E CESANO,accompagnato da campagna di educazione alimentare presso le scuole; c) organizzazione delle giornate mediterranee dell‟olio di oliva a Jesi nel marzo 2004, con convegni e concorso”Olio delle Marche”; d) campagna informativa sulla riforma della PAC indirizzata agli agricoltori delle province e dei paesi dell‟adriatico(Slovenia,Croazia, Grecia e Cipro).Ciò in collaborazione con CIA,COLDIRETTI, COPAGRI E CONFAGRICOLTURA;

4. promozione e valorizzazione dell‟olio di oliva, in quanto la provincia di Ancona ha il coordinamento regionale dell‟associazione “ Città dell‟olio”, associazione nazionale formata da comuni, province e camere di commercio. In questo ambito sono stati organizzati le attività FRANTOI APERTI, ANDAR PER FRANTOI E MERCATINI e BIMBOIL; quest‟ultima é una campagna di educazione al consumo dell‟olio di oliva presso le scuole elementari.

Sono state prese in considerazione anche le attività svolte dall‟Assessorato alle Attività Produttive della Provincia di Macerata negli ultimi cinque anni. Gran parte delle azioni intraprese sono ancora in atto. Per quanto riguarda la qualificazione dell‟attività dell‟Artigianato:

> il programma credito artigiano (costituzione di un fondo unico, finanziato con quote di Provincia, Comuni e Comunità Montane e CCIAA, per l‟erogazione alle imprese del territorio maceratese di contributi per l‟abbattimento dei tassi di interesse sui finanziamenti concessi dagli Istituti di Credito tramite le Cooperative di Garanzia). L‟iniziativa, volta a sostenere le imprese artigiane del territorio, ha rappresentato un‟esperienza pilota ed è attualmente al vaglio l‟ipotesi di estenderla a tutto il territorio marchigiano. L‟obiettivo è

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quello di dare impulso ai vari settori produttivi, favorendo la crescita economica ed occupazionale, l‟ammodernamento tecnologico e strumentale, l‟imprenditoria giovanile. Nel 2003 è stata firmata la convenzione per un ulteriore triennio ed è in fase di studio un‟iniziativa analoga che possa coinvolgere e favorire anche il comparto agricolo;

> il progetto Agevolazione finanziaria a favore delle imprese in crisi. E‟ un programma, da avviare in via sperimentale nel 2004, di agevolazione finanziaria a favore delle imprese in crisi. Denominato “Congeliamo i debiti dell‟impresa in crisi”, è volto a consentire la rinegoziazione dei mutui bancari degli artigiani che versano in situazioni finanziarie particolarmente delicate, come conseguenza dell‟attuale congiuntura negativa;

> la valorizzazione delle produzioni artigianali artistiche in abbinamento ai prodotti tipici locali con la creazione del binomio “Arte e gusti tipici”. Nell‟ambito delle azioni volte alla salvaguardia e promozione dei vari settori dell‟artigianato artistico per lo sviluppo delle produzioni locali, merita attenzione la riscoperta delle antiche arti tessili del territorio combinata alla valorizzazione delle eccellenze agroalimentari locali. La Provincia sta realizzando, fra l‟altro, uno Studio sull‟artigianato artistico che censisce la presenza in ogni comune delle diverse attività artigianali.

Per quanto riguarda il Commercio:

> la sottoscrizione di un‟apposita convenzione di credito al commercio. Si tratta di un programma di agevolazione creditizia analoga a quella sperimentata per gli artgiani e consistente nell‟erogazione alle imprese operanti nel territorio maceratese di contributi per l‟abbattimento di tassi di interesse sui prestiti concessi dagli Istituti di Credito e garantiti da cooperative di garanzia operanti nel settore commerciale;

> l‟adozione di un regolamento provinciale che stabilisce il contenuto del parere obbligatorio e vincolante della Commissione PP.EE, ai sensi della L.287/91. La Commissione autorizza l‟apertura di esercizi per la somministrazione di bevande ed alimenti e per il turismo rurale. La Commissione Unica provinciale opera su tutti quei Comuni che hanno popolazione inferiore ai 10.000 abitanti attraverso l‟espressione di pareri obbligatori e vincolanti su ampliamento delle attività, aperture nuovi locali e su tutti quei parametri inerenti il settore in oggetto;

> la riorganizzazione delle piante organiche comunali delle farmacie dei Comuni di Civitanova Marche, Montelupone, Cingoli, Porto Recanati, Tolentino e Potenza Picena.

Per quanto riguarda l‟Industria:

> la creazione e l‟avvio dei Comitati di indirizzo e coordinamento dei distretti industriali e le relative azioni di progettazione ed

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animazione distrettuale. Nel territorio della Provincia insistono tre distretti: quello Calzaturiero fermano-maceratese, il distretto Meccanica-fabrianese, che coinvolge due comuni della Provincia e quello Industriale plurisettoriale, che coinvolge invece cinque comuni della Provincia. Alcuni Comuni del Gal appartengono a distretti industriali: Belforte del Chienti, Caldarola, Camporotondo di Fiastra, Cessapalombo, Serrapetrona, Tolentino, San Severino sono compresi nel distretto fermano- maceratese specializzato in cuoio, pelle e calzature. Riguardo quest‟ultimo si è reperita la delibera della giunta provinciale “Indirizzi per la delimitazione del distretto industriale calzaturiero e per la costituzione del Comitato di Indirizzo e Coordinamento (COICO)”. Il Comune di Esanatoglia invece fa parte del distretto industriale meccanico fabrianese.

> Ogni distretto si avvale di un Comitato di indirizzo e Coordinamento (COICO), costituito dalle Province territorialmente competenti, con funzioni consultive e di programmazione. All‟interno dei comitati sono rappresentati soggetti pubblici e privati che operano nel campo della politica industriale locale.

> Lo strumento operativo del distretto è il Programma di Sviluppo, con il quale vengono elaborate le strategie idonee a creare una logica di filiera. Esso costituisce inoltre la base dei progetti e delle azioni collettive volte a favorire le piccole e medie imprese locali.

> La Provincia cura la gestione amministrativa e contabile del distretto plurisettoriale, mentre Ascoli Piceno ed Ancona provvedono rispettivamente per gli altri due distretti. Tutti e tre i distretti hanno un programma di sviluppo, approvato dalla Regione Marche, finanziato per un importo pari a 361.519,83 euro, dei quali circa il 30% per le attività di funzionamento ed animazione dei CO.I.CO. ed il restante 70% per progetti di sviluppo (su questo si ha a disposizione il documento istruttorio del bando per il finanziamento della progettazione concernente un progetto di marketing territoriale denominato “Ottimizzazione della rete infrastrutturale e di servizio a supporto degli insediamenti produttivi” nell‟ambito del Programma di sviluppo del Distretto Industriale Calzaturiero Fermano-Maceratese e il documento istruttorio che affida la redazione del progetto alla società “Rinascita e Sviluppo”);

> la costituzione di un Fondo di garanzia immobiliare per lavoratori immigrati. Si tratta di un progetto elaborato dalla Provincia in collaborazione con le Associazioni artigiane e cofinanziato dal Coico calzaturiero. Il progetto mira alla costituzione di un fondo, in collaborazione con Enti, Istituti bancari, Fondazioni, che permetta a tutti coloro che vivono e lavorano nel territorio, di trovare meno difficoltà nel reperire un alloggio. Con il fondo, in particolare, i proprietari di immobili verrebbero ad essere garantiti sia per il pagamento degli affitti che per gli eventuali danni arrecati, mentre i lavoratori immigrati vedrebbero aprirsi la possibilità di accedere a mutui agevolati per l‟acquisto della prima casa E‟ tuttora in fase di

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discussione la fase operativa di realizzazione dell‟iniziativa con gli attori del territorio;

> la progettazione di una Agenzia di marketing territoriale. Si tratta di un progetto elaborato anch‟esso dalla Provincia in collaborazione con la società Rinascita e Sviluppo e cofinanziato dal Coico calzaturiero che prevede la creazione di un‟Agenzia di Marketing territoriale che promuova e faciliti gli investimenti che possono contribuire alla qualificazione del tessuto produttivo, nel rispetto delle valenze ambientali, territoriali e paesaggistiche. L‟Agenzia dovrà operare con l‟obiettivo di ottimizzare il “capitale territorio” in termini di mantenimento e sviluppo delle opportunità pubbliche e private ed in una prospettiva di miglioramento della qualità complessiva della vita e del benessere. E‟ tuttora in fase di discussione la fase operativa di realizzazione dell‟iniziativa con gli attori del territorio;

Per quanto concerne invece l‟Agricoltura:

> la realizzazione di un testo scientifico che cataloga tutte le Produzioni tipiche del maceratese. Con tale iniziativa, attraverso la promozione e valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche e naturalistiche, si vuole arrivare alla cerazione di circuiti che rappresentano gli “Itinerari dei Gusti Tipici” che possono guidare il cittadino, quale consumatore dei prodotti agroalimentari, a scoprire le preziose ed esclusive peculiarità della nostra campagna;

> la creazione all‟interno del sito della Provincia di un Luogo virtuale per la promozione dei prodotti tipici. Si tratta di un‟azione complementare a quella appena descritta e con la quale si vogliono raccogliere all‟interno del sito istituzionale della Provincia tutte le notizie relative alle produzioni tipiche, con lo scopo precipuo di dare loro massima valorizzazione, promozione e, all‟occorrenza, di consentirne la commercializzazione;

> il tentativo di realizzare con il Ministero per le Politiche Agricole un‟esperienza pilota su base provinciale per la creazione di un marchio di qualità unificato, che consenta la razionalizzazione del sistema di controllo sulle varie fasi di produzione e l‟introduzione dell‟obbligatorietà di modelli di etichettatura che offrano al consumatore la piena tracciabilità della filiera produttiva;

> un Programma di agevolazione creditizia per sostenere le aziende che lavorano nel settore della tipicità (non ancora messo a punto).

Interessanti, fra le attività svolte, la partecipazione della Provincia alla RACI (Rassegna Agricola Centro Italia), le due Pubblicazioni sugli oli monovarietali, i due progetti di educazione scolastica denominati Latte e miele nelle Marche e Campagna Amica e lo studio sullo Stato dell’Agricoltura. La Provincia ha poi concesso vari contributi agli Enti per l‟organizzazione di vari progetti. Tra questi il contributo triennale al Comune di Tolentino per la realizzazione di una fabbrica-tipo nel settore della pelletteria, i contributi al Comune di Montelupone per il riconoscimento del carciofo DOP e per la manifestazione Apimarche ed altri.

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E‟ stato inoltre istituito (2002) un Tavolo di programmazione e sviluppo fra Provincia, Camera di Commercio e Fondazione Carima come strumento di promozione e progettazione nei settori economico, produttivo, commerciale, turistico, sociale, culturale, sportivo (si ha a disposizione il protocollo d‟intesa tra la Provincia di Macerata, la Camera di Commercio e la Fondazione Carima di Macerata per la costituzione del Tavolo con il relativo documento istruttorio). Va segnalata anche l‟attività svolta dalla società di gestione del Patto territoriale, Rinascita e Sviluppo, che opera per lo sviluppo nella zona dell‟obiettivo 2. Questa società ha partecipato anche alla realizzazione di Macerata A21: sviluppo sostenibile dall’Adriatico all’Appennino”, progetto finanziato dalla Provincia nell‟ambito del piano di azione ONU per la tutela dell‟ambiente e dello sviluppo sostenibile e che ha ottenuto un cofinanziamento regionale. Agenda 21 è un programma internazionale per uno sviluppo sostenibile nel 21° secolo. La Provincia di Macerata ha aderito a questo programma mondiale con un proprio progetto intitolato MaceratA21. Il nome "Agenda21" vuole indicare un calendario di impegni relativi ad ambiente, economia e società, assunti da tutte le nazioni firmatarie. Oltre 170 paesi nel mondo hanno aderito a questo documento programmatico individuando un percorso di lavoro, che nasce in primo luogo all'interno delle comunità locali. Agenda21 Locale, nata ufficialmente nel 1992 durante la conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo, è un processo che, dopo aver individuato problematiche ambientali e sociali, realizza piani di risanamento, attuando cambiamenti concreti. Interessa e coinvolge i cittadini e le loro associazioni rappresentative, fornendo loro la possibilità di costruire un futuro migliore. Nel programma Agenda 21 vengono trattati problemi relativi allo sviluppo in settori come agricoltura, pesca, attività produttive, turismo, trasporti ed altri. Per raggiungere uno sviluppo sostenibile, ovvero in armonia con le esigenze dell'uomo e dell'ambiente che lo circonda, il piano individua gli attori sociali, economici, culturali e le azioni necessarie da compiere. “Agenda 21 locale” costituisce un processo partecipato in ambito locale per elaborare un piano d‟azione di lungo termine verso la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del territorio locale. Il progetto, predisposto da “Rinascita e Sviluppo”, che ne sta seguendo la realizzazione, dopo essere stato giudicato idoneo dal Ministero dell‟Ambiente, ha ottenuto un cofinanziamento regionale di 23.000 euro, su un costo complessivo di 260.000. Il processo di “MacerataA21” si è concretizzato nell‟analisi dello stato dell‟ambiente nel territorio provinciale, nella verifica degli elementi di criticità ambientale, nel coinvolgimento delle parti sociali per discutere i problemi evidenziati, condividere gli obiettivi da perseguire, individuare le possibili soluzioni da adottare. Sul progetto sono stati trovati e raccolti i documenti sottoindicati:

> la convenzione con la quale si affida l‟incarico alla società “Rinascita e Sviluppo” per la redazione del progetto e la successiva realizzazione del processo Agenda 21 locale della provincia dei Macerata;

> il protocollo d‟intesa tra gli Enti interessati per il coordinamento dei processi di Agenda 21 nella provincia di Macerata;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 110

> la delibera con la quale si approva il progetto per lo sviluppo di un modello di contabilità ambientale della provincia (rendicontazione fisica del territorio, rendicontazione monetaria, rendicontazione fisico-monetaria. La contabilità ambientale così definita si sviluppa sinteticamente nell‟adozione del sistema contabile EPEA (Environmental Protection Expenditure Accounts), che fa parte del SERIEE, il Sistema Europeo di Raccolta delle Informazioni economiche);

> l‟approvazione del progetto rimodulato e del nuovo schema di convenzione con la società “Rinascita e Sviluppo”.

Interessanti anche il progetto ARIETE O PAI volto a sviluppare una serie di servizi a vantaggio delle imprese insediate con il Patto territoriale, per il quale si attende il relativo finanziamento regionale, progetto che trova una certa coerenza anche con la prospettiva di realizzazione delle agende regionali di sviluppo territoriale (A.R.S.TE.L). Del progetto si ha a disposizione il documento del PAI (Piano di Azione Integrato) per gli interventi nei territori dell‟obiettivo 2 e la convenzione con la società “Rinascita e Sviluppo” con la quale si affida alla stessa l‟incarico di coordinare la fase realizzativa del Progetto Ariete. Nell‟ambito dei Fondi strutturali sono stati finanziati due progetti: uno per la ristrutturazione di una ex-caserma da destinare a Centro Educazione ambientale e l‟altro volto a dotare gli Sportelli Unici degli enti locali di una idonea strumentazione informatica per creare una modalità comune di dialogo (Docup ob.2). La Provincia ha poi aderito al progetto Interalode in collaborazione con l‟Associazione Bartola dell‟Università di Ancona ed in partenariato con due omologhe istituzioni belga e francese per l‟approfondimento e lo scambio di buone pratiche in merito agli aspetti della ruralità (in attesa di finanziamento). Ha inoltre sottoscritto un protocollo d‟intesa con altre Province adriatiche per creare un partenariato nell‟ambito dell‟iniziativa comunitaria Interreg IIIA per porre in essere due progetti: OASIS (gestione integrata della risorsa mare) e INTERURAL (valorizzazione delle produzioni tipiche locali). Si è concluso invece il progetto Eurocommerce realizzato nell‟ambito dell‟iniziativa comunitaria “PRINCE” e volto a coadiuvare il passaggio dalla moneta nazionale all‟euro. Nel 2002 è stata costituita lAssonautica Provinciale per la promozione del turismo nautico e delle attività connesse e la società Real Precious Quality, un laboratorio di analisi sulla qualità dei metalli preziosi lavorati nel territorio e creare anche un marchio che possa qualificare i prodotti delle aziende del maceratese, nel 2001 il CAT per l‟ammodernamento della rete distributiva, nel 2000 Euro 2000 per l‟avvio dell‟AUTOPORTO (la società si è ormai sciolta). Nel 2003 la Comunità europea ha approvato un piano per la ristrutturazione del Ce.ma.co.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 111

Altre attività progettuali

Il Progetto IDEA.R.E.68 promosso dal Dipartimento Sviluppo Economico della Regione Marche nell'ambito del Programma Leonardo da Vinci Misura Pilota 2003-2004 e coordinato da Sviluppo Marche S.p.A., ha come obiettivo la progettazione e sperimentazione di un metodo formativo innovativo per il trasferimento di competenze professionali nell'ambito della progettazione europea per il settore agricolo e delle aree rurali. Il progetto della durata di 2 anni, supportato dal partenariato transnazionale composto da 13 soggetti, vuole definire la figura professionale di esperto in progettazione europea per il settore agricolo e le aree rurali, per la quale ad oggi non sembra riscontrarsi un metodo e un percorso formativo ad hoc. La strategia del Progetto IDEA.R.E. è strettamente collegata a due progetti Leonardo da Vinci nell'ambito della Misura Mobilità: AGRI-TRAIN (conclusosi a giugno 2004) e RURAL-TRACK (iniziativa in corso) promossi da Sviluppo Marche S.p.A. Il rapporto d'interfunzionalità tra i tre progetti si basa sulla comune strategia di azione che, partendo dall'analisi dei punti di debolezza delle aree rurali, identifica quale punto di forza per il miglioramento della competitività e dell'efficienza dei sistemi agricoli e delle aree stesse, l'esigenza di riorganizzare e potenziare il sistema formativo in agricoltura al fine di superare l'attuale disequilibrio tra fabbisogno formativo del settore e disponibilità di risorse qualificate del sistema formazione in uno scenario di profondi cambiamenti che interessano non solo i mercati agricoli ma anche le economie locali delle zone rurali e le relative dinamiche sociali. Il progetto di Mobilità Leonardo da Vinci 2000-2006 denominato Rural-Track69, promosso da Sviluppo Marche S.p.A., si candida come contributo alla più ampia strategia regionale e del Promotore in tema di formazione per le aree rurali, come naturale proseguo di quanto già avviato con il progetto Agri-Train, e funzionale alla realizzazione del progetto pilota IDEA.R.E. Leonardo da Vinci. L'obiettivo generale del Progetto è di innalzare e potenziare la capacitè dei sistemi formativi ad operare nelle e per le aree rurali. Da qui la necessità di un' attività che permetta di rafforzare e sviluppare nuove competenze che portino a "coltivare" nuove idee per uno sviluppo non soltanto del settore agricolo ma di intere aree rurali marchigiane, sia in termini di integrazione intersettoriale che di multifunzionalità per l'agricoltura. I 46 beneficiari, suddivisi in 5 sottogruppi, avranno la possibilità di realizzare un'esperienza formativo-professionale di scambio in mobilità (della durata di 1 settimana nel periodo ottobre 2004-giugno 2005) presso Università, Istituti di Formazione, Istituzioni, Agenzie di Sviluppo dei seguenti paesi: Bulgaria, Grecia, Polonia, Portogallo e Spagna (da novembre 2004 a giugno 2005).

68

Innovation, projects for Rural Europe" – Building up a new vocational training method for European proposal manager for

the agricultural sector and rural areas. 69

Training Cooperation and Knowledge in European Rural Development.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 112

SIMOCA70 é un progetto di cooperazione transnazionale Interreg III-B CADSES, misura 1.3 Sviluppo Rurale. L'obiettivo generale del progetto è quello di definire ed implementare nuove strategie per uno sviluppo rurale sostenibile e multifunzionale basato sulla crescita dell'agricoltura biologica. Le aree pilota del progetto sono localizzate in Puglia, Marche, Abruzzo, Grecia, Polonia, Croazia e Slovacchia. Per quanto riguarda la Marche il progetto è coordinato e gestito congiuntamente dalla Regione Marche e da Sviluppo Marche, mentre il Lead Partner è l'Istituto Agronomico di Bari (IAMB). Il progetto AGRI-TRAIN71 si colloca nell'ambito del programma d'azione comunitario in materia di formazione "Leonardo da Vinci 2000-2006- Mobilità". Promosso da Sviluppo Marche S.p.A, società di sviluppo economico territoriale della Regione Marche, si pone l'obiettivo generale del rafforzamento del sistema di formazione professionale agricolo-rurale marchigiano attraverso lo strumento degli scambi in mobilità transnazionale. Il Progetto AGRI-TRAIN nasce da un'idea di Sviluppo Marche condivisa e sostenuta da un ampio partenariato locale e transnazionale, in particolare dalla stretta collaborazione delle Associazioni di Categoria Agricole delle Marche nelle loro espressioni regionali: Coldiretti Marche, Confagricoltura Marche, Confederazione Italiana Agricoltori delle Marche, Copagri Marche.

► Popolazione

Nel complesso sono 27 mila circa i residenti nelle aree oggetto di sperimentazione che rappresentano una quota assai modesta della popolazione regionale. La dinamica demografica dal 1981 evidenzia una lieve crescita a livello regionale e provinciale mentre scendendo a livello di aree selezionate, tutte risultano al di sotto della media regionale In particolare la prima area, e in minore misura la terza, presentano una evoluzione in linea con la dinamica complessiva, le altre aree appaiono in declino, specie la quarta e la quinta, con variazioni negative che assumono valori più elevati nei comuni montani.

70

Setting up and implementation of sustainable and multifunctional rural development model based on organic and

competitive agriculture). 71

Sviluppo di competenze innovative per formatori agricoli attraverso scambi transnazionali.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 113

Residenti 1981=100

Marche

Area 3

Area 1

Area 2

Area 4

Area 5

85

90

95

100

105

110

1981 1991 2001

Residenti per Km quadrato

Marche

Area 4

Area 1

Area 2

Area 3

Area 5

0

20

40

60

80

100

120

140

160

1981 1991 2001

Figura 14 - Evoluzione della popolazione residente Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

Le aree evidenziano le differenti evoluzioni demografiche soprattutto considerando la densità della popolazione per chilometro quadrato che separa nettamente la prima area dalle altre assai meno intensamente abitate. L‟indice conferma inoltre che è la quarta area a subire più marcatamente gli effetti dello spopolamento, mentre le altre risultano sostanzialmente stabili. La distribuzione per classe di età della popolazione72 ed in particolare le variazioni intercensuarie introducono ulteriori elementi di valutazione e fanno capire come il processo di invecchiamento che caratterizza tutta la regione abbia interessato particolarmente le aree 2 e 4. In generale comparando le variazioni percentuali con i riferimenti regionali e provinciali appare delinearsi un singolare fenomeno di contrazione delle classi di lavoratori più anziani (55-64 anni) mentre le due classi precedenti mostrano un incremento a volte superiore ai valori di riferimento. Spicca inoltre la contrapposizione tra area 1 e 4 per quanto riguarda la prima fascia di età (meno di 5 anni) effetto della minore presenza di giovani nell‟area 4 ma è anche un segnale indiretto di una diversa aspettativa di vita. Gli indici demografici nella figura che segue sintetizzano alcuni fenomeni evolutivi già introdotti in precedenza. L‟indice di dipendenza, dato dal rapporto tra la popolazione in età non lavorativa su quella tra 15 e 65 anni, misura la parte di popolazione “a carico” dei lavoratori. I valori cambiano di poco nel corso del decennio preso in considerazione ad eccezione di qualche comune dove la struttura della popolazione appare in forte evoluzione. L‟aree 4 e 5 sono quelle che si differenziano maggiormente dalle altre in termini dinamici in quanto l‟azione combinata dello spopolamento e

72

Vedi appendice statistica.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 114

della bassa natalità ha prodotto una diminuzione della quota dei “non lavoratori”.

Indice di dipendenza

0,0

0,2

0,4

0,6

0,8

Indice di vecchiaia

0

1

2

3

4

Componenti per famiglia

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

Marche Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5

1991 2001

Figura 15 - Indici demografici per area ed anno

Fonte: ISTAT, Censimenti generali popolazione ed abitazioni

Il rapporto tra anziani con più di 65 anni e giovani con meno di 15 definisce l‟indice di vecchiaia che assume valori elevati in tutta la regione ed in particolare nell‟area 5 per i motivi citati in precedenza. In generale sono i piccoli comuni di montagna o alto-collinari ad avere i livelli più elevati. Le variazioni intercensuarie riservano qualche sorpresa e mettono in luce una certa disomogeneità all‟interno dell‟area 4 dove Monte San Martino è l‟unico a registrare un abbassamento dell‟indice dal 1991 al 2001. Infine la dimensione media delle famiglie in termini di componenti è un utile parametro per valutare l‟evoluzione dei nuclei familiari che, come noto, seguono un processo di contrazione. Tradizionalmente in passato la famiglia contadina marchigiana era numerosa per assolvere alle attività agricole a forte intensità di manodopera (zootecnia innanzitutto).

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 115

Da decenni con lo sviluppo delle operazioni meccanizzate ed in generale delle tecnologie, i lavori manuali sono notevolmente diminuiti e quindi anche l‟apporto della famiglia dell‟agricoltore. I rapporti in tabella mostrano come non ci sia una sostanziale differenza nella dimensione media familiare tra aree rurali e l‟intera regione o provincia ed ormai anche sotto il profilo evolutivo il ridimensionamento dei nuclei familiari è un fenomeno generalizzato. Le variazioni intercensuarie sono tutte di segno negativo e assumono livelli più elevati in quei comuni dove la struttura demografica appare risentire in maniera più marcata dell‟effetto dello spopolamento e dell‟invecchiamento. Per avere una maggiore dettaglio sulle dinamiche demografiche occorre abbandonare la fonte censuaria per ricorrere alle indagini annuali dell‟ISTAT. La figura che segue schematizza la dinamica del periodo 1999-2000 disaggregando le componenti che hanno determinato il flusso complessivo. Risulta chiaro come il saldo complessivo, prossimo allo zero, derivi da un saldo migratorio positivo che si contrappone ad un saldo naturale deficitario in tutte le aree. Questa compensazione non è però sufficiente nelle aree 4 e 5.

-6,0

-4,0

-2,0

0,0

2,0

4,0

6,0

8,0

Marche Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5

Nati Morti Saldo naturale Iscritti Cancellati Saldo migratorio Saldo totale

Figura 16 - Bilancio demografico per area nel periodo 1999-2000

Fonte: ISTAT – popolazione e statistiche demografiche

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 116

1991

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Laurea Superiore Inferiore Privi di titolo Analfabeti

Figura 17 - Quota di popolazione in età scolare per grado di istruzione Fonte: Censimenti generale popolazione e abitazioni

I dati sul livello di scolarizzazione mettono in luce una sostanziale omogeneità in tutto il territorio regionale con un modesto incremento delle persone analfabeti nelle aree montane dove maggiore è la presenza di anziani. L‟area 2 ha la particolarità di una minore quota di persone con laurea o diploma superiore.

Effetti Cause Obiettivi Mezzi

Diminuzione della popolazione residente nell’area 4

Attrazione esercitata dalle aree urbanizzate che offrono maggiori possibilità occupazionali e migliore ac-cesso ai servizi

Attenuare i flussi in uscita. Garantire un livello minimo di servizi alla popolazione

Migliorare le dotazioni infra-strutturali Politiche per l’insediamento di nuove attività economiche

Invecchiamento della popolazione specie nelle aree 1, 2 e 4

Scarsa natalità nell’area 4 e modesta presenza delle classi da 5 a 14 anni. Miglioramento delle condizioni di vita e quindi estensione della vita media

Orientare i servizi verso le classi di popolazione più anziana Favorire la permanenza delle giovani coppie

Politica sociale: sanità e istruzione.

Tabella 14 - Popolazione: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

► Economia

Il sistema economico locale è costituito dalla rete di attività imprenditoriali che producono reddito utilizzando le risorse locali (umane e materiali). Per evidenziare questo aspetto occorre analizzare la presenza di imprese e il settore produttivo di

appartenenza.

Sotto il profilo delle attività economiche svolte sui territori selezionati verrà presa in considerazione innanzitutto la fonte del Censimento generale dell‟industria negli ultimi due anni di riferimento 1991 e 2001. La scelta di questa fonte statistica è però fortemente penalizzante per l‟agricoltura in quanto viene colta nei suoi aspetti strettamente economici mentre è risaputo come le imprese agricole professionali siano una componente modesta, sotto il profilo numerico, del sistema agricolo complessivo e sicuramente non l‟unico elemento di interesse per le politiche di sviluppo rurale. Per correggere questa distorsione in seguito verranno proposte alcune tabelle

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 117

tratte dai Censimenti generali dell‟agricoltura non comparabili con quelle analizzate di seguito. Se si dovesse esprimere una valutazione sulla ruralità di queste aree basandosi sulla percentuale delle imprese agricole sul totale delle imprese, si rimarrebbe sorpresi nel vedere come nel 2001 le aree maceratesi registrano percentuali inferiori alle medie di riferimento (regioni e province). In realtà, come precedentemente accennato, si tratta di una modesta presenza di agricoltura professionalizzata e non di agricoltura in senso generale come si vedrà in seguito.

1991

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Agricoltura Industria Servizi

2001

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Agricoltura Industria Servizi

Figura 18 - Imprese per settore economico (% sul totale)

Fonte: Censimenti industria e servizi 1991-2001

Le aree sono meno “terziarizzate” rispetto al contesto regionale in quanto minore è la presenza di attività legate ai servizi e alla Pubblica amministrazione, mentre sono percentualmente più consistenti le imprese industriali quasi esclusivamente rappresentate dalle piccole aziende manifatturiere e artigianali. E‟ interessante valutare la dinamica intercensuaria che mette in evidenza la crescita del comparto secondario ma anche l‟aumento delle imprese agricole nelle aree 1 e 3 mentre nella quarta e nella seconda area si registra un forte declino che sfiora il 75%. Le variazioni percentuali del settore agricolo vanno interpretate con cautela a causa dei modesti valori assoluti che enfatizzano gli scostamenti relativi, ma è chiaro come non esista in nessuna area un consistente processo di sviluppo che abbia portato ad una diffusione di imprese agricole professionali. Più significative invece le variazioni percentuali degli altri due settori che segnalano fenomeni evolutivi differenziati tra le aree e all‟interno di esse, risultato di uno sviluppo economico locale non omogeneo, che appare discostarsi dal tradizionale concetto di industrializzazione diffusa. A causa della scala estremamente piccola di questa analisi è rischioso derivare fenomeni di carattere generale ma i dati prefigurano una sorta di policentrismo delle attività economiche attorno ad alcuni comuni che svolgono il ruolo di

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 118

baricentri. E‟ il caso di Muccia nell‟area 4, di Rosora e Serra dé Conti nella prima area e di Pioraco nella quinta. Grossomodo le stesse considerazioni possono essere sviluppate sulla base dei dati sugli addetti che enfatizzano però il peso del settore industriale sull‟intera economia. Va infatti ricordato come il concetto di addetto adottato dall‟ISTAT, attenua fortemente il dato sull‟occupazione di quei comparti che fanno un massiccio ricorso a manodopera part-time; inoltre in agricoltura la presenza di lavoratori dipendenti è assai modesta rispetto agli altri settori economici per la prevalente presenza di imprese a conduzione esclusivamente familiare.

1991

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Agricoltura Industria Servizi

2001

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Muccia

Area 4

Area 5

Agricoltura Industria Servizi

Figura 19 - Addetti per settore economico (% sul totale) Fonte: Censimenti industria e servizi 1991-2001

Non è possibile dalle fonti statistiche capire il legame tra imprese e territorio, ma la localizzazione delle attività consente di elaborare un indice di densità per abitante73, utile per stimare il grado di diffusione delle attività economiche. Infatti una maggiore densità imprenditoriale può essere considerata un indicatore favorevole per un ipotetico distretto rurale in quanto segnale di vivacità economica e al contempo di diversificazione produttiva. Viceversa una bassa densità imprenditoriale può derivare da una concentrazione delle attività economiche in grandi imprese oppure da una scarsa presenza di unità produttive: nel primo caso siamo di fronte ad una probabile configurazione di distretto industriale, mentre il secondo è tipico di aree marginali sotto il profilo economico. Il grafico che segue mostra la generale diminuzione della densità di imprese nelle Marche, tendenza seguita dalla prima e dalla terza area mentre la quarta ed in particolare la seconda, registrano un incremento del rapporto nel periodo intercensuario. Spicca la posizione della quinta area con la maggiore densità imprenditoriale e con una dinamica positiva. Occorre in questo caso ricordare come la flessione demografica possa avere influito nell‟innalzamento di questo

73

Il denominatore più adatto sarebbe la popolazione residente in condizione professionale ma non sono ancora disponibili i

relativi dati censuari del 2001.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 119

indice ma è certo che si tratta di un‟area interna con una rilevante presenza di unità produttive.

Area 5

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

10

12

14

16

18

20

22

1991 2001

Figura 20 - Numero di residenti per impresa

Fonte: ISTAT - Censimenti popolazione e industria 1991-2001

Una misura del valore della produzione realizzato nelle aree selezionate è possibile ottenerlo solo ricorrendo ad una stima in quanto non esistono fonti statistiche sui conti economici territoriali a livello comunale. L‟ISTAT da alcuni anni elabora e pubblica una serie di dati riferiti al Valore Aggiunto per Sistema Locale del Lavoro (SLL) che sono costituiti da piccoli aggregati di comuni al cui interno avvengono prevalentemente gli spostamenti dei lavoratori74. Ciò significa che i flussi di lavoratori un uscita da questi territori sono minori dei flussi che non escono dai confini del SLL. Questi aggregati territoriali, seppure definiti con criteri che poco hanno a che fare con la ruralità, vengono ritenuti utili per capire l‟ordine di grandezza che un Distretto Rurale dovrebbe avere. In questa parte del lavoro la disponibilità dei dati economici a livello di SLL consente di effettuare una stima a livello comunale ripartendo il valore totale sulla base del numero degli addetti presenti nelle Unità Locali elaborati da Servizio Informativo Statistico regionale75. Nella figura che segue è rappresentato l‟andamento temporale indicizzato per ogni area ponendo l‟anno di partenza uguale a 100.

74

E’ la misura del fenomeno statistico denominato autocontenimento dei flussi occupazionali. 75

Si tratta chiaramente di una stima che va utilizzata per un confronto spaziale e termporale del fenomeno.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 120

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

85

90

95

100

105

110

115

120

125

1997 1998 1999 2000

Figura 21 - Valore Aggiunto per anno ed area (1997=100)

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

Il grafico differenzia notevolmente le tendenze tra le diverse aree. Il dato regionale appare in costante crescita e tale andamento è seguito quasi perfettamente dall‟area 1 mentre l‟area 3 registra un trend crescente ancora più marcato. La seconda area sembra evidenziare un peggioramento delle condizioni economiche solo nell‟ultimo anno mentre le aree 4 e 5 mostrano un calo costante per tutto il periodo preso in considerazione.

Effetti Cause Obiettivi Mezzi

Bassa la presenza di imprese agricole professionali in particolare nelle aree 3 e 4

Difficoltà strutturali del sistema agricole attribuibili alla bassa redditività e alla frammentazione della base produttiva

Stimolare l’aumento dimensionale e la specializzazione produttiva.

Creare reti di imprese e professionalizzare gli agricoltori

Diminuisce l’intensità imprenditoriale nelle aree 4, 2 e 5 Il fenomeno risulterebbe ancora più evidente nelle aree dove c’è stato un calo demografico

Delocalizzazione delle imprese in aree più facilmente accessibile e cessazione di molte attività

Mantenimento sul territorio delle piccole imprese e nascita di attività legate all’uso delle risorse locali

Politiche di attrazione degli investimenti esterni

Declino economico delle aree 4 e 5

Contrazione della base produttiva per la cessazione e trasferimento delle unità locali

Mantenimento sul territorio delle piccole imprese e nascita di attività legate all’uso delle risorse locali

Politiche di attrazione degli investimenti esterni

Tabella 15 - Economia: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

► Agricoltura

In questo paragrafo evidenziare i principali caratteri delle attività agricole ed in particolare il loro legame con il territorio

La ripartizione della superficie territoriale nelle due componenti superficie coltivata (SAU) ed altra superficie aziendale (non coltivata e boschi) evidenzia interessanti differenze specie in termini dinamici.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 121

Infatti mentre l‟area 1 mantiene e consolida la quota di superficie aziendale oltre l‟80%, le altre aree registrano un calo tra gli ultimi due censimenti ed un particolare la terza area (Muccia) diminuisce di oltre il 30%. Questo è un chiaro segnale dell‟abbandono delle attività agricole nelle aree più interne della regione.

1990

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Marche Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5

SAU Extra-SAU

2000

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Marche Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5

SAU Extra-SAU

Figura 22 - Quota delle superfici aziendali agricole sulla superficie territoriale negli anni 1990 e 2000 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

Analogamente a quanto sviluppato nel paragrafo precedente, nel grafico che segue sono rappresentati i rapporti tra abitanti e aziende agricole come sintesi della presenza di attività agricole sul territorio. I significati da attribuire agli indici sono analoghi a quanto esposto in precedenza.

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

0

5

10

15

20

25

30

1991 2001

Figura 23 - Numero di residenti per azienda agricola

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

In generale aumentano i rapporti tra abitanti e aziende e quindi diminuisce la densità di unità produttive prevalentemente a causa della contrazione del numero di quest‟ultime. Spicca il forte incremento della quinta e della terza area segnale di una intensa fuoriuscita di aziende agricole in una zona svantaggiata sotto il profilo delle dotazioni naturali “rurali”.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 122

1990

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

<5 ha >5 <50 ha >50 ha

2000

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

<5 ha >5 <50 ha >50 ha

Figura 24 - Composizione percentuale delle aziende agricole per area e classe dimensionale

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT, censimenti agricoltura 1990 e 2000

Le agricolture differiscono tra le aree in relazione alla loro localizzazione con una maggiore presenza di aziende di grande estensione nelle zone montane (aree 3 e 5). In percentuale diminuiscono le piccolissime aziende ad eccezione delle prime due aree dove la struttura dimensionale aziendale appare pressoché immutata nel corso del decennio preso in considerazione. Questo aspetto è il segnale di una certa stabilità delle strutture agricole sebbene nel tempo queste diminuiscano in valore assoluto. Le aziende sono prevalentemente a conduzione familiare con percentuali che non scendono mai sotto l‟80% e punte che sfiorano il 100%. La seconda e la quarta area vantano le maggiori quote di aziende familiari nel 2000 e, viceversa, le minori percentuali di impiego di salariati. La presenza di lavoratori dipendenti è invece consistente dell‟area 4, ma ciò è probabilmente attribuibile alla presenza di alcune aziende pubbliche. Significativa la variazione intercensuaria di questa categoria di lavoratori con la seconda area che registra un netto aumento segnale positivo di una agricoltura professionalizzata. Generalizzato invece il declino delle aziende con allevamenti che si sono contratte di ¾ nella quinta area ma che rivestono ancora una quota rilevante del totale. Ad eccezione della seconda area, la quota di aziende zootecniche è superiore alla media regionale, ma occorre ricordare che nel computo sono compresi anche i piccolissimi allevamenti che hanno una finalità quasi esclusivamente di autoconsumo. La ripartizione delle superfici investite nelle aziende offre un‟immagine abbastanza precisa dei caratteri dominanti delle agricolture delle aree.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 123

1990

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Seminativi Permanenti

Prati e pascoli Arboricoltura e boschi

Altra superficie

2000

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Seminativi Permanenti

Prati e pascoli Arboricoltura e boschi

Altra superficie

Figura 25 - Ripartizione delle superfici aziendali (% sul totale)

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

La prima particolarità che si coglie comparando i dati delle zone è la differenza fra le aree 3 e 5 e le altre. In effetti questi sono territori montani dove sono meno presenti le coltivazioni a seminativi mentre più elevata è la quota di pascoli. I caratteri identificativi delle aree sono le coltivazioni permanenti (arboree) nella prima, la prevalenza dei seminativi nella seconda e nella quarta, viceversa la minore presenza di coltivazioni nella terza e nella quinta. Sotto il profilo della dinamica intercensuaria da notare due fenomeni evolutivi: il primo è il generalizzato aumento della quota di seminativi e il secondo è la contrazione delle altre superfici aziendali. Si tratta di due fenomeni che hanno caratterizzato l‟evoluzione dell‟agricoltura marchigiana negli ultimi decenni ovvero la semplificazione degli ordinamenti colturali in direzione dell‟impiego di coltivazioni a ciclo annuale (seminativi) e l‟abbandono dei terreni marginali improduttivi diffusi nelle zone ad elevata acclività. La semplificazione degli ordinamenti produttivi ha penalizzato le attività zootecniche che si sono notevolmente contratte nel decennio preso in considerazione. Né è chiara testimonianza il valore in UBA76 del patrimonio zootecnico regionale diminuito del 30%. Malgrado questa generale contrazione, la ripartizione per specie allevata non appare mutata a livello regionale mentre nelle aree selezionate è avvenuto qualche interessante cambiamento. Le aree 1 e 5 si pongono agli estremi della gamma di differenziazione produttiva con la prima sempre più orientata agli allevamenti industriali, in particolare avicoli, e la quinta verso gli allevamenti tradizionali, bovini innanzitutto.

76

L’Unità Bovina Adulta è una misura standardizzata della consistenza zootecnica che si ottiene moltiplicando il numero di

capi di ogni specie per un coefficiente specifico. I coefficienti stimano il consumo energetico di ogni singola specie rapportato ad un capo bovino.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 124

Le altre aree si collocano in situazioni intermedie con la terza caratterizzata dagli allevamenti suinicoli, la quarta dagli ovini, ed infine la seconda appare la più stabile nel decennio considerata e non mostra nessuna particolare evoluzione strutturale.

1990

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Bovini Suini Ovini Caprini Equini Avicoli

2000

0% 20% 40% 60% 80% 100%

Marche

Area 1

Area 2

Area 3

Area 4

Area 5

Bovini Suini Ovini Caprini Equini Avicoli

Figura 26 - Ripartizione della consistenza zootecnica (percentuale di UBA sul totale)

Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT

Effetti Cause Obiettivi Mezzi

Contrazione delle superfici agricole nelle aree montane

Abbandono delle aziende agricole marginali in quanto non remunerative e mancanza di giovani e/o nuovi imprenditori

Attenuare il fenomeno di abbandono delle aziende agricole Attenuare gli effetti negativi sul sistema agro-forestale

Favorire i nuovi insediamenti aziendali e la permanenza dei giovani

Diminuzione della diversificazione produttiva specie nella quarta area

Scarse alternative produttive incapaci di competere con gli aiuti destinati ai seminativi

Diversificare le produzioni e caratterizzale rispetto al territorio

Orientare le scelte imprenditoriali in occasione delle nuove modalità di attribuzione degli aiuti comunitari (disaccoppiamento)

Calo generalizzato delle attività zootecniche

Elevati costi di gestione e di investimento

Mantenere e caratterizzare le produzioni zootecniche sul territorio

Favorire l’insediamento di giovani allevatori. Premiare la qualità delle produzioni

Figura 27 - Agricoltura: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

► Altre caratteristiche

In questo paragrafo sono raccolti altri aspetti considerati rilevanti nel valutare la coesione sociale e il grado di apertura ed integrazione delle comunità locali Gli indicatori qui presi in considerazione costituiscono sono solo un esempio.

Uno dei fenomeni più semplici da misurare per verificare il grado di apertura di un sistema locale è il turismo. In questo caso sono state prese in considerazione le presenze a livello comunale sebbene la fonte informativa non consenta di

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 125

scendere nel dettaglio a causa dei vincoli per la pubblicazione dei dati statistici77. La tabella che segue, seppure incompleta, evidenzia dinamiche fortemente contrastanti sia tra aree che all‟interno di esse. Le aree 1 e 5 rilevano un aumento delle presenze turistiche, mentre la seconda e la terza registrano un consistente calo, per quest‟ultima forse ha influito per la progressiva chiusura delle attività legate al terremoto del 1997 che ha fatto affluire numerosi lavoratori da fuori zona.

Area 1999 2000 2001 2002 2003 Trend

Marche

11.999.312

12.407.433

13.194.511

13.280.045

13.449.366 3,1%

Ancona

2.622.877

2.796.148

2.896.075

3.068.976

3.198.661 5,4%

Macerata

2.004.000

1.961.830

2.107.575

2.105.545

2.105.339 1,7%

Area 1 9.376 17.977 15.033 14.937 20.458 20,4%

Castelplanio 11.168 9.664 10.075 12.887 5,0%

Montecarotto 0 0 0 0 0

Poggio San Marcello

Rosora 2.465 1.560 1.266 1.259 1.380 -10,0%

Serra de' Conti 6.911 5.249 4.103 3.603 6.191 -4,5%

Area 2 10.235 6.518 6.918 5.740 3.582 -

13,8%

Apiro 3.608 1.221 1.081 797 0 -21,2%

Mergo

Poggio San Vicino

Serra San Quirico 6.627 5.297 5.837 4.943 3.582 -9,7%

Area 3 28.685 15.479 12.988 12.844 9.631 -

14,2%

Muccia 28.685 15.479 12.988 12.844 9.631 -14,2%

Pievebovigliana

Pieve Torina 0 0 0

Area 4 0 0 0 0 154 n.c.

Gualdo

Monte San Martino

Penna San Giovanni 154

Area 5 0 3.333 2.843 2.996 3.579 2,7%

Fiuminata 3.333 2.843 2.996 3.579 2,7%

Pioraco

Sefro

Tabella 16 - Presenze turistiche totali per anno ed area (italiani e stranieri) Fonte: SISTAR Regione Marche (le celle vuote riguardano i dati non pubblicabili dei comuni con meno di 3 strutture ricettive)

77

In questo caso non è stato possibile ottenere i dati relativi ai comuni con meno di 3 esercizi alberghieri in quanto l’ISTAT

ritiene che possano compromettere il vincolo della segretezza della fonte informativa. In casi come questo le fonti informative locali (uffici turistici, associazioni alberghiere) possono risultare estremamente utili.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 126

Effetti Cause Obiettivi Mezzi

Calo delle presenze turistiche nelle aree più interne

Possibile effetto indotto dal terremoto del 1997

Aumentare e consolidare i flussi turistici

Migliorare le capacità e la qualità delle strutture ricettive

Tabella 17 - Altre caratteristiche: analisi di sintesi Fonte: nostra elaborazione

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 127

ESEMPIO DI APPLICAZIONE: L’INTEGRAZIONE DELLA CONOSCENZA

Nella prima parte del rapporto sono stati introdotti i presupposti metodologici che hanno portato all‟individuazione di due strumenti di indagine sociologica: le interviste e i focus groups. In questa seconda parte del documento si descrivono le modalità con cui sono stati utilizzati tali strumenti e i risultati conseguiti. Analogamente a quanto fatto per i capitoli sul contesto territoriale e sulla normativa, le analisi sviluppate sulle aree pilota vanno interpretate come propedeutiche per la formulazione di un progetto di Distretto rurale e non intendono costituire un quadro esaustivo e dettagliato delle questioni che riguardano lo sviluppo socio-economico di un territorio.

Gli strumenti e le azioni

La fase di raccolta delle informazioni integrative sul territorio è stata sviluppata attraverso i seguenti passaggi:

1. identificazione e selezione dei soggetti sul territorio; 2. disegno e verifica del questionario per le interviste; 3. pianificazione degli incontri e delle modalità di intervista; 4. metodologia di classificazione e elaborazione dei risultati; 5. identificazione dei temi chiave e progettazione dei focus groups; 6. pianificazione ed organizzazione dei focus groups; 7. raccolta dei risultati ed interpretazione qualitativa.

Inizialmente il gruppo di lavoro ha dovuto decidere le modalità ed i criteri con i quali individuare e selezionare le persone in grado di apportare nuova conoscenza sulle aree selezionate e soprattutto capaci di esprimere la percezione di appartenere ad una comunità locale. L‟individuazione dei soggetti è avvenuta con il contributo di un gruppo di animatori territoriali operanti presso i GAL Colliesini e Sibilla, e attraverso alcuni contatti con persone che hanno conoscenze specifiche sulle aree sperimentali come ad esempio gli amministratori degli stessi GAL e gli esperti coinvolti nel progetto. Da questa prima ricognizione è risultato un elenco di circa 200 nominativi che successivamente è stato ulteriormente selezionato ed a volte integrato sulla base della griglia di criteri presentata nella parte metodologica di questo lavoro. Parallelamente all‟individuazione dei soggetti, è stato strutturato un questionario da utilizzare come traccia per gli intervistatori e contemporaneamente come supporto per la raccolta dei risultati. Il questionario è stato dapprima verificato in un numero esiguo di interviste per verificarne la fattibilità sia nei tempi che nei contenuti. Al termine di questo processo di validazione è stato prodotto uno schema, allegato in appendice, strutturato in 3 parti ed articolato in 32 quesiti. Il questionario è stato utilizzato per valutare il grado di conoscenza delle risorse locali e la propensione a lavorare assieme per obiettivi di interesse collettivo. Le figure professionali scelte per la realizzazione delle interviste sono stati gli animatori operanti presso i GAL che avevano avuto già esperienze di questo tipo.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 128

Gli stessi animatori si sono occupati di avviare i contatti e organizzare gli incontri presso le sedi degli intervistati o in alcuni casi presso i GAL. I colloqui sono durati mediamente 45 minuti ed a volte hanno incontrato alcune difficoltà nel circostanziare gli argomenti e quindi ottenere risposte coerenti ai quesiti. Uno degli aspetti sui quali gli animatori-intervistatori hanno speso molto tempo è stato la ricerca di soggetti disponibili ad essere intervistati78. Per seguire tutte le fasi organizzative che ha coinvolto un gruppo di 5 animatori distribuiti sulle aree sperimentali, è stata individuata la figura di un coordinatore con il compito di verificare costantemente lo stato di avanzamento dell‟indagine. Al termine della prima fase sono state effettuate 123 interviste distribuite in maniera quasi uniforme tra le 5 aree sperimentali. I questionari compilati dagli animatori sulla base delle questioni emerse negli incontri, sono stati successivamente rielaborati convertendo le risposte a schema aperto in risposte a scelte multiple. Questo passaggio si è reso necessario per affiancare alla valutazione qualitativa basata sulla lettura dei questionari, una elaborazione quantitativa delle risposte (es. distribuzione di frequenza). I risultati quantitativi e qualitativi sono descritti nei paragrafi che seguono. La lettura incrociata dei risultati delle interviste ha consentito di individuare le questioni ricorrenti e i temi che hanno suscitato maggiore interesse e coinvolgimento, distinguendoli per singola area. A questo punto il gruppo di lavoro ha provveduto ad associare le tematiche ai focus group definendo le modalità di svolgimento degli incontri e pianificando il calendario degli stessi. I focus group sono stati identificati come lo strumento più immediato ed efficace nel contesto in cui si intendeva operare e capace di coinvolgere un gruppo ristretto di persone sulle tematiche scelte. Ogni focus è stato condotto da un facilitatore utilizzando una traccia di discussione elaborata dal gruppo di lavoro (in appendice). Il facilitatore, che per esigenze progettuali e competenze professionali ha coinciso con il coordinatore degli animatori, è stato affiancato da un esperto della materia trattata che ha avuto il ruolo di aiutare la discussione attraverso chiarimenti e informazioni. Il ruolo del facilitatore è stato cruciale in quanto ha guidato la discussione sulla traccia stabilita cercando il coinvolgimento di tutti i partecipanti e stimolando la ricerca di affermazioni condivise. In questo progetto sperimentale le situazioni sono state per certi versi “simulate”, ovvero non è stato dato un seguito alle proposte emerse durante i focus ma è chiaro che in un conteso operativo, queste diventano la base per successive azioni di animazione. In questi casi la figura dell‟animatore potrebbe coincidere con quella dell‟animatore che rispetto al primo ha anche le capacità e le competenze professionali per aiutare i partecipanti ad individuare le soluzioni operative alle questioni discusse.

78

La scarsa disponibilità delle persone a discutere sul proprio territorio è spesso il segnale di uno scarso interesse per

l’argomento e quindi una misura della percezione di appartenere ad una comunità locale.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 129

In sintesi, il facilitatore consente lo svolgimento di una riunione in maniera efficace e finalizzata, ma non è richiesta una sua particolare conoscenza né sugli argomenti discussi né sul territorio nel quale questi soggetti operano. Viceversa l‟animatore deve avere una adeguata conoscenza delle risorse del territorio e quindi essere in grado di “tessere” ed infittire la rete di relazioni tra i soggetti. Chiaramente una figura professionale capace di riassumere i due profili sarebbe estremamente interessante in quanto possiede sia il bagaglio tecnico degli strumenti di comunicazione (facilitatore) che la conoscenza del territorio e delle sue potenzialità (animatore). La metodologia sperimentata per la gestione dei Focus si è basata su due fasi di sviluppo degli incontri: introduzione e approfondimento. Durante la fase introduttiva, Il facilitatore ha illustrato le finalità dell‟incontro stimolando i partecipanti ad esprimersi rispetto all‟esigenza di creare un DR segnalando esperienze di aggregazioni spontanee e di azioni comuni; ha chiesto inoltre di esprimere pareri anche sui soggetti che potrebbero essere i riferimenti per il coordinamento di un eventuale DR. In questa prima fase introduttiva tutti i partecipanti ai focus sperimentali hanno partecipato con interesse, portando contributi anche innovativi e sollecitando un interesse attivo delle istituzioni sulle aree che per cultura, per invecchiamento della popolazione, per collocazione, sono state ritenute adatte a essere comprese in un DR. Spesso i partecipanti hanno lamentato la lontananza, non solo geografica, della P.A. ed in generale delle Istituzioni ed i ritardi con i quali queste solitamente intervengono. I partecipanti ai focus, hanno ritenuto il DR una delle ultime possibilità per salvaguardare e promuovere il territorio nel suo complesso ma hanno rilevato come è assai difficile il coinvolgimento attivo delle comunità locali. In pratica è emersa la consapevolezza del territorio come risorsa ma è stata anche rilevata la carenza del “senso di appartenenza alla comunità”. C‟è da sottolineare come i giovani, che hanno partecipato ai focus, sono apparti più motivati e decisi nell‟ individuare progetti o percorsi per lo sviluppo del territorio. La seconda parte di ogni focus è stata dedicata ad approfondire una tematica ritenuta di interesse per quel territorio,così come è risultata dall‟analisi delle interviste. Questi i temi individuati:

> Area 1- Produzioni tipiche; > Area 2 - Risorse ambientali; > Area 3 - Sviluppo locale; > Area 4 - Beni culturali; > Area 5 - Processi partecipativi.

Anche in questa fase il facilitatore ha introdotto la discussione e chiesto ai partecipanti di esprimersi sulle opportunità che un DR possa svilupparsi attorno a questi temi. E‟ da rilevare che quasi mai si è riusciti a “costringere” il focus all‟interno della tematica individuata. I partecipanti, anche sulla scia della parte introduttiva, hanno continuato a proporre soluzioni o esporre problematiche

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 130

trasversali. Il “facilitatore” in tutti i gruppi ha cercato di riportare la discussione sulla tematica individuata ma ciò è risultato spesso difficile. Questo comportamento può essere letto sia come difficoltà di percepire/condividere un argomento centrale sia nella scarsa abitudine a concentrarsi su una questione alla volta per svilupparla ed approfondirla adeguatamente. D‟altro canto l‟impossibilità derivante dai vincoli progettuali di dare seguito a questi incontri, ha favorito questo tipo di approccio. Inoltre c‟è da rilevare che:

> la partecipazione ai focus è stata sempre molto attiva e qualificata; > la durata dei Focus si è protratta oltre il tempo previsto riscontrando

una forte interesse dei partecipanti sia nella fase di illustrazione dei risultati dei questionari sia nella fase di costruzione di ipotesi di sviluppo;

> non sempre le tematiche individuate con i Focus sono state seguite sin dall‟inizio. I partecipanti hanno diverse volte scelto autonomamente gli aspetti e le problematiche più rilevanti delle aree e solo in un secondo tempo, anche attraverso l‟intervento del “facilitatore si è tornati al tema individuato;

> i risultati delle interviste non sempre sono coincisi con quanto emerso dai Focus ed in particolare con riferimento alle domande sulla partecipazione, sul coinvolgimento delle comunità locali che risultano concetti difficili da esprimere in un contesto di domande e risposte schematiche.

Per facilitare la raccolta e l‟elaborazione dei risultati dei focus, è stato chiesto ai partecipanti il permesso di registrare le discussioni che sono state poi sintetizzate dal facilitatore e raccolte nel successivo paragrafo dedicato all‟analisi qualitativa. In questa sperimentazione non si è andati oltre ma ovviamente queste sintesi dovrebbero essere riproposte ai partecipanti per una verifica e/o integrazione, per poi essere utilizzate come materiale di riferimento per le azioni di animazione successive.

L’analisi quantitativa

Si è detto in precedenza come le interviste realizzate dagli animatori, sono state impostate utilizzando un questionario come traccia e come supporto per la sintesi delle risposte. Le risposte a schema aperto sono state successivamente riclassificate dagli stessi animatori, facendole rientrare in una casistica di opzioni (scelte multiple) secondo uno schema elaborato dal gruppo di ricerca. Questo processo ha consentito l‟analisi quantitativa delle risposte attraverso l‟elaborazione delle distribuzioni di frequenza per quesito, area e categoria di intervistato. Qui di seguito sono riassunti alcuni risultati a titolo esemplificativo, l‟intero spoglio dei questionari è allegato in appendice.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 131

Il terzo quesito della prima sezione intende cogliere il cambiamento avvenuto negli ultimi decenni e le risposte segnalano come l‟agricoltura e la società sono gli ambiti dove sono intervenute le trasformazioni con alcune importanti differenze tra aree. La quinta area ad esempio ha percepito un forte cambiamento nella società mentre nella terza il progresso tecnologico ha influenzato lo sviluppo del territorio.

Quesito 1.1.3 - Attraverso quali passaggi avvenuti negli ultimi 30 anni si arriva alla situazione presente

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

Agricoltura 32% 29% 33% 42% 25% 33%

Società 36% 38% 23% 25% 50% 33%

tecnologie 20% 17% 37% 25% 15% 24%

NON RISPONDE 12% 17% 3% 8% 5% 9%

NON SA 0% 0% 3% 0% 5% 2%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 18 – Quesito 1.1.3, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

In generale quindi in questi territori la società rurale è stata una delle componenti che ha caratterizzato lo sviluppo locale. Passando al legame tra territorio e produzioni locali si scopre come sono considerate poche le aziende che lavorano con le tipicità in prevalenza di origine agricola.

Quesito 1.2.1 - Esistono aziende che lavorano con le tipicità?

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

abbastanza 12% 13% 23% 0% 20% 14%

molte 0% 0% 17% 0% 5% 5%

non esistono 4% 4% 3% 29% 40% 15%

poche 80% 75% 57% 67% 30% 63%

NON SA 0% 0% 0% 0% 5% 1%

NON RISPONDE 4% 8% 0% 4% 0% 3%

abbastanza 12% 13% 23% 0% 20% 14%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 19 – Quesito 1.2.1, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

Questo aspetto non è certo positivo ma occorre considerare che con termine “tipico” assume spesso un significato molto restrittivo legato alla riconoscibilità del prodotto e alla sua certificazione. Un punto sul quale l‟indagine ha cercato di focalizzare l‟attenzione degli intervistati è stato sul grado di collaborazione tra soggetti economici.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 132

Quesito 1.2.8- Esistono circuiti di collaborazione tra aziende agricole e operatori commerciali, operatori turistici o altri soggetti extra-agricoli

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

Assente 28% 58% 43% 63% 55% 49%

Presente 64% 38% 53% 38% 35% 46%

NON SA 4% 4% 3% 0% 10% 4%

NON RISPONDE 4% 0% 0% 0% 0% 1%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 20 – Quesito 1.2.8, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

Sebbene la maggior parte delle persone ritenesse importante la capacità di lavorare assieme (ad eccezione della terza area), è stata percepita come bassa la consapevolezza di individuare strategie comuni e solo alcuni hanno ricordato esempi di collaborazione tra aziende agricole ed altri operatori economici. Le risorse naturali sono una componente del capitale territoriale e la loro conoscenza è un segnale che indica la capacità dei residenti di valorizzarle.

Quesito 2.1.1 - Se ci sono zone protette può darne una descrizione dell’uso fatto dagli abitanti locali?

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

frequente 20% 33% 13% 17% 5% 18%

nessun uso 0% 0% 40% 4% 10% 12%

scarso 52% 54% 43% 33% 55% 47%

NON CLASSIFICATE 0% 0% 0% 29% 0% 6%

NON RISPONDE 16% 0% 3% 8% 30% 11%

NON SA 12% 13% 0% 8% 0% 7%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 21 – Quesito 2.1.1, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

Sotto questo profilo gli intervistati hanno rilevato una scarsa fruizione delle aree naturali protette (intese in senso lato) sia degli abitanti che dei turisti. Paradossalmente il grado di fruizione decresce dalla costa verso la montagna dove sono localizzate le maggiori emergenze ambientali. Si tratta però di una contraddizione apparente in quanto il maggiore desiderio di stare a contatto con la natura è proprio di coloro che vivono in ambienti più urbanizzati. La frequentazione aumenta leggermente nel caso dei beni culturali sebbene le risposte divergono tra una fruizione frequente e scarsa. In ogni caso c‟è una maggiore consapevolezza sul patrimonio storico-culturale delle aree la cui gestione viene generalmente considerata sufficiente.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 133

Quesito 2.2.2 - Quale uso dei beni culturali viene fatto dalla popolazione dell’area?

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

Frequente 28% 38% 30% 38% 20% 31%

Intenso 0% 0% 3% 4% 0% 2%

Nessuno 0% 0% 7% 4% 20% 6%

Scarso 48% 50% 57% 17% 55% 46%

NON RISPONDE 12% 4% 0% 38% 5% 11%

NON SA 12% 4% 3% 0% 0% 4%

NON CLASSIFICATE 0% 4% 0% 0% 0% 1%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 22 – Quesito 2.2.2, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

Le risorse naturali e le opere dell‟uomo contribuiscono a formare l‟identità di un territorio. Dalle interviste è risultato come il “mix” tra queste due componenti venga percepito in maniera differente tra le aree dove è il contesto culturale a caratterizzare il territorio nelle prime tre e l‟ambiente nella quinta area.

Quesito 3.2 - Mi indica i principali fattori che formano l’identità di questo territorio?

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

Ambientali 16% 21% 37% 21% 55% 29%

Culturali 40% 46% 53% 8% 10% 33%

Economici 20% 8% 10% 17% 10% 13%

Sociali 4% 4% 0% 21% 20% 9%

NON RISPONDE 16% 21% 0% 21% 0% 11%

NON SA 4% 0% 0% 13% 5% 4%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 23 – Quesito 3.2, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

Appaiono meno avvertiti i caratteri legati all‟economia e alla società forse perché percepiti come elementi in rapido cambiamento e quindi incapaci di caratterizzare l‟immagine di un territorio. Lo sviluppo delle aree passa attraverso il turismo percepito come settore sul quale sono puntati gli interessi di tutti i residenti delle aree interne. Molte delle proposte avanzate riguardano le attività turistiche, sulle quali molti degli intervistati ritengono possibile una concentrazione degli investimenti sia pubblici che privati.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 134

Quesito 3.3 - Quali sono i settori chiave per lo sviluppo di questa area ?

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

Agricoltura 28% 21% 23% 33% 10% 24%

Artigianato 0% 4% 10% 0% 5% 4%

Industria 12% 13% 3% 0% 5% 7%

Servizi 12% 17% 3% 0% 0% 7%

Turismo 44% 42% 60% 67% 80% 58%

NON RISPONDE 4% 0% 0% 0% 0% 1%

NON SA 0% 4% 0% 0% 0% 1%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 24 – Quesito 3.3, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

Dalle interviste emerge come siano gli aspetti organizzativi quelli più carenti nelle aree interne. La richiesta di un supporto esterno è stata ricorrente non solo nelle interviste ma anche durante i focus groups. Da segnalare invece la scarsa importanza assegnata alle questioni infrastrutturali che eppure sono state, nel recente passato, il tema dominante di molte politiche territoriali.

Quesito 3.7 - Cosa è necessario cambiare per dare unità operativa all’area?

Risposte Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

Infrastrutture 12% 8% 3% 0% 15% 7%

Organizzazione 80% 92% 43% 58% 55% 65%

Progetti 0% 0% 43% 21% 30% 20%

NON SA 4% 0% 10% 13% 0% 6%

NON RISPONDE 4% 0% 0% 8% 0% 2%

TOTALE 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Tabella 25 – Quesito 3.7, distribuzione di frequenza delle risposte Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

L’analisi qualitativa

In questo paragrafo vengono riportate alcune valutazioni qualitative dei risultati delle interviste e delle discussioni sviluppatesi all‟interno dei focus groups. Si possono innanzitutto elencare alcune considerazioni ricorrenti espresse dai partecipanti:

1. le aree individuate poggiano sicuramente su un sistema agricolo prevalente; 2. il concetto di ruralità si manifesta in modi diversi, in alcune aree sono prevalenti le

produzioni tipiche, in altre lo sviluppo integrato, in altre l‟ambiente; 3. la ruralità si basa su un nuovo concetto di imprenditore agricolo legato all‟immagine

di un territorio che valorizzi tutto quanto in esso contenuto; 4. i prodotti tipici fortemente radicati sul territorio sono una risorsa ma manca una

strategia di marketing territoriale che potrebbe avviare nuovi modelli di sviluppo; 5. i vincoli ambientali sono troppo accentuati e spesso sono percepiti come un limite

allo sviluppo creando contrarietà e proteste tra gli abitanti; 6. emerge ancora, soprattutto in alcune aree un campanilismo che, se eccessivo,

blocca forme di cooperazione costruttiva;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 135

7. sono emerse forti difficoltà per costruire comunità locali coese. Quasi assente un lavoro sinergico tra pubblico e privato mentre esistono coordinamenti diversi tra le associazioni di categoria o nel sociale. Non esiste la cultura della partecipazione, del lavoro di rete, del coinvolgimento attivo: occorre investire in questo e questo è stato richiesto da tutti a gran voce;

8. è richiesta in forma pressante la figura del facilitatore sia residente all‟interno dell‟area che fuori purchè sia una motore che possa supportare le dinamiche partecipative;

9. il distretto rurale viene considerato un ottimo strumento di sviluppo e molti lo identificano nel GAL anche se con alcuni aspetti innovativi e con una diversa dimensione delle aree di competenza.

Da queste considerazioni generali è ora possibile scendere nel dettaglio affrontando alcune tematiche specifiche.

► I prodotti tipici

I prodotti tipici costituiscono uno dei fattori forti della percezione dell‟identità rurale di un territorio Tra gli intervistati una larghissima maggioranza dà molta importanza alle tipicità sia come recupero dell‟ ”anima” del territorio che identifica l‟area rispetto ai suoi abitanti (identità di specchio), sia la caratterizzazione specifica rispetto all‟esterno, come identità da comunicare che segna dei confini non materiali di un‟area (identità di muro). Nei focus groups è emersa una tipologia di massima dei prodotti tipici, generica, ma sufficientemente significativa rispetto ad eventuali proposte organizzative. I prodotti tipici possono essere ricondotti alle seguenti tipologie:

1. tipicità già conosciute/affermate/tutelate da Denominazioni, marchi, ecc. già strutturate da un punto di vista organizzativo

2. tipicità locali salvate da una dimensione di mera archeologia alimentare/gastronomica che sono solo in parte tutelate e presenti nei processi di costruzione dell‟identità locale con un mercato esterno ed interno limitati e ancora fragili, ma diffusi

3. tipicità (locali o regionali o interregionali. (ad es. area appenninica)) da riscoprire o rilanciare e valorizzare (anche in vista della possibile introduzione di nuove forme di certificazioni/tutele. Vedi la legge regionale.

Sia nelle interviste che nei focus groups, un dato significativo è il consumo dei prodotti tipici da parte dei testimoni privilegiati e dei partecipanti. Nel caso dei prodotti di tipo 1, il consumo è oramai una prassi consolidata e per un paradosso divenuta quasi casuale o se si tratta di consumo quotidiano è un fattore acquisito e relativamente debole di promozione di immagine dell‟area al proprio interno. L‟atteggiamento più attivo viene adottato nel caso dei prodotti di tipo 2 e costituisce un impegno molto sentito, mentre più ristretta, ma più attenta è la mobilitazione intorno ai prodotti di tipo 3. E‟ emersa anche l‟importanza attribuita ai percorsi di qualificazione dei prodotti sia all‟interno di una schiera ampia di produttori come nel caso del Verdicchio, sia in ambiti più ristretti. Tra i percorsi, nelle interviste, ma soprattutto e con maggiore specificazione nei focus sono venute fuori indicazioni quali:

> Il percorso associativo dell‟esperienza cooperativa (es. Moncaro - Terre Cortesi) come processo di aggregazione;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 136

> Il riferimento alla sperimentazione di metodi di lotta integrata e di agricoltura biologica;

> l‟Associazione di coltivatori di cereali e legumi a rischio di estinzione e adozione di metodi colturali biologici;

> il recupero, selezione germoplasma, rilancio commerciale di prodotti come la cicerchia a Serra de‟ Conti;

> il ripristino di tecniche tradizionali (lievitazione naturale a pasta acida) per la produzione di pane, e relativa attività didattica (Serra de‟ Conti);

> l‟associazionismo tra pastori-piccoli produttori caseari (problematiche relative agli allevamenti e alle produzioni di qualità);

> la realizzazione di musei della cultura materiale; > la conservazione (ed attualizzazione) di iniziative (feste del vino)

decadute in altre aree produttive „forti‟ della regione, come momenti centrali dell‟identità locale;

> l‟ideazione e realizzazione di nuove forme di iniziative indirizzate al confronto scientifico su tematiche della produzione casearia, ed alla produzione dei prodotti e del territorio di Gualdo (nella stessa area, la crescente presenza di visitatori stranieri, inglesi in particolare, richiederebbe maggiore/migliore organizzazione agrituristica)

> le forme di collaborazione tra piccoli produttori di tipicità locali e ristoratori per evitare la retrocessione a pure „testimonianze di archeologia gastronomica, e valorizzare le tipicità stesse, e anche favorire la coltivazione di varietà di fichi espulse o trascurate dal mercato perché poco produttive (Castelplanio, Montecarotto, Serra);

> infine nella prima area il riferimento al Parco enogastronomico dei Colli jesini ha dato modo di discutere della forma specifica organizzativa dei parchi del cibo collegati anche alle caratteristiche ambientali e al paesaggio agrario.

Alcune problematiche sono legate al prodotto trainante per l‟economia rurale come ad esempio il vino:

> rafforzamento dell‟orientamento qualitativo e della differenziazione di tipologie all‟interno della Denominazione, sviluppando maggiormente il legame con il territorio (l‟offerta di ospitalità, ristorazione, organizzazione enoturistica appare molto debole);

> miglioramento qualitativo della produzione di „bassa‟ fascia, per una maggiore competitività nei mercati interni ed esteri.

Per quanto riguarda invece la produzione di formaggi di pecora:

> alcuni allevatori-produttori allevano ancora la razza sopravvissana (razza da recuperare e valorizzare). Sarebbe necessario coordinare i produttori, favorire la sistemazione dei locali, promuovere le produzioni a partire dalle loro specificità (latte crudo, caglio, pascolo ecc.).

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 137

Sono emerse anche osservazioni su singoli prodotti che riteniamo utile inserire nella relazione non per i prodotti in sé, ma per le riflessioni che contengono e che si agganciano come esempi e veri e propri case-studies, in modo significativo alla parte sui suggerimenti finali scaturiti dal survey

I formaggi

Formaggi di pecora, ma anche prodotti vaccini, costituiscono ancora oggi le principali produzioni casearie; gran parte delle razze autoctone hanno ceduto il passo alla razza sarda stanziale, largamente la più diffusa, mentre fino ad alcuni decenni fa erano invece assai diffuse le razze vissana, di media corporatura, e la sopravissana, di taglia maggiore e in grado di produrre quantità maggiori di latte. Del Pecorino esistono, sostanzialmente, due tipologie: una versione prevalentemente fresca, reperibile per tutto l‟anno, prodotta da latte pastorizzato dai caseifici industriali; una seconda versione, ottenuta con latte crudo e quindi la più fedele al pecorino delle transumanze, si apprezza maggiormente quando stagionata. La tecnica di produzione di questo pecorino prevede che il latte appena munto sia messo in un paiolo di rame e portato a circa 38 gradi di temperatura a fuoco dolce, per poi aggiungere il caglio naturale (stomaco d‟agnello con sale e un po‟ di latte) ed altri eventuali ingredienti dei quali ciascuna famiglia privilegia una particolarità piuttosto che un‟altra (il timo serpillo, ad esempio, conferisce gradevolissimi sentori al pecorino dei Sibillini). Dopo circa mezz‟ora la cagliata viene rotta e poi riscaldata, rialzando il fuoco sotto il paiolo, cosicchè i granuli precipitano sul fondo e formano una massa compatta che viene raccolta e pressata nelle fascere per far sgrondare il siero. Dopo la pressatura il formaggio viene salato a secco da un lato e dall‟altro, poi le forme vengono pulite e messe a stagionare in ambienti freschi e leggermente umidi, rigirandole ogni due o tre giorni per favorire la formazione della buccia. Dopo un mese il pecorino (detto barzotto) è pronto da mangiare, ma la migliore espressione di questa tipologia di formaggio è probabilmente quella prodotta a primavera, ricca delle erbe di quella stagione, stagionata sino a natale. Accanto a questa versione fedelmente tradizionale di formaggio di pecora, vengono prodotti anche formaggi a pasta semicotta di latte ovino misto a latte vaccino, dal gusto sensibilmente più dolce e dalla crosta sottile. Queste tipologie di formaggi hanno parzialmente rimpiazzato il consumo dei pecorini puri, grazie appunto al gusto dolce, alla morbidezza della pasta e alle caratteristiche organolettiche più immediate.

Salumi e insaccati

Attualmente il piccolo allevamento casalingo pur restando ancora vitale e produttivo è stato soppiantato dall‟allevamento industriale economicamente più vantaggioso; praticamente scomparse le razze autoctone che, nutrite con tuberi, ghiande, legumi, cereali e scarti della mensa familiare, superavano anche i 250 kg, di peso. Sono state sostituite da incroci e selezioni di White Large, Landrace e Duroc.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 138

Il prosciutto di coscia, la lonza ed il lonzino, la barbaglia, il salame lardellato, la spalla, la salsiccia, la coppa e il ciauscolo che, insieme al fegatino, rappresenta il salume peculiare del piceno. L‟etimo è incerto: sembra assodato che ciauscolo (ciabuscolo o ciavuscolo in altre dizioni) derivi da piccolo cibo, dal latino “cibusculum” che potremmo tradurre nel moderno spuntino. Bisogna poi ricordare il salame lardellato, forse il capolavoro della pista quando ben fatto: carni di primissima scelta selezionate dalla coscia, lardo preso dalla fascia adiposa della schiena e tagliato a cubetti. La carne triturata è condita con sale, pepe in polvere e in grani, mescolata con i cubetti di lardo ed insaccata e pressata nel budello gentile, involucro ideale per le lunghe stagionature.

Agnello e pecora

L‟agnello e più in generale la pecora venivano allevati per la produzione di lana e carne. Infatti le razze più apprezzate erano la fabrianese e la sopravvissana, questa ultima risultato di un incrocio del XIX secolo tra razze appenniniche e merinos, costruito appositamente per ottenere lana da tessere che rappresentava la vera ricchezza produttiva dell‟ovino. Essendo razza a duplice attitudine, avendo le due funzioni produttive (lana-carne) in equilibrio, la macellazione della sopravvissana procurava una carne di notevole valore organolettico. Oltre alla lana anche il latte prodotto in quantità esigue, rispetto a razze specializzate tipo la sarda, ma con quantità di grasso e caseina maggiori, serviva, dopo lo svezzamento dell‟agnello, alla produzione casalinga di pecorino, apprezzabile sia per il consumo sia per lo scambio. Alla base del prodotto c‟era il “prisu”, il contenuto dello stomaco d‟agnello diligentemente essiccato che veniva miscelato a pepe, zafferano, noce moscata, timo serpillo ed altri aromi e conservato per la coagulazione presamica. Ogni famiglia contadina aveva la sua ricetta segreta di “prisu”, dal caratteristico aroma che riusciva a cedere al pecorino durante l‟affinamento e la stagionatura. Attualmente è molto ridotta la presenza di ovini presso le famiglie che ancora praticano l‟agricoltura: la lana non ha più l‟importanza che ha avuto nel 18° e 19° secolo, il cotone ed altre fibre hanno interessato l‟industria tessile. Si preferisce attualmente allevare intensivamente animali a specifica attitudine, produttori esclusivamente di carne o di latte

Il bovino di razza Marchigiana

La massima diffusione della razza bovina Marchigiana si è avuta con la mezzadria e l‟allevamento in stalla. Ha subìto una consistente riduzione dopo la seconda guerra mondiale anche in conseguenza della scomparsa della mezzadria e della contemporanea diffusione della meccanizzazione agricola. Attualmente il sistema agricolo prevalente è caratterizzato dalla presenza di piccoli allevamenti di razze bovine da carne con in media circa quindici capi in stalla che vengono allevati con metodi ancora tradizionali ed alimentati con foraggio coltivato nell‟azienda stessa. Nella seconda metà del secolo XIX gli allevatori incrociarono le vacche podoliche con tori di razza Chianina per avere, oltre all'attitudine al lavoro, anche quella

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 139

alla produzione di carne. Il risultato fu il miglioramento dello viluppo muscolare, il mantello più chiaro, corna più corte e testa più leggera. La predisposizione alla produzione della carne era certamente migliorata, ma la statura elevata rendeva inadeguati i buoi al lavoro nei campi delle zone collinari e submontane. Intorno ai primi del novecento l‟incrocio con la razza Romagnola servì a ridurre la statura ed a migliorare la costituzione complessiva della razza che dal 1932, interrotti gli incroci, fu migliorata attraverso la selezione per trasformarla da popolazione bovina eterogenea in vera e propria razza con un suo Libro genealogico. L'evoluzione della Marchigiana verso la razza da carne e stata crescente e concreta, in particolare il miglioramento della resa in macellazione è passata da circa il 50-55% del 1932 all‟attuale 64%. Inoltre la selezione ha migliorato l‟adattabilità del vitellone alle tecniche di allevamento della stabulazione libera e dell‟allevamento semibrado. Infine con la volontà di salvaguardare le peculiarità dei prodotti tipici e tradizionali la Regione Marche ha inserito nel Decreto Legislativo n. 173/98 e nel successivo aggiornamento del 2002 un elenco di prodotti da recuperare. Tra i tanti vengono riportati, a proposito di carni fresche e lavorate, i seguenti: barbaglia, budellino di agnello o capretto crudo, cappone rustico o nostrale, ciarimbolo-buzzico-ciambudeo, carne della razza bovina Marchigiana, carne di pecora di razza sopravvissana, ciauscolo-ciabuscolo-ciavuscolo, cicoli-ciccioli-sgrisciuli, coppa di testa-tortella, gallo ruspante, lonza-capocollo-scalmarita, lonzino-capolombo, mazzafegato-salsiccia matta, miaccio-miaggio-migliaccio, pancetta arrotolata, porchetta, prosciutto delle Marche, salame di soprassato o soppressato, salame lardellato, salsiccia, salsiccia di fegato, spalletta, tacchino bronzato rustico o nostrano o gallinaccio o dindo (e inoltre: diversi altri prodotti in altre tipologie, quali pani, dolci, ecc. ).

► Il patrimonio ambientale

La saldatura tra il paesaggio agrario e le zone non coltivate appare limitata nella percezione del territorio come un insieme sia nelle interviste che nei gruppi. Emerge costantemente un atteggiamento di grande attenzione verso i parchi e le aree protette, ma mancano due elementi chiave di lettura del paesaggio rurale non agricolo:

> sono scarsi i rilievi sui fenomeni di pericolo per il territorio, gli smottamenti, di dissesto, calancamenti e frane che si fanno sempre più frequenti. La connessione tra questi fenomeni di deterioramento del territorio reale e la desertificazioni di aree sparse dovute all‟abbandono, viene sottolineata in modo limitato;

> è mancata qualsiasi osservazione sul territorio come unità, dove il paesaggio agrario si salda anche con le micro – aree di selve, siepi, eco – sistemi di ruscelli e torrenti. La consapevolezza ambientale e della tutela del territorio rurale sembra rimanere al di qua della percezione del territorio come unità.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 140

Le miriadi di minuscoli ecosistemi, che sono, secondo le parole di Anselmi, una caratteristica del paesaggio agricolo marchigiano, non sembrano più avere un grande rilievo nella percezione. La, maggior parte dei partecipanti e degli intervistati pongono molta attenzione alle zone protette, ma le vedono come un patrimonio distinto totalmente dalle aree agricole e dal paesaggio “artificiato” prodotto da secoli di interventi. Inoltre in quasi tutti i casi di discussione è emerso una forte diffidenza nei confronti della gestione delle aree protette. I vincoli sono visti come lacci negativi, viene invocato l‟uso tradizionale. Ma questi sono posizioni note che abbiamo rilevato ancora una volta. Malgrado ci siano stati tentativi, scarsa è stata la rilevazione della posizione e dell‟interesse nei confronti dei micro – sistemi ambientali delle colline marchigiane che non solo sono di moda nel turismo, ma anche sono in linea con quell‟anima – unicità dei luoghi di cui si è accennato precedentemente. I prati, i sentieri, i fiori spontanei, gli odori, le siepi, i filari alberati di viti sopravvissuti all‟affermazione delle nuove tecniche, le selve dei ruscelli, le querce isoalte in piccoli insiemi. Tutte queste vere e proprie forme di espressione del territorio rurale sono lo specchio di un‟identità comunitaria.

► Il patrimonio culturale

Il patrimonio culturale, come fotografato dall‟indagine, è un ambito a cui si danno molte attenzioni, ma è molto diversificato. Le due distinzioni di grandi dimensioni si riferiscono al:

> il patrimonio architettonico territoriale con annesse opere d‟arte, musei, ecc.

> la tradizione popolare, la cultura materiale, la storia locale

Queste due categorie non sono affatto sufficienti a capire e registrare la realtà del patrimonio culturale. L‟unico sistema di catalogazione dei beni o delle iniziative è comprensibile solo se viene usata come unità il, paesaggio rurale nel quale i beni sono inseriti. In primo luogo emerge che il patrimonio di entrambi i generi, anche quello di tipo a) a livello dei cittadini locali, non è un tesoro interpretato in base alle regole della critica dell‟arte, ma un elemento vivo di storia nel senso generale. In altre parole, ogni luogo illustre per arte è un riferimento di memoria e uno strumento di ricostruzione della storia locale. Questo atteggiamento fortemente positivo, viene vissuto come scisso dall‟uso dei beni culturali stessi. L‟attitudine ambivalente consiste in un approccio fortemente tradizionale e provinciale, se i partecipanti pensavano ad una promozione del bene e , al contrario, ad una visione dinamica quando il bene è osservato e interpretato per “auto – consumo”. Le case rurali sono un caso a parte, dal momento che vengono ricostruite con finalità d‟uso completamente diverse da quelle del passato. E‟ indubbio che per i partecipanti esse costituiscono l‟elemento chiave del paesaggio culturale, visto che i “monumenti”sono prevalentemente concentrati nei borghi Altri beni vengono fuori che non sono, in genere considerati parte del patrimonio culturale:

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 141

> le piccole chiese e soprattutto i cippi di devozione sparsi nelle campagne dedicati alla Madonna e ai santi . La rilevanza di questi beni non è artistica in sé, ma storica, perché non vengono visti come una costruzione, ma vissuti per le storie infinite della vita locale che richiamano. E‟ questo patrimonio storico in pericolo di estinzione;

> le vecchie, piccole fabbriche sparse dell‟economia mezzadrile, abbandonate, per lo più, da molti anni;

Un limite registrato è la tendenza a vedere il proprio patrimonio come unico e in grado di competere con i monumenti maggiori.

► Le connessioni con il turismo

Il turismo è la forma prevalente di attività non agricola diffusa nelle aree rurali. E‟ il settore sul quale si deve puntare secondo tutti i partecipanti. I nodi emersi sono:

> quali iniziative sono necessarie perché i prodotti tipici possano sviluppare il turismo eno–gastronomico;

> il marketing territoriale non è solo vendita, ma riorganizzazione reale del territorio stesso su basi di qualità (Parco eno–gastronomico);

> quali strutture ricettive sono adeguate ad intercettare le domande articolate poste dai turisti rispetto agli ambienti rurali;

> quali attività possono garantire un rapporto costante con le varie forme di turismo e con le quote di popolazione urbana intenzionate a sviluppare un rapporto semi permanente con le aree rurali.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 142

ESEMPIO DI APPLICAZIONE: IL CAPITALE TERRITORIALE

La valutazione di sintesi

Una corretta e completa analisi del capitale territoriale può essere sviluppata solo da soggetti che conoscono profondamente il territorio in quanto l’identificazione di alcuni elementi materiali e/o immateriali che lo costituiscono potrebbero non essere colti da un valutatore esterno (es. la percezione di essere una comunità locale). A titolo esemplificativo si propone l’applicazione del percorso metodologico, adottato dal programma comunitario Leader, sulle aree sperimentali selezionate. Per i motivi suddetti, le valutazioni espresse sulle aree in questo capitolo sono da ritenersi parziali.

Sulla base del profilo territoriale e delle successive integrazioni informative è ora possibile valutare sinteticamente i capitali territoriali delle aree sperimentali adottando la seguente classificazione per ognuna delle otto componenti:

> nullo (valore 0) > pessimo (1) > scarso (2) > medio (3) > buono (4) > ottimo (5)

Trattandosi di un giudizio qualitativo, per renderlo meno soggettivo, andrebbe sviluppato coinvolgendo diversi soggetti interni ed esterni al territorio che abbiano avuto la possibilità di leggere e valutare il quadro delle informazioni raccolte. Lo schema nella pagina che segue sintetizza le valutazioni assegnate alle componenti delle singole aree. Si è trattato di una sperimentazione e quindi le valutazioni sono esemplificative; in ogni caso le motivazioni che hanno portato alla determinazione dei punteggi delle singole aree sono le seguenti:

1. nella prima area, grazie anche alla maggiore densità popolazione rispetto alle altre, sono presenti numerose competenze e il tessuto sociale ed economico si evidenzia nella presenza di numerose attività imprenditoriali ed l‟agricoltura è un elemento che ne caratterizza il paesaggio. Alcune produzioni tipiche, tra le quali spicca il vino, hanno consentito di instaurare intensi rapporti commerciali interni ed esterni all‟area e indirettamente promuove l‟immagine del territorio.

2. la seconda area è dotato di migliori risorse naturali e specificamente ambientale data la sua collocazione preappenninica. Per questo stesso motivo il tessuto sociale è disomogeneo differenziandosi notevolmente tra i comuni.

3. la terza area ha vissuto recentemente una fase storica difficile legata al terremoto del 1997 ma mostra caratteri di vitalità e ripresa ed una volontà di caratterizzarsi rispetto alle zone limitrofe. Buona la presenza di attività economiche ma in evidente declino quelle agricole.

4. è un‟area evidentemente rurale ma per certi versi remota, con problemi di accessibilità dall‟esterno. Da rilevare la percezione degli abitanti per il patrimonio storico-culturale che appare un elemento identificativo del territorio.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 143

5. la quinta ed ultima area è la più montana e per questo sicuramente la meno rurale tra quelle studiate. Il forte spopolamento vissuto nei decenni scorsi ha reso difficoltoso il mantenimento di una rete relazionale ed economica che ormai fa riferimento ai centri esterni all‟area.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 144

Area 1

0

1

2

3

4

5Risorse f isiche

Identità e cultura

Risorse umane

Competenze

Istituzioni e

amministrazioni

Imprese e attività

economiche

Mercati e relazioni

Immagine del territorio

Area 2

0

1

2

3

4

5Risorse f isiche

Identità e cultura

Risorse umane

Competenze

Istituzioni e

amministrazioni

Imprese e attività

economiche

Mercati e relazioni

Immagine del territorio

Area 3

0

1

2

3

4

5Risorse f isiche

Identità e cultura

Risorse umane

Competenze

Istituzioni e

amministrazioni

Imprese e attività

economiche

Mercati e relazioni

Immagine del territorio

Area 4

0

1

2

3

4

5Risorse f isiche

Identità e cultura

Risorse umane

Competenze

Istituzioni e

amministrazioni

Imprese e attività

economiche

Mercati e relazioni

Immagine del territorio

Area 5

0

1

2

3

4

5Risorse f isiche

Identità e cultura

Risorse umane

Competenze

Istituzioni e

amministrazioni

Imprese e attività

economiche

Mercati e relazioni

Immagine del territorio

Punteggio

0 = nullo

1 = pessimo

2 = scarso

3 = medio

4 = buono

5 = ottimo

Figura 28 - Valutazione delle componenti del capitale territoriale per area Fonte: nostra elaborazione

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La costruzione del progetto di

territorio

La valutazione del capitale territoriale, specie se comparata nel tempo, consente di evidenziare i punti di forza e debolezza di un sistema locale e quindi identificare le possibili strategie di sviluppo. Queste, quando è possibile, dovrebbero potenziare o quanto meno difendere le posizioni di vantaggio e attenuare quelle che segnalano un ritardo o una difficoltà. In questo contesto l‟orizzonte temporale non può che essere di medio lungo periodo e le azioni organizzate in un sistema articolato ed integrato di strategie ed obiettivi. Il progetto di territorio è il documento che descrive questi processi autonomi sotto il profilo operativo ma interconnessi nel raggiungimento dei risultati. In altre parole: il progetto non è solo un contenitore di idee ma individua la modalità con cui le azioni singole conseguono effetti comuni (effetto moltiplicatore). Senza questo approccio il progetto di territorio e quindi anche il Distretto Rurale avrebbe scarso significato e si limiterebbe a catalogare i singoli interessi. Il passaggio da un progetto contenitore ad un progetto integrato non è affatto semplice in quanto presuppone un interesse da parte della collettività a perseguire obiettivi comuni. Una delle possibilità è data dall‟individuazione di un tema catalizzatore attorno al quale dipanare le azioni di sviluppo. E‟ chiaro che questo tema centrale deve essere deciso dalla collettività e percepito come importante per lo sviluppo del territorio. L‟importanza si misura nella disponibilità a partecipare alle attività e nell‟essere coinvolti, anche finanziariamente, alle azioni che si intendono sviluppare. Una delle questioni di fondo è come cogliere questo interesse collettivo e come evitare che solo alcune componenti delle società locali si investano della responsabilità di rappresentare l‟intera comunità. Per il primo aspetto si ritiene che gli strumenti di analisi e partecipazione utilizzati per questo progetto, siano sufficienti a far emergere le questioni di interesse comune. Per il secondo aspetto, sicuramente delicato in quanto investe il sistema delle rappresentanze locali, è utile fare alcune considerazioni:

> un processo progettuale non può fare a meno di un gruppo di persone di riferimento che operativamente si occupa di costruire il piano strategico;

> questo gruppo di coordinamento deve avere una chiaro riconoscimento a livello locale e quindi capace di coinvolgere ampi settori della comunità;

> la sua azione deve essere supportata anche dall‟esterno e messa a confronto con altri gruppi analoghi di altre aree.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 146

La predisposizione di un piano strategico attorno ad un tema catalizzatore presuppone che sul territorio siano state intraprese tutte quelle attività di informazione, divulgazione e animazione, capaci di cogliere i caratteri del territorio e le sue potenzialità, ma anche gli interessi dei residenti e le loro aspettative. Raramente queste azioni nascono spontaneamente e che si costituiscano eventuali “comitati” capaci di attivare questi processi. Ciò di solito accade di fronte a specifici problemi che la comunità vede come minacce (es. comitato contro una eventuale discarica) ma in generale non esiste la percezione che il futuro di un territorio possa essere almeno in parte determinato dalla stessa comunità. Questo è tanto più vero quanto meno popolato è il territorio, tanto che in alcune aree interne, i decisori sono prevalentemente non residenti. La percezione di poter orientare le scelte di sviluppo del territorio è un fenomeno in espansione che evolve parallelamente alla crescita culturale delle popolazioni. Questo spiega in parte perché ora, rispetto al passato, un approccio come quello del Distretto Rurale potrebbe essere colto in maniera ampia e coinvolgente in quei territori dove più forte è la volontà collettiva di emergere e quindi non limitarsi ad avere un atteggiamento passivo rispetto agli eventi. In questo contesto la realizzazione di progetto di territorio partecipato e condiviso è un chiaro segnale di questa volontà. Il progetto sotto il profilo operativo dovrà essere costruito da un gruppo ristretto di persone, con il riconoscimento e l‟approvazione della comunità locale, che appoggiandosi eventualmente a competenze tecniche esterne, siano in grado di razionalizzare e sistematizzare le proposte del territorio. Le recenti disposizioni normative in tema di Distretto Rurale hanno prefigurato la nascita di un soggetto coordinatore dotato di personalità giuridica e se tale configurazione può per certi versi penalizzare i processi spontanei, sicuramente facilita i rapporti tra pubblico e privato attraverso la formalizzazione degli impegni e delle responsabilità. Nel progetto oltre agli obiettivi e alle strategie dovranno essere chiaramente specificati gli impegni dei singoli soggetti che aderiscono al programma, i risultati che si intendono raggiungere e le modalità con cui questi vengono verificati e valutati (monitoraggio e valutazione). Il lavoro che porta alla progettazione, ma soprattutto quello che permette di sviluppare gli interventi programmati, è sicuramente molto impegnativo e la sperimentazione ha messo in evidenza come le risorse umane e finanziarie siano scarse nelle aree interne, pertanto è opportuno un supporto esterno che si faccia carico di almeno una quota di questi oneri.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 147

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 149

APPENDICE A: STATISTICHE TERRITORIALI

Caratteristiche generali

Area Superficie territoriale

Superficie aziendale

SAU Altra

superficie

Marche 969.283 712.028 507.180 257.255

Ancona 194.016 145.865 119.798 48.151

Macerata 277.420 198.021 145.961 79.399

Area 1 8.662 7.432 6.351 1.230

Castelplanio 1.507 2.108 1.763 n.c.

Montecarotto 2.408 1.900 1.640 508

Poggio San Marcello 1.353 724 594 629

Rosora 942 867 693 75

Serra de' Conti 2.452 1.833 1.661 619

Area 2 12.294 8.332 5.754 3.962

Apiro 5.365 4.409 3.052 956

Mergo 726 411 316 315

Poggio San Vicino 1.291 862 366 429

Serra San Quirico 4.912 2.650 2.020 2.262

Area 3 12.783 6.950 4.429 5.833

Muccia 2.565 1.646 1.025 919

Pievebovigliana 2.733 1.101 729 1.632

Pieve Torina 7.485 4.203 2.675 3.282

Area 4 6.879 4.561 3.336 2.318

Gualdo 2.211 1.741 1.334 470

Monte San Martino 1.850 1.242 915 608

Penna San Giovanni 2.818 1.578 1.087 1.240

Area 5 13.846 10.360 3.756 3.486

Fiuminata 7.667 5.391 1.659 2.276

Pioraco 1.948 1.374 514 574

Sefro 4.231 3.595 1.583 636

Tabella 26 - Ripartizione della superficie territoriale nel 2000/2001 (ettari) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti popolazione e agricoltura

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 150

Area Superficie territoriale

Superficie aziendale

SAU Altra

superficie

Marche 100 73 52 27

Ancona 100 75 62 25

Macerata 100 71 53 29

Area 1 100 86 73 n.c.

Castelplanio 100 140 117 n.c.

Montecarotto 100 79 68 21

Poggio San Marcello 100 54 44 46

Rosora 100 92 74 8

Serra de' Conti 100 75 68 25

Area 2 100 68 47 32

Apiro 100 82 57 18

Mergo 100 57 44 43

Poggio San Vicino 100 67 28 33

Serra San Quirico 100 54 41 46

Area 3 100 54 35 46

Muccia 100 64 40 36

Pievebovigliana 100 40 27 60

Pieve Torina 100 56 36 44

Area 4 100 66 48 34

Gualdo 100 79 60 21

Monte San Martino 100 67 49 33

Penna San Giovanni 100 56 39 44

Area 5 100 75 27 25

Fiuminata 100 70 22 30

Pioraco 100 71 26 29

Sefro 100 85 37 15

Tabella 27 - Ripartizione della superficie territoriale nel 2000/2001 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti popolazione e agricoltura

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 151

Area Superficie territoriale

Superficie aziendale

SAU Altra

superficie

Marche 969.283 793.919 549.143 175.364

Ancona 194.016 160.398 126.590 33.618

Macerata 277.420 228.071 156.192 49.349

Area 1 8.662 7.274 6.164 n.c.

Castelplanio 1.507 1.692 1.383 n.c.

Montecarotto 2.408 1.892 1.615 516

Poggio San Marcello 1.353 767 634 586

Rosora 942 631 485 311

Serra de' Conti 2.452 2.292 2.047 160

Area 2 12.294 8.843 6.314 3.451

Apiro 5.365 4.695 3.691 670

Mergo 726 406 311 320

Poggio San Vicino 1.291 874 332 417

Serra San Quirico 4.912 2.868 1.980 2.044

Area 3 12.783 10.327 6.572 n.c.

Muccia 2.565 3.015 2.151 n.c.

Pievebovigliana 2.733 1.743 1.013 990

Pieve Torina 7.485 5.569 3.408 1.916

Area 4 6.879 5.214 3.645 1.665

Gualdo 2.211 2.011 1.456 200

Monte San Martino 1.850 1.288 889 562

Penna San Giovanni 2.818 1.915 1.300 903

Area 5 13.846 12.746 4.529 1.100

Fiuminata 7.667 6.992 2.475 675

Pioraco 1.948 1.632 676 316

Sefro 4.231 4.122 1.378 109

Tabella 28 - Ripartizione della superficie territoriale nel 1990/1991 (ettari) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti popolazione e agricoltura

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Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 152

Area Superficie territoriale

Superficie aziendale

SAU Altra

superficie

Marche 100 82 57 18,1

Ancona 100 83 65 17,3

Macerata 100 82 56 17,8

Area 1 100 84 71 n.c.

Castelplanio 100 112 92 n.c.

Montecarotto 100 79 67 21,4

Poggio San Marcello 100 57 47 43,3

Rosora 100 67 51 33,0

Serra de' Conti 100 93 83 6,5

Area 2 100 72 51 28,1

Apiro 100 88 69 12,5

Mergo 100 56 43 44,1

Poggio San Vicino 100 68 26 32,3

Serra San Quirico 100 58 40 41,6

Area 3 100 81 51 n.c.

Muccia 100 118 84 n.c.

Pievebovigliana 100 64 37 36,2

Pieve Torina 100 74 46 25,6

Area 4 100 76 53 24,2

Gualdo 100 91 66 9,0

Monte San Martino 100 70 48 30,4

Penna San Giovanni 100 68 46 32,0

Area 5 100 92 33 7,9

Fiuminata 100 91 32 8,8

Pioraco 100 84 35 16,2

Sefro 100 97 33 2,6

Tabella 29 - Ripartizione della superficie territoriale nel 1990/1991 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti popolazione e agricoltura

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 153

Area Superficie territoriale

Superficie aziendale

SAU Altra

superficie

Marche 0 -81.891 -41.963 81.891

Ancona 0 -14.533 -6.792 14.533

Macerata 0 -30.050 -10.231 30.050

Area 1 0 158 187 n.c.

Castelplanio 0 416 380 n.c.

Montecarotto 0 8 25 -8

Poggio San Marcello 0 -43 -40 43

Rosora 0 236 208 -236

Serra de' Conti 0 -459 -386 459

Area 2 0 -511 -560 511

Apiro 0 -286 -639 286

Mergo 0 5 5 -5

Poggio San Vicino 0 -12 34 12

Serra San Quirico 0 -218 40 218

Area 3 0 -3.377 -2.143 n.c.

Muccia 0 -1.369 -1.126 n.c.

Pievebovigliana 0 -642 -284 642

Pieve Torina 0 -1.366 -733 1.366

Area 4 0 -653 -309 653

Gualdo 0 -270 -122 270

Monte San Martino 0 -46 26 46

Penna San Giovanni 0 -337 -213 337

Area 5 0 -2.386 -773 2.386

Fiuminata 0 -1.601 -816 1.601

Pioraco 0 -258 -162 258

Sefro 0 -527 205 527

Tabella 30 - Ripartizione della superficie territoriale, variazioni intercensuarie (ettari) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti popolazione e agricoltura

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Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 154

Area Superficie territoriale

Superficie aziendale

SAU Altra

superficie

Marche 0,0 -10,3 -7,6 46,7

Ancona 0,0 -9,1 -5,4 43,2

Macerata 0,0 -13,2 -6,6 60,9

Area 1 0,0 2,2 3,0 n.c.

Castelplanio 0,0 24,6 27,5 n.c.

Montecarotto 0,0 0,4 1,5 -1,6

Poggio San Marcello 0,0 -5,6 -6,3 7,3

Rosora 0,0 37,4 42,9 -75,9

Serra de' Conti 0,0 -20,0 -18,9 286,9

Area 2 0,0 -5,8 -8,9 14,8

Apiro 0,0 -6,1 -17,3 42,7

Mergo 0,0 1,2 1,6 -1,6

Poggio San Vicino 0,0 -1,4 10,2 2,9

Serra San Quirico 0,0 -7,6 2,0 10,7

Area 3 0,0 -32,7 -32,6 n.c.

Muccia 0,0 -45,4 -52,3 n.c.

Pievebovigliana 0,0 -36,8 -28,0 64,8

Pieve Torina 0,0 -24,5 -21,5 71,3

Area 4 0,0 -12,5 -8,5 39,2

Gualdo 0,0 -13,4 -8,4 135,0

Monte San Martino 0,0 -3,6 2,9 8,2

Penna San Giovanni 0,0 -17,6 -16,4 37,3

Area 5 0,0 -18,7 -17,1 217,0

Fiuminata 0,0 -22,9 -33,0 237,4

Pioraco 0,0 -15,8 -24,0 81,9

Sefro 0,0 -12,8 14,9 481,2

Tabella 31 - Ripartizione della superficie territoriale, variazioni intercensuarie (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti popolazione e agricoltura

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Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 155

Insediamenti e infrastrutture

Area Centri Nuclei Case sparse Totale

Marche 1.149.987 64.224 214.994 1.429.205

Ancona 368.985 12.486 55.792 437.263

Macerata 225.770 14.955 54.756 295.481

Area 1 8.422 98 2.444 10.964

Castelplanio 2.572 7 493 3.072

Montecarotto 1.583 0 598 2.181

Poggio San Marcello 385 40 348 773

Rosora 1.345 51 230 1.626

Serra de' Conti 2.537 0 775 3.312

Area 2 4.145 636 1.943 6.724

Apiro 1.255 308 937 2.500

Mergo 669 0 206 875

Poggio San Vicino 136 76 96 308

Serra San Quirico 2.085 252 704 3.041

Area 3 2.218 601 285 3.104

Muccia 602 148 83 833

Pievebovigliana 607 176 107 890

Pieve Torina 1.009 277 95 1.381

Area 4 1.328 574 1.259 3.161

Gualdo 370 76 519 965

Monte San Martino 261 194 365 820

Penna San Giovanni 697 304 375 1.376

Area 5 2.752 523 95 3.370

Fiuminata 1.137 386 47 1.570

Pioraco 1.219 64 34 1.317

Sefro 396 73 14 483

Tabella 32 - Distribuzione della popolazione residente nel 1991 (unità) Fonte: ISTAT – Censimentio popolazione 1991

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Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 156

Area Centri Nuclei Case sparse Totale

Marche 80 4,5 15,0 100

Ancona 84 2,9 12,8 100

Macerata 76 5,1 18,5 100

Area 1 77 0,9 22,3 100

Castelplanio 84 0,2 16,0 100

Montecarotto 73 0,0 27,4 100

Poggio San Marcello 50 5,2 45,0 100

Rosora 83 3,1 14,1 100

Serra de' Conti 77 0,0 23,4 100

Area 2 62 9,5 28,9 100

Apiro 50 12,3 37,5 100

Mergo 76 0,0 23,5 100

Poggio San Vicino 44 24,7 31,2 100

Serra San Quirico 69 8,3 23,2 100

Area 3 71 19,4 9,2 100

Muccia 72 17,8 10,0 100

Pievebovigliana 68 19,8 12,0 100

Pieve Torina 73 20,1 6,9 100

Area 4 42 18,2 39,8 100

Gualdo 38 7,9 53,8 100

Monte San Martino 32 23,7 44,5 100

Penna San Giovanni 51 22,1 27,3 100

Area 5 81,7 15,5 2,8 100

Fiuminata 72,4 24,6 3,0 100

Pioraco 92,6 4,9 2,6 100

Sefro 82,0 15,1 2,9 100

Tabella 33 - Distribuzione della popolazione residente nel 1991 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti popolazione

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 157

Area Totale

abitazioni Occupate

di cui

Nuove (<= 5 anni)

In proprietà

Marche 616.615 483.526 17.356 365.181

Ancona 186.650 151.848 6.669 112.337

Macerata 129.895 98.419 3.093 75.499

Area 1 5.139 3.856 142 3.059

Castelplanio 1.460 1.099 61 864

Montecarotto 1.010 732 32 597

Poggio San Marcello 496 304 7 246

Rosora 751 582 19 450

Serra de' Conti 1.422 1.139 23 902

Area 2 3.236 2.357 82 1.851

Apiro 1.307 844 29 673

Mergo 409 295 23 219

Poggio San Vicino 200 115 4 97

Serra San Quirico 1.320 1.103 26 862

Area 3 2.334 1.198 31 929

Muccia 525 308 12 243

Pievebovigliana 651 360 11 269

Pieve Torina 1.158 530 8 417

Area 4 1.697 1.101 12 885

Gualdo 618 332 5 284

Monte San Martino 336 252 5 192

Penna San Giovanni 743 517 2 409

Area 5 2.426 1.356 31 1.113

Fiuminata 1.265 617 22 523

Pioraco 745 532 9 391

Sefro 416 207 0 199

Tabella 34 - Abitazioni totali, occupate, nuove e in proprietà nel 1991 (numero) Fonte: ISTAT – Censimento popolazione 1991

Page 158: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 158

Area Totale

abitazioni Occupate

di cui

Nuove (<= 5 anni)

In proprietà

Marche 100 78 3,6 76

Ancona 100 81 4,4 74

Macerata 100 76 3,1 77

Area 1 100 75 3,7 79

Castelplanio 100 75 5,6 79

Montecarotto 100 72 4,4 82

Poggio San Marcello 100 61 2,3 81

Rosora 100 77 3,3 77

Serra de' Conti 100 80 2,0 79

Area 2 100 73 3,5 79

Apiro 100 65 3,4 80

Mergo 100 72 7,8 74

Poggio San Vicino 100 58 3,5 84

Serra San Quirico 100 84 2,4 78

Area 3 100 51 2,6 78

Muccia 100 59 3,9 79

Pievebovigliana 100 55 3,1 75

Pieve Torina 100 46 1,5 79

Area 4 100 65 1,1 80

Gualdo 100 54 1,5 86

Monte San Martino 100 75 2,0 76

Penna San Giovanni 100 70 0,4 79

Area 5 100 56 2 82

Fiuminata 100 49 4 85

Pioraco 100 71 2 73

Sefro 100 50 0 96

Tabella 35 - Abitazioni totali, occupate, nuove e in proprietà nel 1991 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimento popolazione 1991

Page 159: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 159

Are

a

Comuni Area di

accessi-bilità (ha)

Globale Comune

Area (ha) Popolazione (ab) 79

Area (ha) Popolazione (ab)

1

Castelplanio 37227.67

60363.66 73137 47172.85 66666

Montecarotto 32783.85

Poggio San Marcello

32841.54

Rosora 35276.72

Serra de‟ Conti 33340.80

2

Apiro 23941.10

58925.46 75680 38246.28 27058

Mergo 36086.75

Poggio San Vicino 17777.56

Serra San Quirico 36932.98

3

Muccia 27926.86

44527.32 15018 24692.27 9728 Pieve Torina 27249.05

Pievebovigliana 29710.35

4

Gualdo 17572.72

28120.69 13650 9180.83 5376 Monte San Martino 7595.18

Penna San Giovanni

14353.79

5

Fiuminata 22330.30

27161.01 23726 20254.79 7526 Pioraco 24837.92

Sefro 10698.92

Tabella 36 - Indicatori dell’accessibilità per area Fonte: nostra elaborazione su dati De Agostini e ISTAT

79

Sono esclusi dal calcolo della popolazione gli abitanti nelle “case sparse”.

Page 160: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 160

Evoluzione demografica

Area 1981 1991 2001

Marche 1.412.404 1.429.205 1.470.581

Ancona 433.417 437.263 448.473

Macerata 292.932 295.481 301.523

Area 1 10.955 10.964 11.348

Castelplanio 3.107 3.072 3.223

Montecarotto 2.399 2.181 2.176

Poggio San Marcello 762 773 737

Rosora 1.558 1.626 1.748

Serra de' Conti 3.129 3.312 3.464

Area 2 6.984 6.724 6.720

Apiro 2.624 2.500 2.431

Mergo 845 875 970

Poggio San Vicino 342 308 303

Serra San Quirico 3.173 3.041 3.016

Area 3 3.273 3.104 3.165

Muccia 812 833 907

Pievebovigliana 944 890 879

Pieve Torina 1.517 1.381 1.379

Area 4 3.471 3.161 3.042

Gualdo 1.058 965 920

Monte San Martino 876 820 820

Penna San Giovanni 1.537 1.376 1.302

Area 5 3.703 3.370 3.268

Fiuminata 1.698 1.570 1.604

Pioraco 1.460 1.317 1.231

Sefro 545 483 433

Tabella 37 - Popolazione residente per anno (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 161: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 161

Area 1981 1991 2001

Marche 100 101 104

Ancona 100 101 103

Macerata 100 101 103

Area 1 100 100 104

Castelplanio 100 99 104

Montecarotto 100 91 91

Poggio San Marcello 100 101 97

Rosora 100 104 112

Serra de' Conti 100 106 111

Area 2 100 96 96

Apiro 100 95 93

Mergo 100 104 115

Poggio San Vicino 100 90 89

Serra San Quirico 100 96 95

Area 3 100 95 97

Muccia 100 103 112

Pievebovigliana 100 94 93

Pieve Torina 100 91 91

Area 4 100 91 88

Gualdo 100 91 87

Monte San Martino 100 94 94

Penna San Giovanni 100 90 85

Area 5 100 91 88

Fiuminata 100 92 94

Pioraco 100 90 84

Sefro 100 89 79

Tabella 38 - Popolazione residente per anno (1981=100) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 162: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 162

Area 1981 1991 2001

Marche 100 100 100

Ancona 31 31 30

Macerata 21 21 21

Area 1 0,78 0,77 0,77

Castelplanio 0,22 0,21 0,22

Montecarotto 0,17 0,15 0,15

Poggio San Marcello 0,05 0,05 0,05

Rosora 0,11 0,11 0,12

Serra de' Conti 0,22 0,23 0,24

Area 2 0,49 0,47 0,46

Apiro 0,19 0,17 0,17

Mergo 0,06 0,06 0,07

Poggio San Vicino 0,02 0,02 0,02

Serra San Quirico 0,22 0,21 0,21

Area 3 0,23 0,22 0,22

Muccia 0,06 0,06 0,06

Pievebovigliana 0,07 0,06 0,06

Pieve Torina 0,11 0,10 0,09

Area 4 0,25 0,22 0,21

Gualdo 0,07 0,07 0,06

Monte San Martino 0,06 0,06 0,06

Penna San Giovanni 0,11 0,10 0,09

Area 5 0,26 0,24 0,22

Fiuminata 0,12 0,11 0,11

Pioraco 0,10 0,09 0,08

Sefro 0,04 0,03 0,03

Tabella 39 - Popolazione residente per anno (Marche=100) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 163: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 163

Area 1981 1991 2001

Marche 146 147 152

Ancona 223 225 231

Macerata 106 107 109

Area 1 126 127 131

Castelplanio 206 204 214

Montecarotto 100 91 90

Poggio San Marcello 56 57 54

Rosora 165 173 186

Serra de' Conti 128 135 141

Area 2 57 55 55

Apiro 49 47 45

Mergo 116 121 134

Poggio San Vicino 26 24 23

Serra San Quirico 65 62 61

Area 3 26 24 25

Muccia 32 32 35

Pievebovigliana 35 33 32

Pieve Torina 20 18 18

Area 4 50 46 44

Gualdo 48 44 42

Monte San Martino 47 44 44

Penna San Giovanni 55 49 46

Area 5 27 24 24

Fiuminata 22 20 21

Pioraco 75 68 63

Sefro 13 11 10

Tabella 40 - Densità della popolazione per anno (residenti/kmq) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 164: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 164

Area < 5 5-9 10-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 >= 75 Totale

Marche

61.945

62.703

65.163

154.228

216.417

218.079

193.915

177.476

168.371

152.284

1.470.581

Ancona

18.784

18.600

18.649

46.090

66.869

65.757

59.818

54.892

51.592

47.422

448.473

Macerata

12.564

12.872

13.534

31.625

42.929

43.854

39.676

36.152

35.539

32.778

301.523

Area 1

492

432

499

1.218

1.671

1.591

1.440

1.371

1.382

1.252 11.348

Castelplanio

148

112

145

346

498

475

404

397

365

333

3.223

Montecarotto

89

78

79

222

310

276

266

278

282

296

2.176 Poggio San Marcello

31

30

43

65

78

112

79

73

116

110

737

Rosora

69

62

90

190

259

270

229

198

218

163

1.748

Serra de' Conti

155

150

142

395

526

458

462

425

401

350

3.464

Area 2 273

260

302

695

879

968

790

752

904

897

6.720

Apiro

86

105

124

243

297

370

268

264

339

335

2.431

Mergo

43

41

51

101

119

159

113

100

118

125

970

Poggio San Vicino

11

7

10

24

46

32

37

39

52

45

303

Serra San Quirico

133

107

117

327

417

407

372

349

395

392

3.016

Area 3 110

139

125

328

373

439

410

338

450

453

3.165

Muccia

27

48

38

98

99

147

123

89

122

116

907

Pievebovigliana

29

36

40

92

86

133

108

82

124

149

879

Pieve Torina

54

55

47

138

188

159

179

167

204

188

1.379

Area 4 98

116

122

306

344

381

429

337

376

533

3.042

Gualdo

33

24

32

105

100

103

147

100

125

151

920

Monte San Martino

34

44

42

83

116

114

116

86

82

103

820

Penna San Giovanni

31

48

48

118

128

164

166

151

169

279

1.302

Area 5 104 122 112 284 402 444 392 369 484 555 3.268

Fiuminata 54 55 45 145 228 218 200 180 239 240

1.604

Pioraco 38 53 55 98 135 169 147 144 168 224 1.231

Sefro 12 14 12 41 39 57 45 45 77 91 433

Tabella 41 - Popolazione residente per classe di età nel 2001 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 165: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 165

Area < 5 5-9 10-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 >= 75 Totale

Marche

4,2

4,3

4,4

10,5

14,7

14,8

13,2

12,1

11,4

10,4

100

Ancona

4,2

4,1

4,2

10,3

14,9

14,7

13,3

12,2

11,5

10,6

100

Macerata

4,2

4,3

4,5

10,5

14,2

14,5

13,2

12,0

11,8

10,9

100

Area 1

4,3

3,8

4,4

10,7

14,7

14,0

12,7

12,1

12,2

11,0

100

Castelplanio

4,6

3,5

4,5

10,7

15,5

14,7

12,5

12,3

11,3

10,3

100

Montecarotto

4,1

3,6

3,6

10,2

14,2

12,7

12,2

12,8

13,0

13,6

100 Poggio San Marcello

4,2

4,1

5,8

8,8

10,6

15,2

10,7

9,9

15,7

14,9

100

Rosora

3,9

3,5

5,1

10,9

14,8

15,4

13,1

11,3

12,5

9,3

100

Serra de' Conti

4,5

4,3

4,1

11,4

15,2

13,2

13,3

12,3

11,6

10,1

100

Area 2 4,1

3,9

4,5

10,3

13,1

14,4

11,8

11,2

13,5

13,3

100

Apiro

3,5

4,3

5,1

10,0

12,2

15,2

11,0

10,9

13,9

13,8

100

Mergo

4,4

4,2

5,3

10,4

12,3

16,4

11,6

10,3

12,2

12,9

100

Poggio San Vicino

3,6

2,3

3,3

7,9

15,2

10,6

12,2

12,9

17,2

14,9

100

Serra San Quirico

4,4

3,5

3,9

10,8

13,8

13,5

12,3

11,6

13,1

13,0

100

Area 3 3,5

4,4

3,9

10,4

11,8

13,9

13,0

10,7

14,2

14,3

100

Muccia

3,0

5,3

4,2

10,8

10,9

16,2

13,6

9,8

13,5

12,8

100

Pievebovigliana

3,3

4,1

4,6

10,5

9,8

15,1

12,3

9,3

14,1

17,0

100

Pieve Torina

3,9

4,0

3,4

10,0

13,6

11,5

13,0

12,1

14,8

13,6

100

Area 4 3,2

3,8

4,0

10,1

11,3

12,5

14,1

11,1

12,4

17,5

100

Gualdo

3,6

2,6

3,5

11,4

10,9

11,2

16,0

10,9

13,6

16,4

100

Monte San Martino

4,1

5,4

5,1

10,1

14,1

13,9

14,1

10,5

10,0

12,6

100

Penna San Giovanni

2,4

3,7

3,7

9,1

9,8

12,6

12,7

11,6

13,0

21,4

100

Area 5 3,2

3,7

3,4

8,7

12,3

13,6

12,0

11,3

14,8

17,0

100,0

Fiuminata

3,4

3,4

2,8

9,0

14,2

13,6

12,5

11,2

14,9

15,0

100

Pioraco

3,1

4,3

4,5

8,0

11,0

13,7

11,9

11,7

13,6

18,2

100,0

Sefro

2,8

3,2

2,8

9,5

9,0

13,2

10,4

10,4

17,8

21,0

100,0

Tabella 42 - Popolazione residente per classe di età nel 2001 (% sul totale) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 166: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 166

Area < 5 5-9 10-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 >= 75 Totale

Marche

60.286

64.866

77.634

197.213

208.593

191.582

180.532

183.814

147.173

117.512

1.429.205

Ancona

17.339

18.844

23.608

60.249

62.671

58.994

56.221

56.435

45.904

36.998

437.263

Macerata

12.509

13.529

15.584

38.650

42.435

39.574

36.922

38.822

31.252

26.204

295.481

Area 1

442

520

561

1.446

1.507

1.416

1.384

1.488

1.229

971

10.964

Castelplanio

127

141

146

426

443

410

383

396

338

262

3.072

Montecarotto

66

94

121

289

267

248

292

303

285

216

2.181 Poggio San Marcello

40

28

32

74

112

80

74

133

109

91

773

Rosora

73

88

83

215

243

227

191

214

167

125

1.626

Serra de' Conti

136

169

179

442

442

451

444

442

330

277

3.312

Area 2 274

316

354

796

953

784

736

972

849

690

6.724

Apiro

112

132

113

277

369

278

256

369

332

262

2.500

Mergo

40

43

46

107

123

107

88

114

100

107

875

Poggio San Vicino

8

8

11

44

35

38

37

48

36

43

308

Serra San Quirico

114

133

184

368

426

361

355

441

381

278

3.041

Area 3 112

139

160

328

413

380

321

459

404

388

3.104

Muccia

32

42

49

76

125

108

95

113

104

89

833

Pievebovigliana

34

42

37

73

137

105

65

136

151

110

890

Pieve Torina

46

55

74

179

151

167

161

210

149

189

1.381

Area 4 115

131

162

314

399

399

334

413

496

398

3.161

Gualdo

36

45

59

91

112

138

96

129

138

121

965

Monte San Martino

31

27

51

105

116

104

90

95

111

90

820

Penna San Giovanni

48

59

52

118

171

157

148

189

247

187

1.376

Area 5 111 122 131 350 417 375 344 500 490 530 3.370

Fiuminata 43 59 73 180 196 181 159 231 199 249 1.570

Pioraco 53 46 41 134 170 151 142 191 214 175 1.317

Sefro 15 17 17 36 51 43 43 78 77 106 483

Tabella 43 - Popolazione residente per classe di età nel 1991 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 167: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 167

Area < 5 5 - 9 10-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65 74 >= 75 Totale

Marche

4,2

4,5

5,4

13,8

14,6

13,4

12,6

12,9

10,3

8,2

100

Ancona

4,0

4,3

5,4

13,8

14,3

13,5

12,9

12,9

10,5

8,5

100

Macerata

4,2

4,6

5,3

13,1

14,4

13,4

12,5

13,1

10,6

8,9

100

Area 1

4,0

4,7

5,1

13,2

13,7

12,9

12,6

13,6

11,2

8,9

100

Castelplanio

4,1

4,6

4,8

13,9

14,4

13,3

12,5

12,9

11,0

8,5

100

Montecarotto

3,0

4,3

5,5

13,3

12,2

11,4

13,4

13,9

13,1

9,9

100 Poggio San Marcello

5,2

3,6

4,1

9,6

14,5

10,3

9,6

17,2

14,1

11,8

100

Rosora

4,5

5,4

5,1

13,2

14,9

14,0

11,7

13,2

10,3

7,7

100

Serra de' Conti

4,1

5,1

5,4

13,3

13,3

13,6

13,4

13,3

10,0

8,4

100

Area 2 4,1

4,7

5,3

11,8

14,2

11,7

10,9

14,5

12,6

10,3

100

Apiro

4,5

5,3

4,5

11,1

14,8

11,1

10,2

14,8

13,3

10,5

100

Mergo

4,6

4,9

5,3

12,2

14,1

12,2

10,1

13,0

11,4

12,2

100

Poggio San Vicino

2,6

2,6

3,6

14,3

11,4

12,3

12,0

15,6

11,7

14,0

100

Serra San Quirico

3,7

4,4

6,1

12,1

14,0

11,9

11,7

14,5

12,5

9,1

100

Area 3 3,6

4,5

5,2

10,6

13,3

12,2

10,3

14,8

13,0

12,5

100

Muccia

3,8

5,0

5,9

9,1

15,0

13,0

11,4

13,6

12,5

10,7

100

Pievebovigliana

3,8

4,7

4,2

8,2

15,4

11,8

7,3

15,3

17,0

12,4

100

Pieve Torina

3,3

4,0

5,4

13,0

10,9

12,1

11,7

15,2

10,8

13,7

100

Area 4 3,6

4,1

5,1 9,9

12,6

12,6

10,6

13,1

15,7

12,6

100

Gualdo

3,7

4,7

6,1

9,4

11,6

14,3

9,9

13,4

14,3

12,5

100

Monte San Martino

3,8

3,3

6,2

12,8

14,1

12,7

11,0

11,6

13,5

11,0

100

Penna San Giovanni

3,5

4,3

3,8

8,6

12,4

11,4

10,8

13,7

18,0

13,6

100

Area 5 3,3

3,6

3,9

10,4

12,4

11,1

10,2

14,8

14,5

15,7

100,0

Fiuminata

2,7

3,8

4,6

11,5

12,5

11,5

10,1

14,7

12,7

15,9

100

Pioraco

4,0

3,5

3,1

10,2

12,9

11,5

10,8

14,5

16,2

13,3

100

Sefro

3,1

3,5

3,5

7,5

10,6

8,9

8,9

16,1

15,9

21,9

100

Tabella 44 - Popolazione residente per classe di età nel 1991 (% sul totale) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 168: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 168

Area < 5 5-9 10-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 >= 75 Totale

Marche 1.659 -2.163 -12.471 -42.985 7.824 26.497 13.383 -6.338 21.198 34.772 41.376

Ancona 1.445 -244 -4.959 -14.159 4.198 6.763 3.597 -1.543 5.688 10.424 11.210

Macerata 55 -657 -2.050 -7.025 494 4.280 2.754 -2.670 4.287 6.574 6.042

Area 1 50 -88 -62 -228 164 175 56 -117 153 281 384

Castelplanio 21 -29 -1 -80 55 65 21 1 27 71 151

Montecarotto 23 -16 -42 -67 43 28 -26 -25 -3 80 -5

Poggio San Marcello -9 2 11 -9 -34 32 5 -60 7 19 -36

Rosora -4 -26 7 -25 16 43 38 -16 51 38 122

Serra de' Conti 19 -19 -37 -47 84 7 18 -17 71 73 152

Area 2 -1 -56 -52 -101 -74 184 54 -220 55 207 -4

Apiro -26 -27 11 -34 -72 92 12 -105 7 73 -69

Mergo 3 -2 5 -6 -4 52 25 -14 18 18 95

Poggio San Vicino 3 -1 -1 -20 11 -6 0 -9 16 2 -5

Serra San Quirico 19 -26 -67 -41 -9 46 17 -92 14 114 -25

Area 3 -2 0 -35 0 -40 59 89 -121 46 65 61

Muccia -5 6 -11 22 -26 39 28 -24 18 27 74

Pievebovigliana -5 -6 3 19 -51 28 43 -54 -27 39 -11

Pieve Torina 8 0 -27 -41 37 -8 18 -43 55 -1 -2

Area 4 -17 -15 -40 -8 -55 -18 95 -76 -120 135 -119

Gualdo -3 -21 -27 14 -12 -35 51 -29 -13 30 -45 Monte San Martino 3 17 -9 -22 0 10 26 -9 -29 13 0 Penna San Giovanni -17 -11 -4 0 -43 7 18 -38 -78 92 -74

Area 5 -7 0 -19 -66 -15 69 48 -131 -6 25 -102

Fiuminata 11 -4 -28 -35 32 37 41 -51 40 -9 34

Pioraco -15 7 14 -36 -35 18 5 -47 -46 49 -86

Sefro -3 -3 -5 5 -12 14 2 -33 0 -15 -50

Tabella 45 - Popolazione residente per classe di età, variazioni 1991-2001 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 169: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 169

Area < 5 5-9 10-14 15-24 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 >= 75 Totale

Marche 2,8 -3,3 -16,1 -21,8 3,8 13,8 7,4 -3,4 14,4 29,6 2,9

Ancona 8,3 -1,3 -21,0 -23,5 6,7 11,5 6,4 -2,7 12,4 28,2 2,6

Macerata 0,4 -4,9 -13,2 -18,2 1,2 10,8 7,5 -6,9 13,7 25,1 2,0

Area 1 11,3 -16,9 -11,1 -15,8 10,9 12,4 4,0 -7,9 12,4 28,9 3,5

Castelplanio 16,5 -20,6 -0,7 -18,8 12,4 15,9 5,5 0,3 8,0 27,1 4,9

Montecarotto 34,8 -17,0 -34,7 -23,2 16,1 11,3 -8,9 -8,3 -1,1 37,0 -0,2

Poggio San Marcello -22,5 7,1 34,4 -12,2 -30,4 40,0 6,8 -45,1 6,4 20,9 -4,7

Rosora -5,5 -29,5 8,4 -11,6 6,6 18,9 19,9 -7,5 30,5 30,4 7,5

Serra de' Conti 14,0 -11,2 -20,7 -10,6 19,0 1,6 4,1 -3,8 21,5 26,4 4,6

Area 2 -0,4 -17,7 -14,7 -12,7 -7,8 23,5 7,3 -22,6 6,5 30,0 -0,1

Apiro -23,2 -20,5 9,7 -12,3 -19,5 33,1 4,7 -28,5 2,1 27,9 -2,8

Mergo 7,5 -4,7 10,9 -5,6 -3,3 48,6 28,4 -12,3 18,0 16,8 10,9

Poggio San Vicino 37,5 -12,5 -9,1 -45,5 31,4 -15,8 0,0 -18,8 44,4 4,7 -1,6

Serra San Quirico 16,7 -19,5 -36,4 -11,1 -2,1 12,7 4,8 -20,9 3,7 41,0 -0,8

Area 3 -1,8 0,0 -21,9 0,0 -9,7 15,5 27,7 -26,4 11,4 16,8 2,0

Muccia -15,6 14,3 -22,4 28,9 -20,8 36,1 29,5 -21,2 17,3 30,3 8,9

Pievebovigliana -14,7 -14,3 8,1 26,0 -37,2 26,7 66,2 -39,7 -17,9 35,5 -1,2

Pieve Torina 17,4 0,0 -36,5 -22,9 24,5 -4,8 11,2 -20,5 36,9 -0,5 -0,1

Area 4 -14,8 -11,5 -24,7 -2,5 -13,8 -4,5 28,4 -18,4 -24,2 33,9 -3,8

Gualdo -8,3 -46,7 -45,8 15,4 -10,7 -25,4 53,1 -22,5 -9,4 24,8 -4,7 Monte San Martino 9,7 63,0 -17,6 -21,0 0,0 9,6 28,9 -9,5 -26,1 14,4 0,0 Penna San Giovanni -35,4 -18,6 -7,7 0,0 -25,1 4,5 12,2 -20,1 -31,6 49,2 -5,4

Area 5 -6,3 0,0 -14,5 -18,9 -3,6 18,4 14,0 -26,2 -1,2 4,7 -3,0

Fiuminata 25,6 -6,8 -38,4 -19,4 16,3 20,4 25,8 -22,1 20,1 -3,6 2,2

Pioraco -28,3 15,2 34,1 -26,9 -20,6 11,9 3,5 -24,6 -21,5 28,0 -6,5

Sefro -20,0 -17,6 -29,4 13,9 -23,5 32,6 4,7 -42,3 0,0 -14,2 -10,4

Tabella 46 - Popolazione residente per classe di età, variazioni 1991-2001 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 170: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 170

Area Indice di

dipendenza Indice di vecchiaia

Componenti per famiglia

Marche 0,53 1,69 2,7

Ancona 0,53 1,77 2,7

Macerata 0,55 1,75 2,6

Area 1 0,56 1,85 2,6

Castelplanio 0,52 1,72 2,6

Montecarotto 0,61 2,35 2,6

Poggio San Marcello 0,81 2,17 2,4

Rosora 0,53 1,72 2,6

Serra de' Conti 0,53 1,68 2,7

Area 2 0,65 2,16 2,5

Apiro 0,69 2,14 2,7

Mergo 0,64 1,80 2,6

Poggio San Vicino 0,70 3,46 2,4

Serra San Quirico 0,61 2,20 2,5

Area 3 0,68 2,41 2,5

Muccia 0,63 2,11 2,5

Pievebovigliana 0,75 2,60 2,5

Pieve Torina 0,66 2,51 2,5

Area 4 0,69 2,71 2,7

Gualdo 0,66 3,10 2,6

Monte San Martino 0,59 1,54 3,0

Penna San Giovanni 0,79 3,53 2,5

Area 5 0,73 3,07 2,2

Fiuminata 0,65 3,11 2,3

Pioraco 0,78 2,68 2,1

Sefro 0,91 4,42 2,2

Tabella 47 - Indici demografici nel 2001 Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 171: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 171

Area Indice di

dipendenza Indice di vecchiaia

Componenti per famiglia

Marche 0,49 1,31 2,9

Ancona 0,48 1,39 2,9

Macerata 0,50 1,38 2,8

Area 1 0,51 1,44 2,8

Castelplanio 0,49 1,45 2,8

Montecarotto 0,56 1,78 2,9

Poggio San Marcello 0,63 2,00 2,5

Rosora 0,49 1,20 2,8

Serra de' Conti 0,49 1,25 2,9

Area 2 0,59 1,63 2,8

Apiro 0,61 1,66 2,9

Mergo 0,62 1,60 2,8

Poggio San Vicino 0,52 2,93 2,7

Serra San Quirico 0,56 1,53 2,7

Area 3 0,63 1,93 2,5

Muccia 0,61 1,57 2,7

Pievebovigliana 0,72 2,31 2,4

Pieve Torina 0,59 1,93 2,6

Area 4 0,70 2,19 2,8

Gualdo 0,70 1,85 2,8

Monte San Martino 0,61 1,84 3,1

Penna San Giovanni 0,76 2,73 2,6

Area 5 0,70 2,80 2,4

Fiuminata 0,66 2,56 2,5

Pioraco 0,67 2,78 2,5

Sefro 0,92 3,73 2,3

Tabella 48 - Indici demografici nel 1991 Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 172: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 172

Area Indice di

dipendenza Indice di vecchiaia

Componenti per famiglia

Marche 9,4 29,4 -7,6

Ancona 9,1 27,4 -8,3

Macerata 9,5 27,0 -6,2

Area 1 8,2 28,1 -7,2

Castelplanio 5,6 18,9 -7,2

Montecarotto 9,0 31,8 -10,3

Poggio San Marcello 27,8 8,7 -2,8

Rosora 6,8 44,1 -7,6

Serra de' Conti 7,6 34,0 -7,7

Area 2 10,2 32,3 -8,6

Apiro 11,7 28,6 -8,6

Mergo 2,4 12,2 -8,2

Poggio San Vicino 33,8 18,4 -10,8

Serra San Quirico 9,4 44,2 -7,0

Area 3 6,9 25,3 -2,6

Muccia 3,3 34,2 -7,5

Pievebovigliana 4,1 12,6 3,3

Pieve Torina 11,6 30,1 -3,1

Area 4 -1,1 23,5 -4,0

Gualdo -6,7 67,6 -6,4

Monte San Martino -2,6 -16,4 -3,5

Penna San Giovanni 4,4 29,2 -2,0

Area 5 4,5 9,7 -10,4

Fiuminata -0,9 21,5 -9,1

Pioraco 15,6 -3,4 -14,3

Sefro -1,8 18,4 -7,7

Tabella 49 - Indici demografici variazioni % 1991-2001 Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 173: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 173

Area Laurea Superiore Inferiore Privi di titolo Analfabeti

Marche 52.481 257.576 824.083 200.562 21.734

Ancona 17.727 85.134 255.823 53.298 4.340

Macerata 10.495 49.298 170.120 45.515 4.872

Area 1 212 1.529 6.697 1.834 146

Castelplanio 68 450 1.883 480

36

Montecarotto 40 283 1.360 378

35

Poggio San Marcello 17 79

464 158

13

Rosora 30 254 1.011 226

13

Serra de' Conti 57 463 1.979 592

49

Area 2 80 652 4.255 1.240 152

Apiro 58 271 1.397 553

82

Mergo 12 104

559 136 9

Poggio San Vicino 4 41

192 55 7

Serra San Quirico 6 236 2.107 496

54

Area 3 73 515 1.829 492 60

Muccia 22 149

473 144 6

Pievebovigliana 31 159

485 155

18

Pieve Torina 20 207

871 193

36

Area 4 72 398 1.895 587 59

Gualdo 15 90

576 206

29

Monte San Martino 17 102

487 165

12

Penna San Giovanni 40 206

832 216

18

Area 5 80 554 2.067 451 86

Fiuminata 34 267 935 255 26

Pioraco 44 233 847 112 18

Sefro 2 54 285 84 42

Tabella 50 - Popolazione residente per livello di scolarizzazione nel 1991 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 174: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 174

Area Laurea Superiore Inferiore Privi di titolo Analfabeti

Marche 3,7 18,0 57,7 14,0 1,5

Ancona 4,1 19,5 58,5 12,2 1,0

Macerata 3,6 16,7 57,6 15,4 1,6

Area 1 1,9 13,9 61,1 16,7 1,3

Castelplanio 2,2 14,6

61,3 15,6

1,2

Montecarotto 1,8 13,0

62,4 17,3

1,6

Poggio San Marcello 2,2 10,2

60,0 20,4

1,7

Rosora 1,8 15,6

62,2 13,9

0,8

Serra de' Conti 1,7 14,0

59,8 17,9

1,5

Area 2 1,2 9,7 63,3 18,4 2,3

Apiro 2,3 10,8

55,9 22,1

3,3

Mergo 1,4 11,9

63,9 15,5

1,0

Poggio San Vicino 1,3 13,3

62,3 17,9

2,3

Serra San Quirico 0,2 7,8

69,3 16,3

1,8

Area 3 2,4 16,6 58,9 15,9 1,9

Muccia 2,6 17,9

56,8 17,3

0,7

Pievebovigliana 3,5 17,9

54,5 17,4

2,0

Pieve Torina 1,4 15,0

63,1 14,0

2,6

Area 4 2,3 12,6 59,9 18,6 1,9

Gualdo 1,6 9,3

59,7 21,3

3,0

Monte San Martino 2,1 12,4

59,4 20,1

1,5

Penna San Giovanni 2,9 15,0

60,5 15,7

1,3

Area 5 2,4 16,4 61,3 13,4 2,6

Fiuminata 2,2 17,0

59,6 16,2

1,7

Pioraco 3,3 17,7

64,3 8,5

1,4

Sefro 0,4 11,2

59,0 17,4

8,7

Tabella 51 - Popolazione residente per livello di scolarizzazione nel 1991 (% sui residenti totali) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali popolazione

Page 175: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 175

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 1.735 37.852 84.020 123.607

Ancona 501 8.882 25.011 34.394

Macerata 369 8.578 17.305 26.252

Area 1 17 301 464 782

Castelplanio 6 80 126 212

Montecarotto 4 39 65 108

Poggio San Marcello 1 8 15 24

Rosora 0 40 78 118

Serra de' Conti 6 134 180 320

Area 2 13 170 229 412

Apiro 8 63 98 169

Mergo 1 24 31 56

Poggio San Vicino 1 4 10 15

Serra San Quirico 3 79 90 172

Area 3 3 100 200 303

Muccia 1 34 84 119

Pievebovigliana 1 26 35 62

Pieve Torina 1 40 81 122

Area 4 1 96 128 225

Gualdo 1 31 49 81

Monte San Martino 0 25 19 44

Penna San Giovanni 0 40 60 100

Area 5 6 55 102 163

Fiuminata 3 32 56 91

Pioraco 0 19 36 55

Sefro 3 4 10 17

Tabella 52 - Imprese per settore economico nel 2001 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 176: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 176

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 1,4 30,6 68,0 100

Ancona 1,5 25,8 72,7 100

Macerata 1,4 32,7 65,9 100

Area 1 2,2 38,5 59,3 100

Castelplanio 2,8 37,7 59,4 100

Montecarotto 3,7 36,1 60,2 100

Poggio San Marcello 4,2 33,3 62,5 100

Rosora 0,0 33,9 66,1 100

Serra de' Conti 1,9 41,9 56,3 100

Area 2 3,2 41,3 55,6 100

Apiro 4,7 37,3 58,0 100

Mergo 1,8 42,9 55,4 100

Poggio San Vicino 6,7 26,7 66,7 100

Serra San Quirico 1,7 45,9 52,3 100

Area 3 1,0 33,0 66,0 100

Muccia 0,8 28,6 70,6 100

Pievebovigliana 1,6 41,9 56,5 100

Pieve Torina 0,8 32,8 66,4 100

Area 4 0,4 42,7 56,9 100

Gualdo 1,2 38,3 60,5 100

Monte San Martino 0,0 56,8 43,2 100

Penna San Giovanni 0,0 40,0 60,0 100

Area 5 3,7 33,7 62,6 100

Fiuminata 3,3 35,2 61,5 100

Pioraco 0,0 34,5 65,5 100

Sefro 17,6 23,5 58,8 100

Tabella 53 - Imprese per settore economico nel 2001 (% sul totale) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 177: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 177

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 2.142 35.019 68.765 105.926

Ancona 707 7.821 19.422 27.950

Macerata 508 8.431 14.273 23.212

Area 1 11 290 442 743

Castelplanio 4 70 121 195

Montecarotto 2 54 85 141

Poggio San Marcello 1 13 18 32

Rosora 1 35 60 96

Serra de' Conti 3 118 158 279

Area 2 51 148 258 457

Apiro 47 69 133 249

Mergo 1 14 25 40

Poggio San Vicino 0 8 11 19

Serra San Quirico 3 57 89 149

Area 3 1 95 164 260

Muccia 0 27 51 78

Pievebovigliana 1 29 33 63

Pieve Torina 0 39 80 119

Area 4 3 120 120 243

Gualdo 0 36 35 71

Monte San Martino 1 35 27 63

Penna San Giovanni 2 49 58 109

Area 5 7 53 126 186

Fiuminata 4 34 55 93

Pioraco 2 12 53 67

Sefro 1 7 18 26

Tabella 54 - Imprese per settore economico nel 1991 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 178: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 178

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 2,0 33,1 64,9 100

Ancona 2,5 28,0 69,5 100

Macerata 2,2 36,3 61,5 100

Area 1 1,5 39,0 59,5 100

Castelplanio 2,1 35,9 62,1 100

Montecarotto 1,4 38,3 60,3 100

Poggio San Marcello 3,1 40,6 56,3 100

Rosora 1,0 36,5 62,5 100

Serra de' Conti 1,1 42,3 56,6 100

Area 2 11,2 32,4 56,5 100

Apiro 18,9 27,7 53,4 100

Mergo 2,5 35,0 62,5 100

Poggio San Vicino 0,0 42,1 57,9 100

Serra San Quirico 2,0 38,3 59,7 100

Area 3 0,4 36,5 63,1 100

Muccia 0,0 34,6 65,4 100

Pievebovigliana 1,6 46,0 52,4 100

Pieve Torina 0,0 32,8 67,2 100

Area 4 1,2 49,4 49,4 100

Gualdo 0,0 50,7 49,3 100

Monte San Martino 1,6 55,6 42,9 100

Penna San Giovanni 1,8 45,0 53,2 100

Area 5 3,8 28,5 67,7 100

Fiuminata 4,3 36,6 59,1 100

Pioraco 3,0 17,9 79,1 100

Sefro 3,8 26,9 69,2 100

Tabella 55 - Imprese per settore economico nel 1991 (% sul totale) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 179: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 179

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche -407 2.833 15.255 17.681

Ancona -206 1.061 5.589 6.444

Macerata -139 147 3.032 3.040

Area 1 6 11 22 39

Castelplanio 2 10 5 17

Montecarotto 2 -15 -20 -33

Poggio San Marcello 0 -5 -3 -8

Rosora -1 5 18 22

Serra de' Conti 3 16 22 41

Area 2 -38 22 -29 -45

Apiro -39 -6 -35 -80

Mergo 0 10 6 16

Poggio San Vicino 1 -4 -1 -4

Serra San Quirico 0 22 1 23

Area 3 2 5 36 43

Muccia 1 7 33 41

Pievebovigliana 0 -3 2 -1

Pieve Torina 1 1 1 3

Area 4 -2 -24 8 -18

Gualdo 1 -5 14 10

Monte San Martino -1 -10 -8 -19

Penna San Giovanni -2 -9 2 -9

Area 5 -1 2 -24 -23

Fiuminata -1 -2 1 -2

Pioraco -2 7 -17 -12

Sefro 2 -3 -8 -9

Tabella 56 - Imprese per settore economico, variazioni 2001-1991 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 180: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 180

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche -19,0 8,1 22,2 16,7

Ancona -29,1 13,6 28,8 23,1

Macerata -27,4 1,7 21,2 13,1

Area 1 54,5 3,8 5,0 5,2

Castelplanio 50,0 14,3 4,1 8,7

Montecarotto 100,0 -27,8 -23,5 -23,4

Poggio San Marcello 0,0 -38,5 -16,7 -25,0

Rosora -100,0 14,3 30,0 22,9

Serra de' Conti 100,0 13,6 13,9 14,7

Area 2 -74,5 14,9 -11,2 -9,8

Apiro -83,0 -8,7 -26,3 -32,1

Mergo 0,0 71,4 24,0 40,0

Poggio San Vicino n.c. -50,0 -9,1 -21,1

Serra San Quirico 0,0 38,6 1,1 15,4

Area 3 200,0 5,3 22,0 16,5

Muccia n.c. 25,9 64,7 52,6

Pievebovigliana 0,0 -10,3 6,1 -1,6

Pieve Torina n.c. 2,6 1,3 2,5

Area 4 -66,7 -20,0 6,7 -7,4

Gualdo n.c. -13,9 40,0 14,1

Monte San Martino -100,0 -28,6 -29,6 -30,2

Penna San Giovanni -100,0 -18,4 3,4 -8,3

Area 5 -14,3 3,8 -19,0 -12,4

Fiuminata -25,0 -5,9 1,8 -2,2

Pioraco -100,0 58,3 -32,1 -17,9

Sefro 200,0 -42,9 -44,4 -34,6

Tabella 57 - Imprese per settore economico, variazioni 2001-1991 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 181: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 181

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 4.278 245.836 206.244 456.358

Ancona 1.378 77.445 67.953 146.776

Macerata 940 50.942 40.313 92.195

Area 1 30 2.445 1.068 3.543

Castelplanio 9 767 377 1.153

Montecarotto 8 408 106 522

Poggio San Marcello 2 40 29 71

Rosora 0 291 151 442

Serra de' Conti 11 939 405 1.355

Area 2 18 952 402 1.372

Apiro 9 314 162 485

Mergo 2 94 52 148

Poggio San Vicino 1 24 11 36

Serra San Quirico 6 520 177 703

Area 3 3 406 392 801

Muccia 1 157 172 330

Pievebovigliana 1 93 55 149

Pieve Torina 1 156 165 322

Area 4 1 364 230 595

Gualdo 1 97 103 201

Monte San Martino 0 91 34 125

Penna San Giovanni 0 176 93 269

Area 5 14 194 164 372

Fiuminata 5 118 87 210

Pioraco 0 65 64 129

Sefro 9 11 13 33

Tabella 58 - Addetti per settore economico nel 2001 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 182: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 182

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 0,9 53,9 45,2 100

Ancona 0,9 52,8 46,3 100

Macerata 1,0 55,3 43,7 100

Area 1 0,8 69,0 30,1 100

Castelplanio 0,8 66,5 32,7 100

Montecarotto 1,5 78,2 20,3 100

Poggio San Marcello 2,8 56,3 40,8 100

Rosora 0,0 65,8 34,2 100

Serra de' Conti 0,8 69,3 29,9 100

Area 2 1,3 69,4 29,3 100

Apiro 1,9 64,7 33,4 100

Mergo 1,4 63,5 35,1 100

Poggio San Vicino 2,8 66,7 30,6 100

Serra San Quirico 0,9 74,0 25,2 100

Area 3 0,4 50,7 48,9 100

Muccia 0,3 47,6 52,1 100

Pievebovigliana 0,7 62,4 36,9 100

Pieve Torina 0,3 48,4 51,2 100

Area 4 0,2 61,2 38,7 100

Gualdo 0,5 48,3 51,2 100

Monte San Martino 0,0 72,8 27,2 100

Penna San Giovanni 0,0 65,4 34,6 100

Area 5 3,8 52,2 44,1 100

Fiuminata 2,4 56,2 41,4 100

Pioraco 0,0 50,4 49,6 100

Sefro 27,3 33,3 39,4 100

Tabella 59 - Addetti per settore economico nel 2001 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

Page 183: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 183

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 6.182 226.692 171.388 404.262

Ancona 2.194 66.371 54.810 123.375

Macerata 1.421 46.163 33.531 81.115

Area 1 69 2.371 881 3.321

Castelplanio 56 619 267 942

Montecarotto 2 379 138 519

Poggio San Marcello 6 44 25 75

Rosora 1 312 115 428

Serra de' Conti 4 1.017 336 1.357

Area 2 86 1.033 417 1.536

Apiro 81 282 196 559

Mergo 1 107 51 159

Poggio San Vicino 0 291 19 310

Serra San Quirico 4 353 151 508

Area 3 1 319 307 627

Muccia 0 112 116 228

Pievebovigliana 1 122 48 171

Pieve Torina 0 85 143 228

Area 4 10 405 184 599

Gualdo 0 101 50 151

Monte San Martino 2 92 41 135

Penna San Giovanni 8 212 93 313

Area 5 25 169 196 390

Fiuminata 8 121 84 213

Pioraco 4 32 87 123

Sefro 13 16 25 54

Tabella 60 - Addetti per settore economico nel 1991 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 184

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche 1,5 56,1 42,4 100

Ancona 1,8 53,8 44,4 100

Macerata 1,8 56,9 41,3 100

Area 1 2,1 71,4 26,5 100

Castelplanio 5,9 65,7 28,3 100

Montecarotto 0,4 73,0 26,6 100

Poggio San Marcello 8,0 58,7 33,3 100

Rosora 0,2 72,9 26,9 100

Serra de' Conti 0,3 74,9 24,8 100

Area 2 5,6 67,3 27,1 100

Apiro 14,5 50,4 35,1 100

Mergo 0,6 67,3 32,1 100

Poggio San Vicino 0,0 93,9 6,1 100

Serra San Quirico 0,8 69,5 29,7 100

Area 3 0,2 50,9 49,0 100

Muccia 0,0 49,1 50,9 100

Pievebovigliana 0,6 71,3 28,1 100

Pieve Torina 0,0 37,3 62,7 100

Area 4 1,7 67,6 30,7 100

Gualdo 0,0 66,9 33,1 100

Monte San Martino 1,5 68,1 30,4 100

Penna San Giovanni 2,6 67,7 29,7 100

Area 5 6,4 43,3 50,3 100

Fiuminata 3,8 56,8 39,4 100

Pioraco 3,3 26,0 70,7 100

Sefro 24,1 29,6 46,3 100

Tabella 61 - Addetti per settore economico nel 1991 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 185

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche -1.904 19.144 34.856 52.096

Ancona -816 11.074 13.143 23.401

Macerata -481 4.779 6.782 11.080

Area 1 -39 74 187 222

Castelplanio -47 148 110 211

Montecarotto 6 29 -32 3

Poggio San Marcello -4 -4 4 -4

Rosora -1 -21 36 14

Serra de' Conti 7 -78 69 -2

Area 2 -68 -81 -15 -164

Apiro -72 32 -34 -74

Mergo 1 -13 1 -11

Poggio San Vicino 1 -267 -8 -274

Serra San Quirico 2 167 26 195

Area 3 2 87 85 174

Muccia 1 45 56 102

Pievebovigliana 0 -29 7 -22

Pieve Torina 1 71 22 94

Area 4 -9 -41 46 -4

Gualdo 1 -4 53 50

Monte San Martino -2 -1 -7 -10

Penna San Giovanni -8 -36 0 -44

Area 5 -11 25 -32 -18

Fiuminata -3 -3 3 -3

Pioraco -4 33 -23 6

Sefro -4 -5 -12 -21

Tabella 62 - Addetti per settore economico, variazioni 1991-2001 (unità) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 186

Area Agricoltura Industria Servizi Totale

Marche -30,8 8,4 20,3 12,9

Ancona -37,2 16,7 24,0 19,0

Macerata -33,8 10,4 20,2 13,7

Area 1 -56,5 3,1 21,2 6,7

Castelplanio -83,9 23,9 41,2 22,4

Montecarotto 300,0 7,7 -23,2 0,6

Poggio San Marcello -66,7 -9,1 16,0 -5,3

Rosora -100,0 -6,7 31,3 3,3

Serra de' Conti 175,0 -7,7 20,5 -0,1

Area 2 -79,1 -7,8 -3,6 -10,7

Apiro -88,9 11,3 -17,3 -13,2

Mergo 100,0 -12,1 2,0 -6,9

Poggio San Vicino 100,0 -91,8 -42,1 -88,4

Serra San Quirico 50,0 47,3 17,2 38,4

Area 3 200,0 27,3 27,7 27,8

Muccia n.c. 40,2 48,3 44,7

Pievebovigliana 0,0 -23,8 14,6 -12,9

Pieve Torina n.c. 83,5 15,4 41,2

Area 4 -90,0 -10,1 25,0 -0,7

Gualdo n.c. -4,0 106,0 33,1

Monte San Martino -100,0 -1,1 -17,1 -7,4

Penna San Giovanni -100,0 -17,0 0,0 -14,1

Area 5 -44,0 14,8 -16,3 -4,6

Fiuminata -37,5 -2,5 3,6 -1,4

Pioraco -100,0 103,1 -26,4 4,9

Sefro -30,8 -31,3 -48,0 -38,9

Tabella 63 - Addetti per settore economico, variazioni 1991-2001 (%) Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT – Censimenti generali industria

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 187

APPENDICE B: STRUMENTI DI PROGRAMMAZIONE

Piani Territoriali di Coordinamento

(PTC)

► Provincia di Ancona

Il PTC della Provincia di Ancona è stato adottato dal Consiglio Provinciale con delibera n. 157 il 17.10.2000, è stato approvato in adeguamento ai rilievi con delibera consiliare n. 117 del 28.7.2003 ed è diventato pienamente operativo con la pubblicazione sul B.U.R. Marche del 4.3.2004. Il documento si configura come un insieme di principi per l'uso del territorio provinciale, di proposte per il suo riordino e di indirizzi per gli interventi. Per questo, gli indirizzi del P.T.C. hanno un carattere “sostantivo” ovvero sono indicazioni di cose da fare (o da non fare), che tendono ad assumere validità “erga omnes”, azioni individuate a prescindere dagli “attori” ed anche dalle procedure tecnico-amministrative. Il metodo della concertazione e della “ copianificazione” , che il P.T.C. sostiene convintamente - non solo perché reso necessario dall'intreccio spesso inestricabile delle competenze variamente e confusamente distribuite dalle normative attualmente vigenti, ma anche come modo per determinare sinergie positive attraverso la cooperazione tra soggetti istituzionali diversi - non comporta affatto l'abolizione della specificità dei singoli contributi; al contrario, perché i tentativi di “copianificare”, in particolare tra Regione, Province e Comuni, abbiano successo è indispensabile che ciascun soggetto istituzionale sviluppi le peculiarità del proprio “punto di vista” sulle problematiche territoriali affinché gli altri possano avvalersene. Si delinea così il ruolo fondamentale che il P.T.C tende a svolgere nel contesto interistituzionale della pianificazione: quello di predisporre la piattaforma generale di riferimento – costituita non solo da neutrali “informazioni” ma soprattutto da indicazioni sulle cose da fare - per le trasformazioni del territorio provinciale, da aggiornare in rapporto all'evoluzione delle situazioni, utile sia per le iniziative dei singoli che per le iniziative concertate tra i diversi attori della pianificazione e gestione del territorio (in primo luogo gli Enti territoriali e la Regione). I contenuti del P.T.C. sono quelli previsti dall'art.12 della L.34/1992 (attuativa, per questa parte della Legge 142/1990 oggi confluita nel D.Lgs. 267/2000 ed è articolato in sezioni. Nella prima Sezione viene svolta una ricognizione sull'intero territorio, articolato in A.T.O. (Ambiti Territoriali Omogenei), per ciascuno dei quali viene definita una serie di indirizzi ; in questa parte sono presi in considerazione tutti gli aspetti salienti delle problematiche territoriali che denotano ciascun ambito, con un'ottica essenzialmente intersettoriale, anche se principalmente mirata sulle trasformazioni fisico-morfologiche.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 188

In questo senso, la formulazione dell'art.12 citato, relativa alle “diverse destinazioni del territorio” viene recepita attraverso una serie di indirizzi che riguardano anche le destinazioni d'uso di parti di territorio, laddove si ritiene che siano necessari. Mentre, invece, sono sistematici per tutti gli A.T.O. gli indirizzi riguardanti la sistemazione idrica, idrogeologica, la regimazione delle acque, etc. Nell'ottica tendenzialmente sistemica adottata dal P.T.C. questi indirizzi sono fusi con quelli riguardanti i temi progettuali salienti per ogni parte del territorio (la città reticolare storica delle colline, la continuità lineare dell'edificazione valliva e costiera, i nodi urbani e infrastrutturali, i “transetti” vallivi, etc.). Per quanto riguarda le aree nelle quali “sia opportuno istituire parchi o riserve naturali”, il P.T.C. le individua nell'insieme delle aree che formano le due dorsali carbonatiche principali e quella costiera del Conero, oltre che, per quanto riguarda specificamente le riserve, in alcuni luoghi dell'eccellenza naturalistica del territorio collinare e vallivo (si vedano, nella Sezione II, gli indirizzi 2.A.14 e 2.A.15 ). Per quanto riguarda l'altro contenuto stabilito dalla legge, quello relativo ai criteri per il dimensionamento dei piani comunali, questi criteri - anche se non esposti in termini diretti ed espliciti - sono ricavabili sia dall' indirizzo generale espresso nella Premessa della prima Sezione ( indirizzo 1.0 ), relativo al generale contenimento delle espansioni, sia dagli indirizzi contenuti nei singoli A.T.O. che di volta in volta individuano i margini per gli eventuali, ulteriori limitati incrementi edificatori. Nella seconda Sezione vengono affrontate, con ottica prevalentemente settoriale sull'intero territorio, le problematiche dell'ambiente, delle infrastrutture, delle aree industriali, dei servizi. Tra l'altro, viene definita la rete delle grandi interconnessioni ecologiche alla scala provinciale, la griglia delle infrastrutture per la mobilità, le proposte per la localizzazione delle nuove aree industriali di interesse sovracomunale. Viene, inoltre, succintamente trattato nella seconda Sezione il tema della intercomunicazione – sulla base delle attuali tecnologie - tra i soggetti cointeressati alla gestione del territorio e viene proposta una struttura della Banca dati per il Sistema Informativo Territoriale che agisca da protocollo condiviso per l'organizzazione e lo scambio delle informazioni. Nella Terza Sezione vengono proposti con valore indicativo contributi progettuali di maggior dettaglio su alcune “Aree Progetto” ritenute significative rispetto ai temi progettuali evidenziati dal P.T.C.: si tratta di suggerimenti offerti alla progettazione di scala maggiore, nei quali viene sperimentata “sul campo” l'applicazione del sistema di indirizzi definito dal P.T.C alla scala dell'area vasta. In questa Quarta Sezione, infine, sono esposti succintamente alcuni dei concetti che hanno ispirato la stesura del P.T.C. e che ne delineano il ruolo in rapporto al sistema della pianificazione del territorio. In estrema sintesi sono, poi, riassunti ed illustrati nel loro significato i contenuti del P.T.C.; infine, attraverso le “Disposizioni per l'attuazione” si definiscono i caratteri di quella che viene tradizionalmente chiamata la “disciplina del Piano”.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 189

In estrema sintesi il PTC più che uno strumento di programmazione territoriale è una guida che disciplina il governo del territorio e che propone un approccio integrato per la pianificazione e gestione degli interventi. L‟unita spaziale di riferimento del PTC è l‟Ambito Territoriale Omogeneo (ATO) che identifica i territori che “sono omogenei sotto il profilo della costanza dei rapporti tra alcuni dei fattori considerati significativi e, pertanto, tendono a configurarsi come l'unità spaziale di riferimento per la pianificazione del territorio provinciale”. Rispetto ad altre zonazioni, con gli ATO vi è un rapporto più diretto tra morfologia e struttura fisico-naturalistica del territorio, da un lato, e forme dell'insediamento, dall'altro: la variazione dei principi insediativi viene collegata strettamente con la variazione dei caratteri fisicomorfologici del territorio.

Gli ambiti territoriali omogenei

Già nei documenti preliminari del P.T.C. di Ancona per la comprensione dei meccanismi che presiedono alle trasformazioni territoriali veniva proposto il “metodo dell'analisi integrata multisettoriale, fondata sull'osservazione congiunta dei caratteri fisici (..), botanico-vegetazionali, dei modi d'uso del suolo e del territorio e dei loro significati nella cultura diffusa, dell'evoluzione storico-insediativa, demografica, socio-economica, del rapporto tra edificato e morfologia del territorio, etc.” Da questa lettura integrata è stata ricavata una proposta di articolazione del territorio provinciale in “ambiti territoriali omogenei” (A.T.O.) che ha preso corpo nel Documento D2/1 approvato dal Consiglio Provinciale nell'aprile del 1998 ed è stata successivamente approfondita nel Documento D2/2 (luglio-ottobre del 1998), conclusivo della seconda fase. Questa articolazione del territorio, con minime variazioni, viene riconfermata ed ulteriormente approfondita nel P.T.C. soprattutto per quanto riguarda la definizione degli indirizzi sulle modalità di intervento. Gli ambiti territoriali individuati dal P.T.C. “sono omogenei sotto il profilo della costanza dei rapporti tra alcuni dei fattori considerati significativi e, pertanto, tendono a configurarsi come l'unità spaziale di riferimento per la pianificazione del territorio provinciale”. Questa definizione di “ambito territoriale omogeneo” adottata dal P.T.C. è abbastanza simile alla definizione generalmente adottata per l'“unità di paesaggio”, anche se in quella sembra, di norma, avere maggior peso l'attenzione per le forme visibili della strutturazione dello spazio piuttosto che per i fattori che ne sono all'origine; sta di fatto che a ciascun A.T.O. corrisponde un diverso paesaggio. Anche il concetto di “ambiente insediativo locale”, molto usato negli ultimi anni e frequentemente ricorrente nel Piano di Inquadramento Territoriale (P.I.T.) della Regione Marche, sembra per diversi aspetti simile a quello di A.T.O: “rete dinamica di relazioni tra quadri ambientali, matrici storiche del territorio, forme dell'urbanizzazione e contesti sociali che nel loro comporsi danno corpo a microregioni dotate di una riconoscibile e significativa identità complessiva”. In realtà, a parte una verosimile differenza di scala, una sensibile differenza con le definizioni citate consiste nel fatto che negli A.T.O. vi è un rapporto più

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 190

diretto tra morfologia e struttura fisico-naturalistica del territorio, da un lato, e forme dell'insediamento, dall'altro: la variazione dei principi insediativi viene collegata strettamente con la variazione dei caratteri fisico-morfologici del territorio (si veda il successivo punto 1.0.2). E' grazie a questo diretto rapporto che il Piano può definire gli indirizzi per le azioni da prevedere nei diversi A.T.O., facendo di questi “l'unità spaziale di riferimento per la pianificazione del territorio provinciale”. Ciò non significa, ovviamente, voler suddividere il territorio in recinti separati, ma suggerire delle regole di comportamento differenziate per le varie parti: l'articolazione del territorio in A.T.O. non ne impedisce affatto la ricomposizione mediante progetti che abbiano ambiti spaziali di riferimento diversi dagli A.T.O., che li ricomprendano in unità maggiori o che siano trasversali ad essi, ed, anzi, in questo concretamente si impegna il P.T.C. nelle sue altre Sezioni. Semplicemente, gli A.T.O forniscono il quadro delle specificità da osservare nei diversi luoghi anche nei progetti di ricomposizione o trasversali, l'orizzonte sul cui sfondo il P.T.C. colloca le proposte dei progetti settoriali ed i suggerimenti e gli approfondimenti contenuti negli studi sulle “aree-progetto”. Gli A.T.O. individuatii nel PTC sono i seguenti:

> ”A” DEL LITORALE E DELLA PRIMA COLLINA > “B” DELLA BASSA COLLINA > “C” DELLA MEDIA COLLINA > “D” DELL‟ALTA COLLINA > “V” DELLE PIANURE E DEI TERRAZZI ALLUVIONALI > “E” DELLA DORSALE MARCHIGIANA > “F” DEL SINCLINORIO > “G” DELLA DORSALE UMBRO-MARCHIGIANA > “U” DELL‟AREA URBANA DI ANCONA > “R” DELLA RISERVA NATURALE DEL CONERO

I progetti di settore

Costituiscono lo strumento attraverso il quale il PTC agisce trasversalmente sul territorio sulla base di alcune priorità settoriali. Dato il livello di dettaglio delle tematiche e delle strategie descritte nel PTC, qui di seguito viene ripresa solamente l‟articolazione progettuale rinviando il lettore alla visione del Piano disponibile all‟indirizzo http://sit.provincia.ancona.it/SIT/pagine/ptc/index.htm. L‟AMBIENTE

> LA GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE > LE FASCE DELLA CONTINUITA‟ NATURALISTICA > IL DEFLUSSO DELLE ACQUE > LA QUALITA‟ DELLE ACQUE SUPERFICIALI > LA QUALITÀ DELL‟ARIA > L'AMBIENTE URBANO > IL PAESAGGIO VEGETALE. PARCHI E RISERVE NATURALI

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 191

> LA RETE DEGLI ELEMENTI VEGETALI DIFFUSI > LA GESTIONE DEI BOSCHI > LA FRAGILITA‟ DELLE DORSALI CALCAREE > L‟INSTABILITA‟ DEL TERRITORIO COLLINARE > L‟AMBIENTE DELLE PIANURE > LA LINEA DI COSTA > IL RISCHIO SISMICO

LE INFRASTRUTTURE PER LA MOBILITA‟

> LO SCHEMA DIRETTORE DELLE RETI > LA RETE SU FERRO > LE INFRASTRUTTURE PUNTUALI > LA RETE SU GOMMA

GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI E COMMERCIALI

> GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI TRA CONCENTRAZIONE E DISPERSIONE > INDICAZIONI TERRITORIALI PER LE NUOVE LOCALIZZAZIONI

PRODUTTIVE > LE PROPOSTE DEL P.T.C. PER LE AREE PRODUTTIVE > GLI INSEDIAMENTI COMMERCIALI

I SERVIZI

> Il NUOVO RUOLO DELLE PROVINCE > SITUAZIONE SOCIO-DEMOGRAFICA E SERVIZI SOCIO-ASSISTENZIALI > LINEE DI INDIRIZZO TERRITORIALI PER I SERVIZI

L‟INTERCOMUNICAZIONE

> IL PIANO-PROCESSO E LE NUOVE TECNOLOGIE > UN PROTOCOLLO DI COMUNICAZIONE

Le aree progetto

Il PTC riserva una particolare attenzione ad alcune aree localizzate nella regione dove è maggiormente rilevante un approccio integrato alla programmazione territoriale e dove lo stesso PTC individua gli ambiti progettuali di intervento. Le aree progetto sono le seguenti:

1. L‟AREA-PROGETTO DI ANCONA SUD 2. L‟AREA PROGETTO DI ANCONA NORD 3. IL RETICOLO COLLINARE 4. IL SINCLINORIO 5. LA COSTA NORD

Per quanto riguarda la prima area il PTC elabora una serie di proposte riportate qui di seguito. Per la sezione valliva dell'Aspio, nel tratto compreso fra la frazione Aspio ed il bivio di S. Rocchetto - ma anche per la parte in Val Musone - potrebbe

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 192

rappresentare per altre situazioni vallive consimili del territorio provinciale un modello di intervento fondato sulle seguenti linee d'indirizzo:

> uno schema della mobilità imperniato sulla priorità attribuita all'efficienza delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto rapido (metropolitana di superficie) localizzati nei fondovalle; i percorsi di crinale, in questa logica, vanno concepiti come assi del reticolo urbano e sgravati delle funzioni di collegamento longitudinale; la rete delle strade collinari va adeguata, possibilmente senza ricorrere a nuovi tracciati, al fine di rendere più immediati, numerosi, ed agevoli i collegamenti con le linee infrastrutturali vallive;

> salvaguardia, valorizzazione e recupero produttivo agricolo con tecniche a basso impatto delle residue aree libere della pianura irrigua;

> ripristino della vegetazione ripariale e della vegetazione autoctona sulle scarpate, sulle strade rurali e sulle linee di confine;

> ricucitura della rete delle strade rurali; sistemazione dei percorsi pedonali, ciclabili ed attrezzati per il tempo libero sui vecchi percorsi rurali ed in margine ai corsi d'acqua;

> sistemazione idraulica dei corsi d'acqua; > interruzione della continuità lineare dell'edificato di fondovalle; > individuazione di nuove localizzazioni industriali-artigianali - ed anche

terziario-commerciali in posizione marginale rispetto alla valle principale; la vegetazione ripariale dei corsi d'acqua secondari va ripristinata e consolidata anche come efficace elemento di schermatura;

> ripristino, lungo i “transetti” trasversali, delle direttrici storiche di collegamento tra i crinali contrapposti, anche mediante l'adeguamento degli assi di attraversamento viario esistenti, sui quali far convergere i nodi dell'interscambio tra reti principali di fondovalle e rete storica collinare oltre che servizi ed attrezzature destinati al bacino di utenza sovracomunale.

La seconda area progetto riguarda la parte Nord di Ancona per la quale nel PTC sono presentate numerose proposte anche alternative a scelte progettuali già effettuate. Alcune di queste indicazioni sono:

> il raddoppio della S.S.16 nel tratto tra Falconara e Ancona Sud e l'individuazione di un'uscita "leggera" a sud di Falconara nel tratto tra Collemarino e Palombina;

> integrazioni alla viabilità esistente finalizzate ad accrescere l'efficienza dei collegamenti tra le aree di Falconara, Chiaravalle, Monte San Vito e Camerata Picena e, soprattutto, a migliorare la circolazione in tutta l'area che gravita intorno al casello autostradale di Ancona Nord;

> lo spostamento della linea Adriatica all'interno a ridosso dell'Autostrada A.14;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 193

> l'uso della linea ferroviaria come metropolitana di superficie con connesso sistema di interscambi con la viabilità locale e con le linee del trasporto pubblico locale;

> un “parco fluviale” che interessa le aree di pertinenza dell'Esino e le zone limitrofe interessate negli anni da numerosi interventi antropici tra i quali quello estrattivo e' quello che ha maggiormente inciso sul territorio.

La terza area progetto prende in esame il reticolo insediativo che si articola sopra i crinali tra Esino e Misa a Nord di Jesi e che comprende i centri storici di Monsano, S.Marcello, Morro d'Alba, Monte S.Vito, Belvedere Ostrense, Ostra. Gi interventi proposti dal P.T.C. sono riconducibili alle seguenti linee d'indirizzo, applicabili anche al reticolo insediativo che connota gli altri Ambiti Territoriali Omogenei “B” e, per molti versi, anche gli A.T.O. “D”:

> sul crinale principale che unisce i centri storici i tratti non ancora edificati o scarsamente edificati vengono preservati da ulteriori interventi edificatori: la soluzione di continuità viene consolidata, eventualmente anche con aree-parco, comunque come aree private da destinare a giardini, orti, attività agricole;

> eventuali espansioni residenziali si localizzano su crinali secondari, dove, pure, in posizione baricentrica o emergente rispetto al reticolo, sono previste le aree per i nuovi servizi ed attrezzature di interesse sovracomunale; sono esclusi nuovi insediamenti produttivi mentre, si dovranno ricercare le opportunità per riconvertire quelli esistenti e per trasferire le attività nelle aree industriali di fondovalle;

> gli stessi crinali secondari ospitano la viabilità trasversale di collegamento tra il reticolo urbano-collinare (tutto sul crinale principale) e la viabilità primaria territoriale;

> sono da evitare nuovi insediamenti di qualsiasi tipo (eccetto quelli per l'agricoltura) sui versanti;

> si ripristina e consolida la vegetazione sui bordi stradali e, soprattutto, la vegetazione ripariale lungo i fossi, accompagnandola con la sistemazione dei percorsi pedonali-ciclabili paralleli.

La quarta area-progetto coincide quasi per intero con l'Ambito Territoriale Omogeneo “F del Sinclinorio”. Le proposte progettuali riguardano l'utilizzazione delle nuove infrastrutture viarie a servizio della mobilità locale e gli interventi negli interstizi del costruito volti a ricomporre un disegno d'insieme dotato di una qualche coerenza e funzionalità ed a restituire continuità alla rete degli spazi naturali. Per quanto riguarda la viabilità, in particolare, si propone di aprire almeno un altro svincolo a servizio della città sulla nuova SS.76 a Sud di Fabriano; Infine, viene proposta la realizzazione di una connessione ciclopedonale nel verde che a partire dalle stazioni di Cerreto ed Albacina attraversa Fabriano a ridosso del corso del Giano. La quinta ed ultima area comprende la fascia costiera – tra spiaggia e primo crinale collinare - che attraversa i comuni di Falconara Marittima,

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 194

Montemarciano e Senigallia e si estende dal versante sinistro del fiume Esino sino al versante destro del fiume Cesano, al confine Nord del territorio provinciale. Un primo criterio di carattere generale proposto per questa area progetto, in coerenza con l'impostazione del P.T.C., è, dunque, quello di privilegiare il recupero ed il consolidamento dei rapporti tra la fascia litoranea ed il suo entroterra ovvero di favorire le relazioni ortogonali alla linea di costa rispetto a quelle ad essa parallele. Per perseguire questo obiettivo, l‟area è stata suddivisa in sezioni di cui quattro sono ritenute le più significative: la sezione pianeggiante tra Rocca Priora e Marina di Montemarciano, in cui il retroterra è costituito dalla pianura agricola, la sezione tra Marina e Senigallia, che dal litorale sale lungo il versante fino al primo crinale collinare, la sezione che attraversa l'area centrale di Senigallia e si prolunga nella valle del Misa ed infine la sezione che coinvolge i tessuti urbani a Nord e a Sud del Misa e le colline retrostanti Per ciascuna di queste sezioni si dovrà procedere tramite concertazione tra più enti, mediante l'uso coordinato e reversibile di strumenti diversi, dal piano al progetto, ed operando alle diverse scale di lettura e di intervento. Per quanto riguarda la viabilità vengono rappresentate alcune ipotesi di integrazione a cui è da attribuire un significato prevalentemente metodologico; tra di esse si evidenziano quelle che comportano le maggiori modifiche rispetto alla situazione esistente:

> un tracciato interno all'autostrada di riconnessione delle trasversali provenienti dalla valle del Misa e dirette al mare, tra la corinaldese e la zona delle Saline;

> un percorso longitudinale veloce di connessione col casello autostradale da e per il Nord;

> un nuovo accesso dall'entroterra in continuità con l'arceviese, che viene raccordata con un nodo complesso ai diversi livelli funzionali e a sua volta si dirama nel tessuto urbano adiacente, modificandone le gerarchie e le connessioni;

> un ambito di attestamento di servizi per la mobilità nelle aree antistanti il polo scolastico (stazione autobus, parcheggi, scavalcamenti pedonali): dovrebbe essere la nuova porta della città da Ovest.

► Provincia di Macerata

Il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTC) appresta gli strumenti di conoscenza, di analisi e di valutazione dell'assetto del territorio della Provincia e delle risorse in esso presenti, determina le linee generali per il recupero, la tutela ed il potenziamento delle risorse nonché per lo sviluppo sostenibile e per il corretto assetto del territorio medesimo. In particolare, il PTC, tra l'altro:

> indica le diverse destinazioni del territorio provinciale, in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 195

> localizza, in via di massima, le opere pubbliche che comportano rilevanti trasformazioni territoriali, le maggiori infrastrutture pubbliche e private e le principali linee di comunicazione;

> definisce le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica, idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

> conferma i parchi e le riserve naturali istituiti (Parco archeologico di San Severino Marche, Parco archeologico di Urbisaglia, Riserva naturale di Torricchio, Riserva naturale di Abbadia di Fiastra), risultando gli stessi, allo stato, strumento sufficiente;

> definisce le operazioni (ivi inclusi i piani, i programmi od i progetti di scala intercomunale) ed i procedimenti per l'attuazione del PTC medesimo;

> indica i criteri (indirizzi) cui i piani regolatori generali debbono attenersi per la valutazione del fabbisogno edilizio e per la determinazione della quantità e della qualità delle aree necessarie per assicurare un ordinato sviluppo insediativo, in un quadro di sostenibilità ambientale.

Il PTC individua le seguenti strutture ambientali complesse:

> Riserva di naturalità principale e crinale principale > Riserva di naturalità locale: dorsale carbonatica secondaria > Area di filtro del serbatoio idrico delle dorsali carbonatiche > Area e reticolo di scambio delle dorsali > Area di riequilibrio idrogeologico > Connessioni interambientali principali (Chienti , Potenza, Esino, Nera)

e reticolo di alimentazione principale delle connessioni interambientali

> Connessioni interambientali secondarie, reticolo di alimentazione secondaria ed area di protezione

Il PTC individua alcune direttive per queste strutture ambientali:

> Direttive per la salvaguardia ed il potenziamento della biodiversità e per la conservazione delle risorse ambientali nelle aree montane:nell'ambito delle riserve di naturalità (principale e locale), del crinale principale e della dorsale carbonatica principale vanno realizzati ed incentivati gli interventi volti a salvaguardare e potenziare le funzioni di riserva di naturalità e di biodiversità.

> Direttive per la salvaguardia delle risorse idriche per l‟area di filtro del serbatotio idrico delle dorsali carbonatiche.

> Direttive per la salvaguardia dei corridoi locali per l‟area ed il reticolo di scambio delle dorsali.

> Direttive per la salvaguardia e la difesa del suolo per l'area di riequilibrio idrogeologico.

> Direttive per la salvaguardia ed il potenziamento delle microconnessioni locali per l‟area collinare di microconnessione.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 196

> Direttive per la salvaguardia ed il potenziamento dei corridoi ecologici per le connessioni interambientali (principali e secondarie) e per i rispettivi reticoli di alimentazione ed aree di protezione.

Il PTC persegue: il riequilibrio ambientale ed insediativo dei territori più congestionati (centri urbani, aree industriali e infrastrutture principali); la riqualificazione funzionale dei centri collinari e della rete della viabilità ad essi connessa; la rivitalizzazione del sistema dei centri storici e dei nuclei nelle aree montane nonché del sistema dei percorsi di accesso ad essi; il recupero dei manufatti extra-urbani e degli edifici rurali di interesse storico-insediativo (insediamenti diffusi). A tal fine il PTC individua i territori nei quali è necessario promuovere e implementare politiche di riequilibrio insediativo anche attraverso azioni congiunte e coordinate di più Comuni e definisce le direttive per l‟orientamento delle scelte territoriali. Al fine di meglio organizzare e definire le politiche di riequilibrio, il PTC divide i diversi territori da riequilibrare secondo le seguenti tipologie:

1. territori ad alta frequentazione: le aree costiere e vallive dove appare necessario promuovere e coordinare azioni dirette al riequilibrio ambientale ed insediativo;

2. territori montani: le aree caratterizzate da fenomeni di spopolamento e di marginalità socio-economica, dove appare necessario guidare con maggiore efficacia le azioni volte alla rivitalizzazione ed al recupero del patrimonio insediativo storico;

3. territori collinari : le aree dove appare necessario promuovere azioni di riqualificazione e stabilizzazione dell'equilibrio insediativo;

4. territori degli insediamenti diffusi: le aree dove appare necessario promuovere azioni di difesa e di recupero dei manufatti e degli edifici extraurbani.

Le seguenti direttive sono essenzialmente volte a promuovere e favorire sia azioni di riequilibrio, di riqualificazione, di rivitalizzazione e di recupero dei diversi territori che ad individuare le azioni necessarie per elevare il livello di coesione e di integrazione tra gli stessi, potenziandone le relazioni e gli scambi per contrastare fenomeni di chiusura e di isolamento:

> Direttive per il riequilibrio ambientale ed insediativo dei territori ad alta frequentazione: nell'ambito dei territori definiti ad alta frequentazione, vanno realizzati ed incentivati interventi volti a recuperare condizioni di vivibilità ambientale e di funzionalità insediativa.

> Direttive per la riqualificazione dei territori collinari: nell'ambito dei territori collinari, vanno realizzati ed incentivati interventi volti a salvaguardare, potenziare e rivitalizzare l'articolazione insediativa storicamente consolidata, con maggiore attenzione per le peculiarità delle diverse tradizioni insediative locali, che costituiscono un patrimonio di straordinaria valenza culturale, sociale ed economica.

> Direttive per la rivitalizzazione delle aree montane: nell'ambito dei territori montani, vanno realizzati ed incentivati interventi volti a salvaguardare, recuperare e rivitalizzare la rete degli insediamenti storici, al fine di riattivare un ingente patrimonio culturale, sociale e naturalistico, contrastando la tendenza all'abbandono ed i rischi di marginalizzazione ed all'isolamento, accentuati dai recenti avvenimenti sismici.

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Il PTC, anche al fine di riconoscerne il ruolo –quale preziosa risorsa storica, territoriale e socio-economica, da tutelare e valorizzare- individua i sistemi insediativi locali di cui appresso (in grassetto i Comuni appartenenti al territorio del GAL):

1. Sistema costiero, costituito dagli insediamenti compresi tra l‟autostrada adriatica e la linea di costa nonché dai centri di Porto Civitanova, Porto Potenza Picena, Porto Recanati; è caratterizzato da una urbanizzzaione compatta e da uno stato di generale congestione dovuta alla concentrazione di insediamenti residenziali e turistici, luoghi di produzione, grandi strutture per il commercio e per l'incontro, ed alla mole di spostamenti conessi a queste funzioni (non ci interessa perché questi Comuni non appartegono al territorio del GAL).

2. Sistema della valle e delle colline del Chienti e delle colline dell'Ete, costituito dagli insediamenti di valle e di crinale presenti nella bassa valle del Chienti fino a Belforte nonché dai centri e dagli insediamenti dei territori di Tolentino, Pollenza, Casette Verdini, Petriolo, Macerata, Sforzacosta, Piediripa, Corridonia, Trodica, Morrovalle, Monte S.Giusto,Villa S.Filippo, Montecosaro, Montecosaro Scalo, S.Maria Apparente, Civitanova Alta; è caratterizzato dalla presenza del capoluogo e di importanti centri storici collinari, da consistenti insediamenti produttivi, residenziali e commerciali lungo le valli, ma anche dalla ricoscibilità del principio insediativo storico della polarità tra insediamento collinare e relativo insediamento di valle, che ha determinato il mantenimento di varchi e pause tra le espansioni a carattere lineare più recenti.

3. Sistema della valle e delle colline del Potenza, costituito dagli insediamenti di valle e di crinale della bassa valle del Potenza, ovvero dai centri e dagli insediamenti sparsi dei territori, fino a S.Severino Marche, Chiesanuova, Treia, Passo di Treia, Appignano, Villa Potenza, Montecassiano, Montefano, Sambucheto, S.Egidio, Recanati, Montelupone, Potenza Picena; è caratterizzato da importanti concentrazioni produttive e da rilevanti espansioni residenziali di valle pur nella notevole pemanenza dei principi insediativi storicamente consolidati e delle configurazioni paesistiche tradizionali con una forte riconoscibilità del rapporto tra centri storici e morfologie collinari.

4. Sistema delle colline e della montagna di Cingoli, Apiro e Poggio S.Vicino, costituito dagli insediamenti compresi tra la montagna di Cingoli e la catena antiappenninica, dal confine provinciale al versante sinistro del Potenza nonchè dai sistemi collinari del Fiumicello e dell‟alto Musone, dai centri e dai borghi appartenti ai territori di Poggio S.Vicino, Apiro, Cingoli; è caratterizzato da una configurazuione a pettine dei centri rispetto alla fascia di distribuzione pede-collinare. Vi si evidenzia la dominanza di Cingoli, con le sue espansioni di versante, che ha assunto il ruolo di centro trainante rispetto al contesto (non ci interessa perché questi Comuni non appartegono al territorio del GAL).

5. Sistema della sinclinale di Camerino, costituito dagli insediamenti compresi tra la catena antiappenninica e la catena appenninica in direzione est-ovest e in direzione nord-sud dal confine provinciale all‟alta valle del Chienti nonché dai centri e dagli insediamenti sparsi appartenenti ai territori di Matelica, Esanatoglia, Gagliole, Castelraimondo, Camerino, Muccia; è caratterizzato dalla sequenza dei centri di Matelica, Castelraimondo e Camerino che caratterizzano sia per le straordinarie valenze storiche che per le vivaci dinamiche contemporanee, l‟asse geomorfologico della sinclinale. Tale asse insediativo sta assumendo –anche a seguito al terremoto- una funzione di servizio rispetto ai centri montani.

6. Sistema della montagna di Esanatoglia e Sefro, costituito dagli insediamenti compresi tra la dorsale appenninica, il confine provinciale e la sinclinale di Camerino, fino all‟alta valle del Chienti nonché dai centri e dagli insediamenti sparsi di Fiuminata, Pioraco, Sefro, Serravalle del Chienti; è caratterizzato dagli importanti insediamenti storici sorti lungo le due percorrenze vallive del Chienti e del Potenza, insediamenti che hanno subito uno spopolamento costante e una

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contrazione delle attività produttive, fenomeni che rischiano di risultare accentuati per effetto del traffico di attraversamento e del terremoto.

7. Sistema della montagna di Visso, costituito dagli insediamenti compresi tra la dorsale appenninica e l‟alta valle del Chienti, comprendendo la serie di crinali che passano dal Monte Rotondo fino Chienti nonché dai centri e dai borghi dei territori di Montecavallo, Visso, Ussita, Castelsant’Angelo sul Nera; è caratterizzato da una serie di insediamenti di valle stretta e da insediamenti di versante, connessi alla fascia di fondovalle attraverso "innesti a pettine". La centralità storica di Visso, alla confluenza delle due valli principali, è confermata dal ruolo propulsivo che il centro sta assumendo nei settori del turismo e dei servizi, sopprattutto in rapporto al Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Il sistema è caratterizzato altresì da una straordinaria ricchezza di piccoli nuclei storici in forte stato di abbandono.

8. Sistema dell'alta valle del Chienti e delle colline del Fiastrone, costituito dagli insediamenti compresi tra l‟alta valle del Chienti e la parte meridionale della catena antiappenninica fino allo spartiacque con il Fiastrone, la valle ed i versanti collinari del medio e basso Fiastrone, nonché dai centri e dai borghi compresi nei territori di Muccia, Pieve Torina, Fiordimonte, Pievebovigliana, Caldarola, Cessapalombo, Camporondo di Fiastrone; è caratterizzato dagli insediamenti lineari lungo la valle del Chienti, rafforzati dalle dinamiche contemporanee e dagli insediamenti delle valli trasversali (che configurano un pettine rispetto alla fascia valliva di distribuzione); dinamiche significative, legate alle attività produttive, sono rilevabili nei territori di Pievetorina e Pievebovigliana.

9. Sistema dell'alta valle del Fiastrone, costituito dagli insediamenti compresi nella valle e nei versanti collinari e montani del Fiastrone, ovvero dai centri i borghi ed i collegamenti dei territori di Bolognola e Fiastra; è caratterizzato da un sistema lineare di valle stretta con alcuni ispessimenti in prossimità del lago artificiale del Fiastrone, nella valle del Fiastrone fino a Bolognola, da un insediamento di quota e da una costellazione di piccoli e piccolissimi insediamenti storici con andamento a pettine rispetto all‟asse di collegamento Bolognola-Sarnano.

10. Sistema della valle del Fiastra e delle colline di Sarnano, costituito dagli insediamenti compresi tra il sistema collinare di Sarnano, i Piani di Pieca, la valle ed i versanti del Fiastrella-Fiastra nonché dai centri, dai borghi e dagli insediamenti sparsi dei territori di Sarnano, S.Ginesio, Ripe S.Ginesio, Colmurano, Urbisaglia, Loro Piceno; è caratterizzato dagli insediamenti di crinale sulla Valle del Fiastra. I centri di S. Ginesio, Ripe S. Ginesio, Colmurano, Urbisaglia, rispetto al solo centro di Loro Piceno, sono connotati da fenomeni di decremento demografico. Il sistema è polarizzato rispetto all‟insediamento di Sarnano che ha avuto il ruolo di centralità, sia dal punto di vista commerciale che dei servizi.

11. Sistema delle colline del Tenna, costituito dagli insediamenti compresi tra il sistema di colline arenacee e argillose fino al confine provinciale, la valle del Fiastra, e le colline di Loro Piceno nonché i centri, dai borghi e dagli insediamenti sparsi e dai collegamenti dei territori di S.Angelo in Pontano, Gualdo, Penna S.Giovanni, Monte S. Martino; è caratterizzato da quattro principali insediamenti di crinale che si evidenziano rispetto alla struttura morfologica del contesto (che peraltro presenta numerosi problemi di sicurezza ambientale) e da un sistema secondario di piccoli nuclei lungo i principali collegamenti di versante.

Il PTC delinea degli indirizzi specifici per questi undici ambienti locali:

1. Nel sistema della valle e delle colline del Chienti e delle colline dell'Ete vanno escluse sia la saturazione del sistema lineare della valle del Chienti sia la saldatura tra centri di sommità e centri di valle, anche salvaguardando e consolidando gli spazi aperti lungo le aste fluviali e sui versanti collinari che affacciano lungo la valle; il verde di standard va localizzato, di preferenza, su queste aree e, soprattutto, nelle fasce libere tra insediamenti produttivi e aste fluviali, nei pressi delle confluenze fluviali, nelle aree libere tra i centri storici e le nuove espansioni; nelle zone di discontinuità tra insediamenti di crinale. Su queste aree gli interventi debbono tendere a recuperare ed a rafforzare la riconoscibilità della polarità storica

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tra centri di fondovalle e di sommità, attraverso la qualificazione delle loro connessioni, il miglioramento dei nodi di accesso ai centri -sia a valle che a monte, prevedendo attestamenti, parcheggi, aree di interscambio e zone verdi che contribuiscano alla rivitalizzazione della polarità storica, anche attraverso una migliore utilizzazione della viabilità secondaria a servizio degli insediamenti locali.

2. Nel sistema della valle e delle colline del Potenza e delle colline di Recanati va esclusa la formazione di sistemi insediativi lineari nei fondovalle del Potenza, del Musone, del Monocchietta e la saldatura tra centri di sommità e centri di fondovalle, mantenendo e valorizzando il rapporto insediativo e paesistico consolidato, che mostra -specie in alcune parti- un elevato grado di permanenza e di leggibilità; vanno peraltro salvaguardati e consolidati gli spazi aperti lungo le aste fluviali e sui versanti collinari che affacciano lungo la valle. Il verde di standard va localizzato di preferenza in queste aree e, soprattutto, nelle fasce libere tra insediamenti produttivi ed aste fluviali, nei pressi delle confluenze fluviali, nelle aree libere tra i centri storici e le nuove espansioni. Su queste aree gli interventi debbono tendere a recuperare ed a rafforzare la riconoscibilità della polarità storica tra centri di fondovalle e di sommità, attraverso la qualificazione delle loro connessioni, il miglioramento dei nodi di accesso ai centri -sia a valle che a monte- prevedendo attestamenti, parcheggi, aree di interscambio e zone verdi che contribuiscano alla rivitalizzazione della polarità storica, anche attraverso l‟utilizzazione della viabilità secondaria di origine storica.

3. Nel sistema della sinclinale di Camerino:

> per il sottosistema dei centri maggiori di Matelica, Castelraimondo e Camerino va esclusa la formazione di insediamenti lineari continui lungo la strada di fondo sinclinale (s.s. n.256), lungo il collegamento Matelica-Esanatoglia e lungo la s.s. n. 361, nei pressi di Castelraimondo. Nel tratto stradale di collegamento con Pioraco va consolidato e valorizzato il rapporto tra insediamenti e corsi d'acqua, quali elementi di grande interesse paesistico-ambientale. Gli eventuali nuovi insediamenti residenziali vanno localizzati in rapporto con gli insediamenti esistenti, favorendo operazioni di recupero integrato della qualità insediativa e soprattutto dello spazio aperto di uso pubblico. Il verde di standard va previsto e realizzato, di preferenza, all'interno od ai margini degli insediamenti da riqualificare o nelle fasce libere tra insediamenti e corsi fluviali o nelle fasce libere tra i centri storici e le nuove espansioni. Nelle fasce vallive, gli interventi debbono tendere a recuperare e valorizzare gli elementi di pregio paesistico ed ambientale dei corsi d'acqua, con appropriate zone di compensazione e mitigazione ambientale, soprattutto in prossimità delle aree produttive con la realizzazione di spazi e di percorsi fluviali per le attività sportive e ricreative nonché salvaguardando e consolidando la viabilità minore;

> per il sottosistema dei centri minori e delle strade secondarie va sottolineata e rafforzata l'identità dei centri, come elementi del circuito dei sistemi a pettine.

4. Nel sistema della montagna di Esanatoglia e Sefro va esclusa la formazione di insediamenti lineari continui lungo le valli interne. In particolare, per il sottosistema di Pioraco-Fiuminata, lungo la valle del Potenza, va consolidato il connotato paesistico costituito dal rapporto tra piano di valle, canalizzazioni del Potenza ed insediamenti storici nonchè rapporto tra insediamenti e corsi d'acqua, salvaguardando e sistemando le aree libere di filtro. Per il sistema di Pioraco-

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Fiuminata, va esclusa la formazione di nuovi insediamenti nell'ambito fluviale compreso tra il centro di Pioraco e il Ponte S.Casciano; eventuali nuovi insediamenti debbono essere contenuti a ridosso del versante a monte della statale.

5. Nel sistema della montagna di Visso va esclusa la saturazione del sistema insediativo di fondovalle di Ussita e del sistema di Visso lungo il tratto di fondovalle della s.s. n. 206, conservando le discontinuità tra il costruito; vanno altresì previsti interventi di riqualificazione (formale ed ambientale) degli insediamenti turistici in quota, evitando la formazione di nuovi nuclei. Nelle aree di valle, vanno conservati e consolidati gli spazi liberi tra insediamenti e corsi d'acqua.

6. Nel sistema dell'alta valle del Chienti e delle colline del Fiastrone vanno escluse la saturazione dei sistemi lineari principali di fondovalle del Chienti (Muccia, Caccamo, Belforte) e del Chienti di Pieve Torina nonchéla saldatura tra il sistema di fondovalle di Caccamo e l'espansione del centro di Caldarola; in particolare, nelle aree comprese tra l'espansione di Caldarola e la valle del Chienti, in corrispondenza dell'espansione di Caccamo, i nuovi insediamenti non debbono oltrepassare il bordo superiore del terrazzo fluviale che delimita la valle sul versante destro (ove non diversamente specificato da altre normative più restrittive). Vanno, infine, conservati e consolidati gli spazi liberi tra insediamenti e corsi d'acqua.

7. Nel sistema dell'alta valle del Fiastra va esclusa la saturazione del sistema storico di mezzacosta di Bolognola, salvaguardando la riconoscibilità delle strutture insediative storiche, avviando la riqualificazione degli insediamenti turistici in quota, evitando la diffusione di nuovi nuclei e cercando di recuperare rapporti di mediazione spaziale e paesistica attraverso la costituzione di fasce di margine da realizzarsi con l'uso prevalente di materiali vegetazionali e di attrezzature di uso collettivo all‟aperto.

8. Nel sistema della valle del Fiastra e delle colline di Sarnano va esclusa la formazione di insediamenti lineari continui nel fondovalle del Fiastra e la saldatura tra centri sommitali ed insediamenti di fondovalle, mantenendo e valorizzando le zone di discontinuità. In queste aree gli interventi debbono tendere a rafforzare la riconoscibilità dei poli di fondovalle e di sommità, qualificandone collegamenti ed accessi nonché a conservare ed a consolidare gli spazi liberi tra insediamenti di valle e corsi d'acqua e la viabilità locale rurale.

9. Nel sistema delle colline del Tenna va mantenuta e consolidata la configurazione accentrata dei centri di sommità, evitando la dispersione insediativa. Eventuali nuovi insediamenti debbono rafforzare e qualificare gli insediamenti esistenti, attraverso la creazione di strutture spaziali riconoscibili e la formazione di spazi di uso pubblico, nel rispetto delle identità storiche e paesistiche consolidate. Il verde di standard va collocato, di preferenza, nelle aree libere attorno alle mura e ai tessuti storici nonché ai bordi delle eventuali nuove espansioni.

Gli ambiti territoriali (o contesti locali) costituenti il sistema socio-economico sono individuati dal PTC, nell‟elaborato di cui al precedente art. 2.1.1.3., in funzione delle caratteristiche economico-produttive, delle problematiche ambientali legate alle specificità degli insediamenti residenziali e commerciali nonché degli impianti produttivi presenti nel contesto, delle morfologie insediative, delle morfologie sociali e delle tendenze al mutamento. L‟individuazione del sistema socio-economico consente di riconoscere la vocazione prevalente e connotativa di specifiche parti del territorio provinciale in ordine all'intero sistema, con particolare riferimento a quello economico-produttivo. Il sistema socio-economico è formato dall‟insieme dei contesti locali cioè delle aggregazioni dei territori di più comuni che presentano forti analogie di carattere socio-economico e nelle dinamiche demografiche e abitative. L‟individuazione di tali aggregazioni permette, tra l'altro, di individuare i punti di forza dei sistemi produttivi locali e di delineare le dinamiche e la rete delle relazioni e degli scambi da potenziare, consentendo così di progettare e di

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programmare, sia a livello intercomunale che a livello dei singoli comuni, le azioni e gli interventi necessari al riequilibrio dei territori più congestionati ed allo sviluppo dei territori con dinamiche negative. Il PTC riconosce ai contesti locali di seguito indicati un'identità ed un ruolo di particolare rilievo, in considerazione della loro capacità di sviluppare le risorse economiche e sociali locali, tenendo conto delle limitazioni imposte dalle sensibilità sistema ambientale e dalla necessità di riequilibrio del sistema insediativo. I contesti locali individuati dal PTC:

1. Contesto della bassa valle del Chienti, costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai territori dei Comuni di Montecosaro, Morrovalle, Monte S. Giusto, Corridonia e Tolentino: è connotato da fortissima crescita demografica ed industriale, con livelli medio-alti di densità edilizia ed elevatissima specializzazione industriale (distretto delle pelli, cuoio e calzatura).

2. Contesto della bassa valle del Potenza costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai territori dei Comuni di Recanati, Montecassiano, Montefano, Appignano, Treia: è connotato da una significativa crescita demografica ed industriale, con una urbanizzazione di fondovalle più contenuta e discontinua rispetto alla valle del Chienti.

3. Contesto del crinale di Macerata costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai territori dei Comuni di Macerata, Pollenza e Montelupone: è connnotato dalla forte individualità urbana di Macerata (da cui consegue la notevole specializzazione terziaria e di servizio, un relativo invecchiamento della popolazione, una sostanziale stabilità demografica); i territori di Montelupone e di Pollenza presentano una maggiore connotazione, rispettivamente, industriale e commerciale.

4. Contesto della area collinare della Val di Fiastra costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai territori dei Comuni di Petriolo, Mogliano, Urbisaglia , Colmurano, Ripe S. Ginesio, Loro Piceno, S. Ginesio, S. Angelo in Pontano, Gualdo, Penna S. Giovanni, Monte S. Martino, Cessapalombo, Camporotondo di Fiastrone. I Comuni più prossimi alla valle del Chienti presentano una morfologia sociale (tipica dei contesti collinari rural-industriali) in crescita, con popolazione giovane, elevata quota di attivi (in ispecie nell‟industria), rilevante presenza di lavoratori in proprio, contenuta presenza di attivi nell‟agricoltura, crescita edilizia significativa, dinamica demografica debolmente positiva o stabile. I Comuni più interni pur avendo una spiccata connotazione industriale (legata al distretto calzaturiero e delle pelli) presentano dinamiche demografiche negative (diminuzione popolazione e suo invecchiamento) e un profilo sociale di livello meno elevato (per posizioni professionali e istruzione) o comunque tradizionale (quota sopra la media di attivi in agricoltura, fortissima presenza di lavoratori in proprio, nell‟agricoltura e nell‟industria).

5. Contesto della collina di Cingoli-San Severino costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai Comuni di Cingoli, San Severino, Apiro, Poggio S. Vicino: connotato da una crescita dinamica dal punto di vista produttivo (seppure con popolazione residente stabile o in lieve diminuzione), con un'equilibrata combinazione di attività industriali, rurali e tipicamente urbane. Apiro e Poggio San Vicino presentano una condizione più periferica (invecchiamento popolazione, emigrazione); Cingoli e Poggio San Vicino una più spiccata connotazione industriale; San Severino Marche una prevalente terziaria e di servizio. L'insediamento storico ha carattere estremamente diffuso e sparso; l‟attività edilizia in questi ultimi decenni è stata moderatamente positiva; la quota di non occupato rimane superiore a valori fisiologici a Cingoli, Poggio San Vicino e Apiro.

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6. Contesto della sinclinale costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai Comuni di Matelica, Esanatoglia, Castelraimondo, Gagliole, Pioraco, Camerino, Muccia, Serrapetrona, Caldarola, Belforte del Chienti, connotato da una condizione socio-economica tradizionale, moderatamente dinamica sia dal punto di vista demografico che dell‟industrializzazione, con punte più significative -sotto il profilo demografico- a Muccia, Serrapetrona e Castelraimondo. La direttrice Camerino-Fabriano è caratterizzata da una forte dinamicità demografica e produttiva; la quota di attivi nell‟industria è medio-alta con punte elevate a Esanatoglia, Castelraimondo e Pioraco. Camerino mantiene la funzione tradizionale di polo urbano dell‟area interna (per l‟università e per alcuni servizi avanzati, per i servizi alla persona, ma non per la funzione commerciale che risulta -in termini relativi- maggiormente connotante Caldarola e Matelica); poco significative le attività tradizionali rurali.

7. Contesto della montagna di Castel S. Angelo, Fiastra, Sarnano costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai Comuni di Castel S. Angelo, Ussita, Bolognola, Acquacanina, Fiastra, Sarnano: connotato da una crescente presenza turistica sia per la tradizionale offerta sciistica e termale sia per la capacità attrattiva del parco dei Sibillini; Bolognola ha una dinamica demograficache si attesta sui valori medi negativi dell‟intera area. L‟indice di vecchiaia e di dipendenza della popolazione è comunque elevato mentre la produzione edilizia -generalmente contenuta- risulta elevata a Sarnano. In tutta l‟area si registra la quota più elevata di attivi nel settore alberghiero e di abitazioni disponibili per vacanza (i valori massimi provinciali si registrano infatti a Fiastra, Bolognola, Ussita e Bolognola oltreché a Monte Cavallo ed a Porto Recanati).

8. Contesto della montagna di Visso e Fiuminata costituito dalla parte del territorio provinciale occupata dai Comuni di Fiuminata, Sefro, Serravalle, Pievetorina, Montecavallo, Visso, Fiordimonte, connotato da una dinamica demografica e della produzione complessivamente negativa e da una variazione percentuale -positiva ma contenuta- del patrimonio edilizio. La quota percentuale di attivi nell‟industria e nell‟agricoltura risulta lievemente maggiore rispetto al contesto di cui al precedente art. 45.8, in ragione della più contenuta presenza turistica e della maggior dipendenza da nuclei urbani esterni.

Per ciascun contesto locale, il PTC, in relazione alle caratteristiche sociali ed alle dinamiche economiche, detta direttive ed indirizzi per la pianificazione, utili a guidare le trasformazioni in atto ed a definire politiche territoriali intersettoriali:

> Direttive per il riequilibrio insediativo del contesto locale della bassa valle del Chienti: nel contesto locale della bassa valle del Chienti vanno previsti ed incentivati interventi di miglioramento del funzionamento e della qualità spaziale degli insediamenti urbani, di miglioramento dei servizi e di riordino delle aree ad elevata densità insediativa. Per il contesto sono definite le seguenti direttive specifiche.

1. Direttiva specifica n. 1: riequilibrio del settore produttivo attraverso la disincentivazione dei meccanismi competitivi nell‟attrazione di popolazione e di attività ed attraverso il contenimento delle previsioni di nuove aree residenziali e produttive;

2. Direttiva specifica n. 2: riorganizzazione fisico-paesistica e riorganizzazione infrastrutturale attraverso la riprogettazione degli spazi interclusi, la rifunzionalizzazione dei nodi, la riorganizzazione degli insediamenti industriali, anche al fine della messa in sicurezza delle aree produttive;

3. Direttiva specifica n. 3: contenuto sviluppo urbanistico, nella prospettiva del riequilibrio industriale (in parte già in atto) verso le aree interne della Sinclinale e

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verso la valle del Potenza e nella prospettiva del riequilibrio residenziale verso i contesti locali confinanti di tipo collinare

> Direttive per il riequilibrio insediativo del contesto locale della bassa valle del Potenza: nel contesto locale della bassa valle del Potenza vanno previsti ed incentivati interventi di miglioramento del funzionamento e della qualità spaziale degli insediamenti urbani, di miglioramento dei servizi e di riordino delle aree ad elevata densità insediativa. Per il contesto sono definite le seguenti direttive specifiche.

1. Direttiva specifica n. 1: riequilibrio demografico attraverso una redistribuzione delle previsioni di crescita demografica tra i diversi Comuni del contesto evitando sovradimensionamenti.

2. Direttiva specifica n. 2: valorizzazione degli insediamenti storici e delle funzioni urbane in particolare di Treia e di Recanati.

> Direttive per il riequilibrio insediativo del contesto locale del crinale di Macerata (Macerata, Pollenza e Montelupone): nel contesto locale del crinale di Macerata vanno previsti ed incentivati interventi finalizzati al miglioramento del funzionamento e della qualità spaziale degli insediamenti urbani, al miglioramento dei servizi ed al riordino delle aree ad elevata densità insediativa.

1. Direttiva specifica n. 1: riqualificazione della funzione terziaria del capoluogo promuovendo la formazione di spazi dove funzioni di servizio alle imprese, attività terziarie ed insediamenti industriali qualificati risultino tra loro fortemente integrati e relazionati.

2. Direttiva specifica n. 2: rilancio commerciale e culturale del centro storico e rivalorizzazione residenziale con riduzione degli spazi destinati alle funzioni direzionali.

> Direttive di sviluppo insediativo contenuto del contesto locale dell‟area collinare della Val di Fiastra: nel contesto locale dell’area collinare della Val di Fiastra vanno previsti ed incentivati interventi finalizzati ad uno sviluppo contenuto degli insediamenti urbani e produttivi ed al miglioramento dei servizi.

1. Direttiva specifica n. 1: riqualificazione dell‟insediamento diffuso storico e mantenimento dell‟equilibrio tra funzioni industriali, rurali e urbane.

2. Direttiva specifica n. 2: estensione degli obiettivi di sviluppo del patto territoriale, attraverso l‟integrazione polisettoriale e la rivalorizzazione dell‟assetto insediativo tradizionale.

> Direttive di sviluppo insediativo contenuto del contesto locale della collina di Cingoli / San Severino: nel contesto locale dell’area collinare della collina di Cingoli / San Severino vanno previsti ed incentivati interventi di sviluppo contenuto degli insediamenti urbani e produttivi e di miglioramento dei servizi.

> Direttive di sviluppo del contesto locale della sinclinale: nel contesto locale della sinclinale vanno previsti ed incentivati interventi di

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 204

sviluppo contenuto degli insediamenti urbani e produttivi ed al miglioramento dei servizi.

1. Direttiva specifica n. 1: sviluppo controllato dell‟insediamento produttivo attraverso il potenziamento della direttrice Matelica-Muccia;

2. Direttiva specifica n. 2: sviluppo controllato dell‟insediamento residenziale, compatibilmente con gli assetti delle aree produttive.

> Direttive di sviluppo del contesto locale della montagna di Castel S. Angelo-Fiastra-Sarnano: nel contesto locale della montagna di Castel S. Angelo-Fiastra-Sarnano vanno previsti ed incentivati interventi di sviluppo contenuto degli insediamenti urbani e produttivi ed al miglioramento dei servizi.

1. Direttiva specifica n. 1: sviluppo del sistema turistico attraverso un più attento controllo del fenomeno della seconda casa ed il riuso del patrimonio non utilizzato.

2. Direttiva specifica n. 2: implementazione delle ipotesi di patto territoriale focalizzato sulla filiera turistico-ambientale e culturale.

> Direttive di sviluppo del contesto locale della montagna di Visso-Fiuminata Fiuminata, Sefro, Serravalle, Pievetorina, Montecavallo, Visso, Fiordimonte): nel contesto locale della montagna di Visso-Fiuminata vanno previsti ed incentivati interventi di sviluppo contenuto degli insediamenti urbani e produttivi e di miglioramento dei servizi.

1. Direttiva specifica n. 1: integrazione con l‟asse di sviluppo della sinclinale per le attività produttive, stante l'insufficienza delle risorse interne al contesto.

2. Direttiva specifica n. 2: sviluppo del sistema turistico e della ricettività, anche attraverso il recupero e riuso del patrimonio edilizio esistente.

Il PTC individua le linee di intervento relative ad alcuni settori nei quali la Provincia interviene direttamente od esercita funzioni di programmazione, di incentivazione, di coordinamento o di controllo. Dette linee di intervento costituiscono, anzitutto, strumento generale per garantire omogeneità e coerenza dell'azione amministrativa della Provincia.

> Sistemazione idrica ed idrogeologica, idraulico-forestale, per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque.

> Prevenzione dei grandi rischi e criteri per l‟organizzazione della rete provinciale a supporto degli organi della protezione civile.

> Valorizzazione dei beni culturali (itinerari turistici): rete delle abbazie e dei santuari della valle del Chienti, rete delle fortificazioni, la strada della montagna, il treno della cultura, percorso degli strati geologici ed archeologici, circuito di Tolentino-Urbisaglia – Abbazia di Fiastra, percorso archeologico interprovinciale.

> Proposta di classificazione funzionale della rete viaria e linee di intervento per l‟adeguamento, il completamento e miglioramento della viabilità provinciale.

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Il PROGETTO INTERSETTORIALE ED INTEGRATO DELLE RETI persegue, principalmente, le tre seguenti finalità:

1. individuare le soluzioni tecniche opportune per il riassetto del territorio, per la minimizzazione dei rischi, per la riduzione di squilibri e delle carenze attraverso la definizione dei necessari interventi di manutenzione, di risanamento ambientale, di recupero, di ristrutturazione, di nuova realizzazione e di completamento;

2. delineare la possibile soddisfazione delle attese di diversi soggetti sociali (variamente coinvolti nei diversi tipi di spazi), relativamente -in particolare- alle aree degradate, ai luoghi dello scambio e dell‟incontro;

3. prospettare, anche in termini quantitativi, l‟entità delle azioni necessarie a garantire il funzionamento delle reti territoriali, fornendo, nel contempo, ai Comuni una banca progetti, per interventi già verificati (quanto a coerenza territoriale, ambientale e fattibilità tecnica), e perciò con buone probabilità di accesso al finanziamento.

Il PTC individua alcuni ambiti territoriali, di attuazione prioritaria delle direttive e di concreta attuazione dei cantieri progettuali previsti dal PIT. Gli ambiti territoriali costituiscono luogo fisico e di progetto, sono così definiti:

1. Costa e nodi di foce; 2. Bassa valle del Chienti; 3. Bassa valle del Potenza; 4. Nodi di valle e trasversale Montecosaro-s.s. n.571 Regina; 5. Nodi di valle e trasversale di Macerata; 6. Nodi di valle e trasversale Tolentino-S.Severino; 7. Direttrice della Valle del Fiastra e dorsali collinari minori; 8. Dorsale di Cingoli; 9. Direttrici montane;

10. Nodi di alta valle e trasversali pedemontane Sarnano-Muccia-Matelica; 11. Nodi di alta valle e linee montane; 12. Connessioni di crinale appenninico.

Piani agricoli

► Provincia di Ancona

Più che di un vero e proprio strumento di programmazione si tratta di una proposta di Piano di agricolo in attesa che si consolidi il processo di decentramento amministrativo e di conseguenza il sistema delle deleghe dalle Regioni alle Province. L‟obiettivo generale della proposta è l‟accrescimento della competitività del settore in sintonia dell‟ambiente perseguito attraverso le seguenti di seguito sintetizzate per tematica.

Agricoltura multifunzionale a difesa dell‟impresa agricola, della ruralità e dell‟ambiente

Il patrimonio rurale si può salvaguardare riconoscendo il ruolo plurifunzionale dell' agricoltura insieme alla necessità di una strategia integrata per le zone rurali in sviluppo. La continuazione delle attività agricole rimane la principale

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 206

attività utilizzatrice dei terreni che ne condiziona, ovviamente, il relativo ambiente rurale. Difatti, gli agricoltori creano e gestiscono il paesaggio, influenzano il mantenimento della biodiversità e la tutela dell' ambiente. È pertanto opportuno valorizzare queste funzioni compensando, di conseguenza, gli agricoltori per i servizi forniti e sempre più richiesti dalla società civile. All‟agricoltore potrebbe essere riconosciuto il ruolo di "amministratore della campagna" potendo riorientare la produzione verso tecniche agricole meno intensive e comunque sostenibili ed operando sulla base di un impegno contrattuale che impegni il pubblico a corrispondere il relativo compenso e l'agricoltore a seguire i comportamenti definiti.

Centralità dell‟impresa

Il rilievo che si vuoI dare all'impresa agricola è certamente innovativo sul piano culturale. Difatti si vuoI chiudere con un passato che vedeva nell'azienda e nelle esigenze poste dalla stessa, per garantire il soddisfacimento dei bisogni della famiglia agricola residente ed operatrice, gli elementi sui quali attivare la totale attenzione dell'intervento pubblico. Su tale realtà vigeva di fatto l'assenza di un normale regime fiscale. Non si vuole ora disconoscere detti bisogni ed agevolazioni che ancora risultano adeguati a larga parte della realtà agricola e rurale, ma si vuole aggiungere ad essi una visione economica e professionale in capo all'imprenditore agricolo in modo che risulti e si qualifichi sempre più la figura imprenditoriale che ottiene reddito affrontando il rischio e le regole del mercato. Ciò permette di separare quanti esercitano il solo diritto di proprietà senza assumere qualsivoglia rischio d'impresa rispetto a chi produce reddito in regime di competizione e di libera concorrenzain un settore facente parte a pieno titolo dell' attività economica da non considerare più residua1e rispetto ai settori industriali ed ai servizi. Inoltre, l'intervento pubblico, sempre più mirato ad accrescere la professionalità, può meglio sostenere ed agire nel campo degli annessi servizi necessari per il miglioramento dei processi produttivi rispetto al vietato intervento sulle produzioni perché deviante in un regime di libera concorrenza ove si deve operare.

Distretto rurale

In questo ambito si intende perseguire l'equilibrio delle attività economiche ed intervenire con attività multifunzionali a difesa del territorio e dell'ambiente. Nel documento non sono specificate azioni concrete in quanto il processo di riconoscimento dei Distretti Rurali spetta alla Regione sulla base del D.lvo 228 del 2001 ed in seguito a questo la Provincia opererà sul territorio di sua competenza di concerto con le comunità e le istituzioni locali.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 207

Valorizzazione della qualità e della tipicità nel quadro della sicurezza alimentare e tracciabilità

È prevedibile che la rintracciabilità sia l'elemento culturale ed operativo del futuro perché risulterà qualificante nella diversificazione produttiva che verrà richiesta dal consumatore e, nello stesso tempo, esalterà le capacità imprenditoriali dei produttori resi visibili e quindi responsabili delle loro produzioni. Su tale proiezione le aziende agricole della provincia dovranno essere stimolate e quindi sostenute nel seguire le esigenze che già le filiere alimentari mostrano e che il sistema distributivo moderno richiede in quanto capace di garantire sicurezza e qualità ai prodotti alimentari. Il collegamento dei prodotti alimentari con l'area geografica diverrà sempre più importante in quanto la liberalizzazione del movimento delle merci stimola il consumatore a porre maggiore fiducia nei prodotti provenienti da un territorio certo e conosciuto, anche perché i pubblici controlli tendono ad annullarsi nell'ambito comunitario se non si richiamano ad esigenze di sicurezza alimentare. Occorre inoltre considerare anche il valore derivante dal possibile collegamento con l'industria agroalimentare presente sul territorio.

Assistenza tecnica, servizi, sviluppo tecnologico e professionalizzazione degli addetti

Se i notevoli risultati ottenuti dal sistema negli ultimi 50 anni sono derivati, grazie alla ricerca, alla meccanizzazione, ai mezzi tecnici ed ai molti strumenti della comunicazione e della divulgazione scientifica e professionale, da imprese sempre più efficienti ed impegnate a raggiungere risultati sul mercato comunitario, oggi occorre relazionare i relativi comportamenti alla competizione allargata. Detta competizione non è solo determinata dalle economie di scala ma anche dal valore aggiunto della qualità, dagli effetti sull' ambiente e da comportamenti che consentono la sostenibilità agricola ed ambientale degli ordinamenti produttivi. Quindi, è l'assistenza tecnica o, meglio, sono i Servizi di Sviluppo Agricolo (S.S.A.) che trovano ulteriori motivi di necessità ed opportunità per i cambiamenti della P.A.c., per la variabilità dei processi produttivi, per le specializzazioni delle produzioni, per le esigenze di certificazione, per l'introduzione di tecnologie sempre più complesse e per condizionare meglio le fasi che influenzano i tanti processi che contraddistinguono i lavori agricoli. In questo quadro la Regione Marche si avvia ad una riforma dei propri S.S.A. e, nella fase di proposta, viene scelta la costituzione di centri prevalenti da parte di organismi associativi. Trattasi di una migliore standardizzazione dei S.S.A. esistenti ed avviati nel 1975 a gestione regionale con larga responsabilità verso le OO.PP. agricole. Tale orientamento del nuovo disegno legislativo regionale se da una parte soddisfa le esigenze di assistenza del mondo imprenditoriale agricolo, dall' altra non considera e non apre nessuna forma di decentramento e di delega verso l'ente locale.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 208

Eppure le diversità d'impresa, di produzioni, di specializzazioni produttive e territoriali richiederebbero una diversa articolazione sul territorio, almeno a valenza provinciale, sia per l'erogazione dei servizi di base e sia per quelli specialistici alle colture ed agli allevamenti.

Rapporti tra P.A. e settore agricolo nel quadro del decentramento delle funzioni amministrative.

La Provincia dovrà avviare il coordinamento tra le proprie competenze e quelle dei comuni e delle Comunità Montane per quanto i principi di sussidiarietà, di differenziazione ed adeguatezza richiedono nello svolgimento delle funzioni amministrative. Seguiranno ad esso tutti gli altri compiti che l'attività d'impresa ed il territorio richiederanno e che anche il presente Piano contribuisce ad individuare ed a descrivere. Le competenze territoriali a livello provinciale ed intercomunale svolte dal Servizio decentrato regionale, sono già oggi trasferibili alla Provincia e riguardano: le rilevazioni statistiche, la vigilanza su enti ed aziende, la gestione e tenuta dell' albo delle aziende con produzioni biologiche, la gestione dell' albo delle aziende agrituristiche, l'autorizzazione per l'acquisto e la vendita di prodotti fitosanitari, il controllo dei S.S.A., la concessione delle agevolazioni sui carburanti per uso agricolo, la proprietà coltivatrice, la rottamazione delle macchine agricole, il fabbisogno e l'educazione alimentare, la vigilanza sui consorzi per le avversità atmosferiche, la gestione delle quote di produzione, dei LLGG. e delle procedure relative alle avversità atmosferiche e calamità naturali, la vitivinicoltura, l' olivicoltura, l'essiccazione dei foraggi, l'imballaggio delle uova, le conciliazioni in materia di affitti agrari ed altre funzioni rilevabili dal Piano di lavoro annuale dei Servizi previsto dalle norme che regolano il pubblico impiego. Per razionalizzare questa transizione occorre disporre di una rete unitaria della P.A. che colleghi Regione, Provincia, Comuni, C.M., Camere di Commercio, INPS, Catasto, ISTAT, OO.PP.. In questo modo le funzioni amministrative verrebbero agevolate nei procedimenti in materia agricola e forestale di competenza regionale e degli enti locali sia per l'identificazione mediante un codice aziendale e sia per la certificazione dell'impresa. Verrebbe garantito l'obiettivo della semplificazione per l'utente in quanto così operando verrebbero evitate le duplicazioni cartacee, le copie, i documenti ma è un vantaggio anche per la P.A. che potrà operare meglio sulle istruttorie e sui controlli. Il Piano infine contiene una sezione proposte per la programmazione regionale che intendono porre l‟attenzione su alcune questioni strategiche per le quali occorre uno stretto coordinamento istituzionale. Le questioni riguardano la difesa territoriale ed ambientale e le attività di impresa; la politica fondiaria e le sinergie tra programmazione provinciale e regionale.

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Patti territoriali

► Agricoltura

L‟iniziativa di promuovere il Patto Territoriale Agricolo è il risultato di una strategia di sviluppo concepita dai Soggetti Promotori del Patto Generalista del 1998. Il Patto agricolo rappresenta un “completamento e perfezionamento” del Patto Territoriale generale, dimostratosi uno strumento di lavoro per la programmazione territoriale a medio termine, utile a far convergere le potenzialità del settore pubblico e dei soggetti privati che intendono operare nel territorio. Il Patto Agricolo deriva dal decreto 1/12/99 sulle modalità applicative per l‟estensione al settore agricolo dei Patti Territoriali e dei contratti d‟area ed è datato 2000. L‟area di riferimento del Patto per l‟Agricoltura coincide con il territorio compreso nell‟Obiettivo 5b dei Fondi Strutturali per il periodo di programmazione 1994-1999 e con l‟attuale Obiettivo 2 della programmazione 2000-2006, oltre a coincidere con l‟area di azione del Patto generalistico. La maggior parte di questi comuni ricade nel territorio del GAL: Acquacanina, Apiro, Belforte del Chienti, Bolognola,Caldarola, Camerino, Camporotondo di Fiastrone, Castel Sant'Angelo sul Nera, Castelraimondo, Cessapalombo, Cingoli, Civitanova Marche (solo area portuale), Colmurano (escluse le seguenti zone: Milano, Coste, Ceti, Castelrotto, Cotaiani, Monti, Monteloreto, Peschiera), Esanatoglia, Fiastra, Fiordimonte, Fiuminata, Gagliole, Gualdo, Loro Piceno, Matelica, Monte Cavallo, Monte San Martino, Muccia, Penna San Giovanni, Pieve Torina, Pievebovigliana, Pioraco, Poggio San Vicino, Ripe San Ginesio, San Ginesio, San Severino Marche, Sant'Angelo in Pontano, Sarnano, Sefro, Serrapetrona, Serravalle del Chienti, Tolentino (escluso il Centro storico), Urbisaglia (escluse le seguenti zone: Centro Storico, Maestà), Ussita,Visso. I Comuni di Treia e Pollenza e le zone escluse dai Comuni sopra elencati sono aree in “phasing out”, cioè aree ricadenti nell‟Obiettivo 2 o 5b nel ciclo di programmazione 1994/‟99, ma non in possesso dei requisiti di ammissibilità richiesti dalla normativa comunitaria sui Fondi strutturali per l‟attuale fase. L‟area ob.5b o ob.2 corrisponde geograficamente alla fascia più interna e rappresenta la parte montana e medio collinare della provincia. I soggetti firmatari che si sono impegnati a sottoscrivere e sostenere il Patto Territoriale dell‟Agricoltura rappresentano Organismi Istituzionali, Organizzazioni Sindacali, categorie produttive e dell‟agricoltura, dei servizi, del turismo, del settore creditizio e finanziario:

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 210

Provincia di Macerata, Parco Nazionale dei Monti Sibillini, Università di Camerino, CCIAA di Macerata, Comunità Montana Zona “Monti Azzurri”, Comunità Montana “S. Vicino”, Comunità Montana “Alte Valli del Fiastrone, Chienti e Nera”, Comunità Montana “Alte Valli del Potenza e dell‟Esino”, CGIA (Confartigianto), CNA (Conf. Naz. Artigianato), CASA (Conf. Autonoma Sind. Artig.), Associazione degli Industriali della prov. di MC, CGIL, CISL, UIL, UPA (Unione Provinciale Agricoltori), CIA (Conf. Italiana Agricoltori), Fed. Prov.le Coltivatori Diretti, COPAGRI, Lega delle Cooperative Marche, UNCI Marche (Unione Nazionale Cooperative Italiane), AGCI Marche (Associaz. Generale Cooperative Italiane), Confcooperative, Confcommercio, Confesercenti, Consorzio di bonifica del Musone, Potenza, Chienti, Asola e Alto Nera, Comune di Pollenza e Comune di Urbisaglia. Il Soggetto responsabile e coordinatore tecnico della Patto Territoriale della Provincia di Macerata è la Società Consortile mista per azioni "Rinascita e Sviluppo", costituita tra i Promotori del Patto. In tali vesti essa:

> coordina l‟elaborazione tecnica del Documento Programmatico di concertazione locale:

> rappresenta il Patto Territoriale in tutte le occasioni pubbliche; > attiva le risorse tecniche ed organizzative necessarie alla

realizzazione del Patto; > elabora i criteri di valutazione e selezione dei progetti; > predispone il bando e la sua pubblicazione; > raccoglie i progetti durante il periodo di apertura del bando; > costituisce uno sportello informativo durante la raccolta dei progetti; > valuta i progetti privati e pubblici pervenuti e seleziona i suddetti

progetti predisponendo la graduatoria finale; > verifica il rispetto degli impegni e degli obblighi dei soggetti

promotori ed assume le iniziative ritenute necessarie in casi di inadempienza o ritardi;

> è assegnataria dei contributi; > assume gli impegni di spesa; > provvede ai pagamenti; > attiva risorse finanziarie per consentire l‟emancipazione e/o il

cofinanziamento di eventuali contributi statali, regionali e comunitari.

L‟obiettivo globale dell‟intervento è quello di incrementare la competitività delle aziende agricole dell‟area, attraverso l‟incentivazione della multifunzionalità, con particolare riferimento ad attività di turismo rurale e di valorizzazione e promozione dei prodotti tipici, in un‟ottica di integrazione tra territorio e produzioni agricole e nell‟ambito di uno sviluppo sostenibile, improntato alla salvaguardia dell‟ambiente e del paesaggio. Il perseguimento di tale obiettivo passa attraverso misure e sottomisure finalizzate al conseguimento di obiettivi specifici, che sono così definiti:

> incremento della redditività delle aziende agricole; > miglioramento della dotazione strutturale delle aziende agricole;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 211

> miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti;

> diversificazione delle attività aziendali; > tutela e salvaguardia dell‟ambiente e del paesaggio rurale, riduzione

dell‟impatto delle attività agricole sull‟ambiente; > miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle popolazioni

rurali; > sviluppo del turismo rurale nel territorio; > valorizzazione e promozione del territorio, dei prodotti tipici, delle

tradizioni locali.

Per arrivare ad azioni ed iniziative concretamente realizzabili si devono raccogliere, valutare e classificare le idee progetto presentate da pubblici e privati dell‟area ammessa. L‟azione di sostegno attivata dal Patto Territoriale è orientata ad incentivare gli investimenti strutturali nelle aziende agricole, gli investimenti finalizzati all‟adeguamento igienico-sanitario degli allevamenti ed al benessere degli animali, le strutture di trasformazione a sostegno delle filiere produttive, le attività di promozione e valorizzazione dei prodotti locali, i servizi per il miglioramento delle condizioni di vita e per lo sviluppo rurale, gli investimenti nel settore agrituristico. Per quanto concerne gli investimenti infrastrutturali il sostegno è orientato ad investimenti pubblici relativi alla lotta agli incendi, a salvaguardia dell‟ingente patrimonio boschivo, al miglioramento della viabilità rurale e delle reti irrigue, a progetti integrati di sostegno al turismo rurale ed alla valorizzazione dei prodotti tipici.

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ASSE MISURA SOTTOMISURA INVESTIMENTI AMMISSIBILI

1- INIZIATIVE IMPRENDI-TORIALI

1.1 INVESTIMENTI NELLE AZIENDE AGRICOLE FINALIZZATI AL MIGLIORAMENTO DELLA PRODUZIONE, ALLA QUALITA‟, ALLA VALORIZZAZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI, ALLA DIVERSIFICAZIONE

1.1.1 Investimenti finalizzati alla riconversione delle coltivazioni, all‟acquacoltura ed al miglioramento degli allevamenti, con particolare riferimento al miglioramento dell‟igiene e della salute degli animali. Riconversione delle produzioni, adeguamento a disciplinari e norme di qualità, trasformazione e vendita diretta prodotti, risparmio energetico e riduzione costi di produzione, tutela ambientale e rispetto delle norme di sicurezza.

Interventi sugli immobili, compreso l‟acquisto di macchinari fissi, primo acquisto di animali e investimenti per il miglioramento genetico del patrimonio zootecnico mediante acquisto di riproduttori registrati nei libri genealogici, spese generali, studi e licenze nei limiti del 12% dell‟investimento. Sono escluse le macchine semoventi e l‟acquisto di terreni

1.1.2 Investimenti finalizzati al miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, della competitività delle produzioni locali mediante miglioramento dei sistemi di produzione, strategie di valorizzazione dei prodotti in collegamento con il territorio e la tipicità, miglioramento sistemi di commercializzazione. Ammodernamento strutture di produzione, trasformazione prodotti biologici, riduzione reflui, utilizzazione biomasse.

Interventi sugli immobili, compreso l‟acquisto, acquisto di macchinari fissi,spese generali, studi e licenze nei limiti del 12% dell‟investimento.Sono escluse le macchine semoventi e l‟acquisto di terreni. Non è consentito l‟aumento della capacità produttiva

1.1.3 Investimenti per l‟uso delle energie alternative da fonti rinnovabili

Investimenti in immobili ed apparecchiature per la produzione di energia da fonti rinnovabili(eolica, solare, idroelettrica, da biomasse), spese generali nella misura del 12%

1.2 INTERVENTI A FAVORE DELLA DIVERSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI DELL‟AZIENDA AGRICOLA IN RIFERIMENTO AD ATTIVITA‟ TURISTICHE, ARTIGIANALI, DI COMMERCIALIZZAZIONE ED A FAVORE DEL MIGLIORAMENTO DEI SERVIZI COMPLEMENTARI NELLE AREE RURALI

1.2.1 Interventi a favore dell‟agriturismo

Interventi sugli immobili da adibire ad attività agrituristiche, arredamento ed attrezzature degli stessi, sistemazione di spazi esterni per campeggio, piccole strutture sportive e ricreative a servizio dell‟azienda agrituristica, progetti interaziendali per piccole infrastrutture di supporto all‟offerta agrituristica, spese generali nella misura massima del 12%

1.2.2 Interventi a favore della diversificazione delle attività mediante iniziative connesse al turismo rurale, all‟artigianato artistico e tradizionale, alla realizzazione di punti vendita per la commercializzazione dei prodotti agricoli

Interventi sugli immobili da adibire alle attività finanziabili, acquisto impianti, macchinari ed attrezzature, infrastrutture specifiche aziendali, realizzazione di segnaletica e produzione di materiale informativo e divulgativo, spese generali entro un massimo del 12%

(segue)

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 213

1.3 SOSTEGNO AD ASSOCIAZIONI DI PRODUTTORI E COOPERATIVE PER LA CONDUZIONE E GESTIONE DI TERRENI

1.3.1 Promozione della creazione di cooperative per gestione associata di terreni

Spese di costituzione, licenze e brevetti, investimenti in impianti e attrezzature, anche semoventi e macchine per ufficio

1.4 AZIONI A FAVORE DELLA PROMOZIONE E VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI AGRICOLI ED AL MIGLIORAMENTO QUALITATIVO

1.4.1 Valorizzazione dei prodotti di qualità

Elaborazione di disciplinari di produzione, consulenze, ricerche di mercato, studi di fattibilità, costituzione e funzionamento organismi di controllo

1.4.2 Certificazione di qualità Redazione e revisione manuali HACCP, redazione manuali di qualità

1.4.3 Sistemi di commercializzazione e attività di promozione

Attivazione di sistemi innovativi di commercializzazione, anche mediante strumenti telematici, studi ed indagini di mercato, ed attività di promozione mediante partecipazione a fiere, creazione materiale promozionale, degustazioni, campagne di marketing

1.5 AZIONI A FAVORE DELLA SILVICOLTURA

1.5.1 Investimenti a favore dell‟ottimizzazione della raccolta, trasformazione e commercializzazione dei prodotti silvicoli

Interventi sulle strutture ed acquisto di macchinari ed attrezzature per lavorazioni nei boschi e per la trasformazione del legno, spese generali entro un massimo del 12%

1.5.2 Investimenti per la valorizzazione e commercializzazione dei prodotti della silvicoltura

Realizzazione strutture di stoccaggio e trasformazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti non legnosi, ricerche di mercato e promozione

2- PROGETTI INFRA-STRUTTURALI

2.1 INTERVENTI PER LA LOTTA AGLI INCENDI BOSCHIVI

2.1.1 Investimenti per lotta agli incendi boschivi

Interventi sulla viabilità, realizzazione barriere e strade tagliafuoco, torrette di avvistamento, acquisto di attrezzature per lo spegnimento degli incendi, attrezzature di supporto, realizzazione bacini per rifornimento elicotteri

2.2 MIGLIORAMENTO E SVILUPPO DELLE INFRASTRUTTURE RURALI

2.2.1 Interventi di sistemazione della viabilità minore ( strade interpoderali e vicinali)

Opere di sistemazione elle carreggiate e delle scarpate

2.2.2 Investimenti per l‟uso delle energie alternative da fonti rinnovabili

Investimenti in immobili ed apparecchiature per la produzione di energia da fonti rinnovabili ( eolica, solare, idroelettrica, da biomasse), spese generali nella misura massima del 12%

(segue)

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 214

2.2.3 Investimenti per adeguamento dei mattatoi

Investimenti per adeguamento dei mattatoi comprensoriali alle norme igienico-sanitarie

2.3 GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE

2.3.1 Interventi sulle gestione sostenibile delle risorse idriche e sulla gestione ambientale

Realizzazione o miglioramento di opere irrigue, riuso acque reflue a scopo irriguo, fertirrigazione, ripristino rete idrografica minore, laghetti collinari

2.4 REALIZZAZIONE BORSA MERCI AGROALIMENTARE TELEMATICA

2.4.1 Attivazione di una borsa merci telematica per il settore agroalimentare

Interventi su immobili, attrezzature informatiche e similari, studi e progettazione nei limiti del 12% dell‟investimento

2.5 PROGETTI INTEGRATI DI VALORIZZAZIONE DELLE PRODUZIONI E SUPPORTO ALLO SVILUPPO TURISTICO

2.5.1 Progetti integrati per la valorizzazione dell‟ambiente, delle produzioni tipiche e del turismo rurale

Investimenti su immobili, attrezzature ed arredi per realizzazione centri di valorizzazione e documentazione, centri espositivi delle attrattive del territorio e dei prodotti tipici, piccole infrastrutture sportive e ricreative a sostegno del turismo rurale, recupero e valorizzazione dei borghi rurali

Tabella 64 - Quadro riepilogativo del Patto territoriale dell’agricoltura Fonte: nostra elaborazione

► Appennino marchigiano

Si tratta di uno strumento non ancora operativo di cui si sintetizzano i principali obiettivi esperessi in un documento preliminare. Le due province di Ancona e Pesaro, unitamente alle tre C.C.M.M. dell‟Esino Frasassi, Catria e Cesano e del Metauro hanno deciso di proseguire una precedente proposta programmatoria espressa nel documento “Verso un Patto Territoriale dell‟Appennino Marchigiano” limitandola all‟area Obiettivo 5b della provincia di Ancona e ai territori delle due Comunità Montane del Pesarese. Sotto il profilo organizzativo I soggetti pubblici e privati proponenti il Patto intendono affidare alle due Società Colli Esini- S.Vicino e Flaminia Cesano, costituitesi in Associazione temporanea di imprese denominata “Agenzia Marche Sviluppo”, la definizione dell‟elaborato intermedio (e su quello chiedere la collaborazione e l‟assistenza di una delle Società convenzionate con il Ministero). Le analisi preliminare hanno permesso di individuare le linne guida per le strategie del Patto che per il comparto agroalimentare si possono sintetizzare in:

> interventi di adeguamento e ammodernamento impianti produttivi in ottica di una diminuzione dell‟impatto ambientale perseguendo inoltre criteri di qualità tali da consentire su larga scala le previste certificazioni;

> l‟ottica di intervento deve sempre riguardare l‟intera filiera produttiva incrementando così il valore aggiunto per i produttori

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locali. Particolare attenzione verrà posta alle coltivazioni e produzioni destinate alla biomassa;

> creazione di strutture di assistenza alla commercializzazione e a alla qualità favorendo lo sviluppo della realizzazione di “marchi ombrello” che siano in grado di differenziare nel mercato la tipicità di queste produzioni.

> sviluppo sul territorio di una serie di punti vendita diretti di aziende agricole singole e associate supportati da manifestazioni e iniziative promozionali nel territorio in oggetto.

> progetti integrati tra il mondo agricolo e quello artigianale sia nella fase di trasformazione, sia nello sviluppo del turismo.

► Provincia di Ancona

Con la stipula dei Documenti Preliminari di concertazione del Patto Territoriale dell'Appennino Marchigiano e del Patto territoriale per le Valli Aspio, Esino, Misa, Musone, Nevola e Cesano si sono individuati obiettivi generali di sviluppo territoriale rispettivamente nei Comuni ex obiettivo 5b e nei Comuni obiettivo 2 e fuori obiettivo, volti ad omogeneizzare complessivamente il territorio attraverso il riequilibrio tra aree deboli ed aree forti, interventi a favore dell'occupazione, valorizzazione delle potenzialità endogene del territorio di riferimento. Obiettivo precipuo del Programma è quello di individuare e definire un modello di sviluppo endogeno del territorio, attraverso lo sviluppo e la valorizzazione economica e ambientale delle risorse e delle attività locali quali le produzioni tipiche e l'allevamento, la sinergia tra il settore agricolo e quello del turismo e la valorizzazione del patrimonio forestale. In particolare con il Patto Territoriale Tematico per l'Agricoltura di Qualità della Provincia di Ancona si incentivano e sostengono gli interventi che:

> valorizzino l'innovazione dei processi produttivi e gestionali delle imprese, favorendo l'integrazione tra le produzioni agricole, nonchè i processi di lavorazione, trasformazione e commercializzazione, in un'ottica di miglioramento e sviluppo continuo;

> valorizzino le risorse materiali e immateriali esistenti nel Territorio del Patto per lo sviluppo economico locale, con particolare riferimento alle infrastrutture ed ai servizi necessari alla produzione e commercializzazione dei prodotti;

> mirino alla creazione e allo sviluppo anche di nuove attività produttive finalizzate alla valorizzazione e trasformazione delle produzioni tipiche locali a riconoscimento DOP, IGP,DOC, IGT e di altri prodotti tipici locali, attraverso interventi di innovazione tecnologica, con particolare riferimento ai prodotti dell'agricoltura;

> sviluppino integrazione tra diversi settori produttivi, attraverso la definizione di programmi integrati di sviluppo economico allo scopo di valorizzare le produzioni tipiche locali e la promozione di prodotti agro-alimentari di qualità e l'agriturismo;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 216

> contribuiscano alla tutela dell'ambiente ed alla conservazione e valorizzazione delle risorse naturali del territorio del Patto;

> valorizzino e sviluppino le capacità di associazione imprenditoriale e con soggetti pubblici locali.

La localizzazione degli interventi ammessi a valere sulla finanza del Patto Tematico è riferita ai territori dei seguenti Comuni del territorio provinciale: Agugliano, Ancona, Arcevia, Belvedere Ostrense, Camerano, Castelfidardo, Castelplanio, Chiaravalle, Fabriano, Maiolati Spontini, Monte San Vito, Morro d'Alba, Numana, Offagna, Osimo, Ostra Vetere, Poggio San Marcello, Polverigi, San Marcello, San Paolo di Jesi, Santa Maria Nuova, Sassoferrato, Senigallia, Serra San Quirico, Staffolo. Sono stati ammessi a partecipare le imprese agricole, gli imprenditori a titolo principale anche in forma di società di persona o di capitale, le cooperative di produttori agricoli, le imprese manifatturiere operanti nell'ambito della filiera agroalimentare, le imprese operanti nel settore e le imprese agrituristiche che hanno inteso presentare la richiesta di agevolazione per usufruire dei contributi, sia per la realizzazione di nuovi insediamenti, sia per la ristrutturazione, ampliamento, ammodernamento, riconversione, riattivazione e trasferimento di aziende esistenti aventi la finalità sia di un incremento occupazionale che di redditività con una propria unità produttiva localizzata all'interno del Territorio del Patto.

► Provincia di Macerata

L‟istituto del Patto Territoriale è previsto dalla L.341/95 ed è definito anche dalla legge finanziaria ‟97 n°662/96 (“accordo promosso da EE.LL., parti sociali o altri soggetti pubblici o privati, relativo all‟attuazione di un programma d‟interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale”). La deliberazione CIPE del 21/3/97 ha individuato i settori d‟intervento: industria, agroindustria, servizi, turismo e apparato infrastrutturale, tra loro integrati, compatibili con uno sviluppo ecosostenibile. La scelta di tale strumento e delle sue finalità è in linea con gli orientamenti che la Provincia di Macerata si è data ed in particolare risponde al Programma Pluriennale di Sviluppo, predisposto ai sensi dell‟art.15 comma 1 della L.142/90, approvato il 19/11/97, che prevede, appunto, l‟avvio di patti territoriali sub provinciali. Il primo documento preliminare di concertazione del Patto territoriale è datato 17/02/1998; in seguito si è avuta una Rimodulazione del Patto, datata ottobre 2003, con lo scopo di perseguire al meglio le strategie stabilite grazie all‟utilizzo delle risorse rimaste inutilizzate nel Patto Territoriale del 1998. Compito essenziale del Patto Territoriale istituito è preservare la specificità della cultura, delle tradizioni, del paesaggio, delle trame architettoniche , dei valori storici e artistici, delle attività economiche, e di prevederne una loro riqualificazione e valorizzazione.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 217

Il Patto Territoriale punta a raggiungere il riequilibrio territoriale tra zone deboli e zone dal benessere consolidato, secondo un‟impostazione che privilegi le risorse endogene disponibili nell‟area stessa, facendo leva sulle caratteristiche interne di cultura rurale-ambientale proprie del territorio interessato. Tutto ciò deve essere basato sui principi della sostenibilità ambientale, del riuso e del risanamento dei patrimoni naturali ed antropici esistenti. L‟area di intervento del Patto Territoriale originale era quella coincidente con l‟area Obiettivo 5b, che corrisponde alle aree ammesse all‟Obiettivo 2 (Sviluppo delle zone urbane e rurali) per il periodo 2000-2006, cioè quelle previste nella rimodulazione del Patto. La maggior parte di questi Comuni ricade nel territorio del GAL: Acquacanina, Apiro, Belforte del Chienti, Bolognola,Caldarola, Camerino, Camporotondo di Fiastrone, Castel Sant'Angelo sul Nera, Castelraimondo, Cessapalombo, Cingoli, Civitanova Marche (solo area portuale), Colmurano (escluse le seguenti zone: Milano, Coste, Ceti, Castelrotto, Cotaiani, Monti, Monteloreto, Peschiera), Esanatoglia, Fiastra, Fiordimonte, Fiuminata, Gagliole, Gualdo, Loro Piceno, Matelica, Monte Cavallo, Monte San Martino, Muccia, Penna San Giovanni, Pieve Torina, Pievebovigliana, Pioraco, Poggio San Vicino, Ripe San Ginesio, San Ginesio, San Severino Marche, Sant'Angelo in Pontano, Sarnano, Sefro, Serrapetrona, Serravalle del Chienti, Tolentino (escluso il Centro storico), Urbisaglia (escluse le seguenti zone: Centro Storico, Maestà), Ussita,Visso. I Comuni di Treia e Pollenza e le zone escluse dai Comuni sopra elencati sono aree in “phasing out”, cioè aree ricadenti nell‟Obiettivo 2 o 5b nel ciclo di programmazione 1994/‟99, ma non in possesso dei requisiti di ammissibilità richiesti dalla normativa comunitaria sui Fondi strutturali per l‟attuale fase. L‟area ob.5b o ob.2 corrisponde geograficamente alla fascia più interna e rappresenta la parte montana e medio collinare della provincia. Questa parte del territorio presenta gravi problemi poiché è periferica rispetto ai maggiori poli di sviluppo provinciale consolidati, ha un sistema infrastrutturale insufficiente, è carente dal punto di vista delle risorse demografiche e presenta una bassa propensione verso i settori più innovativi e con potenzialità di sviluppo. Gli ambiti di intervento riguardano i settori dell‟industria, dell‟artigianato, dei servizi, del turismo, delle infrastrutture e dell‟agricoltura e sono individuati attraverso un metodo che garantisce la definizione di un sistema organico di interventi, un iter amministrativo di breve termine, la selezione di iniziative in cui si riconoscano tutti i soggetti aderenti al Patto. I soggetti firmatari che si sono impegnati a sottoscrivere e sostenere il Patto Territoriale rappresentano Organismi Istituzionali, Organizzazioni Sindacali, categorie produttive e dell‟agricoltura, dei servizi, del turismo, del settore creditizio e finanziario: Provincia di Macerata, Parco Nazionale dei Monti Sibillini, Università di Camerino, CCIAA di Macerata, Comunità Montana Zona “Monti Azzurri”, Comunità Montana “S. Vicino”, Comunità Montana “Alte Valli del Fiastrone,

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 218

Chienti e Nera”, Comunità Montana “Alte Valli del Potenza e dell‟Esino”, CGIA (Confartigianto), CNA (Conf. Naz. Artigianato), CASA (Conf. Autonoma Sind. Artig.), Associazione degli Industriali della prov. di MC, CGIL, CISL, UIL, UPA (Unione Provinciale Agricoltori), CIA (Conf. Italiana Agricoltori), Fed. Prov.le Coltivatori Diretti, COPAGRI, Lega delle Cooperative Marche, UNCI Marche (Unione Nazionale Cooperative Italiane), AGCI Marche (Associaz. Generale Cooperative Italiane), Confcooperative, Confcommercio, Confesercenti. Il Soggetto responsabile della Patto Territoriale della Provincia di Macerata è la Società Consortile mista per azioni "Rinascita e Sviluppo", costituita tra i Promotori del Patto. Ai sensi della delibera CIPE del 21/03/1997 il Soggetto Responsabile, per il perseguimento delle finalità del Patto, provvede a:

> rappresentare in modo unitario gli interessi dei soggetti sottoscrittori; > attivare risorse finanziarie per consentire l'anticipazione e/o il

cofinanziamento di eventuali contributi statali, regionali e comunitari, ivi compresa la promozione del ricorso alle sovvenzioni globali;

> attivare le risorse tecniche ed organizzative necessarie alla realizzazione del patto;

> assicurare il monitoraggio e la verifica dei risultati; > verificare il rispetto degli impegni e degli obblighi dei soggetti

sottoscrittori ed assumere le iniziative ritenute necessarie in caso di inadempimenti o ritardi;

> verificare e garantire la coerenza di nuove iniziative con l'obiettivo di sviluppo locale a cui è finalizzato il patto;

> promuovere la convocazione, ove necessario, di conferenze di servizi; > assumere ogni altra iniziativa utile alla realizzazione del patto.

Per volontà dei soggetti promotori la Società Rinascita e Sviluppo si configura sin dall'origine come "Agenzia di Sviluppo Locale" per tutta l'area del Patto Territoriale, potendo così espletare funzioni di ideazione, progettazione e gestione di iniziative di sviluppo sociale, economico ed occupazionale dell'ambito locale. Per il Patto Territoriale del 1998 sono state definite attivabili le risorse finanziarie derivanti da fondi nazionali, le risorse finanziarie programmate dall‟UE e inoltre si prevedeva di utilizzare finanziamenti provenienti dall‟adeguamento del DOCUP.5b 1994/‟99, dei Programmi Operativi Regionali e Multiregionali, dallo strumento della Sovvenzione Globale e partecipazioni da parte di Enti cofinanziatori del Piano. Per la rimodulazione del Patto invece si hanno a disposizione le risorse rimaste inutilizzate nel Patto Territoriale del 1998, pari a € 7.086.976,51 che, detratte le percentuali da restituire al Ministero (20%) e le somme necessarie per il costo delle istruttorie bancarie delle iniziative presentate, rappresenta la base economica sulla quale costruire i nuovi interventi di sviluppo delle aree depresse del territorio provinciale.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 219

Gli obiettivi di carattere generale da perseguire sono uguali per il Patto del 1998 e per la rimodulazione del Patto:

> Recupero dei centri storici minori > Riequilibrio territoriale > Valorizzazione delle risorse ambientali e naturalistiche > Produzione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione

delle produzioni agro-alimentari montane contrassegnate da qualità e tipicità

> Sostegno e sviluppo dell‟agricoltura biologica a basso impatto ambientale, della zootecnica bovina, ovina e alternativa

> Incremento del turismo rurale e dell‟agriturismo > Recupero e valorizzazione delle aree soggette ad uso civico > Incremento delle attività di forestazione produttiva > Promozione delle PMI e dei servizi ad esse indispensabili

Gli obiettivi specifici da perseguire sono suddivisi per settori:

Settore turistico, agro-industriale ed artigianale

> Assecondare una crescita equilibrata e sostenibile > Favorire lo sviluppo secondo le esigenze della popolazione locale ed in

relazione alle risorse culturali ed ambientali del territorio di riferimento

> Evitare sovrapposizioni con programmi d‟azione già in essere sul territorio (es. Leader +)

> Agevolare gli investimenti per l‟ammodernamento e l‟ampliamento delle strutture alberghiere esistenti

> Potenziare la ricettività nei centri storici > Favorire le forme di collegamento tra operatori del settore e le

iniziative di costituzione di “sistemi a rete” > Agevolare la possibilità di allungamento della stagionalità delle

attività turistiche > Favorire la volontà di recupero di aree degradate inserite in contesti

naturalistici o culturali rilevanti, se non rientranti in altri programmi di finanziamento settoriali specifici

> Favorire l‟affidamento a cooperative giovanili di gestione di strutture e nuove attività economiche

> Attivare la filiera agro-alimentare incentrata su produzioni zootecniche e vegetali tipiche del territorio

> Rilanciare le colture interessate da un crescente trend della domanda tramite l‟attivazione di un processo di filiera dalla produzione primaria alla trasformazione e finalizzata alla caratterizzazione della cultura gastronomica della zona

> Attivare le operazioni di mantenimento del bosco, del rimboschimento, della raccolta e lavorazione del legno, compresa la valorizzazione dei prodotti alimentari tipici del bosco e del sottobosco

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 220

> Rilanciare la filiera della lana nell‟ambito dell‟artigianato artistico e del turismo rurale, riproponendo tessuti tipici locali in forma naturale anche nel processo di colorazione

> Ricostruire il formalismo architettonico caratteristico dei centri storici dei luoghi montani, applicando anche il concetto di bioedilizia nell‟uso di vernici naturali e sostanze coibenti ecologiche

Settore industriale e artigianale

> Implementare e sviluppare una trama produttiva ancora troppo debole rispetto al mercato

> Riqualificare le PMI e l‟artigianato stimolando l‟innesto nel tessuto produttivo locale di nuove imprese ad alto livello tecnologico

> Aiutare la crescita dei livelli di cultura manageriale favorendo il decentramento di settori di lavorazione oggi realizzati in sistemi industriali concentrati

> Attivare le condizioni per una logistica integrata per favorire il processo di decentramento interno al territorio provinciale

> Favorire la realizzazione di opere infrastrutturali per velocizzare i collegamenti con le aree interne al fine di realizzare una crescita delle PMI e di aziende artigiane

> Favorire la crescita di una rete di relazione di alta competenza, capacità e professionalità per singole specializzazioni produttive al fine di aumentare la qualità delle singole produzioni

> Aiutare l‟organizzazione di strutture capaci di offrire servizi di marketing internazionale

> Favorire ed agevolare la crescita dei servizi del terziario avanzato a sostegno delle imprese

> Sviluppare l‟offerta di servizi reali ed avanzati di consulenza gestionale, organizzativa e commerciale

> Favorire l‟applicazione del marketing aziendale

Settore agricolo

> Sviluppare la cerealicoltura > Sostenere la diversificazione dei redditi agricoli attraverso il supporto

alle iniziative agrituristiche > Sviluppare l‟innovazione tecnologica nel settore primario > Valorizzare l‟allevamento di razze bovine tipiche > Sostenere l‟allevamento di piccole dimensioni nel settore ovino > Aiutare la valorizzazione, commercializzazione e promozione dei

prodotti olivicoli > Sostenere la promozione del settore vitivinicolo con particolare

riferimento delle produzioni DOC > Favorire gli allevamenti alternativi per la produzione di selvaggina > Aiutare l‟adeguamento igienico-sanitario degli allevamenti e delle

aree destinate alla preparazione ed alla vendita

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 221

> Favorire l‟applicazione del marketing aziendale

Per arrivare ad azioni ed iniziative concretamente realizzabili si devono raccogliere, valutare e classificare le idee progetto presentate da pubblici e privati dell‟area ammessa. L‟apporto più importante da parte dei soggetti aderenti al Patto Territoriale ed alla sua rimodulazione sta nel mettere in campo un adeguato sistema di relazioni con i soggetti attivi sul territorio al fine di garantire la più completa attivazione delle iniziative imprenditoriali successivamente alla concessione dei contributi previsti. Si avranno perciò presentazioni di progetti imprenditoriali, opere infrastrutturali per uso industriale…e di tutti quei progetti che riguardano i settori industria, artigianato, servizi, agricoltura, turismo, infrastrutture.

Documenti di indirizzo, pianificazione e programmazione delle Comunità Montane

► Esino-Frasassi

La Comunità Montana dell‟Esino Frasassi (AN) ha incaricato, nel 2000, la Colli Esini San Vicino della redazione del proprio Piano Pluriennale di Sviluppo Socio Economico 2000-2004. Il Piano è stato approvato a dicembre 2000. Il Piano, oltre ai contenuti di carattere urbanistico-territoriale e programmatorio, si articola su una serie di schede-progetto, per più di 50 miliardi di investimenti previsti, che individuano, oltre alle condizioni di fattibilità degli interventi, le possibili fonti di finanziamento, costituendo per l‟Ente uno strumento operativo, per una pronta risposta alle opportunità che man mano saranno offerte al territorio dagli strumenti di sostegno regionali, nazionali e comunitari. Il Piano potrà anche configurarsi, e sono attualmente in atto opportune azioni in questa direzione, come base per l'attuazione di un PIT (Progetto Integrato Territoriale), innovativo strumento previsto dalla nuova programmazione dei Fondi Strutturali, del tutto complementare e sinergico alle altre azioni integrate già sperimentate, come Leader e Patti Territoriali

Progetti e programmi in atto

> studio di fattibilità per la valorizzazione dei siti archeologici. (...) Non c'è dubbio che tale patrimonio debba essere meglio considerato ed utilizzato all'interno di una offerta strategicamente integrata con altre emergenze a valenza turistica. L'Amministrazione si impegna per l'inserimento delle risorse di tale tipo in un più vasto progetto di percorsi ed itinerari archeologici regionali collegandosi e integrandosi con quella che è la maggiore emergenza nel settore (il Parco Archeologico di Suasa) ed i suoi strumenti di gestione (Consorzio), anche alla luce delle opportunità offerte dal Programma Leader.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 222

> Progetto di catalogazione dei beni culturali e ambientali. In coerenza con la necessaria azione di valorizzazione delle risorse endogene e il sostegno ad una azione di qualificazione dell'offerta turistica. Tale progetto si avvarrà delle opportune collaborazioni con altri Enti e soggetti.

> Progetto di prevenzione degli incendi boschivi. L'esperienza di collaborazione con altri Enti di protezione civile e associazioni di volontariato ambientale è in atto con successo da diversi anni. Essa ha dimostrato una sua indiscutibile utilità e va pertanto riproposta. (...)

> L'Amministrazione si impegna a valutare con gli Organi e gli Enti competenti la possibilità di realizzare nel Capoluogo montano un "Centro regionale (o interregionale) di pronto intervento per la Protezione Civile" dotato delle necessarie attrezzature e mezzi per una più pronta ed efficace protezione ambientale.

> Progetto di fattibilità per la istituzione di un Centro Servizi all'Ambiente. Bisogna ormai riempire con contenuti concreti ed iniziative operative questa idea che "viaggia" da tempo all'interno dell'Ente, verificando la possibilità di inserirla nei progetti connessi alla istituzione dei Parchi, utilizzando le opportunità offerte dal Programma Leader. Più in generale per quanto riguarda la questione dei Parchi, si ritiene dover non solo confermare l'interesse per la istituzione di quello della Gola della Rossa, già previsto, ma anche di sollecitare previsioni analoghe per quanto riguarda l'area già protetta dell'Alto Esino e quella del versante marchigiano del Monte Cucco. A tal proposito la linea che si intende adottare è per nulla ideologica (né in senso positivo né in senso negativo). I Parchi, infatti, saranno chiesti, difesi e attuati nella misura in cui rappresenteranno non già una compressione delle oppportunità di vita dei residenti, ma l'occasione per uno sviluppo dei stessi e per nuove iniziative di carattere economico ed occupazionale.

> Progetto Attivazione Raccolta Differenziata rifiuti e "problema discarica". Il progetto deve tener conto dei seguenti aspetti: - tipologie delle aree attrezzate alla raccolta e loro ubicazione. Sarà usata tutta la flessibilità possibile. La configurazione tipologica dell'area attrezzata o "isola" deve tener conto del punto di ubicazione della stessa, a seconda che trattasi di area urbana di nuovo insediamento, centro storico, frazioni con nuclei sparsi, ecc. anche facendo ricorso a contenitori plurimi (da usare per la raccolta contemporanea di rifiuti di tipo diverso). - gestione del progetto. Saranno valutate diverse ipotesi (...) Per quanto riguarda la discarica, ferma restando la competenza regionale alla individuazione del sito, appare ormai scontato il fatto che l'ambito territoriale espresso dalla CM debba dotarsi di un sito ubicato sul suo territorio da adibire a tale compito. Tale scelta, pur non determinata da ragioni strettamente tecnico-operative, è diventata ormai un inevitabile obbligo politico. Importante è che ciò non impedisca il passaggio alla cosiddetta Ò2¡ fase" del Piano Regionale.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 223

> Trasporto pubblico a chiamata. Il progetto - ancora a livello di intuizione - è in pratica tutto da sviluppare. Il concetto di fondo è chiaro: si tratta di superare la rigidità dell'attuale sistema di trasporto nel comprensorio che è ad un tempo inefficiente e fonte di sperperi anche assistenziali-clientelari. (...)

> Studio sistema idrico. L'idea è appena alla sua fase iniziale. L'incarico è stato conferito di recente al prof. Nanni della Università di Ancona. L'impegno sarà quello di verificare la cantierabilità dello stesso.

> Decentramento Uffici e funzioni pubbliche. Ormai resa effettiva e concreta l'operatività dello sportello della Camera di Commercio, saranno sondate le reali disponibilità al decentramento di funzioni da parte della Prefettura. Sarà esaminata la presenza di altri Uffici pubblici e la loro articolazione sul territorio. Va concordata con la Provincia l'istituzione del Circondario, ai sensi della L. 142/90. Più in generale sarà sostenuta e seguita l'attività preparatoria in atto a livello nazionale per l'applicazione dell'art. 14 della L. 97/94 in materia di decentramento nelle aree montane di attività e servizi pubblici nei settori della scuola, della sanità, ecc

► Alte Valli del Potenza e dell’Esino

Il documento è stato redatto dalla Comunità Montana “Alte valli del Potenza e dell‟Esino ” assumendo come riferimento la legislazione regionale in materia e gli “Indirizzi per l‟elaborazione e l‟aggiornamento dei Piani Pluriennali di Sviluppo ai sensi dell‟art.30 della LR 35/97”. Sempre con riferimento alla stessa legge, art.1, sono state formulate le finalità dell‟azione della comunità Montana. L‟area interessata è costituita dai seguenti Comuni, tutti appartenenti al territorio del Gal Sibilla tranne Matelica: Castelraimondo, Esanatoglia, Fiuminata, Gagliole, Matelica, Pioraco, San Severino, Sefro e Treia. Il periodo al quale fa riferimento la programmazione presentata nel documento sono gli anni dal 2000 al 2004. Il documento è stato definito avendo come riferimento sia le scelte di governo formalizzate nei documenti di programmazione/pianificazione regionali e provinciali, sia le risorse differenziali e le criticità che caratterizzano il territorio, sia mantenendo una continuità con le azioni condotte dalla Comunità Montana nel passato. La Comunità Montana si presenta come “agente di sviluppo” nell‟ambito del parco progetti da realizzare. Essa cioè non solo è capace di portare a compimento proprie iniziative, ma funge soprattutto da stimolo per altri attori potenzialmente in grado di concorrere al perseguimento degli obiettivi della programmazione per accordi. Convergono così le azioni di una pluralità di soggetti, sia pubblici che privati.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 224

In questi schemi sono specificati gli obiettivi perseguiti dalla Comunità Montana “Alte valli del Potenza e dell‟Esino” e il parco progetti, cioè le azioni e gli interventi ritenuti importanti per assicurare la realizzazione degli obiettivi prefissati. Gli obiettivi generali sono:

> Promuovere una gestione sostenibile delle risorse ambientali > Ridurre i rischi incombenti > Promuovere la diffusione ed il miglioramento delle attività turistiche > Sostenere i processi evolutivi delle attività artigianali > Riqualificare le infrastrutture rurali, pedonali e carrabili > Promuovere il completamento del sistema dei servizi ed assicurare

opportunità di formazione

Il documento non presenta un quadro finanziario relativo alle risorse da utilizzare per l‟attuazione dei progetti.

► Monti Azzurri

Il documento è stato redatto dalla Comunità Montana “Monti Azzurri” assumendo come riferimento la legislazione regionale in materia e gli “Indirizzi per l‟elaborazione e l‟aggiornamento dei Piani Pluriennali di Sviluppo ai sensi dell‟art.30 della LR 35/97”. Sempre con riferimento alla stessa legge, art.1, sono state formulate le finalità dell‟azione della comunità Montana. L‟area interessata è costituita dai seguenti Comuni, tutti appartenenti al territorio del Gal Sibilla: Belforte del Chienti, Caldarola, Camporotondo di Fiastrone, Cessapalombo, Colmurano, Gualdo, Loro Piceno, Monte San Martino, Penna San Giovanni, Ripe San Ginesio, San Ginesio, Sant‟Angelo in Pontano, Sarnano, Serrapetrona, Tolentino. Il periodo al quale fa riferimento la programmazione presentata nel documento sono gli anni dal 2000 al 2004. Il documento è stato definito avendo come riferimento sia le scelte di governo formalizzate nei documenti di programmazione/pianificazione regionali e provinciali, sia le risorse differenziali e le criticità che caratterizzano il territorio, sia mantenendo una continuità con le azioni condotte dalla Comunità Montana nel passato. La Comunità Montana si presenta come “agente di sviluppo” nell‟ambito del parco progetti da realizzare. Essa cioè non solo è capace di portare a compimento proprie iniziative, ma funge soprattutto da stimolo per altri attori potenzialmente in grado di concorrere al perseguimento degli obiettivi della programmazione per accordi. Convergono così le azioni di una pluralità di soggetti, sia pubblici che privati.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 225

In questi schemi sono specificati gli obiettivi perseguiti dalla Comunità Montana “Monti Azzurri” e il parco progetti, cioè le azioni e gli interventi ritenuti importanti per assicurare la realizzazione degli obiettivi prefissati. Gli obiettivi generali sono:

> Promuovere una gestione sostenibile delle risorse ambientali > Ridurre i rischi incombenti > Promuovere la diffusione ed il miglioramento delle attività turistiche > Sostenere i processi evolutivi delle attività artigianali > Riqualificare le infrastrutture rurali, pedonali e carrabili > Promuovere il completamento del sistema dei servizi ed assicurare

opportunità di formazione.

Il documento non presenta un quadro finanziario relativo alle risorse da utilizzare per l‟attuazione dei progetti.

► Alte Valli del Fiastrone, Chienti e Nera

Il documento è stato redatto dalla Comunità Montana “Alte valli del Fiastrone, Chienti e Nera” assumendo come riferimento la legislazione regionale in materia e gli “Indirizzi per l‟elaborazione e l‟aggiornamento dei Piani Pluriennali di Sviluppo ai sensi dell‟art.30 della LR 35/97”. Sempre con riferimento alla stessa legge, art.1, sono state formulate le finalità dell‟azione della comunità Montana. L‟area interessata è costituita dai seguenti Comuni,tutti appartenenti al territorio del Gal Sibilla: Acquacanina, Bolognola, Camerino, Castelsantangelo sul Nera, Fiastra, Fiordimonte, Muccia, Montecavallo, Pieve Torina, Pievebovigliana, Serravalle, Ussita, Visso. Il periodo al quale fa riferimento la programmazione presentata nel documento sono gli anni dal 2000 al 2004. Il documento è stato definito avendo come riferimento sia le scelte di governo formalizzate nei documenti di programmazione/pianificazione regionali e provinciali, sia le risorse differenziali e le criticità che caratterizzano il territorio, sia mantenendo una continuità con le azioni condotte dalla Comunità Montana nel passato. La Comunità Montana si presenta come “agente di sviluppo” nell‟ambito del parco progetti da realizzare. Essa cioè non solo è capace di portare a compimento proprie iniziative, ma funge soprattutto da stimolo per altri attori potenzialmente in grado di concorrere al perseguimento degli obiettivi della programmazione per accordi. Convergono così le azioni di una pluralità di soggetti, sia pubblici che privati.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 226

In questi schemi sono specificati gli obiettivi perseguiti dalla Comunità Montana “Alte valli del Fiastrone, Chienti e Nera” e il parco progetti, cioè le azioni e gli interventi ritenuti importanti per assicurare la realizzazione degli obiettivi prefissati. Gli obiettivi generali sono:

> Promuovere una gestione sostenibile delle risorse ambientali > Ridurre i rischi incombenti > Promuovere la diffusione ed il miglioramento delle attività turistiche > Sostenere i processi evolutivi delle attività artigianali > Riqualificare le infrastrutture rurali, pedonali e carrabili > Promuovere il completamento del sistema dei servizi ed assicurare

opportunità di formazione

Il documento non presenta un quadro finanziario relativo alle risorse da utilizzare per l‟attuazione dei progetti.

Piani locali di sviluppo (PLS) dei Gruppi

di Azione Locale (GAL)

► Colliesini

Il comprensorio interessato dal Piano comprende 24 comuni delle province di Ancona e Macerata e parte di esso è stato oggetto di applicazione della prima iniziative LEADER, dal 1991 al 1996, mentre l‟intero territorio, con la sola esclusione del comune di Fabriano, è stato interessato dall‟iniziativa LEADER II nel quinquennio scorso. L‟area è stata anche, in gran parte, oggetto di un progetto di Patto Territoriale (Patto dell‟Appennino Marchigiano). I comuni del territorio sono: Apiro, Arcevia, Barbara, Castelbellino, Castelleone di Suasa, Castelplanio, Cerreto D'Esi, Cingoli, Cupramontana, Fabriano, Genga, Maiolati Spontini, Matelica, Mergo, Montecarotto, Monteroberto, Poggio San Marcello, Poggio San Vicino, Rosora, San Paolo di Jesi, Sassoferrato, Serra de Conti, Serra San Quirico, Staffolo. L‟omogeneità socio-economica del territorio e le esperienze pregresse hanno portato ad identificare tre principali linee di sviluppo:

> la diversificazione ed innovazione del tessuto produttivo, manifatturiero, artigianale, agricolo, agroindustriale, verso nuove idee di sviluppo imprenditoriale, mediante l‟attivazione di servizi innovativi, l‟incentivazione della qualità, la qualificazione e la formazione delle risorse umane orientata ai nuovi mestieri, alle potenzialità delle nuove tecnologie e della nuova economia;

> la riqualificazione e valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale, storico-monumentale, del territorio, soprattutto attraverso una gestione adeguata, una reale fruibilità, un‟adeguata dotazione di servizi ed infrastrutture complementari, lo sviluppo delle potenzialità occupazionali;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 227

> lo sviluppo del turismo, nelle sue varie forme, puntando al rafforzamento dell‟immagine dell‟area, al miglioramento dei servizi, al coordinamento ed integrazione dell‟offerta, alla qualificazione degli operatori e delle strutture.

La programmazione territoriale si impernia sul tema catalizzatore denominato “valorizzazione delle produzioni locali, in particolare agevolando azioni collettive volte a facilitare l‟accesso ai mercati per le piccole strutture produttive”, integrato da una azione di valorizzazione delle risorse naturali e culturali. Questa scelta strategica intende enfatizzare il legame tra i prodotti ed il territorio di provenienza, tra il gusto, la qualità, la tipicità delle produzioni ed il valore ambientale, la ricchezza di cultura e di tradizioni, l‟identità specifica, dell‟area che dà loro vita. Il PSL concretizza questi obiettivi attraverso la creazione di un Distretto Rurale di Qualità che vede la partecipazione e la cooperazione di soggetti pubblici e privati. Il Distretto, istituzionalizzato, riconosciuto e condiviso, mira dunque alla messa a sistema delle risorse locali, al fine di dar luogo ad uno sviluppo organico ed integrato, che coinvolga sia la vocazione turistica del territorio, sia il potenziale produttivo locale, in un‟ottica di sinergia tra patrimonio culturale e naturale, agricoltura, artigianato, tradizioni locali, il tutto sullo sfondo di un ambiente preservato e tutelato. Il territorio viene concepito come sistema integrato, connotato da una propria immagine, unica, forte e riconoscibile, che ne esalta l‟attrattività, sia sotto l‟aspetto turistico, sia sotto l‟aspetto insediativo, residenziale ed imprenditoriale, attraverso una intensa e coordinata azione di marketing territoriale, supportata da:

> un marchio territoriale che ne contraddistingua tutti i prodotti, artigianali, agricoli, alimentari, turistici;

> una politica di qualità ambientale, a scala territoriale, relativa sia alle attività produttive industriali ed artigianali, sia alle pratiche agricole;

> una politica industriale volta all‟innovazione, all‟internazionalizzazione, allo sviluppo di economie di distretto;

> una elevata qualità dei servizi culturali, turistici e informativi; > una diffusa qualificazione delle risorse umane in tutti i settori.

Il concetto base per l‟avvio di questo processo di messa a sistema del territorio nel suo complesso, concetto peraltro delineato da tutti gli strumenti di programmazione e pianificazione regionali, è quello del rafforzamento delle interdipendenze tra settori e del rafforzamento e strutturazione del connettivo, in sostanza il concetto del “fare rete”: il territorio inteso come insieme di reti sovrapposte ed integrate, coinvolgenti tutti gli aspetti dell‟organizzazione locale. Le reti degli attori locali, basata su alleanze strategiche tra attori istituzionali, organizzazioni imprenditoriali, operatori privati, le reti dei servizi, della ricettività e dei servizi turistici, dei beni culturali ed ambientali, dei trasporti.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 228

Questo approccio è coerente con lo strumento fondamentale della pianificazione territoriale regionale, il Piano Integrato Territoriale della Regione Marche, in quanto la sua filosofia di base è quella dell‟integrazione tra strategie ambientali e strategie territoriali in un‟ottica di perseguimento della compatibilità tra ambiente e sviluppo, inserendo la dimensione ambientale in ogni scelta di sviluppo ed assumendo il fattore ambientale, storico, culturale come elemento di base della strutturazione territoriale. In questo quadro si inserisce l‟approccio territoriale del Piano, considerando il territorio, con i suoi caratteri morfologici, il suo sistema insediativo ed infrastrutturale, le sue emergenze ambientali, come il tessuto di base, la struttura portante su cui costruire le politiche di sviluppo socio-economico e le reti di interconnessione che le supportano. Il Piano individua i due assi strategici che caratterizzano il territorio nel corso dell‟Esino, interessato dal Cantiere Vallivo Integrato (CV2) del PIT, e nella fascia appenninica, compresa nel Cantiere Progettuale del Corridoio Appenninico (CA). Di qui l‟intervento strategico di riqualificazione e valorizzazione dell‟asta fluviale dell‟Esino, asse orizzontale del territorio, nel tratto tra la Gola della Rossa ed il territorio del comune di Jesi, intervento che, coniugando la valenza ambientale ad un‟azione di connessione del percorso fluviale con la fruizione turistica del territorio e la valorizzazione delle produzioni tipiche locali, si pone in collegamento con le azioni di valorizzazione realizzate ed in corso sia a valle (Oasi naturalistica di Ripa Bianca a Jesi, Parco Fluviale di Chiaravalle, Camerata Picena, Falconara), sia a monte (interventi di riqualificazione nell‟area del Parco Gola della Rossa e di Frasassi) mira a dare un concreto contributo alla realizzazione di quello che sarà, a livello regionale, il primo, tra i cantieri progettuali del PIT a giungere a conclusione. Il contributo al concreto avvio della realizzazione del cantiere progettuale relativo al Corridoio Appenninico, asse che percorre verticalmente il territorio, viene attivato nell‟ambito delle azioni di cooperazione infra-territoriale tra i GAL della Regione con due azioni di elevata significatività. La prima concerne l‟avvio, in collaborazione con il sistema dei Parchi e delle Riserve naturali delle Marche, di un‟attività coordinata di studio, ricerca e didattica sulle tematiche della salvaguardia dell‟ambiente e del paesaggio, con l‟attivazione di laboratori progettuali concernenti il tema della relazione tra gli interventi di trasformazione del territorio e l‟ambiente naturale. Da questa azione ci si attende un concreto contributo all‟avvio del cantiere progettuale, sia in relazione alla interconnessione funzionale dei territori, ed in particolare delle aree protette, sia nella misura in cui dalle attività programmate deriverà un insieme di indicazioni progettuali, metodologie, esperienze che, supportate anche da esempi sperimentali di applicazione concreta, potranno guidare una corretta impostazione degli interventi infrastrutturali attinenti sia alle grandi opere per la mobilità sia alle azioni di collegamento delle aree di rilevanza ambientale mediante corridoi di naturalità o greenways attrezzate anche per una fruizione turistico-ricreativa. La seconda prevede la realizzazione di itinerari di fruizione turistica che si snodino lungo l‟intero corridoio appenninico regionale, sostenuti da azioni coordinate di promozione delle produzioni di qualità, cui partecipino i 5 GAL della Regione . Anche di questa azione troviamo traccia nel PIT, laddove, in

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coerenza con la filosofia delle reti di connessione tra attori locali, istituzioni, sistemi locali, si individua la necessità di trovare forme di collegamento, non solo fisico, tra le azioni di sviluppo a scala locale, i circuiti di fruizione del territorio, le esperienze e le conoscenze. Tali azioni di cooperazione infra-territoriale, connesse alle azioni strategiche programmate in ambito locale, sia in relazione alla qualificazione del territorio, sia finalizzate alla integrazione intersettoriale, alla qualificazione delle produzioni, alla individuazione di un‟immagine unitaria, riconoscibile e condivisa del territorio come sistema integrato, trovano piena coerenza con il tema catalizzatore individuato, con gli obiettivi che ne conseguono, con gli strumenti di programmazione e pianificazione che interessano il territorio. In relazione ai diversi settori gli obiettivi assunti e le strategie adottate nel PLS sono sintetizzate di seguito.

Agricoltura

Gli obiettivi di sviluppo più propriamente settoriali e le linee di intervento che ne derivano, vengono individuati nell‟ambito di una più complessiva strategia di “sviluppo rurale sostenibile”, incentrata, su due principali livelli:

> gli obiettivi del sistema delle imprese: migliore competitività, aumento della efficienza dei processi produttivi nell‟impiego dei fattori, sviluppo della qualità dei prodotti e loro valorizzazione;

> gli obiettivi delle istituzioni pubbliche e più in generale della collettività, che devono essere trasferiti (“internalizzati”) al sistema delle imprese: la tutela e valorizzazione del paesaggio rurale e delle risorse ambientali, il benessere sociale delle comunità e delle generazioni future.

La contestualizzazione della strategia generale di sviluppo rurale alle peculiarità locali e settoriali conduce pertanto all‟individuazione di obiettivi specifici del PLS per il settore agricolo quali:

> l‟aumento della efficienza dei sistemi produttivi aziendali, in termini strutturali e gestionali;

> la riconversione/diversificazione degli ordinamenti produttivi agro-zootecnici e dei relativi canali di commercializzazione;

> la diversificazione delle fonti di reddito per gli agricoltori; > il miglioramento della qualità dei prodotti agricoli e il loro

posizionamento sul mercato; > la riduzione dell‟impatto ambientale negativo causato dai processi

produttivi agro-zootecnici; > il rafforzamento e la qualificazione del ruolo svolto dagli agricoltori

nella tutela e nella valorizzazione delle risorse ambientali e del paesaggio rurale;

> il sostegno e rafforzamento dei processi di ricambio generazionale nel mondo agricolo.

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> Relativamente al settore forestale, sulla base degli indirizzi forniti, con specifico riferimento al territorio sono:

> l‟incremento del patrimonio forestale, quale forma di tutela e salvaguardia dell‟ambiente e del paesaggio rurale e di diversificazione produttiva delle superfici agricole;

> la riduzione e prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico.

In particolare il piano punterà al raggiungimento degli obiettivi specifici avviando le seguenti azioni:

> valorizzazione e qualificazione delle produzioni tipiche locali agroalimentari attraverso la creazione, e successiva adesione da parte delle imprese agricole, di standard di qualità che riguardano tecniche e metodi di produzione, trasformazione, preparazione e conservazione;

> attivazione di un servizio di animazione coerente con la filosofia di distretto rurale di qualità e finalizzato alla informazione, sensibilizzazione e divulgazione delle azioni ricomprese nel PLS;

> attivazione di interventi volti a soddisfare problematiche di ordine primario tramite fornitura di consulenza tecnica specialistica non ordinaria ed erogazione di servizi

► Sibilla

Il GAL Sibilla si è candidato al Programma Leader Plus promosso dall‟Unione Europea, il quale è una delle quattro iniziative finanziate dai Fondi strutturali dell'UE e mira ad aiutare gli operatori del mondo rurale a prendere in considerazione il potenziale di sviluppo a lungo termine della loro regione. Promuovendo l'attuazione di strategie integrate, di elevata qualità e originali in materia di sviluppo durevole, questa iniziativa mette in primo piano il partenariato e le reti di scambi di esperienza. Il programma si basa su tre azioni:

1. sostegno alle strategie pilota di sviluppo integrato del territorio fondate sull‟approccio ascendente

2. sostegno a favore della cooperazione fra territori rurali 3. creazione di reti

L'Azione 1 è affidata ai gruppi d'azione locale (GAL) selezionati nel contesto di una procedura aperta fondata su criteri definiti nei programmi. Questi tengono conto del carattere rurale dei territori, dell'omogeneità delle condizioni fisiche, economiche e sociali e dei piani di sviluppo integrato innovativo. I temi prioritari fissati dalla Commissione:

> utilizzare in misura ottimale le risorse naturali e culturali, segnatamente valorizzare i siti (33 % dell'insieme dei GAL);

> migliorare la qualità della vita nelle zone rurali (24 %);

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> promuovere il valore aggiunto dei prodotti locali, in special modo agevolando l'accesso ai mercati alle piccole unità di produzione per il tramite di azioni collettive (21 %);

> utilizzare le conoscenze e le nuove tecnologie per incrementare la capacità concorrenziale dei prodotti e dei servizi nelle zone rurali (10 %).

La volontà responsabile delle Istituzioni che operano sul territorio del Gal, Provincia, Ente Parco, Comunità Montane, Comuni e dei soggetti privati più rappresentativi della società locale, ha reso possibile la nascita del nuovo GAL che si candida al Programma Leader + per dare attuazione al Piano di Sviluppo Locale “Sibilla”. Il Gruppo Azione Locale GAL Sibilla è una società consortile mista a responsabilità limitata, senza scopo di lucro che ha quale finalità prioritaria la progettazione, la gestione e l‟attuazione del Piano di Sviluppo locale indirizzato a “Consolidare la qualità diffusa del territorio e promuovere la nascita di un sistema di attrattori”. Il territorio del GAL Sibilla è composto da 38 comuni e coinvolge la Provincia di Macerata, tre Comunità Montane ( Comunità Montana Monti Azzurri, Comunità Montana di Camerino e Comunità Montana Zona H ), il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, la Riserva dell‟Abbadia di Fiastra e la Riserva di Torricchio. L‟ambito territoriale è costituito dai territori dei Comuni già inseriti nei due GAL attivi in LEADER II, vale a dire "Sibillini Marche" e "Stella dei Sibillini"; inoltre, altri quattro Comuni sono entrati a far parte dell'area "Sibilla I comuni del territorio sono: Acquacanina, Belforte del Chienti, Bolognola, Caldarola, Camerino, Camporotondo di Fiastrone, Castelraimondo, Castelsantangelo sul Nera, Cessapalombo, Colmurano, Esanatoglia, Fiastra, Fiordimonte, Fiuminata, Gagliole, Gualdo, Loro Piceno, Montecavallo, Monte San Martino, Muccia, Penna San Giovanni, Pievebovigliana, Pievetorina, Pioraco, Pollenza, Ripe San Ginesio, San Ginesio, San Severino, Sant‟Angelo in Pontano, Sarnano, Sefro, Serrapetrona, Serravalle di Chienti, Tolentino, Treia, Urbisaglia, Ussita, Visso. In merito all'appartenenza all'area Obiettivo, 33 Comuni sono interamente eleggibili all'Obiettivo 2 per il periodo 2000-2006, 3 sono in parte eleggibili in Obiettivo 2 e in parte in "phasing out", mentre i Comuni di Pollenza e Treia sono interamente in "phasing out". Il territorio, dell'entroterra della provincia di Macerata, presenta ambiti differenziati, dove il locale livello di sviluppo risente inevitabilmente delle caratteristiche morfologiche. Da questo punto di vista, esso è prevalentemente montano nella parte centro-occidentale, mentre ad oriente assume una connotazione di tipo medio collinare, con alcune grandi vallate che lo delimitano naturalmente. La morfologia collinare tende a degradare a mano a mano che ci si allontana in direzione Est.

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In generale, la lettura delle condizioni di contesto, ci consegna l‟impressione di una scarsa consapevolezza del ricco patrimonio presente sul territorio, cui corrisponde un‟interpretazione del PSL come:

> Strumento per la percezione delle opportunità, vale a dire la capacità, a fronte di condizioni favorevoli, di intraprendere azioni nuove, migliorare quelle esistenti, intuire gli spazi che si aprono e riconoscere quelli che rimangono sterili.

> Strumento per il coordinamento e l‟integrazione istituzionale nell‟ambito di una prima consapevole esperienza di programmazione unitaria. La vera sfida dell‟esperienza Leader + è proprio nella costruzione di una identità articolata, capace di esprimersi in futuro in azioni che superano lo specifico dell‟Iniziativa, dove anche la convergenza su alcuni qualificati progetti diventa un reale contributo all‟elaborazione di un‟immagine che talvolta appare impalpabile e poco evidente ai suoi stessi protagonisti. In questa logica, alcuni degli interventi presenti nel PSL Sibilla concorreranno a dar luogo ad una Mappa delle opportunità dell‟area Leader che potrà essere realmente tale se si sapranno superare gli ostacoli, a volte concreti ma spesso artificiosi, delle consuete delimitazioni settoriali o amministrative.

> Obiettivo del lavoro comune sarà, nel tempo, un nuovo e più efficace posizionamento strategico del territorio al quale si arriverà attraverso un percorso di valorizzazione del suo capitale territoriale.

> Strumento normativo e modello per la Qualità, ovvero costituito da un insieme di azioni che da un lato, affiancano le politiche strutturali e forniscono un contributo al processo di adeguamento del territorio nella direzione della Qualità, dall‟altro producono informazione, indirizzo e coordinamento affinché gli operatori pubblici e privati attivino le risorse disponibili necessarie agli investimenti. In particolare, il Piano si concentra sull‟azione dimostrativa rappresentata dalla nascita di un Consorzio per la Promozione del Territorio, in un sott‟ambito dell‟area Leader. Le condizioni che il PSL Sibilla introduce per l‟attuazione dell‟intervento sono certamente una sfida per un territorio debolmente strutturato ed infrastrutturato in quanto impongono l‟adozione di standards qualitativi estesi ai vari settori che concorrono alla composizione dell‟offerta territoriale.

Il tema catalizzatore prescelto come strategia di intervento dal Gal è la valorizzazione delle produzioni locali, in particolare agevolando azioni collettive volte a facilitare l‟accesso ai mercati per le piccole imprese, cui si accompagna il secondo tema che consiste nella valorizzazione delle risorse naturali e culturali. In questa logica e in questi contesti le strategie di sviluppo saranno dirette in particolare e prioritariamente verso:

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> la diversificazione e l‟innovazione del tessuto produttivo, verso nuove idee di sviluppo imprenditoriale, verso l‟incentivazione della qualità, la qualificazione delle risorse umane;

> la riqualificazione e valorizzazione del patrimonio culturale del territorio che passa naturalmente attraverso una gestione adeguata, un‟ottimale fruibilità, una dotazione di servizi ed infrastrutture complementari allo sviluppo del turismo, attraverso il rafforzamento dell‟immagine dell‟area, il miglioramento dei servizi, la qualificazione delle strutture e degli operatori, il coordinamento dell‟offerta;

> il miglioramento dei servizi alla popolazione e alle imprese, del trasporto, dei servizi assistenziali e sociosanitari, grazie anche all‟introduzione di tecnologie informative e di comunicazione.

Nel complesso le strategie del GAL Sibilla possono essere sintetizzate utilizzando le tre linee di intervento in cui si articola, in modo autonomo dalla struttura per Misure e Sottomisure del PLR, il Piano (cfr. Tab. 1 ), già introdotte in questo stesso capitolo:

1. Interventi a favore di una programmazione unitaria e coordinata Nell‟obiettivo di cogliere l‟opportunità dell‟ampio tavolo di concertazione istituito all‟interno del partenariato del GAL e riconoscendo valenza di area-progetto al territorio delimitato ai fini Leader, il Piano intende favorire, attraverso l‟avvio di azioni prevalentemente immateriali, la definizione di linee di intervento coordinate tra le diverse amministrazioni locali, Comunità Montane, Ente Parco, Comuni, finalizzate alla valorizzazione turistica dell‟area.Gli interventi sono strettamente connessi tra di loro e finalizzati alla restituzione di un Piano-Programma (master plan) per la valorizzazione dell‟area del GAL Sibilla.

2. Interventi a favore del consolidamento della qualità diffusa 3. Il Piano, come già esplicitato in precedenza, interviene a sostegno di interventi

pubblici e privati in particolare favorendo una più estesa e più consapevole diffusione della qualità sia all‟interno delle aziende e delle imprese in relazione alle loro specifiche produzioni, sia in termini di servizi. Tale percorso viene effettuato attraverso iniziative di diversificazione delle attività e dell‟offerta delle singole imprese e di integrazione tra le diverse categorie di operatori.

In relazione ai diversi settori gli obiettivi assunti e le strategie adottate possono essere così sintetizzate:

Agricoltura

Gli interventi previsti sono finalizzati:

> all’incremento della competitività delle aziende agricole dell‟area attraverso lo sviluppo della multifunzionalità. In particolare, la diversificazione si indirizza verso attività di turismo rurale, anche in forme innovative, tendenti a stabilire rapporti diretti tra agricoltori e cittadini-consumatori; sempre nella direzione della diversificazione si inserisce il progetto pilota inerente la verifica della possibilità di riconversione colturale di aziende tradizionali verso colture alternative, quali le piante officinali per l‟estrazione di essenze e composti per vari usi;

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> alla valorizzazione e promozione delle produzioni tipiche agroalimentari, attraverso la diffusione e l‟adozione di normative e standards di qualità inerenti le tecniche di produzione, di trasformazione, di confezionamento, sino alla preparazione. A sostegno delle produzioni tipiche, inoltre, il Piano prevede un‟azione di sperimentazione, attuata attraverso uno stretto contatto tra Centri di ricerca e produttori, teso a favorire la conservazione in situ di varietà tradizionali soggette ad erosione genetica recuperando saperi e pratiche agrarie tradizionali e legate alle produzioni di qualità e all‟agricoltura biologica;

> alla qualificazione degli operatori attraverso erogazione di consulenze specialistiche rivolte a favorire l‟accesso ai mercati da parte delle imprese agricole e agroalimentari;. all‟innovazione di prodotto e di processo; al miglioramento del rapporto tra produzione e ambiente.

PMI e imprese artigiane

Gli interventi previsti dal PSL a favore delle piccole imprese dell‟area, si indirizzano verso l‟individuazione dei fattori di competitività che possano contribuire al consolidamento del sistema, segnato da debolezze ancora maggiori di quelle medie della Provincia. In questa logica si interviene favorendo l‟introduzione di innovazioni di processo e di prodotto e la qualificazione degli operatori del settore. In particolare, per quanto concerne gli aiuti alle imprese, l‟azione del PSL, sarà finalizzata alla riduzione dell‟impatto ambientale, anche sensibilizzando le imprese all‟adozione di certificazioni EMAS e ISO. Il Piano, inoltre, prevede di qualificare e consolidare il sistema delle piccole imprese locali attraverso l‟acquisizione di consulenze tecnico-specialistiche relative alla definizione di nuovi prodotti, attraverso l‟ideazione e lo studio di nuovi prototipi, alle tecniche di marketing, di comunicazione, di formazione manageriale, soprattutto finalizzata al problema del ricambio generazionale. Gli obiettivi della qualificazione degli operatori del settore sono, inoltre, perseguiti attraverso l‟organizzazione di esperienze dirette di scambio e trasferimento di conoscenze, attuate con la modalità degli stage e delle work esperiences.

Turismo, agriturismo e risorse culturali

E‟ stato già evidenziato come la valorizzazione in chiave turistica delle risorse presenti sul territorio rappresenti la strategia prioritaria del GAL: in questa logica si inquadra il progetto relativo alla realizzazione del “Master Plan turistico” dell‟area del GAL che costituirà lo strumento operativo, frutto di un ampio processo concertativo, per la sistematizzazione, il consolidamento e la qualificazione dell‟offerta. Il PSL, al contrario, interviene in modo compiuto sul piano del miglioramento della qualità, attraverso, da un lato, la redazione di standards qualitativi dell‟offerta ricettiva e dell‟accoglienza turistica, dall‟altro, attraverso il sostegno alla realizzazione di servizi complementari all‟offerta ricettiva. Anche per il settore turistico si prevedono inoltre azioni dirette alla

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qualificazione degli operatori da realizzare mediante stage e work esperiences. Strettamente connessi con le finalità turistiche del Piano risultano, inoltre, gli interventi a favore del ricco sistema museale al quale, attraverso la ricerca di nuove acquisizioni, si vogliono attribuire nuovi e più originali contenuti.

Nascita di un sistema di attrattori Dall‟analisi del contesto, è inoltre emerso, quale principale problema dell‟area Leader l‟assenza di elementi di forte carica attrattiva, capaci di rappresentare un‟offerta unica ed esclusiva del nostro territorio e quindi vincente sul mercato. Al raggiungimento di questo obiettivo concorrono da un lato, la precedente linea di intervento, favorendo, come abbiamo visto, l‟innalzamento della qualità e lo sviluppo di relazioni reciproche tra i diversi sistemi di risorse, dall‟altro la presente misura, intervenendo sulla definizione di un‟immagine unica e riconoscibile del territorio e individuando elementi di attrazione e di richiamo di dimensione sovralocale.

Piani delle aree protette

► Parco Nazionale dei Monti Sibillini

Piano del Parco (progetto preliminare)

Il D.M. 26/7/90 individua "Direttive e criteri generali per la redazione del Piano del Parco Nazionale dei Monti Sibillini"; Con delibera n.21 del 3.4.1995 il Consiglio direttivo affida l'incarico di redazione del "Progetto esecutivo del Piano"; Il "Progetto" è terminato nel marzo 1997 e viene approvato il 3.4.1997 con delibera n.28; le funzioni del piano sono regolamentate dalla legge n. 394 del 6 dicembre 1991, mentre i rapporti con il PPES dalla legge n. 426 del 1998. Elaborato dal corpo tecnico dell‟Ufficio di Piano in collaborazione con gli atenei di Camerino, Macerata, Ancona e Perugia. L‟area interessata è quella del territorio del Parco nazionale dei Monti Sibillini, in particolare parte o tutto il territorio dei seguenti Comuni: Acquacanina, Amandola, Arquata del Tronto, Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Cessapalombo, Fiastra, Fiordimonte, Montefortino, Montegallo, Montemonaco, Norcia, Pievebovigliana, Pievetorina, Preci, San Ginesio, Ussita, Visso. I Comuni appartenenti anche al GAL Sibilla e la rispettiva percentuale del loro territorio ricadente nel parco sono: Acquacanina (100%), Bolognola (100%), Castelsantangelo sul Nera (100%), Cessapalombo (72%), Fiastra (83%), Fiordimonte (5%), Pievebovigliana (37%), Pievetorina (2%), San Ginesio (13%), Ussita (100%) e Visso (41%). Il Parco si propone di:

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> tutelare, valorizzare ed estendere le caratteristiche di naturalità, integrità territoriale e ambientale;

> salvaguardare le aree suscettibili di alterazione e i sistemi di specifico interesse naturalistico;

> conservare e valorizzare il patrimonio storico, culturale e artistico; > realizzare un modello di sviluppo sostenibile favorendo e

riorganizzando le attività economiche tradizionali, in particolare quelle agricole, zootecniche, forestali e artigianali, e promuovendo lo sviluppo di attività integrative e turistiche compatibili con le sue finalità;

> promuovere attività di ricerca scientifica e di educazione ambientale.

Il Parco assume inoltre tra i suoi obiettivi primari:

> il ripristino delle aree marginali mediante ricostituzione e difesa degli equilibri ecologici;

> l‟individuazione di forme di agevolazione a favore dei privati che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità istituzionali del Parco;

> la promozione di interventi a favore delle categorie più deboli , e in particolare dei cittadini portatori di handicap, per assicurare a tutti la fruizione e la conoscenza del Parco.

Inoltre il Parco favorisce, ai sensi dell‟art. 7, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e dell‟art. 11, comma 2, della legge 31 gennaio 1994, n. 97, le priorità nella concessione di finanziamenti comunitari, statali e regionali ai privati, ai Comuni e alle Province, il cui territorio è ricompreso almeno in parte nel Parco, nonché alle Comunità Montane, qualora delegate dai suddetti Comuni, per la realizzazione di interventi all‟interno del territorio del Parco con particolare riferimento ai seguenti:

> restauro dei centri storici e degli edifici di particolare valore storico e culturale;

> recupero dei nuclei abitativi e rurali; > realizzazione di opere igieniche e idropotabili nonché di risanamento

dell‟acqua, dell‟aria e del suolo; > realizzazione di opere di conservazione e di restauro ambientale del

territorio, ivi comprese le attività agricole e forestali; > promozione di attività culturali nei settori di interesse del Parco; > interventi in materia di agriturismo; > svolgimento di attività sportive compatibili; > realizzazione di strutture per l‟utilizzazione di fonti energetiche a

basso impatto ambientale, quali il metano e altri gas combustibili, nonché interventi volti a favorire l‟uso di energie rinnovabili.

In particolare per alcune aree del Parco che fanno parte anche del territorio del Gal Sibilla sono state previste le seguenti strategie d‟intervento:

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Campus universitario diffuso

Il programma tende alla riqualificazione di alcuni nuclei storici nei territori di Fiastra, Pievetorina, Pievebovigliana e Muccia attraverso:

> il recupero del patrimonio edilizio esistente da destinare a sedi per attività didattico-scientifiche, connesse alle università di Camerino e Macerata, e residenze temporanee per gli studenti, con particolare attenzione per alcune aree di elevato pregio storico-culturale (Roccamaia-Monte San Savino di Pievebovigliana, San Maroto di Pievebovigliana, Ravaio di Fiastra, Colle San Benedetto di Fiastra, Montalto di Cessapalombo, Valle di Cessapalombo) e per alcuni edifici monumentali ubicati fra Pontelatrave e La Maddalena (Castello di Beldiletto, Palazzo Marchetti a Gallazzano) che possono divenire manufatti di supporto al progetto;

> la riqualificazione dell‟area dei bacini sciistici di Pintura di Bolognola e Sassotetto, attraverso: la regolamentazione della pratica dello sci da fondo sui Prati di Ragnolo previo recupero ambientale dell‟area; il recupero di beni storico-culturali isolati in comune di Acquacanina (Abbazia di Santa Maria in Rio Sacro, case torri); l‟eliminazione della palificata in disuso Campolungo-Pian di Berro; la rifunzionalizzazione e l‟adeguamento paesistico d‟insediamenti turistici ed infrastrutture recenti; la regolamentazione del traffico della strada Sarnano-Sassotetto-Bolognola-Fiastra; il recupero dei tre nuclei abitati di Bolognola, con particolare attenzione alle connessioni funzionali con Pintura di Bolognola;

> la valorizzazione della valle del Fiastrone attraverso: il recupero del sistema dei Castelli e delle fortezze della parte nord del parco, tra loro funzionalmente, visivamente e storicamente relazionati (Conti Magalotti di Fiastra, Montalto di Cessapalombo, Col di Pietra di Cessapalombo, Roccaccia di San Ginesio, Cardarola, Croce e Vestignano) e dei relativi antichi percorsi di accesso, da rendere fruibili a tutti (compatibilmente con la morfologia dei luoghi); il recupero della centrale del Molinaccio a Morico di San Ginesio; la razionalizzazione della rete fognaria e del sistema degli scarichi nel bacino del Fiastrone, la riqualificazione dell‟area di Pian di Pieca, con particolare attenzione per le connessioni funzionali ed ecologiche con la media e bassa valle del Fiastra; la riqualificazione di alcune aree forestali nelle gole del Fiastrone, il recupero di alcune cave abbandonate e la realizzazione di percorsi geologici e didattici; la sperimentazione dei “bagni di fieno” nell‟Alta Valle del Fiastrone;

> la valorizzazione dell‟area Macereto-Cupi attraverso: lo studio per la rifunzionalizzazione del complesso monumentale di Macereto per scopi congressuali; il ripristino del percorso da Fiordimonte a Macereto; il recupero dell'abitato di Cupi e la qualificazione del "museo della pastorizia"; il recupero ambientale della ex-cava di Macereto;

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> la progressiva qualificazione di Visso come sede del Parco ed alla valorizzazione dell‟alto bacino del Nera attraverso: il recupero del rapporto funzionale tra il nucleo di Visso ed i corsi d‟acqua del Nera e dell‟Ussita; il recupero dei nuclei di Vallopa, Capovallazza, Casali, Castelfantellino e Palazzo; la riqualificazione ambientale dell'alta valle del torrente Ussita con recupero dell'area della cava; la realizzazione di un percorso didattico e museale sull‟alto corso del Nera, legato al tema dell‟acqua, previo recupero e rifunzionalizzazione di alcuni manufatti nel territorio di Castelsantangelo (segheria ad acqua di Nocelleto, mulino ad acqua di Vallinfante, centrale idroelettrica); la rifunzionalizzazione e l‟adeguamento paesistico d‟insediamenti turistici ed infrastrutture recenti (Frontignano e Monte Prata); il recupero ambientale del Monte Bove, con l‟eliminazione delle strutture in disuso della funivia e degli impianti di risalita della Val di Panico e la reintroduzione del camoscio appenninico e del pino mugo; il risanamento idrogeologico della Valle di Calcara.

Piano Pluriennale Economico e Sociale

Allegato A) alla deliberazione C.D. 21 del 26.04.2001; previsto dall‟art. 14 della Legge quadro sulle aree protette (6.12.1991, n. 394); approvato dalla Comunità del Parco con delibera n. 7 del 17.11.2000; approvato dal Consiglio Direttivo con delibera n. 21 del 26.04.2001. Elaborato dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini e dalla Comunità del Parco, redatto da Antonio G. Calafati in collaborazione con il “Gruppo di lavoro per il PPES” composto da N. Ottavi, P. Pellini, M. Falcucci, S. Fortunati, G. Franchi, G. B. Maggi. L‟area interessata è quella del territorio del Parco nazionale dei Monti Sibillini, in particolare parte o tutto il territorio dei seguenti Comuni: Acquacanina, Amandola, Arquata del Tronto, Bolognola, Castelsantangelo sul Nera, Cessapalombo, Fiastra, Fiordimonte, Montefortino, Montegallo, Montemonaco, Norcia, Pievebovigliana, Pievetorina, Preci, San Ginesio, Ussita, Visso. I Comuni appartenenti anche al GAL Sibilla e la rispettiva percentuale del loro territorio ricadente nel parco sono: Acquacanina (100%), Bolognola (100%), Castelsantangelo sul Nera (100%), Cessapalombo (72%), Fiastra (83%), Fiordimonte (5%), Pievebovigliana (37%), Pievetorina (2%), San Ginesio (13%), Ussita (100%) e Visso (41%). Il Piano ha validità quadriennale, con possibili aggiornamenti annuali. Gli obiettivi principali da perseguire con il PPES sono la riqualificazione ed il mantenimento dei servizi di base, il recupero ambientale e la valorizzazione turistica; le azioni vengono considerate per sistemi locali di uno o più Comuni, ad esempio il sistema locale Bolognola – Acquacanina – Fiastra. Prenderemo in considerazione solo i Comuni del territorio GAL Sibilla; verranno inoltre

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 239

evidenziate in sintesi le azioni di tipo generale riguardanti la Comunità del parco, l‟artigianato di qualità e l‟agricoltura.

Azioni nel sistema locale Visso – Ussita – Castelsantangelo

> Completamento della rete di sentieri percorribili a partire dai luoghi centrali di Visso, Castelsantagelo e Ussita;

> Intervento straordinario di risanamento degli spazi collettivi e degli spazi privati aperti del centro abitato di Castelsantangelo, Visso ed Ussita;

> Recupero estetico e naturalistico della strada che collega Visso a Castelsantagelo, con apertura di un “sentiero dell‟acqua” funzionale alla valorizzazione del torrente Nera;

> Recupero estetico-funzionale dei luoghi centrali di Castelsantagelo, Visso e Ussita;

> Riqualificazione degli impianti sciistici.

Azioni relative agli impianti sciistici

> Studio di fattibilità sull‟ammodernamento delle infrastrutture sciistiche del sistema locale Visso-Ussita-Castelsantangelo:

> Progetto per il rilancio turistico del comprensorio sciistico; > Interventi di recupero ambientale (ed anche di arredo urbano) degli

insediamenti a servizio degli impianti di risalita).

Azioni individuali per Visso

> reintroduzioni faunistiche e botaniche di elevato valore simbolico; > coerenti ed estesi interventi di recupero ambientale (sentiero per il

Monte Bove, per Passo Cattivo, ecc.); > regolazione delle forme della fruizione finalizzata all‟aumento della

qualità della fruizione; > realizzazione di un centro di informazione turistica.

Azioni riguardanti il territorio di Pievetorina

> riqualificazione funzionale dei luoghi centrali di Pievetorina; > riqualificazione ambientale della Valle Sant‟Angelo; > realizzazione di un percorso a piedi – con partenza dal centro storico –

per la fruizione delle emergenze storiche e naturalistiche della Valle Sant‟Angelo;

> realizzazione di una pista ciclabile che connetta – a partire dal centro storico – le emergenze naturali e culturali della Valle Sant‟Angelo;

> Ampliamento, adeguamento e integrazione territoriale del “Museo della nostra terra”.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 240

Azioni nel sistema Pievebovigliana - Fiordimonte

> riqualificazione funzionale della piazza del centro abitato di Pievebovigliana in quanto “luogo centrale” del sistema dei nuclei che formano il Comune;

> realizzazione di una rete di percorsi a piedi – facile da fruire, senza asperità e che si sviluppi ad una quota molta bassa – che, a partire dal centro storico, connetta le principali emergenze paesistiche e naturali dell‟area;

> realizzazione di una pista ciclabile di facile percorrenza e accessibile alle famiglie che connetta le emergenze naturali e culturali dell‟area lungo il circuito San Maroto-Pievebovigliana;

> estensione della superficie protetta nel territorio di Fiordimonte nel rispetto dei

> vincoli dell‟Azienda faunistica.

Azioni nel sistema locale Bolognola-Acquacanina-Fiastra

Si tratta di un sistema locale con una economia molto debole, per gli interventi a sostegno dei servizi collettivi di base dovrebbe avere la massima priorità.

Azioni nel territorio di Bolognola

> rifacimento con introduzione/ripristino di specifici valori della strada che da Acquacanina conduce a Bolognola, in particolare degli ultimi cinquecento metri;

> rifacimento della “piazza”; > risanamento straordinario del territorio limitrofo al centro; > recupero dei valori architettonici di alcuni edifici; > adeguata segnaletica dei sentieri; > re-introduzioni di specie animali simboliche e/o valorizzazione di

quelle esisitenti.

Azioni nel territorio di Acquacanina

> concorso internazionale per un progetto per il recupero funzionale di una (o più) frazioni di Acquacanina (con impegno di realizzazione dell‟intervento o acquisto del progetto);

> offerta del progetto a soggetti privati interessati alla realizzazione.

> Sci di fondo escursionistico > investimenti nell‟adeguamento infrastrutturale delle piste di sci fondo

delle Piane di Ragnolo e delle infrastrutture di ristoro a servizio delle piste stesse;

> investimenti per l‟adeguamento dei macchinari per il mantenimento delle piste;

> realizzazione di un centro per lo sci di fondo escursionistico (acquisto di attrezzature da affittare, possibilità di escursioni guidate.

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Azioni nel territorio di Fiastra

> Recupero estetico-funzionale della piazza del nucleo sede del Palazzo Comunale;

> Recupero estetico funzionale di Fiegni, con particolare riferimento alla strada che attraversa il nucleo;

> Progetti e interventi per la riconversione ecologica del sistema antropico della Valle del Fiastrone, finalizzato in particolare all‟obiettivo del dis-inquinamento del Lago di Fiastra;

> Recupero funzionale dell‟insediamento di Ravaio finalizzato alla costituzione di un centro di servizi residenziali;

> Costituzione di un‟organizzazione per la gestione del Centro servizi di Ravaio;

> Recupero estetico-funzionale dell‟innesto stradale del sistema locale (frazione di Polverina).

Azioni nel territorio del Comune di Cessapalombo

Le azioni nel territorio di Cessapalombo si incentrano sul sottosistema La Villa – Tribbio – Valle e sul sistema agricolo e il paesaggio agrario.

> Realizzazione di un centro residenziale nel nucleo di Valle (residenza per turisti e per attività seminariali stanziali);

> Riqualificazione urbana del nucleo La Villa; > Manutenzione straordinaria del paesaggio agrario; > Progettazione di un programma di adozione del sistema agricolo

locale.

Azioni nel territorio del Comune di San Ginesio

> Risanamento ambientale dell‟area del Monastero di San Liberato; > Recupero funzionale e adeguamento del area ricreativa a monte del

Monastero di San Liberato; > Realizzazione/ripristino di sentieri/piste ciclabili connesse all‟area

ricreativa; > Riqualificazione del centro abitato di Monastero (Cessapalombo); > Recupero ambientale e funzionale, con creazione di una zona di sosta

e ristoro, nell‟area della abbazia di S. Salvatore; > Recupero ambientale e valorizzazione degli ambienti naturali della

Valle del Fiastrone; > Organizzazione di una Gran Fondo in bicicletta, con cadenza annuale

e di rilievo nazionale con il percorso San Ginesio-Bolognola-Amandola.

Produzione e gestione dei servizi di base

Dato il sistema locale di riferimento, si dovrebbero innanzitutto individuare i servizi di base che sarebbe opportuno produrre al suo interno. I servizi di base

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sui quali concentrare l‟attenzione (oltre a quelli igienico-sanitari) sono i seguenti:

> assistenza medica; > istruzione; > trasporti pubblici; > ricreazione per giovani; > ricreazione per anziani.

In particolare, le azioni che la Comunità del parco dovrebbe effettuare sono le seguenti:

1. stanziare una somma in bilancio per il co-finanziamento di questi progetti; 2. cooperare con gli altri decisori collettivi (Comunità montane, Province, Regioni) per

definire:

> il quadro delle risorse organizzative e finanziarie disponibili; > le procedure di accesso; > i criteri di priorità.

3. assistere i Comuni nella preparazione dei progetti – anche in relazione all‟accesso ai fondi “esterni” (Regioni, Unione Europea, ecc.).

Attività della Comunità della parco

Considerata la posizione che la Comunità del parco ha all‟interno del sistema istituzionale, essa dovrebbe svolgere comunque le seguenti attività:

> partecipare al processo di decisione concernente i progetti (azioni) dell‟Ente parco nel suo insieme;

> valutare i risultati delle azioni dell‟Ente parco e, in particolare, del PPES;

> valutare e aggiornare il PPES; > mantenere relazioni stabili con i Comuni; > integrare la pianificazione economica dell‟Ente parco con quella delle

Comunità montane; > interagire con la pianificazione economica delle Regioni e delle

Province.

Per svolgere queste attività, la Comunità del parco si deve trasformare da forum politico in decisore organizzato. Rispetto alla situazione attuale, questa trasformazione richiede cambiamenti ai seguenti livelli (a ciascuno dei quali corrisponde un‟azione):

> identificazione delle procedure con le quali la Comunità del parco partecipa al processo decisionale dell‟Ente parco;

> identificazione dell‟articolazione istituzionale della Comunità del parco;

> allocazione di risorse organizzative per lo svolgimento delle attività della Comunità del parco;

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 243

> allocazione di risorse finanziarie per lo svolgimento delle attività della Comunità del parco.

Azioni relative alle attività artigianali

> Elaborazione di un “Programma di intervento” nel settore dell‟artigianato del ferro battuto;

> Definizione di un accordo di programma tra le amministrazioni pertinenti per il finanziamento del “Programma di intervento”;

> Indagine sull‟artigianato di qualità attuale e potenziale nel territorio dei Monti Sibillini;

> Tutela e promozione delle “carbonaie”.

Azioni relative alle attività agricole

> Azioni di persuasione per utilizzare nei processi di produzione e di consumo prodotti locali;

> Incentivazioni e sperimentazioni di metodi agricoli e zootecnici a basso impatto ambientale (agricoltura biologica);

> Realizzazione e valorizzazione dei marchi di qualità.

Vi sono alcune aree che costituiscono elementi fondanti del paesaggio agrario di montagna Sibillini:

> Valle del Campiano (Preci/Norcia); > Area di Montalto (Cessapalombo); > Area di Fiastra; > Valle del Torrente Cossudro (Montefortino).

Azioni

> promozione e progettazione di un Inpact per ciascuna delle aree sopraindicate;

> progettazione e realizzazione di un sistema di incentivi per il recupero o mantenimento di alcuni elementi fondanti del paesaggio agrario;

> interventi per la valorizzazione culturale delle attività agricola (programmi di visite guidate, collegamento con gli itinerari museali, collegamento della fruizione locale alla produzione agricola locale).

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ASSE MISURA SOTTOMISURA INVESTIMENTI AMMISSIBILI

1- INIZIATIVE IMPRENDI-TORIALI

1.1 INVESTIMENTI NELLE AZIENDE AGRICOLE FINALIZZATI AL MIGLIORAMENTO DELLA PRODUZIONE, ALLA QUALITA‟, ALLA VALORIZZAZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI, ALLA DIVERSIFICAZIONE

1.1.1 Investimenti finalizzati alla riconversione delle coltivazioni, all‟acquacoltura ed al miglioramento degli allevamenti, con particolare riferimento al miglioramento dell‟igiene e della salute degli animali. Riconversione delle produzioni, adeguamento a disciplinari e norme di qualità, trasformazione e vendita diretta prodotti, risparmio energetico e riduzione costi di produzione, tutela ambientale e rispetto delle norme di sicurezza.

Interventi sugli immobili, compreso l‟acquisto di macchinari fissi, primo acquisto di animali e investimenti per il miglioramento genetico del patrimonio zootecnico mediante acquisto di riproduttori registrati nei libri genealogici, spese generali, studi e licenze nei limiti del 12% dell‟investimento. Sono escluse le macchine semoventi e l‟acquisto di terreni

1.1.2 Investimenti finalizzati al miglioramento delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, della competitività delle produzioni locali mediante miglioramento dei sistemi di produzione, strategie di valorizzazione dei prodotti in collegamento con il territorio e la tipicità, miglioramento sistemi di commercializzazione. Ammodernamento strutture di produzione, trasformazione prodotti biologici, riduzione reflui, utilizzazione biomasse.

Interventi sugli immobili, compreso l‟acquisto, acquisto di macchinari fissi,spese generali, studi e licenze nei limiti del 12% dell‟investimento.Sono escluse le macchine semoventi e l‟acquisto di terreni. Non è consentito l‟aumento della capacità produttiva

1.1.3 Investimenti per l‟uso delle energie alternative da fonti rinnovabili

Investimenti in immobili ed apparecchiature per la produzione di energia da fonti rinnovabili(eolica, solare, idroelettrica, da biomasse), spese generali nella misura del 12%

1.2 INTERVENTI A FAVORE DELLA DIVERSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI DELL‟AZIENDA AGRICOLA IN RIFERIMENTO AD ATTIVITA‟ TURISTICHE, ARTIGIANALI, DI COMMERCIALIZZAZIONE ED A FAVORE DEL MIGLIORAMENTO DEI SERVIZI COMPLEMENTARI NELLE AREE RURALI

1.2.1 Interventi a favore dell‟agriturismo

Interventi sugli immobili da adibire ad attività agrituristiche, arredamento ed attrezzature degli stessi, sistemazione di spazi esterni per campeggio, piccole strutture sportive e ricreative a servizio dell‟azienda agrituristica, progetti interaziendali per piccole infrastrutture di supporto all‟offerta agrituristica, spese generali nella misura massima del 12%

1.2.2 Interventi a favore della diversificazione delle attività mediante iniziative connesse al turismo rurale, all‟artigianato artistico e tradizionale, alla realizzazione di punti vendita per la commercializzazione dei prodotti agricoli

Interventi sugli immobili da adibire alle attività finanziabili, acquisto impianti, macchinari ed attrezzature, infrastrutture specifiche aziendali, realizzazione di segnaletica e produzione di materiale informativo e divulgativo, spese generali entro un massimo del 12%

(segue)

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 245

1.3 SOSTEGNO AD ASSOCIAZIONI DI PRODUTTORI E COOPERATIVE PER LA CONDUZIONE E GESTIONE DI TERRENI

1.3.1 Promozione della creazione di cooperative per gestione associata di terreni

Spese di costituzione, licenze e brevetti, investimenti in impianti e attrezzature, anche semoventi e macchine per ufficio

1.4 AZIONI A FAVORE DELLA PROMOZIONE E VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI AGRICOLI ED AL MIGLIORAMENTO QUALITATIVO

1.4.1 Valorizzazione dei prodotti di qualità

Elaborazione di disciplinari di produzione, consulenze, ricerche di mercato, studi di fattibilità, costituzione e funzionamento organismi di controllo

1.4.2 Certificazione di qualità Redazione e revisione manuali HACCP, redazione manuali di qualità

1.4.3 Sistemi di commercializzazione e attività di promozione

Attivazione di sistemi innovativi di commercializzazione, anche mediante strumenti telematici, studi ed indagini di mercato, ed attività di promozione mediante partecipazione a fiere, creazione materiale promozionale, degustazioni, campagne di marketing

1.5 AZIONI A FAVORE DELLA SILVICOLTURA

1.5.1 Investimenti a favore dell‟ottimizzazione della raccolta, trasformazione e commercializzazione dei prodotti silvicoli

Interventi sulle strutture ed acquisto di macchinari ed attrezzature per lavorazioni nei boschi e per la trasformazione del legno, spese generali entro un massimo del 12%

1.5.2 Investimenti per la valorizzazione e commercializzazione dei prodotti della silvicoltura

Realizzazione strutture di stoccaggio e trasformazione, conservazione e commercializzazione dei prodotti non legnosi, ricerche di mercato e promozione

2- PROGETTI INFRA-STRUTTURALI

2.1 INTERVENTI PER LA LOTTA AGLI INCENDI BOSCHIVI

2.1.1 Investimenti per lotta agli incendi boschivi

Interventi sulla viabilità, realizzazione barriere e strade tagliafuoco, torrette di avvistamento, acquisto di attrezzature per lo spegnimento degli incendi, attrezzature di supporto, realizzazione bacini per rifornimento elicotteri

2.2 MIGLIORAMENTO E SVILUPPO DELLE INFRASTRUTTURE RURALI

2.2.1 Interventi di sistemazione della viabilità minore ( strade interpoderali e vicinali)

Opere di sistemazione elle carreggiate e delle scarpate

2.2.2 Investimenti per l‟uso delle energie alternative da fonti rinnovabili

Investimenti in immobili ed apparecchiature per la produzione di energia da fonti rinnovabili ( eolica, solare, idroelettrica, da biomasse), spese generali nella misura massima del 12%

2.2.3 Investimenti per adeguamento dei mattatoi

Investimenti per adeguamento dei mattatoi comprensoriali alle norme igienico-sanitarie

2.3 GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE

2.3.1 Interventi sulle gestione sostenibile delle risorse idriche e sulla gestione ambientale

Realizzazione o miglioramento di opere irrigue, riuso acque reflue a scopo irriguo, fertirrigazione, ripristino rete idrografica minore, laghetti collinari

(segue)

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 246

2.4 REALIZZAZIONE BORSA MERCI AGROALIMENTARE TELEMATICA

2.4.1 Attivazione di una borsa merci telematica per il settore agroalimentare

Interventi su immobili, attrezzature informatiche e similari, studi e progettazione nei limiti del 12% dell‟investimento

2.5 PROGETTI INTEGRATI DI VALORIZZAZIONE DELLE PRODUZIONI E SUPPORTO ALLO SVILUPPO TURISTICO

2.5.1 Progetti integrati per la valorizzazione dell‟ambiente, delle produzioni tipiche e del turismo rurale

Investimenti su immobili, attrezzature ed arredi per realizzazione centri di valorizzazione e documentazione, centri espositivi delle attrattive del territorio e dei prodotti tipici, piccole infrastrutture sportive e ricreative a sostegno del turismo rurale, recupero e valorizzazione dei borghi rurali

Tabella 65 - Articolazione del PPES del Parco Nazionale dei Monti Sibillini Fonte: nostra elaborazione

► Parco Regionale Frasassi-Gola della Rossa

Piano del Parco

Si tratta di uno strumento pianificatorio che riprende gli orientamenti della legge quadro sui Parchi che prevede la realizzazione di un Piano del Parco e di un Piano pluriennale economico e sociale. Sebbene questa strumentazione sia stata prevista per i Parchi nazionali, molti soggetti gestori di aree protette ad istituzione regionale hanno prodotto una analoga documentazione. Un elemento chiave che aiuta a comprendere la logica con la quale è stato costruito il Piano di questo parco naturale regionale è l‟area interessata viene considerata come un laboratorio per la sperimentazione di una nuova forma di sviluppo ecosostenibile. Il documento si articola nelle seguenti sezioni:

1. il “Quadro Conoscitivo”; 2. la “Carta del Parco” che sintetizza gli orientamenti strategici a medio termine del

Parco; 3. lo “Schema Strutturale” che identifica gli obiettivi e le linee guida di tutela e

valorizzazione; 4. le “Disposizioni di attuazione” che definiscono in termini normativi in particolare i

Regimi delle tutele e il Sistema di Valutazione; 5. il ”Programma Strategico” che seleziona i programmi d‟azione.

Tralasciando la descrizione del processo che ha portato alla definizione degli obiettivi, gli assi strategici individuati sono:

> Integrazione ad APE, Appennino Parco d‟Europa > Manutenzione dell‟ambiente > Valorizzazione della fauna > Mantenimento della ruralità > Sicurezza del territorio > Turismo sostenibile > Qualità del paesaggio > Potenziamento del capitale sociale

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 247

Ogni strategia si esplica attraverso una serie di azioni per il raggiungimento degli obiettivi prefissati che di seguito vengono sintetizzati stralciandoli dal documento.

Integrazione ad APE

Il Parco deve assumere un ruolo importante nella promozione attiva della strategia di APE, Appennino Parco d‟Europa, che intende superare le logiche di conservazione imperniate sulla esclusiva tutela dei singoli habitat naturali a favore di una strategia più complessiva di sviluppo durevole fondata sulla valorizzazione compatibile delle bioregioni ambientali. La costruzione di una strategia ambientale sovralocale può contribuire efficacemente a contrastare i processi di insularizzazione che sono associati ad una concezione troppo localistica della tutela ambientale. Per cogliere queste opportunità il Parco di Gola della Rossa e di Frasassi dovrà aprire occasioni di dialogo e concertazione con la Regione e le altre istituzioni a cui fa capo la complessa iniziativa di APE, candidandosi a diventare uno dei luoghi di sperimentazione dei programmi in corso di definizione. Obiettivi e azioni Creare una immagine comune

> Definizione di un‟immagine coordinata relativa al Quadrilatero dei parchi

> umbro-marchigiani, con un marchio proprio da aggiungere a quello dei singoli parchi.

> Realizzazione di un Portale territoriale su internet di accesso coordinato ai siti dei parchi per le istituzioni ed organismi coinvolti nel progetto di Quadrilatero.

> Organizzazione di una rete di Punti APE, centri di cultura ambientale localizzati nei diversi parchi per azioni coordinate di sensibilizzazione ed educazione ambientale, con spazi espositivi a gestione decentrata.

> Realizzazione di un palinsesto coordinato degli eventi (mostre ,spettacoli, festival, gare) da programmare nei territori dei parchi e diffusione attraverso materiali tradizionali e multimediali.

> Innovazione degli strumenti di salvaguardia attiva e di recupero del patrimonio ambientale e culturale: rete dei vivai per le essenze autoctone, albo dei mestieri di tradizione, archivio dei prodotti di qualità.

Realizzare nuove infrastrutture ambientali

> Introduzione di corridoi di connessione ambientale finalizzati alla istituzione della rete ecologica nazionale e regionale.

> Completamento della rete della grande sentieristica interregionale imperniata sul sentiero Europa.

> Realizzazione delle strade parco come supporto all‟accesso e alla conoscenza dei territori del parco.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 248

> Risignificazione della rete delle viabilità storica, finalizzata all‟uso turistico.

Garantire i servizi di prossimità

> Salvaguardia degli standards minimi per l‟accesso ai servizi sociali e amministrativi, anche attraverso il ricorso alle nuove tecnologie di comunicazione interattiva.

> Personalizzazione dell‟offerta di servizi sanitari e di assistenza, con particolare riferimento alle fasce sociali più deboli quali anziani e bambini.

> Miglioramento dell‟offerta di mobilità integrata con riferimento alle esigenze dei residenti e alle dinamiche stagionali della domanda turistica.

Promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie

> Incentivi alla produzione di fonti energetiche rinnovabili, attraverso le moderne tecnologie di applicazione dell‟energia solare-termica e fotovoltaica, con particolare attenzione alla compatibilità paesaggistica locale.

> Progetti pilota per la introduzione e la diffusione di tecnologie dell‟informazione e comunicazione TIC per l‟accesso alle informazioni.

Promuovere partenariati interregionali

> Sottoscrizione di atti di intesa multilaterali per lo sviluppo combinato del turismo montano umbro-marchigiano.

> Organizzazione di un “piano qualità” per il miglioramento dell‟offerta alberghiera locale.

> Promozione di prodotti agroalimentari con garanzia di qualità locale (marchio agricolo).

Manutenzione dell‟ambiente

Determinante ai fini del Parco è la capacità di garantire un‟adeguata manutenzione del suo ambiente naturale. Con manutenzione si intende una combinazione di molte azioni anche piccole che, nel loro complesso contribuiscono alla stabilità eco-biologica ed alla funzionalità ecologica dei diversi ambienti del Parco, salvaguardando e potenziandone le differenze biologiche. In questa prospettiva, oltre alle azioni rivolte alla tutela delle risorse primarie acqua e suolo occorre assicurare la realizzazione delle azioni che sono volte all‟innalzamento dei livelli di naturalità del territorio, incentrate soprattutto sul miglioramento della funzionalità ecologica dei boschi. E di quelle finalizzate alla preservazione della biodiversità, attraverso il mantenimento delle praterie, la

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stabilizzazione dei margini dei boschi, il mantenimento ed il ripristino delle siepi e dei filari campestri, la salvaguardia delle singole essenze (piante secolari o di rilevanza storica). Il riconoscimento dei diversi caratteri della biodiversità, consente di impostare strategie di manutenzione differenziate e mirate, e al tempo stesso di ricercare localmente la corretta combinazione tra tutela dei valori della naturalità e di quelli della biodiversità all‟interno dell‟equilibrio ecologico globale del Parco. Di grande utilità ai fini del mantenimento della biodiversità è la creazione di “vivai naturalistici”, attraverso i quali salvaguardare il patrimonio genetico locale, ciò che costituisce il requisito di base per il mantenimento delle differenze ambientali del Parco. Questa misura rinvia peraltro alle iniziative da lanciare all‟interno del “Quadrilatero dei parchi umbro-marchigiani” e più in generale di APE, Appennino Parco d‟Europa, come evidenziato nell‟articolo precedente Obiettivi e azioni Garantire qualità e quantità delle acque (superficiali e sotterranee)

> Monitoraggio delle falde acquifere dei grandi massicci carbonatici. > Regolamentazione delle captazioni in relazione al “rilascio minimo”

necessario. > Recupero della qualità biologica dei corsi d‟acqua attraverso il

controllo delle immissioni. > Tutela di pozzi e sorgenti.

Assicurare la stabilità eco-biologica.

> Manutenzione dei corsi d‟acqua e rinaturalizzazione delle fasce ripariali.

> Regimazione delle acque sui versanti e potenziamento della copertura vegetazionale con funzione stabilizzante.

Migliorare la funzionalità ecologica dei boschi ed elevare il loro livello di naturalità.

> Gestione differenziata dei turni di ceduazione. > Avviamento ad alto-fusto dei cedui di faggio. > Recupero dei rimboschimenti attraverso un progressivo diradamento

selettivo degli impianti di conifere. > Potenziamento delle formazioni arbustive verso formazioni

vegetazionali più mature (selvicoltura naturalistica).

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 250

Mantenere la varietà ambientale

> Creazione di una “banca del germoplasma” e di un vivaio per la produzione di specie autoctone, attuabile anche in forma integrata con altre aree appenniniche,da impiegare in interventi di gestione, di riqualificazione e di recupero dell‟ambiente.

> Istituzione di un orto botanico in collaborazione con l‟università. > Mantenimento delle praterie sommitali attraverso incentivi al

pascolamento, con attenzione alla capacità di carico dei suoli. > Dissuasione alla aratura delle praterie attraverso incentivi mirati. > Protezione delle formazioni arbustive lineari delle aree coltivate e dei

margini > ecotonali. > Potenziamento delle formazioni arbustive verso formazioni

vegetazionali più mature (selvicoltura naturalistica).

Difendere il patrimonio floristico

> Protezione delle specie rare. > Tutela delle aree floristiche. > Tutela degli alberi secolari o monumentali isolati.

Valorizzazione della fauna

Nel Parco della Gola della Rossa e di Frasassi occorre rafforzare il delicato equilibrio dinamico tra presenze animali, potenzialità degli habitat e tutela della biodiversità. La conservazione attiva assume qui una duplice declinazione: quella di preservazione diretta degli habitat e delle specie rare, con misure di protezione ad hoc, e quella di una strategia di azioni indirette a favore dei mosaici ambientali (boschi, pascoli, aree coltivate, radure, siepi), la cui preservazione costituisce spesso il presupposto per la sopravvivenza stessa di numerose specie animali. Inoltre, poiché lo scambio è uno dei presupposti per il mantenimento della biodiversità, è necessario attivare misure specifiche a favore dello spostamento di determinate specie all‟interno del Parco e anche verso l‟esterno, eliminando o mitigando le barriere, gli ostacoli e le interruzioni che si oppongono agli attraversamenti. Obiettivi e azioni Favorire la conservazione della fauna e della diversità ambientale

> Tutela degli habitat fragili (rupi ed ambienti umidi ed ipogei) anche attraverso una specifica regolamentazione delle forme e dei modi di loro fruibilità.

> Tutela assoluta e prioritaria delle specie animali rare. > Conservazione e ripristino degli equilibri ecologici.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 251

> Mantenimento attivo dei mosaici ambientali attraverso una oculata pianificazione ed organizzazione della selvicoltura, dell‟agricoltura, della pastorizia

> Monitoraggio e gestione delle specie faunistiche. > Gestione e controllo della fauna selvatica, che arreca danno alle

attività produttive e/o rappresenta un rischio per la pubblica incolumità, con particolare riferimento al cinghiale.

> Regolamentazione dell‟attività piscatoria.

Garantire la salvaguardia dell‟ambiente ipogeo

> Monitoraggio e mappatura dell‟inquinamento acustico, atmosferico, idrico, delle aree ipogee di rilevante interesse.

> Riduzione degli accessi alle aree ipogee vulnerabili. > Predisposizione di azioni mirate al ripristino della naturalità

dell‟ambiente ipogeo ed alla riduzione del degrado indotto dall‟eccesso di carico antropico.

> Incentivi allo studio delle comunità paleobio-antro-ecologiche e di quelle attuali.

Favorire la diffusione degli areali di specie animali di interesse naturalistico

> Incentivo all‟aumento delle tipologie forestali essenziali per l‟espansione di specie animali di interesse naturalistico (cedui per il Capriolo, riconversioni in alto fusto per Astore, Sparviere e Falco pecchiaiolo).

> Incentivo all‟adozione di tecniche di miglioramento ambientale ai fini faunistici.

> Mantenimento dei pascoli sommitali. > Mitigazione degli impatti ascrivibili ad attività antropiche (turismo,

speleologia, agricoltura, ecc.) relativamente alla possibilità di tutelare e/o ampliare gli habitat di specie di estremo valore naturalistico quali gli Anfibi Urodeli e i Chirotteri, anche attraverso interventi puntiformi sul territorio (ripristino e/o mantenimento di fontanili, di sorgenti, di aste fluviali, di caverne, ecc.); Realizzazione di strutture e dispositivi finalizzati al superamento delle barriere fisiche da parte degli animali terrestri e non (interramento delle linee elettriche MT; realizzazione di sottopassi stradali, e di tratti di copertura artificiale delle infrastrutture di collegamento, ecc.)

Avviare progetti di reintroduzione e in favore di specie di interesse conservazionistico

> Reintroduzione del nibbio reale, coturnice, starna, martora, lontra. > Reintroduzione di altre specie di interesse naturalistico. > Interventi volti al miglioramento degli habitat delle specie di interesse

comunitario. > Salvaguardia della fauna minore.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 252

Mantenimento della ruralità

Il sistema della ruralità interna al parco gioca un ruolo determinante ai fini del mantenimento delle biodiversità e della tenuta degli equilibri geologici e idrogeologici esistenti. Occorre dunque assicurarne la permanenza, assistendo gli agricoltori nell‟insieme della attività produttive, insediative e di servizio che ne configurano il quadro di vita. Si tratta in particolare di contemperare le esigenze di miglioramento della competitività della debole e frammentaria agricoltura locale - che spingono al rinnovamento strutturale verso l‟efficienza aziendale, verso le produzioni di qualità e la organizzazione del loro accesso al mercato - con le esigenze primarie della salvaguardia dell‟ambiente e del paesaggio. Riconoscere agli agricoltori una funzione importante per la tutela del territorio, la cura del paesaggio, il mantenimento delle biodiversità e il presidio degli equilibri idrogeologici comporta ricadute rilevanti per l‟azione. Occorre farsi carico dei costi di questo difficile equilibrio tra processi di mercato ed interessi collettivi, riconoscendo esplicitamente la funzione sociale dell‟agricoltura e orientando di conseguenza le politiche di sostegno regionali e locali anche ai fini delle necessarie compensazioni ambientali. In ogni caso sarà opportuno ricomprendere le strategie di mantenimento della ruralità all‟interno del Piano di Sviluppo Rurale della Regione Marche per il periodo 2000-2006, anche ai fini delle misure di co-finanziamento ivi previste. In particolare appare di grande utilità l‟attivazione presso l‟ufficio del Piano del Parco un ufficio preposto a questo scopo, in collaborazione con la Comunità Montana. Obiettivi e azioni Sostenere l‟agricoltura locale

> Razionalizzazione delle attività agricole esistenti, con orientamenti finalizzati all‟accesso ai fondi di incentivazione di livello comunitario e regionale.

> Incentivazione dell‟imprenditoria giovanile nel settore agro-zootecnico - Predisposizione di misure di aiuto allo sviluppo di forme integrative di ospitalità rurale (agriturismo, ospitalità rurale, country-house).

> Diffusione di piante per usi diversi da quelli alimentari come forma integrativa di reddito.

Incentivare la riconversione ecologica

> Mantenimento e ripristino delle siepi di confine e di protezione degli impluvi.

> Incentivi per l‟adesione a forme di agricoltura ecocompatibile (applicazione delle norme di buona pratica agricola, agricoltura biologica).

> Sostegno alle colture destinate esclusivamente all‟alimentazione della fauna selvatica.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 253

> Misure di aiuto ai progetti di riconversione ambientale di aree boscate degradate e/o volti a ridurre il rischio di incendi richiesti ed eseguiti da aziende agrarie.

Valorizzare il patrimonio zootecnico

Il PdP promuove la valorizzazione del patrimonio zootecnico tipico del territorio, prevedendo in particolare la:

> Valorizzazione con politiche di filiera della razza bovina marchigiana. > Valorizzazione con politiche di filiera delle razze ovina fabrianese e

sopravissana.

Promuovere i prodotti tipici locali

> Creazione del marchio agricolo del Parco. > Valorizzazione dei principali prodotti tipici locali (carni fresche e

conservate, formaggi, miele, olio, vino) con locali espositivi, temporanei o permanenti, anche presso la Sede o nelle Porte del Parco, con manifestazioni e con altre iniziative di marketing nazionale ed europeo.

> Dissuasione, ove ammesso dalle normative vigenti, tramite opportuni incentivi al ricorso ad organismi transgenici vegetali o animali.

> Promozione di forme organizzate e reticolari per la vendita dei prodotti tipici locali.

Sicurezza del territorio

Il territorio del Parco non presenta rischi di calamità naturali particolarmente elevati rispetto ad altri territori montani appenninici. Tuttavia, appare necessario affrontare il rischio di incendi, che produce ricorrenti allarmi nelle stagioni estive. Occorre inoltre risanare alcune situazioni preoccupanti di rischio idrogeologico e tutelare efficacemente le aree di esondazione fluviale, migliorandone le caratteristiche funzionali e realizzando le opere necessarie a facilitare il deflusso delle acque. A questo scopo, oltre agli interventi diretti di recupero, ripristino e prevenzione, andranno avviati adeguati programmi di monitoraggio e rilevazione del rischio atti a garantire una rete efficiente di vigilanza della sicurezza degli abitanti e degli ospiti. Si rileva che la messa in sicurezza del territorio del Parco è un obiettivo trasversale, che si riflette direttamente sulla efficacia di tutte le altre azioni di sviluppo. Obiettivi e azioni Recuperare la stabilità idrogeologica del territorio

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 254

> Interventi di bio-ingegneria per il riassetto ed il riequilibrio idrogeologico su dissesti attivi e/o quiescenti nei corsi d‟acqua e su aree in frana.

> Ricostituzione del manto vegetale su aree denudate più o meno instabili e per la riconversione graduale di cedui degradati verso cenosi più stabili, compatibilmente con la natura del suolo e con le potenzialità di evoluzione dell‟impianto, mediante l‟impiego di specie autoctone e con materiali provenienti da popolazioni centroappenniniche.

> Riduzione delle aree di versante a forte erosione superficiale attraverso il ripristino dei canali storici di drenaggio delle acque e mediante tecniche naturalistiche di risanamento.

Elevare la capacità di prevenzione per gli incendi

> Miglioramento della attività di manutenzione permanente dei boschi. > Promozione di un progressivo diradamento dei rimboschimenti di

conifere già realizzati e ripristino delle comunità vegetali indigene, mediante l‟impiego di specie autoctone e con materiali provenienti da popolazioni centro-appenniniche.

> Realizzazione di ulteriori piste tagliafuoco secondo disposizioni compatibili anche con la tutela dei valori paesaggistici.

> Creazione di un osservatorio integrato per i servizi di monitoraggio antincendio.

Garantire la funzionalità delle aree esondabili

> Eliminazione delle barriere all‟espansione dell‟acqua e delocalizzazione delle attività direttamente insistenti sull‟ambiente fluviale.

> Ripristino delle naturali aree di esondazione del fiume. > Incentivo al ripristino della naturalità dell‟ambiente fluviale.

Ridurre il rischio sismico delle aree a forte attività antropica

> Monitoraggio delle situazioni a forte pericolosità sismica attraverso indagini di microzonazione sismica strumentale.

> Eliminazione e/o riduzione della vulnerabilità del territorio a seguito di sisma Individuazione di tipologie di interventi atti alla riduzione del rischio sismico nelle aree a forte urbanizzazione (strutture ed infrastrutture).

Turismo sostenibile

L‟area del Parco è già interessata da rilevanti flussi di turismo, peraltro originati quasi esclusivamente dalle Grotte di Frasassi. Bisogna bilanciare meglio le presenze turistiche, con misure finalizzate a distribuire nel tempo e nello spazio

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 255

i carichi oggi troppo concentrati mirando anche al prolungamento della stagione turistica. Si tratta al tempo stesso di riqualificare l‟esperienza di visita, consumata troppo frettolosamente nel modello del “mordi e fuggi” che attualmente prevale nell‟area. Il controllo di qualità deve indirizzare le molte azioni che avranno luogo nel Parco, evitando il rischio di interventi controproducenti per l‟immagine di insieme. Ciò riguarda sia le attività che impegnano gli spazi aperti e gli spazi pubblici che le attività edilizie e le altre trasformazioni dell‟uso del suolo. Per le stesse ragioni si dovrà qualificare in modo più riconoscibile l‟offerta turistica di visita dell‟ambiente con altre funzioni permanenti di valorizzazione, con particolare riferimento alle funzioni di ricerca, di formazione finalizzata, divulgazione. Obiettivi e azioni Rafforzare l‟identità del Parco

> Organizzazione di un parco a tema speleologico-geologico, come distretto ambientale policentrico mirato ad offrire specifici contenuti educativi e di comunicazione alla salvaguardia naturalistica.

> Realizzazione di Geoland, spazio educativo per la divulgazione scientifica con strutture informative e di intrattenimento.

> Valorizzazione delle caratteristiche geologico-ambientali peculiari del Parco (geositi o emergenze) attraverso la realizzazione di percorsi tematici (geologico, paleontologico, mineralogico, geomorfologico, ecc.) opportunamente attrezzati e documentati.

> Realizzazione di aree a carattere scientifico-didattico. > Realizzazione di un polo della ricerca scientifica con collaborazioni

internazionali. > Realizzazione di un nucleo di alta formazione a contato con il centro

di ricerca. > Specializzazione del polo della visita del sottosuolo rispetto alle

diverse domande di fruizione.

Sviluppare il turismo ambientale

> Allestimento di una rete sentieristica gerarchizzata a partire dal sentiero Europa, con percorsi differenziati dalla didattica agli sport estremi.

> Organizzazione di nuove mete di interesse per il turismo ecologico, dalle aule verdi ai belvedere e ai punti di osservazione faunistica.

> Predisposizione di microstrutture per la sensibilizzazione ecologica dei visitatori.

> Organizzazione di aree camping e di sosta per camper. > Realizzazione di piste ciclabili e per mountain-bike. > Predisposizione di percorsi, accessi e strutture riservate ai disabili. > Promozione di programmi di educazione permanente e corsi brevi,

finalizzati alla conoscenza dell‟ambiente nei suoi vari aspetti, ivi compreso quello ittio-faunistico, a servizio della didattica scolastica.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 256

Migliorare la capacità di accoglienza

> Promozione di “alberghi diffusi”, offerta di ricettività distribuita territorialmente con il coinvolgimento dei residenti.

> Incentivazione dell‟offerta di agriturismo, country-house, bed & breakfast.

> Realizzazione di ostelli per la gioventù. > Recupero dei borghi rurali, patrimonio edilizio dismesso da destinare

anche ad una residenzialità stabile di ritorno. > Riqualificazione del sistema commerciale, con la promozione di “punti

verdi” locali. > Predisposizione di attrezzature sportive di qualità complementari alla

ricettività sostenibile. > Organizzazione del servizio di “sportello turistico”, con servizi

telematici di informazione e prenotazione, come articolazione locale del Portale APE.

Integrare le offerte

> Valorizzazione con politiche di filiera del turismo culturale. > Incentivazione del turismo termale. > Promozione del turismo ciclabile. > Introduzione del turismo equestre. > Realizzazione di percorsi turistico-sportivi lungo le forre delle Gole

della Rossa e di Frasassi (canyoning, rafting, e simili). > Promozione del turismo enogastronomico. > Promozione delle attività turistiche legate alla pesca sportiva di tipo

“no kill”. > Organizzazione di pacchetti e offerte di servizi integrati tra il turismo

naturalistico e gli altri turismi, in particolare con l‟offerta di prodotti enogastronomici locali.

> Proposta di itinerari integrati con le mete turistiche limitrofe al Parco, in particolare con il museo della carta di Fabriano e con il sito della battaglia di Sentinum.

> Promozione del turismo della terza età.

Promuovere una immagine di marca

> Creazione del marchio agricolo del Parco. > Organizzazione di un “osservatorio qualità” mirato a garantire i livelli

di qualità dei prodotti e dei servizi (ricettività, ristorazione) esistenti nel Parco.

> Assegnazione di spazi ad artisti giovani per ottenere un patrimonio cumulativo di opere in dote al Parco.

> Promozione di un piano marketing del Parco.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 257

Qualità del paesaggio

Obiettivo di fondo del Parco è di preservare la diversità dei paesaggi che lo compongono e di opporsi attivamente alle pressioni che possono alterarne la forma e i significati, in coerenza con gli indirizzi della Convenzione Europea del Paesaggio. Sono dunque da prevedere strategie differenziate in rapporto alle tre articolazioni individuate nelle analisi: paesaggi di sommità; paesaggi di fondo valle; paesaggi intermedi. In ciascuno di questi paesaggi vanno tutelate comunque le risorse identitarie identificate nelle analisi conoscitive del piano attraverso una adeguata disciplina delle loro modalità di utilizzazione. Ma oltre alla tutela occorre promuovere progetti e azioni operative di conservazione del paesaggio esistente, fino a prevedere i necessari interventi di riqualificazione dei siti compromessi o a rischio di compromissione. In particolare si dovranno realizzare le infrastrutture ambientali necessarie per migliorare la funzionalità ecologica e la fruizione dell‟ambiente del Parco. Obiettivi e azioni Valorizzare le risorse culturali e simboliche

> Recupero del patrimonio storico-culturale: beni architettonici, siti preistorici e siti archeologici, nuclei e centri storici.

> Valorizzazione dei segni cospicui degli immaginari simbolici: ambienti ipogeici; varchi di attraversamento, spazi della religiosità; luoghi della naturalità e della biodiversità; territori delle cave; nuove mete del turismo.

> Realizzazione di azioni esemplari per i siti a maggiore capacità di evocazione simbolica.

Contenere gli sviluppi insediativi

> Prescrizione di misure normative mirate a evitare la dispersione delle attività residenziali, commerciali e produttive.

> Realizzazione di fasce di vegetazione e strutture ambientali di filtro intorno ai centri esistenti.

Riqualificare i siti compromessi

> Recupero delle aree dismesse : cave, impianti industriali e artigianali, borghi storici ed edifici abbandonati.

> Riqualificazione dei siti sottoposti ad eccessi d‟uso: accessi alle grotte.

> Ripristino delle aree sottoposte a calamità: incendi, eventi sismici, alluvioni, fenomeni erosivi.

> Isolamento percettivo degli insediamenti incongrui. > Riduzione degli impatti generati da impianti produttivi anche limitrofi

al parco.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 258

Riqualificare gli spazi infrastrutturali

> Riuso e riqualificazione delle tratte di viabilità SS 76 declassata a strada del parco.

> Riuso e riqualificazione del tratto di ferrovia Falconara-Orte di futura dismissione.

> Interramento dei cavi Enel nei luoghi ad elevato valore paesistico. > Promozione di forme integrate di gestione delle reti di servizi

pubblici, con particolare riferimento alle reti idriche.

Prevenire i rischi di degrado

> Valutazione di idoneità del progetto di nuovo tracciato SS 76. > Valutazione di idoneità del progetto di nuovo tracciato della ferrovia

Orte-Falconara. > Predisposizione delle azioni di compensazione per i grandi cantieri di

opere pubbliche

Realizzare le infrastrutture ambientali locali

> Progetto e attuazione della strada parco sul fondovalle Esino. > Progetto e attuazione del corridoio ambientale Genga-Arcevia. > Organizzazione del corridoio ambientale fondo valle Sentino. > Progetto e attuazione delle “5 porte” del Parco. > Tutela e miglioramento delle connessioni umide, di crinale, di

versante.

Potenziamento del capitale sociale

Il nuovo modello di sviluppo sostenibile associato alla esistenza del Parco chiede di riorientare e rafforzare il capitale sociale locale, frutto di un‟ attitudine tramandata nel tempo a cooperare basandosi sulla fiducia reciproca tra le istituzioni e gli attori locali. Il tessuto delle relazioni fiduciarie e cooperative dovrà infatti essere indirizzato verso le potenzialità del nuovo modello, che lascia largo spazio ad una nuova economia dei servizi oltre che ai saperi e alle pratiche tradizionali. E che offre rilevanti opportunità alla crescita del terzo settore, tra economia assistita dallo Stato ed economia di puro mercato, per il privato sociale, come settore imprenditoriale ma orientato ad obiettivi di interesse collettivo. Si tratta di agire sulla società locale, assecondandone le capacità endogene di promozione di nuove attività connesse alla istituzione del Parco. Una simile area di attività può opportunamente collegarsi all‟impostazione data dal Doc.U.P. Marche al tema delle risorse umane e sviluppo locale. Ciò vale per promuovere occupazione ma anche per riqualificareattraverso la formazione continuasia il personale pubblico che quello impiegato presso le imprese (Fondo Sociale EuropeoOb. 3).

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 259

Obiettivi e azioni Formare le nuove professionalità

> Addestrare gli addetti alla salvaguardia e valorizzazione ambientale del parco, con particolare riferimento all‟uso delle nuove tecnologie di rinaturalizzazione e di ripristino ambientale.

> Organizzare operatori per la gestione della flora e della fauna,con particolare riferimento al cinghiale.

> Sviluppare il ricorso alle nuove tecnologie dell‟e-governement per la gestione delle attività del Parco.

> Organizzare la produzione di audiovisivi e altri materiali conoscitivi. > Formare alla organizzazione e gestione di eventi di richiamo. > Preparare alla attuazione dei bandi di accesso a fondi di

finanziamento nazionali e europei. > Incentivare programmi formativi mirati alla valorizzazione delle

professionalità specifiche della montagna, con particolare riguardo per quelle agricole, forestali, ambientali e artigianali.

> Sperimentare modelli di bioarchiettura. > Contribuire alla diffusione delle energie alternative. > Organizzare operatori per il recupero dei rimboschimenti e per la

gestione dei boschi.

Riqualificare i mestieri tradizionali Promuovere formazione continua per orientare alla sostenibilità gli addetti locali, con particolare riferimento all‟agricoltura e al settore edilizio. Incentivare all‟apprendistato per mantenere le culture tradizionali. Valorizzare le tradizioni popolari

> Promuovere azioni di riscoperta, catalogazione e divulgazione delle tradizioni e delle reti civiche dell‟area del Parco.

> Realizzare spazi espositivi e di animazione per la permanenza delle identità culturali locali.

> Incentivare le attività del “Teatro delle scuole” orientandole verso l‟ ambiente.

Sensibilizzare la società locale

> Promuovere attività di informazione permanente e di inchiesta sui mutamenti sociali del territorio del Parco.

> Introdurre strumenti di comunicazione per il tessuto sociale (lettera ai residenti, radio parco) anche per il collegamento a rete dei borghi.

> Realizzare campagne mirate per la diffusione della salvaguardia ambientale, per la protezione civile e per le opportunità economiche connesse al Parco.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 260

> Lanciare la campagna “adotta un ambiente” destinata alla soprattutto alla scuola.

Migliorare l‟educazione ambientale

> Organizzare centri visita e di accoglienza. > Promuovere l‟istituzione di un Centro di Educazione Ambientale (CEA)

nel territorio del Parco. > Istituire una rete museale ad integrazione dell‟esistente. > Potenziare l‟offerta di uffici informativi. > Creare laboratori didattici. > Incentivare la pubblicazione di materiale didattico, scientifico e di

ricerca. > Promuovere il turismo scolastico e l‟organizzazione di giornate e

seminari di vacanza-studio (campi scuola, scoutismo ecc).

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 261

APPENDICE C: MATERIALI E RISULTATI DELL’INDAGINE SOCIOLOGICA

Il questionario

1. Agricoltura la società rurale

1.1 Agricoltura e territorio

1.1.1 Mi faccia una lista delle produzioni agricole in ordine di dimensioni e rilevanza economica e sociale per l’economia locale.

1.1.2 Quali sono gli elementi unitari e quelli di diversificazione a livello di caratteristiche agricole del territorio

1.1.3 Attraverso quali passaggi avvenuti negli ultimi 30 anni si arriva alla situazione presente.

1.1.4 Quali sono le aree nelle quali sono concentrate queste produzioni agricole

1.2 Agricoltura e sistema economico

1.2.1 Quante sono grossomodo in % le aziende agricole nelle quali gli occupati svolgono solamente o prevalentemente le attività agricole.

1.2.2 Quanti invece i titolari di aziende agricole sono solo titolari nominali.

1.2.3 In quali settori sono impiegati gli agricoltori part-time: industria, dipendente pubblico, professionista, esercente).

1.2.4 Quali sono i settori nei quali lavorano i membri della famiglia con azienda agricola.

1.2.5 Delle seguenti categorie di agricoltori quali sono quelle presenti nel territorio: a) continuità occupazionale familiare; b) ritorno alla terra con precedenti familiari di lavoro (non più di una generazione); c) provenienti da altre attività e dalle città; d) acquirenti stranieri; e) immigrati.

1.2.6 Qual è il profilo di identità dei produttori agricoli: a)agricoltura tradizionale con seminativi; b) allevamenti tradizionali; c) agricoltura di qualità; d) agricoltura multifunzionale (ex. agriturismo).

1.2.7 Come giudica l’importanza della collaborazione tra le aziende agricole, mi faccia degli esempi ( ex. adesione ad associazioni, adesione a marchi, adesione ad iniziative..) e qual è il grado di consapevolezza dell’importanza di strategie territoriali per lo sviluppo.

1.2.8 Esistono circuiti di collaborazione tra aziende agricole e operatori commerciali, operatori turistici o altri soggetti extra-agricoli.

1.2.9 Può fare una lista dei prodotti tipici dell’area distinti : a) prodotti agricoli non lavorati (frutta o altro); b) prodotti lavorati (salumi, confetture ecc.); c) prodotti cucinati (ovvero ricette).

1.2.10 Esistono aziende che lavorano con le tipicità. Che rilevanza hanno nel territorio e quali sono le loro caratteristiche (es. condotte da giovani, di grande estensione, …).

1.2.11 Quali di questi prodotti trova nei punti vendita e nei ristoranti locali.

1.2.12 Come stima il grado di diffusione delle case in campagna che ospitano famiglie a fini solo abitativi (che non hanno azienda agricola).

1.2.13 Con quale frequenza va in campagna / in centro.

1.2 La società rurale

1.2.1 In quali settori sono impiegati gli agricoltori part-time: industria, dipendente pubblico, professionista, esercente.

1.2.2 Quali sono invece i settori nei quali lavorano i membri della famiglia degli agricoltori.

1.2.4 Come giudica l’importanza della collaborazione tra le aziende agricole, mi faccia degli esempi ( es. adesione ad associazioni, adesione a marchi, adesione ad iniziative..) e qual è il grado di consapevolezza dell’importanza di strategie territoriali per lo sviluppo.

1.2.8 Quante volte va in un luogo (specificare) diverso da quello dove abitate, e con quale scopo. (es. lavoro, studio, divertimento, salute, altro -> specificare)

2. Il patrimonio ambientale e storico culturale

2.1 Il patrimonio ambientale

2.1.1 Se ci sono zone protette può darne: a) una descrizione di massima; b) una descrizione dell’uso fatto dagli abitanti locali e dei visitatori provenienti da fuori area.

2.1.2 Può fare una descrizione del paesaggio boschivo e della flora / fauna spontanea. Ci sono fossi, selve, zone particolari per erbe o flora minore.

2.1.3 Quali sono le caratteristiche del paesaggio agricolo.

2.1.4 Mi faccia una lista dei luoghi dove gli abitanti vanno a passeggiare o a svolgere attività sportive. Me le può descrivere.

2.1.5 Mi dice tra le iniziative ambientali quelle che lei considera più importanti.

2.2 Il patrimonio storico culturale

2.2.1 Può dire quali sono i beni culturali ( architettonici, storici, etc..) più significativi secondo lei.

(segue)

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 262

2.2.2 Come vengono gestiti. Quale uso ne viene fatto dalla popolazione dell’area.

2.2.3 Quali sono le maggiori iniziative culturali (sagre, mercatini, etc..).

2.2.4 Quali relazioni può indicare tra il patrimonio storico culturale e il mondo agricolo.

2.2.4 Il materiale storico e rievocativo è di buona qualità,riesce a soddisfare la domanda di identità locale? Quali elementi di tale storia ricostruita fanno parte dell’identità locale?

3. Proposte e riflessioni

3.1 Secondo lei all’area indicata andrebbero aggiunti o tolti altri comuni?

3.2 Mi indica i principali fattori che formano l’identità locale di questo territorio.

3.3 Quali sono i settori chiave per lo sviluppo di questa area. In che misura i finanziamenti pubblici possono aiutare quelli privati.

3.4 Faccia tre proposte di iniziative per lo sviluppo dell’area.

3.5 Quanto incidono i rapporti esterni al territorio (es. con università, enti territoriali, contributi culturali esterni, etc.. ) sulla formazione dell’identità collettiva.

3.6 Quanti stranieri vivono nell’area? Quanti vengono periodicamente con continuità.

3.7 Cosa è necessario cambiare per dare unità operativa all’area.

3.8 Cosa vuol dire ambiente rurale?

3.9 Mi dia una definizione di Distretto Rurale.

Tabella 66 - Schema del questionario utilizzato come traccia per le interviste Fonte: nostra elaborazione

Lo spoglio dei questionari

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

1.1.1 Mi faccia una lista delle produzioni agricole in ordine di dimensioni e rilevanza economica e sociale per l’economia locale

coltivazioni 20 13 9 24 6 72

Misto 5 11 18 10 44

Zootecnia 3 4 7

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.1.2 Quali sono gli elementi unitari e quelli di diversificazione a livello di caratteristiche agricole del territorio

Ambiente 5 11 14 4 34

attività agricole 10 8 4 15 8 45

attività produttive 4 1 5 1 6 17

Condizioni geografiche 1 3 7 11

elementi sociali 1 2 4 1 8

NON RISPONDE 1 1 1 3

NON SA 3 1 1 5

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.1.3 Attraverso quali passaggi avvenuti negli ultimi 30 anni si arriva alla situazione presente

agricoltura 8 7 10 10 5 40

Società 9 9 7 6 10 41

Tecnologie 5 4 11 6 3 29

NON RISPONDE 3 4 1 2 1 11

NON SA 1 1 2

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.1.4 Quali sono le aree nelle quali sono concentrate queste produzioni agricole

Alta collina 1 3 6 3 1 14

Collina 21 19 14 20 3 77

fondo valle 1 9 1 10 21

Montagna 1 5 6

NON CLASSIFICATE 1 1

NON RISPONDE 1 1 2

NON SA 1 1 2

TOTALE 25 24 30 24 20 123

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 263

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

1.2.1 Quante sono (in %) le aziende agricole nelle quali gli occupati svolgono solamente o prevalentemente le attività agricole

fino al 25% (pochi) 6 10 9 6 5 36

fino al 50% (abbastanza) 7 10 5 1 3 26

fino al 10% (nessuno o pochissimi) 3 1 7 11

fino all 75% (molti) 4 3 7 14

oltre il 75% (moltissimi o tutti) 1 9 10 2 22

NON RISPONDE 2 1 1 1 5

NON SA 3 2 2 2 9

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.2 Quanti ( in %) titolari di aziende agricole sono solo titolari nominali

fino al 50% (abbastanza) 5 3 5 4 17

fino all 75% (molti) 6 8 1 4 2 21

fino al 10% (nessuno o pochissimi) 1 10 10 6 27

fino al 25% (pochi) 5 6 12 5 7 35

oltre il 75% (moltissimi o tutti) 1 1

NON RISPONDE 4 1 1 2 8

NON SA 4 5 1 1 3 14

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.3 In quali settori sono impiegati gli agricoltori part-time:

dipendente pubblico 3 6 12 4 1 26

industria 20 16 12 14 15 77

professionista 2 2

NON SA 1 1 2 1 1 6

NON CLASSIFICATE 1 3 1 5

NON RISPONDE 1 1 1 2 2 7

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.4 Quali sono i settori nei quali lavorano i membri della famiglia con azienda agricola

agricoltura 1 1 10 4 1 17

industria 18 13 9 16 13 69

pubblica amministrazione 2 4 6 12

servizi 1 4 4 9

NON RISPONDE 3 2 1 6

NON SA 1 4 4 1 10

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.5 Delle seguenti categorie di agricoltori quali sono quelle presenti nel territorio:

acquirenti stranieri 2 2

continuità occupazionale familiare 25 24 29 24 15 117

provenienti da altre attività e dalle città 1 1

ritorno alla terra con precedenti familiari di lavoro (non più di una generazione)

1 1

NON RISPONDE 1 1

NON SA 1 1

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.6 Qual è il profilo di identità dei produttori agricoli:

agricoltura di qualità 2 1 2 1 6

allevamenti tradizionali 5 2 4 11

agricoltura multifunzionale (ex. agriturismo)

1 1

agricoltura tradizionale con seminativi 23 23 22 22 13 103

NON RISPONDE 1 1

NON SA 1 1

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Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 264

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.7.a Come giudica l’importanza della collaborazione tra le aziende agricole, mi faccia degli esempi

importante 20 18 26 9 11 84

importante se 2 2 2 3 7 16

non importante 6 1 7

NON SA 2 2 4 8

NON RISPONDE 3 2 2 1 8

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.7.b Qual è il grado di consapevolezza dell’importanza di strategie territoriali per lo sviluppo

Alto 7 5 8 2 2 24

assente 1 2 1 9 12 25

basso 16 15 19 9 6 65

NON RISPONDE 1 3 4

NON SA 2 2 1 5

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.8 Esistono circuiti di collaborazione tra aziende agricole e operatori commerciali, operatori turistici o altri soggetti extra-agricoli

assente 7 14 13 15 11 60

presente 16 9 16 9 7 57

NON SA 1 1 1 2 5

NON RISPONDE 1 1

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.9 Può fare una lista dei prodotti tipici dell’area

prodotti agricoli non lavorati (frutta o altro)

3 4 3 3 13

prodotti alimentari vari (grezzi,lavorati,cucinati)

9 9 27 15 12 72

prodotti cucinati (ovvero ricette) 1 2 4 7

prodotti lavorati (salumi, confetture ecc.) 12 6 3 3 24

NON CLASSIFICATE 1 1

NON SA 1 1 2

NON RISPONDE 1 2 1 4

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.10.a Esistono aziende che lavorano con le tipicità

abbastanza 3 3 7 4 17

Molte 5 1 6

non esistono 1 1 1 7 8 18

Poche 20 18 17 16 6 77

NON SA 1 1

NON RISPONDE 1 2 1 4

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.10.b Che rilevanza hanno nel territorio e quali sono le loro caratteristiche

agricoltura 19 18 23 16 4 80

artigianato 7 7

Industria 1 1

NON SA 1 3 4

NON CLASSIFICATE 1 7 11 19

NON RISPONDE 5 5 1 1 12

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.11 Quali di questi prodotti trova nei punti vendita e nei ristoranti locali

Molti 2 1 24 4 4 35

non ci sono 3 8 4 15

Page 265: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 265

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

pochi 21 19 6 10 11 67

NON RISPONDE 2 1 2 5

NON SA 1 1

TOTALE 25 24 30 24 20 123

(1.2.12 Come stima il grado di diffusione delle case in campagna che ospitano famiglie a fini solo abitativi (che non hanno

azienda agricola).

diffuso 14 7 6 13 2 42

molto diffuso 3 1 11 3 1 19

non esistono 1 1 5 7

poco diffuso 5 13 12 8 11 49

NON SA 2 1 1 4

NON RISPONDE 1 1 2

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.13.a Con quale frequenza va in campagna

Poco 8 4 3 3 4 22

Qualche volta 3 6 1 1 11

Sempre 1 4 2 1 1 9

Spesso 9 9 11 3 8 40

NON RISPONDE 3 1 4

NON CLASSIFICATE 1 13 17 6 37

TOTALE 25 24 30 24 20 123

1.2.13.b Con quale frequenza va in centro

mai 3 1 4

poco 1 4 1 6

qualche volta 1 1 2 1 5

sempre 3 7 2 6 1 19

spesso 18 14 8 5 3 48

NON CLASSIFICATE 1 16 7 13 37

NON RISPONDE 3 1 4

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.1.1.a Se ci sono zone protette può darne una descrizione di massima

descrizione dettagliata 3 11 8 1 2 25

descrizione superficiale 15 9 21 7 10 62

nessuna descrizione 1 2 1 6 8 18

NON SA 2 1 4 7

NON CLASSIFICATE 5 5

NON RISPONDE 4 1 1 6

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.1.1.b se ci sono zone protette può darne una descrizione dell’uso fatto dagli abitanti locali

frequente 5 8 4 4 1 22

nessun uso 12 1 2 15

scarso 13 13 13 8 11 58

NON CLASSIFICATE 7 7

NON RISPONDE 4 1 2 6 13

NON SA 3 3 2 8

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.1.1.c Se ci sono zone protette può darne una descrizione dell’uso fatto dai visitatori provenienti da fuori area.

frequente 1 3 12 3 2 21

nessun uso 4 2 6

scarso 16 17 12 10 10 65

NON CLASSIFICATE 7 7

Page 266: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 266

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

NON RISPONDE 3 1 2 5 11

NON SA 5 4 1 2 1 13

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.1.12 Può fare una descrizione del paesaggio boschivo e della flora / fauna spontanea. Ci sono fossi, selve, zone particolari per erbe o flora minore.

fauna 1 1 1 3

fiori e piante 1 1 2

flora e fauna 1 8 26 23 19 77

specie forestali 5 3 1 9

NON SA 8 4 1 13

NON CLASSIFICATE 1 1

NON RISPONDE 14 4 18

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.1.3 Quali sono le caratteristiche del paesaggio agricolo

attività umane 10 4 1 1 16

morfologia 4 5 8 14 6 37

opere dell'uomo 5 4 4 13

paesaggio 5 10 17 10 11 53

NON RISPONDE 1 1 2

NON SA 2 2

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.1.4 Mi faccia una lista dei luoghi dove gli abitanti vanno a passeggiare o a svolgere attività sportive. Me le può descrivere?

ambiente 2 6 15 20 18 61

cultura 2 2

sport 11 13 12 4 2 42

NON RISPONDE 3 1 4

NON SA 9 4 1 14

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.1.5 Mi dica se ricorda iniziative di tutele, educazione e formazione e manifestazioni per fruire e far conoscere le risorse locali sulla tutela dell’ambiente dell’area. A quali partecipa. Quali sono più significative

ripristino 4 2 2 1 9

tutela 12 14 20 7 14 67

NON SA 5 5 7 5 2 24

NON CLASSIFICATE 7 7

NON RISPONDE 4 3 1 5 3 16

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.2.1 Può dire quali sono i beni culturali ( architettonici, storici, etc..) più significativi secondo lei

culturali 1 1 5 7 14

religiosi 8 12 18 6 3 47

storici 16 11 11 13 10 61

NON RISPONDE 1 1

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.2.2.a Come vengono gestiti.

buono 11 6 8 5 6 36

non adeguato 4 1 8 7 5 25

non gestiti 2 1 5 8

sufficiente 4 7 13 12 3 39

NON CLASSIFICATE 1 1

NON RISPONDE 2 1 3

NON SA 2 7 1 1 11

TOTALE 25 24 30 24 20 123

Page 267: STRUMENTI E METODI PER IDENTIFICAZIONE DEI DISTRETTI …

Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 267

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

2.2.2.b Quale uso ne viene fatto dalla popolazione dell’area

frequente 7 9 9 9 4 38

intenso 1 1 2

nessuno 2 1 4 7

scarso 12 12 17 4 11 56

NON RISPONDE 3 1 9 1 14

NON SA 3 1 1 5

NON CLASSIFICATE 1 1

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.2.3 Quali sono le maggiori iniziative culturali

eventi culturali 4 3 2 6 15

rievocazioni 3 3

sagre e feste 19 21 27 24 10 101

NON CLASSIFICATE 1 1

NON SA 1 1

NON RISPONDE 2 2

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.2.4 Quali relazioni può indicare tra il patrimonio storico culturale e il mondo agricolo

culturale 8 11 10 4 10 43

economico 4 2 2 8

nessuna 1 5 2 8 4 20

storico 8 2 11 4 4 29

NON SA 3 3 5 3 2 16

NON RISPONDE 1 1 5 7

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.2.5.a Il materiale storico e rievocativo è di buona qualità,riesce a soddisfare la domanda di identità locale?

di qualità 13 11 20 14 13 71

non esiste 1 2 2 5

non di qualità 7 7 2 1 3 20

NON CLASSIFICATE 1 1

NON RISPONDE 1 1 4 8 14

NON SA 3 3 4 1 1 12

TOTALE 25 24 30 24 20 123

2.2.5.b Quali elementi di tale storia ricostruita fanno parte dell’identità locale?

ci sono elementi 16 11 15 5 13 60

noci sono elementi 4 6 2 5 2 19

NON SA 4 5 8 3 2 22

NON RISPONDE 1 2 5 11 2 21

NON CLASSIFICATE 1 1

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.1 Secondo lei all’area indicata andrebbero aggiunti o tolti altri comuni?

aggiunti 19 17 19 13 4 72

tolti 1 1

tolti e aggiunti 1 2 2 5

va bene così 4 2 10 11 13 40

NON RISPONDE 1 3 1 5

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.2 Mi indica i principali fattori che formano l’identità locale di questo territorio

ambientali 4 5 11 5 11 36

culturali 10 11 16 2 2 41

economici 5 2 3 4 2 16

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Osservatorio Agroalimentare Marche 2005.02

Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 268

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

sociali 1 1 5 4 11

NON RISPONDE 4 5 5 14

NON SA 1 3 1 5

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.3 Quali sono i settori chiave per lo sviluppo di questa area. In che misura i finanziamenti pubblici possono aiutare quelli privati.

agricoltura 7 5 7 8 2 29

artigianato 1 3 1 5

industria 3 3 1 1 8

servizi 3 4 1 8

turismo 11 10 18 16 16 71

NON RISPONDE 1 1

NON SA 1 1

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.4 Faccia tre proposte di iniziative per lo sviluppo dell’area.

agricoltura 3 3 7 9 2 24

artigianato 2 1 3 6

industria 1 2 3

servizi 5 3 9 5 22

turismo 13 16 14 5 13 61

NON SA 1 1 2

NON RISPONDE 2 2 1 5

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.5 Quanto pesano le relazioni esterne ( università, enti territoriali, contributi culturali esterni, etc.. ) con la formazione dell’identità collettiva

abbastanza 6 7 4 4 2 23

molto 5 4 13 1 6 29

nulla 1 2 2 2 6 13

poco 11 8 7 10 6 42

NON RISPONDE 2 1 2 4 9

NON SA 2 2 3 7

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.6.a Quanti stranieri e/o forestieri vivono nell’area?

abbastanza 14 13 7 5 5 44

molti 6 4 16 16 11 53

pochi 3 4 7 3 3 20

NON SA 2 3 1 6

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.6.b Quanti vengono periodicamente con continuità.

abbastanza 5 3 11 4 13 36

molti 5 5 11 18 2 41

nessuno 1 1

pochi 9 11 8 2 4 34

NON SA 5 4 9

NON RISPONDE 1 1 2

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.6.1 Cosa è necessario cambiare per dare unità operativa all’area

infrastrutture 3 2 1 3 9

organizzazione 20 22 13 14 11 80

progetti 13 5 6 24

NON SA 1 3 3 7

NON RISPONDE 1 2 3

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 269

Quesiti e risposte per area Area 1 Area 2 Area 3 Area 4 Area 5 Totale

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.7 Cosa vuol dire ruralità secondo lei?

agricoltura 12 10 19 18 10 69

cultura 2 1 5 1 5 14

paesaggio 9 12 6 1 4 32

NON RISPONDE 2 1 1 4

NON SA 3 1 4

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.8 Mi dia una definizione di distretto rurale.

organizzazione 18 14 5 20 2 59

promozione 3 6 2 2 13

NON CLASSIFICATE 22 1 13 36

NON RISPONDE 2 2 1 2 7

NON SA 2 2 1 3 8

TOTALE 25 24 30 24 20 123

3.9.a Mi dia una definizione di distretto rurale.

agricoltura 3 4 7 12 4 30

paesaggio 1 3 1 1 2 8

società 5 4 4 3 2 18

territorio 12 9 14 4 5 44

NON SA 3 2 1 4 10

NON CLASSIFICATE 4 1 3 8

NON RISPONDE 1 2 2 5

TOTALE 25 24 30 24 20 123

Tabella 67 – Numero di risposte per quesito ed area Fonte: nostra elaborazione da indagine diretta

La traccia di discussione per i focus80

1. Impostazione generale La discussione dei focus groups è composta di tre parti: una comune a tutti, una orientata a discutere aspetti specifici che possono essere condivisi con altri focus groups e una terza parte esclusiva che riguarda un tema particolarmente rilevante nell’area di svolgimento del focus group. 2. Traccia comune

Presentazione del ruolo del focus group(animatore) Introduzione alla finalità del focus group rispetto alla definizione di distretto rurale con riferimenti ad esperienze già sviluppate e brevi riferimenti ai dati delle interviste

Identità connotativa dell’area

80

Schema utilizzato come traccia per la discussione nei focus groups.

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 270

Quale identità del territorio e idea cardine i partecipanti indicano per l’eventuale DR nella loro area (Si possono indicare più di una opzione o considerare complementari alcune di esse)

a) produzione agricola coerente con la vocazione territoriale b) produzioni tipiche molteplici legate alla tradizione e alla storia dell’area (per

tipiche si possono intendere produzioni esclusive dell’area, comuni con altre aree, ma fortemente caratterizzanti, comuni all’intera regione o provincia)anche artigianali e gastronomiche.

c) Integrazione della produzione agricola e del carattere rurale con ilo patrimonio artistico – storico – culturale

d) Integrazione della paesaggio agricolo con gli ecotopi tipici e le zone non coltivate del paesaggio tipico

e) Integrazione e valorizzazione del patrimonio storico rurale anche nella dimensione orale, mussale e di testimonianza

f) Costruzione di reti di servizi ai cittadini e integrazione tra produzione agricola, terziario, qualità della vita con particolare attenzione alle potenzialità turistiche di attrazione

g) altro note … ... il distretto non è regolamentato, il nostro obiettivo è capire se esistono dinamiche che possano

proiettare un'area in funzione di distretto o altro ..quindi dobbiamo proprio "scavare" per capire se queste dinamiche (che magari non sono emerse nemmeno dai questionari) in quell'area esistono. cioè dobbiamo far passare il messaggio che solo dal processo partecipativo attivo delle comunità locali si aprono strano nuove anche per lo sviluppo economico. -che cosa ha "bloccato" ho "promosso" in quell'area questo processo?

2.3. Aspetti organizzativi e normativi In quale modo un DR può svolgere la funzione di coordinare le attività e i soggetti esistenti Come può produrre nuove iniziative Quali sono attualmente i livelli di integrazione e coordinamento tra soggetti amministrativi presenti nel territorio a) quali soggetti amministrativi coordinano le loro attività b) quali attività vengono coordinate c) quali soggetti sociali o operatori coordinano le loro attività d) quali attività vengono coordinate e) quale tipo di coordinamento esiste tra soggetti amministrativi e soggetti

sociali f) esistono esperienze di organizzazione spontanea delle risorse locali g) quale ruolo esercitano nelle relazioni sociali – economiche e amministrative

dell’area note il nostro obiettivo è monitorare l'attuale nei processi decisionali: comuni, provincia, regione, altri..... come (in breve) gli attori locali partecipano e ne sono soggetti

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 271

attivi?le attuali norme snelliscono i processi o li appesantiscono? che cosa potrebbe essere modificato? Migliorato

2.4. Suggerimenti e osservazioni sugli aspetti organizzativi e normativi Quali forme i partecipanti pensano sarebbero più efficaci nella gestione del DR

a) Tipi di finanziamento per il dr. quali sono i tipi di finanziamento ipotizzabili

per il dr? come si pone il dr rispetto al psr e al gal? su quale asse di intervento comunitario si appoggia? come verranno ripartite le risorse?

b) Gestione del dr e problema dell’autonomia finanziaria. Come verrà gestito il DR? Verrà gestito a livello locale o regionale? Che forma giuridica assumerà (società, consorzio, ente pubblico)?L’eventuale proprietà sarà pubblica, privata o mista (per la CIA sarebbe preferibile la proprietà privata perché solo i privati promuovono lo sviluppo )?

c) Quali saranno le procedure amministrative e in che forma divergeranno dalle attuali azioni (psr e gal)?Ci sarà delega piena sui fondi oppure ci sarà controllo della Regione come per il GAL?

d) Coordinamento tra enti. come si coordinano le competenze del dr con le competenze della provincia, delle comunità montane e dei comuni?e le camere di commercio? quali saranno le rispettive competenze in materia?

Qui finisce la parte comune della discussione 3. Produzioni alimentari tipiche e di qualità coerenti con la vocazione territoriale dell’area 3.1. Dai dati raccolti le produzioni tipiche sono le seguenti: Quali osservazioni hanno i partecipanti Quali tipicità sono solo dell’area, quali condivise con altre aree, quali con l’intera regione Quali sono di antica tradizioni e quali recenti Quali tipicità possono essere sostenute Quali proposte sono adatte a sostenere la produzione tipica a) fissare un disciplinare della tipicità e invitare tutti i produttori a rispettarlo b) inserire le produzioni nelle misure legislative vigenti c) affidarsi alla spontaneità e all’iniziativa dei singoli produttori I prodotti tipici o alcuni di essi hanno la potenzialità di definire l’identità dell’area rispetto all’interesse esterno e al mercato I prodotti tipici, una volta divenuti una rete produttiva e commerciale, possono fornire una percezione diversa e più approfondita del territorio anche tra i residenti

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 272

Come i prodotti tipici possono attrarre turisti e nuovi residenti. Quali forme e iniziative suggeriscono i partecipanti 4. Sviluppo locale, innovazione e confronto con il mercato 4.1. a) la produzione agricola che caratterizza l’area è organizzata secondo criteri avanzati rispetto al livello nazionale o rilevano(i partecipanti) l’esigenza di processi di adeguamento alla domanda esterna e alla concorrenza d altre aree b) le razionalizzazioni dell’organizzazione produttiva attuate nell’area conservano un livello alto di qualità del prodotto finale o lo compromettono c) quali sono le forme migliori per promuovere un marchio di territorio del DR d) quali forme di coordinamento sono necessarie o utili a promuovere il marketing dell’area:

coordinamento delle amministrazioni, delle associazioni di operatori e soggetti sociali

promozione di nuovi soggetti con competenze specifiche nel settore della qualità alimentare

promozione di relazioni esterne con altri produttori e altre aree quali forme innovative di turismo possono essere programmate DR E DISTRIBUZIONE. Può il DR contribuire a formare e sviluppare una

catena distributiva alternativa rispetto alla grande distribuzione?Tale ipotesi sarebbe molto interessante al fine di valorizzare le produzioni tipiche locali.

5. Integrazione della ruralità con il patrimonio culturale 5.1. Quali sono le relazioni tra il patrimonio architettonico, il paesaggio rurale, la cultura materiale nella percezione locale e nella tradizione rurale dell’area Quali istituzioni culturali si possono promuovere per valorizzare la cultura rurale: a) musei della civiltà rurale b) musei tecnologici c) eventi culturali periodici d) singoli luoghi da promuovere(monasteri, frantoi,.case coloniche, case signorili

ecc) e) rapporti con realtà esterne analoghe per iniziative comuni o coordinate Quali forme di turismo si possono proporre Quali attività culturali diffuse gestite da agriturismi o associazioni possono aiutare il turismo Come collegare fisicamente questi luoghi (viabilità minore, antichi tracciati, ...) affinché la rete dei collegamenti diventi essa stessa un patrimonio 6. Risorse ambientali dell’area Quali sono gli ecotopi che vengono visitati con maggiore regolarità. Dai nostri dati sono i seguenti:

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Strumenti e metodi per l’identificazione dei Distretti Rurali nelle Marche pagina 273

Quali sono gli elementi che più caratterizzano il paesaggio Come vedete l’integrazione tra il paesaggio agricolo e le aree protette Come vedete la gestione e protezione delle piccole aree ambientali non agricole all’interno del paesaggio agricolo Quali attività ambientali rivolte ad associazioni possono essere sviluppate Quali forme di turismo innovativo Come collegare fisicamente questi luoghi (viabilità minore, antichi tracciati, ...) affinché la rete dei collegamenti diventi essa stessa un patrimonio 7. Coinvolgimento nei processi partecipativi Qual è il livello reale di partecipazione oggi e come pensate che vada misurato Per esempio qual è la reale risonanza delle iniziative e dei coordinamenti Come pensate che si inneschi un processo partecipativo Come giudicate la partecipazione attuale Esistono associazioni spontanee, quali e con quali interessi Esistono iniziative di categoria o di età(anziani e giovani e donne) Esiste la disponibilità a lavorare assieme e come