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Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova Anno 9 - Numero 1 Gennaio 2013 STREGATA DALLA MUSICA usicalmente Alexander Lonquich Un’alchimia ventennale Grandi interpreti In arrivo Kremer, Carbonare e Albanese

Transcript of STREGATA DALLA MUSICA - ocmantova.com€¦ · che Maria Montessori, e le rispo - ste giuste stanno...

Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova

Anno 9 - Numero 1Gennaio 2013

STREGATA DALLA MUSICA

usicalmente

Alexander Lonquich Un’alchimia ventennale

Grandi interpreti In arrivo Kremer, Carbonare e Albanese

3musicalmente

Avrete letto o ascoltato, le scor-se settimane, l’ennesimo appel-lo di Riccardo Muti in difesa della musica e della cultura che rappresenta. Un appello esteso all’educazione, chiave di riscat-to per i giovani, perché – egli ha detto – « abbiamo l’obbligo ver-so le nuove generazioni di avere amore, !ducia, orgoglio del no-stro Paese e di sapere che non esiste solo “Và pensiero”, ma che esiste anche Palestrina, la gran-de scuola napoletana, la scuola veneta, la scuola romana, e che Mozart è venuto in Italia per es-sere riconosciuto come il genio che lui pensava di essere. Tutto questo dobbiamo riportar-lo nella mente e nei cuori dei no-stri ragazzi».Chiunque possegga il minimo senso dei bisogni spirituali che innervano una società cosiddetta civile, e che si evidenziano, per forza di cose, anche nella vita di tutti i giorni, non può che es-ser d’accordo con la ri"essione di Muti; e sappiamo bene che la prima vera ed unica risposta a questo appello dovrebbe esser posta in atto nella scuola pub-blica, con la stessa naturalezza e con la stessa serietà d’approccio che accompagnano lo studio del-la letteratura, della storia o delle lingue straniere. Ma poiché questa situazione ide-ale non si veri!cherà tanto pre-sto, conoscendo i tempi lunghis-simi delle modi!cazioni strut-turali in Italia, allo stato attuale non restano che le intelligenti iniziative individuali.Ed è compito degli adulti preoc-cuparsi dei giovani, di attivarne le sensibilità, magari di sondar-

APPELLO DI MUTI: musica nei cuori dei nostri ragazzi

ne attitudini ignote ponendoli a contatto con quella musica che può comunicare con il loro ani-mo vergine. Uno studio di qual-che anno fa affermava, dati alla mano, che il linguaggio musica-le, anche quello artistico, sia, in potenza, alla portata di un gran numero di persone; ma che solo l’ambiente, l’educazione, le cir-costanze stimolanti conducano ad esiti realmente positivi, !no a quello che si de!nisce talento. E citando le notivolissime ed ac-clarate capacità violinistiche dei bimbi giapponesi e le abilità vo-cali dei ragazzi ungheresi – con-quistate appunto con speci!ci metodi d’approccio – il ricer-catore poneva il lettore davan-ti all’unica altra ipotesi di causa possibile, e cioè ammettere «una generosità della natura con que-ste popolazioni decisamente in-spiegabile».Ovviamente nulla accade per caso, come ci ha insegnato an-che Maria Montessori, e le rispo-ste giuste stanno nel nome dei metodi: Suzuki per i giapponesi, Kodály per gli ungheresi.Qui, che fare? Non temere di considerare i giovani e giovanis-simi sempre troppo immaturi per una seria esperienza d’ascol-to. Tempo d’Orchestra ha inventato il ciclo di Madama DoRe – sul qua-le ci soffermiamo in questo nu-mero - che è qualcosa di più di un sasso nello stagno: è una mo-dalità d’approccio, uno stimolo vivace, un invito a ri"ettere su quanto sia facile provare empa-tia in teatro aprendosi al mondo dell’emozione ed alla scoperta di sé. Un piccolo, decisivo passo verso un’Italia migliore.

di Andrea Zaniboni EDITORIALE

La prima vera ed unica risposta al richiamo del celebre direttore d’orchestra dovrebbe esser posta in atto nella scuola pubblica

Compito degli adulti preoccuparsi dei giovani, attivandone le sensibilità e ponendoli a contatto con quella musica che può comunicare con il loro animo vergine

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SOMMARIO

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IN COPERTINA

I CONCERTI

IN ORCHESTRA

30 Red carpet: l’inaugurazione di “Tempo d’Orchestra” edizione del ventennale

11 Raccontare con le sette note di Luca Ciammarughi

9 L’anima antica nella musica nuova di Andrea Zaniboni

7 Regina senza etichette Intervista a Sonia Bergamasco di Emanuele Salvato

14 Alchimia ventennale Intervista ad Alexander Lonquich di Anna Barina

18 Stravinskij secondo Giuseppe Albanese d Valentina Pavesi

20 Sulle ali del jazz con Alessandro Carbonare di Giorgio Signoretti

26 Kremer, libertà e virtuosismi di Guido Mario Pavesi

28 Notte di note tra ninne nanne e sogni di Augusto Morselli

DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni COORDINAMENTO EDITORIALE: Anna BarinaGRAFICA: Elena Avanzini REDAZIONE: Valentina PavesiHANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Alice Bertolini, Simonetta Bitasi, Luca Ciammarughi, Claudio Fraccari, Guido Mario Pavesi, Emanuele Salvato, Luca Segalla, Giorgio Signoretti EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di MantovaSEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12 Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected]

STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121. Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004Chiuso in redazione il 21 dicembre 2012

TIRATURA 4.000 copie

13 Note da brividi Prossimamente a “Tempo d’Orchestra”

31 Ocm in breve Tra festival e uscite discografiche

32 Un abbonato ogni quattro è under 18

33 Entusiasmo e amarcord Il successo della produzione Ocm con Antonio Ballista

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RUBRICHE

38 CD - DVD Katsaris, l’uomo capace di “divorare” il pianoforte di Luca Segalla

39 MUSICA & ARTE Tiepolo e quella speciale sintonia con la musica di Paola Artoni

35 QUADERNO DI VIAGGIO Itinerario verdiano di Andrea Zaniboni

41 LEGGERE Se è Beethoven a fare la storia di Simonetta Bitasi

40 ALTRA MUSICA Rock, cronista del XX secolo di Giorgio Signoretti

42 IN PLATEA Domeneghini, l’Ad che suona il sax di Alice Bertolini

37 GRAMMOFONO Il coraggio di un’orchestra di Michele Ballarini

36 COLONNA SONORA Bertolucci, orecchio da musicista di Claudio Fraccari

34 AMICI Parolenote, inedita prospettiva Associarsi per essere più forti

Si avvicina al jazz a quat-tro anni attraverso l’ascol-to di Sidney Bechet, Duke Ellington e Ella Fitzgerald e a undici viene folgorato dall’incontro con la musica di Miles Davis e di Bob Dy-lan. Fa parte di vari gruppi di rock, blues, e prog-jazz. Con Stefano Boccafoglia fonda la Scraps Orchestra e collabora con Paolo Fre-su, Fausto Mesolella, Artu-ro Testa, Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia.

GiorgioSignoretti

Guido Mario Pavesi, la gio-ventù trascorsa in giro per l’Italia a suonare rock, come chitarrista della band di Don Backy, I Fuggiaschi, scrive oggi di musica classi-ca per il quotidiano La Voce di Mantova. Nel mezzo un diploma in chitarra classica al Conservatorio di Manto-va. Appassionato di lettera-tura, cinema e calcio, oltre che di musica – ca va sans dire – ha assistito a tutti e 8 i concerti di Gidon Kre-mer a Mantova. E a Musi-calmente ne offre testimo-nianza.

Guido Mario Pavesi

Giornalista, musicologa e musicista, dopo il diplo-ma in viola si laurea con il massimo dei voti e la lode in Scienze dell’Educazio-ne ad indirizzo musicale all’Università di Trieste e in Beni Musicali e Musicolo-gia all’Università di Venezia guidata da Quirino Princi-pe e Giovanni Morelli. Col-labora come critico musica-le con il dorso di Verona del Corriere della Sera e scrive di musica per riviste nazionali. All’attività giornalistica af-!anca quella di uf!cio stam-pa, comunicazione e pubbli-che relazioni.

Anna Barina

Emanuele Salvato nasce a Mantova nel ‘71. Nel ‘98 si laurea in Scienze Politiche. Giornalista professio-nista, attualmente cura le pagine degli Eventi presso il quotidiano la Voce di Mantova. Collabora con ilfattoquotidiano.it e Latinoameri-ca. Grazie all’Ass. Politiche Sociali della Prov. di Mantova, ha pubbli-cato Eroi Silenziosi, una panorami-ca sulla realtà del volontariato nel-la provincia virgiliana, Mantua me cepit-Migranti nella terra di Virgi-lio, dodici storie di immigrazione nel territorio mantovano; Sogni spezzati, dieci storie di ordinaria precarietà e Viaggio nella memoria – Diario dei viaggi d’istruzione nei campi di sterminio nazisti.

Emanuele Salvato

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IN COPERTINA

Questione di TEMPOÈ la dimensione della musica: ne trasforma il significato

in racconto. Non solo: in esso affonda le radici la produzione moderna, come attestano numerose opere

del cartellone di “Tempo d’Orchestra”

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IN COPERTINA

Non si può parlare di Sonia Bergamasco ed esaurire il discorso su di lei de!nendola semplicemente un’at-trice. Sì, perché la questione è complessa e non cer-to di lana caprina. Il suo volto è noto a teatro, ma an-che al cinema, per non parlare della televisione. Ha lavorato con Massimo Castri, Glauco Mauri, Carmelo Bene, Marco Tullio Giordana, Giuseppe e Bernardo Bertolucci. «Giuseppe mi ha fatta esordire al cinema- sostiene - con L’amore probabilmente e con lui ho colla-

borato anche per Karenina a teatro. Con Bernardo ho lavorato nel suo ultimo !lm, Io e te, nel quale interpreto il ruolo di una madre ottusa. Mi è piaciuto molto fare cinema con lui e credo che in pochi abbia-no la sua padronanza del set». Ha instaurato pro!cue collaborazioni anche con il compositore Azio Corghi, mantovano d’adozione, con il quale ha lavorato in opere di musica contemporanea di altissimo livel-lo come Donna Elvira, ma anche come Le due regine, ambizioso proget-to per l’infanzia musicato da Corghi per Dario Moretti, del quale l’at-trice sarà protagonista il prossimo 20 gennaio al Bibiena nell’ambito della rassegna “MadamaDoRe” inserita nel cartellone di Tempo d’Or-chestra. Ma sarebbe sbagliato imporle esclusivamente etichette colte, perché per sua stessa ammissione si è «divertita molto» a recitare anche nella !ction di Rai Uno Tutti pazzi per amore diretta da Riccardo Milani. Non si sbaglia, invece, a ricondurre la sua estrema duttilità alla forma-zione musicale impartitale !n da piccola. Alla base di tutto, della sua estrema capacità di adattarsi a ruoli e situazioni diversi, ci sta proprio la musica. «La musica - spiega al telefono, mentre si prepara alla par-tenza per Mosca per una tournée con lo spettacolo Karenina Prove aperte di infelicità ispirato all’eroina di Tolstoj e scritto con Emanuele Trevi e Giuseppe Bertolucci - mi ha insegnato a mettermi in ascolto con tutte le arti. E questo vale per il teatro come per il cinema. La disciplina mu-sicale mi ha aiutato a instaurare relazioni di qualità con registi, attori e spazi. L’ascolto che t’insegna la musica è fondamentale per i rapporti

di lavoro, ma direi di vita in genere. La musica det-ta i tempi, dà il ritmo. Non mi fa sentire a disagio e annulla le differenze fra palcoscenico e set cine-matogra!co». Sonia Bergamasco inizia a studiare pianoforte a cinque anni. A dieci viene ammessa al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, dove si diploma. «Un’esperienza formativa che mi ha fatto crescere e che mi ha insegnato ad appassionarmi alla musica», spiega l’attrice, che non a caso acco-sta il verbo insegnare a passione. Al Conservatorio, infatti, la sua strada di giovane pianista con gli oc-chi bene aperti sul mondo si incrocia con quella di Quirino Principe, insegnante di cui tutt’ora con-serva un ricordo speciale. Dopo il diploma in pia-noforte si fa strada in lei la voglia di approfondire l’arte della recitazione, di conoscere tutto sul tea-tro. «Proprio in quel periodo - dice - a Milano apri-va i battenti la scuola di Teatro del Piccolo, diretta

Sonia Bergamasco (a sinistra, foto di Laura Pirandello) qui sotto con il cast e il regista, Bertolucci, del recente Io e te

Regina senza etichette stregata dalla CLASSICA

di Emanuele Salvato

Sonia Bergamasco non è soloun’attrice. Volto noto di teatro, cinema e tv - come racconta in quest’intervista - deve la sua versatilità agli studi di pianoforte

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IN COPERTINA

da Giorgio Strehler. Lessi il bando e mi iscrissi. Fu un’esperienza inten-sa, dove imparai molto sul teatro e sull’arte del recitare. Maestri come Marise Flach, Lidia Stix, lo stesso Strehler mi hanno fornito una prepa-razione fondamentale per quello che poi sarebbe diventato il mio me-stiere». Il rapporto con la musica, però, non s’interrompe. Anzi. «Lavo-rando molto sulla voce - spiega - mi è tornata utile la formazione musi-cale. Nella classe di canto, diretta dalla soprano Lidia Stix, ho cercato un repertorio per voce di attore cantante che fosse adatto a me e mi sono ritrovata fra le mani il non certo facile Pierrot Lunaire che già ave-vo studiato al Conservatorio e che Sch#nberg aveva scritto proprio per un’attrice». Anche Strehler si accorge di lei e la vuole prima nel gran-dioso progetto Faust, dove tutti gli allievi vengono utilizzati nelle scene di massa, poi nell’Arlecchino dei Giovani, che segna il suo debutto a tea-tro. L’esperienza del Piccolo !nisce più o meno lì. Ne iniziano altri con maestri del calibro di Glauco Mauri, con il quale lavora nel Riccardo II, Massimo Castri e Carmelo Bene. Con quest’ultimo la collaborazione si fa intensa e sfocia nel Pinocchio che il maestro rifà per il teatro e la te-levisione nel 1998. Sonia Bergamasco interpreta il ruolo della fatina. Molto importante per il suo lavoro, almeno a giudicare dal calore con cui ne parla, è l’incontro con Gabriella Bartolomei, personaggio mol-to noto nel teatro di ricerca che le insegna a utilizzare nel migliore dei modi la sua voce molto particolare. Tutto questo sta alla base dei suc-cessivi lavori di Sonia Bergamasco sulla poesia e la musica contempo-ranea. In questo solco rientra anche l’esperienza con Azio Corghi: «La mia frequentazione con Azio Corghi - dice - inizia nel 2001, quando fu lui stesso a chiedermi di fare l’assistente per la sua classe di composizio-ne all’Accademia Chigiana. Accettai subito pur non avendo esperienza. Sapevo sarebbe stato un percorso impegnativo e faticoso. Ma ero certa, allo stesso tempo, che si sarebbe trattato di un esame importante, che mi avrebbe arricchita in un campo, come quello della composizione e della scrittura, fondamentale per i miei futuri lavori. E così è stato. Gra-zie a Corghi nasce, fra le altre cose, la collaborazione con Dario Moret-ti ne Le due regine, che per la prima volta porta in scena al teatro Bibie-na nel 2006: «Conservo ancora un ricordo luminoso del teatro - spiega l’attrice - senza dubbio uno dei più affascinanti d’Italia. Sono lieta di tornarvi ancora con Le due regine, un esperimento di teatro-musica per l’infanzia in cui ci metto corpo e voce che, insieme con i disegni di Mo-retti e le musiche di Mozart (la Serenata K.525 Eine kleine Nachtmusik) ri-lette da Azio Corghi, vanno a formare un impasto artistico molto vivo».

Una fiaba musicale per bambini, un grande e ambizioso progetto per l’infanzia che unisce musica, canto, immagini e racconto. Questo in sintesi è Le due regine, performance nata dalla mente di Dario Moretti che per l’occasione si è avvalso della prestigiosa collaborazione del compositore Azio Corghi. Sonia Bergamasco interpreta la Serenata K. 525 (Eine Kleine Nacht-musik) di Mozart, nella rilettura di Corghi. Il canto, il racconto e le melodie sono accom-pagnati dalle immagini, create in tempo reale: l’artista è in scena con pennelli e colori per dipingere dal vivo la storia, che viene proiettata su un fondale bianco. Il testo musicato racconta di un paese incantato dove due regine vivono in pace. Una sola cosa le divide, la passione per la musica: Regina Rossa ama il ritmo e Regina Blu ama la melodia. Da non perdere, domenica 20 gennaio (ore 11) al Bibiena di Mantova.

LE DUE REGINE

“L’ascolto che t’insegnala musica è fondamentale, direi, per la vita. La musica detta i tempi, dà ritmo, non fa sentire a disagio e annullale differenza fra palcoscenico e set cinematografico”

“Il Bibiena è uno dei teatri più affascinanti d’Italia e sono lieta di tornare con Le due regine, spettacolo in cui metto voce e corpo e che grazie ai disegni di Moretti e alle musiche di Corghi si rivela un impasto molto vivo”

(foto Daverio)

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Si usa dire, convenzionalmente e con sintesi anche eccessiva, che la musica contemporanea, quella che nasce oggi, ogni giorno che passa, nella mente di compositori d’ogni specie, guardi avanti, verso la spe-rimentazione, l’ignoto, l’immaginazione libera e ardi-ta; e che sia proiettata in un futuro indistinto tutto da scoprire, con un linguaggio persino accettabilmente astruso, indipendente ed inedito. Musica dell’anima e del cervello, musica da decifrare o da ascoltare con gusto. Ma a ben vedere la storia ed il passato emergono spes-so, ora sotto la veste dell’azione polemica di un fare ribelle e innovatore, ora nella veste di un confronto che assume le sembianze dell’esercizio ricreativo, od ancora nel segno dell’omaggio affettuoso ad una me-moria amata ed irripetibile, o semplicemente e casual-mente scoperta.In !n dei conti ogni giovane maestro segue il principio base di qualunque scuola, quando affronta ed attra-versa la fase della propria faticosa e talora sofferta formazione: stu-dia il passato e, nel caso del musi-cista, esplora attraverso l’esercizio pratico ed analitico l’opera altrui, vicina o lontana nel tempo, con lo scopo di trarne insegnamenti, testimonianze, esempi. E come logica conseguenza sviluppa una capacità critica, una facoltà di giu-dizio che lo pone in viva relazione con un prodotto artistico che non è inteso soltanto come traccia, ma piuttosto come messaggio, micro-cosmo, simbolo di una !loso!a creativa e di una lettura del mon-do. Non casualmente è accaduto, nei tempi più antichi come in quelli più recenti - anzi forse più incisivamente in quelli recenti - di Andrea Zaniboni

L’ammirazione di Mozart per Bach è alla base di sue trascrizioni. Chopin lascia il segno su Rachmaninov e Ravel. E il favore per Rameau influenza Debussy. Una storia di filiazioni

Anima antica nella musica NUOVA

La storia dell’arte musicale permea,

anche in forme invisibili,

il nostro presente, sempre e ovunque

IN COPERTINA

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Azio Corghi, compositore di fama, firma la musiche per Le due regine, la fiaba che il prossimo 20 gennaio (ore 11) andrà in scena al teatro Bibiena di Mantova per il ciclo “Madama DoRe”. Si è volentieri concesso per soddisfare qualche nostra curiosità.

Ci si immagina che anche lei, come tutti, abbia avuto delle passioni giovanili per la musica esistente. Quali erano i suoi compositori preferiti?«I miei primi interessi si sono legati all’essere stato pianista, quindi ho amato le musiche che suonavo, di Stravinskij, Prokof’ev. Poi sono approdato alla classe di composizione di Bruno Bettinelli, e lì ho assorbito la scuola viennese ed in particolare quella berghiana. Successivamente, quando ho avvicinato il teatro musicale, il rapporto con le voci, attraverso Gargantua e la collaborazione con Saramago, è emerso l’interesse per Messiaen. E ancora: ho scoperto Ligeti, quando l’ho studiato per insegnarlo. I compositori, più cercano l’evoluzione e più cercano il nuovo. Nel mio caso rivisitare la storia si è sempre legato ad un processo di conoscenza di me stesso, figlio di padre emiliano e di madre piemontese. E Mazapegul, composizione del 1985 nella quale calano canti popolari emiliani, è la ricerca

di un’identità di appartenenza, da cui discende la possibilità di capire il mondo ed accettarne le diversità».

Che legami ci sono – se ci sono – fra la sua attività di revisore e quella di compositore? Gli approfondimenti scientifici e di ricerca hanno suggerito valutazioni inedite delle musiche e degli autori di cui s’è occupato?«Quando collaboravo con Ricordi come correttore di bozze, ricordo che mi occupai di Vivaldi e del suo salmo Beatus Vir; poi dopo altre esperienze approdai, con gli incoraggiamenti di Philip Gossett, all’impegnativa revisione critica de L’Italiana in Algeri di Rossini. Lavorai direttamente sulle pagine di Rossini e fu una scoperta ed una emozione perché egli emerse per me come grande compositore e non solo come artigiano; con le sue intuizioni, il senso del tempo del teatro, le simmetrie tra i vari numeri dell’opera. Questo ha dato origine ad un rispetto, ad una presenza che ritrovo in me ancora oggi».

Anche il passato affiora, con Mozart, ne Le due Regine, la fiaba musicale che vedremo ed ascolteremo a Mantova. Si va alla ricerca del senso di stupefazione che coglie l’ascoltatore comune davanti a Mozart o si tratta di un rapporto per così

CORGHI: “MOZART MESSAGGERO D’AMORE PER LA VITA”

che le librerie dei musicisti si siano arricchite di ele-menti non strettamente connessi alla pura tecnica ed al sapere del comporre, se è vero che, come ricorda Carli Ballola, «opere di Kant, Goethe, Lessing, Moliè-re e Tasso furono trovate nella biblioteca di Mozart» e che l’ampiezza degli interessi culturali contraddistin-se molte altre personalità, da Jacopo Peri a Benedetto Marcello, da Monteverdi a Beethoven, per non parla-re di romantici come Schumann, Berlioz e Liszt e poi di Richard Strauss e di moltissime personalità del No-vecento e dei tempi nostri, sempre più poliedricamen-te istruite, sempre più coinvolte (e questo è un fatto positivo, ça va sans dire) nei grandi temi che attengono l’universale progresso civile. Con questo, signi!cando che il rapporto del singolo artista con la storia a lui precedente (oltre che contemporanea), si è caricato in misura crescente e persino prepotente in certi casi, di signi!cati non strettamente musicali, !nanche so-ciali e politici; dunque con!gurando sguardi destinati non tanto a manifestare sentimentalismi nostalgici di tipo emotivo, ma a stabilire consonanze intellettuali, chiarire vicinanze estetiche, restituire ri"essioni !l-trate in forma di nuove opere, abbeverate all’antico ma non per questo meno attuali.L’ammirazione di Mozart per Bach, espressa tanto chiaramente nelle sue lettere, fa comprendere meglio

la motivazione che regge le sue trascrizioni per archi di una scelta di “fughe”; probabile poi avere idee più chiare sull’origine delle Variazioni per violoncello e pia-noforte che Beethoven scrisse su tema di Haendel, nel momento in cui si prende nota del fatto che il maestro tedesco giunse a possedere, sul !nire della sua vita, tutta la produzione a stampa dell’illustre e ammirato predecessore. Per non parlare dell’in"uenza esercita-ta da Chopin su Rachmaninov e Ravel, o il favore di Debussy per Rameau (quando scriveva della «sottile eleganza che questa musica sempre mantiene senza cadere mai nella leziosità né in contorcimenti di am-bigua leggiadrìa»), emergente in quell’Hommage che conclude la prima serie delle Images pianistiche. Ma potremmo andare anche oltre: al Respighi che guarda all’Est e al Nord oltre che alle radici lontane e popola-ri della propria terra; o a Stravinskij, che in un cama-leontico agire trova una miriade di padri più e meno necessari. Musica come storia di !liazioni, dunque? Se il creare è un atto consapevole sul piano intellettuale ed ideale, oltre che emozionale, non c’è dubbio. La storia dell’arte musicale permea, anche in forme in-visibili, il nostro presente, sempre e ovunque. Talora rimane celata, ma spesso emerge da lontananze inim-maginabili per ricordarci una forza di cambiamento che, nelle giuste mani, si rivela intatta.

dire meccanico con il materiale sonoro?«Quello con Dario Moretti, cui si deve l’idea pittorica, è stato un incontro bellissimo, ed il lavoro che ne è scaturito ha colto un successo anche internazionale che non immaginavamo. La componente musicale ha trovato radice nella valorizzazione di quel fattore che usualmente si considera in coda agli altri, cioè il “timbro”, per me particolarmente importante in un titolo dedicato ai bambini. Mozart, che nella vicenda che si racconta è un folletto vestito di giallo, è colui che trova l’armonia, spegne i contrasti, conquista la pienezza musicale. Musica per tutto il corpo, messaggio di amore per la vita». (a.z.)

Corghi (foto Masotti)

IN COPERTINA

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con le sette noteRACCONTARE

Nel suo celebre trattato del 1854 sul “Bello Musicale”, Eduard Han-slick sostenne che nella musica il suono “è scopo a se stesso”: la mu-sica, quindi, non rimanderebbe a nient’altro che a sé, in quanto arte asemantica intraducibile nel linguaggio ordinario. L’afferma-zione di Hanslick, ponendosi dalla parte della musica “assolu-ta” (quella di Brahms, nello spe-cifico) e contro la musica a pro-gramma e il wagnerismo, tracciò un solco tanto profondo da ave-re ripercussioni su tutto il Nove-cento. L’esempio strettamente musicale che il viennese utilizzò per dare concretezza alla sua tesi fu, in verità, non così probante: riferendosi all’aria J’ai perdu mon Eurydice di Gluck, che corrisponde drammaturgicamente a un mo-mento di disperazione del perso-naggio di Orfeo, Hanslick sotto-linea come l’aria avrebbe potuto

adattarsi perfettamente anche a un testo di significato opposto quale J’ai trouvé mon Eurydice (in cui il protagonista ritrova la sua amata invece di perderla). La mu-sica, quindi, non racconterebbe nulla di preciso e soprattutto non sarebbe espressione di alcuno specifico sentimento. L’esempio di Hanslick non è probante per due motivi: innanzitutto perché l’espressione della malinconia settecentesca si caratterizza tal-volta con toni vagamente elegiaci in tonalità maggiore; in secondo luogo, perché spesso il momen-to dell’aria non è un momento rilevante dal punto di vista dram-maturgico. Naturalmente, ciò è valido anche per parte dell’Otto-cento: chi mai direbbe che l’ap-parentemente soave O rendetemi la speme, ne I Puritani di Bellini, sia la rappresentazione musicale della follia di Elvira? Questi sono,

però, casi speciali, la cui forza sta proprio nel capovolgere un cli-ché musicale e nel rinunciare a una “teoria degli affetti” univoca. In generale, si può dire che nella tradizione occidentale la musica, al contrario di ciò che afferma Hanslick, sia spesso espressione di sentimenti, descrizione o rac-conto. La musica non è solo par-nassianamente un riflesso di se stessa, ma spesso metafora o alle-goria di altro da sé: essa rimanda a qualcosa o racconta qualcosa, a patto che l’ascoltatore abbia i codici per decifrare il messaggio semantico che il compositore ha voluto mandare. Franz Schubert, nella Vienna della Restaurazione, affermava che con la musica egli poteva dire tutto ciò che la cen-sura gli impediva di dire a parole: non solo i suoi Lieder, ma anche la musica strumentale parlava agli amici come se si trattasse di un

di Luca Ciammarughi

Nella tradizione occidentale la musica è spesso espressione di sentimenti, descrizione o narrazione. Non semplice riflesso di se stessa, ma metafora o allegoria: essa rimanda a qualcosa o racconta qualcosa, a condizioneche l’ascoltatore abbia i codici per decifrare correttamente il messaggio

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Musorgskj fece di un sabba di streghe, qui dipinto da Goya, il tema del poema sinfonico La notte di S. Giovanni sul Monte Calvo

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C’è un’irrinunciabile e benefica tendenza nell’uomo a riportare a fatti e sentimenti della propria quotidianità l’apparente neutralità delmessaggio musicale

discorso. Di più: proprio perché la musica non significa apparen-temente niente, essa significa tut-to. In ogni uomo, all’ascolto della musica, subentra la tentazione di attribuire al discorso musicale un significato: e, poiché la dimensio-ne in cui la musica si muove è il Tempo, questo significato tende-rà a farsi racconto. Ciò vale non solo per la musica a programma, ma anche per quei brani stru-mentali in cui si stratifica una tradizione immaginifica inter-pretativa. Quando Alfred Cortot commenta il primo Improvviso di Chopin assimilandone l’inizio a un delicato frusciar di foglie, egli crea una scena arbitraria, eppure convincente. Se è vero, d’altra parte, che molti Poemi Sinfonici

ottocenteschi si pongono come proposito una sequenza di eventi (pensiamo a Una notte sul Monte Calvo di Mussorgskij, in cui si suc-cedono la riunione di streghe, il corteo di Satana, la messa nera e il sabba), non è automatico che in questa musica cosiddetta “a pro-gramma” la dimensione narrativa sia più evidente che in musica che nasce apparentemente come “as-soluta”. Il Poema dell’estasi di Scrja-bin, ad esempio, pur assumendo come programma l’esaltazione spiritualistica di una sorta di su-peruomo nietzscheano, è uno dei brani meno descrittivi nella storia della musica. E a volte proprio nei Poemi Sinfonici si nascondono ambiguità: un brano come Pacific 231 di Honegger, che quasi tutti

gli ascoltatori interpretano come resa musicale del frastuono di una locomotiva, fu descritto in realtà dallo stesso compositore come la “traduzione di un’impressione vi-siva”. Al contrario, quando Schu-bert cita il tema del viandante, con il suo estenuato passo dattili-co, in brani di musica non pura-mente descrittiva come l’ultima Sonata per pianoforte, la citazio-ne musicale delinea una situazio-ne abbastanza precisa: quella del girovagare di un personaggio alla ricerca di se stesso.Il filosofo Wittgenstein, cresciu-to negli ambienti della Vienna di Brahms, sosteneva che capire un tema musicale significa sem-plicemente capire quel tema: e non, invece, capire una qualche realtà esterna rappresentata dal tema musicale. In astratto, sia lui che Hanslick hanno pienamente ragione. In concreto, da Platone alla fine dei tempi, la visione “rap-presentativa” delle arti non mo-rirà mai: per quell’irrinunciabile e certo anche benefica tendenza dell’uomo a raccontare, e a ripor-tare a fatti e sentimenti della pro-pria quotidianità l’apparente neu-tralità del messaggio musicale.

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Antica edizione a stampa del lied Erlkonig di Schubert

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I CONCERTI

NOTE DA BRIVIDI

Foto

Gab

riele

Sabb

adin

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di Anna Barina

Originale senza mai eccedere, moderno senza rinnegare un profondo le-game con la più rigorosa tradizione, capace di unire passione e stile ad una tecnica straordinaria. È Alexander Lonquich, una delle !gure più sor-prendenti dell’attuale scena pianistica internazionale, un artista con cui l’Orchestra da camera di Mantova ha avuto e continua ad avere una col-laborazione artistica e affettiva molto stretta. Nato a Trier, in Germania, Lonquich ha trovato in Italia la sua seconda patria dopo aver vinto nel 1977 il Primo Premio al Concorso Casagrande dedicato a Schubert. Il suo primo concerto a Tempo d’Orchestra risale al 17 marzo del 1984, quando al Teatro Bibiena chiuse la prima edizione della rassegna. Ma il rapporto con l’Ocm era iniziato già qualche anno prima: «Suonammo insieme nel 1986 diretti da Umberto Benedetti Michelangeli in occasione dell’Estate Musicale del Garda», ricorda.Una collaborazione, la sua con Tempo d’Orchestra, lunga vent’anni. Come è nato e come si è sviluppato il rapporto con l’Orchestra da Camera di Mantova?«Sin dal nostro primo incontro fui colpito ed entusiasta della duttilità, dell’artigianato unito a poesia che ho riscontrato in questo gruppo. Nac-que così un’immediata amicizia. Quando poi iniziai a fare concerti senza direttore – credo molto, infatti, che certi autori come Mozart e Beethoven funzionino meglio in questa formula che ricalca il modo in cui si suonava-no all’epoca – sono nate nuove occasioni di collaborare con L’Ocm. Negli anni ho visto quest’orchestra trasformarsi e crescere facendo una profonda ricerca sulla !lologia interpretativa: pur non suonando su strumenti origi-nali abbiamo trovato insieme un approccio sempre più vicino alla prassi dell’epoca».Lei ha lavorato con molte altre orchestre da camera in tutta Europa, cosa trova di particolare nell’Ocm e in quale misura il suo modo di suonare ne è in"uenzato?«De!nirei la singolarità dell’Ocm come un certo carattere che viene sen-za dubbio dal suo fondatore, il violinista Carlo Fabiano. C’è un’alchimia

Il pianista tedesco che in Italia ha trovato la sua seconda casa racconta il legame musicale e affettivo con l’Orchestra da Camera di Mantova e con la sua stagione concertistica “Tempo d’Orchestra” tra ricordi e progetti futuri

I CONCERTI

LONQUICH alchimia ventennale

Alexander Lonquich in concerto con l’Ocm

Il sodalizio a Vienna (Konzerthaus), Graz (Musikverein), Mantova (Sociale)

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particolare in quest’orchestra, una gran trasparenza e uno scatto ritmico molto belli che creano un suono diverso e distinguibile da quello di altri ensemble, pur eccellenti, con cui ho lavorato. Inoltre l’Ocm ha qualco-sa che trovo dif!cilmente in altri gruppi, un’armonia tra i musicisti che permette di lavorare in un clima di serenità e allegria. Ovvio che anche la mia maniera di suonare il pianoforte si mette in relazione con queste caratteristiche. Un concerto di Mozart, ad esempio, è diverso eseguito con altri gruppi che pur si muovono nel solco della !lologia. Nella tradizione mitteleuropea, penso all’Austria, le orchestre tendono a fare staccati più morbidi e hanno una sonorità più densa, che non sono caratteristiche dell’Ocm». È importante avere un’orchestra con cui sviluppare progetti continuativi?«Assolutamente sì, e anche nel repertorio non solistico ho una pro-fonda sintonia con l’Ocm. L’autorevolezza del lavoro ha permesso di realizzare una ricerca approfondita e trovare un linguaggio comune. Penso ad esempio all’integrale dei concerti per pianoforte e orchestra di Mozart che abbiamo realizzato in tre anni dal 2004 al 2007, o a quello di Beethoven nel 2010 e Chopin nel 2011».

Uniti nell’arte e nella vita. È il caso di Alexander Lonquich e della moglie, la pianista Cristina Barbuti, che il 22 gennaio saliranno sul palco del Teatro Auditorium di Poggio Rusco per l’ottavo appuntamento della XX stagione di Tempo d’Orchestra. «Ma la nostra intesa personale è nata molto prima del nostro sodalizio artistico», tiene a precisare lui, «Direi anzi che, proprio condividendo la quotidianità, abbiamo scoperto di essere musicalmente molto vicini». Se l’amore è nato nel 1991, la scintilla artistica è scoccata nel 1999 grazie alla comune passione per il teatro, prendendo forma definitiva dall’estate del 2003. Il loro repertorio contempla esecuzioni sia a quattro mani che a due pianoforti: partendo dalla letteratura classica e francese, spaziano fino alla Sonata di Bartók per due pianoforti e percussioni ed eseguono anche opere meno frequentate come la Sinfonia concertante per due pianoforti e orchestra d’archi di Dinu Lipatti. Insieme portano avanti anche progetti di ricerca scenica e musicale che affianca alle performance un’intensa attività di laboratori e di incontri teatrali e musicali. Ricordiamo che proprio in occasione dell’edizione 2007 del Festivaletteratura di Mantova, il duo ha ideato con l’Orchestra da Camera di Mantova e l’attore Sandro Lombardi una serie di tre concerti dedicati al “sentimento di infanzia” dal titolo L’infanzia di Saturno. (a.b.)

I CONCERTI

QUATTRO MANI, DUE PIANOFORTI, UN CUORE

Lonquich con i musicisti dell’Ocm in un momento di relax durante un recente tour in Austria

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Il programma del primo concerto che la vede protagonista in questa XX stagione di Tempo d’Orchestra (il 22 gennaio al Teatro-auditorium di Poggio Rusco con i solisti dell’Ocm e Cristina Barbuti al pianoforte) presenta 5 autori apparentemente lontani sia geogra!camente sia stili-sticamente. Quale è il !lo conduttore?«A parte La valse di Ravel, tutti gli altri brani richiedono degli organici particolari che dif!cilmente si riescono ad avere in un unico concerto con un gruppo da camera. L’idea di partenza per festeggiare il venten-nale di Tempo d’Orchestra è stata proprio questa: realizzare un program-ma con le prime parti dell’Ocm e testare quanto è variopinto il mondo della musica da camera».La sua frequentazione con l’Italia è stata ed è molto assidua. Questo ha un’in"uenza sulla sua sensibilità di artista?«Non mi sento un musicista di formazione italiana ma di certo il vostro paese ha allargato i miei orizzonti. E poi uno dei miei compositori pre-feriti è proprio Claudio Monteverdi». Il suo pro!lo Facebook ha oltre 1000 amici. Crede che comunicare at-traverso i social network possa diventare uno strumento nuovo e utile per dialogare con il proprio pubblico? «In realtà utilizzo Facebook solo da qualche mese e mi diverto più che al-tro a condividere le mie preferenze sull’arte e l’estetica. Le persone con cui si può parlare “virtualmente” dei propri interessi non sono poi così tante: tra esse ci sono certamente dei miei ascoltatori ma molti vivono dall’altra parte del mondo e non sono mai stati ad un mio concerto».

I Solisti dell’Ocm sono prime parti dell’Orchestra da Camera di Mantova, musicisti che partecipi del progetto orchestrale, ne condividendone il modo di fare musica, l’assidua ricerca della qualità sonora, la sensibilità ai problemi stilistici. Nell’occasione, a Poggio Rusco, martedì 22 gennaio, l’ensemble cameristico sarà costituito da Filippo Lama e Pierantonio Cazzulani, violini, Klaus Manfrini, viola, Stefano Guarino e Paolo Perucchetti, violoncello, Massimiliano Rizzoli, contrabbasso, Murizio Saletti, flauto, Anton Dressler, clarinetto, Francesco Bossone, fagotto, Marco Braito, tromba, e Ugo Favaro, corno. Insieme con Alexander Lonquich, i Solisti Ocm hanno già realizzato progetti particolarmente apprezzati da pubblico e critica: tra questi, nel 2006, una serata della tre giorni di Festa Mozart realizzata, nell’ambito di Tempo d’Orchestra, in occasione dei 250 anni della nascita del salisburghese e, nel 2007, al Festivaletteratura, nel contesto di un progetto a cavallo tra musica e letteratura che, intitolato L’infanzia di Saturno, ha visto tra i protagonisti anche l’attore Sandro Lombardi. (v.p.)

I SOLISTI OCM ENSEMBLE CAMERISTICO DI PRIME PARTI

Il 22 gennaio Lonquich, Barbuti e i Solisti dell’Ocm

offrono un excursus variopinto nella musica

da camera

Sin dal primo incontro con l’Ocm

fui colpito ed entusiasta della duttilità,

dell’artigianato unito a poesia

che caratterizzano questa orchestra

I CONCERTI

Festivaletteratura 2007: Lonquich con i Solisti Ocm in L’infanzia di Saturno

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La pima serata del 2013 di Tempo d’Orchestra al Teatro Sociale di Mantova (giovedì 24 gennaio, ore 20.45) racchiude in sè moltiplici motivi d’interesse. Primo: riporta in città un giovane pianista italiano tra i più interessanti della sua generazione. Si tratta di quel Giuseppe Albanese, che, nel 2011, strappò entusia-stici consensi, quando all’Auditorium di Suzzara, con l’orchestra I pomeriggi musicali, interpretò il Concerto n.5 in sol maggiore op. 55 di Prokof’ev. «Nulla è precluso ad Albanese: memoria infallibile, domi-nio intellettuale, acrobazia e velocità, forza e pre-cisione sono le sue armi migliori» leggemmo sulla Gazzetta di Mantova a proposito della performance. «Tecnica virtuosistica ragguardevole… Giustamen-te acclamato dal pubblico», confermò la Cronaca di Mantova, qualche giorno più tardi. Personalità po-liedrica, Albanese non è solo un grande musicista. Ce lo racconta, in sintesi estrema, il suo curriculum: Premio Venezia 1997 all’unanimità e Premio Ven-dome 2003, Premio speciale “per la migliore esecu-zione dell’opera contemporanea” al prestigioso concorso internazio-nale Busoni, diplomato in pianoforte a 17 anni con lode e menzione d’onore, a 23 anni consegue il Master all’Accademia di Imola e, dopo la maturità classica a pieni voti, si laurea in Filoso!a con lode e di-gnità di stampa con tesi sull’Estetica di Liszt nelle Années de Pèlerinage, tanto che a soli 25 anni è docente universitario di Metodologia della comunicazione musicale. Giovedì 24 gennaio al Sociale di Mantova tornerà a dar prova del proprio talento interpretativo nel Concerto per pianoforte e orchestra di !ati (con contrabbassi e timpani come presenza d’eccezione a confermare la regola) di Stravinskij. L’orchestra, e qui veniamo ad un altro dei motivi d’interesse della se-rata, sarà la Haydn di Bolzano e Trento, che torna a Tempo d’Orchestra dopo oltre un decennio d’assenza. Ottima compagine, costituitasi nel 1960 per iniziativa delle Province e dei Comuni di Trento e Bolzano, la Haydn è ospite dei principali sodalizi concertistici italiani ed ha preso parte ai principali festival, esibendosi oltre con!ne in Europa, negli Usa e in Giappone. Nel corso di oltre cinquant’anni di attività l’Orchestra si è fatta interprete di un ampio catalogo di opere che ha

di Valentina Pavesi

StravinskijsecondoALBANESEIl giovane pianista torna a Mantova dopo il successo di un paio di stagioni fa. L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta dall’americano Georges Pehlivanian completa il cast della prima serata sinfonica del nuovo anno

Giuseppe Albanese. Sopra a sinistra, George Pehlivanian

I CONCERTI

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S’ode ancora il mareGià da più notti s’ode ancora il mare, lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce. Eco d’una voce chiusa nella mente che risale dal tempo; ed anche questolamento assiduo di gabbiani: forse d’uccelli delle torri, che l’aprile sospinge verso la pianura. Già m’eri vicina tu con quella voce; ed io vorrei che pure a te venisse,ora, di me un’eco di memoria, come quel buio murmure di mare.

(Salvatore Quasimodo)

ANTONIO CASAGRANDE FIRMA UN PEZZO IN FORMA DI MEMORIA

«Il testo, una poesia della prima produ-zione di Quasimodo, è in relazione al mio pezzo S’ode ancora più per gli aspetti che riguardano la memoria – più profon-damente musicali - che per la drammatur-gia», spiega Antonio Casagrande. La poe-sia, prosegue, «è, a mio avviso, non solo una descrizione di un ricordo, ma, in un aspetto più profondo, una simulazione, resa con un acutissimo uso delle parole (...), del comportamento della mente ri-spetto al ricordo di un evento. Sapendo, come dimostrano gli studi sulla memoria, che ogni ricordo viene piegato dalla men-te, modificato, a seconda del soggetto che lo racconta, si giunge alla conclusio-ne che la poesia - e la musica - possa mo-strare quest’aspetto di mutazione continua del ricordo in funzione della coscienza. Si può dire che questa poesia mi abbia sve-lato quest’aspetto della mente, non solo del poeta, ma più propriamente dell’esse-re umano ed io abbia voluto realizzare in musica un pezzo... in forma di memoria».

spaziato in tutti i generi musicali, dal barocco !no ai compositori contemporanei. E conterranei, diremo, visto che la produzione con cui approda a Mantova af!anca al Concerto di Stravinskij (mai ascoltato a Tempo d’Orchestra) e alla Carmen-Suite, elaborata da Rodion Schtschedrin, e tratta dal celeber-rimo capolavoro operistico di Bizet, S’ode ancora pezzo sinfonico da una poesia di Salvatore Quasimodo per orchestra da camera, un’opera commissionata dalla Haydn stessa a un giovanissimo musicista trentino, An-tonio Casagrande. I più attenti e !sionomisti tra i fede-lissimi di Tempo d’Orchestra lo riconosceranno come uno dei membri più giovani dell’Orchestra da Camera di Mantova. Sì, perchè Antonio Casagrande, classe 1986, è diplomato in composizione con il maestro Armando Franceschini, ma anche in contrabbasso sotto la guida del maestro Massimiliano Rizzoli (storica prima parte dell’Ocm, ndr). Tra i docenti con cui ha proseguito gli studi di composizione troviamo un altro musicista il cui nome ricorre insistentemente tra le pagine di questa rivista, Azio Corghi. Premiato al Concorso “Pietro Mandanici” di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) nel 2008, nel 2010 ha vinto il primo premio al Concorso “Antonio Manoni” di Senigallia e ora eccolo a ispirarsi a Salvatore Quasimodo, come spiega nel pezzo qui a lato, raccontando del suo S’ode ancora. A dirigere Orchestra e solista - quarto (non in ordine di merito) tra i motivi caratterizzanti la serata - sarà l’americano George Pehlivanian, che si è imposto all’attenzione internazionale vincendo a 27 anni, primo americano di sempre, il Concorso internazionale per direttori d’orchestra di Besançon. Da allora ha consolidato la sua fama di diret-tore tra i più coinvolgenti della sua generazione. Di origini armene, George Pehlivanian è nato a Beirut (Libano) e ha cominciato a stu-diare il pianoforte a tre anni e il violino a sei. Nel 1975 è emigrato con la sua famiglia a Los Angeles, dove ha studia-to direzione d’orchestra con Boulez, Maazel e Leitner. Un curriculum caratterizzato da uno sterminato elenco di collaborazioni con quotate orchestre e grandi solisti, testimonianza di una personalità di spicco, oggi Georges Pehlivanian è direttore principale ospite del Teatro liri-co di Cagliari.

I CONCERTI

Antonio Casagrande

L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento

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Aspettando il bel proget-to di Alessandro Carbona-re costruito intorno a for-ti suggestioni jazzistiche, potrebbe essere utile domandarsi se e quanto la musi-ca afro-americana possa ancora contribuire alla futura evoluzione del linguaggio colto. Che nel corso dell’in-tera vicenda del jazz sia avvenuto il contrario è cosa evi-dente: già i pianisti di ragtime mutuavano dall’Euro-pa la struttura delle loro composizioni, innervando le suggestioni armonico-melodiche rubate alla tradizione colta ottocentesca con la stupefacente concezione po-liritmica africana e caraibica. Lo stesso hanno fatto i primi autori degli anni Venti con Impressionismo ed Espressionismo, !no ad arrivare all’inclusione dell’ato-nalità a partire dagli ultimi anni Cinquanta di Cecil Taylor e Ornette Coleman. Ma, a parte alcuni tributi dichiarati di Debussy o Stravinskji, si è sempre dato per scontato che l’universo colto abbia trattato il jazz come un’esotica curiosità dai profumi troppo intensi per es-sere sopportati a lungo, più che come un patrimonio di esperienze a cui attingere. In realtà non è del tutto vero, o almeno non lo è più a partire dal secondo dopo-guerra, quando l’asse più creativo delle arti occidentali

SULLE ALI del jazz

di Giorgio Signoretti

Alessandro Carbonare

Può la musica afro-americana contribuire ancora all’evoluzione del linguaggio colto? Interrogativi, spunti e riflessioni in attesa del progetto firmato dal trio Carbonare-De Palma-Braconi

Grandi minimalisti - da John Cage a Terry Riley, Steve Reich e La MonteYoung - non si ponevano affatto il problema di prendere o non prendere spunto da altri generi

I CONCERTI

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a cura di Andrea ZaniboniNOTE ALL’ASCOLTO

INSE

RTO

EST

RAIB

ILE

Conosciuta ed eseguita in particola-re nella versione per duo pianistico, questa composizione venne concepita poco dopo la grande stagione dei quar-tetti per archi, del Quartetto e del Quin-tetto con pianoforte, e cioè all’inizio del 1843, sull’arco di una decina di giorni, per una formazione che comprendeva, oltre le due tastiere, anche due violon-celli e corno. Stranamente non fu que-sta la prima partitura ad essere pubbli-cata; anzi, la stampa si fece attendere !no al 1893, trascorso circa mezzo se-colo dopo l’apparizione di quella per due pianoforti, che venne preferita. L’Andante iniziale possiede un tono raccolto e amoroso, lievemente strug-gente, ed offre spunto per nove varia-zioni che con il procedere del lavoro assumono tinte più intense o lievi, in una viva sequenza di episodi che non tradiscono lo spunto originario, e dove le tastiere mantengono preminenza di ruolo lasciando ai due archi ed al corno compiti quasi ovunque comple-mentari, !no alla conclusione che ri-afferma l’intensa atmosfera iniziale. Le differenze fra le due versioni dell’opera sono poche, e quella per due pianoforti – che viene privata della brevissima introduzione, di una variazione e di un curioso interludio collocato fra la quinta e la sesta varia-zione che cita l’incipit del ciclo liede-ristico Fraunliebe und Leben – risulta lie-vemente più breve. Sebbene la stesura per quintetto sia di rara esecuzione in quanto estranea a qualunque tradizione cameristica, l’ascolto ne risulta assai suggestivo, pervaso da un lirismo che affonda le radici nella spiritualità romantica di cui Schumann fu l’inteprete più ge-niale e rivelatore.

Brevi e raramente eseguiti, i Drei Stücke für 5 Instrumente rappresentano una

prova marginale nel catalogo di Hin-demith, ma risultano interessanti per la singolarità dell’organico che uni-sce due archi (violino e contrabbasso) e due !ati (clarinetto in si bemolle e tromba in do) al pianoforte, nonché per la comunicativa chiarezza del det-tato che viene informato da elementi neoclassici e popolari. I Tre pezzi, altri-menti intitolati Drei Anekdoten für Ra-dio (Tre aneddoti per la radio) svelano proprio in tal maniera la destinazio-ne di queste pagine: quella di entrare nelle case di ogni ascoltatore possibile con l’aspetto dell’intelligente intratte-nimento. In questo senso la vocazione didattica di Hindemith si conferma. Se gli esordi di Hindemith si con!-gurano con un linguaggio di rottura, queste brevi pagine scritte nel 1925 e presentate il 18 febbraio del 1926 a Francoforte (la prima e la terza dura-no meno di tre minuti, mentre quella centrale appare come la più sviluppa-ta) individuano invece uno stile com-promesso con il genere di consumo, pur adottando elementi colti sul pia-no formale ed organizzativo (imitati-vo) dei materiali.

«L’ordine, la trasparenza, la misu-ra, il gusto ed una espressione esatta e chiara dei sentimenti, tutte qualità che sono le caratteristiche dell’arte francese che ho sempre ammirato». Così diceva il boemo Bohuslav Marti-nu (1890-1959), uno tra i più rilevanti compositori cechi, motivando in qual-che modo l’attrazione per la Francia ed i suoi musicisti, un’attrazione posta in essere con i suoi anni di studio pari-gini, dal 1923 in poi, prima nella clas-se di Albert Roussel (il maestro anche di Satie e Varèse) e poi abbeverandosi alle esperienze dei modernisti più in vista, da Stravinskij al Gruppo dei Sei.La Revue de Cuisine è un lavoro che

si colloca nella seconda metà degli anni Venti, a ridosso degli studi con Roussel, risentendo con evidenza del-la corrente neoclassica allora in atto, interpretata con distacco ironico e spi-rito divertito.La sua stesura originale fu ampia e consistette in un balletto in dieci mo-vimenti, intitolato Le tentazioni del Santo Vaso, dato in prima esecuzione alla !ne del 1927. Tre anni più tardi giunse la breve suite dotata di nuovo titolo, dall’equilibrio più strettamente musicale,e più sfumatamene allusiva nei confronti di una fantasiosa, irre-ale vicenda nella quale i protagonisti sono gli utensili da cucina, dal Coper-chio alla Frusta, dallo Stro!naccio alla Scopa. I titoli dei quattro movimenti evidenziano l’apertura alle espressioni del ballo d’importazione (in quel mo-mento storico, favorite da un grande successo popolare), dominate però da un gioioso, elegante e colto proce-dere che, presente ovunque, disegna un’opera godibilissima, di ancor fre-sca ricercatezza.

Martedì 22 gennaio 2013 Poggio Rusco, Teatro-Auditorium | ore 20.45

R Schumann, Andante e variazioni op. 46P. Hindemith, Tre Pezzi per pianoforte, clarinetto, tromba, violino e contrabbassoM. Ravel, La valse per due pianofortiB.Martinu, La Revue de Cuisine H 161C. Saint-Saëns, Il carnevale degli animali

Alexander LonquichCristina Barbuti, pianoforteSolisti dell’Ocm

Hindemith

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NOTE ALL’ASCOLTO

Otto anni dopo aver presentato La Valse ai Concerts Lamoureux di Pari-gi nella sua veste esclusivamente stru-mentale (era l’8 gennaio 1920) Ravel ebbe a spiegare le sue autentiche in-tenzioni nell’ Esquisse autobiographique dettata al musicologo Roland-Manuel. In questa lunga memoria, che sarebbe stata pubblicata dalla Revue Musicale soltanto dopo la sua morte, nel 1938, egli chiariva di aver «concepito questo lavoro come una sorta di apoteosi del valzer viennese, al quale si mescola, nella mia immaginazione, l’impres-sione di un turbine fantastico e fata-le. Pongo questo valzer nella cornice di una Corte imperiale, verso il 1855». La partitura, che, evocando così il val-zer straussiano disegna un’apoteosi che potremmo dire tragica, s’iscrive, con il suo fascino torbido e inquieto, e come del resto Daphnis et Chloé, tra le opere per le quali la danza non è tanto il !ne, quanto l’idea generatri-ce, portante, «l’elemento struttura-le aderente alla propria concezione dell’orchestra, antiromantico ma an-che antimpressionista» (C. Casini). La Valse fu commissionata nel 1919 da Djagilev per i propri “Ballets Russes” ma venne, con grande di-sappunto del compositore, ritenu-ta inadatta ad un utilizzo ballettisti-co. Soltanto nel 1929 giunse a ser-vire la scena per iniziativa della ce-lebre Ida Rubinstein (1885-1960) e della sua eccellente compagnia. La maestria di Ravel orchestratore, unita ad una singolare dinamicità nel trattamento del materiale, restituisce immagini sfocate, memorie impre-cise, in una fragilità misteriosa e tor-mentata; fra luci accecanti ed un sen-so di !nitudine che la spettacolarità della scrittura non occulta ma che, anzi, esalta per violento contrasto di caratteri. La versione per due piano-

forti (presentata a Vienna nell’otto-bre del 1920 dallo stesso autore e da Alfredo Casella) precede quella de!-nitiva per orchestra e segue la primi-tiva per pianoforte solo, secondo un procedere di progressiva elaborazio-ne delle idee.

Spirito antiaccademico ed aspetto da intrattenimento di lusso contraddi-stinguono una delle più celebri parti-ture del parigino Saint-Saëns, Le Car-naval des animaux, “divertissement” per uso domestico steso con linguag-gio raf!nato ma facilmente compren-sibile, oggi trasformato in una sorta di etichetta indelebile del suo autore. Negato alla pubblicazione !nché il compositore fu in vita, Il Carnevale de-gli animali, per precisa disposizione testamentaria, poté venire universal-mente conosciuto soltanto dopo la morte di Saint-Saëns. Scomparso lui il 16 dicembre 1921, la popolarità del Carnaval non conobbe più ostacoli, avviata dalla prima esecuzione pub-blica avvenuta il 24 gennaio del 1922. Precedentemente, la conoscenza di questa “Grande fantasia zoologica” (così recita il sottotitolo) compiuta nel 1886, fu riservata a pochi e mantenne, per gelosia e pudore dell’autore, il ca-rattere del pezzo d’occasione, dell’in-trattenimento ad uso semiprivato. Il la-voro nacque infatti, come evento musi-cale, la sera del martedì grasso di quel 1886 nell’abitazione del violoncellista Charles Lebouc, in un’atmosfera che non è dif!cile immaginare come la più lontana dai formalismi concertistici. La disinvoltura e l’originale leggerez-za della partitura non passarono inos-servate; persino Franz Liszt se ne in-teressò, assistendo ad una nuova ese-cuzione privata poche settimane dopo nella casa di Pauline Viardot. Qua-le che fu l’opinione dell’ungherese,

l’opinione di Saint-Saëns non ne do-vette comunque subire in"uenza, se il lavoro per quasi quarant’anni rimase negato al pubblico comune. In effetti qui ci troviamo dinanzi ad un’opera strumentale, singolarissima per sva-riati aspetti, che usa magistralmente il linguaggio descrittivo e parodistico aggredendo sarcasticamente anche l’ambiente musicale e che gioca abil-mente la carta dell’equivoco, propria di ogni mascheramento. Tutto poi si realizza attraverso una sapienza di scrittura straordinaria con la quale la ricercatezza si sposa alla chiarezza descrittiva, esplicitata anche dai tito-li dei dodici pezzi che si susseguono. Concepito originalmente per 11 stru-menti, Il Carnevale degli animali è una carrellata di “vignette” che scaturisce dall’umanizzazione della fauna e dal-la critica divertita e corrosiva dell’am-biente musicale, accompagnate da una deformazione grottesca dei numerosi prestiti d’autore: Orphée aux Enfers di Offenbach (n.4), Ballet des Sylphes di Berlioz (n.5), Sogno di una notte di mez-za estate di Mendelssohn (n.5), Aria di Rosina dal Barbiere di Siviglia di Rossini (n.12). Non è in!ne negata nemmeno l’autocitazione con un accenno alla Danse macabre (n.12).

Ravel

Saint Saens

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NOTE ALL’ASCOLTO

Giovedì 24 gennaio 2013Mantova, Teatro Sociale | ore 20,45

A. Casagrande, S’ode ancora I. Stravinskij, Concerto per pianoforte e orchestra di !atiG. Bizet/R. Schedrin, Carmen. Suite

Orchestra Haydn di Bolzano e TrentoGiuseppe Albanese, pianoforteGeorge Pehlivanian, direttore

Carmen, celeberrimo capolavoro intoc-cabile della lirica ottocentesca (fu pre-sentata a Parigi nel 1875 ma, come spes-so accade ai lavori di grandissimo pre-gio, non ottenne un successo privo di ri-serve e critiche più e meno severe), vide nascere due suites strumentali già l’in-domani della morte di Bizet per mano dell’amico Ernest Guiraud – autore an-che della seconda suite da L’Arlésienne – trovando, nel tempo, vivo gradimento ed una lunga sequenza di esecuzioni !r-mate da interpreti di prima grandezza. Libretto ed atmosfera si prestarono an-che a successive rivisitazioni di varia na-tura, ed un capitolo consistente spetta a quelle ballettistiche, che dalla secon-da metà del secolo scorso in poi hanno contato almeno una decina di prove a !rma di musicisti e coreogra! diversi. Rodion Scedrin, classe 1932, composi-tore moscovita di notevole fama (la sua vasta produzione, avviatasi negli anni Cinquanta, è stata presentata da musici-sti come Maazel, Ozawa, Rostropovich, Maisky, Menuhin, Bernstein, Gergiev) ha realizzato Carmen-Suite, balletto in un atto su coreogra!a del cubano Alberto Alonso, nel corso del 1967, su incitazio-ne di Maja Plissetskaja, danzatrice fra le più ammirate nel mondo - oltre che pro-pria consorte - lavorando su una trama modi!cata rispetto all’originale e realiz-zando una serie di 13 numeri strumenta-li liberamente ricavati dalla partitura di Bizet. L’aspetto più evidente risiede nel-la strumentazione, dato che il lavoro di Scedrin non abbisogna di un complesso sinfonico, ma di un’orchestra d’archi af-!ancata da quattro percussionisti: l’esito evoca chiaramente la creazione del ma-estro francese, ma al tempo stesso se ne discosta con umori, caratteri, sonorità che aprono un mondo nuovo, moderno e diversamente rivelatore, in linea con una rappresentazione scenica che non rimase esente da qualche severa con-

testazione da parte degli organi gover-nativi per causa di un soggetto ritenuto sconveniente. Insomma più ri-creazio-ne che trascrizione, il che obbedisce, in !n dei conti, allo spirito di un maestro che si è distinto per la sua produttivi-tà di alto pro!lo nel Novecento russo. La prima esecuzione ebbe luogo 20 aprile del 1967 con l’Orchestra del te-atro Bolshoi diretta da Gennady Rozh-destvenskij.

Il Concerto per pianoforte e strumenti a !a-to illustra come è noto la vena neoclas-sica di Stravinskij, ma certamente non ne esaurisce la estrema ricchezza di mo-dalità espressive; modalità che esplica-no una mentalità antiaccademica, priva di riferimenti obbligati e soprattutto li-bera dal pericoloso senso di rispettosa ricostruzione di un mondo antico. Ha scritto bene Roman Vlad che «in Stra-vinskij, la messa in gioco degli elemen-ti formali preformati (accordi, nessi ar-monici, spunti melodici) avviene il più delle volte, in maniera così nuova, così originale, che non ci sembra il caso di considerare le sue composizioni neo-classiche come altrettanti “ritorni” a Bach, Mozart o Weber». A maggior ra-gione nel considerare la !sionomia del Concerto, che non attinge a materiali preesistenti riconoscibili, sebbene for-se si possa intravvedere l’ombra, assai deforme, di un accenno all’età pre-ba-chiana. Presentato a Parigi il 22 mag-gio del 1924 sotto la direzione di Sergej Kussewizkij, e con l’autore al pianoforte che in quella occasione esordiva come solista, questo Concerto che utilizza ol-tre ad un gruppo di !ati anche timpa-ni e contrabbassi, crea il clima timbrico ideale af!nché lo strumento a tastiera manifesti tutta la sua indole percussiva, dettagliatamente incisa in fraseggi for-temente e fantasiosamente ritmati non-ché in complessità di linee sovrapposte.

I tre movimenti di cui si compone il la-voro, reinterpretano architetture for-mali note con disinvolta libertà: se il pri-mo presenta un enigmatico “Allegro” tripartito incorniciato da un “Largo” introduttivo dalla tinta oscura che ritor-na a contrappeso anche a conclusione, il secondo è una tradizionale pagina tri-partita con l’elemento alternativo posto in zona centrale; il !nale invece gioca con la forma di rondò inserendo spun-ti di contrappunto imitativo che si spie-gano in vena giocosa e beffarda !no a far emergere un carattere per!no irri-dente, che solo poco prima della chiu-sura è sospeso nel ritorno del lontano “Largo” introduttivo. Ombre rischiara-te dal fulminante, luminoso epilogo. Il Concerto, come detto, si lega all’esor-dio di Igor Stravinskij nel ruolo di pia-nista solista, esordio assai sofferto e che tale si manifestò, come lui stesso raccon-tò, in una inopportuna amnesia all’ini-zio del secondo movimento, risolta con l’aiuto del direttore. Un altro aneddo-to riguarda invece lo smarrimento della prima versione scritta di quella stessa se-zione: «Non so !no a che punto il mo-vimento pubblicato differisca da quello che si era perduto - affermò il compo-sitore accorgendosi di non ricordare la prima versione - ma sono sicuro che sono molto diversi l’uno dall’altro».

S’ode ancora di Antonio Casagrande riportata a pagina 19.

Gennady Rozhdestvensky

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NOTE ALL’ASCOLTO

Sabato 9 febbraio Gonzaga, Teatro Comunale | ore 20,45

Musiche di Musiche di C. Parker, L. Bernstein, J. Pastorius, P. Salvia, C. Boccadoro, M. Garson, C. Corea, M. Gould, P. D’Rivera, F. Bennett

Alessandro CarbonareFrancesco de Palma, contrabbassoMonaldo Braconi, pianoforte

Il programma nel dettaglio

C. Parker, Yardbird SuiteL. Bernstein, Sonata per clarinetto e pianoforteJ. Pastorius, A TributeP. Salvia, Camille’s Waltz - Brahmsileira (su temi di Saint-Saëns e Brahms)C. Boccadoro, Elegia in memoriam Miles DavisM. Garson, Variazioni Jazz su un tema di PaganiniC. Corea, Addendum – Songs SuiteM. Gould, Benny’s GigP. D’Rivera, Mini suite venezuelanaF. Bennett, Gershwin!!!

Il programma spazia attraverso tutta quella musica che sta a cavallo tra la musica scritta e quella improvvisata.Non è un concerto jazz nel senso pro-prio del termine ma molte delle note eseguite verranno completamente im-provvisate dagli esecutori. Si comincia con un omaggio a Char-lie Parker che poi altro non è che una serie di variazioni scritte e improvvisa-te sul famoso tema My little suede shoes per poi passare al tango di Astor Piaz-zolla sottolineando l’evoluzione di questo stile musicale anche nella sua “versione contemporanea” nell’esecu-zione di Tango Escondido di Anton Giu-lio Priolo, giovane compositore che da sempre si occupa di tango contempo-raneo Leonard Bernstein non ha biso-gno di presentazioni e la sua Sonata per clarinetto e pianoforte è una “chicca” di rara esecuzione. Scherzosamente arriva il momento “blasfemo” delle metamorfosi jazz di due temi di Johannes Brahms e Camil-le de Saints Saëns. Chick Corea è un jazzista che si è spes-so spinto nella scrittura classica, in questo omaggio prendiamo spunto dal suo trio per archi Addendum e dal-

le Childrens Songs per spaziare attraver-so improvvisazione e classicismo. Non poteva mancare la musica di G. Gerswin, in questa fantasia si rende omaggio al grande compositore ame-ricano attraverso suoi temi o musiche ad esso ispirate. Il clarinetto è uno degli strumen-ti principali della musica popolare ebraica detta “Klezmer”, con un bra-no ispirato al suo piu’ grande esecuto-re: Gioira Fedman, prende !ne il pro-gramma.

Corea

Bernstein

Parker

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ha cominciato a virare verso gli Stati Uniti d’America. I grandi minimalisti delle due coste, da John Cage a Ter-ry Riley, Steve Reich e La Monte Young, non si pone-vano affatto il problema di prendere o non prendere spunto dal grande !ume del jazz, allora decisamente in piena. Il jazz costituiva parte della lingua madre al suo-no della quale il loro orecchio musicale si era formato. Il modo "essibile di intendere il ritmo, la vocalizzazio-ne estrema dell’intenzione timbrica, l’improvvisazione come necessità e come opportunità, la stessa gerarchia compositore-esecutore: tutto veniva inteso con natura-lezza sotto un’altra prospettiva. Non si trattava di de-licati processi di negoziazione, ma di un abbandonar-si !siologico a materiali familiari o, come nel caso di Reich, ad un continuum dal sapore “ferroviario”, con-cetto così ben noto al mondo del jazz. Ma pare che il Novecento colto, europeo od americano che sia, fati-chi ancora ad essere adeguatamente rappresentato nel-le programmazioni liriche, sinfoniche e cameristiche. È buona cosa, dunque, aprire spazi come quello af!dato a Carbonare, a progetti che si pongano creativamente il problema di rovistare tra materiali e metodologie del-la musica afro-americana. Sarà magni!co poter vedere nei luoghi, come Mantova, dove i Conservatori hanno istituito corsi di jazz, maestri e allievi dei “due mondi” collaborare e scambiarsi esperienze. Molti tra i bravissi-mi docenti dei dipartimenti di musica afro-americana vengono proprio dai Conservatori e sempre più docen-ti dei corsi di indirizzo classico hanno nei loro scaffali dischi e spartiti di jazz. Che cosa si aspetta?

IN VIAGGIO TRA CLASSICA E IMPROVVISAZIONI. INTERVISTA AD ALESSANDRO CARBONARE

Un contrabbassista jazz, un pianista classico e un clarinettista che si divide tra questi due generi. Sono Francesco De Palma, jazzista di spicco nel panorama internazionale, Monaldo Braconi, pianista classico ma allievo di un musicista eclettico come Massimiliano Da-merini, e Alessandro Carbonare, dal 2003 primo clari-netto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ovvero i protagonisti del concerto che sabato 9 febbraio al Teatro Comunale di Gonzaga sposa note classiche e jazz saldando quella continuità fra diversi mondi espressivi così frequente nella storia musicale.Abbiamo parlato con Alessandro Carbonare della sin-golarità di questo programma.

Come è nata l’idea di questo progetto?«Dalla voglia di esplorare un repertorio che viene sì eseguito, ma quasi mai in questo modo. Quando un musicista suona Gershwin di solito lo fa seguendo ar-rangiamenti comunque già scritti. Io studio da molti anni improvvisazione jazz e volevo cercare di proporre quella musica che sta a cavallo tra la scritta e improvvi-sata, con una maggiore attenzione a quest’ultima».

Cosa potrà ascoltare di particolare il pubblico di Tem-po d’Orchestra? «Temi classici riletti in chiave jazzistica, omaggi di com-

positori di oggi al mondo del jazz e tributi a compo-sitori spesso in bilico fra musica colta e jazz. Ma non solo. Non ci limiteremo a “leggere” la musica scritta ma inseriremo dei momenti di pura improvvisazione estemporanea. Il primo pezzo, ad esempio, Yardbird Suite, è di Charlie Parker. La musica improvvisata era il suo pane quotidiano, ma noi abbiamo creato del-le nuove variazioni sul suo tema. Questo vale per la maggior parte dei pezzi che saranno in parte scritti e in parte improvvisati Ci sarà anche un momento che ho scherzosamente definito “blasfemo”: prenderemo dei temi di Brahms e Saint-Saëns e li “stravolgeremo” in chiave jazzistica».

Come sono riusciti tre artisti come voi, dalla formazio-ne e dalle esperienze diverse, a trovare un comune terreno espressivo?«Ci sono volute moltissime prove, abbiamo lavorato per dei mesi, prendendo in considerazione alme-no una ventina di progetti, prima scegliere quello che eseguiremo a Gonzaga. Francesco De Palma ha dovuto capire la nostra “rigidità” di lettori mentre io e Braconi abbiamo dovuto cercare di seguire lui che è abituato ad un’estrema libertà al contrabbasso. Il risultato è un viaggio attraverso musica che si ascolta raramente so-prattutto nelle stagioni di concerti classiche». (a.b.)

Sopra Monaldo Braconi e a destra Francesco

De Palma

“Non ci limitiamoa rileggere

in chiave jazzistica la musica scritta,

ma inseriamo momenti di pura improvvisazioneestemporanea”

I CONCERTI

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A sessantacinque anni, una carriera fantastica, fatta di numeri da record per quanto riguarda i successi colti in una sequenza incessante di concerti in tutto il mondo, o per quanto concerne l’attività discogra!ca, o, ancora, la conquista dei più prestigiosi premi inter-nazionali, Gidon Kremer conserva intatto lo spirito che ha animato tutta la sua fortunatissima esperienza musicale. Guarda avanti, sempre, sorretto da un entusiasmo tale che ogni nuova s!da in cui si lancia si rivela ir-rinunciabile alimento per il suo approccio creativo con la musica. Il pro!lo di questo grande artista lettone, uno dei maestri dell’arte violinistica mondiale e direttore ca-rismatico che non pone limiti al pentagramma dei suoi interessi, è espressione autentica di vitalità, di inesausta ricerca e di coerenza nelle scelte. Poter sce-gliere cosa e come fare è il seme della sua libertà e niente può testimoniarlo meglio del programma che ogni volta propone al suo pubblico. Gidon Kremer torna a Mantova, giovedì 14 febbraio, nel “suo” ama-tissimo Teatro Bibiena che lo ha visto protagonista già sette delle otto volte che è stato ospite a Tempo d’Orchestra, per proporre un percorso originale che, sul tema delle stagioni, si snoda tra le musiche celebri di Vivaldi, Cajkovskij ed Astor Piazzolla per approda-re alle composizioni di alcuni maestri contemporanei dell’Est come l’ucraino Leonid Desyatnikov, la litua-na Raminta Serksnyte, il russo Alexander Raskatov, la bulgara Dobrinka Tabakova. Un progetto che Kremer condividerà con la Kreme-rata Baltica, la sua creazione che dal 1997 promuo-ve il talento dei giovani artisti dei paesi baltici e of-fre spazio ai fermenti della nuova vita musicale di quell’area, !ssando un ulteriore tassello di una colla-borazione preziosa e privilegiata. «Posso dire che cre-are la Kremerata Baltica è stato ciò che mi ha dato più soddisfazione: è la cosa migliore che abbia fatto nella mia esistenza. Questo ensemble mi ha salvato da una

di Guido Mario Pavesi

Poter scegliere cosa e come fare. Sempre. È il suo diktat. Lo dimostrano i programmi che propone, ma anche il rifiuto di un sistema in cui la star conta più della creatività

Kremer: LIBERTA`e virtuosismi

Gidon Kremer (fotoservizio Nicola Malaguti)

I CONCERTI

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Con inesauribile entusiasmo, torna a Mantova il14 febbraio, nel “suo” amatissimo Teatro Bibiena dove"Tempo d’Orchestra" lo ha accolto ben sette volte

I CONCERTI

vita legata soltanto al violino e ha dimostrato come la musica fatta insieme sia molto più potente e comuni-cativa di quella svolta da solista. Mi consente di arri-vare alla gente in maniera molto più facile di quanto possa fare io da solo». È Gidon Kremer stesso che ci apre, con questo passaggio di intervista pubblicata da la Repubblica lo scorso giugno, le porte del suo pen-siero, indica chiaramente la ricchezza che l’ensemble può esprimere; ma anche coi fatti ci rivela che le sue scelte vanno verso le musiche che conservano una di-mensione sentimentale, un linguaggio delle emozio-ni, perché la musica, classica o contemporanea che sia, non deve essere un puro esercizio intellettuale. E la sua storia personale, scandita dai ritmi incalzan-ti di una creativa irrequietezza, pare ri"ettersi anche nella preziosità e nelle speci!cità degli strumenti utilizzati nel tempo: il potente, impetuoso Stradiva-ri “Baron Feititsch” del 1734, poi un meraviglioso Giuseppe Guarneri del Gesù del 1730 e, per !nire, l’inestimabile Nicolò Amati del 1641. Tratti, anche questi, di una curiosità intellettuale che ha dominato una vita spesa al servizio della musica, tra repertorio classico ed elementi innovativi per la cui accettazione ha dovuto lottare decenni, costantemente volta ad offrire nuove opportunità di crescita culturale all’arte dei suoni e, soprattutto, al pubblico. L’ottimismo costruttivo di Gidon Kremer gli impone, oggi più che mai, di rimanere fedele a se stesso, di saper dire sì o no, prendendo le distanze dalla con-fusione che si è affermata nel mercato della musica negli ultimi anni. «Semplicemente, non voglio respirare quell’aria pie-na di sensazionalismo e valori distorti, pur ammet-tendo che tutti abbiamo qualcosa a che fare con lo sviluppo insano del nostro mondo musicale in cui le “stelle” contano più della creatività, i giudizi più del vero talento, i numeri più dei suoni», come ha avuto modo di spiegare in una missiva ripresa dal magazine on line Artsjournal.

Antonio Vivaldi, L’Estate. Concerto in sol minore op.8 da Le Stagioni, per vibrafono e orchestra d’archi di Andrei PushkarevPhilip Glass, Concerto per violino, archi e sintetizzatore nr.2 The American Four SeasonsVytautas Barkauskas, Avanti per archiGidon sun sounds, medley di brani sullaestate (composizioni/trascrizioni dedicate a Gidon Kremer e alla Kremerata Baltica): Leonid Desyatnikov, Crying with the cuckoo and TolotnayaP.I. Cajkovsky/A. Raskatov, da The Seasons Digest: June – Barcarole; July – Song of the reaper; August – Harvsest; September – HuntDobrinka Tabakova , Dusk da Sun tryptichGe-orgs Pelecis, Flowering jasmin Astor Piazzolla/L.Desyatnikov, Verano Porteno da Le Quattro Stagioni a Buenos Aires

COSA ASCOLTEREMO

Il suo ottimismo costruttivo gli impone, oggi, di rimanere fedele a se stesso, prendendo le distanze dalla confusione che si è affermata nel mercato della musica

Kremer con la Kremerata al Bibiena

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È sempre con grande entusiasmo che accetto l’invito del direttore artistico dell’Orchestra da Camera di Mantova, maestro Carlo Fabiano, a partecipare agli eventi musicali che propone. In particolare sono entu-sisata di prendere parte a questa seconda edizione di Madama DoRe. Sapete perché? Perché i suo spettacoli avvengono in famiglia. Nonni, genitori, !gli, nipotini e zii tutti assieme, non solo ad ascoltare buona musica ma addirittura a parteciparvi.Si, perché in queste domeniche mattina, si entra in te-atro tutti allo stesso livello. Chi sa e chi non sa, chi è più sensibile e chi meno, chi è attento e chi lo diven-ta in seguito. Ed è tutto merito delle musica che dis-tribuisce i suoi doni perché lo sente come dovere da assolvere. Ed allora anch’io mi sono impegnato per presentar-vi un programma interessante, pure piacevole e, ve-drete, o meglio sentirete, addirittura divertente. Di-vertente nel senso di farvi uscire dalla sala di concer-to con la soddisfazione di avere fatto qualche cosa di bello. Ho intitolato il nostro incontro: Notte di note ma avrei potuto chiamarlo tranquillamente Note di notte perché il !lo conduttore di questo incontro è il buio della notte. Un buio illuminato dalle note del pianoforte. Un solo strumento, che si esprimerà come una intera orchestra, con una gamma di colori, che i vari autori ci proporranno, più ricca della tavolozza di un pittore. Ascolteremo brani di Beethoven, Debussy, Chopin, Liszt, Brahms, Mozart e Schumann; brani

molto diversi tra loro come carattere musicale, come epoca, come indole personale ed artistica dei vari au-tori: chiari di luna, notturni, ninne nanne e sogni. Mi piacerebbe molto che i grandi che leggeranno queste righe, facessero capire ai piccoli che accompagneran-no, che insieme ci troveremo davanti a creazioni mu-sicali che, come il genio della lampada di Aladino, ci trasporteranno nel mondo dell’autore, nelle sue in-timità, nelle sue affettività, nei suoi sentimenti (solo questo, ai più piccini dite solo questo...). La notte è, più di ogni altro, il momento della ri"essione, quando tutto il rumore della giornata, poco a poco, si spegne e noi rimaniamo soli con i nostri pensieri, i nostri af-fetti e i nostri sogni. Quale miglior tramite, dunque,

“Una costellazione di sentimenti”:

questo nel terzo appuntamento 2012/13

del ciclo di concerti per famiglie

“Madama DoRe”

Notte di NOTEtra ninne nanne e sogni di Augusto Morselli

I CONCERTI

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del babbo della mamma, nonno o nonna? La musica ascoltata in amicizia aumenta l’effetto. Ecco allora che ho il doppio piacere di presentarvi questo programma eseguito non solo da un grande pianista, ma anche da un caro amico, che condivide queste idee musicali, af-fettive ed emotive ed è un ottimo divulgatore della mu-sica per tutte le età: il maestro Andrea Dindo. Sarà lui al pianoforte che ci accompagnerà a scoprire come il mondo notturno sia sereno, illuminato, variopinto, pi-eno di gioia e di serenità. È evidente che gli stessi au-tori hanno trattato la notte anche sotto altri aspetti ma la nostra Musica Formato Famiglia, vuole ricreare atmos-fere affettive tranquille e pacate per raggiungere anche un effetto di dialogo sereno tra generazioni.

Madama DoRe 2012/13 bissa il successo della stagione d’esordio. La campagna abbonamenti archiviata con ottimi esiti, il primo dei 5 concerti in programma a strappare entusiastici consensi di pubblico: sono questi i primi dati a riprova di quanto la proposta per famiglie risponda a un’esigenza effettivamente avvertita di occasioni culturali aperte e di momenti di condivisione intergenerazionale. Lo scorso 18 novembre, la Neos Sinfonia Orchestra, gruppo di una sessan-tina di giovani e giovanissimi tra i 10 e i 20 anni, diretta dal maestro Alberto Conrado, ha fatto scoprire tutto il fascino e l’emozione della musica dal vivo a un teatro gremito e festante, che ha interagito con gli interpreti grazie a armonizzazio-ni per strumenti e pubblico. Un pubblico che ha sperimentato un divertente viaggio musicale fra le sonorità d’America Latina, Medio Oriente, Africa e sud Italia, alla scoperta di strumenti tipici e sonorità a volte inattese. Ora la rassegna prosegue con 4 appuntamenti, il primo dei quali, in pro-gramma il prossimo 20 gennaio, porta al Teatro Bibiena (ore 11) la coloratissima fiaba musicale Le due regine (si veda articolo a pagina 8, ndr). Alla presentazione dello spettacolo è dedicata la prossima conferenza del ciclo d’incontri a cura dell’Associazione Amici dell’Ocm, Parolenote, che, venerdì 18 gennaio (ingresso libero, ore 18, Mantova, Sala Norlenghi) vede protagonisti il maestro Azio Corghi (sue le musiche delle Due regine), e Dario Moretti (idea, scene e regia). Notte di note: chiari di luna, notturni, ninne nanne e sogni è il titolo del successivo concerto, atteso per domenica 17 marzo, sempre al Bibiena (ore 11) a cura di Augusto Morselli, nel ruolo del narratore, e di Andrea Dindo, al pianoforte. A questo appuntamento dedichiamo il pezzo di approfondimento che trovate in queste pagine. I biglietti per i concerti di Madama DoRe (5 euro bimbo, 6 euro adulto accompagnatore, 7 euro adulto) sono in vendita alla sede Ocm (tel. 0376 1961640, [email protected]). (v.p.)

In campo il sottoscritto e un grande pianista, un caro amico, un ottimo divulgatore della musica: Andrea Dindo

MADAMA DORE: L’ENTUSIASMO TROVA CONFERMA

Certamente: dialogo in un mondo dove tutto corre, gli obiettivi da raggiungere scavalcano i sentimenti, le cose da fare non lasciano spazio alle con!denze pri-vate. Un’ora di musica insieme non risolverà i problemi del mondo ma quando tante persone si emozionano as-sieme, in una sala da concerto, escono da quella stes-sa sala con una percezione diversa gli uni degli altri. Chi vive la musica, al di là della fatica che questa dis-ciplina richiede, prova questi sentimenti e queste sen-sazioni ed è per questo motivo che si sente l’obbligo di assolvere al dovere di diffonderla. Vi aspettiamo dunque, il maestro Andrea Dindo ed io, domenica 17 febbraio, alle 11, al Bibiena di Mantova.

I CONCERTI

Augusto Morselli, narratore, e Andrea Dindo, qui direttore, nel Pierino e il lupo realizzato nel 2009 con l’Orchestra da Camera di Mantova (foto Nicola Malaguti)

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RED CARPET

L’INAUGURAZIONE di Tempo d’Orchestra

edizione del ventennale

John Axelrod dirige l’Ogi al Sociale di Mantova.Nelle altre foto: il pubblico: coprotagonista della serata

Fotoservizio Gabriele Sabbadini

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in breve

È annunciato in uscita a maggio 2013 il secondo dei cd mozartiani incisi da Angela Hewitt con l’Orchestra da Camera di Mantova. Il lavoro, realizzato a luglio 2011 nella Sala Mahler del centro Cultu-rale di Dobbiaco, racchiude i Concerti per pianoforte e orchestra n. 17 in sol maggio-re K 453 e n. 27 si bemolle maggiore K 595. A dirigere solista e orchestra il maestro finlandese Hannu Lintu. Anche questo secondo cd del ciclo è edito dall’etichetta londinese Hyperion.

In attesa della presentazione ufficiale (che si terrà nei primi mesi del 2013), emergono le prime anticipazioni circa la cinquantesima edizione del Festival Pianistico Internazio-nale di Brescia e Bergamo. «Edizione che - si legge nel comunicato pubblicato nelle settimane scorse sul sito della manifestazione - tra ritorni eccellenti e novità di rilievo, celebra cinque decenni di grandi interpreti: da Arturo Benedetti Michelangeli, ospite delle prime 5 edizioni dal 1964 al 1968, a Grigory Soko-lov, il pianista che più di ogni altro ha caratterizzato il Festival del nuovo millennio. E il nome di Grigory Sokolov, che non poteva ovviamente mancare, sarà accompagnato nell’edi-zione 2013 da quello di altre stelle del pianoforte molto amate dal pubblico di Brescia e Bergamo: Radu Lupu, Yuja Wang e Alexander Lonquich (...) Procedendo però con ordine, il 50° Festival si aprirà il 27 aprile a Bergamo e il 28 aprile a Brescia con la Nona Sinfonia di Beethoven eseguita dall’Orchestra da Camera di Mantova guidata da Umberto Benedetti Michelangeli».

Giovedì 18 ottobre 2012 debutta Tempo d’Orchestra, edizione del ventennale. L’abbraccio del pubblico è avvolgente: la campagna abbonamenti della stagione

concertistica dell’Orchestra da Camera di Mantova chiude alla cifra record di 768 adesioni, proseguendo il trend di costante crescita che caratterizza, dalla nascita, la manifestazione. Il tap-peto rosso, dicevamo. Per una volta la prospettiva è apparsa rovesciata: il pubblico, parte in causa del successo della ras-segna, fa il suo ingresso in teatro accolto dai flash dei fotografi. Accomodatosi in sala una voce fuori campo gli rivolge un me-taforico applauso: «Un bentornato agli abbonati più affezionati e un benvenuto a chi, per la prima volta, ha scelto di prendere parte alla stagione concertistica dell’Orchestra da Camera di Mantova - riecheggia -. Era lunedì 22 novembre 1993. Il teatro Bibiena di Mantova ospitò il primo concerto della storia di Tempo d’Orchestra, manifestazione che oggi compie vent’anni. Il traguardo è significativo e ci riempie di orgoglio. Lieti che abbiate scelto di festeggiarlo insieme a noi, vi ringra-ziamo del sostegno che, attraverso la vostra partecipazione, ci testimoniate, divenendo nostri vitali sostenitori». L’applauso reale, stavolta, quanto spontaneo suggella l’alzarsi del sipario sul cartellone 2012/13.

L’ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA APRE LA 50A EDIZIONE DEL FESTIVAL PIANISTICO DI BRESCIA E BERGAMO

A MAGGIO ESCE PER HYPERION IL 2° CD REALIZZATO CON ANGELA HEWITT

IN ORCHESTRA

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Tra i risultati in controtendenza della cam-pagna abbonamenti di Tempo d’orchestra 2012/13 spicca la considerevole partecipa-zione di giovani e giovanissimi alle iniziative promosse dall’Orchestra da Camera di Man-tova. Oltre 100 giovani studenti dell’Istituto “Galilei” di Ostiglia hanno scelto di sottoscri-vere la formula d’abbonamento Euterpe Gio-vani, aderendo così a un progetto di educa-zione all’ascolto che nato una decina d’anni fa, vale loro crediti scolastici. Una trentina di studenti delle secondarie del mantovano be-ne!ciano delle tessere Ouverture, attraverso le quali Con!ndustria Mantova intende pre-miare il merito scolastico regalando un’oc-casione di crescita culturale e umana. In!ne, almeno la metà degli abbonamenti al ciclo per famiglie MadamaDoRe porta a teatro, ne-gli appuntamenti mattutini in cartellone, ra-gazzi sotto i 14 anni, spesso alla prima espe-rienza d’ascolto dal vivo nella magica cornice d’un teatro. Totale: quasi il 30 percento de-gli abbonati alla stagione dell’Orchestra da Camera di Mantova è under 18.

Un abbonato ogni quattro è UNDER 18

Un’iniziativa da ripetere, bella, coinvolgente e partecipata. Unanime giudizio positivo per la due giorni a tutta musica tenutasi l’ultimo fine settimana di settembre a Mantova e provin-cia per celebrare i vent’anni dell’Orchestra da Camera di Mantova. Ad aggiungere un va-lore ancora più speciale il fatto che nel cor-so del sabato e domenica, in cui tutti i com-ponenti dell’orchestra e gli amici dell’Ocm si sono esibiti gratuitamente, sono stati raccolti fondi per il complesso Polironiano di San Be-nedetto Po duramente danneggiato dal sisma del maggio scorso. In tutto sono stati donati 15.500 euro, di cui 10.000 destinati al Comu-ne per il recupero del Museo e del chiostro

e 5.000 alla parrocchia per i lavori all’abbazia. La con-segna è avvenuta la mattina del 23 ottobre in Provincia alla presenza dell’assessore alla cultura Francesca Zaltie-ri, di Carlo Fabiano, diretto-re dell’Orchestra da Camera di Mantova, e del presiden-te della Fondazione Comunità di Mantova, Mario Nicolini, intervenuti unanimemente a sottolineare l’importanza e l’originalità di quanto realizzato, e auspicando che l’ini-ziativa possa ripetersi nel futuro prossimo. Da parte sua il sindaco di San Benedet-

to Po, Marco Giavazzi, ha sentitamente rin-graziato di cuore tutti: da coloro che con generosità hanno donato fondi per il recu-pero del Polirone ai musicisti, ai sindaci e alle realtà che hanno messo a disposizione spazi assai suggestivi.

“WEEK END A TUTTA CLASSICA”RACCOLTI 15MILA EURO

IN ORCHESTRA

L’Orchestra da Camera di Mantova e Plamena Mangora

(foto di Andrea Rinaldi)

Alcuni degli abbonati Euterpe, tutti studenti del “Galilei” di Ostiglia. Sopra,

con il direttore artistico Carlo Fabiano

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Entusiasmoe AMARCORDPieno successo per la produzione firmata Ocm con Antonio Ballista. Musiche da film e canzoni rilette da Lucchetti seducono il pubblico

Il primo appuntamento dell’Orchestra da Camera di Mantova nella stagione del ventennale ha visto la com-pagine presentarsi in scena nella versione di piccolo ensemble, costituito da proprie prime parti, diretta da colui che segnò l’avvio di tutto: quell’Antonio Ballista che nel novembre 2003 tenne a battesimo la prima edizione di sempre di Tempo d’Orchestra. Affidiamo la cronaca a estratti di unanimi recensioni. «Un doppio (due i concerti, il primo a Suzzara e il secondo a Man-tova, ndr) successo - si legge su La voce di Mantova di domenica 18 novembre - (...) sulle note di celeberrime colonne sonore di film americani e di indimenticabi-li canzoni italiane degli anni 1910-50; uno spettacolo che ha visto protagonisti Antonio Ballista alla guida dell’Orchestra da Camera di Mantova, qui in formazio-ne di piccolo ensemble, Lorna Windsor, soprano, e i pianisti Massimo Giuseppe Bianchi e Alessandro Lucchetti (...) Una brillante opportunità per analizzare con la lente di una raffinata cultura musica-le i segni di esperienze dichiaratamente proiettate nell’orbita della più piacevole cantabilità. Autorevole conduttore di que-sta avventura, Antonio Ballista ha imposto alle esecuzioni quel brio e quella curiosità d’indagine, volta ad eliminare le differen-ze tra i generi, che ha sempre caratteriz-zato la sua luminosa carriera (...) Altro ingrediente fondamentale per la brillante riuscita del progetto, l’elaborazione stru-mentale ideata da Alessandro Lucchetti ha mostrato un pregevole campionario di soluzioni sonore, con affascinanti co-loriture d’insieme, adatte a delineare le caratteristiche delle sezioni del piccolo organico, ed efficaci fusioni timbriche di archi e fiati nella conduzione tematica». «La tesi che si poteva scorgere in sottofon-do - scrive la Gazzetta di Mantova, sabato 17 novembre - era (...)la seguente: i valori artistici risiedono anche laddove potrebbe essere insospettabile, ed in particolare dove il !lm e la canzone sono primariamente prodotti commerciali, pronti a conformarsi al gusto delle masse. Una tesi so-stenuta con gli argomenti di un gradimento planetario prolungatosi nel tempo, e con qualità musicali radicate nei fondamentali e “buoni” sentimenti umani: amore, riso, commozione, ironia. Svolti in pagine spesso sem-plici ed ispirate, e rivisitati con il gusto moderno delle ricercate strumentazioni di Alessandro Lucchetti: tim-bri trasparenti, spirito di sintesi, abili connessioni fra i temi, !no a comporre una forma "uida e continua che emerge nei suoi nitidi elementi costitutivi; e con un potere di convinzione spiccato specie nella collana di canzoni italiane, aperta a vere e proprie ricreazioni compositive, lo specchio di una generazione nata fra le due guerre, e bandiera di antiche gioventù. Sull’onda dei ricordi - per taluni legati ad immagini !lmiche in-delebili - suonava, con precisione, il piccolo Ensemble

dell’Ocm diretto con vivacità da Antonio Ballista; ed il pubblico ha gradito, applaudendo gli interventi piani-stici (Massimo Giuseppe Bianchi, Alessandro Lucchetti, Antonio Ballista, talora associati per brillanti interventi a “quattro mani”)». «Pubblico sospeso tra nostalgia e piacere (...) Piacere nel risentire quelle voci del passato, fatte rivivere e “restaurate” con gusto tipicamente italia-no da quel buon musicista che è Alessandro Lucchet-ti, ed eseguite dall’Ensemble dell’Ocm sotto la guida lucida e vivace di Antonio Ballista, che dettava tempi e colori alla fresca orchestrazione», conferma La nuo-va cronaca di Mantova, venerdì 23 novembre. «Titolo appropriato della festosa serata Ritmi ruggenti, melodie struggenti - chiosa La cittadella nella stessa data - nell’en-tusiastica interpretazione dell’Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova, gruppo di strumentisti-solisti, esecutori affascinanti diretti da Antonio Ballista con una verve accattivante, pure ammirato al pianoforte».

IN ORCHESTRA

Antonio Ballista dirige l’Ensemble dell’Ocm al Teatro Bibiena di Mantova

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Azio Corghi: il suo nome, a richiamare la sua arte, ricorre ripetutatmente nelle pagine di questo nu-mero di Musicalmente. Autore delle musiche, ispirate alla celeberrima Eine kleine Nachtmusik di Mozart, di cui vive lo spettacolo Le due regine, secondo appunta-mento del ciclo di concerti per famiglie Madama doRe 2012/13. Citato tra i musicisti di riferimento nella sua formazione da Sonia Bergamasco, nell’intervista che apre il magazine. Richiamato da un giovane compo-sitore come Antonio Casagrande, che scopriremo a Tempo d’Orchestra in occasione del concerto del prossi-mo 24 gennaio e che lo annovera tra i suoi maestri (si veda a pagina 19, ndr). Protagonista qui, nella rubrica Amici, che presenta il prossimo appuntamento con Parolenote: un incontro particolare, che segna anche una sorta di nuovo corso. Venerdì 18 gennaio (ore 18, Mantova, sala Norlenghi, ingresso libero) il ciclo di conferenze di avvicinamento all’ascolto di alcuni dei principali eventi di Tempo d’Orchestra elegge a pro-prio riferimento il primo concerto 2013 del ciclo per famiglie Madama DoRe. Lo fa programmaticamente, a sottolineare quanto gli spettacoli della domenica mattina si rivolgano a un pubblico che non ha limiti d’età e che concretizza l’ideale di un ascolto condivi-

so tra più generazioni. Madama doRe è parte integran-te a tutti gli effetti del cartellone di Tempo d’Orchestra ed è doveroso che le sue proposte concertistiche ri-cevano le medesime attenzioni di quelle serali, di più antica tradizione: Parolenote ne dà conto, invitando a gennaio al tavolo dei relatori - e qui torniamo a lui - il maestro Azio Corghi e l’artista Dario Moretti, le due anime di quelle Due regine che approderà al Bibiena la domenica successiva (20 gennaio, ore 11). (v.p.)

Parolenote: INEDITAprospettiva

PAROLA D’AMICOIl Direttivo Associarsi, associarsi, associarsi. Per essere, insieme, sempre più forti

Amiche e amici, arriviamo ancora una volta alla fine di un anno e, come da tradizione, a una sorta di bilancio che, nel nostro caso, risulta essenzialmente morale (quello finan-ziario è piuttosto scarso). Il nostro compito statutario è quello di offrire all’Orchestra da Camera di Mantova un abbraccio ideale fatto d’interesse alla sua attività, di sostegno atti-vo, di ricerca di fonti finanziarie, di vcinanza in certe decisioni e di diffusione della cultura musicale. Soprattutto in tempi come gli attuali, questo nostro programma è importante per aiutare a superare le tante difficoltà che si presentano, e non sono lievi, in modo che ancora una volta la stagione concertistica Tempo d’Orchestra possa svolgersi in maniera soddisfacente. Questo non significa certo che il merito della realizzazione sia nostro, ma serve a indicare un impegno che non è mai cessato. È importante perciò nei confronti dei terzi che la nostra Associazione possa “presentarsi” forte, ricca di una consistenza anche numerica che la porti a essere maggiormente considerata e, quindi, più utile ai fini per i quali opera. Da qui il forte invito rivolto a ciascun Associato a rinnovare l’adesione per l’anno 2013 e a fare in modo che anche altre persone entrino nel gruppo degli Amici come nuovi aderenti con la minima spesa di 10 euro che viene confermata anche per il prossimo anno. Infine i tradizionali auguri fatti di vero cuore a tutti, perchè il tempo futuro porti serenità e tanta musica.

Azio Corghi e Dario Moretti

Azio Corghi e Dario Moretti presentano “Le due regine”.

“Madama DoRe” e il cartellone serale s’incontrano e integrano

in “Tempo d’Orchestra 2012-13”

AMICI

Le adesioni si raccolgono presso la sede Ocm in piazza Sordello 12 a Mantova

(orario d’ufficio) e in occasione dei concerti della stagione

Tempo d’Orchestra, nei foyer dei teatri

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di Andrea Zaniboni QUADERNO DI VIAGGIO

ItinerarioVERDIANO

«Questo abituro dove il 10 ottobre 1813 la prima aura spirò il musical genio del Verdi vollero i coniugi Marchesi Giuseppe e Leopoldina Pallavicino mantenuto qual è al cupido sguardo dei posteri»: così recita la lapide apposta nel 1872 sulla facciata della casa natale di Giuseppe Verdi, prima tappa di un itinerario che, chi volesse per-correrlo nell’anno del bicentena-rio, si snoda fra alcuni luoghi di si-curo interesse. Storia, suggestioni atmosferiche, documenti, musica, memorie teatrali s’intrecciano in un percorso che va avviato neces-sariamente dalla casa-osteria di famiglia nel «miserabile villaggio» (come lo descrisse il critico musi-cale francese Arthur Pougin nella seconda metà dell’Ottocento) di Roncole di Busseto, in provincia di Parma. Casa che appunto si è mantenuta nello stato che testi-monia l’umile esistenza di chi ci abitava e lavorava, con il suo ingresso dimesso, gli arredi sem-plici e le pareti spoglie. Distante qualche decina di metri sorge la Chiesa di San Michele dove il ma-estro fu battezzato e dove avviò le sue adolescenziali esperienze sul piccolo organo sopraelevato che vi è alloggiato. Qualche chilome-

tro più in là, a Busseto, oltre il pic-colo teatro da 300 posti edificato con il contributo economico del compositore ed inaugurato, non senza fastidiose polemiche con lo stesso, nel 1868, si trova la casa di Antonio Barezzi, l’amata dimora di un intelligente e sensibile ap-passionato, allora presidente della locale Società Filarmonica, pres-so il quale Verdi trovò ospitalità, competenza e generoso sostegno; al punto che l’assidua frequenta-zione gli permise di approfondire

la conoscenza della figlia di lui, Margherita, che avrebbe poi spo-sato nel 1836. Divenuto museo verdiano una decina d’anni fa, questo edificio ospita molti docu-menti storici, dipinti, prime edi-zioni a stampa, lettere autografe, manifesti e persino una bacchetta appartenuta a Toscanini, che di Verdi fu un assiduo ed appassio-nato interprete.Ma a questo luogo si aggiunge, ne-cessariamente per il devoto turista verdiano, il grande Museo Nazio-nale intitolato al maestro, istituzio-ne recente (è stata inaugurata tre anni fa) ospitata nella sontuosità rinascimentale di Villa Pallavicino, nella quale sono riprodotte le sce-nografie originali di Casa Ricordi ed in cui ogni sala approfondisce un’opera od un gruppo di opere, ma che non è soltanto museo bensì fonte di vive suggestioni operando sul piano didattico che come cen-tro studi. Infine Villa Sant’Agata, a Villanova sull’Arda, in provincia di Piacenza (ma solo qualche chilo-metro a nord di Busseto), la gran-de dimora, abitata dal 1851 (l’an-no di Rigoletto) dove ritrovare le tracce della quotidianità verdiana: il parco, il pianoforte, la carrozza, la biblioteca, le camere da letto, il senso di una vita operosa condotta nel grembo della natura.Per il bicentenario della nascita del più celebre compositore italia-no sono stati stanziati più di 6 mi-lioni di euro. Una parte andrà an-che per la valorizzazione di questa villa che ci parla di un Verdi agiato ma non aristocratico. Lo confessò lui stesso in una lettera: «Sono sta-to, sono e sarò sempre un paesano delle Roncole».

A destra Casa Barezzi e sotto la casa natale

di Giuseppe Verdi

Il Museo Nazionale Verdi

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È fra i più importanti cineasti in at-tività, in ambito sia nazionale che internazionale. Bernardo Berto-lucci ha realizzato una serie di !lm che resteranno senz’altro nella sto-ria del cinema. Basterebbe ram-mentare che fu aiuto-regista di Pier Paolo Pasolini per Accat-tone (1961), oppure che, al !anco di Dario Argento, collaborò alla sceneggiatu-ra di C’era una volta il West di Sergio Leone (‘68); che esordì nel lungometraggio a soli 21 anni con il pasoli-niano La commare secca (‘62); che recano la sua !rma La strategia del ragno (da un rac-conto di Jorge L. Borges, gi-rato a Sabbioneta nel ‘70), Il conformista (da Alberto Mo-ravia, nel medesimo anno), il sublime e scandaloso Ultimo tan-go a Parigi (‘72), la sontuosa epo-pea lunga mezzo secolo di Novecen-to (‘76, ancora in parte ambientato in territorio mantovano), nonché opere che combinano l’autoriali-tà di stampo europeo con la spet-tacolarità hollywoodiana (L’ultimo imperatore dell’ ‘87, Il tè nel deserto del ‘90, Il piccolo Buddha del ‘93), !no al penultimo titolo, The Drea-mers (2002), una sorta di conden-sato dei suoi temi topici, l’eros, la politica, il cinema stesso. Sebbe-ne non abbia mai stretto un soda-lizio esclusivo con un musicista, come fecero invece Leone con En-nio Morricone o Fellini con Nino Rota, egli ha sempre considerato la colonna sonora un complemen-to essenziale per le sue narrazioni visive, le ricercate inquadrature, i so!sticati quanto "uidi movimen-ti di macchina. Esemplare quel-la de L’ultimo imperatore, af!data a tre compositori assai diversi come Ryuchi Sakamoto, David Byrne e Cong Su: si tratta di una suggestiva alternanza fra le sonorità elettroni-che del primo, il rock progressivo

del secondo, la rielaborazione del-la musica tradizionale cinese ope-rata dal terzo. Oppure, si consideri il sorprendente sax di Gato Barbie-ri che ricama struggenti motivi jazz per accompagnare, in contrappun-to o in ridondanza, le pulsioni ses-suali e funeree di Ultimo tango a Pa-rigi. Quanto al recentissimo Io e te (dal romanzo di Niccolò Ammani-ti), esso propone lo score intimista di Franco Piersanti, in un certo senso eccependo alla regola dell’ibrida-zione ovvero dell’eccentricità cara al regista parmense. Di cui costitu-isce la prova più estrema The Drea-mers, ove l’eterogeneo commento musicale ospita brani di autori pop coevi all’ambientazione nella Parigi sessantottesca o connessi alle dovi-ziose citazioni !lmiche: si va da Jimi Hendrix, Bob Dylan, The Doors, Grateful Dead a Edith Piaf, Nino Ferrer, Charles Trénet, Françoi-se Hardy, Irving Berlin. Come dire un’abbondanza lussureggiante pari solo alla feconda inventiva tecnica ed espressiva di Bertolucci, un ma-estro della settima arte che, svarian-do dal lirismo all’epica, molto ama la sinestesia tra occhio e orecchio.

LA STRATEGIA DEL RAGNO

di B. BertolucciIl figlio di un martire della Resistenza si reca nella cittadina ove visse il padre per indagare sulle circostanze della morte di lui, avvenu-ta trent’anni prima. Ispirato a un breve rac-conto di Borges, il film ne svolge il motivo della dialettica fra eroismo e tradimento, aggiungendovi la politica e la psicanalisi, con fughe verso l’onirico e il surreale. Il funzionale commento musicale annovera pezzi del repertorio di Giuseppe Verdi e una canzone di Mina. (Italia 1970)

NOVECENTO

di B. Bertolucci

Attraverso le vicen-de di due personag-gi, nati lo stesso gior-no del 1900 ma di contrapposta estra-zione sociale, si rac-conta la storia d’Italia della prima metà del Novecento. Compo-sito e fluviale, dal cast altisonante (bastino i protagonisti Depardieu e De Niro), se non è il capolavoro di Bertolucci ne costituisce tuttavia il titolo di gran lunga più denso e impegnativo. La colonna sonora è di Ennio Morricone, ma si vale anche di canti e mu-siche tradizionali. (Italia-Francia-Germania 1976)

L’ULTIMO IMPERATORE

di B. Bertolucci

Epico e melodram-matico, magniloquen-te e accademico, il film illustra la vera esi-stenza di Pu Yi, che dallo status onnipo-tente di imperatore della Città Proibita fu degradato a uomo qualunque nella Cina di Mao. Il successo di pubblico fu coronato da ben 9 premi Oscar, fra cui quello alle musiche di Ryuchi Sakamoto, David Byrne e Cong Su. Grande cinema a tratti, sempre cinema in grande, L’ultimo imperatore dimostra comunque la tempra del vero cineasta. (Cina-GB-Francia-Italia 1987)

di Claudio FraccariCOLONNA SONORA

BernardoBertolucci

BERTOLUCCI, orecchio da musicista

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Al giorno d’oggi, con tante orche-stre alle prese con problemi di bi-lancio, pensiamo faccia ri"ettere un caso pressoché unico nella storia concertistica e discogra!ca del se-colo scorso. Louisville, cittadina del Kentucky (Usa), è il 1948 e la locale orchestra è in piena crisi !nanziaria quando Charles Farnsley, suo presi-dente nonché sindaco della città ha un’idea rivoluzionaria che comuni-ca al direttore stabile Robert Whit-ney: riduzione dell’organico da 70 a 50 orchestrali, limitazione degli ingaggi a solisti dai cachet esorbi-tanti e incremento di commissioni di opere nuove a musicisti contem-poranei, cinque prime esecuzioni a stagione dirette preferibilmente da-gli autori. Nell’America degli anni ‘40, con un grande pubblico dai gu-sti musicali parecchio conservatori e limitati al grande repertorio classico e romantico, l’impresa appare qua-si disperata. Farnsley, però, sostiene che «L’autore è quasi dimenticato nei concerti, ma senza di lui la mu-sica morirebbe: dobbiamo pensare al XVIII secolo quando si eseguiva un pezzo nuovo ad ogni concerto»; la radio e il nascente long-playing, Farnsley ne è convinto, aiuteran-no la sua causa. Già nella stagione successiva l’orchestra esegue novi-tà di Hindemith, Villa-Lobos, Mar-tinu, Milhaud e Chavez e nel 1950 avviene la svolta: Judith, un poema

coreogra!co di William Schuman, viene registrato dalla Mercury Re-cords e l’orchestra invitata a ripete-re il pezzo alla Carnegie Hall di New York. La critica e il pubblico hanno reazioni entusiastiche e poco dopo l’orchestra !rma un contratto con la Columbia Records pubblican-do nel 1952 un nuovo lp con mu-siche in prima esecuzione. I media riconoscono il merito a Withney e alla sua orchestra di diffondere con coraggio e bravura la nuova musi-ca, e nel 1953 Farnsley ottiene dalla Rockfeller Foundation una sovven-zione di 400.000 dollari per un pro-getto mai realizzato da nessuna or-chestra: dal 1954 al 1959 a Louisville si registrano 116 lavori di 101 com-positori sotto una nuova etichet-ta dal nome First Edition Records. At-traverso la radio poi tutto il mondo ha l’opportunità di sentire autori di ogni nazionalità e in gran parte an-cora sconosciuti. In seguito, anche ad opera di successivi direttori sta-bili tra cui Jorge Mester e con altre sovvenzioni, l’orchestra arriverà nel 1995 al traguardo di 158 lp e 10 cd con circa 400 opere di 250 differen-ti autori. Un successo che permet-terà a questo complesso di entrare nella storia, dimostrando che si può interessare un vasto pubblico pro-ponendo musiche valide anche al di fuori dei repertori più battuti e de-gli esecutori più famosi.

IL SEGRETO NEL REPERTORIO

Un aspetto del suc-cesso della Louisville Orchestra è costituito dal fatto di aver pro-posto un repertorio moderno di ascolto abbastanza accessi-bile dove compaiono raramente autori dell’estrema avanguardia. A parte musicisti americani come Harris, Schuman e Piston, figuravano autori francesi e inglesi – Milhaud, Ibert e Bliss - oltre a tanti altri che permettevano di esplorare i “dintorni” adiacenti alle figure di primo pia-no del ‘900 storico: un viaggio affascinante con scoperte a volte sorprendenti.

POCHI ITALIANI NELLA SERIE

Dallapiccola, Mali-piero, Petrassi (nella foto) e Rieti sono gli italiani presenti nel-la serie: un po’ poco rispetto ad altri pae-si, fatto questo che si può ascrivere in par-te alla voluta tendenza nostrana – non sem-pre giustificata perché derivante spesso da pregiudizi di natura ideologica e non arti-stica - di privilegiare gli autori dell’avanguar-dia rispetto a quelli della generazione pre-cedente. Non sorprende perciò che molta musica italiana del primo ‘900 sia stata per decenni quasi completamente dimenticata.

E POCHI I DISCHI DEL GENERE...

La reperibilità di questi dischi in Italia era limitata in passato a qualche decina di lp in giacenza presso quei pochi negozi che importavano di-rettamente dall’este-ro, e solo con l’avvento del compact la Santa Fe Music Group ha pubblicato, a partire dal 2001, una serie di 40 cd con parecchie registrazioni della First Edition. Recentemente un documentario – Mu-sic makes a City – è stato realizzato e commercializzato, per vederne un estratto basterà digitarne il titolo su You Tube.

A Louisville nel 1948 le intuizioni di Charles Farnsley risollevarono le sorti della filarmonica locale

di Michele Ballarini GRAMMOFONO

Il CORAGGIO di un’orchestra

Scultura di Charles Farnsley nella via principale di Louisville

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di Luca SegallaCD - DVD

Arthur Rubinstein era un grande appassionato di cuci-na, oltre che di musica e donne. Non conosco le predi-lezioni gastronomiche di un interprete curioso come Katsaris; dif!cile, però, immaginarlo indifferente ai piaceri della tavola.In questo recital del 2005 al conservatorio di Shanghai il pianista franco-cipriota si sbizzarrisce in un auten-tico delirio di trascrizioni da Bach, Schubert e Wa-gner, con un assaggio di Chopin (Notturno op. 9 n. 2, primo di quattro bis) e molto Liszt, anche originale. Rubinstein era un interprete onnivoro, ma dei grandi classici. Katsaris divora qualsiasi cosa si possa eseguire sulla tastiera. La divora con la gioia di un bambino che sta scoprendo il mondo. Al pianoforte recita, come il Barenboim degli ultimi anni, ma potendo fare af!da-mento su una tecnica più ef!cace e travolgente.L’eloquio è generoso in Bénédiction de Dieu dans la soli-tude, dalle Harmonies poétiques et religieuses, ma anche nella trascrizione del-la Morte di Isotta dal Tristan wagneriano. Questa !ducia incrollabile nella vita e nella musica suona paradossale, associata al Tristan. Un fuoco vivo, come la sua acrobatica trascrizione della Toccata e fuga in Re minore di Bach. È puro spettacolo, ma lo spettacolo di un interprete che conosce bene la psicologia del pubblico. E che si avventura come un dongiovanni felice e impenitente nell’intero repertorio pianistico senza lasciarsi turbare da scrupoli morali.

Cyprien Katsaris. Live in Shanghai. 1 DVD Piano 21 (P21 034-N)

Fa molta scena, Gidon Kremer, e per questo a volte vie-ne criticato. Qui siamo a Salisburgo, nel 2002. È impos-sibile sfuggire al magnetismo del violinista lettone, non lasciarsi sedurre dalla sua Kremerata Baltica, con cui vive in simbiosi. Anche se non tutto, nella trascrizione del schubertiano Quintetto in sol maggiore, è ri!nito. Ac-canto a Schubert il violinista lettone propone il Nove-cento slavo e ungherese di Schnittke, Raskatov e Rósza. E Piazzolla, diventato un classico proprio grazie a lui: Oblivion è da brividi.Gidon Kremer & Kremerata Baltica.1 DVD Unitel Classica (3072238)

Il debutto alla Carnegie Hall del ventiquattrenne giappo-nese Nobuyuki Tsujii è datato 10 novembre 2011. Tsujii ha vinto nel 2009 il Van Cliburn ed è cieco dalla nascita: con-siderato il suo handicap è un fenomeno. Come pianista, a conti fatti, si rivela ordinario, eppure, in alcuni momenti, fa sobbalzare il pubblico sulla sedia. In Baba Yaga, dai Quadri. In una brillante Parafrasi sul Rigoletto di Liszt. E soprattutto nell’Improvvisazione e fuga del contemporaneo John Musto.Nobuyuki Tsujii. Live at Carnegie Hall. 1 DVD EuroArts (2059088)

Le prime opere pianistiche di Manuel de Falla furono Tres Obras de Juventud, Tre opere di gio-ventù: Serenata Andaluza, Nocturno e Vals-Capricho, completate entro il 1889, quando i suoi studi in Spagna erano ancora in essere, l’influenza romantica forte, e la sua personalità doveva attendere di manifestarsi pienamente. Avrebbero dovuto giungere gli anni del trasferi-mento a Parigi (tra il 1907 e il 1914), le frequentazioni decisive di Debussy, Ravel e Dukas, per individuare un Falla consapevolmente moderno ed allo stesso tempo rispettoso della propria storia nazionale. Se il suo più famoso lavoro pianistico è la Fantasia Baetica (con allusione al nome antico di una delle province romane con capitale Cordoba, in sostanza l’attuale Andalu-sia) scritta nel 1919 su invito di Arthur Rubinstein, altre pagine suggestive spic-cano nel suo non vasto (in tutto una ventina) elenco di pagine per tastiera sola: fra tutte Cuatro piezas espanoles (1908), dedicati ad Albéniz e poi le fa-mose invenzioni tratte dai balletti, quali le tre Danze da El Sombrero de tres picos e la eseguitissima Danza rituale del fuoco (da El Amor brujo, a stampa nel 1921), di cui sempre Rubinstein fu celebre interprete. Nella grande lettera-tura pianistica di ogni epoca, le opere di Falla immeritatamente rimangono un po’ai margini del repertorio, ed in Italia si può dire che siano colpevolmente ignorate. Due dischi Brilliant raccolti in cofanetto che vedono interprete la bra-va pianista americana Benita Meshulam, colmano il vuoto di conoscenza, ma non solo: suggeriscono il motivo per il quale il musicologo Fedele D’Amico parlasse anni fa di Manuel de Falla come «un genio tra parentesi». (a.z.)

Manuel de Falla ritratto di un genio fra parentesi

INVITO ALL’ASCOLTO

PIAZZOLLA TRA I CLASSICI

AI LIMITI DELL’IMPOSSIBILE

KATSARIS l’uomo capace di “divorare” il pianoforte

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TIEPOLO e quella speciale sintoniacon la musica

di Paola Artoni MUSICA & ARTE

Un pittore virtuoso,audace e vivace come le melodie del suo contemporaneo Vivaldi

Una pittura sontuosa, aerea, capa-ce di rispondere a un preciso in-tento: «Li pittori devono procura-re di riuscire nelle opere grandi [...] quindi la mente del Pitto-re deve sempre tendere al Subli-me, all’Eroico, alla Perfezione». Se questo era il desiderio espresso da Giovanni Battista Tiepolo (Ve-nezia, 1696 - Madrid, 1770), pos-siamo ringraziarlo non solamente per avere raggiunto in pieno il suo obiettivo ma anche per averlo tra-smesso intatto nel suo fascino sino ai nostri occhi contemporanei. Virtuoso, audace e vivace come la musica del suo contemporaneo Antonio Vivaldi, capace di toccare le corde dell’ironia più lieve come quelle del dramma più cupo, di raccontare storie sacre e vicende profane riportandole ai costumi settecenteschi, Tiepolo in più oc-casioni ha espresso la sua speciale sintonia con la musica. Basti pen-sare alla sue rappresentazioni dei concerti affrescati nei palazzi lagu-nari come nelle ville di terraferma, splendide scenogra!e per concer-

ti realmente eseguiti per la nobiltà veneziana, come pure alle allego-rie della musica e alle !gure aeree dei suoi elegantissimi angeli tar-dobarocchi. I disegni capricciosi, i modelletti veloci, le pale d’altare con le sante bionde avvolte in abiti serici, i magni!ci cicli di affreschi con gli scorci prospettici audacis-simi, sono appunti che raccolgo-no l’entusiasmo dei committenti intellettuali e politici del tempo, se è vero che i principi e i sovra-ni europei lo reclamano con vigo-re per le loro corti. Un entusiasmo che è giunto anche ai nostri giorni e che, tra l’altro, nel 2005 ha ispi-rato Hugues Dufourt nella compo-sizione de L’Afrique d’après Tiepolo per pianoforte ed ensemble, ispi-rata agli affreschi del Tiepolo di-pinti per la residenza di Würzburg. Nel dicembre del 1750 il principe vescovo aveva chiamato in Bavie-ra Tiepolo e i !gli Giandomenico e Lorenzo e da quella commissio-ne era nata la magni!ca decorazio-ne della Kaisersaal, seguita dall’af-fresco dell’Olimpo attorniato dalle

quattro parti del mondo per lo sca-lone monumentale, concluso nel 1753. Nel grande ciclo l’artista ha voluto rappresentare le allegorie dei quattro continenti all’epoca noti e il compositore francese ha più volte dichiarato di essersi ispi-rato proprio al parallelismo tra il movimento prospettico del colore dell’opera pittorica e il dinamismo sonoro ricavato dall’organizzazio-ne delle parti e dai rapporti tim-brici degli strumenti. E se questo tempo ci chiedesse ancora di «ten-dere al Sublime, all’Eroico, alla Perfezione»?

IN MOSTRA A VILLA MANIN

Sino 7 aprile Villa Manin di Passaria-no (Udine) ospita la mostra, curata da Giuseppe Bergamini, Alberto Cra-ievich e Filippo Pedrocco, dedica-ta a Tiepolo con opere provenienti da prestigiosi musei europei e ame-ricani. L’itinerario si completa con la visita al Palazzo patriarcale di Udine, ora Museo Diocesano, ove il giova-ne Tiepolo, a partire dal 1726, affre-scò il soffitto dello Scalone d’onore, la Galleria degli Ospiti, la Sala Rossa e la Sala del Trono, e a Trieste, al Ci-vico Museo Sartorio, che custodisce oltre 250 suoi disegni. Info: tel. 0432- 821210 [email protected] www.villamanin-eventi.it.

Foto relative alla mostra di Passariano e al citato ciclo di Wurzburg

40 musicalmente

ROCK, cronista del ventesimo secolo

Nel 1954 toccò a Elvis Presley incendiare

l’ingessato panorama musicale. Poi i Beatles,

Bob Dylan, Hendrix, Zappa e Vedder. Ma la storia non è finita

JACKSON RILETTO DA RAVA

Col suo nuovo On The Dance Floor, il trombettista Enrico Rava va a trovare ispirazione nel repertorio di Michael Jackson. Chi tuttavia si aspettasse una virata verso territori “dance” rimarrebbe deluso: ci troviamo davanti al miglior Rava di sempre. Strumentalmente possen-

te, creativamente instancabile, il trombettista italiano riassume ide-almente nel disco una vicenda personale che lo ha condotto dal vibrante free terzomondista degli anni Sessanta alla definizione di un linguaggio straordinariamente vario e personale. Come sempre accade quando un grande jazzman si avvicina ad un autore pop, Rava divora Michael Jackson e ne rivela qualità non sempre così visibili nell’originale.

di Giorgio SignorettiALTRA MUSICA

COHEN, MAESTRO DI CERIMONIE ALL’ARENA

Lo scorso 24 settembre a Verona, un’Arena in estasi ha abbracciato con gli occhi il grande cantante e poeta Leonard Cohen durante una vera e propria lezione magistrale sull’arte del racconto. Attraverso la messa in poesia del suo universo personale, Cohen, partendo dalla

magnifica Going Home, ha in realtà raccontato ai presenti i loro stessi naufragi e le loro stesse resurrezioni. Una gestualità di rara eleganza lo ha reso maestro di cerimonie in un setting spoglio ed intimo, nel quale musicisti di prima grandezza hanno delineato con forza e grazia paesaggi sonori della più grande varietà. Un saluto a Fabrizio De André lo ha avvicinato ancor più ad un pubblico già sedotto al suo apparire.

Il 1954 fu un anno denso di eventi premonitori che annunciavano, a chi non poteva ancora riconoscer-li come tali, il superamento della conformista cupezza del maccar-tismo: Joseph Mc Carthy in per-sona subì la pesante censura del suo Senato per “condotta politi-ca disonorevole” e il Vietnam del Nord cadde nelle mani dei futu-ri Viet-Cong sotto gli occhi di un remissivo presidente Eisenhower. E, più di ogni altra cosa, Elvis Pre-sley incendiò il tranquillo pano-rama della musica bianca con i suoni totalmente inediti che usci-vano dal bugigattolo del geniale Sam Phillips nel centro di Mem-phis. Il 5 luglio di quell’anno, con la registrazione di That’s All Right Mama, iniziava il grande racconto del rock. Perché di vero raccon-to si trattava: frasi smozzicate, ru-bate al blues o al country, lascia-te uscire con un’energia nervosa e una spavalderia disperata di cui solo un adolescente messo all’an-golo dalle proprie paure poteva conoscere il segreto. Il raccon-to si va subito allargando, diventa un’epica generazionale, passa gli oceani e cambia i paradigmi cul-turali. Nel 1962, il rock incontra l’Inghilterra ed esplode di nuova

freschezza grazie al ta-lento di Lennon e Mc-Cartney. Il linguaggio, tuttavia, è sempre quel-lo tenero dell’adole-scenza. Ma poi, nel 1965, in una burrascosa sera di !ne luglio, incontra Bob Dylan e, con lui, le nar-razioni di popolo del folk e la bohème neo-simbolista dei beat. Il “Rock d.D.” (dopo Dy-lan) produce i grandis-simi autori di !ne anni Sessanta (inclusi i gran-di esploratori Hendrix, Barrett e Zappa) ed ar-riva per!no a scuotere l’immobile scena italia-na, ferma all’ipocrisia sanreme-se che aveva ucciso Luigi Tenco e costretto Fabrizio De André alla semi-clandestinità. Dal lontano 1954 di Elvis, il rock non ha an-cora smesso di raccontare e, allo stesso modo in cui ha saputo es-sere il cronista più vibrante del ventesimo secolo, continua la sua missione con, ad esempio, le voci chiare e forti di Serj Tankian, Ed-die Vedder o, più vicino, del no-stro Caparezza.

Jimi Hendrix

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Se è BEETHOVENa fare la storiaUn romanzo com-pletamente intri-so di musica, tan-to che ci si mette quasi ad ascol-tare i suoni che sembrano uscire dalle pagine. Dai protagonisti, alla struttura, dalle vicende agli stru-menti musicali, il libro di Bruno Pedretti farà feli-ce gli appassiona-ti di classica. Ma incuriosirà anche chi cono-sce poco la musica, ma ama le belle storie. Romanzo in quattro tempi prende il via a Vienna, nel 1827. Un’im-mensa e commossa folla ren-de l’estremo saluto al genio di Ludwing van Beeethoven. Il musicista e la sua Nona sin-fonia saranno la colonna so-nora e il filo di Arianna di tut-to il racconto. Al funerale del maestro conosciamo infatti il timido adolescente Gerhard von Breuning, innamorato del-la musica, di Cecile e sconvolto dal-la morte del grande compositore come da quella di un padre. Il se-condo movimento ci porta a Tok-yo, nel 1872. Mori Noboru rien-tra in Giappone dopo cinque anni in Europa. Ha studiato la cultura “barbarica” ed è uno dei più con-vinti fautori del nuovo. La filosofia e le tecniche più moderne dovran-no ispirare l’era inaugurata dall’im-peratore Meiji, insieme alla musica per pianoforte e alle sinfonie di Be-ethoven. Ci spostiamo poi a Berli-no nel 1947. Il famoso direttore d’orchestra Wilhelm Furtwangler - reduce dall’umiliante “processo di denazificazione” per aver diret-to i Berliner Philharmoniker negli anni hitleriani - giunge nella città colma di macerie e sente che le om-

di Simonetta Bitasi LEGGERE

La sinfonia delle cose mute

di Bruno Pedretti, Mondadori 2012,

pp. 267, 18 euro

bre della storia continuano a sover-chiarlo. Ed infine in una città del Sudamerica nei primi anni Duemi-la il grande direttore d’orchestra Jo-nas Weger si sente alla fine dei suoi giorni e cerca solo l’oblio del silen-zio, quando la morte di due ragaz-zi nella notte di Natale lo scuotono e lo portano a dirigere il suo ultimo concerto con la Silencio Musical, un’orchestra di ragazzi sordi. Ed è a loro che il direttore intende con-segnarsi dirigendo l’Inno alla gioia con la lingua dei segni che divente-rà così la più alta espressione della musica del silenzio. La struttura e la trama del romanzo sono più com-plesse da raccontare che da leggere. Apprezzabile il tentativo di mutuare il ritmo della storia dal timbro delle sinfonie di Beethoven.

RIFLESSIONI SULLA MUSICA FIRMATE DANIEL BARENBOIN

«Capire la musica non è meno essenziale della comprensione filosofica dell’umana natura»: Daniel Baren-boim torna a riflette-re sulla musica. Sulla musica che si fa, che si legge, sulla musica che si interpreta, sulla musica che si ascolta. Sulla musica che in-terconnette, che stringe relazioni e le riem-pie di senso. Daniel Barenboim ha a cuore una visione della musica in cui etica ed estetica dialoghino continuamente. La musica è un tutto. Etica ed estetica, di Daniel Barenboim, Feltrinelli 2012, pp. 121, euro 12.

UN BRAVO RAGAZZO, STORIA DRAMMATICA DI UNA BANDIl passato: gli anni Novanta e la miglior band di Malasaha. Ma il passato ha anche il suono sinistro di un farmaco, il roipnol, la droga dello stupro. Il presente è un pome-riggio d’inverno nel quartiere di Fuencar-ral a Madrid quando i componenti della band si rincontrano dopo dieci anni dal drammatico evento che li ha fatti allontana-re forse per sempre. Un bravo ragazzo, di Javier Gutierrez, Neri Pozza 2012, pp. 176, euro 15.

PRIMO APPROCCIO DI QUALITA’ ALLA MUSICA CLASSICA

Musica per melomani in erba: i tre nuovi e coloratissimi libri cartonati con cd del-la Curci sono studiati con cura e professio-nalità e sono davvero quello che promet-tono. Un primo ap-proccio di qualità alla magia dei suoni e un emozionante percor-so di scoperta, per cominciare a educare l’orecchio in modo spontaneo e giocoso. Per bambini da 0 a 5 anni.AA.VV, Il mio libro illustrato dei suoni. Il mio libro illustrato degli strumenti. Il mio libro illustrato della musica, Curci 2012, euro13,90 con CD audio.

42 musicalmente

«Suonare uno strumento è una grande gioia, lo con-siglierei a tutti». Notare che questa volta a dirlo non è un pianista, un direttore d’orchestra o un musicologo. Sono le parole di un imprenditore di successo: Pietro Domeneghini, 47 anni, amministratore delegato di due aziende bresciane leader nel settore dell’arredo-bagno, ma anche sassofonista nel tempo libero, come rivela in questa sua prima intervista sulla musica.Quando ha iniziato a suonare il sassofono?«Mio padre teneva appeso in soggiorno come un ci-melio il sassofono contralto con cui il nonno suonava nella banda di paese. Subivo il fascino di quello stru-mento e chiesi a un artigiano di restaurarlo. Ero solo un ragazzino e sognavo di aver riesumato uno modello pregiato con cui avrei potuto lanciarmi in straordinari virtuosismi. In realtà si trattava di un sax mediocre e io non ero John Coltrane, però mi si è spalancato un mondo. L’amore per la musica è nato così. E con la band a scuola».Ci racconti.«Al Liceo Classico “Arnaldo” di Brescia con alcuni amici misi in piedi un gruppo. Ci chiamavamo i Sigma 6 in omaggio ai Pink Floyd. Ci suonavano due ragazzi che poi avrebbero fondato una band molto famosa, i Timoria: il cantante Omar Pedrini e il tastierista En-rico Ghedi».Incontri musicali importanti?«Quello con Sergio Malacarne che è stato prima trom-ba all’Arena di Verona e insegna al Conservatorio di Brescia. Nel tempo libero ho suonato nella sua Socie-tà Filarmonica di Bagnolo Mella, abbiamo anche par-tecipato a dei concorsi internazionali: un’esperienza che mi ha arricchito molto dal punto di vista culturale e umano».Trova ancora il tempo per suonare il sax?«Non molto, ma non ci rinuncio. Anzi, mi piacereb-be imparare anche a suonare la tromba e il trombo-ne che hanno una tecnica di emissione sonora ancora più interessante».I suoi ascolti musicali?«Soprattutto il jazz, poi il repertorio barocco per lo splendore sonoro dei fiati. I miei “classici” preferiti? I Concerti Brandeburghesi di Bach e la Musica sull’acqua di Haendel».È riuscito a trasmettere questa passione alle sue fi-glie?«Ci sto ancora lavorando (ride)! Marianna ha solo 9 anni, e Bianca 7: non voglio forzare le cose, però mi piacerebbe che anche loro suonassero uno strumen-to. È un’esperienza che consiglierei a tutti i giovani».Perché?«Intanto perché le scuole di musica e le sale da con-certo sono ambienti più “sani” per esempio dei centri commerciali, dove tanti ragazzi purtroppo passano in-teri pomeriggi. La musica ha una marcia in più anche rispetto allo sport: unisce le generazioni. Quando si suona insieme l’età non conta, conta il piacere di con-dividere una passione».

di Alice BertoliniIN PLATEA

ALLA GUIDA DI UN GRUPPO CON 180 DIPENDENTI

Piero Domeneghini nasce a Carpenedolo, Brescia, il 28 aprile 1965. Con i fratelli Luca e Marco guida il gruppo Finaxis, fondato dal padre Alessandro nel 1980, specializ-zato nell’arredobagno. Situata a Pavone Mella, nel cuore della bassa bresciana, l’azienda si sviluppa su 20mila mq di superficie ed è sud-divisa in 6 capannoni dove si eseguono tutte le fasi della lavorazione del legno. Conta su un organico di 180 dipendenti e su una rete di distribuzione che copre tutto il territorio nazionale. I marchi controllati dalla famiglia Domeneghini sono Cima Arredobagno, specializzata nella produzione di mobili per bagno, e Tda di San Gervasio Bresciano, leader in Europa del settore bagno, specializzata in cabine doccia, con sedi anche in Francia, Spagna e Portogallo.

Suonare il SAX grande gioia

da condividereParola di Pietro Domeneghini

imprenditore bresciano leader nel settore

dell’arredobagno che ha suonato con Omar Pedrini

Pietro Domeneghini

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