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Corso di Introduzione alla
Storia della Chiesa
SFTB - Diocesi di Nicosia
Prof. Michele Salvo Di Fini
Lezione n. 4, del 20-01-2014
Introduzione: i Padri della Chiesa e la gerarchia ecclesiastica
1 - La lotta contro le eresie: i primi Concili Ecumenici.
2 - La Chiesa e il Monachesimo fino a Gregorio Magno (604 d.C.).
3 - Il sorgere del primato papale: dogma dell’ infallibilità.
4 - Appendice: liste dei papi fino al 604 dC.
Introduzione: I Padri della Chiesa (vedi Lezione n. 3- Parte V, cap. VIII)
Introduzione: La gerarchia ecclesiastica
Con il termine di gerarchia cattolica si intende la suddivisione in gradi del clero cattolico,
anche se in origine essa comprendeva l'ordinamento di tutti i credenti. Il termine gerarchia
deriva dal greco: hierós («sacro») ed archeía («comando»). Mediante il battesimo, tutti ricevono
nella Chiesa cattolica il carattere profetico regale e sacerdotale. Clero e laicato sono tuttavia le
due grandi famiglie all'interno di tale istituzione, perché il fenomeno del profetismo si può
verificare sia nell'una che nell'altra categoria.
In tutti gli ordinamenti delle Chiese Cristiane, anche in quelle non cattoliche (ortodossi,
anglicani, protestanti), ovvero non sottoposte alla potestà del Vescovo di Roma (il Papa), si
ritrova una suddivisione della gerarchia in tre gradi fondamentali:
1. episcopi o vescovi
2. presbiteri o sacerdoti
3. diaconi.
Il vescovo ha il massimo grado del sacramento dell'ordine, comunicato in grado minore ai
presbiteri mediante l'imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione. Vescovo e presbiteri,
dunque, differiscono non solo riguardo alla giurisdizione (diocesi o eventuale parrocchia) ma
proprio in forza della diversa realtà sacramentale che hanno ricevuto nell'ordinazione. Lo stesso
dicasi per i diaconi, ordinati non ad sacerdotium ma ad ministerium; essi infatti non si
configurano a Cristo capo, come il vescovo e i presbiteri, ma ripresentano sacramentalmente
nella Chiesa Cristo servo, incarnando il principio ministeriale del servizio di cui il vescovo è
principio di unità. Oltre ai tre gradi dell'ordine sacro, si trovano anche dei titoli legati ad alcune
cariche particolari. Il vescovo di Roma, che è in quanto tale il capo della Chiesa cattolica, viene
comunemente chiamato Papa. Quello di Monsignore è un titulus sine re, ossia meramente
onorifico, mentre quello di Cardinale è invece legato all'ufficio di elettore del vescovo di Roma.
Ordini minori erano detti, nella Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II e nelle chiese
ortodosse, i vari ministeri ecclesiastici che non comportano una vera e propria ordinazione
sacramentale, ma conferiscono comunque lo status di chierico a chi li riceve. Quando nacquero
avevano carattere autonomo, come servizio che svolgevano alcuni membri della comunità
cristiana. Già nell'Alto Medioevo persero valore autonomo e cominciarono ad essere considerati
alla stregua di gradi successivi che preparavano a ricevere il diaconato e il presbiterato, sebbene
almeno fino al XVI secolo c'erano anche numerosi uomini (soprattutto studenti o "funzionari
pubblici") che ricevevano uno degli ordini minori per poter vivere della rendita finanziaria
derivante da un beneficio ecclesiastico. Dopo il Concilio di Trento, infine, gli ordini minori
furono ridotti unicamente a tappe per lo più formali durante gli anni di formazione nei seminari,
in preparazione all'ordinazione presbiterale.
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Essi erano, in ordine cronologico, i seguenti:
Ostiario: era l'addetto alle custodia delle porte della chiesa. Il suo compito era quello di
accogliere i fedeli, respingere gli indegni (da cui il nome popolare di scaccino), suonare le
campane per avvisare dell'imminenza del culto.
Lettore: era l'incaricato di leggere i brani della Sacra Scrittura (in particolare dell'Antico
Testamento), durante la liturgia.
Esorcista: chi riceveva questo ordine minore era incaricato di recitare particolari preghiere sui
catecumeni prima del loro battesimo, sia in casi speciali sugli "energumeni", cioè su coloro che
erano ritenuti posseduti dal diavolo (in realtà, questi erano gli incarichi di colui che veniva
ordinato esorcista, soltanto durante il primo millennio della storia del cristianesimo; con il
mutare dei tempi, fino alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II, l'ordinazione all'esorcistato
divenne puramente formale: nessun seminarista poco più che ventenne era davvero incaricato di
praticare esorcismi, riservati invece a preti incaricati appositamente dal vescovo).
Accolito: abilitava al servizio dell'altare, soprattutto nella messa.
Suddiacono: le chiese di rito bizantino considerano il suddiaconato un ordine minore, mentre la
chiesa latina lo ha considerato, fino al Concilio Vaticano II, un ordine maggiore. Sulla natura di
questo ministero si ebbero accanite discussioni, soprattutto al tempo della Scolastica, per
stabilire se appartenesse agli ordini maggiori o minori. A partire da questo ordine era richiesto
nella chiesa latina l'obbligo del celibato.
Nella Chiesa cattolica di rito latino dopo il Concilio Vaticano II
Dopo il Concilio Vaticano II nella Chiesa Cattolica di rito latino sono stati aboliti gli ordini
minori dell'ostiariato e esorcistato (quest'ultimo svolto in altre forme); è stato abolito anche il
suddiaconato. Invece sono rimasti il lettorato e l'accolitato, che però sono considerati dei
ministeri che non cambiano lo status del laico in essi istituito (in altre parole, non ne fanno un
chierico).
Nelle altre Chiese
Le Chiese orientali annoverano tra gli ordini minori solo il suddiaconato e il lettorato.
Alcune chiese della comunione anglicana hanno mantenuto o ripristinato gli ordini minori
tradizionali latini.
I ministeri e i servizi pastorali
La parola "ministero" non appartiene al nostro linguaggio usuale, ma fa venire in mente i
"palazzi del potere"! Eppure essa deriva da un termine latino che significa "servizio" ed
esprime un aspetto costitutivo del volto della chiesa.
Infatti i testi del Nuovo Testamento, che ci riferiscono la vita delle prime comunità cristiane,
mostrano come esse si siano subito organizzate con diverse forme di servizi-ministeri, sulla base
della varietà dei doni (chiamati anche "carismi") distribuiti dallo Spirito, e della differenza
della fisionomia e dei bisogni di ciascuna chiesa (v. 1Cor 12,4-1 l; Ef 4,11-16).
Negli ultimi decenni l'esperienza dei ministeri non ordinati e DEL SEVIZIO PASTORALE
DEI LAICI è riemersa sia nelle chiese di recente evangelizzazione, sia in quelle di più antica
tradizione cristiana, con esiti e problemi molto diversi.
Sul tema della ministerialità laicale il magistero della chiesa universale si è espresso anzitutto
nel Concilio Vaticano II, il quale, sullo sfondo di una ecclesiologia caratterizzata dalla
comunione e dalla diversità dei doni e dei compiti per la missione, ha riaffermato il principio
che “a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l'apostolo Paolo
nell'evangelizzazione, (i laici) hanno la capacità di essere assunti dalla Gerarchia ad
esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici ecclesiastici” (LG, 33). Un passaggio molto importante è stata poi la Lettera "Ministeria quaedam" di Paolo VI
(15.8.1972), nella quale veniva riaperto ai laici (solo maschi) l’ accesso ai due antichi "ministeri
istituiti" del lettorato e dell'accolitato, fino ad allora riservati ai candidati al presbiterato.
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La più recente presa di posizione sui ministeri laicali, consapevole anche delle problematiche
che li accompagnano, è la lettera di Giovanni Paolo II "Christifideles laici" (30.12.1988), al
n. 23. La Conferenza episcopale italiana ha proposto i ministeri (e in particolare i ministeri non
ordinati) nel programma pastorale per gli anni '70 "Evangelizzazione e sacramenti" (12.7.1973,
ai nn. 105-107), e più espressamente nel documento "I ministeri nella chiesa" (15.9.1973), che
adattava alla situazione italiana le indicazioni di Paolo VI sul lettorato e l'accolitato, e
individuava, come eventuali nuovi ministeri non ordinati da chiedere, il catechista, il cantore-
salmista, il sacrista e gli operatori di carità.
Il testo più diretto e organico, comunque, è il documento pastorale "Evangelizzazione e
ministeri " (15.8.1977), nel quale viene definito il ministero straordinario della distribuzione dell’ Eucarestia, che rappresenta un servizio diffuso e prezioso anche nella
nostra Chiesa.
Parte Prima
La lotta contro le eresie :
i primi Concili Ecumenici
I. Eresie e Concili
Eresia è un termine storico religioso e teologico che indica un movimento religioso, segnalato
come deviante da un altro movimento religioso appartenente alla stessa tradizione religiosa.
"Eresia" deriva dal greco αἵρεσις, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō,
"afferrare", "prendere" ma anche "scegliere" o "eleggere"). In tale ambito indicava anche
delle scuole come quella dei Pitagorici o quella degli Stoici.
In ambito cristiano, il termine, assente nei vangeli canonici, compare negli Atti degli
apostoli (5,17: eretico, era colui che sceglieva, colui che era in grado di valutare più
opzioni prima di scegliere) per indicare varie scuole (o sette) come quelle dei Sadducei,
Cristiani e Farisei. E sia in greco antico che in ebraico ellenizzato questo termine non
possedeva, originariamente, alcuna caratteristica denigratoria. Ma con le Lettere del
Nuovo Testamento tale neutralità del termine viene meno: in 1 Cor. 11,19 haìresis inizia
ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la "separazione", la "divisione" e la
rispettiva condanna. Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di hairesis procede
con l'analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.
Nell'ambito del cristianesimo si tende a fare una distinzione fra eresia e scisma:
quest'ultimo comporta un distacco dalla chiesa ortodossa senza "perversioni nel dogma"
(secondo la definizione di San Girolamo). Anche se, secondo alcuni teologi cattolici, lo
scisma inveterato finisce per assumere anche caratteristiche dottrinali eretiche.
« Sotto il profilo giuridico-ecclesiastico, eretico è definito colui che, dopo il battesimo, e
conservando il nome di Cristiano, ostinatamente si rifiuta o pone in dubbio una delle
verità che nella fede divina e cattolica si devono credere »(Karl Rahner, Che cos'è
l'eresia?, p 29). Varie opere dell'apolegeta e dello scrittore cristiano Tertulliano sono
dirette contro gli eretici e le rispettive eresie: Marcione, Valentino, Prassea. Il Padre della
Chiesa Agostino d'Ippona rivolse la sua polemica principalmente contro i manichei, i
donatisti e i pelagiani.
In un decreto successivo alla vittoria su Licinio e al Concilio di Nicea I, Costantino
condannò le dottrine degli eretici (Novaziani, Valentiniani, Marcioniti, Paulianisti e
Catafrigi).
- CONCILIO ECUMENICO
E' espressione di tutta la chiesa sparsa nel mondo intero. E' convocato e presieduto dal
papa, il quale ne stabilisce la tematica, fissa l'ordine del giorno e infine chiude i lavori e ne
ratifica le deliberazioni.
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- I concili nella storia
Ci sono stati fino ad oggi, nella storia della chiesa cattolica, 21 concili ecumenici, otto dei
quali all'epoca della chiesa antica. I primi otto concili ecumenici sono stati convocati,
aperti, diretti e convalidati non dal papa di Roma bensì dall'imperatore.
- I primi 5 Concili
Nicea, 20/5/325-25/7/325, papa Silvestro I. Consustanzialità del Figlio col Padre, viene
stabilito un Credo antiariano.
Costantinopoli, maggio 381-luglio 381, papa Damaso I. Divinità dello S. Spirito - Credo.
Efeso, 22/6/431-17/7/431, papa Celestino I. Provvedimenti contro Nestorio (forte influenza
dell'Imperatore e del Patriarca di Alessandria, Cirillo) - Dogma di Maria, Madre di Dio.
Calcedonia, 8/10/451- 1/11/451, papa Leone Magno. Contro il Monofisismo.
Costantinopoli (II), 5/5/553-2/6/553, papa Virgilio. Condanna dei tre capitoli proposti dai
Nestoriani.
II. La crisi ariana (318-325 dC): il Concilio di Nicea
Ario, presbitero originario della Libia, formato alla scuola di Luciano d’Antiochia, a
partire dal 318 ad Alessandria comincia ad esporre una nuova concezione di Cristo:
“creato dal nulla, un tempo non era, ha libero arbitrio”. Condannato dal vescovo
Alessandro, ed espulso da Alessandria, Ario ricorre ad Eusebio di Nicomedia ed Eusebio
di Cesarea, che cercano di farlo tornare ad Alessandria.
Alessandro informa il papa Silvestro. Interviene Costantino per rimettere pace e, su
consiglio di Osio di Cordova, convoca un concilio ecumenico a Nicea nel 325, dove viene
proclamato che il Figlio “è della stessa sostanza del Padre” Verso il 318, Ario,
ricollegandosi alla radicata tradizione alessandrina del subordinazionismo cristologico, si
mise a predicare che ci “fu un tempo in cui il Figlio non esisteva". Con ciò, egli voleva
dire che il Figlio era stato creato dal Padre e non ne condivideva pertanto la stessa natura
divina. Ma questa predicazione lo mise in urto con il suo vescovo Alessandro. Nel 325 lo
stesso Costantino, molto preoccupato per la situazione, pensò bene di convocare un
concilio a Nicea per dirimere la questione di tutta la chiesa imperiale, il cui cerimoniale fu
ispirato ad una visione del futuro che doveva dimostrare agli occhi dei sudditi la pacifica e
felice unità di vescovi e imperatore, colonne dell'impero e della sua stabilità.
L’ intervento di Costantino ristabilì l’unità della Chiesa contro le scissioni prodotte
dall’eresia ariana (negazione della divinità di Gesù). In realtà Costantino fa convocare un
concilio a Nicea per timore di risvegliare i nazionalismi egiziani (contrari ad Ario) e siriani
(favorevoli). Promulgazione di un credo e di altri canoni. Le fonti più antiche
attribuiscono concordemente a Costantino l'iniziativa di questa decisione e vanno credute.
È sicuro che Costantino né condusse trattative con Roma per un'eventuale convocazione
del grande sinodo né chiese l'approvazione del vescovo romano.
Solo la più tarda leggenda di Silvestro che racconta del battesimo dell'imperatore nel
palazzo lateranense e della sua guarigione dalla lebbra porta per la prima volta il papa in
primo piano affermando che “su suo comando”' si era tenuto il sinodo di Nicea.
“Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza (omooùsios) del Padre".
Per molti padri di Nicea il termine indicava certamente che il Figlio non era meno divino
del Padre e che entrambi perciò erano egualmente divini, così come in questo modo, i
padri e i figli sono egualmente umani.
Per gli occidentali invece e per alcuni orientali, “consostanziale” significava che Padre e
Figlio erano una cosa sola in un'unica divinità. Entrambe le interpretazioni escludevano
le idee erronee di Ario. In queste righe del Credo niceno è condensata la teologia del
Concilio. L'imperatore Costantino appoggiò i risultati del concilio, esiliò Ario e i due
vescovi suoi stretti seguaci. I vescovi dopo le questioni dottrinali, dovettero regolare
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questioni di importanza diseguale: Scisma di Melezio: furono prese misure benevole.
Data della Pasqua.
Il can. 7 riconosce al vescovo di Aelia Capitolina (Gerusalemme) un primato di onore,
fatta salva la dignità del metropolita (vescovo di Cesarea). Si proibisce ai preti l’usura, la
coabitazione con donne; non si obbliga la continenza ai preti sposati. Regolata la
riconciliazione. La domenica e il giorno di Pentecoste non si deve pregare in ginocchio. E'
veramente ecumenico. Prende decisione in materia di fede.
Il modo con cui si arriva alla sentenza è significativo per la storia dei dogmi: tra errori la
chiesa cerca di fissare singoli precetti di fede.
Costantino minacciava, ma non annullava la libertà.
Costantino nella lettera alla comunità di Alessandria scrive: "Ciò che hanno deciso 300
vescovi, non è altro che la decisione di Dio, poiché lo Spirito Santo presente in questi uomini
ha loro manifestato il volere di Dio stesso".
Costantino morì nel 337. Si verificano sanguinose tragedie di palazzo. Gli succedettero per
l'occidente Costante, niceno, e per l'oriente Costanzo II, ariano.
Le varie tendenze teologiche schematicamente si possono presentare in questo modo:
a. Niceni:omousiani: Figlio consostanziale (omoousios) al Padre;
b. anomei: Figlio diverso (anomoios) dal Padre;
c. omeusiani: Figlio simile (omoios) al Padre;
d. Semiariani: aggiungeranno ‘in ogni cosa’.
III. I Padri Cappadoci e il Concilio di Costantinopoli (381 dC)
Teodosio convocò il concilio, per mettere fine alla disputa intorno all'arianesimo e
normalizzare la situazione della chiesa: nel 381 si riunirono a Costantinopoli, nel palazzo
imperiale, 150 vescovi orientali, tra cui Gregorio di Nazianzo, i fratelli di Basilio, Gregorio
di Nissa e Pietro di Sebaste, Melezio di Antiochia e Cirillo di Gerusalemme.
Presiedeva Melezio di Antiochia per volontà dell'imperatore. Il concilio approvò Gregorio
di Nazianzo vescovo di Costantinopoli; morto Melezio, lo elesse presidente.
Prendeva così forma il Simbolo niceno-costantinopolitano:
"Crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre (e dal Figlio).
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti".
Al conseguimento di questo risultato aveva potentemente contribuito l'approfondimento
dottrinale operato da Atanasio e dai Padri Cappadoci. Basilio in particolare era riuscito
ad elaborare la formula: Dio è una sostanza, ma in tre persone (ipostasi) distinte.
Aveva anche chiarito definitivamente la natura divina dello Spirito Santo contro quanti la
mettevano in dubbio o la negavano apertamente, pneumatomachi e macedoniani.
Lo Spirito procede dal Padre, recita il simbolo di Costantinopoli. Nella traduzione latina
qualcuno introdusse l'aggiunta “filioque”, certamente con la pia intenzione di sottolineare
la duplice processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio, e quindi di rafforzare
l'affermazione della sua divinità. Fin dal IV secolo la chiesa greca insegnava una
processione dal Padre attraverso il Figlio. La diversità sta più nella formulazione che nella
sostanza. Eppure si pongono le premesse per un dissidio teologico tra la chiesa latina e
quella greca che dura ancora ai nostri giorni. Alla fine il concilio promulgò alcuni canoni.
Il canone terzo fu il più carico di conseguenze: "Il vescovo di Costantinopoli avrà il
primato dell'onore dopo il vescovo di Roma, perché Costantinopoli è la nuova Roma". Sta
qui il germe della rivalità tra Roma e Costantinopoli, di cui il canone 28 di Calcedonia sarà
un nuovo segno e che, dopo ripetute contese, sfocerà nello scisma del 1054.
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IV. Il concilio di Efeso: 431 dC
Crisi latente tra Alessandria ed Antiochia.
Nestorio è contrario all’appellativo di Madre di Dio per Maria (teotocos: festa del 1
gennaio). Cirillo sottopone la questione al Papa.
Teodosio II convoca un concilio ad Efeso nel 431. Maria è proclamata Madre di Dio in
quanto madre della persona di Cristo (Uomo e Dio).
L'imperatore Teodosio II (408-450) convoca il concilio a Efeso. E’ papa Celestino I. Viene
invitato anche Agostino, che era però già morto un anno prima dell’apertura del concilio
che fu convocato nel 431. Sia i preparativi sia l'andamento dei lavori furono agitati da
turbolenze. Cirillo ricorse in qualche caso addirittura alla forza. Arrivarono tutti a Efeso
pochi giorni prima della Pentecoste, e trovarono Nestorio già lì, sedici vescovi, i chierici
che li assistevano e parecchie guardie del corpo armate.
Cirillo si sentì l'autentico signore del concilio, la cui guida non fu quindi certamente sotto
la regola della più rigorosa obiettività. Lo svolgimento del concilio mostra che egli era
deciso a portare alla vittoria quelle sue idee con metodi estremamente sospetti e pericolosi.
Ci furono tentativi di corruzione indegni di un vescovo del quale il vecchio e saggio
Tillemont ebbe a scrivere: “S.Cirillo è santo, ma non si può dire che tutte le sue azioni siano
sante”. I vescovi orientali giunsero dopo cinque giorni e i delegati romani dopo due
settimane. Il sinodo di Cirillo depose Nestorio che aveva rifiutato di presentarsi.
L'imperatore sostenne alla fine il partito maggioritario alessandrino e chiuse il concilio
nell'ottobre del 431. Alla fine aveva vinto il partito di Cirillo, dal momento che
l'imperatore tratteneva in carcere il solo Nestorio. Cirillo poteva contare sul sostegno di
vescovi metropolitani come quello di Efeso che mal tollerava la supremazia di
Costantinopoli, e quello di Gerusalemme che voleva rendersi indipendente da Antiochia.
La sua posizione incontrò pure il sostegno unanime dei fedeli, portati a immaginare Cristo
come Dio in forma umana e ad adorare la sua carne incorruttibile nell'Eucaristia. I
monaci poi si schierarono in prima linea a difendere Cirillo.
L'unico risultato del concilio fu la condanna di Nestorio e la conferma del titolo 'madre di
Dio': non venne formulato nessun testo e nessun simbolo.
V. Figure: Papa Leone Magno (440-461 dC)
Mediatore di contese anche prima di essere papa, fa crescere il prestigio di Roma.
Porta in occidente il Codex Theodosianum favorevole ai cristiani contro le eresie.
Protagonista del Concilio di Calcedonia con il Tomo a Flaviano.
Fermò la discesa degli Unni presso Mantova (anche a motivo della peste che infieriva in
Italia). Contenne i saccheggio di Genserico nel 455 che sbarcò ad Ostia e si presentò a
Roma.
VI. Il concilio di Calcedonia (451 dC)
Una tesi devota di Eutiche (l’umanità di Gesù è assorbita dalla sua divinità) diviene causa
di controversia teologica. Dioscoro, vescovo di Alessandria, la sostiene contro Flaviano,
vescovo di Costantinopoli.
Si convoca un secondo concilio ad Efeso (nel 448 dC l'imperatore Teodoro II indisse ad
Efeso un secondo concilio senza papa e colla partecipazione dei patriarchi di Alessandria e
Costantinopoli, che riabilitò Eutiche, condannato per eresia monofisita dall'Efesino Primo.
Il concilio non fu riconosciuto da Roma che lo definì un "latrocinio“), sconfessato in
seguito dal papa Leone I Magno, poiché non viene preso in considerazione il suo “Tomo a
Flaviano” in cui si prospetta la soluzione.
Gli imperatori Marciano e Pulcheria vollero un nuovo concilio a Calcedonia nel quale si
accettò il Tomo a Flaviano, ma si votò un canone in cui si equiparava Roma a
Costantinopoli. Papa Leone Magno nella sua celebre Epistola Dogmatica ad Flavianun si
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schierò con il patriarca di Costantinopoli e chiarì in modo autorevole la vera dottrina
dell'unione delle due nature nell'unica persona del Cristo (unione ipostatica).
Intanto il papa pregava il successore di Teodosio, Marciano, di convocare un nuovo
concilio, che fu il 4°, a Calcedonia (451).
Vi convennero più di 500 vescovi da tutto l'oriente. L'occidente fu rappresentato da una
sparuta delegazione.
Alla presenza dell’imperatore e dell’imperatrice, dopo laboriose discussioni, si respinge la
teoria monofisita dell'unità della natura in Cristo e si definisce nella sesta sessione, come
dogma che: in Cristo ci sono due nature, non confuse, non trasformate, non divise e non
separate, bensì congiunte in una sola persona o ipostasi (inconfuse, immutabiliter, indivise,
inseparabiliter). A Calcedonia il canone 28 riconfermò i privilegi della sede di
Costantinopoli; il fatto grave è che questa preminenza viene fondata sul prestigio politico
della città imperiale, “la nuova Roma”.
Pur pregato dal concilio e dall'imperatore di convalidarlo, Leone Magno rifiutò. Esso era
in contraddizione con la dottrina, da questo papa riconosciuta con grande chiarezza e con
altrettanto grande fermezza rappresentata, del primato romano.
Calcedonia segnò la fine di un'era. Veniva confermato, a poco più di un secolo dalla morte
di Costantino, quale grande ruolo la chiesa avesse acquisito nella società e nella vita dei
popoli. I vescovi avevano accresciuto enormemente i loro poteri e la loro autorità, le chiese
la loro ricchezza; la carriera ecclesiastica era stata riconosciuta come un servizio civile.
L'autorità morale della chiesa era divenuta enorme.
A Calcedonia si pongono le basi per il successivo sviluppo del pensiero teologico
occidentale. Primato di Roma per diritto divino (da Pietro in poi, sede papale).
A Gerusalemme fu riconosciuto il rango di patriarcato non per la sua importanza politica,
ma per il significato religioso unico che la città rivestiva per la fede cristiana e per la
nascita della Chiesa.
Prima delle separazioni interne alla Chiesa, avvenute in occasione dei Concili di Efeso e di
Calcedonia, la parte orientale della grande Chiesa comprendeva dunque interamente i tre
patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, accanto a quello di Costantinopoli.
I primi due furono centri attivi di vita e di cultura cristiana, e dettero contributi preziosi e
determinanti alla formulazione della fede comune nell’epoca dei primi Concili (IV-V
secolo). Vanno sottolineati due punti importanti.
1. Riprendendo il linguaggio e la dottrina del Tomo a Flaviano, la definizione di Calcedonia è
una ferma professione di fede della Chiesa nell’unica Persona di Cristo in due nature. Supera
e integra le due teologie di Antiochia ed Alessandria.
Nella chiesa non verrà mai più messa in discussione. La dottrina delle due nature
provocherà, però, la reazione dei ‘cirilliani’ i quali si attengono alla formula dell’‘unica
natura’: le dispute ‘monofisite’ daranno origine a uno scisma non ancora completamente
risolto.
2. D’altra parte, contro le pretese della sede di Costantinopoli, fondate sull’importanza
politica della ‘nuova Roma’, si afferma l’autorità del vescovo di Roma radicata nella parola di
Cristo a Pietro. Su questo punto Papa Leone è molto deciso.
Se in questo momento i rapporti tra Roma e Costantinopoli sono più facili, si guasteranno
assai presto, fino allo scisma del 1054 dC.
VII. Il secondo Concilio di Costantinopoli (553 dC)
Giustiniano, dopo un editto (l’editto dei Tre Capitoli) di condanna di opere di tre autori
(Iba di Edessa, Teodoro di Mopsuestia e Teodoreto di Ciro) fatto intorno al 545 e che non
fu accettato da molti vescovi in occidente, fece convocare un Concilio nel 553.
Conferma della condanna degli errori trinitari e cristologici precedenti e di quelli
derivanti da Origene (origenismo) e dai tre Capitoli nestoriani (Teodoro di Mopsuesta,
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Teodoreto di Ciro, Iba di Edessa). Giustiniano fece trasferire a Costantinopoli il papa
Vigilio, che era stato eletto a Roma con il suo appoggio. Il papa sottoscrisse la condanna
dei Tre Capitoli, ma l’esito non fu quello sperato.
In Italia ci fu uno scisma delle chiese di Milano e Aquileia che durò almeno fino all’inizio
del VII secolo, anche se poi fu definitivamente ricomposto solo nel sinodo di Pavia del 698
Parte seconda
La Chiesa e il Monachesimo
fino a Gregorio Magno (604 d.C.).
VIII. Il «mondo» come problema: Gregorio Magno e le Origini del monachesimo cristiano - La
santità dopo l’era dei martiri
VIII. 1 - San Gregorio Magno e la sua riforma
Gregorio (540-604) era discendente della famiglia illustre degli Anici, da cui era venuto il
papa Felice II (483-492). Diventa governatore della città, poi si fa monaco trasformando in
monastero la sua casa sul Celio.
Per cinque anni è inviato nunzio a Costantinopoli.
Diventa papa nel 590 dC. Invia a Teodolinda la corona ferrea e ad altri re Franchi e
Visigoti altre reliquie.
Politica di convivenza e rappacificazione tra vari regnanti e cura della supremazia di
Roma in ambito religioso. Preoccupazione missionaria.
Conosciuta in oriente la bellezza e sublimità della liturgia bizantina, fissa quella romana
secondo modi e testi molto più semplici per la rozzezza dell’ambiente occidentale.
Anche le melodie del canto sono fissate nel modo in seguito definito gregoriano.
Tutte le chiese d’occidente, tranne Milano, accolsero la riforma gregoriana.
Figura importante quella di Gregorio, durò poco il suo tempo da monaco, venne
richiamato da Pelagio II e mandato a Costantinopoli, qui cerco tra l'altro di chiedere
all'imperatore l'aiuto per la difesa di Roma circondata da Barbari.
Nel 586 tornò a Roma e divenne consigliere di Pelagio II, alla sua morte gli successe come
papa. Gregorio cercò di vedere più che avversari nei barbari, specialmente nei longobardi
che erano più minacciosi, dei popoli da convertire, così cercò di fare questo.
Mandò monaci presso le popolazioni germaniche non convertite al cattolicesimo e cercò di
ristabilire lo Scisma dei Tre Capitoli, riuscendo a tirarne fuori qualche vescovo.
Importante l'idea di Gregorio secondo cui si dovevano accettare gli usi differenti
arricchendoli di cristianità.
VIII. 2 - Il monachesimo orientale
Qui, per il persistere dell “ideologia costantiniana”, si accentua la sacralizzazione
dell’impero, al punto che la gerarchia ecclesiastica e l’apparato statale formano un
intreccio inestricabile. Si fa luce, così, la prima corrente monastica cristiana, che trae
ispirazione dai quaranta giorni trascorsi da Gesù nel Deserto di Giuda, per propugnare un
ritorno del cristianesimo alle sue genuine radici evangeliche attraverso la povertà e la
preghiera. Pertanto il monachesimo orientale si presenta come un vasto movimento
profetico, un «martirio spirituale», che non nasconde le sue riserve nei confronti di un
certo cristianesimo compromesso col potere.
Cammineranno sulle orme di S. Antonio del Deserto santi e teologi come Atanasio,
eccentrici eroi dell’ascesi cristiana, come S. Simone Stilita e anche qualche rappresentante
di un monachesimo eretico.
Antonio (251 - 356) è il primo e più noto, fatto conoscere dalla Vita di Antonio di Atanasio.
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Pacomio (287 – 348), ex militare, nel 320 nell’Alto Egitto, fonda una comunità che si
sottopone a una Regola da lui elaborata: vita comunitaria autosufficiente, esercizio di virtù
e preghiera, accoglienza ai bisognosi; uguaglianza, obbedienza, non sacerdoti …
In Palestina: San Caritone (330) fonda una laura (celle attorno a una chiesa); Eutimio
(411) ne fonda un’altra presso il Mar Morto; Rufino di Aquileia e Melania sul Monte degli
Ulivi (380); San Girolamo e Paola a Betlemme (386).
In Siria: eremitismo e stilitismo (es. Simeone Stilita il Vecchio vissuto tra il 380 e il 456
presso Antiochia). In Asia Minore: Eustazio di Sebaste (341), Basilio di Cesarea (Regola
basiliana: lavoro, studio della Sacra Scrittura e preghiera).
Il Concilio di Calcedonia sottopose i monaci al vescovo diocesano, impose la stabilità nel
monastero, la sottomissione al vescovo se presbiteri.
VIII. 3 - Il monachesimo occidentale
In Occidente la gerarchia episcopale è tradizionalmente più autonoma rispetto al potere
politico. Inoltre dal 476 la gerarchia ecclesiastica è l’unica istituzione che resta in piedi ed
è quella che inevitabilmente verrà chiamata a colmare questo vuoto di autorità.
Perciò vediamo che qui il monachesimo percorre altre strade: troviamo monaci
pastoralmente impegnati, in veste di vescovi, nella tutela del bene comune, come S.
Martino, S. Ambrogio, S. Leone Magno e perfino monaci-intellettuali, come S. Girolamo.
A loro va il merito di avere trasmesso al medioevo latino l’immensa ricchezza umana, non
solo religiosa, di mille e cinquecento anni di saggezza non cristiana.
Emulazione dell’oriente grazie all’opera di Atanasio.
A Roma intorno al 380 ci sono comunità femminili (Marcellina, Melania minore e Proba).
Nel 371 San Martino, divenuto vescovo di Tours, vi fonda una comunità monastica e affida
loro compiti pastorali. Sant’Onorato, poi vescovo di Arles (428) aveva fondato a Lerino,
isola di fronte a Cannes, un cenobio da cui uscirono molti vescovi.
Presso Marsiglia, nel 411, San Giovanni Cassiano fonda due monasteri e scrive sulla vita
cenobitica. Sant’Agostino fonda a Tagaste una comunità cenobitica con studio della
teologia e della Sacra Scrittura.
Benedetto nacque a Norcia, intorno al 480 da una famiglia nobile e prosegue gli studi a
Roma nei primi anni del VI secolo.
Si dedica alla vita ascetica con altri nei pressi di Tivoli e quindi si ritira in solitudine
presso Subiaco. Chiamato a dirigere un monastero (forse a Vicovaro), lo abbandona per
fondare un nuovo monastero a Montecassino nel 529.
Compose la Regola, punto di arrivo della tradizione monastica precedente: servire amare
Dio, obbedire per amore, ora et labora.
Santa Scolastica, sua sorella, inizia una comunità femminile con altre donne.
San Benedetto muore il 21 marzo del 547
Benedetto di Norcia (m. 550-560), ricevendo l'abito dei monaci nella già presente comunità
di Subiaco, si stabilisce poi a Montecassino. Scrive la tua regola, la più importante
d'Occidente, negli anni 533-545.
Utilizza elementi egiziani, non troppo Basilio e Cassiano, risente molto dell’influsso
agostiniano. Moderazione ed equilibrio. Vita interiore, silenzio, psicologia e conoscenza
dell’animo umano che riveste grande importanza tanto per l'abate come per i monaci.
Teocentrismo forte, cristocentrismo, conversione e ritorno a Dio. Primato dell’’umiltà e
voto di stabilità. La sua fortuna sarà la pubblicità che riceverà da Papa Gregorio I (m.
604).
Altri fondatori: Cassiodoro, Marino di Braga (Portogallo), Isidoro di Siviglia, Leandro di
Siviglia (Spagna).
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IX. MONACHESIMO: IL BACKGROUND (=sfondo)
Nella Chiesa antica il martirio è considerato il modello perfetto della vita spirituale.
Terminate le persecuzioni si deve trovare uno stato di vita altrettanto elevato. La vita
errante e missionaria insieme alla verginità assumono questo ruolo.
Il monachesimo ha sviluppato queste due forme: le origini del monachesimo egiziano sono
esattamente questo. La vita del deserto nella verginità e nel digiuno è lo sviluppo delle
prime forme radicali.
Elementi chiave: il digiuno, la penitenza, la solitudine, il disprezzo della vita corporea.
Il cristocentrismo è l'elemento principale: anche alcune motivazioni sono in parallelo con
altre religioni non cristiane, il monachesimo ha questo asse cristologico quale motivazione
principale. Ci sono anche forme di imitazione di Giovanni Battista e memorie ebraiche,
ma la ragione principale è la sequela di Gesù povero e crocifisso.
L’ascetismo
L'ascetismo (ascesi, formazione) è un atteggiamento comune a molte religioni.
EBRAISMO: digiuno per spiegare il lutto, la penitenza, Kippur, l'astinenza sessuale per
motivi di purità rituale.
CRISTIANESIMO: (con radici ebraiche) l'ascetismo è fortemente legato all'idea del
martirio.
ESEMPIO: Cristo, Paolo, gli Apostoli.
Caratteristiche: la vita errante (Mt 10,9 e 15) e missionaria, la guarigione dei malati,
l'astinenza sessuale tra le coppie da dedicare alla preghiera (1 Cor 7,5).
LA VERGINITÀ
È il modo migliore (non ha quasi nessuna radice ebraica). Socialmente molto riconoscibile.
Le vergini presto assumono una visibilità e una organizzazione nella comunità con
funzioni spirituali e onore da parte di tutti. Molti autori scrivono su questo ideale: Ignazio
di Antiochia, Policarpo, Erma, Clemente Alessandrino, Tertulliano, Origene, Cipriano.
Alla fine della persecuzione questa visione aiuta molto la spiritualità, considerando la
verginità come nuovo martirio. A poco a poco entra la motivazione mariana.
Metodio muore nel 311: IL BANCHETTO DELLE DIECI VERGINI è il primo trattato
sull'argomento: la verginità spirituale è più importante di quello fisica. La sposa anima di
Cristo. La radice è il Cantico dei Cantici biblico.
La verginità come un modo universale per tornare alla condizione originale, per tutti, che
si conclude con l'arrivo del principe delle vergini, Gesù. Tutta la storia dell'umanità va in
questa direzione. Visione cosmica e universale della verginità.
Ma anche visione positiva della procreazione come opera divina che continua la
Creazione.
Eusebio presenta il tema nelle omelie. Anni 295-359 dC. La verginità è superiore al
matrimonio, ma anche il matrimonio è importante. La verginità è un dono di Dio, portata
da Cristo, attraverso cui gli uomini e le donne possono vivere la vita degli angeli.
BASILIO DI ANCIRA (m. 364) presenta gli aspetti fisiologici della sessualità (prima di
essere vescovo era un medico). Visione dualistica: la verginità è uno stato di viCrisostomo:
più equilibrato, argomenta contro chi argomenta contro il matrimonio perché lo considera
peccato e contro chi si scaglia contro la verginità perché la ritiene impossibile.
Atanasio: Lettere alle Vergini (ispirerà S.Ambrogio). Le vergini sono le spose del Verbo.
La loro vita è come quella degli angeli. Maria è un esempio. Ma si difende anche il
matrimonio.
Importanza della testimonianza: l’ammirazione dei pagani può diventare molto profonda.
Giungono a stimare questa pratica che è solo cristiana.
Zeno: se ci fosse qualcosa di meglio della verginità, Cristo la avrebbe dato a sua madre.
Dandole la sua verginità, Cristo dimostra la sua preferenza.
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AMBROGIO: sintesi completa dell'argomento, considerato il più completo dell'epoca
patristica. Base biblica della prima patristica, il misticismo di Origene, di antica saggezza.
Libertà della verginità rispetto al matrimonio considerato schiavitù.
GEROLAMO: Contra Elvidio e Contra Joviniano. Perde l'equilibrio. Visione molto
pessimistica del matrimonio. La verginità come eroismo, in luogo del martirio. Unico
segno di Dio nel mondo corrotto dal peccato pagano.
AGOSTINO: De Sancta Virginitate. Componente autobiografica forte e influenza
ASPETTI ECCLESIALI DEL MONACHESIMO
C'è una dimensione cosmica e ed ecclesiale: non è un atteggiamento anti-imperiale, perché
inizia prima di Costantino. È una consacrazione dell'uomo per combattere contro il
maligno. Non è una critica anti-istituzionale. La frequentazione dei vescovi è normale e
non crea distanza o critica (Atanasio, e specialmente Antonio).
L'umiltà porta ad un grande rispetto per i sacerdoti.
La maggior parte dei monaci non sono sacerdoti: si sentono indegni di tale ministero nella
Chiesa.
X. REGOLE DEL MONACHESIMO: Medio Oriente e l'Egitto-Primi passi in
Europa
L'INIZIO
Primo modo: l'eremita (da éremón-deserto) e gli anacoreti (anachoretes, quello che si
ritira). Avviene soprattutto nel deserto della Tebaide in Egitto. Dal III secolo alcune
persone iniziano a cercare la solitudine, la penitenza e la perfezione cristiana. Il più
famoso è S. Antonio (detto il Grande) che è l'iniziatore del movimento, il patriarca e padre
del monachesimo. Morirà nel 356 e la sua vita è narrata da Atanasio. È importante notare
che non ha fondato monasteri, né una regola. Il discepolato cresce per attrazione. Antonio
segue alla lettera le parole del Vangelo che dicono di lasciare tutto per seguire Gesù
(durante la Messa, all’incirca l’anno 275). È il modello a cui tutti i monaci della prima
generazione si sono ispirati.
La vita dei padri del deserto è divisa tra la preghiera, il digiuno e il lavoro (non a scopo di
lucro, ma per combattere l'ozio). Il lavoro tipico è quello di fare i cestini. Essi non hanno
alcun legame giuridico un’organizzazione di comunità. Il rapporto tra gli eremiti avviene
solo con la direzione spirituale dell’ABBAS (padre).
IL CENOBITISMO
La parola deriva da koinos bios (vita insieme) e rappresenta un'altra forma di vita
monastica. È la forma dominante del monachesimo, aggiungendo alla dimensione
eremitica e penitenziale, la vita comunitaria, fondamentale per la vita cristiana. È iniziato
con Pacomio (morto nel 347). Comincia come un monaco eremita (308) e 325 inventa la
strada cenobitica.
È pagano e viene convertito da una esperienza di amore. È assistito in prigione da alcuni
cristiani, insieme ai suoi compagni. Egli è la testimonianza di come la carità sia un modo
efficace per far conoscere la Chiesa e la fede.
PACOMIO E LA SUA REGOLA
Egli inventa il primo monastero: costruisce un muro attorno alle baracche dove vivono i
loro compagni. Offre consulenza spirituale e poi scrive alcuni suggerimenti e consigli. È
praticamente il primo fondatore della vita religiosa.
Ma non crea nessuna istituzione o regola: la regola è la Bibbia e il modello del lavoro
della comunità è la chiesa primitiva di Gerusalemme: vestito uguale per tutti per
salvaguardare l’uguaglianza assoluta, con grande enfasi sulla fraternità e sulla semplicità.
Introduce la figura del superiore: per il bene della comunità chiede l’obbedienza. La
povertà come condivisione e partecipazione
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EQUILIBRIO
C’è la necessità di superare gli eccessi stravaganti degli eremiti a favore della carità,
dell’umiltà, del servizio. Ha una componente sociale: la difesa del piccolo e del povero.
Ancora più importante del digiuno è la preghiera continua.
Grande successo: in pochi anni la fondazione raggiunge le 5000 persone: 8 monasteri
maschili e 2 femminili.
LAURA o LAVRA: nasce in Palestina nel 330 (lavra: vicolo, strada stretta). È una serie di
eremi che mantengono il carattere di solitudine, ma in un rapporto dinamico che può
raggiungere la vita cenobitica.
In Siria abbiamo gli stiliti (che vivono in cima a una colonna). Il più famoso è Simeone.
Converte molte persone ed ha grande fama.
LO SVILUPPO: SAN BASILIO
Il contributo principale del monachesimo orientale (ancora oggi) proviene da Basilio il
Grande. Prende l’esempio di Eustazio di Sebaste (m. 380) e nel 379 fonda la comunità di
Neocesarea nel Ponto.
Basilio scrive diverse cose che non si chiamano regole, in quanto per norma considera solo
la Bibbia. Sono MORALIA (1500 versi della Scrittura) validi per tutti i cristiani, e le
Regole brevi e ampie, contenenti domande e risposte sulla vita della comunità.
Schema coerente, logico, cristocentrico e molto motivato.
LA REGOLA DI BASILIO
Il servizio umile è ancora più importante della lotta contro i demoni. L'obbedienza non è
al superiore ma piuttosto ai comandamenti. La povertà non è una questione giuridica, ma
è il mezzo per soccorrere i poveri.
La comunità è fraternità e non monastero. Dovrebbe essere una casa di preghiera, di
lavoro e apostolato. Deve essere costruita in città. Esempio: nella capitale dell'Impero.
A Costantinopoli, nel 518 abbiamo 67 monasteri maschili, tra cui Studion, fondata nel 463
dal console Studios (sarà molto importante per la storia successiva).
EVAGRIO PONTICO
E’ il primo teologo della vita mistica (346-399) . Conosce l’Asia, conosce S. Basilio e
termina il cammino in Egitto. La sua teologia deriva da Origene e Gregorio di Nissa
(scrive La Preghiera ed i Capitoli Gnostici).
Molto diverso da Basilio e Pacomio: un po’ troppo intellettuale e gnostico. Unico fine della
vita monastica è l'Assoluto. L’amore fraterno è solo un mezzo e non un fine. Necessità di
lasciare il Verbo Incarnato per andare al Padre.
Per la sua organizzazione teorica e per il fatto di essere il primo, avrà grande influenza.
PRIMI PASSI IN EUROPA
-S. MARTINO DI TOURS
Primo santo non martire canonizzato. Proviene dalla Pannonia (Ungheria) e vive in Gallia.
Vescovo di Tours nel 371. Morto nel 397. L'ex soldato romano, un grande uomo di pace.
Sarà fondamentale la sua organizzazione della Chiesa in Gallia. Organizza il
monastero di Marmountier nel 375.
Spiritualità egiziana. Lotta contro i demoni, lotta contro il paganesimo, distruzione dei
templi. La sua figura di difensore del povero è il “mito” nel primo medioevo. Il santo più
amato del tempo, insieme a San Giorgio
-LERINS E MARSIGLIA
Onorato (m. 430) fonda il monastero di Lérins (un'isola davanti a Cannes). Importante nel
Medioevo. Da questa scuola provengono molti vescovi (Onorato è vescovo di Arles nel
427). Vi avrebbe studiato il giovane S. Patrizio. Uscirà da lì Giovanni Cassiano che
fonderà il monastero di Marsiglia, chiamato San Vittore.
Cassiano e Onorato sono ispirati da Basilio, Pacomio e Evagrio.
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Cassiano scrive Conferenze e Istituzioni Cenobitiche, di grande influenza su altre
fondazioni.
-MONDO CELTICO
Il mondo celtico (Francia e Irlanda del Nord, Scozia) riceve ispirazione dal monachesimo
egiziano. Conoscere La Vita di Martino e la Vita di Antonio di Atanasio e di Sulpicio
Severo. Grande valorizzazione della lotta spirituale e della penitenza. Austera regola di
derivazione egiziana.
Forte spinta per la peregrinatio pro amore Christi, cioè lasciare la terra d'origine per vivere
in penitenza apostolica itinerante. Sarà molto decisivo per l'evangelizzazione dell'Europa.
Columba e Colombano, rappresentanti del mondo celtico, fondano monasteri diversi,
soprattutto in Irlanda, (Iona, Banghor, Derry ecc.): Colombano ha affiliazioni in Svizzera,
in Francia e Italia (Luxeil, Sankt Gallen, Bobbio).
Sarà sostituita dalla regola di San Benedetto.
-AGOSTINO
Sant'Agostino: la vita comune, insieme con i suoi sacerdoti diocesani.
Già quando ha vissuto a casa con la madre, Monica, e poi con gli amici a Cassiciaco,
questo ideale era nascosto ma presente: quando torna in Africa continua la creazione di
comunità (Alipio), prima come sacerdote, poi come vescovo.
Parte dall'idea di Atti 4,22: vita comune e proprietà in comune. Conosce la comunità
platonica, conosce Roma e Milano, Gerolamo e Pacomio. Il suo asse è la comunione dei
beni e l’amicizia.
Scrive il Preceptum per il monastero di Ippona. I vari capitoli sono note soprattutto di vita
comune, che riguardano la comunione, l'amicizia, la gioia dell’unione con Dio.
Lui è un teologo e valorizza molto l'aspetto della cultura.
È la sua regola che ispirerà di più le congregazioni di canonici regolari medievali e di altri
sacerdoti diocesani.
Influenza notevolmente Cesario di Arles, con forte accento sulla clausura severa.
-CONCLUSIONE
Si tratta dello stile di vita dominante nella Chiesa dei primi 1000 anni. Nell’ Impero: gli
imperatori cristiani e i vescovi vogliono esercitarne il controllo, perché la diffusione è
immensa. Nei canoni di Calcedonia è stabilito che il monastero debba essere istituito solo
con il consenso del vescovo locale.
In Oriente saranno i centri della cultura, dell’economia e della politica.
In Occidente l’istituzione monastica salverà la civiltà romana, specialmente con la
letteratura, l’agricoltura e l’educazione, dopo la distruzione dei barbari.
Sarà la più importante istituzione della Chiesa medievale. L’immagine dell’uomo
medievale sarà quella del monaco e del penitente.
PARTE TERZA
Il sorgere del primato papale - Dogma dell’ infallibilità
Storia del ministero di Pietro e dei suoi successori dai primi secoli del Cristianesimo
fino al dogma
dell’ infallibilità
XI. Il sorgere del primato papale
PIETRO NEL NUOVO TESTAMENTO
È figlio di Giona, fratello di Andrea, pescatore di Betsaida. Ha circa 30 anni quando è
chiamato da Gesù. Ha moglie e figli, è un giudeo che deve parlare due lingue (aramaico e
greco) e si trasferisce a Cafarnao.
La casa è grande, della suocera vedova o del suocero, e dà ospitalità regolarmente a Gesù
ed ai suoi. È la persona più conosciuta nei Vangeli dopo Gesù.
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PIETRO E GESÙ
È il primo discepolo, insieme al fratello, che era discepolo di Giovanni il battista. È
considerato il più importante.
Chiamato Pietro: questo soprannome resterà nella storia, ma nei momenti decisivi (nella
Cena e nell’apparizione finale) Gesù lo chiamerà Simone, che è il suo nome proprio.
Pietro è Kefas, pietra preziosa, roccia di fondamento.
DOPO LA PASQUA
Il NT colloca Pietro in una posizione di eccellenza. È il più nominato dopo Gesù: 195 volte
contro le 130 complessive degli altri personaggi.
Da sempre considerato il capo e la guida dei dodici e responsabile della comunità fino alla
partenza (41 d.C.) da Gerusalemme.
Paolo lo chiama sempre Kefas o Pietro. Segno di una eccellenza riconosciuta nella Chiesa.
PIETRO E ROMA
Dopo alcuni viaggi missionari e un tempo di permanenza in Antiochia, dove un’antica
tradizione lo indica come vescovo della città, si stabilì a Roma.
Possiamo pensare che ciò non sia avvenuto prima del 53 d.C., perché l’imperatore Claudio
che ordinò l’espulsione di tutti i Giudei da Roma muore nel 54.
Muore Martire, non dopo il 67, ma probabilmente nel 64, nella festa popolare del 13
Ottobre.
Le tradizioni sul suo martirio e sulla sepoltura sono attestate e storicamente molto sicure.
PROVE DELLA PRESENZA DI PIETRO A ROMA
PRIMO: vari testi coevi lo indicano presente e martire a Roma, specialmente Clemente
Romano.
SECONDO: nessuna città che non sia Roma ha mai rivendicato questa eredità apostolica,
né le sue reliquie, né il suo martirio.
TERZO: dati archeologici (scavi del 1940-1949 e 1954-1957). Esiste un sepolcro nel luogo
indicato da Gaio nel 200, la cui grande importanza e l’abbondante numero di sepolture
vicine, non si spiegherebbe senza la presenza di una solida tradizione sulla sepoltura
dell’Apostolo.
PIETRO E PAOLO A ROMA
La presenza dei due apostoli fa di Roma una chiesa speciale.
Non fondarono la comunità romana: già esisteva una chiesa quando arrivarono, ma il
martirio romano li rese, per tutti, i “fondatori”.
Per questo Roma assume fin da subito i tratti di una chiesa “apostolica”
LA SUCCESSIONE APOSTOLICA
Il primo ad esprimere il concetto è S. Ireneo nel 180 dC. I vescovi sono successori degli
Apostoli: a loro è dovuta l’obbedienza perché hanno ricevuto il carisma della verità.
Tertulliano, Ireneo ed Ippolito spiegano questa verità di fronte alla Gnosi.
La successione è prima dottrinale e poi di autorità. La lista dei vescovi di alcune diocesi
serve a confermare la verità della dottrina cattolica.
Tertulliano e Ippolito usano lo stesso argomento.
La certezza della successione in alcune diocesi è storicamente dimostrata. In altre
dobbiamo supporre il passaggio di cariche a persone che non hanno immediatamente
questa autorità. Nel caso di Timoteo e Tito essi devono organizzare e confermare
l’autorità di persone eminenti che già lavorano in alcune comunità (Tito 1,59).
Clemente parla di persone che hanno autorità non solo locale.
Negli anni intorno al 150 la fusione tra “eminenza” e “autorità” è completa (ma il titolo
“Eminenza” per i cardinali arriverà solo nel 1600!!!).
PRIMA FASE: I SUCCESSORI
I nomi dei primi vescovi di Roma sono riportati da Egesippo (160) e Ireneo (180).
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ECCO L’ELENCO: PIETRO, LINO, ANACLETO, CLEMENTE, EVARISTO,
ALESANDRO, SISTO, TELESFORO, IGINO, PIO, ANICETO, SOTERO,
ELEUTERIO.
Questi elenchi sono certi: la devozione e la memoria sono ben marcati nella tradizione
romana.
UN PAPA O UN COLLEGIO?
Ireneo insiste più sulla successione nella verità che sulla autorità giuridica.
Quasi sicuramente, per lo meno fino all’anno 150, la gestione dell’ episkopè, cioè della
supervisione, non era monarchica ma collegiale.
Clemente non chiama se stesso vescovo di Roma. Ignazio di Antiochia scrive alla Chiesa e
non al vescovo. Probabilmente l’influenza giudaica era molto forte: Roma aveva la più
antica e importante comunità ebraica fuori d’Israele.
LA COLLEGIALITÀ
Negli sviluppi delle differenze tra Roma e Bisanzio, possiamo dire che la forma collegiale
sarà conservata più in Oriente (dove il vescovo agisce sempre di concerto con il Sinodo
regionale).
In Occidente la prevalenza (anche oggi) sarà la forma del monoepiscopato di tipo
monarchico e la collegialità si esprimerà a livello interdiocesano.
MATURAZIONE DEL MINISTERO DI PIETRO E DELLA SUA IMPORTANZA
Il prestigio di Roma cresce e diventa evidente già intorno al 250 dC. Clemente, nell’anno
95, esercita un potere di responsabilità e autorità sopra alcuni giovani che si oppongono ai
presbiteri-vescovi di Corinto.
Ignazio chiama Roma la Chiesa che presiede alla carità. Nel secondo secolo Roma si
riempie anche di eretici in cerca di legittimità. San Policarpo di Smirne verrà a Roma da
papa Vittore, per discutere la questione della data della Pasqua.
Ireneo stabilisce che tutte le chiese devono essere in accordo e comunione con Roma.
La città viene visitata da molti Padri della Chiesa. Nell’anno 195 dC il papa Vittore
minaccia di scomunica i quartodecimani, che nonostante i pronunciamenti di vari sinodi
continuano a celebrare la Pasqua il 14 Nisan. Ireneo frena il Papa e a Policarpo è ceduta la
presidenza dell’ Eucaristia. L’intervento del Papa aveva o no il carattere universale? Era
solo una risposta alle divisioni interne di Roma?
Origene, Pseudo-Clemente, Cipriano e vari altri, in questo periodo fino al 250 usano
espressioni molto chiare per affermare la centralità dottrinale e di presidenza della Chiesa
di Roma. L’immagine simbolo è la CATTEDRA DI PIETRO.
Pietro ha la stessa dignità degli altri Undici, ma fu scelto per presiedere e confermare
LA CATTEDRA
Simbolo del potere episcopale, che unisce i diversi ambiti. Autorità magisteriale, di
giurisdizione, di legislazione: imita la cattedra di Mosè e la sedia curule, il seggio del
magistrato civile. È simbolo dei 12 troni degli apostoli nell’Apocalisse.
Con la caduta del potere imperiale, l’importanza del vescovo cresce enormemente: è lui,
spesso, il defensor civitatis: può assumere la reggenza militare, preoccuparsi
dell’alimentazione del popolo, organizzare l’economia.
La creazione dello Stato Pontificio (che inizia in Gregorio Magno) sarà dovuta
esattamente alla necessità di riempire il vuoto di potere e di assistenza alla popolazione
creato dalla caduta di Roma.
SECONDA FASE: DECISIONI “PAPALI”
Nella seconda fase (250-340), la Sede Romana prende alcune decisioni autoritative e
importanti. Lo stato riconosce l’importanza della Chiesa di Roma.
Con Costantino inizia anche la costruzione delle Basiliche.
Varie questioni vedono Roma protagonista: per esempio la questione del battesimo degli
eretici risolta da papa Stefano I (254-257) in senso meno rigorista di Cipriano.
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Per il Papa Stefano non è necessario ri-battezzare gli eretici che abbiano ricevuto il
Battesimo nel nome della Ss. ma Trinità, né ribattezzare i lapsi.
TERZA FASE: L’ELABORAZIONE GIURIDICA DEL PRIMATO PETRINO
Giulio I è un papa fondamentale (siamo nell’epoca subito dopo la morte di Costantino).
Nella lotta contro gli eusebiani che hanno intrapreso la dura lotta contro Atanasio di
Alessandria. Dietro loro c’è l’imperatore. Chiedono che il papa ratifichi la loro decisione
di deporre Atanasio. Il papa rifiuta con decisione e afferma che qualsiasi decisione che
implichi un giudizio contro un vescovo, deve passare per Roma. Il papa protesta
vivamente contro l’imperatore, riaffermando la libertà e l’indipendenza della sede
romana.
PAPA GIULIO I E GLI ARIANI
Il papa, alla morte di Costantino, deve affrontare il ritorno di fiamma degli ariani
d’Egitto, sconfitti a Nicea, che si fanno forti dell’appoggio dell’imperatore Costante II.
Hanno deposto Atanasio (grande difensore della fede nicena e della divinità di Cristo) e
per questo il papa convoca un concilio a Sardica (attuale Sofia) in terra neutrale, per
risolvere la questione.
343 dC: IL SINODO DI SARDICA
Si decreta che Roma diventa corte d’appello nel caso di una deposizione di un vescovo.
Si riafferma l’innocenza di Atanasio. Si stabiliscono norme per la vita dei vescovi:
determina l’ intrasferibilità dei vescovi, decreta l’obbligo di residenza, con un massimo di
tre settimane di assenza e sconsiglia i vescovi di frequentare la Corte ed i suoi intrighi.
Molte volte i vescovi appellavano all’imperatore. Il sinodo afferma che questa prerogativa
spetta solo al papa. Di fatto questo sinodo (che non è ecumenico perché interverranno
quasi solo vescovi occidentali), diventerà determinante per il futuro della chiesa.
TERZA FASE: ALTRI EVENTI
Papa Liberio (352-366) è il primo che usa l’espressione SEDE APOSTOLICA.
Papa Damaso (366-384) è un papa molto attivo. Costruisce chiese, organizza l’Archivio,
cura la memoria epigrafica dei Martiri, compone poemi in loro onore, incarica San
Gerolamo della traduzione latina della Bibbia. Inventa le Decretali, con stile imperiale:
documenti legislativi in cui sempre compare l’espressione “decretamus ed volumus”
L’AFFERMAZIONE DEL PRIMATO
Il decreto di Damaso (382) protesta contro i canoni 2 e 3 di Costantinopoli, che basa il
criterio di importanza delle sedi episcopali sulla politica. Il papa afferma con decisione il
primato dell’eredità apostolica.
Ragioni presentate dal papa: il testo di Matteo 16,18 e il martirio romano di Pietro e
Paolo. Sotto il pontificato di Damaso, nel 380, l’imperatore Teodosio affermerà che per
essere ortodossi bisogna stare in comunione con Roma.
PAPA ZOSIMO (417- 418)
È la prima volta che viene affermato che la sede di Pietro è superiore ad ogni istanza di
giudizio. Questa dottrina sarà riaffermata progressivamente da tutti i successori.
Una decisione romana definitiva non potrà essere più discussa.
Il giudizio supremo sulla chiesa spetta a chi ha ricevuto il “potere delle chiavi”.
Deciderà inoltre che i preti non devono frequentare le taverne…
QUARTA FASE: LA TEOLOGIA
Papa Leone I (440-461) parla per la prima volta apertamente del primato, dell’unica
potestà vicaria di Cristo, esercitata dal papa.
Il suo intervento a Calcedonia è decisivo: “Pietro parla in Leone!!”. Difende Roma contro
Attila e limita i danni dei Vandali (452 e 455).
Dopo di lui verranno Papa Felice III che lotterà contro l’imperatore e Gelasio I che
difenderà la libertà della Chiesa contro il potere statale.
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CONCLUSIONI e CURIOSITA’…
501: Il Sinodo Romano afferma: “prima sedes a nemine judicatur”.
525-535: il titolo di PAPA viene reso esclusivo del vescovo di Roma (era usato
abitualmente per tutti i vescovi).
530: il papa Felice IV nomina il suo successore: Bonifacio II (che sarà in concorrenza per
22 giorni con Dioscuro) ma non succederà più.
Papa Mercurio (533-535) sarà il primo a cambiare nome in Giovanni II, perché Mercurio
è il nome di una divinità pagana.
XII. Il dogma dell’infallibilità papale
Il dogma dell'infallibilità papale (o infallibilità pontificia) afferma che il papa non può
sbagliare quando parla ex cathedra, ossia come dottore o pastore universale della Chiesa
(episcopus servus servorum Dei). Dunque, il dogma vale solo quando esercita il ministero
petrino proclamando un nuovo dogma o definendo una dottrina in modo definitivo come
rivelata.Tuttavia, secondo la dottrina cattolica anche il magistero ordinario della Chiesa,
esercitato esclusivamente dal papa, possiede il carisma dell'infallibilità (perché nella
definizione stessa c'è scritto quando 'parla' che comprende sia lo scrivere che il
proclamare) di cui Cristo ha dotato la Chiesa perché sia sacramento universale di
salvezza. Gli insegnamenti dei vescovi invece non sono coperti dall'infallibilità papale, e
difatti non sono assolutamente citati all'interno della definizione dogmatica stessa anche se
la totalità dei vescovi, che sono in comunione con il papa, ha questo carisma.
Il Papa, in virtù dell'autorità che gli è stata conferita da Gesù Cristo, può confermare una
dottrina, una verità di fede o di morale contenuta nella Bibbia che merita particolare
attenzione, che è da credersi nel modo in cui la Chiesa la interpreta e la impone alla
adesione dei fedeli. Secondo a quanto sancito dal Concilio Vaticano II, debbono verificarsi
delle precise condizioni affinché si possa parlare di infallibilità del Santo Padre.
"Infallibilità pontificia" non significa impeccabilità. La Fede e la Chiesa cattolica,
basandosi sulla Bibbia, insegnano che il Papa non può commettere errori in materia di
fede e di morale quando si verificano certe condizioni: Il Papa deve sancire, confermare,
non come maestro privato, come fosse un teologo, un biblista, un giurista; nemmeno come
semplice Vescovo di Roma, ma deve esercitare il suo ruolo di supremo Pastore universale
della Chiesa, il ruolo di maestro di tutta la Chiesa.
Il Papa deve insegnare a tutta la Chiesa e non a una singola parte di essa, escludendo altre
parti, come accade quando il papa emana disposizioni, generalmente a carattere
temporaneo, per una diocesi, per i cristiani di una nazione o per i fedeli di un continente. Il
Papa dovrà esplicitamente far comprendere che sta facendo uso del carisma, del dono
dell'infallibilità, ossia deve far comprendere bene che sta confermando con atto definitivo
una dottrina di fede e di morale. La materia su cui si esercita il carisma dell'infallibilità è
la fede e la morale. Il Papa non è infallibile quando esprime considerazioni di carattere
scientifico, storico, ed altro. La Fede e la Chiesa cattolica non hanno mai affermato o
insegnato che i Papi siano assolutamente esenti da imperfezioni o debolezze in campo
morale. A prova di questo i Papi, compreso l'attuale Pontefice, hanno sempre sentito in
passato e sentono il bisogno di confessarsi, di chiedere perdono a Dio delle loro colpe, dei
loro peccati. I Papi sono i primi ad essere consapevoli di dover chiedere perdono a Dio
delle loro mancanze, dando a ciascun credente un esempio di grande umiltà.
Nella lunga storia del Papato vi sono stati Romani pontefici santi, che hanno dato lustro
alla Chiesa: e questi sono la gran parte; ma è anche vero che talvolta vi sono stati Papi il
cui comportamento morale era discutibile e lasciava molto a desiderare. E questo la
Chiesa lo ha sempre riconosciuto.
Il dogma della infallibilità fu definito solennemente durante il Concilio Vaticano I,
nell'anno 1870.
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La costituzione dogmatica Pastor Aeternus recita: «Noi, quindi, aderendo fedelmente a una
tradizione accolta fin dall'inizio della fede cristiana, a gloria di Dio, nostro salvatore, per
l'esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, con l'approvazione del
santo concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il romano
Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e
maestro di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce che una
dottrina riguardante la fede e i costumi dev'essere ritenuta da tutta la Chiesa, per
quell'assistenza divina che gli è stata promessa nel beato Pietro, gode di quell'infallibilità, di
cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua Chiesa allorché definisce la dottrina
riguardante la fede o i costumi. Quindi queste definizioni sono irreformabili per virtù propria,
e non per il consenso della Chiesa».
Si tratta di una definizione solenne, dogmatica, alla quale ogni cattolico è tenuto a prestare
l'assenso della fede, della sua intelligenza e della sua volontà.
Questa definizione dice una cosa interessante anche dal punto di vista storico: afferma,
infatti, che si tratta di una tradizione "accolta fin dall'inizio della fede cristiana".
Il carisma dell'infallibilità della Chiesa, e del Papa, in epoca antica, è stato riconosciuto in
varie occasioni: Sant'Ignazio di Antiochia, morto intorno all'anno 110 martire a Roma
dice che i cristiani di Roma "sono puri da ogni estranea macchia". Vale a dire da ogni
errore e qui si prefigura l'infallibilità della Chiesa, e del suo Capo visibile, in particolare,
fin dall'inizio del II secolo. Un secondo esempio viene da Sant'Ireneo, vescovo di Lione,
vissuto nel II secolo. Sant'Ireneo riconosce la fede della Chiesa di Roma come norma per
tutta la Chiesa. «Con questa Chiesa, a causa della sua più alta preminenza, deve accordarsi
ogni altra Chiesa, poiché in essa si è conservata la fede apostolica». Qui è chiaro che
l'immunità dall'errore propria della Chiesa di Roma presuppone l’infallibilità del suo
maestro, il vescovo, il Papa. Egli insegnava che dove c'è la Chiesa c'è lo Spirito Santo ed è
impossibile trovare la verità se non nella Chiesa, che possiede il "carisma della verità".
San Cipriano, vescovo vissuto nel III secolo, definisce la Chiesa di Roma come la cathedra
Petri e parlando degli avversari che pure volevano fare approvare le loro dottrine eretiche
dal Papa, scrive: «Essi non pensano che devono trattare con i Romani, la cui fede fu lodata
dalla gloriosa testimonianza dell’Apostolo, e presso i quali l'errore non può trovare alcun
accesso». Per san Cipriano nella Chiesa di Roma, quindi nel Papa, non può albergare
l'errore. Dunque, il tema dell'infallibilità era noto, anche in epoca assai antica. Certo non
era esplicitato come lo sarà dopo il Concilio Vaticano I, ma non era sconosciuto.
E ancora san Cipriano, verso l'anno 250, scrive: «Tutti coloro che abbandonano Cristo si
perdono nei loro errori, ma la Chiesa che crede in Cristo e rimane fedele alla verità
ricevuta, non si separa da lui. » Un altro esempio viene da San Girolamo, vissuto nel IV
secolo, il quale, richiedendo al Papa Damaso una decisione a proposito di una questione
dibattuta in Oriente, scrive: «Solo presso di voi si conserva inalterata l'eredità dei padri. »
San Teofilo, successore di Sant'Ignazio nella Chiesa di Antiochia, diceva che come le navi
si infrangono se escono dal porto ed entrano nel mare in tempesta, così gli uomini fanno
naufragio quando abbandonano la "cattedra di verità.
Dunque la Chiesa era ritenuta, fin dalle origini, "cattedra della verità", dove non poteva
albergare l'errore.
Cristo ha fondato la sua Chiesa sull'apostolo Simon Pietro: «Tu sei Pietro e su di te
edificherò la mia Chiesa. » (Matteo 16,18)Se Pietro potesse cadere in errore in materia di
fede o di morale, ne risulterebbe che Cristo avrebbe edificato la sua Chiesa, che deve
illuminare gli uomini, ammaestrarli nella fede e nella morale che ne deriva, sull'errore. E
questo è inammissibile, essendo Cristo Dio. Ma anche i successori di Pietro, i vescovi di
Roma, sono il fondamento della Chiesa e dunque anche per loro, per i successori di Pietro,
valgono le stesse considerazioni per Simon Pietro. Anche i successori di Pietro non possono
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errare in materia di fede e di morale, altrimenti Cristo starebbe ora edificando la sua
Chiesa sull'errore.
A Simon Pietro, Gesù ha dato il potere di legare e di sciogliere e ha promesso che tutto ciò
che Pietro avrebbe legato e sciolto in terra sarebbe stato "legato e sciolto" anche in Cielo,
(cfr Mt 16,19), cioè "legato e sciolto" anche da Dio. Questo potere doveva essere esercitato
anche dai successori di Pietro, i Papi. Dio non può sbagliare, non può errare, proprio
perché è Dio. Ne consegue che anche i successori di Pietro, cioè i Papi, nell’esercizio del
loro compito di "legare e di sciogliere" devono essere infallibili, non possono errare, non
possono sbagliare.
Nel Vangelo di Luca si dice che Gesù ha pregato perché la fede di Pietro non venga mai
meno. «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; 32 ma io ho
pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi
fratelli. » (Luca 22,31-32). Quando Gesù pronuncia queste parole siamo nel Cenacolo, la
sera del Giovedì Santo. Mancano poche ore all'arresto di Gesù nell'Orto degli Ulivi. Gesù,
che conosce molto bene quello che sta per succedere a se stesso, mette in guardia i suoi
discepoli, avverte che satana ha messo alla prova tutti i suoi discepoli con parole molto
chiare "satana vi ha cercato per vagliarvi", e quel "vi" si riferisce proprio ai Dodici.
Poi Gesù aggiunge, rivolgendosi a Simon Pietro, di aver pregato per lui quindi nessuno
può dubitare che la preghiera di Gesù non venga esaudita.
Gesù prega per un motivo preciso: che la fede di Pietro non venga mai meno. Siccome la
preghiera di Gesù è certamente esaudita dal Padre, ne consegue che Pietro, in materia di
fede, non sarebbe sicuramente mai venuto meno, quindi sarebbe stato assolutamente
infallibile. Gesù dà l'incarico a Pietro di "confermare" ciò implica il compito di dirigere i
fratelli nella fede.
Anche al Collegio apostolico, unito e sottomesso al Papa, Cristo ha promesso chiaramente
il dono dell’infallibilità. In riferimento all'Ultima Cena come ci è raccontata da San
Giovanni, Gesù si rivolge ai Dodici Apostoli con parole molto chiare: «Io pregherò il Padre
ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità
che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché
egli dimora presso di voi e sarà in voi (Giovanni 14,16-18).
E ancora: «Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli
v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. » (Giovanni 14,26). Gesù, in
quanto Dio, non poteva sbagliarsi, qui vediamo chiaramente che promette agli Apostoli,
quindi alla sua Chiesa, l'assistenza perpetua, continua e infallibile dello Spirito Santo, che
è Dio, che è Spirito di verità.
Nell'esercizio della sua missione, il Collegio apostolico, in comunione con il Papa è assistito
dallo Spirito di Verità. Grazie a questa assistenza, non può sbagliarsi in materia di fede e
di morale. La missione della Chiesa è sintetizzata in maniera mirabile da Matteo,
nell'ultimo capitolo del suo Vangelo. Anche in questo brano troviamo un elemento
importante a favore dell’infallibilità del Papa e della Chiesa.
Matteo ci riporta esattamente le ultime parole pronunciate da Gesù prima di salire al
Cielo, prima di lasciare la sua Chiesa impegnata nella missione di salvare gli uomini.
«Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.
Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi,
disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte
le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando
loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla
fine del mondo. » (Matteo 28,16-20). Gesù incarica la sua Chiesa di insegnare a tutto il
mondo la verità: naturalmente la verità su Dio, le verità della fede che portano alla
salvezza dell'uomo. Nell'insegnamento di questa verità, Gesù promette la sua assistenza
speciale e perpetua. La Chiesa, dunque, in fatto di fede e morale, beneficia dell'assistenza
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perenne di Gesù. Si tratta di una assistenza divina al compito di ammaestrare tutte le
genti, al compito di battezzarle, quindi di condurle nella Chiesa, al compito di insegnare.
Ed è una assistenza divina promessa per sempre, fino alla fine del mondo.
Il Dono dell'infallibilità non riguardava solo gli Apostoli che ascoltano a viva voce le
parole di Gesù, ma riguarda i successori di Pietro e i successori degli Apostoli uniti e
sottomessi al Santo Padre.
In un altro passo del Vangelo di Marco, Gesù afferma: «Chi crederà e sarà battezzato sarà
salvo, ma chi non crederà sarà condannato. » (Marco 16,16)
Pio IX nel 1854 aveva proclamato ex cathedra il dogma dell'Immacolata Concezione di
Maria. Esso stabilisce che la madre di Gesù, fin dal suo concepimento, non fu macchiata
dal "peccato originale". Questa proclamazione dilacerò le coscienze di alcuni cattolici
perché (nonostante quanto affermato nel "Pastor Aeternus" citato sopra) fin dai tempi
della chiesa primitiva la materia di fede era tipicamente definita dai Concili e non dal
Papa. Si ricordi ad esempio il Concilio di Nicea, in cui la divinità di Cristo viene definita in
assenza del vescovo di Roma, ed anzi con una scarsa partecipazione da parte
dell'Occidente. Le polemiche riguardavano in alcuni casi l'oggetto della proclamazione
(L'Immacolata Concezione), ma soprattutto la liceità da parte del papa di proclamare
dogmi di fede senza il Concilio dei vescovi. Occorre osservare che l'infallibilità papale "ex
cathedra" venne approvata dal Concilio Ecumenico Vaticano I.
Per affermare questo diritto Pio IX convocò un concilio che doveva sanzionare questa sua
scelta. Il meccanismo era chiaro: se si dubitava del fatto che un papa potesse decretare
anche senza un Concilio, questa potestà poteva essere sancita (agli occhi dei dubbiosi)
proprio da un Concilio che confermasse il dogma dell'infallibilità del papa ed anzi la sua
assoluta supremazia in materia di fede. In passato ci furono invece concili che destituirono
addirittura dei papi, ma occorre ricordare che si era nel periodo storico della
restaurazione dell'assolutismo, e il papa guardava a Napoleone III.
Questo dogma fu definito nel 1870: per proclamarlo fu convocato un Concilio, il Vaticano
I, il 18 luglio 1870, poi sospeso il 20 ottobre in seguito alla presa di Roma che segnò la fine
del potere temporale dei papi, e non venne più concluso: ma il decreto sull'infallibilità del
papa era ormai approvato. Il dogma, voluto fortemente da papa Pio IX su prevalente
ispirazione dei Gesuiti, suscitò le proteste degli ambienti laici del tempo e anche di una
parte di quelli religiosi. Benché fortemente avversato dalla curia romana esisteva infatti
un cattolicesimo liberale, tanto che una significativa minoranza dei padri del Concilio
(prevalentemente francesi e tedeschi) preferì abbandonare Roma per non dare voto
contrario al momento dell'approvazione, pur non sottraendosi all'accettazione del
medesimo una volta approvato.
Invece una piccola parte di vescovi dell'Europa centrale fuoriuscì dalla Chiesa di Roma
dando vita allo scisma vetero-cattolico, basato sul rifiuto del dogma dell'infallibilità.
Come per il dogma dell'Immacolata Concezione, proclamato dallo stesso Pio IX nel 1854,
esso non è accettato dalle altre confessioni cristiane, sia per ragioni teologiche sia perché
esse non riconoscono l'autorità del papa. Alcune chiese (in particolare quelle evangeliche)
reputano anzi che lo stesso istituto papale non sia in accordo con le Sacre Scritture.
La proclamazione del dogma costituì il fondamento teologico della scomunica già
impartita a Vittorio Emanuele II e ai liberali italiani nel 1855, che si trasformò in attiva
opposizione politica dei cattolici al Regno d'Italia con il Non expedit del 1874, attraverso la
scomunica comminata per la partecipazione al voto e all'attività politica.
La questione dell'applicabilità del dogma dell'infallibilità nei confronti dei
pronunciamenti papali, è dibattuta. Secondo alcuni, finora, una sola volta il pontefice
avrebbe fatto uso dell'infallibilità ex cathedra per definire un dogma: nel 1950 papa Pio
XII ha definito il dogma dell'Assunzione della Vergine Maria, usando delle parole
"tecniche", cioè solenni ed esplicite, che non lasciano spazio a dubbi o discussioni
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dottrinali. Secondo la maggior parte dei teologi, anche i tre insegnamenti dell'enciclica
Evangelium Vitae devono essere considerati dogmi non modificabili; ma la mancanza di un
testo così esplicito e diretto spinge alcuni altri a negare il loro carattere dogmatico. La
questione è tuttora aperta.
Applicazioni dell'infallibilità: testo
« Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello
Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale
benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte,
a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l'autorità
di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo,
dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l'immacolata Madre di Dio sempre
vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e
corpo».
(Pio XII, Munificentissimus Deus)
Appendice
PARTE QUARTA
Lista dei papi
(dal 352-al 604 dC)
36 Liberio 352 - 366
37 San Damaso I 366 - 384
38 San Siricio 384 - 399
39 Sant'Anastasio I 399 - 401
40 Sant'Innocenzo I 401 - 417
41 San Zosimo 417 - 418
42 San Bonifacio I418 - 422
43 San Celestino I 422 - 432
44 San Sisto III 432 - 440
45 San Leone I, detto Magno 440 - 461
46 Sant'Ilaro 461 - 468
47 San Simplicio 468 - 483
48 San Felice III (II) 483 - 492
49 San Gelasio I 492 - 496
50 Sant'Anastasio II 496 - 498
51 San Simmaco 498 - 514
52 Sant'Ormisda 514 - 523
53 San Giovanni I 523 - 526
54 San Felice IV (III) 526 - 530
55 Bonifacio II 530 - 532
56 Giovanni II 533 - 535
57 Sant'Agapito I 535 - 536
58 San Silverio 536 - 537
59 Vigilio 537 - 555
60 Pelagio I 556 - 561
61 Giovanni III 561 - 574
62 Benedetto I 575 - 579
63 Pelagio II 579 - 590
64 San Gregorio I, detto Magno 590 - 604