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F o n d a t o d a l R o t a r y C l u b R i m i n i STORIA ARTE E CULTURA DELLA PROVINCIA DI RIMINI Anno XIX • N. 3 • Maggio / Giugno 2012 IL DUCE A COVIGNANO NELL’ESTATE DEL ‘44 GIUSEPPE PADOVANI “E MUNDIEL” PAOLO BIAGINI DIRETTORE DEL “FRESCOBALDI” PH: F. Compatangelo © 1984 IN CASO DI MANCATO RECAPITO SI PREGA DI RITORNARE ALL’UFFICIO DI RIMINI C.P.O. PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE PREVIO PAGAMENTO RESI.

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dal Rotary ClubRim

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STORIA ARTE E CULTURA DELLA PROVINCIA DI RIMINIAnno XIX • N. 3 • Maggio / Giugno 2012

IL DUCE A COVIGNANO

NELL’ESTATE DEL ‘44

GIUSEPPE PADOVANI

“E MUNDIEL”

PAOLO BIAGINI DIRETTORE

DEL “FRESCOBALDI”

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MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M . 5

EDITORIALE

SOMMARIO Fuori onda8 MINUTI … E TOCCAVI IL CIELO CON UN DITO

A quei tempi, per un adolescente come me che iniziava a mettere naso fuori casa,le distanze erano una questione di passi. Per andare all’oratorio ce ne volevano 97; percomprare il latte 145; per recarsi in spiaggia 238. Il lato divertente del gioco, perché diquesto si trattava, consisteva nel cercare, in partenza, di indovinare il numero di passioccorrenti per raggiungere una determinata meta. Il finale era il momento più esila-rante: per centrare a tutti i costi l’obiettivo stabilito mi ingegnavo di ampliare o ridur-re la falcata inventando le più astruse movenze. In seguito, con le “uscite” sempre piùdistanti, ho sostituito i passi con il cronometro. Sette minuti per andare da Lanfranco;24 per arrivare al molo e 33 per avventurarmi in città, che riducevo a 27 se infilavo lascorciatoia dell’Ausa.

Questo curioso dialogo con i luoghi da raggiungere si è protratto anche quandoho cominciato a muovermi in automobile. Eliminati i passi, ogni località aveva il suoriferimento in chilometri. Senza l’intrigo finale, tuttavia, il divertimento non era più lostesso. Anche l’ipotetico calcolo dei minuti, con il traffico sempre più convulso e impre-vedibile, non dava adito ad alcun genere di gioco. E da qui, dall’impossibilità di trova-re un briciolo di distrazione con il volante tra le mani, credo sia nata la mia antipatiaper la guida: non a caso le mie escursioni da pilota non hanno mai rombato oltreMondaino da una parte e Gambettola dall’altra.

Oggi, con la velocità raggiunta dai mezzi di locomozione, le distanze non impen-sieriscono più. Se poi dallo spostamento reale passiamo a quello virtuale lo spazio e iltempo hanno perso di significato. Tutto è a portata di mano. Premi un tasto e sei aManhattan; un altro e ti trovi a Nuova Delhi sulle rive del fiume Yamuna. Siamo nell’EraInternet e per un pigro del mio calibro, che di tanto in tanto va a bighellonare sul webfruendone i vantaggi, dovrebbe rappresentare un’opportunità impagabile. Eppurequando mi libero della tastiera e torno con la mente a cliccare sul sito delle cammina-te infantili e del loro carico di sogni, non posso fare a meno di pensare che allora basta-vano 760 passi, equivalenti a 8 minuti, per toccare il cielo con un dito. Spazio e temponecessari per arrivare alla Gelateria Pimpi e acquistare un cono a tre gusti da 10 lire.

M.M.

La cartolina di GiumaGNASSI-SCHETTINO

Gnassi non è Schettino. Quando la nave affonda … lui affonda con la nave.

IN COPERTINA“Un tuffo dal molo”

di Federico CompatangeloRIMINI STORIA

Il Duce a Covignano nel 19446-8

PAGINE DI VITACorrado Ghini/Il calvario

della prigionia (2)10-11

TRA CRONACA E STORIAI nostri eroi / Giovanni AmbrogianiG. Padovani/Eroe della marineria

italianaAnni Venti / L’estate del 1927

Novecento Riccionese / 1922: Inizia il “folclore” fascista

12-26ARTE

Francesco Zavatta31

STORIA DELL’ARCHITETTURAChi ha disegnato il “bel portico”

di Mondaino?32-35

MUSICAPaolo Biagini

Direttore del “Frescobaldi”di Ferrara36-39LIBRI

“Ronagna Liberty” / “Storie terminali”“Anticapitale”

“Il Borgo cambia pelle.Immagini a confronto”

“Rimini. dal turismo d’elite al turismo di massa”

40-43POETICAI nostri versi

44DIALETTALE

Compagnie e personaggi della ribalta rimineseI giovne Amarcord

49ROTARY

Premio alle professioni 201248/50

BLOC-NOTESAmici per la penna

51ARIMINUM

Le bagnanti di Maneglia52

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ine luglio-inizi agosto1944. Mussolini è appena

reduce da una visita inGermania, dove ha avuto mododi incontrare Hitler, scampatoall’attentato del 20 luglio, e divisitare le truppe italiane teuto-nicamente addestrate. Il Duceha un cruccio: vuole passare inrassegna i suoi uomini, posti adifesa della Linea Gotica.Nonostante tutte le raccoman-dazioni e i tentativi di dissua-derlo, vuole fortissimamentepartire. Un viaggio che sipreannuncia pericoloso: troppeminacce dei partigiani pronti acolpire. Del resto, uno degliuomini più in vista dellaRepubblica Sociale Italiana,Alessandro Pavolini, verrà feri-to proprio in uno scontro con iribelli, il 12 agosto, inPiemonte. I Tedeschi nonhanno nessuna voglia diaccompagnare il Duce sulfronte, tanto più in un momen-to così delicato e con talirischi! Pertanto, a quanto silegge negli archivi germanici,fanno di tutto per sminuire eaccorciare il viaggio, limitandoi giri d’ispezione e sottoponen-do il capo della RSI ad unossessivo, asfissiante control-lo(1).Sarà un tour quasi in incognito,di cui verrà data pubblicainformazione solo a cose fattee in modo volutamente succin-to, addirittura telegrafico. Ilribaltamento della logica dellapropaganda, così cara al fasci-smo e, ancor più, alla RSI. Unviaggio pieno di amarezza,quello intrapreso nella primametà d’agosto del 1944, inun’Italia del nord ormai inpieno caos. Mussolini così

scrive il 4 agosto a ClarettaPetacci, che ormai non è piùsolo la donna-ombra del capo,ma ha un ruolo importante eambiguo, non del tutto chiari-to: «Quale divario: da un impe-ro, a poche province, ingover-

nabili o quasi! Una volta i mieiordini arrivavano dalle Alpiall’Equatore: oggi, non vanno,praticamente oltre Salò[sic]»(2).Nella situazione del periodo ègià difficile trovare un traghet-

to per attraversare il Po, e perpercorsi che normalmenterichiedono quattro ore ce nevogliono sedici, con continuesoste, di giorno e di notte, pergli allarmi aerei. Mussolini parte il 4 agosto e sireca dapprima alla Rocca delleCaminate e poi verso sud,quasi a ridosso del fronte, nelleMarche. Il 6 agosto è nellavalle del Foglia, a visitare i sin-goli reparti della Legione“Tagliamento”. Secondo fontiorali, in quel frangente sarebbestato addirittura accompagnatoda Claretta Petacci: mentre luiè a Mercatale a rincuorare isoldati, lei si prodiga a confor-tare i soldati in località vicine.Ma probabilmente è solo unmalizioso gossip, peraltroaccreditato dalla critica piùagguerrita(3). Le lettere diMussolini a Claretta recente-mente pubblicate non dicononiente a riguardo. Particolarmente importante è lalettera che il Duce scrive all’a-mata il 13 agosto(4). È una mis-siva che getta nuova luce su unepisodio del 9 agosto. Unacalda e assolata mattina d’esta-te, alle falde del colle diCovignano di Rimini, pressoVilla Tosi (ora Villa Valentini),sede del comando tedescolocale. Un episodio poco noto, spessosfocato nella pubblicistica ocomunque mai datato con pre-cisione, che tuttavia possiamoricostruire con gli occhi deiprotagonisti, diretti e indiretti,intrecciando i racconti. Gliocchi di chi crede di vivere unapagina importante di Storia, dichi capisce che il vento è ine-sorabilmente cambiato e di chivuol far credere di far vivere unmomento decisivo.In attesa dell’imminente scon-tro sulla Linea Gotica, diversicontingenti italiani sono

MAGGIO-GIUGNO 2012

RIMINI STORIA

COVIGNANO, 9 AGOSTO 1944

IL DUCE INCONTRA I BERSAGLIERI DEL “GOFFREDO MAMELI”Federicomaria Muccioli

F

A R I M I N V M /6.

«Il Duce è un uomo piccolo ed emaciato,

molto magro e con un’uniforme grigioverde senza

mostrine e di almeno due taglie in più…

Sono lontani e irrimediabilmente perduti i tempi

delle vacanze a Riccione, dell’inaugurazione

delle colonie sulla riviera.

E pur tuttavia Mussolini viene accolto

con entusiasmo dai bersaglieri che gli chiedono

armi, addestramento e combattimento…»

Rimini-Covignano, 9 agosto 1944.

Mussolini nel parco di villa Tosicon i ragazzi del “Mameli”

(da “Quelli del Mameli”,pp. 126-127).

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acquartierati a ridosso del fron-te, pronti a spalleggiare le trup-pe tedesche. Tra questi vi sonoanche i bersaglieri del“Mameli”, dislocati nelle fasci-stissime colonie Dalmine eNovarese, tra Rimini eRiccione dunque(5). All’alba del9 agosto il battaglione al com-pleto viene fatto marciareverso Rimini, del tutto ignarodi quello che sta per succedere.Anzi, i soldati credono chedovranno incontrare il feldma-resciallo tedesco, Kesselring, oaddirittura Graziani.Nello stesso momento gli abi-tanti di Covignano capisconoche qualcosa sta succedendo.Troppo movimento in giro: levedette scrutano l’orizzonteverso sud e palpabili sono l’a-gitazione e il nervosismo.Anche se nei dintorni i parti-giani non si sono resi protago-nisti di azioni eclatanti (comein altre parti del nord, a comin-ciare da Bologna), grande è lapaura di attentati dei ribelli,tanto è vero che viene operatoun rastrellamento di tutta lazona attorno al comando tede-sco di Covignano, canneticompresi. I tedeschi arrivanofino alla Galvanina, dove in unrifugio si sono nascosti diversicivili italiani per evitare dilavorare per la Todt o, peggioancora, essere deportati inGermania. Fortunatamente riescono ascampare alla retata(6).Quando il sole è ormai alto, e igiovanissimi bersaglieri del“Mameli” sono già in posizio-ne, ecco arrivare una Fiat 1500e una Mercedes berlina.Accompagnato da una piccolascorta, ne esce il Duce in per-sona.Qualche civile, tra le frasche,

riesce a sbirciare e a percepirele parole che Mussolini dicealla truppa. Rimane molto col-pito dal fatto che il Duce siamolto più basso rispetto allarealtà. In effetti, dall’antichitàclassica fino ai giorni nostri,nell’immaginario collettivo,per dirla con Guccini, «gli eroison tutti giovani e forti». Èinvece un uomo piccolo edemaciato, molto magro e conun’uniforme grigioverde senzamostrine e di almeno due tagliein più. Sarà poi la propagandatedesca, con il rotocalcoSüdfront, a mettergli i gradi,con un lavoro di fotoshop nonprivo di inesattezze.Sono lontani e irrimediabil-mente perduti i tempi dellevacanze a Riccione, dell’inau-gurazione delle colonie sulla

riviera con corifei festanti eosannanti. E pur tuttaviaMussolini viene accolto conentusiasmo dai bersaglieri chegli chiedono armi, addestra-mento e combattimento e luipromette di accontentarli.Alternando silenzi a frasi adeffetto, sostiene che la vittoriaè in pugno. Infatti nuove armiarriveranno: la bomba promes-sagli dal Führer, che cambierà,e anzi stravolgerà le sorti dellaguerra. Ma ora tocca a loro, aibersaglieri, difendere la pianu-ra padana che si stende sotto iloro occhi, da quel piccolodosso. Da lì partirà la difesadella patria, offesa dal tradi-mento del Re e di Badoglio edall’invasione dei suppostiliberatori.I militari sono contenti e bal-

danzosi, fieri di essere entratida protagonisti nella Storia.Come recita un’interessatamemorialistica: «avevano vis-suto una giornata eccezionale eognuno di loro avvertiva lasensazione del cambiamento,certi che stava per iniziare unperiodo importante della lorovita»(7). Ubriachi di entusia-smo, se ne tornano alle lorocolonie. Ma non difenderannoCovignano e l’estremo lembodella pianura padana. Di lì aqualche giorno il battaglioneverrà infatti trasferito a nord(8).Un incontro, quello diCovignano, solo per happyfew. A quanto sembra, i gerar-chi locali, come Paolo Tacchi,sono stati colti alla sprovvista enon hanno avuto neppure iltempo di sentire il Duce: pos-sono solo salutarlo pieni digioia come bambini aCovignano, al suo passaggiodavanti a Villa Ruffi. I contadi-ni, invece, si voltano sdegnati,esprimendo anche a distanza dianni il loro disprezzo per l’ido-lo infranto(9). Mussolini, velocemente comeè arrivato, se ne va via con lasua scorta, verso nord, versoCastrocaro e poi altre località.Vi sono altri incontri, altretruppe da infiammare con ilsuo eloquio.In realtà l’uomo di Predappio èturbato, profondamente turba-to, nonostante le parole di cir-costanze pronunciate ai bersa-glieri e agli altri militari italia-ni e le assicurazioni del feld-maresciallo Kesselring. Leopere difensive sulla LineaGotica tanto magnificate nonlo soddisfano affatto, in previ-sione dello scontro imminente,e non tarderà a manifestare lasua contrarietà allo stessoFührer. E, soprattutto, comescrive con mestizia a Claretta il13 agosto, il suo soggiorno«dal punto di vista emotivo èstato una completa delusione»,anche se i pochi civili che lohanno riconosciuto, a suo dire,sono stati confortati dalla suaepifania(10).

RIMINI STORIA

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .7

«“Le strade sono deserte.

Rimini, la tua Rimini – il Duce scrive a Claretta –

è un campo di macerie. In piedi non è rimasto

che qualche palazzo del centro e la statua di Cesare.

Non un uomo, non un’anima viva …»

Miramare di Rimini, agosto1944. La colonia Novarese,

dove fu acquartieratoil “Mameli” prima del

trasferimento sul litoraleveneto.

In alto. Agosto 1944. Mussolinicon Kesselring (da “Quelli del

Mameli”, p. 128).

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Tra l’altro, ha pensieri pieni diaffetto nei confronti di Rimini,nonostante la communis opiniospesso ancora oggi stancamen-te ripetuta secondo cui egli laconsidererebbe, eufemistica-mente, terra nullius, sospesatra la Romagna e le Marche. Èpur sempre la città in cui l’a-mante alloggiava in estate (alGrand Hotel), mentre il Ducedimorava a Riccione. A quantosembra, Mussolini ha tempoanche di fare una rapida incur-sione nelle vie cittadine, ormaiquasi del tutto deserte (granparte della popolazione, infatti,è sfollata in campagna e nellaRepubblica di San Marino).Quello che colpisce il Duce èsoprattutto il fatto che Riminisia ormai una città morta, quasisolo un cumulo di macerie. Untema ricorrente questo, ripresodalla propaganda, e oggettoanche dell’angosciata preoccu-pazione dal commissario pre-fettizio del comune di RiminiUgo Ughi, l’uomo dell’appara-to locale della RSI che più ditutti si è adoperato per i civili esi è opposto alla devastazioneda parte dei Tedeschi, ma chepuò solo assistere, impotente,alla distruzione causata dallebombe alleate(11).Sono dunque parole accorate,quelle della lettera a Clarettadel 13 agosto 1944, che vale lapena riportare: «E laRomagna? Quella che tu cono-scevi ed amavi, quella che tidava nei grandi giorni solaridei nostri tempi felici, una spe-cie di vertigine, è scomparsa. Èrimasta una vegetazione piùche mai lussureggiante, conmigliaia di alberi pieni di frut-ta che nessuno raccoglie, ma lospazio è vuoto. Le strade sonodeserte. Rimini, la tua Rimini èun campo di macerie. In piedinon è rimasto che qualchepalazzo del centro e la statua diCesare. Non un uomo, nonun’anima viva. Il silenzio è

impressionante. Dalle caselungo le strade esce qualchedonna vestita di nero, che nonguarda nessuno». Un tono elegiaco, pieno dicommozione, come è lecitoperaltro aspettarsi da un roma-gnolo pur sempre innamoratodella sua terra natìa, in cui nonmancano tocchi poetici, deci-samente insospettati e inso-spettabili visto il fosco conte-sto: «Nel silenzio, che di quan-do in quando il cannone degliAppennini rompe è un coroindescrivibile di uccelli. È uncanto che riempie l’aria»(12). Il Duce ritorna sul lago diGarda alle sette di mattinadello stesso 13 agosto(13). I gior-nali, debitamente imbeccaticome da programma, recitanole roboanti litanie di regime,per quanto concise. Il Duce alfronte ispeziona reparti italia-ni, titola pomposamente inprima pagina il Corriere dellaSera di martedì 15 agosto1944, ricordando l’avvenutavisita ai legionari della“Tagliamento”, ai bersaglieridel “Goffredo Mameli”, ailegionari del “9 settembre” e aun battaglione del GenioPontieri (oltre ai capi delle pro-vince di Bologna, Pesaro,Ravenna, Forlì, Ferrara e aicommissari federali di Forlì eRavenna).Ma è solo propaganda. La veri-tà si trova nelle lettere aClaretta e nei colloqui privatinell’‘esilio’ sul lago. Infatti ilDuce da tempo intrattiene lun-ghe conversazioni con un gior-nalista e scrittore irredentistasvizzero, Aurelio Garobbio.Anche se sperano che le sortidel conflitto vengano ribaltategrazie alle nuove armi diHitler, a Salò, nell’agosto del1944, Mussolini e i gerarchiparlano ormai apertamente diabbandonare la pianura pada-na. Si prospetta la necessità diattestarsi sulle Alpi, ancora nonsi sa bene dove. Il ridotto inValtellina, caldeggiato anchedallo stesso Garobbio, sarà ilnuovo, ultimo miraggio dellaRSI (14).

MAGGIO-GIUGNO 2012

RIMINI STORIA

A R I M I N V M /8.

Copertina del libro “A Clara.Tutte le lettere a Clara Petacci

1943-1945”, edito da Mondadori.

Note1) Vd. P. Chessa - B. Raggi, L’ultima lettera di Benito. Mussolini e Petacci:amore e politica a Salò 1943-45, Milano 2010, p. 127 e nota 15 a p. 212.2) B. Mussolini, A Clara. Tutte le lettere a Clara Petacci 1943-1945, a cura diL. Montevecchi, Milano 2011, pp. 255-256 (la lettera, come quella seguentecitata infra, è senza data, ma questa è trascritta a mano dalla stessa Petacci;non sono state invece ancora pubblicate le lettere della donna a Mussolini).3) Vd. la testimonianza di un soldato geniere di Cremona, Artemio Antonioli(«la Petacci venne a Piandimeleto ed a Cavoleto a visitare noi militari e ciregalò dei vasetti di pomata contro le pulci»), in 1944: la guerra nelMontefeltro. Alta e media valle del Foglia, Rimini 1995, libro I, p. 17. La noti-zia è ripresa, e amplificata, da R. Giacomini, La legione “Tagliamento” nelleMarche, «L’Impegno. Rivista di Storia Contemporanea», XXVIII, n.s., 2(2008), pp. 23-33, partic. 32-33 (cfr. F. Muccioli, L’ultimo giallo sulla LineaGotica. L’eroina di Rimini, Rimini 2011, p. 18).4) Mussolini, A Clara, cit., pp. 256-258, partic. pp. 256-257.5) Quelli del “Mameli”. Bersaglieri della Repubblica Sociale Italiana, a curadi A. Liazza, Bologna 2004, pp. 125-127.6) B. Ghigi, La guerra a Rimini e sulla Linea Gotica dal Marecchia al Foglia,Rimini 1980, p. 262 (testimonianza di Giulio Mancini, all’epoca quasi dicias-settenne, riprodotta anche in B. Ghigi, Lungo le Strade Della Deportazione.Storie di bestie, uomini e di un esercito in ritirata, Rimini 1999, p. 89).7) Quelli del “Mameli”, cit., p. 127.8) Cfr. Quelli del “Mameli”, cit., p. 127 (cfr. p. 132, dove sono rigettate leaccuse mosse ai bersaglieri di aver ucciso i familiari di don Giovanni Montali,parroco di San Lorenzino a Riccione).9) Ghigi, La guerra a Rimini, cit., p. 267: «nun invece as sem volt dun entchent, parchè a ne putemie gnenca veda» (testimonianza di Bruno Maggioli);cfr. pp. 262-263 (= Id., Lungo le Strade della Deportazione, cit., pp. 89-90),325.10) Mussolini, A Clara, cit., pp. 256-257.11) Cfr. Muccioli, L’ultimo giallo, cit., pp. 27-30.12) Mussolini, A Clara, cit., p. 257.13) Così annota con puntiglio Serafino Mazzolini, sottosegretario agli Esteridella RSI, in G.S. Rossi, Mussolini e il diplomatico. La vita e i diari diSerafino Mazzolini, un monarchico a Salò, Soveria Mannelli 2005, p. 496.14) A. Garobbio, A colloquio con il Duce, a cura di M. Viganò, Milano 1998,pp. 157 ss.

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el marzo del ‘41 fui chiamato allearmi per partecipare a Palermo al

corso Ufficiali. Il 15 settembre con ilgrado di Sottotenente, fui assegnato al IV°settore Guardia alla Frontiera di Saluzzo esuccessivamente inviato in Francia con ilbattaglione Mobile per presidiare il terri-torio occupato dall’Italia a Nord di Nizza.Un particolare: la Guardia alla Frontieraporta il cappello alpino con il porta-penna,ma senza penna, per questo motivo èdetta: “la vedova”.La sera dell’8 settembre 1943, alle ore19,30 apprendemmo dalla Radio Franceseche l’Italia aveva chiesto l’armistizio edalle 20,30 la Radio Italiana ce ne diedeconferma trasmettendo la registrazionedel messaggio del generale Badoglio.Incrementammo la vigilanza mentre spun-tarono diverse lacrime dai nostri occhi perla fine ingloriosa e i tanti vani sacrifici.Il giorno successivo ci pervenne l’ordinedi ripiegare a Briga Marittima e là ci rag-giunse l’ordine di scioglimento del repar-to. Consegnammo i muli, gli automezzi, learmi e i materiali ad un carabiniere nellavicina caserma e lasciammo in libertà tuttii militari augurando loro buona fortuna.Con il Comandante del Battaglione e icolleghi ufficiali decidemmo di fermarci aBriga ancora qualche giorno; io mi feciapprontare un abito civile dal sarto delpaese e previo accordi, fui assunto comeimpiegato in servizio provvisorio pressola stazione ferroviaria locale a coperturadella mia presenza in loco. Non avevamoancora l’esatta percezione della situazionereale del paese. Successivamente, dopoaver accertato che nella zona non vi fosse-ro truppe tedesche, pensammo di presen-tarci al Comando di Cuneo per riferire,assumere notizie e congedarci legalmentecon il sogno di tornare tutti verso le nostrecase lontane. Purtroppo al nostro arrivonella stazione di Cuneo ci trovammo cir-condati da un reparto tedesco di SS efummo fatti prigionieri. E qui iniziò ilnostro calvario.

Dopo la prima notte trascorsa in caserma(dove riuscii a procurarmi uno zaino, uncappotto, un maglione, un paio di scarpo-ni, un gavettone, un pezzo di formaggiograna e qualche altro piccolo oggetto chein seguito si manifestarono preziosi), almattino del 17 settembre, fummo condot-ti alla stazione ferroviaria, fatti salire suvecchie carrozze di 3^ classe con destina-zione a noi ignota. Dopo aver oltrepassatoil Brennero, a Norimberga, fummo trasfe-riti in carri bestiame (47 persone nel miocarro) e finalmente dopo 4 giorni di viag-gio, giungemmo a Bremerworde (traBrema e Amburgo); da qui, con una mar-cia di 12 Km, raggiungemmo il campo dismistamento X/B di Sandbostel.Appena arrivati, fummo sottoposti, comesuccederà ad ogni arrivo in ogni nuovocampo, ad una minuziosa perquisizioneper privarci di pile, macchine fotografi-che, carte topografiche, radio, bussole,indumenti supplementari e qualsiasioggetto che potesse interessare ai militaritedeschi. Venimmo poi sistemati in unabaracca di legno suddivisa in stanzette.Nella nostra eravamo in venti, diciotto incastelli a tre piani e due, sfortunati, sultavolo. Cominciammo così immediata-mente a comprendere che cosa significas-se la prigionia.Dal campo di smistamento Sandbostel,dopo 13 giorni fummo trasferiti al campodi Deblin. Purtroppo, dopo essere giuntisul posto, a causa dell’indisponibilità dispazio, con un altro giorno di treno e unanuova marcia, giungemmo finalmente alcampo di Benjaminowo Stalag 33 (a 30Km da Varsavia) e qui avvenne l’immatri-colazione ufficiale. Fummo alloggiati invecchie e malandate baracche di legno,abitate in precedenza da russi. Nella miaeravamo in 150 in castelli biposto. Losporco affiorava ovunque e non mancava-no cimici, pulci, pidocchi e topi. I serviziigienici erano a parte, in baracche aventiall’interno una grande fossa coperta datavole di legno malferme, sulle quali nonera facile stare in equilibrio. Quando cieravamo ormai convinti di dover rimanerein questo campo sino alla fine della guer-ra, improvvisamente a causa dell’avanza-ta russa verso la Vistola, giunse l’ordine di

PAGINE DI VITA

CORRADO GHINI / IL CALVARIO DELLA PRIGIONIA (2)

TUTTO INIZIÒ SU UN CARRO BESTIAMECorrado Ghini

N

MAGGIO-GIUGNO 2012A R I M I N V M /10.

«La sera dell’8 settembre 1943,

alle ore 19,30 apprendemmo

dalla Radio Francese

che l’Italia aveva chiesto

l’armistizio...

Incrementammo la vigilanza

mentre spuntarono diverse

lacrime dai nostri occhi

per la fine ingloriosa

e i tanti vani sacrifici»

Il sottotenente Corrado Ghini Guardia alla frontiera.

Sopra. Corrado Ghini nel settembre del1941 dopo la partecipazione al corso

Ufficiali di complemento.

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PAGINE DI VITA

trasferirci in altro campo.Così il 12 marzo 1944, di buon mattinofummo improvvisamente fatti uscire dallabaracche: dopo una minuziosa perquisi-zione personale, incolonnati e controllati avista, fummo condotti a piedi nella stazio-ne ferroviaria di Zegze e fatti salire sucarri ferroviari chiusi poi dall’esterno.Dopo 5 giorni di viaggio trascorsi al fred-do, quasi sempre in piedi per l’impossibi-lità di distenderci se non a turno per bre-vissimi periodi (36 ufficiali nel miocarro), con l’assillo di dover soddisfareurgenti necessità fisiologiche (la primaapertura dei carri avvenne dopo 30 oredalla partenza) e dopo aver attraversatoVarsavia, Pozna, Stettino, Amburgo,fummo fatti scendere alla stazione ferro-viaria di Bremerworde. Ripetemmo lamarcia di 12 KM e tornammo al lager diSandbostel.Al ritorno in questo campo, la vita simanifestò ancora più dura del passato.Iniziammo subito trascorrendo la primanotte sulla nuda terra, al mattino successi-vo una doccia calda-fredda, una pennella-ta di disinfettante nella parti intime, poifuori, ancora nudi e a piedi scalzi sullaneve, senza alcun asciugamano a cercaregli indumenti che ci avevano precedente-mente sequestrato.Il 31 luglio 1944, all’improvviso, con ungruppo di oltre 600 ufficiali fummo tra-sferiti al campo di Wietzendrf, Oflag 83.Qui l’inverno mise a dura prova i nostrifisici già stremati dalla scarsità di cibo,dalle continue minacce, dalle quotidianeumiliazioni, dagli appelli interminabili edal freddo. Le razioni già scarsissime sindall’inizio, diminuirono ancora perché iviveri che originariamente erano fornitiper 8 settimane, erano sufficienti per 9 set-timane; le baracche di legno dai tetti scon-nessi erano senza riscaldamento, l’acquacadeva sui letti e sui tavoli e, nelle nottiinvernali, si notavano candelotti di ghiac-cio di 20-30 centimetri.L’assegnazione di generi alimentari fuulteriormente ridotta in quantità e divenneanche più scadente come qualità. Il ranciodel mezzogiorno, a base di rape, si dimo-strò sempre più insufficiente. Il riscalda-mento non venne più concesso per man-canza di mezzi di trasporto: i 3 quintali dilegna consegnati per l’intero invernodovevano essere consumati nei giornifestivi tra Natale e Capodanno. Si sarebbe

potuto andare a raccogliere legna neiboschi vicini, accompagnati da sentinelle,ma le poche forze rimaste non permiseroquella modesta fatica. Nei primi giorni dimarzo 1945 i bombardamenti alleati sifecero più frequenti, i rombi dei cannoni

più distinti e la disciplina meno rigida.Alcune notizia captate da Radio Londra cipermisero di sperare in un imminente dis-facimento dell’esercito tedesco. I nostrisogni si avverarono nella notte del 13aprile, quando i nostri carcerieri abbando-narono il campo (rimasero solamente uncapitano e 30 uomini di truppa) così cheall’alba noi potemmo issare la bandieratricolore. L’arrivo di un ufficiale inglesealle 17,30 del 16 aprile confermò che lanostra liberazione era avvenuta.Furono momenti indicibili. Mentre venivaissata la bandiera italiana sul reticolato delcampo, piangemmo dalla gioia per lalibertà riconquistata. Il nostro desiderio dipartire immediatamente per l’Italia,dovette però fare i conti con le operazionimilitari ancora in corso, la difficoltà diapprovvigionamento dei viveri e l’orga-nizzazione che si stava mettendo in motoper far rientrare migliaia di soldati, alcunidei quali molto deperiti, altri gravementeammalati. Per questo motivo il 22 aprilefummo trasferiti a Bergen ed alloggiati incase private, fatte immediatamente sgom-berare dal comando inglese. Qui final-mente potemmo provvedere direttamentealla preparazione del nostro cibo, uscire anostro piacere e soprattutto gustare lagioia della libertà. Grazie alla presenza diuna bilancia, appurai che il mio peso(compresi gli abiti invernali che indossa-vo), era di 55 Kg, ben 19 in meno delluglio 1943. Approfittai della disponibilitàdi cancelleria, trovata nell’appartamento,per iniziare a trascrivere il mio diario gior-naliero. Il 1° maggio, per motivi organiz-zativi fummo ricondotti “liberi” nelcampo di Wietzendorf e riuniti a altri mili-tari provenienti dai vari campi di concen-tramento e di lavoro civile, mentre ilnostro Cappellano don Pasa ottenne direcarsi a Roma per perorare la nostracausa presso il Ministero della Guerra e ilPontefice.Finalmente dopo aver visto andarsenediversi colleghi, il 22 agosto arrivò il mioturno e partii con un camion scoperto sinoal centro di smistamento diBraunschweigcon proseguendo versol’Italia con un treno formato da carrimerci. Dopo tante soste, la mia tradottanella notte del 28 agosto 1945 arrivò alBrennero, il 29 pomeriggio a Bologna enella stessa serata a Rimini. Lasciai cosìvolentieri il carro che mi aveva riportato acasa, sulle cui pareti scrivemmo preventi-vamente, ben visibile: “Magri ma sani”.

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«Pensammo

di presentarci

al Comando per tornare tutti

verso le nostre case lontane.

Purtroppo al nostro arrivo

nella stazione di Cuneo

ci trovammo circondati

da un reparto tedesco di SS

e fummo fatti prigionieri.

E qui iniziò

il nostro calvario»

«Il 16 aprile 1945,

finalmente, potemmo gustare

la gioia della libertà.

Grazie alla presenza

di una bilancia

appurai che il mio peso

(compresi gli abiti invernali

che indossavo)

era di 55 Kg,

ben 19 in meno

del luglio 1943»

Albenga, aprile 1943. Corrado Ghini Alpino.

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iete mai rimasti chiusi inun ascensore? Subito si è

oppressi da un senso di clau-strofobia, sembra che manchil’aria e si è presi da un certoindistinto timore di pericoloincombente che per alcuni puòfacilmente trasformarsi in irra-zionale panico. In breve tempoqualcuno sbloccherà la situa-zione e tutto tornerà normale.Sono quindi bastati pochiminuti e già uscendo sul pia-nerottolo occupato da qualcheincuriosito condomino evedendo la luce delle scalesembra di tornare a vivere; ècome rinascere.Allora provate a pensare cosasi può provare in uno scafosigillato, di pochi metri di lar-ghezza, con angusti passaggi,con spazi calcolati al centime-tro, l’aria umida e rarefatta,una fredda luce azzurrognolaappena fioca per risparmiarenergia perché non si sa perquanto si dovrà restare immer-si, magari a 50 metri o assai dipiù sotto la superficie del mareche si sa premere con immen-sa pressione sulla struttura delsommergibile, tutti immobiliper non farsi sentire da chi dasopra vi sta braccando e congli idrofoni vi può forse indi-viduare facendovi omaggio diqualche bomba di profonditàche potrà in un attimo trasfor-mare il vostro angustissimofortino in un sepolcro diacciaio invaso violentementedall’acqua e dalla quale nonsarà in alcun modo possibileuscire. Credo siano attimiveramente terribili.

Quando ho aperto il fascicolodi Giuseppe Ambrogiani, ilprotagonista di questo raccon-to, ho quindi provato ad imma-ginare quale potesse esser lavita dei sommergibilisti intempo di guerra e debbo con-fessare che dovendomi imme-desimare in un componente diquegli equipaggi sono statopiù volte preso da un senso diangoscia e di oppressione purse tranquillamente sedutodavanti al computer per scrive-re di loro od immerso nella let-tura di qualche articolo utileper documentare correttamen-te una storia che ha poi giusta-mente preteso di esser raccon-tata al meglio. E francamentenon riesco ad immaginarecome potessero esser affronta-te situazioni del genere senzarimanerne segnati a vita.Eppure centinaia di nostriragazzi sotto il comando diintrepidi, ardimentosi ufficialivissero quelle stesse sensazio-ni, probabilmente quelle stes-se angosce e paure, stoicamen-te affrontandole con senso deldovere e compiendo continua-mente, durante ogni minuto diimmersione, piccoli, grandieroismi rimasti ignoti. Sì, per-ché ciò che avveniva in tempodi guerra a quota periscopio oa 20, 40 60 o 100 metri e piùdi profondità, come tutto ciòche appartiene ai profondiabissi marini, rimane avvoltoda un ovattato, liquido miste-ro. Non c’è nessuno che possatestimoniare, per averli veduti,i tanti atti di sofferta abnega-zione dei quali quei marinaifurono umili quanto eroici,silenti protagonisti anche nelcontinuo svolgimento dellepiù modeste, ma vitali ed indi-spensabili mansioni in quei

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TRA CRONACA E STORIA

I NOSTRI EROI / GIOVANNI AMBROGIANI (1909-1983)SOTTUFFICIALE CAPO CARICO DI SOMMERGIBILE

«UOMINI SUL FONDO»PLURIDECORATO AL VALORE MILITARE

Gaetano Rossi

S

A R I M I N V M /12.

«I sommergibilisti rappresentano,

dai tempi della formazione della specialità,

una ridottissima elite nell’ambito della Marina,

un corpo a sé, e per il rischio che comporta il tipo di

navigazione, anche in tempo di pace, sono, come

qualcuno disse, l’aristocrazia del mare»

L’Axum ormeggiato duranteuna cerimonia.

Sopra. Giovanni Ambrogianinel marzo 1940.

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ristrettissimi, angusti spazi.All’interno di quei corridoi diacciaio alti appena quantobasta, si passa infatti gomito agomito, si rasentano attrezza-ture, grovigli di cavi e tubimulticolori (a seconda dellarispettiva funzione) e non c’èpace neppure nelle cuccetteribaltabili che tutti devono aturno condividere, quando nonsi preferisca dormire vicino aimotori o a fianco dei siluri, peresser subito presenti per qua-lunque evenienza. Né gli uffi-ciali hanno quartieri riservati:anche il quadrato ufficiali èinfatti contemporaneamentesala mensa, alloggio (il solocomandante ha una cabinagrande quanto un loculo) edinevitabile corridoio di pas-saggio fra la prua e la poppa diqualunque sommergibile.Certo diverso fu per gli eroidel volo, per quelli che com-batterono nei deserti nordafri-cani, nelle Ambe etiopiche,nelle steppe gelate dellaRussia, sui mari … comunquesotto un libero cielo; ma di ciòche avvenne sotto i mari pocosi legge e poco si sa se non persentito dire, per aver vistoqualche filmato in TV o lettoquel famoso libro “Uomini sulfondo”(1) o per aver sentitofugacemente qualche raccon-to. E questo anche perché,occorre dirlo, i sommergibili-sti rappresentavano e rappre-sentano dai tempi della forma-zione della specialità, unaridottissima elite nell’ambitodella Marina, estremamenterarefatta. Sono sempre statipochi in rapporto alle forze disuperficie e sono sempre statiun corpo a sé: e per il rischioche comporta quel tipo dinavigazione, anche in tempodi pace erano, sono e restano,come qualcuno disse, l’aristo-crazia del mare.E’ quindi una bella opportuni-

tà questa di parlarne dallepagine di “Ariminum”, ricor-dando un nostro concittadino,pluridecorato, che prestò granparte del suo servizio imbarca-to su un sommergibile,l’Axum, che fu fra i protago-nisti della cosiddetta battagliadi mezzo agosto (11-14 agosto1942): una delle poche nellequali le forze congiuntedell’Asse, nonostante i tenten-namenti ed incertezze di

Supermarina (secondo alcunisi trattò di una costante operadi boicottaggio), inflissero unasonora batosta ad un grossoconvoglio angloamericano.Parliamo quindi del nostroprotagonista. Classe 1909,appena diciottenneAmbrogiani si arruola volon-tario nel C.R.E.M. (CorpoReali Equipaggi Marittimi)partecipando al bando di con-corso del 31 marzo 1927.

All’epoca, in quell’Italia piùpovera, ma certo migliore diquella di oggi sotto moltissimiaspetti, seguire la via dellacarriera militare o anche soloquella di un arruolamentovolontario (la prima ferma perun volontario in Marina era di6 anni) è una scelta ammiratada tutti, degna di prestigio erispetto.Il C.R.E.M. ha sede principalea Pola, l’italianissima Pola(oggi purtroppo occupata danon italiani), ma esistono cen-tri di insegnamento(Mariscuole) anche in altriimportanti porti.In qualità di allievo meccanico(nel C.R.E.M. il ruolo dei tec-nici del combattimento com-prendeva dagli artificieri aglispecialisti nel controllo emanutenzione dei siluri, degliaeromobili, delle mine, dellearmi) il giovane segue quindiil suo primo corso presso ildeposito di Venezia. Licenziato come “Comune diprima classe” il 24 novembredel 1928, per le sue qualità èpromosso Sottocapo il 10dicembre dell’anno successivo(grado che corrisponde a quel-lo di Caporalmaggiorenell’Esercito) e 2° CapoMeccanico (equivalente aSergente maggiore) il 1dicembre 1934. La promozio-ne successiva a Capo di 1°Classe (Maresciallo Capo)avverrà in periodo di guerra,nel 1942.Durante quel primo periodo,dapprima come allievo e poicome marinaio effettivo, svol-ge il suo servizio su diverseunità di superficie: LaFerruccio, la Titano, la Trieste,sull’incrociatore Gorizia,venendo per alcuni periodidistaccato anche fra iMaridepo di La Spezia eTaranto.Il primo imbarco su un som-mergibile risale al 14 ottobredel 1937 e si tratta propriodell’AXUM, sommergibile dimedia grandezza, di piccola

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L’Axum in navigazione.

Prua dell’Axum in navigazione

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crociera(2), sul quale salvobrevi parentesi di imbarchi sualtre unità sottomarine(Settimo, Da Procida, Cagni)presterà servizio per tutta ladurata della guerra seguendo-ne le sorti fino al suo tristeautoaffondamento, il 28dicembre del 1943.Dopo aver su unità di appog-gio preso parte alla Guerrad’Etiopia ed a quella diSpagna (che risultano debita-mente computate sul suo cur-riculum pensionistico), all’in-domani della dichiarazione diguerra viene destinato a farparte a tutti gli effetti dell’e-quipaggio dell’Axum, sulquale si imbarca l’11 giugno1940. Assegnato alla 71°squadriglia di base a Napolidapprima e poi a Cagliari, ilsommergibile è inizialmentedestinato ad operare nelMediterraneo occidentale, poinel Mediterraneo centraledove insieme ad altri dellastessa classe ha il compito diintercettare i convogli militario da trasporto destinati aMalta, spina nel fianco cheper l’inspiegabile opposizionetedesca non sarà mai occupa-ta, forse pregiudicando, così,l’esito della intera guerra(3).In questo quadro l’Axum(Ambrogiani è a bordo) il 9novembre 1940, insieme adaltri quattro smg, si porta allargo dell’isola de La Galite,restandovi in agguato.Occorre qui provare ad imma-ginare la tensione di queimomenti, nell’attesa delsegnalato passaggio del con-voglio alleato; poiché non hoper fortuna vissuto quelleesperienze, devo richiamarmiad un bel libro, edito ante-guerra da Paravia, scritto daAttilio Crepas (famoso scrit-tore, giornalista per LaStampa di Torino, squadristadella prima ora, volontario in

AOI, decorato) dal titolo “GliAngeli senza ali”, nel qualel’autore racconta in terminientusiastici di una trasferta daGenova a Napoli (a scopo pro-pagandistico) che gli fu con-sentito di compiere a bordo diuno dei più grossi sommergi-bili oceanici della nostra pre-stigiosa flotta: il GiuseppeFinzi(4). Ebbene quel fortunato“borghese” ammesso a condi-videre la vita di un equipaggio

di 70 uomini per alcuni giorni,mi ha trasmesso non pochesensazioni alcune delle qualiprovo a mia volta a trasmetter-vi, con licenza dei veri som-mergibilisti che spero non mene vorranno. Innanzi tutto misento che avrei condiviso ledue maggiori emozioni legatea due semplici ordini delcomandante, secchi e determi-nati. GIU’ oppure SU: in que-sti due monosillabi sta certo la

più vivida emozione che deveprendere chi possa parteciparead un viaggio così innaturale,magico (il pensiero va al fan-tastico Nautilus di GiulioVerne!) dove in realtà non c’ènulla da osservare, ma tutto siavverte appunto per sensazio-ni, mentre si sa di solcare invelocità l’ignoto mondo sotto-marino fra le sue mille insidie.Al primo di quei due ordini ilsommergibile apre i doppifon-di, imbarca decine e decine ditonnellate di acqua che loappesantiscono e sapiente-mente manovrati i timoni sucalcolate inclinazioni, inizia ascendere verso il mistero delleprofondità marine, dove nongiunge mai la luce del sole; egià qui quella emozione si tra-sforma in un brivido che correlungo la schiena. Si è dentroun colosso d’acciaio di più di100 metri di lunghezza che stanavigando ... alla cieca; già,perché non ci sono fari, non cisono oblò e Comandante edUfficiali affidano la propriavita e quella dell’intero equi-paggio a carte nautiche ed acalcoli da effettuare conimmediatezza ed assoluta pre-cisione. E certo altra oppostaemozione deve provarsi quan-do, dopo ore ed ore di immer-sione, magari per sfuggire adun inseguimento, si sentefinalmente un ordine liberato-rio: SU! Ed il colosso resti-tuendo al mare l’acqua che gliha sottratto per immergersirisale dolcemente verso lasuperficie (momento peraltroassai pericoloso per mezzi chenon avevano radar, per ilrischio di esser speronati pro-prio in quella delicata fase),verso il mondo degli umaniper ostile che possa esser poila superficie. Ed aprire i por-telli facendo entrare la brezzamarina penso dovesse essereun po’ come uscire da quell’a-scensore bloccato di cui parla-vo all’inizio. Si respira a pienipolmoni, si torna a vivere nelmondo. Ma c’è un altro ordineche a mio avviso doveva esser

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«Giovanni Ambrogiani,

prese parte alla battaglia mediterranea

di mezz’agosto (1942) che determinò gravi perdite

all’avversario e fu decorato per avere assolto in

quella audace azione i suoi compiti con coraggio,

serenità ed elevato senso del dovere»

Parte dell’ equipaggiodell’Axum. Ambrogiani

è al centro.

La medaglia commemorativaPost Occasum Ortus.

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altrettanto elettrizzan-te: FUORI!: che è l’or-dine di lancio. Risaliti aquota periscopio, cheappena emerso inizia afendere le acque scru-tando l’orizzonte comel’occhio di un dragomarino in cerca diprede, viene inquadratauna nave nemica: tuttodeve allora portare aquel comando finale:rotta, velocità, assetto.Il comandante nonstacca lo sguardo dal-l’oculare della propag-gine metallica che gliconsente, non visto, dilanciare l’attacco. Isiluristi, che per giornihanno quotidianamenteoliato e curato i lorogiocattoli dormendovipersino affianco, perscaricar la tensioneprobabilmente battonoamichevoli pacche sul-l’involucro dell’ordigno loroaffidato; al momento di farloscivolare nel tubo lanciasiluriquesto certo vuol essere unaugurio di buon viaggio,anche se il buono, qui, finiràper coincidere con un provo-cato naufragio. E poi arrivaquel comando: FUORI! conl’emozione che pervade sianel darlo sia nell’eseguirlo sianel seguirne la scia in direzio-ne dello sfortunato naviglioverso il quale l’ordigno si stadirigendo in velocità. Per nonparlare di cosa si deve provarequando, dal periscopio, sivede che il siluro ha colpitol’obiettivo. Entusiasmo, evi-dentemente, e poi la immedia-ta preoccupazione certo con-traddittoria ma molto umana,di accorrere per salvare glieventuali naufraghi(5).Tutto questo dovevano prova-re quegli uomini in agguatoanche se l’agguato, in quellaoccasione, non fruttò prede,

perché il rumore di turbinepercepito dai radiofonisti all’i-drofono si perse lontano,senza che fosse stato possibileavvistare nulla. Quel coman-dante non avrà mai saputo ilpericolo che la sua nave avevacorso quella notte.23 giugno 1941: altro agguatodell’Axum al largo di Bengasied Ambrogiani vi è sempreimbarcato. Nottetempo vieneindividuata una nave nemica amezzo miglio. Si lancia unprimo siluro che è difettoso enon esplode, Si lancia unsecondo che passa a pochimetri dalla poppa. A questopunto, da cacciatore l’Axum,individuato, diventa preda edeve fuggire immergendosima è inseguito dalla unità disuperficie che gli indirizzabombe di profondità, fortuna-tamente senza alcun esitoCerto l’azione più eclatantecui l’Axum prese parte conaltri dieci sommergibili, è

però la battaglia di mezzo ago-sto (1942) che si svolse fral’11 ed il 15 di quel mese, allargo della Tunisia. Un convo-glio alleato diretto a Maltacomposto da quindici mercan-tili scortati da due incrociatorie vari cacciatorpediniere,facente parte di un convoglioancora maggiore che com-prende altri incrociatori e per-sino quattro portaerei, vieneindividuato dai ricognitori eforze italo germaniche (aerei,sommergibili, piccole unità)convergono subito in quelleacque.Il giorno 14, alle 19,48, il peri-scopio dell’Axum inquadra esceglie le sue vittime: gliincrociatori Nigeria e Cairo ela nave cisterna Ohio. Alle19,55, come risulta dal libro dibordo, il sommergibile lanciaquattro siluri tre dei qualivanno a segno colpendo cia-scuno il proprio bersaglio.Sulla prima è imbarcato addi-

rittura il comandantedella squadra nemica,Ammiraglio Burrough,che viene precipitosa-mente trasferito su altraunità. Il Cairo vieneaffondato, l’Ohio ripor-ta gravi danni ma riescea scampare anche per-che l’Axum, comeavviene di consueto, èora diventato la preda.Per sfuggire si immer-ge velocemente e neltotale silenzio di tutti,sfidando anche il pro-prio limite di resistenzaalla pressione, raggiun-ge quota 100/120 metridi profondità, rimanen-dovi acquattato percirca due ore mentreintorno scendonobombe di profonditàche da un momentoall’altro potrebberoaprire nello scafo unosquarcio irreparabile oanche solo una mode-sta, ma a quella profon-dità, comunque mortalevia d’acqua. Per tuttoquel tempo non si sa se

il nemico li ha effettivamenteindividuati ed è ancora sopradi loro aspettando una mossafalsa quale sarebbe un tentati-vo di fuga, attenti gli idrofoni-sti ad un qualsiasi rumore dalfondo; non tutti resistono allatensione ed in un accesso diincontrollato terrore un com-ponente dell’equipaggio siuccide. Sarà l’unica vittima diquell’attacco fortunatamenteinfruttuoso anche se invecealtri due nostri sommergibili,il Cobalto ed il Dagabur pur-troppo restano quel giorno sulfondo, con il loro carico dispe-rato di uomini senza scampo.Poi il Comandante dell’Axum,Tenente di Vascello EmilioFerrini, ricorre ad un truccodei sommergibili braccati: falanciare fuori bordo dai tubilanciasiluri fusti sfondati diolio motore e suppellettilivarie; l’inganno riesce e leunità nemiche, alla vista delle

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Copertina de “La Domenica del

Corriere” del 10 Dicembre 1941:

“Il ritorno degli Eroi”

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chiazze e degli oggetti,convinte di aver affonda-to il sommergibilelasciano quelle acque. Il nemico ha però subitouna batosta che convinceil grosso della squadra avirar di bordo e tornareindietro: a seguito del-l’attacco italo-tedescoportato a termine conaerei, sommergibili epiccole unità tipo MAS,Schnellboote (attaccoimportante, al qualeSupermarina ha pensatobene di far mancare l’ap-poggio delle nostre piùpotenti navi da battaglia)il convoglio alleatoperde 10 mercantili sui15 che doveva protegge-re, una portaerei (Eagle)due incrociatori un cac-ciatorpediniere e 34aerei. Certo un bel successo,da ricordare.Per la partecipazione a questaimportante battaglia, venneroquindi decorati molti uominidegli equipaggi, uno dei qualifu proprio Ambrogiani, con laseguente motivazione:“Sottufficiale Capo carico disommergibile, prendeva partealla battaglia mediterranea dimezz’agosto contro un nume-roso convoglio nemico forte-mente scortato da forze navalied aeree; contribuiva con lasua opera professionale alleaudaci azioni che provocaro-no gravi perdite all’avversa-rio. In ogni circostanza assol-veva ai suoi compiti concoraggio, serenità ed elevatosenso del dovere.Mediterraneo centrale, 15agosto 1942”.A questa medaglia al V.M.occorre aggiungere le motiva-zioni di due Croci di Guerra alValore: “Imbarcato su som-mergibile fatto segno ad attac-co di aerei ed unità navali

durante una missione di guer-ra, assolveva i suoi compiticon perizia e coraggio”.Mediterraneo Orientale, 24-26 giugno 1941; e ancora:“Nel secondo anno della guer-ra 1940-1943, imbarcato susommergibile partecipava anumerose missioni di guerrain acque contrastate dal nemi-co, assolvendo in ogni circo-stanza il proprio incarico con

coraggio, abnegazione ed ele-vato senso del dovere”.Mediterraneo Centrale eOccidentale, 10 giugno 1941-9 giugno 1942.Ma vengono anche i giorni tri-sti del falso armistizio, quandol’intera flotta, per patti scelle-rati accettati supinamenteall’atto della resa incondizio-nata (si ha evidentementetanta vergogna ad ammettere

di aver firmato una resaassai poco onorevole,che si è pensato benedefinirla – e tramandar-la!- con un altro sostanti-vo, apparentemente piùdignitoso), viene conse-gnata al nemico del gior-no precedente.L’Axum è fermo aPozzuoli per riparazioni;viene trasferito aPalermo con l’equipag-gio, Ambrogiani com-preso, e si consegna agliAlleati. Viene trasferitopoi a Malta (il segno deldestino!) per rientrareinfine a Taranto, semprea disposizione dei nuoviinvasori, per esser impie-gato nel trasporto di spiee sabotatori in territorioellenico. Il giorno diNatale del 1943 si dirigenel golfo di Arcadia peruna di tali missioni; rice-vuti i segnali da terra esbarcato il canotto conl’ufficiale inglese chedovrà recuperare degli

informatori, finisce per inca-gliarsi su un fondale nonsegnalato dalle carte nautiche.Non c’è modo di uscirne ed ilComandante fa sbarcare tuttol’equipaggio che dopo unamarcia di cinque giorni attra-verso le aspre montagnedell’Epiro raggiunge un altropunto concordato per il rientrovenendo infine recuperato dauna torpediniera.Ma la sorte del glorioso Axumha nel frattempo visto la paro-la fine. All’atto di abbandonar-lo, il Comandante Sorrentinoed i pochi rimasti fra i qualiAmbrogiani lo affondano, puòben immaginarsi con qualisentimenti.Tornata la pace, la storiadell’Axum verrà ricordata dauna suggestiva medaglia com-memorativa che gli eredi delprotagonista di questo raccon-to conservano gelosamente.Sic transit gloria mundi.

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Copertina de “La Domenica del

Corriere” del 10 dicembre 1941:

“Nemico in vista”.

Note1) “Uomini sul fondo”. Storia del sommergibilismo italiano GiorgioGiorgerini2) AXUM: Classe Adua, lunghezza 60 mt, dislocamento 697 tonnellate (inimmersione, 856) larghezza 6,45 mt. Equipaggio: 4 ufficiali, 32 fra sottuffi-ciali e comuni; 4 tubi lanciasiluri a prora, 2 a poppa. Sul ponte: cannone da102/35 e due mitragliere antiaeree. Si trattava di un smg medio-piccolo, adat-to per crociere mediterranee.3) Malta costituì la principale base di partenza per le incursioni aeree sullenavi che dall’Italia portavano carburanti e rinforzi alle truppe operanti nelsettore nord africano. La mancanza di rifornimenti pregiudicò irreparabil-mente l’avanzata verso l’Egitto la cui occupazione, interrompendo l’inarre-stabile flusso dei rifornimenti per l’VIII Armata, avrebbe forse potuto cam-biare le sorti del conflitto.4) Uno dei maggiori smg della nostra flotta; apparteneva alla classe destina-ta alla navigazione oceanica ed in effetti un gruppo di nostri sommergibilioperò in Atlantico, con base a Bordeaux. E’ bene sapere che la Marina italiana dell’epoca era fra le primissime Marinedel mondo per modernità e potenza delle navi di superficie. Ma se ciò vale-va per quelle, ancora di più lo valeva per la consistenza e qualità delle squa-driglie dei sommergibili.

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on questo articolo voglioricordare e onorare i

marinai e tutti i militari chediedero la vita per il benesse-re ed il progresso del nostropaese.Durante l’ultima guerra moltimarittimi, dai naviganti aipescatori e dai comandanti aimozzi, persero la vita per iloro atti di quotidiano eroi-smo e molti altri, i più fortu-nati, la salute. Tra i personag-gi spesso ignorati dalle istitu-zioni e dalla cultura dominan-te, che scrive più per il potereche per il popolo, vanno inse-riti i fratelli Padovani:Giuseppe, Guido, Aldo eArmando. Avviati in teneraetà all’attività marinara,secondo la tradizione deltempo, dal padre Domenico,armatore, i quattro si conno-tarono subito nel lavoro perun forte vincolo famigliare“consegnato” dal genitore alfiglio maggiore Giuseppe,che si configurava davanti aifratelli con l’autorevolezzadel padre e l’affetto solidaledel fratello. Animati dallaforza interiore di questo soli-do e duraturo legame i quattroPadovani affrontarono ognievento della vita di mare, acui furono chiamati. Insiemecon il padre, Giuseppe,Guido, Aldo e Armando siimpegnarono nell’attivitàpeschereccia sui trabaccoli diloro proprietà e si distinseroparticolarmente per la pro-

sperità del loro pescato, gra-zie alla loro determinazione eal loro spirito di sacrificio e diabnegazione.

Il salto dalla storia locale aquella patria avviene con glieventi bellici dell’ultimo con-flitto mondiale, quando il loromotoveliero “Elsa” è requisi-to nel giugno del 1940 emesso a disposizione dellaRegia Marina Italiana. Ilmotoveliero, infatti, inviato aBari e ad Augusta per opera-zioni di vigilanza foranea allargo delle coste siciliane, peropera del capitano GiuseppePadovani, del motoristaArmando e di tutto l’equipag-gio riuscì a salvare trentacin-que naufraghi del transatlanti-co “Conte Rosso”, affondatonel Mediterraneo centrale. Questa la cronaca dell’impre-sa attraverso i resoconti dellastampa e del libro “Navi epoltrone” di AntonioTrizzino. Il grande piroscafo“Conte Rosso” era partito lamattina alle quattro del 24maggio 1941 da Napoli, doveaveva imbarcato duemilaset-tecentotrentadue uomini divarie armi e corpi. Alle sediciaveva attraversato lo stretto diMessina e alle venti e trenta-cinque, mentre si trovava auna quindicina di chilometrial largo di Siracusa fu colpitosulla sinistra da due siluri,lanciati da un sommergibileinglese. In occasione del suoaffondamento, il motovelieroElsa del Compartimento diRimini – che da circa un annoprestava servizio di vigilanzaantiaerea presso una basedella Sicilia –, riceveva l’or-

TRA CRONACA E STORIA

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GIUSEPPE PADOVANI DETTO “MUNDIEL”

EROE DELLE MARINERIA ITALIANAPier Domenico Mattani

C

«Giuseppe Padovani,

comandante del motoveliero “Elsa” – requisito nel

giugno del 1940 e messo

a disposizione della Regia Marina Italiana –

e i suoi marinai riuscirono a salvare trentacinque

naufraghi del transatlantico “Conte Rosso”,

affondato nel Mediterraneo centrale»

Rimini, Sinistra del porto.Motoveliero trabaccolo “Elsa”.

Sopra. Augusta, 15 giugno1942. Giuseppe Padovani,Comandante della MarinaMilitare Italiana, in Sicilia.

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dine di salpare immediata-mente per cooperare al salva-taggio dei naufraghi. Gliintrepidi marinai riminesi, adonta del mare tempestosoavvolto nella più assolutaoscurità, obbedivano all’ordi-ne ricevuto e senza alcunindugio si mettevano al segui-to di una grossa unità navaleper raggiungere il luogo.Durante il tragitto, a causa delbuio, perdevano il contatto.Privi della loro guida e senzaalcun orientamento di rotta, inostri marinai vagarono sinoalle prime luci dell’alba,quando, fortunatamente,avendo scorto sul mare alcu-ne tracce del naufragio,riuscirono ad avere un puntodi riferimento per proseguirele ricerche e compiere l’attoaltamente umano per cui sierano mossi dalla base.Avvistata finalmente una zat-tera, con manovre assai diffi-cili per la furia degli elementimarini, riuscivano ad acco-starla e a prendere a bordo delloro motoveliero i ventunouomini che vi si trovavano,alcuni dei quali feriti.Successive ricerche portava-no alla scoperta di un’altrazattera con altri naufraghi chefurono tratti a bordodell’“Elsa”. Dopo aver scru-tato ancora invano la distesainfinita del mare per scorgerealtri scampati al naufragio, inostri bravi marinai delibera-rono di ritornare a terra,anche perché gli uomini rac-colti avevano bisogno diristoro e di cure. Trentacinquefurono le persone salvate daGiuseppe Padovani e dai suoivalorosi marinai. Queste le parole della figlia

del comandante del motove-liero “Elsa”: «Come figlia ditale protagonista non potròmai dimenticare l’eco delleparole di mio padre, quandomi raccontava della “proces-sione” di madri che si presen-tavano a casa della nonna perringraziare lei, madre digenerosi uomini, che avevanosalvato i loro figli». Raccontiemozionanti, toccanti, comesempre accade quanto Vita eMorte si sfiorano.

Ai componenti di questafamiglia il tempo riservò altreoccasioni di estremo pericolo,in cui spiccarono il coraggio,l’abilità e la perizia del capi-tano e del suo efficiente equi-paggio. Giuseppe Padovani,infatti, avvalendosi di un vistaacutissima, dato il rischio dimine disperse in mare, ericorrendo, quale Ulisse, adun astuto stratagemma comel’uso di una scialba bandierafrancese, con il suo modestotrabaccolo riuscì a far recupe-rare ai sommozzatori italianialcuni codici segreti contenu-ti nel cacciatorpediniereinglese “Mohawak”, colato apicco nelle secche di Sfax, allargo di Tunisi. A questa eroica impresa, dicui parliamo a parte, siaccompagnava poi l’opera didisincagliamento del caccia-torpediniere “Lampo”, arena-to nelle secche di Kerkennak(Cartagine), già teatro diguerra. Per oltre 30 giorniPadovani ed il suo equipag-gio, assieme a quattro som-mozzatori della MarinaMilitare e al loro comandan-te, si prodigarono in un inten-so, estenuante lavoro, pertamponare le falle sulle fian-cate del C.T. ”Lampo”, pro-sciugare l’acqua interna delloscafo e riportarlo a galla, con-tinuamente esposti alla

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TRA CRONACA E STORIA

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Rimini, Porto canale, 1936.Giuseppe Padovani e (sotto)

Chiarichini detto Ciapet.

«Giuseppe Padovani,

avvalendosi di un vista acutissima,

dato il rischio di mine disperse in mare,

e ricorrendo, quale Ulisse,

ad un astuto stratagemma come l’uso di

una scialba bandiera francese, con il suo modesto

trabaccolo riuscì a far recuperare ai sommozzatori

italiani alcuni codici segreti contenuti nel

cacciatorpediniere inglese “Mohawak”, colato

a picco nelle secche di Sfax, al largo di Tunisi»

Rimini porto canale. Il motoveliero trabaccolo

“Elsa”.

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minaccia delle offese nemi-che.

Anni dopo, per queste impre-se, Il Comandante laCapitaneria del Porto diRimini, il Ten. Col. EusebioViginio, consegnerà aGiuseppe Padovani, Caponocchiere di 1.a. classe (mili-tarizzato), Capitano del moto-veliero “Elsa”, il brevetto delMinistero della Marina, colquale gli viene conferita laCroce di Guerra al ValorMilitare, con la seguentemotivazione: «Imbarcato sumotoveliero requisito, desti-nato quale base di appoggio

per le operazioni di disinca-glio e di recupero di una unitàgravemente colpita in uncombattimento navale, parte-cipava ai lavori con tenacia eperizia in una zona espostaall’offesa nemica, contri-buendo decisamente al suc-cesso dell’impresa(Mediterraneo Centrale,luglio-agosto 1941). Roma 15dicembre 1961».Uguale riconoscimento andràal 1° motorista, ArmandoPadovani ed ai membri dell’e-quipaggio del motoveliero“Elsa”. Per questi atti di veroeroismo il capitano GiuseppePadovani verrà chiamato sim-paticamente “Mundiel”.

L’attività del leggendario tra-baccolo continuò dopo ilperiodo bellico, capeggiato daGuido Padovani e dal fratelloAldo in qualità di motoristafino al 1959, anno in cui“Elsa” fu venduta alla mari-

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Le doti di perizia e di coraggio del capitano Padovani e del suoequipaggio rifulsero anche da varie imprese. L’azione più signi-ficativa dal punto di vista militare fu quella che consentì allanostra Marina di entrare in possesso dei preziosi codici segretiinglesi, racchiusi nell’interno di una loro nave affondata incombattimento; azione che mise a dura prova lo spirito di intra-prendenza e la tenacia di Padovani e dei suoi, esponendo la lorovita a grave rischio. I documenti segreti di bordo erano rimastiimprigionati nel cacciatorpediniere inglese “Mohwawk” ina-bissatosi rapidissimamente (per cui mancò ai pochi ufficiali bri-tannici scampati dal disastro, il tempo di porli in salvo) neipressi delle secche di Kerkennah, di fronte a Sfax (Tunisia)durante lo stesso aspro combattimento in cui affondò il nostrocacciatorpediniere “Lampo”. Quella terribile battaglia sul maresi svolse e si concluse tragicamente fra tre cacciatorpediniere(“Baleno”, “Lampo”e “Tarigo”) di scorta a 5 piroscafi, e quat-tro cacciatorpediniere inglesi (“Jervis”, “Jnanus”, “Nubian” e“Mohwawk”). Il “Tarigo”, colpito gravemente, prima di colarea picco riuscì a lanciare un siluro centrando in pieno il“Mohwawk”, che s’inabissava in pochi minuti. Dopo un po’ ditempo a un ufficiale della Marina Italiana venne l’idea di anda-re a recuperare da quella nave britannica in fondo al mare isegreti che racchiudeva nei locali del comando. Dopo unaprima missione non riuscita, compiuta con l’appoggio di ungrosso motoveliero, fu organizzata una seconda spedizione con

il trabaccolo riminese “Elsa”, molto più piccolo del precedentee quindi più adatto allo scopo, in quanto meno appariscente.L’operazione portò alla luce importanti manuali e codici diguerra, tra i quali di eccezionale importanza, il Mastro che con-teneva oltre le consegne di massima per la flotta delMediterraneo, le istruzioni per le basi di Malta e di Alessandria.Inoltre i marinai di Padovani estrassero due volumi: il“Confidential Admiralty Fleet Orders”, con notizie segretissi-me sulle armi, sulle comunicazioni e sull’organizzazione belli-ca inglese, e il “Confidential Political and Naval News”, bollet-tino settimanale segreto d’informazione diramatodall’Ammiragliato. L’impresa richiese varie giornate di este-nuante lavoro. L’equipaggio dell’“Elsa”, per salvarsi, ricorseanche alla furberia. Come quella volta che tre aerei inglesi avvi-starono il natante nelle vicinanze Kerkennah, insospettiti torna-rono indietro, sorvolando più volte a bassissima quota. Ma,intuita la manovra del nemico, con un rapido piccolo strata-gemma l’equipaggio di Padovani riparò sottocoperta; solo tremarinai restarono sul ponte e bene in vista, sfoggiando dai loroberretti magnifici “pompon” rossi fiammeggianti, mentre apoppa sventolava la bandiera francese. I tre velivoli inglesi,dopo avere “accertato” che si trattava di un piccolo veliero dinazionalità francese, si allontanarono, mentre uno dei piloti conuna mano fuori della carlinga faceva cenni di saluto.

I CODICI SEGRETI INGLESI RECUPERATI DA PADOVANI

Equipaggio del“Mamma Rosa”.

Da sinistra in alto:Giuseppe Padovani (Mundiel),Costanzo Voltolini (armatore),

Armando Padovani (Nini),Natale Moroni,

Giovanni Padovani (figlio del Mundiel),

Sotti Rino di Cattolica, Antonio di Cattolica,

Guido Neri.

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neria di Pesaro.I fratelli Giuseppe eArmando, in efficace siner-gia, erano chiamati ad altreimprese sul Motoveliero“Mamma Rosa”, di cui eranoarmatori, in misura diversa, isignori Gustavo e CostanzoVoltolini, gli stessi Padovanied il signor Piccinini.L’imbarcazione, costruitanell’immediato dopoguerra,segnò una svolta nella cantie-ristica riminese per la qualitàdel materiale impiegato, deltutto all’avanguardia in queltempo, e per gli accorgimentitecnici suggeriti dalla periziadell’armatore CostanzoVoltolini: Suggestiva ememorabile è la foto che

immortala la posizione del“varo di traverso” dello scafo,accompagnata da una frago-rosa e scrosciante immersio-ne, che inondò i presenti stu-pefatti. La guerra chiamò ancora iriminesi a raccogliere e a tra-sportare i rottami bellici daldeserto Libico a Trieste.Frammenti di pianto e dimorte recuperati da queglianonimi “testimoni” di storia.E in nome della storia Riminidedicò ai “Fratelli Padovani”i giardini che si trovano travia Madonna della Scala e viaZavagli.

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Rimini 6 aprile 1963. Salone del Teatro Comunale.

Il ministro della MarinaMercantile Macrelli consegna ilDiploma e la Medaglia d’Oro

di lunga navigazione aGiuseppe Padovani.

Rimini 13 maggio 1966.Casina del Bosco. Giuseppe Padovani riceve il Diploma e la Croce di Cavaliere al meritoInteralleato.

MOTOVELIERO TRABACCOLO “ELSA”L’“Elsa”, motoveliero trabaccolo da trasporto, fu costruito a Rimini dal maestro d’asciaDomenico Belicchi detto “Michin” e varato l’11 settembre 1930. Queste le sue caratteristiche:lunghezza m. 26,75; larghezza m. 7,49; altezza al puntale m. 2,92; portata 125 tonnellate distazza lorda: armatore Domenico Padovani fu Giuseppe detto “Mengo”.L’“Elsa” fu iscritto al compartimento di Rimini con matricola N° 681. Requisito l’11 giugno1940 dalla Regia Marina Italiana e adibito a diversi servizi, tra i quali il salvataggio dei naufra-ghi del transatlantico il “Conte Rosso”; il recupero dei codici segreti contenuti nella stiva delcacciatorpediniere inglese Mohawak; il disincagliamento del cacciatorpediniere “Lampo”affondato nelle secche di Sfax. Fu smilitarizzato dopo l’8 settembre 1943; ritornò a Rimini nel1945. Fu veduto a Pesaro il 19 marzo 1959.

Al centro.Rimini 12 marzo 1968.

Giuseppe Padovani (Mundiel)consegna la Medaglia d’Oro

per lunga navigazione al marinaio

Giuseppe Giulietti (Fulett).

Sotto. Rimini, 11 maggio 1969,

Sala dell’Arengo. Giuseppe Padovani riceve

dal Comandante della Capitaneria di Porto

la Medaglia d’Oro.

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I FRATELLI PADOVANI

Rimini, Piazzale Boscovich.Festa del marea

all’Associazione Marinaid’Italia. Al centro

tra le autoritàGiuseppe Padovani..

Al centro.Rimini, Piazzale Boscovich.Festa del mare. Giuseppe Padovani(Mundiel)è il secondo da dx

«Anni dopo

il Comandante

la Capitaneria

del Porto di Rimini

consegnerà

a Giuseppe Padovani,

Capo nocchiere

di 1.a. classe

(militarizzato),

Capitano

del motoveliero

“Elsa”,

il brevetto

del Ministero

della Marina,

col quale

gli verrà conferita...

I fratelli Giuseppe, Armando e Aldo Padovani sono stati insi-gniti di medaglia d’oro di lunga navigazione, negata al genero-so e riservato Guido solo per la sua prematura scomparsa.Ricordiamoli anche con i loro soprannomi: Giuseppe

Padovani, detto e “Mundiel” (1900-1975); Guido Padovani,detto “Caplèina” (1905-1963); Aldo Padovani, detto “Pitor”(1908-1986); Armando Padovani, detto “Nini” (1915-1997).

Si ringrazia per la collaborazione data a questo articolo lasignora Anita Gianni moglie di Armando Padovani e la figliasignora Elisabetta; la nuora signora Valentina Vandi, mogliedi Giovannino Padovani (figlio de Mundiel) e il figlioStefano.

...la Croce di Guerra

al Valor Militare.

Uguale

riconoscimento

andrà

al 1° motorista,

Armando Padovani

ed ai membri

dell’equipaggio

del motoveliero.

Per questi atti

di vero eroismo

il capitano

Giuseppe Padovani

verrà chiamato

simpaticamente

“Mundiel”»

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er l’estate 1927viene aperto,

dietro l’Hotel DesBains, un largo sboc-co per l’afflussodella popolazionebagnante che si recao torna dalla spiag-gia, là dove primastava “grottesca evergognosa” lacosiddetta Casadell’Arte (inauguratasfarzosamente nel1922 dall’ingegnerAddo Cupi), e tuttal’area intorno vienetrasformata in un fre-sco e ben tenuto giar-dino(1). Parte del fabbricato èriordinato ed abbelli-to e diventa sededella rinomatapasticceria del cavalierEnrico Zanarini di Bologna(2),il quale, ai primi di luglio,apre i suoi locali, arredati,con sfarzo e modernissimobuon gusto, e vivacizzatidalle grandi, variopinte mac-chie di colore degli ombrello-ni e delle abat-jour.Ed è qui che il gran mondo, dipomeriggio, alle sei, si racco-glie ad ascoltare la musica e aguardare il passeggio. Il locale è il convegno dell’e-leganza. Non c’è luogo piùbello di questa pasticceriacon orchestra per osservare,mentre il sole tramonta dietroil folto parco del Kursaal, lo

sfilare della vanitàfemminile interna-zionale.E, annota il cronistadi “Rimini la piùbella spiaggia delmondo”: «L’elegantee necessarissimoritrovo è sempreaffollato. E’ questo,veramente, un bellis-simo esperimento diinnesto del nuovo sulvecchio».Per l’entrata in socie-tà dell’imprenditorefelsineo è stata appo-sitamente fissata laserata del 24 luglio1927 al Kursaal conuna deliziosa cena dalui offerta per la atte-sissima “Notte sca-pestrata”.

Serata indimenticabile… Leterrazze a mare e a montesono trasformate in serre,chioschi, boschetti ed altriluoghi intimi.L’illuminazione, fantastica,ondeggia fra scenari opposti,un tratto abbaglianti e, subitodopo, tenebrosi.Due orchestre si alternanonella loro follia sonora; poigran cotillon e danze fino almattino. Governa il tutto, perl’appunto, il cavalier EnricoZanarini che si diletta, coisuoi distinti camerieri in abitoda sera, a dispensar vini espumanti da baccanale fra levarie succulente portate: anti-pasti, consumato reale,sogliole in salsa Littorio(sic!), pollarde Adami ingelatina, bombe alla siciliana,frutta e, manco a dirlo, DolceZanarini.La pasticceria – gelateriaZanarini diviene ben prestouno dei locali più frequentatidella Rimini balneare, un

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ANNI VENTI / L’ESTATE DEL 1927

“CI TROVIAMO AL ZANARINI!”Alessandro Catrani

P

A R I M I N V M /24.

«Il locale è il convegno dell’eleganza. Non c’è luogo più bello di

questa pasticceria con orchestra per osservare,

mentre il sole tramonta dietro il folto parco

del Kursaal, lo sfilare della vanità femminile internazionale»

Estate 1927. I Camerani di Forlì

(proprietari del villino“La Torretta” in viale Dandolo)

seduti ad un tavolino della nuova

pasticceria-gelateria Zanarini.

Sopra. Estate 1927. La nuova pasticceria-gelateria

Zanarini.

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luogo d’incontro dellaselezionata élitevacanziera. «Ci tro-viamo al Zanarini» èil nuovo messaggioche circola da ogniparte della vita dispiaggia e mondana.All’indubbia bellezzadella location e dellastruttura prescelte siunisce il genio imprenditoria-le del titolare che non lesina apiù non posso iniziativeaccattivanti di ogni guisa conun’organizzazione articolataper servire le esigenze dellavasta clientela nell’arco delle24 ore.Al mattino i caffè macchiatisi confondono con le consu-mazioni degli ultimi tiratardi;alle 11 pronti con lo speciale“aperitivo Zanarini”; alle ore13, nella parte ombreggiata,per un’ora circa si apre ilcaffè danzante con annessascuola di ballo; poi, i giovedì,dalle 14 alle 16, per i bambi-ni, pomeriggi a tema, neiquali una folta schiera di pic-coli, mamme e amiche dellemamme sulla terrazza delvicino Kursaal attende le cen-tinaia di giocattoli, i più sva-riati, messi a disposizione dei

piccini, mentre ilcavalier EnricoZanarini, impettitoed orgoglioso, offreai bimbi pasticcini ebibite, di modo cheil tumultuoso mondoinfantile possa conpiù forza dar fiatoalle trombe! Alle 18caffè danzante e, allasera, gran concertocon artisti di grido.Zanarini è attivo inogni ora del giorno e

della notte: una vetrina idealeper vedere e farsi vedere dalleondivaghe moltitudini chesolcano il piazzale a mare delKursaal e le adiacenze diMarina Centro.Una specialità di Zanarini è ilcenino delle ore piccole, conlasagne al forno e tortellini alragù che vengono serviti dauno stuolo di eleganti came-rieri i quali si apprestano, sulfar della mezzanotte, a coglie-re l’ordine del direttore,“Fuori la placca”, cioè uscirecon i vassoi colmi di fumantilasagne e tortellini, leccorniebolognesi cucinate allamaniera esclusiva della casa.L’anno successivo, visto ilsuccessone riminese,Zanarini sbarcherà anchenella vicina Riccione perseguire degnamente la propriaclientela bolognese che, pro-prio nella “Perla Verde”, rap-presenta il nucleo portantedella colonia villeggiante.

TRA CRONACA E STORIA

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Note1) Nel 1931 la pasticceria Zanarini, con la demolizione dell’Idroterapico-Hoteldes Bains e l’allargamento della grande piazza a mare del Kursaal, si troveràinserita nel punto più strategico e frequentato del centro balneare.2) L’ anno di nascita della pasticceria Zanarini di Bologna è il 1919. Col pro-fumo di caffè e i suoi dolci avvolse i discorsi di Carducci, e con lui letterati eartisti. Nelle sue sale s’ispiravano Morandi e Mascagni. Prima di essere unCaffè questo locale sotto il portico del Pavaglione era un negozio dove si ven-devano stoffe, tele e tendaggi e prima ancora trattava la canapa. Fu GastoneZanarini a trasformarlo in bar, lui che aveva un famoso caffè in via D’Azeglio(dove ora c’è il negozio di Chanel, sopra il quale rimangono tracce dell’anticainsegna) con il laboratorio di pasticceria in Corte Galluzzi. Una volta aperto illocale all’angolo tra l’Archiginnasio e via Farini vi trasferì, al piano di sotto,anche il laboratorio di pasticceria. Il Caffè passò al figlio Giorgio ed al di lui

figlio Enrico che lo conservarono, tra alterne vicende, fino agli anni Sessanta.Il figlio di Giorgio, Enrico, si dedicò anche alle auto e diventò un manager dellaFormula 1. Poi arrivò l’imprenditore Bartolini, che lo gestì fino al 1984 quan-do il testimone passò nelle mani di Giorgio Orlandi, bolognese doc. E’ semprestato un locale all’insegna della tradizione e dell’élite. Basti pensare che ilprezzo del caffè è stato quasi sempre il più caro della città. Ai bolognesi non èmai importato più di tanto, basta vedere tuttora le incessanti file per la cola-zione alla domenica mattina. Anche negli arredi Zanarini è rimasto legato altempo andato, sulla scia di altri Caffè storici d’Italia come il Pedrocchi diPadova, il Greco di Roma o il Florian di Venezia. Inutile dire che da sempre èil ritrovo della Bologna che conta: imprenditori, politici, famiglie importanti,gente dello spettacolo hanno fatto di questa pasticceria il locale di culto. Si diceche nel passato abbia ospitato la cugina della regina di Inghilterra.

Zanarini, il nuovo centro

della Rimini mare

24 luglio 1927. Splendido menu

della cena offerta dalla pasticceria-gelateria

Zanarini al Kursaal per la “Notte scapestrata”.

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opo la “marcia su Roma”, la spintadei riccionesi ad aderire al fascio

diviene incontenibile. Stando alla stampadelle camicie nere, la gente fa addiritturaressa alla porta del partito del primo mini-stro.Per l’anniversario della Vittoria, i fascistidi Riccione danno prova della loro effi-cienza organizzando una commemorazio-ne degna della “nuova era”. Quella fasci-sta, naturalmente. Il paese, scrivono i gior-nali, era tutto imbandierato e cosparso diannunci celebrativi della ricorrenza.L’adunata era al Kursaal. Da questoambiente, ormai storico per l’avanzatafascista, alle 14 iniziava la sfilata lungo iviali della “città” con in testa la bandamusicale (1). I particolari della manifesta-zione li ricaviamo da “La penna”; leggia-moli e facciamo attenzione alla coreogra-fia; d’ora in avanti questo “folclore” saràuna caratteristica della vita politica esociale del paese: «Precedevano le cami-cie nere ed i tricolori, indi la bandiera delfuturo Comune di Riccione e SanLorenzino col comitato del Comune auto-nomo; pure con bandiera sono intervenutigli iscritti alla Croce Verde col presidenteOddo Gramignani, il Dott. Serafini e l’in-faticabile Cav. Reale. In buon numeropure gli operai dei sindacati con bandiera.Innanzi all’Asilo infantile si trovanoschierati i piccoli delle scuole con le loromaestre; il corteo si ferma ed i bambiniintonano un inno patriottico ed innalzanoforti alalà per il Fascio e per l’Italia.Graziosissima soprattutto una piccina,Zita Papini, che ha recitato con infinitagrazia infantile una poesia alla Patria; lasua carissima voce ha commosso quantil’hanno udita e più di un ciglio si è inumi-dito. Lode speciale va data per la riuscitadimostrazione dei bambini all’esimiadirettrice del nostro asilo signora EmmaPaggi ed alla brava maestra Sirocchi. Ilcorteo riprende e va in teatro. Sono pre-senti un migliaio di persone; il conte dott.Felice Pullè presenta l’oratore della gior-nata, poi, fra l’intera commozione, fa l’ap-pello dei nostri compaesani morti nellagrande guerra, a lui tutti rispondono prete!Dopo qualche secondo di raccoglimentoparla il Sig. Giuseppe Passerini del Fasciodi Trento»(2). Il discorso incentrato sull’e-roismo dei soldati italiani al fronte è

anche un’esortazione «alla responsabilitàe al lavoro» della nuova Italia fascista.«Solo la pace e il lavoro – dice l’oratore –non l’odio di classe, possono preparare ilbenessere al popolo italiano»(3).A margine di questa giornata, alcuniminacciosi ammonimenti ci fanno capireche c’è ancora a Riccione chi continua amugugnare tra i denti gli ideali del “Soledell’avvenire”, anche se la sua azione pro-pagandistica si riduce allo strappo di qual-che manifesto. Avverte “La penna”: «Aqualcuno che ha la lingua troppo lunga, aqualcuno che si diletta nel silenzio dellanotte a strappare i nostri manifesti, a qual-cuno che vuol rifarsi una perduta vergini-tà presso i socialisti, a qualche capo chevuole riprendere l’antico seggio, noi peroggi solamente ricordiamo che esistono

ancora il manganello e l’olio di ricinoanche in tempo di pace»(4).E a proposito di pace. La festa di sabato11 novembre 1922, promossa dal fascio dicombattimento di Riccione, s’inserisceper i suoi nobili scopi in un contesto diriconciliazione popolare. Le camicie nere,infatti, nel tentativo di superare le divisio-ni tendono la mano ai socialisti chiedendoloro di partecipare alla grande pesca dibeneficenza organizzata al Kursaal. Nonsono pochi i “sovversivi” che accettanol’invito e con spirito di concordia acqui-stano i biglietti della lotteria. Ne vengonovenduti diecimila. Lasciamo al corrispon-dente del giornale fascista il commentodell’iniziativa: «Mai a Riccione si eraassistito ad uno spettacolo simile, maitanta folla aveva partecipato ad una festapatriottica; folla veramente ed ancheimpreveduta. Ciò spiega qualche lieveinconveniente avvenuto nella distribuzio-ne dei regali ai vincitori. Abbiamo per laprima volta assistito a Riccione, dopol’avvento del fascismo, ad una dimostra-zione cui tutti hanno partecipato. È veroche nella sala del nostro Kursaal domina-vano il tricolore e gli inni fascisti, ma c’e-rano anche parecchi di altro colore chehanno presa viva parte alla nostra festa.Noi non siamo quelli che rifiutano ilramoscello dell’ulivo, quando gli antichiavversari lo desiderano; noi più vivamen-te di tutti desideriamo che la pace ritorni aRiccione, che cessino gli odi, ma primacosa esigiamo che tutti siano italiani chenessuno denigri mai questa grande madrecomune, e vogliamo che tutti cooperino,anche per vie e con opinioni diverse, allagrandezza del nostro paese. Ora che imessia di Lenin, Villa e Saponi, sonoabbattuti cooperiamo tutti per la rinascitadi questo nostro benedetto paese che tantoattende da noi»(5).

TRA CRONACA E STORIA

NOVECENTO RICCIONESE / 1922: INIZIA IL “FOLCLORE” FASCISTA

TUTTI INSIEME A CELEBRARE LA VITTORIA Manlio Masini

D

MAGGIO-GIUGNO 2012A R I M I N V M /26.

«A qualcuno

che si diletta nel silenzio

della notte

a strappare

i nostri manifesti …

ricordiamo che esistono

ancora il manganello

e l’olio di ricino

anche in tempo di pace»

Note1) Cfr. “La penna fascista”, 13 novembre 1922.2) Ibidem.3) Ibidem.4) Ibidem.5) “La penna fascista”, 20 novembre 1922.L’articolo, qui riprodotto, è tratto dal mio libroDall’Internazionale a Giovinezza. Riccione1919-1929. Gli anni della svolta, uscito nel 2009per i tipi della Panozzo Editore.

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l modo, l’approccio, il gestocon cui si traccia o si dis-

tende un colore su una telatestimoniano subito un animusfacentis una poetica e nel con-tempo è anche veicolo chedarà corpo, forma all’idea.Questo, per parlare dei lavoridipinti ad olio del giovane arti-sta riminese FrancescoZavatta.La prima impressione nelguardare i suoi quadri marini èuna forte stretta di mano diuna presentazione, la violenzaquasi primitiva di colori plasti-ci che si annunciano con mate-rica evidenza, una materialitàdi chi entra subito nel temaanche platealmente, ma giàricco di una forma, di unpiano, di una fascinazione. Edè questo il punto. Zavatta ènato in una città di mare e que-sto elemento è diventato perlui il carburante poetico persperimentare sogni, la sua fan-tasia, il bisogno incoercibile didargli vita, vita della creativi-tà.Nascono così esperimentianche di grandi dimensioni dipaesaggi marini di Rimini e dialtri lidi lontani; il mare, l’ac-

qua, con colori freddi, il blu,l’azzurro, il viola, il verdeconiugati con armonia di tonie di contrasti col nero e il gri-gio, un Do minore grave diinfinite variazioni spatolate,staffilate, blocchi essenziali,composizioni affannate e vita-li come il mare. E questi mari,queste scogliere, questi porti avolte sono appena discernibili;Zavatta non si attarda a defini-re, non cesella, ma trancia,sono rapidi sapienti stocchicromatici, sembrerebbe schiz-zo, ma è pittura perchè luivuole esprimere una dimen-sione nascosta, segreta dellecose - e così i dipinti diventa-no quasi astratti, il reale lo siindovina appena e a noi restasolo la rivelazione di un segre-to.Francesco Zavatta nasce aRimini nel 1986. Si diploma alLiceo artistico di Rimini eall’Accademia di Belle Arti diFirenze. Tra le mostre princi-pali si ricorda: 2008, GalleriaRedline di Firenze e all’ItalianShow dell’Albergo Gallery diLondra; nel 2009 al Lido diCamaiore dove ivi collaboracon la Casa d’Arte S. Lorenzo.

ARTE

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .31

ZAVATTA FRANCESCO

LE COSE NELLA LORO DIMENSIONE SEGRETAIvo Gigli

I

Ariminum è distribuito gratuitamente nelle edicole della Provincia di Riminiabbinato al quotidiano “La Voce di Romagna”. È spedito ad un ampio ventagliodi categorie di professionisti ed è consegnato direttamente agli esercizi commer-ciali di Rimini. Inoltre è reperibile presso il Museo della Città di Rimini (ViaTonini) e la Libreria Luisé (Corso d’Augusto, antico Palazzo Ferrari, ora Carli).La rivista può essere consultata e scaricata in formato Pdf gratuitamente dal sitodel Rotary Club Rimini all’indirizzo www.rotaryrimini.org

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ARIMINUM

Francesco Zavatta, Profondo blu

(cm. 25x30, olio su tela)

Sopra. Francesco Zavatta,Club Nautico (cm. 50x50, olio su tela)

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i sono tre o quattro obietti-vi che, nella mia carriera

ormai semisecolare di ricerca-tore, per quanto abbia battutomolte piste e per lunghi anni,non sono mai riuscito a rag-giungere. Uno di questi è il tro-vare il nome e il cognome del-l’architetto di assai raffinatodisegno e di cultura archeologi-ca che ha progettato la piazza acrescente lunare di Mondaino.Gli archivi comunali diMondaino, conservati aSaludecio, sono andati distruttinell’ultima guerra, quelli diRimini, Forlì e Ravenna si sonomostrati piuttosto avari diinformazioni. Ne ho infatti solouna del 1847 che permette peròdi precisare il momento dell’e-rezione del portico nel 1818, eforse la sua conclusione nel1820(1).I documenti del 1847 afferma-no che nel 1818 venne demoli-to il portico comunale del mer-cato vecchio di Mondaino,fuori porta marina, per ricavaremateriale e per vendere il terre-no al fine di ottenere fondi perla costruzione del mercatonuovo, col “bel portico”, comesi esprime il vescovo di Rimini.Ma chiediamoci anzitutto chiavrebbe dovuto progettare nel1818 il portico di Mondaino,un edificio pubblico, in unmomento cioè in cui non c’eraun ingegnere comunale, né lacomunità mondainese, stretta-mente controllata dalle spara-gnine autorità legatizie, potevapermettersi, anche nel casoimprobabile che l’avesse volu-to, di spendere per chissà qualiprofessionisti.Ho escluso, da tempo, dall’e-lenco dei proponibili, i capi

mastri e imprenditori Coscidella tradizionale attribuzionepopolare, e quel misteriosoGiuseppe Cosci che si diceabbia fatto fortuna in Russia,perché appaiono, come piccoliimprenditori, solo vent’annidopo la costruzione del portico

e perché non spettava ai capimastri fare i disegni per gli edi-fici pubblici(2).

Monsignor Tiberio Pacca,“Delegato Apostolico”, il 30agosto 1815 aveva varato unaprima riforma degli uffici tec-

nici comunali e provinciali, sta-bilendo per ogni area un inge-gnere distrettuale preposto allestrade, alle acque e agli edificipubblici e, in un primomomento, anche in funzione diingegnere comunale. Dal 1815a tutto il 1817, l’ingegneredistrettuale di Rimini fu ilravennate ingegnere GuidoRomiti, un personaggio abba-stanza sconosciuto, ma forse diun certo spessore professiona-le, un suo disegno conservatonelle raccolte Piancastelli diForlì mostra una buona mano(3).Ci sono nell’archivio di Forlìdiversi elenchi dei suoi disegnie perizie per tutta l’area distret-tuale riminese e per la stessacittà di Rimini, che mettono incrisi alcune tradizionali attribu-zioni. Tali carte dalla fine del1817 dovevano essere a dispo-sizione dell’ingegnere distret-tuale che lo sostituiva e poi deinuovi ingegneri comunaliEustachio Maggioli diSantarcangelo e MatteoCrudomiglia di Rimini, perquanto di loro competenza, mafurono consegnate tardi nellaprimavera del 1818(4). Il nuovo ingegnere distrettualeera un sessantenne, abbastanzafamoso, Ruffillo Righini.Ruffillo era il più vecchio deidue architetti Righini diForlimpopoli; nato il 20 luglio1756 – longevo: morirà a Forlìil 4 febbraio 1849 –. Menoconosciuto oggi per quantofamoso ai suoi tempi, il fratelloLuigi era nato il 22 agosto1762 e si era ben piazzato aRoma nel centro del potere(5).Luigi era amico dello scultoreAntonio Canova e del segreta-rio di stato cardinale EttoreConsalvi. Quest’ultimo arriva apregare il legato di Forlì diaccogliere una richiesta diRuffillo di nomina ad ingegne-re capo della legazione di Forlì,

MAGGIO-GIUGNO 2012

STORIA DELL’ARCHITETTURA

UN REBUS CHE ANDREBBE RISOLTO

CHI HA DISEGNATO IL “BEL PORTICO” DI MONDAINO?Giovanni Rimondini

C

A R I M I N V M /32.

«A mio avviso gli autori più indiziati

della realizzazione del “bel portico”

sono Guido Romiti, che potrebbe aver disegnato

il crescente nel 1817 o prima,

e Ruffillo Righini, che certamente ne seguì

l’esecuzione nel 1818,

ma potrebbe averlo disegnato nella primavera

del 1818. Per risolvere l’enigma bisognerà

esplorare meglio l’archivio dello Stato pontificio

a Roma, da me solo saggiato»

Il portico di Mondaino nei primi anni del Novecento.

Sopra. Il portico come si presenta oggi

(foto di Alberto Giorgi)

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non solo “per ricompensare nelfratello i particolari servigj resida Luigi Righini addetto alMuseo Pontificio, ma per corri-spondere altresì ai rispettabilis-simi ufficj del Sig. MarcheseCanova”(6).Niente da fare. Il Consalviaveva irriducibili nemici che sipermettevano di ignorare le sueraccomandazioni, sia pure conla scusa che a Ruffillo mancavaun titolo vero e proprio di inge-gnere.Ruffillo, di formazione accade-mica bolognese e toscana, erastato architetto dei Benedettinidi San Vitale di Ravenna, al

tempo della decorazione pitto-rica della basilica e della mortedi Ubaldo Gandolfi nel 1779-1781. Responsabile dei restauridel monastero e della basilicadi San Vitale, dov’era impren-ditore Giuseppe Righini, forseun suo parente, aveva fattoimpastare dai fornaciai deituboli per la riparazione dellacupola(7). Il D’Agincourt gliaveva chiesto i disegni delcomplesso di san Vitale per lasua ormai famosa opera sull’ar-te cristiana. Dopo il regno diNapoleone aveva progettatonell’ufficio tecnico di Forlì,alzando l’ala mancante delpalazzo del legato. Molto inte-ressante per noi il progetto di“piazza semicircolare”, un’areatuttavia non costruita intorno,come accesso al cimitero diForlì, con il diametro sulla viaRavegnana(8). Divenuto ingegnere distrettualedi Rimini per più di due anni,aveva poi lasciato il posto alnostro Maurizio Brighenti, che

STORIA DELL’ARCHITETTURA

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .33

«Chiunque sia stato, l’autore del crescente

di Mondaino appare uno sperimentatore

di forme rare ed interessanti…

ha voluto costruire il tempio di Diana.

Il portico, infatti, ripete una famosa parte di un

monumento classico, assai studiato nel

Rinascimento, il crescente sommitale del tempio

della Fortuna Primigemia a Preneste,

completato da molti architetti tra i quali il Palladio.

Diana, la Luna (il crescente lunare),

la Fortuna sono la stessa divinità»

Il portico di Mondaino oggi(foto di Alberto Giorgi)

e ieri (inizi del Novecento).

Sotto. A sx: Foro annonario di Senigallia, a doppio

emiciclo, realizzato da PietroGhinelli (1759-1834).

A dx: Il portico di Mondaino(foto di Alberto Giorgi)

Al centro. Andrea Palladio,ricostruzione del Tempio della

Fortuna Primigenia di Preneste.

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per qualche indizio, qualcheanno fa avevo pensato chepotesse essere l’autore del log-giato di Mondaino.Insomma sono due gli autoripiù indiziati, a mio avviso;Guido Romiti, che potrebbeaver disegnato il crescente nel1817 o prima, e RuffilloRighini, che certamente neseguì l’esecuzione nel 1818,ma potrebbe averlo disegnatonella primavera del 1818.Bisognerà esplorare megliol’archivio dello stato pontificioa Roma, da me solo saggiato.La Fortuna arriderà a qualcunaltro.

Chiunque sia stato, l’autore delcrescente di Mondaino appareuno sperimentatore di formerare ed interessanti. Tra pocoPietro Ghinelli (1759-1834)inizierà il suo foro annonario a

Senigallia, a doppio emiciclo, epiù tardi ancora a ForlìGiacomo Santarelli (1786-1859) concluderà il suo edifi-cio commerciale con un emici-clo colonnato. Ma l’autore diMondaino ha letto o sentitoraccontare le memorie sette-centesche di don JacopoVenturi, che interpretavano – atorto – il Mons Dainus, ilprimo nome del paese cheappare nei documenti, come lacorruzione del nome latinoVicus Dianensis, o anchemonte di Diana, la inquietantee volubile dea della Luna edella Fortuna. Questo racconto ha ispirato laprogettazione. L’architetto havoluto costruire a Mondaino iltempio di Diana. Il suo porticoinfatti ripete, una famosa partedi un monumento classico,assai studiato nel

STORIA DELL’ARCHITETTURA

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .35

Note1) Archivio di Stato di Forlì [ASF], Archivio Generale di Legazione [AGL],diverse lettere, B.363. G.Rimondini, D.Palloni, Il castello e la rocca diMondaino, Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, Rimini 1998.2) P.G.Pasini, L’architettrua dell’Ottocento, in Storia di Rimini dal 1800 ainostri giorni, Rimini 1978, p. 45.3) Biblioteca Comunale di Forlì [BCF], Raccolte Piancastelli [RP] Pianta, oSpaccato da cui rilòevasi distinto differente colore lo stato attaule delCortile delal Casa Miserocchi [...], Ravenna 4 Ottobre 1819 Guido RomitiIngeg.e, 374.100.4) ASF, AGL, B. 18.5) Devo queste informazioni a Mario Mariani di Pieve Quinta e a PieroCamporesi di Forlimpopoli. Su Ruffillo Righini si veda M.C. Gori, Note bio-grafiche sugli architetti forlivesi dell’Ottocento, in Palazzo Hercolani aForlì, Ravenna 1993.6) ASF, AGL, lettera di Ettore Consalvi 14 IX 1816, B.2.7) Archivio di Stato di Ravenna, Congregazioni Religiose Soppresse, SanVitale, vol. 1149, pp. 115, 137, 141,191, passim.8) BCF, RP, Progetto d’ingrandimento del Campo Santo di Forlì unito alRap. 25 Luglio 1817 dell’ingegnere Distrettuale di Forlì [Ruffillo Righini],176.74.

Rinascimento, il crescentesommitale del tempio dellaFortuna Primigemia a Preneste,completato da molti architettitra i quali il Palladio. Diana, laLuna (il crescente lunare), la

Fortuna sono la stessa divinità.La leggenda settecentesca delprete storico di Mondaino tro-vava la sua conferma.

LA MAESTRA DI MONDAINOLa chiamavano “Maestra”, ma aveva fatto appena la seconda elementare. Che,a quei tempi – primi anni del Novecento –, nella quieta Mondaino, era già qual-cosa. Nella sua famiglia la cultura era di casa e, anche se limitata a crepitanticitazioni, insaporiva le ore della giornata. Il padre Luigi, detto Pipicchia –repubblicano storico e nemico giurato della “sottana nera” con alle spalle unmandato da “sindaco facente funzioni” –, declamava, a memoria, una sfilza diterzine dantesche; mentre il fratello, Caio Galliano, diplomato in “Belle Arti” adUrbino – allora lo studio era prerogativa dei maschi di “buona famiglia” – inse-gnava disegno nei regi istituti. L’alone un po’ snobistico di ceppo, consolidatocon alcune appropriate letture, aveva fatto sì che in paese la Jolanda di Pipicchiafosse chiamata la “Maestra”. Qualche malizioso, però, sosteneva che era soloper differenziarla dall’altra Jolanda, la “Ballerina”, che, affetta da lussazionecongenita dell’anca, deambulava con uno strano tremolio corporeo.

L’appellativo di “Maestra” non solo non spiaceva a Jolanda, ma le infondeva unsenso di dignitoso amor proprio, soprattutto quando, superata la fase adole-scenziale – carina, spigliata e con un portamento di qualità –, cominciava adessere adocchiata dai pochi, raccogliticci rampolli del posto. Lei, però, con quel-la dote imbrigliata nel nome, mirava alto e disegnava il proprio futuro fuori daglisbadigli del suo borgo. E difatti scelse un “forestiero”. Nel 1925, sposò Umberto,di Rimini, che era un “vero” maestro di scuola. E così il nomignolo, che Jolandaesibiva con civetteria fin da bambina, si tramutò di botto in un appellativo dirango, in quanto moglie-del-maestro. Forte di tale “titolo”, la “Maestra”, oltrea tenere decorosamente in società il ruolo che le spettava e a svolgere in fami-glia le funzioni della arzdora, si sentì anche in dovere di tallonare la proprianidiata, quattro maschi e una femmina, nei primi, elementari approcci scolasti-ci.

La “Maestra”, naturalmente non c’è più da tempo (nata nel 1901, oggi, 2 giu-gno 2012, avrebbe 110 anni), ma continua a respirare nei granelli di ricordi delsuo ultimo figlio. Perché, se per tutti era la “Maestra”, per lui era solo la“Mamma”.

M. M.(2 giugno 2012)

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a città di Ferrara presentauna connotazione cultura-

le molto spiccata tale da ren-derla del tutto peculiare nelpanorama nazionale ed euro-peo. Tra la città di Ferrara ed ilsistema della cultura esisteinfatti un rapporto di mutuainterdipendenza, che trova unadelle sue più importanti testi-monianze nell’eredità dell’e-poca rinascimentale: lo splen-dore della Casa d’Este ha get-tato le basi per il processo diintegrazione tra il “sistemacittà” ed il “sistema cultura”.Così nel 1995 l’UNESCO hariconosciuto come “patrimo-nio dell’umanità” una cittàcinta da mura monumentali,che racchiudono tesori artisticitanto più splendidi in quantofruibili, in un tessuto urbanoche alterna agli edifici i giardi-ni e addirittura – in pieno cen-tro, ancora oggi – gli orti ed ifrutteti. Su queste basi, le isti-tuzioni cittadine e le numero-sissime associazioni privateconcorrono oggi alla progres-siva e reciproca integrazione ecomplementarietà, con ilcomune obiettivo di renderesempre più concreta e parteci-pata la vocazione di “cittàd’arte e cultura”. In questocontesto s’inserisce l’offertaformativa del Conservatorio“G. Frescobaldi”un’Istituzione prestigiosasempre più presente in veste diprotagonista nel novero dellemolteplici iniziative dellaCittà. Istituito nel 1870 comeLiceo musicale e divenuto nel1894 Istituto musicale, dopo ilpareggiamento avvenuto neiprimi anni ‘40, il“Frescobaldi” ottenne il rico-noscimento di Conservatorionegli anni ‘70. Il notevoleincremento avutosi in questiultimi anni nel numero diiscrizioni – oltre 630 studenti,distinti tra coloro che seguono

i corsi “tradizionali”, i corsipre-accademici e i corsi didiploma accademico di I e diII livello – ha richiesto l’utiliz-zo da parte del Conservatoriooltre che della sede storica divia Previati, di una sede suc-cursale, ottenendo così un rad-doppio delle aule rispetto allasede principale e predisponen-do nuovi spazi attrezzati, nonsolo per lo studio della musicama anche per attività multime-diali ed informatiche inerentialla stessa.

Nel Conservatorio ferrareseoggi si tengono numerosissi-me attività, tutte caratterizzatedall’eccellente livello qualita-tivo: assieme ad una intensaattività musicale esecutiva alivello sia locale che naziona-le, e a collaborazioni coninnumerevoli istituti musicalie culturali, e oltre alla parteci-pazione al Progetto Erasmus,vi si tengono corsi liberi perbambini nell’ambito deglistrumenti ad arco (propedeuti-ca, violino, violoncello), voca-

le (gruppo corale di voci bian-che) e di pianoforte, come peradulti (canto pop e musicacorale). Un contributo importante alnuovo assetto del“Frescobaldi” è stato offerto inquesta fase temporale dalnuovo direttore delConservatorio di Ferrara, il m°Paolo Biagini, un eccellentemusicista riminese che nel-l’anno accademico 2010/2011ha ricevuto il prestigioso inca-rico. Titolare della cattedra difagotto già dal 1993 al“Frescobaldi” quale vincitoredel concorso nazionale pertitoli ed esami, il m° prof.Biagini è stato nominato diret-tore a seguito della sua elezio-ne da parte del ConsiglioAccademico. La normativavigente prevede infatti – dopoil conseguimento dell’autono-mia che tutti i Conservatorihanno ottenuto in seguitoall’approvazione dei rispettivistatuti emanati ai sensi delDPR n.132 del febbraio 2003– che l’incarico della direzio-ne presso i Conservatori diMusica sia elettivo e che ladurata del mandato – rinnova-bile solo per una secondaesperienza – sia triennale.Così pertanto, Paolo Biaginirisulta essere in assoluto ilprimo musicista riminese adirigere un Conservatorio ,senza tuttavia dimenticare lestoriche figure dei concittadiniDuilio Ghinelli esimio violistae compositore ed ElvinoPolverelli, insigne organista eanch’egli compositore, rispet-tivamente direttori dal 1942 al1957 dell’allora Istituto pareg-giato di Perugia e dal 1954 al1958 dell’allora Istituto pareg-giato di Piacenza- entrambidivenuti col tempoConservatori di musica statali.Paolo Biagini, classe 1962,

MAGGIO-GIUGNO 2012

MUSICA

PAOLO BIAGINI / DIRETTORE DEL CONSERVATORIO “G. FRESCOBALDI” DI FERRARA

UN RIMINESE ALLA CORTE DELLA MUSICA ESTENSEGuido Zangheri

L

A R I M I N V M /36.

«Paolo Biagini, eccellente musicista riminese

titolare della cattedra di fagotto,

ha ricevuto il prestigioso incarico al “Frescobaldi”

nell’anno accademico 2010/2011.

Biagini risulta essere in assoluto il primo musicista

riminese a dirigere un Conservatorio»

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dopo un iniziale precocissimoe felice approccio con la fisar-monica presso la scuola popo-lare della prof. Laura Benizzi,ha scelto di puntare professio-nalmente alla musica, iscri-vendosi a studiare il fagotto alConservatorio “G.B. Martini”di Bologna. Dopo un brillan-tissimo corso di studi suggel-lato dal diploma in fagottoconseguito sotto la guida delm° Paolo Bighignoli nel 1984con il massimo dei voti e lode,ha approfondito e affinato lasua formazione strumentalealla Staatliche Hochschule diFreiburg con Karl-OttoHartmann ottenendo il diplo-ma di perfezionamento nel1992.La esperienza artistica diPaolo Biagini intrapresa giàdurante il periodo delConservatorio bolognese, pro-segue tuttora anche se in ter-mini necessariamente ridottiper il contemporaneo incaricodella direzione, con sempremaggiore successo. Graziealle affermazioni conseguitein numerosi concorsi e alleidoneità ottenute in altrettanteaudizioni, Biagini ha collabo-rato e collabora con importan-ti Istituzioni e Orchestre italia-ne e straniere quali l’OrchestraGiovanile Italiana,l’Istituzione SinfonicaAbruzzese, l’Orchestra

Internazionale d’Italia, ilTeatro Comunale di Treviso,l’Orchestra della RAI diMilano, l’O.S.E.R. di Parma,il Teatro alla Scala di Milano,

l’Orchestra della RadioSvizzera di Lugano, iPomeriggi Musicali diMilano, il Teatro Comunale diBologna, il Teatro Carlo

Felice di Genova, laFilarmonica Marchigiana, etc. Parallelamente alla praticadell’orchestra, Paolo Biaginiha coltivato intelligentementela musica da camera parteci-pando a numerose formazionicon le quali ha riportato rag-guardevoli apprezzamenti incampo nazionale ed europeo, eun’intensa e assai proficuaattività didattica. Iniziata unacollaborazione come docentenel 1987 all’Istituto musicale“Lettimi” presso il quale nelcorso di una decina d’anni haformato alcuni ottimi strumen-tisti, nel 1992 come soprariportato, è risultato vincitoredel concorso nazionale pertitoli ed esami e dal 1993 inse-gna al Conservatorio ferrarese.Nella città estense Biagini si èsubito ambientato segnalando-si ben presto per le sue dotimusicali, organizzative eumane. Nel corso degli annioltre a curare pregevolmentel’insegnamento ha infatti rico-perto in seno al Conservatoriocon grande senso di responsa-bilità, incarichi sempre piùimpegnativi quale coordinato-re di progetti didattici e qualeresponsabile informatico,entrando gradualmente a farparte dei principali organi di

MUSICA

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .37

«Biagini, oltre a dedicarsi all’attività didattica,

collabora con importanti Istituzioni

e Orchestre italiane e straniere

e nel settore della musica da camera

dà la propria opera a numerose formazioni

con le quali ha riportato ragguardevoli

apprezzamenti in campo nazionale ed europeo»

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gestione, ovvero del ConsiglioAccademico e del Consiglio diAmministrazione. Si può dun-que affermare che l’esserepervenuto alla direzione delConservatorio sia risultata lanaturale evoluzione di un pro-cesso di costante attenzione edi profondo interesse agliaspetti gestionali e organizza-tivi da parte di un musicistavalido, preparato e molto dis-ponibile. Al giorno d’oggi a un diretto-re di Conservatorio nella suaattuale veste di “primus interpares”, vengono richiesti oltreagli indispensabili requisitimusicali di alto profilo, a unasolida formazione culturale ealle spiccate qualità menage-riali e relazionali, la capacitàdi mediazione fra la strategiagenerale da imprimereall’Istituzione e le esigenze ele aspirazioni dei docenti, l’at-titudine a trattare con gli stu-denti, a comprenderne le atti-tudini e le aspettative con l’in-tendimento primario di appas-sionarli all’arte musicale, laconoscenza approfondita dellalegislazione e dei suoi conti-nui aggiornamenti, la diligentecura dei rapporti con ilMinistero, il tutto permeato dauna presenza costante e da unaforte carica motivazionale.Nelle mansioni del direttorec’è poi da aggiungere in que-sta fase delicata di transizione,l’attenzione particolare dariservare alla rimodulazione ealla riorganizzazione delladidattica con i tre ordinamentipresenti, il canonico delConservatorio tradizionale, ilpre-accademico che non haancora trovato una collocazio-ne nella scuola pubblica, e ilnuovo che si sta affermandocon i diplomi triennali e bien-nali. Tutto questo a seguitodella lenta applicazione dellalegge n.508 del 1999 che col-loca il Conservatorio nel com-parto dell’Alta FormazioneArtistica e Musicale (AFAM)affiancandolo all’Università.Ebbene Paolo Biagini, che

confessa candidamente diavere peccato di un pizzicod’incoscienza nell’accettare dipresentare la sua candidaturaalla direzione del“Frescobaldi” per il comples-so e gravoso carico di lavoroche si è trovato a dovereaffrontare, alla prova dei fattista dimostrando di muoversi asuo agio, assolvendo i compitiche gli derivano dal ruolo edistricandosi tra i moltepliciproblemi che ne derivano, concompetenza, con grande sensodella misura, con intelligentelungimiranza.Da musicista “militante” qualè, Biagini punta molto sull’at-tività di produzione, in altreparole sul “fare musica” con il

coinvolgimento attivo deglistudenti per i quali sono statiistituiti i concerti dei solistiaccompagnati dall’Orchestradel Conservatorio e che sisvolgono al termine di ognianno accademico al TeatroComunale. Nello scorso annoaccademico il Conservatorioha realizzato come produzioneartistica oltre 100 appunta-menti musicali in collabora-zione con il Comune diFerrara, con il TeatroComunale, con il MuseoArcheologico, conl’Università, con la Pinacotecae con diverse associazioni cit-tadine.Da ultimo, fiore all’occhiellodella direzione Biagini, il

Conservatorio ha avviatoun’importante collaborazionecon il m° Georges Edelmandirettore artistico di “FerraraMusica”. Ferrara Musica èun’associazione nata nel 1989per volontà di Claudio Abbadoche ne è il presidente onorario,con l’intendimento di offrireresidenza stabile a un’impor-tante giovane orchestra inter-nazionale. Dopo l’esperienzadella prestigiosa ECHO, laChamber Orchestra of Europe(1989-1997), dal 1998 l’eccel-lente MCO, la “MahlerChamber Orchestra” anch’es-sa nata per iniziativa diClaudio Abbado e di alcunimembri della “Gustav MahlerJugendorchester” è ospitedell’Associazione. Attraversola disponibilità all’offerta dispazio a grandi orchestre e aprestigiosi solisti con unocchio di riguardo per i giova-ni talenti, Ferrara è diventatain questo modo un centro diassoluto rilievo per la musicainternazionale. L’obiettivo diFerrara Musica, la cui sede èil Teatro Comunale di Ferrara,è quello di presentare al pub-blico concerti di altissima qua-lità con particolare attenzionea favorire l’accessibilità e ilcoinvolgimento dei giovani.La collaborazione con FerraraMusica permette alConservatorio di svolgere ognianno un workshop di musicada camera nel quale musicistidella MCO suonano fianco afianco con i migliori studenti.Nel corso dell’anno inoltre glistessi musicisti della MCOdiventano docenti impartendouna serie di lezioni individualie realizzando così dellemasterclass. Paolo Biaginiprova un senso di particolaregratificazione per tutto questo,ma lungi dal sentirsi appagatoo tanto meno “arrivato”, per-mane nel suo abituale atteg-giamento di musicista e dioperatore musicale serio,responsabile, pienamente con-sapevole di essere al serviziodi una causa educativa e cultu-rale di ineguagliabile portata.

MUSICA

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .39

«Biagini ha avviato un’importante

collaborazione con il m° Georges Edelman

direttore artistico di “Ferrara Musica”.

Ferrara Musica

è un’associazione nata nel 1989 per volontà

di Claudio Abbado che ne è il presidente onorario,

con l’intendimento di offrire residenza stabile

a una giovane orchestra internazionale»

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appena uscita la monografia‘’Romagna Liberty’’ a cura di

Andrea Speziali: il meglio dell’architet-tura Liberty romagnola in una pubblica-zione edita da Maggioli che raccoglieinediti e interessanti edifici Liberty sud-divisi per le località. Un’opera degna diattenzione con 216 pagine e oltre 300foto a colori. I testi, scientificamenteaccurati e allo stesso tempo di piacevolelettura, ci accompagnano sulle tracce delrivoluzionario stile modernista traRimini, Cesena, Faenza, Ravenna eImola in “un originale viaggio nei primidecenni del Novecento”, come commen-ta Vasco Errani, presidente della regioneEmilia-Romagna, dalla quarta di coperti-na.Le immagini sono parte indispensabile diquesta interessante monografia, la qualenasce proprio dall’idea di non disperde-re, anzi valorizzare, il materiale raccoltoin occasione della mostra RomagnaLiberty, svoltasi l’estate scorsa all’HotelDe la Ville di Riccione. Le fotografieattuali, le cartoline e le immagini deiprimi del Novecento, già da sole raccon-tano aneddoti su un mondo scomparso elasciano percepire l’atmosfera dell’epo-ca.Il Liberty in Romagna è stato declinatoin ogni forma d’arte ed in ogni situazio-ne architettonica. Rimini e le atre locali-tà balneari hanno adottato il nuovo stileper alberghi e residenze di villeggiaturache facessero sentire ancora più liberi ein sintonia con la natura i primi turisti:basta pensare al Grand Hotel di Rimini,un capolavoro entrato da tempo nell’im-maginario mitologico balneare, ai villini

di Riccione e Cesenatico che sono - opurtroppo, in alcuni casi, erano - speri-mentazioni dove la fantasia più libera e ilgusto più squisito trovano una combina-zione ideale. Milano Marittima, poi, por-tava in sé lo spirito del Liberty sin dallasua stessa progettazione, ad opera del-l’artista Giuseppe Palanti, il quale avevaimmaginato una località di vacanza idea-le composta da villini immersi nel verde.Così come nel resto d’Italia e in Europa,il Liberty in Romagna fiorì sulle insegnedei negozi (Forlì e Faenza), sui muri deisaloni di bellezza (Imola) sulle facciatedei cinema e di un Giardino d’Infanzia

(Santarcangelo). A Cesena la miglioreespressione dello stile floreale è unmonumento funebre: le decorazioni dellacappella della famiglia Gasperoni,riescono a trasmettere ottimismo e spe-ranza anche in un luogo triste per defini-zione.Ogni città riuscì a contaminare il nuovostile con la propria storia; a Ravennanotiamo sulle facciate Liberty elementibizantini quali rose, spighe di grano, uvae figure antropomorfe: è il caso della bal-conata di un edificio in via IV Novembre,che un tempo ospitava un forno, al centrodella quale si sporge una figura di donnasorridente e procace, simile ai busti cheadornano le polene delle navi antiche. AFaenza invece è la tradizione della cera-mica ad adottare i motivi floreali, ancheper la stessa insegna della celebre fabbri-ca di maioliche.

La monografia Romagna Liberty si aprecon la poesia I madeun (i mattoni) diTonino Guerra: un omaggio al genialeartista da poco scomparso e un approcciooriginale per un’opera che tratta di archi-tettura. I capitoli sulle singole localitàvengono introdotti prima dal curatoreSpeziali, che delinea un quadro generaledella situazione romagnola e poi daVincenzo Vandelli, il quale amplia il dis-corso alle città dell’Emilia. La presenta-zione dell’opera porta la firma di VittorioSgarbi, che critica amaramente “la man-canza di sensibilità di chi ha governato aRimini, come a Roma e come nelle real-tà locali, l’Italia del dopoguerra”, a causadalla quale oggi possiamo ammiraremolti villini solo in cartolina.

LIBRI

“ROMAGNA LIBERTY”A CURA DI ANDREA SPEZIALI

IMMAGINI CHE RACCONTANO UN’EPOCAArianna Mamini

È

MAGGIO-GIUGNO 2012A R I M I N V M /40.

Tante riflessioni buttate là, senza né capo né coda, all’occhio delprofano. Tante tessere (per l’esattezza 18 racconti), ritagli di unamemoria che mischia ripetutamente le carte per un puzzle impos-sibile da ricomporre. Tante parole, dette a se stesso, ma che poisono di tutti, o quasi, e che sembrano gocce d’acqua che bagna-no o scavano, secondo l’umore del momento e di chi le riceve. Non si possono riassumere, né analizzare, queste “Storie termi-nali”, brevi, brevissimi racconti di Lucio Buzzoni, edito daPanozzo.Il dottore, l’autore, è stanco. La vecchiaia l’affligge con i solitiacciacchi e tantissima noia. Quella noia in cui si è trovato immer-

“STORIE TERMINALI”DI LUCIO BUZZONI

TRA CASE ANONIME E NUVOLE VAGANTI

Silvana Giugli

«Un’opera degna di attenzione

con 216 pagine

e oltre 300 foto a colori»

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LIBRI

ome conciliare la libera iniziativa conla giusta ripartizione della ricchezza

prodotta dal lavoro? A questa domandacerca di dare una personalissima rispostail breve “studio” di Giammaria LeoneRicciotti, “Anticapitale” (La lotta di clas-se: guerra tra Capitale e Lavoro comeguerra tra Libertà ed Uguaglianza), editoda La Stamperia (pp. 95, s.p.). Ricciotti,scrittore e saggista riminese, sostiene chei due principi cardini della questionesociale, l’esigenza della libertà e l’esigen-za dell’uguaglianza, possono trovare inte-sa soltanto nella verità cristiana.Josèmaria Escrivà de Balaguer, organizza-tore e promotore dell’Opus Dei canoniz-zato da Papa Giovanni Paolo II il 6 ottobre2002, concentrava i propri concetti sullavoro in questa frase: «Dà un motivosoprannaturale alla tua occupazione, edavrai santificato il tuo lavoro». Ricciotti,sulla scia di questa corrente di pensiero,arriva a sostenere che se le leggi «non gui-dano le intenzioni degli uomini al bene»,ma si limitano a conformarsi ai loro egoi-smi, «non risolveranno mai i problemidella società; non approderanno mai allasponda della giustizia e della pace socia-le». “Sponda” raggiungibile solo seguen-do la dottrina sociale della Chiesa, checon i suoi dogmi riesce ad armonizzare lanaturale aspirazione alla libertà dell’indi-viduo con la dignità e il benessere.Con una puntigliosa disamina sul lavoro(utilità, valore, forza, qualità, quantità,scopo, salario…) e dopo aver evidenziato,attraverso un’analisi ricca di sfaccettaturefilosofiche (numerosi sono i brani dottri-nali citati nel testo), tutte le contraddizio-ne insite nel pensiero di Adam Smith e di

Karl Marx (e di altri tra i quali JohnLocke, David Ricardo, Max Weber, AynRand…), Ricciotti perviene al convinci-mento che gli ideali di libertà (liberismo)e di uguaglianza (marxismo) dei due filo-sofi hanno come unico sbocco l’ingiusti-zia. «Nessuno – sostiene Ricciotti – puòaffermare che sia giustizia una libertà leg-gittimatrice dell’egoismo, solo perché èstimolatrice di un aumento della ricchezzamateriale, quando è anche creatrice dipovertà, fame e fermento di ribellioni(sistema liberista ndr), così come non sipuò considerare giustizia l’eguaglianzache distrugge la personalità, schiaccial’individuo e spegne ogni impulso almiglioramento di sé (sistema marxistandr)».

La questione sociale, come si evince, èuno dei grilli del nostro autore. L’opera inquestione segue “Il lavoro dalla maledi-zione biblica agli onori della demagogia”,un saggio pubblicato anni addietro cheaveva posto le premesse della attuale teo-ria, che con organicità e compostezzatrova nell’insegnamento cristiano traccia-to dai Padri della teologia da S. Agostinod’Ippona a S. Tommaso d’Aquino, la«naturale e salutare composizione» deiprincipi di libertà e uguaglianza.Argomenti ostici, questi trattati daRicciotti, che non conciliano davvero ilsonno, ma affrontati con la giusta predi-sposizione riescono a coinvolgere il letto-re e addirittura a conquistarlo. Il nostropensatore, infatti, è un scrittore di pregio,in grado di alleggerire la complessità dellamateria, fino a renderla piacevole, con unperiodare estremamente chiaro e lineare.Ed è indubbio che la sua dottrina sul lavo-ro, fuori dagli schemi del liberismo e delmarxismo, intesa come «giusta punizionedel peccato originale», se proprio nonconvince fino in fondo, ha il fascino dellaoriginalità.Ricordo che sull’argomento della fedeRicciotti ebbe una corrispondenza episto-lare con Giuseppe Prezzolini negli anniche vanno dal 1969 al 1979, pubblicatapoi dall’editore Guaraldi.Un altro grillo di Giammaria è la pittura.Figlio di Guido, pregevole artista di pae-saggi e marine, Giammaria LeoneRicciotti dipinge “il vero” seguendo latecnica dei grandi maestri del passato,rifuggendo «le bugie dell’estetica contem-poranea».

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .41

“ANTICAPITALE”DI GIAMMARIA LEONE RICCIOTTI

IL LAVORO? GIUSTA PUNIZIONE DEL PECCATO ORIGINALEManlio Masini

C

so dal primo giorno di pensione. Ed ora, da quel giorno, sono passati tanti anni e la noia,il tedio, per non dire “spleen”, è diventato un compagno assiduo, instancabile, immuta-bile.Uno ghiribizzo questo libro senza trama che mi ricorda quelli di Armido Della Bartola,dove domina un colore, solitamente freddo, con le sue varie tonalità, dal quale si perce-piscono alberi spogli, case anonime e nuvole vaganti. Ma è ben diverso l’animo, alme-no in apparenza. Il nostro dottore è disincantato, ha visto tutto e tutto scivola via lascian-dogli un che di amaro in bocca.Un libro, questo, per ingannare il tempo “di una notte insonne” perciò non facile da capi-re, se c’è qualcosa da capire, ma, senza dubbio, “toccante” e da non leggere a cuor leg-gero: tanto, anche se non sembra, lascia il suo segno.

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l borgo cambia pelle” e, parafrasan-do, più o meno, l’antico proverbio,

saggezza popolare, quello del lupo, perintenderci, ci chiediamo: “ma non ilvizio”?Veramente, forse, anche “il vizio”. E’quello che emerge dal libro di Ceccarelli eMiccoli, appunto, “Il borgo cambia pelle:immagini a confronto. Edito da Panozzo.Il libro si presenta come un forte“Amarcord”, tutto partigiano, che riper-corre la vita del borgo. E quando si parla“del borgo”, qui a Rimini, s’intende senzaombra di dubbio, quello al di là del ponteovvero: San Giuliano. Ovviamente nondimenticando, né sminuendo, l’altroborgo storico riminese: quello diSant’Andrea: più grande, più cittadino,più tranquillo a livello di abitanti storici e,pertanto, meno discusso. Ma SanGiuliano, con le sue casette a schiera, lesue piazzette, le sue stradine e, soprattut-to, la sua gente, oggi è diventato come unmarchio, un logo per la città.I veri borghigiani, quelli di ieri e quelli dioggi, però vogliono sfatare la “leggenda”,ripetuta, a parer loro, troppo spesso, delborgo legato alla malavita anche se il dis-corso è difficile e complesso. Ma, ormai,sono passati sessant’anni e lo sviluppo delturismo, nonché “l’educazione al lavoro”delle nuove generazioni ha fatto la diffe-renza. Così quella delinquenza, quellaanarchia, quella spavalderia, quella pover-tà, tanto amate/odiate e sovente rifiutate erinnegate, tanto caratterizzanti quel borgoe che portavano i suoi abitanti costante-mente in rotta di collisione con le istitu-zioni e le forze dell’ordine, è storia d’altritempi. Come d’altri tempi è il ricordo dicerti personaggi: Hombre, Cico, laRosina, solo per fare un esempio e, cosìpure, è per certi luoghi di ritrovo come ilbar Alba, il Circolo 1 maggio ormai sna-turati nella loro essenza.Il benessere, inteso come star meglio edaspirare sempre a qualcosa di più, ha“livellato” il borgo. Così i suoi giovani,piano piano, sono andati via e il borgo,prima, si è svuotato rimanendo con i suoivecchi e col suo incipiente degrado. Poi,in centro (piazza Cavour), nella “sala dei

bottoni”, qualcuno, seguendo l’istintotutto riminese di distruggere indiscrimina-tamente per poi ricostruire in stile moltodiscutibile, ha proposto di demolire levecchie catapecchie borghigiane per darspazio a moderne “gabbie per polli”,ovvero case a schiera nuove come preve-deva il Piano De Carlo. Davanti all’immi-nente annunciata fine definitiva, quelli cheerano rimasti nel borgo (i superstiti) sisono ribellati, hanno ritrovato amici, forzae vigore e, lentamente ma con determina-zione, sono riusciti a far accettare il prin-cipio di ristrutturare dov’era e com’era.Sono seguiti anni difficili ma, poi è arriva-ta la riscoperta, o rinascita, del borgosegnata sia dalla Festa, che ha aperto, let-teralmente e socialmente, il “nuovo”borgo alla città, che dall’arrivo di nuoviresidenti. Evento e circostanze queste chesono state una vera “boccata d’aria sana”nonché un “asso vincente”. Ecco, dunque,come questa eclettica e quanto mai varie-gata e multiforme nuova popolazione bor-ghigiana ha riportato vita nel borgo anchese ormai il dialetto non si sente più parla-re se non da qualche vecchio. E questosimilarmente al resto della città riconfer-mando, infine, quella tendenza all’inter-nazionalità caratteristica, anche storica-mente, di tutta la città di Rimini.Le belle ed istruttive foto di ieri e di oggiche completano il libro hanno lo scopo ditestimoniare come il borgo voglia viverecercando di salvare, almeno in apparenza,le sue caratteristiche di “paese nella città”senza dimenticare le sue origini. Ma ilvecchio borgo ormai ha “passato il testi-mone” al nuovo: ha cambiato pelle.

LIBRI

“IL BORGO CAMBIA PELLE. IMMAGINI A CONFRONTO”DI GILBERTO CECCARELLI E PAOLO MICCOLI

ECCO IL PAESE NELLA CITTÀSilvana Giugli

I

MAGGIO-GIUGNO 2012A R I M I N V M /42.

«Il libro si presenta

come un forte “Amarcord”,

tutto partigiano,

che ripercorre la vita del borgo.

E quando si parla

“del borgo”,

qui a Rimini,

s’intende senza ombra di dubbio,

quello al di là del ponte,

ovvero:

San Giuliano»

«Le belle

ed istruttive foto

di ieri e di oggi

che completano il libro

hanno lo scopo

di testimoniare

come il borgo

voglia vivere cercando di salvare,

almeno in apparenza,

le sue caratteristiche

di “paese nella città”

senza dimenticare

le sue origini»

*

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LIBRI

ncora un libro sul turismo, ancora unlibro che esalta le capacità, soprattut-

to dell’Amministrazione riminese, neldare spazio e incremento a tutto ciò chepoteva sviluppare (e forse solo quello) ilturismo. Allora: “Rimini dal turismo d’é-lite al turismo di massa” di AlessandroRonci, edito da Panozzo, ovvero il libro inquestione, non ha segreti già dalle primepagine. Quindi è come dire: “si sa già chiè l’assassino”. Tuttavia, se il lettore avràla pazienza di leggere, con attenzione, le170 pagine, si accorgerà che l’indagine,portata avanti da Ronci, si sviluppa a360°, in modo meticoloso e documentato.E’ perciò, generalmente, oggettiva e obiet-tiva e spiega, senza mezzi termini, tutti ilimiti del nostro turismo e senza, per altro,cercare di coprire o giustificare le cause ele dinamiche. Per cui è un libro che meri-ta una certa attenzione.Il libro è articolato in 5 sezioni. La prima,sostanzialmente storica, è dedicata alFascismo e al suo ruolo nell’avvio delturismo riminese. E’ priva di enfasi maanche delle solite “dimenticanze” che simaterializzano quando qui, in città, sideve parlare, con oggettività, delVentennio e dei suoi lati positivi. Laseconda sezione, dedicata alla ricostruzio-ne e agli anni del “boom”, affronta, anchequesta senza particolare retorica, le moti-vazioni che hanno portatol’Amministrazione a fare alcune scelteche si sono rivelate positive nell’immedia-to, ma vincolanti nel tempo tanto da con-dizionare le scelte successive. A ciò vaaggiunta la ferma volontàdell’Amministrazione di differenziarsi daaltre zone turistiche e preferire, per moti-vi principalmente sociali e politici, unascelta più di quantità che di qualità.Nella terza sezione vengono riviste tutte ledifficoltà incontrate in un periodo partico-larmente difficile come sono stati gli AnniSettanta, anni nei quali si avvertiva lanecessità di cambiare, di riqualificarsi percontrastare la forte concorrenza di altrelocalità principalmente straniere.Difficoltà che si credeva di poter risolvereanche con un piano regolatore, forse trop-po audace, come quello elaborato dall’ar-chitetto De Carlo e che avrebbe modifica-to radicalmente la città e la marina. Il

piano, indubbiamente necessario, perònon era in sintonia con la vera natura dellacittà e, soprattutto, con quella dei suoi abi-tanti ed avrebbe creato molto malessereproprio tra i piccoli proprietari e alberga-tori che erano (e sono ancora) l’asse por-tante del sostegno all’Amministrazione.Inoltre avrebbe richiesto spese insosteni-bili dal Comune.La quarta sezione è dedicata agli AnniOttanta sia negli aspetti negativi, sfociatinella prolificazione di discoteche col con-seguente aumento della diffusione delladroga, della prostituzione, della delin-quenza comune e organizzata, mentre sulpiano naturale assistevamo al fenomenodelle mucillagini. Per contro si conferma-vano gli aspetti positivi come l’afferma-zione delle attività fieristiche, il palazzodei Congressi, il “turismo sociale”.Ronci, nella sua analisi, individua la causaprincipale dell’invecchiamento delle atti-vità turistiche riminesi nella propensione,tipica degli ultimi vent’anni del secoloscorso, della piccola proprietà locale apreferire gli investimenti in Borsa, piùremunerativi, al posto di reinvestire nelleattività turistiche per potenziarle e aggior-narle. Ma non considera troppo determi-nante, in questa situazione, il ruolo avutodalle Banche che negli Anni Ottantahanno modificato la loro funzione e fina-lità aprendo, così, la strada a quello chesarà l’attuale mancanza di finanziamentialle imprese e relativa crisi economicaattuale.Gli Anni Novanta del Novecento sono glianni nei quali si avvia il processo di ridu-zione degli esercizi di bassa categoria el’aumento di quelli di categoria media cer-cando, di conseguenza, di favorire una“immagine della città meno trasgressiva,più quieta, più familiare” e tranquillizzan-te senza rinunciare al modello di un certoturismo di massa.Certamente oggi è indispensabile saperdiversificare e personalizzare il contenutodell’offerta della Rimini turistica senzatuttavia dimenticare quello che sono lecaratteristiche, anche umane, locali e cherimangono inalienabili alla base della for-tuna, e successo, del modello riminese,crisi e banche permettendo: questo loaggiungiamo noi.

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .43

“RIMINI. DAL TURISMO D’ELITE AL TURISMO DI MASSA”DI ALESSANDRO RONCI

UN APPASSIONATO VIAGGIO NELL’INDUSTRIA DEL FORESTIEROSilvana Giugli

A

«L’indagine, portata avanti

da Ronci, si sviluppa a 360°,

in modo meticoloso

e documentato.

Spiega, senza mezzi termini,

tutti i limiti del nostro turismo

e senza, per altro, cercare

di coprire o giustificare le cause

e le dinamiche. Per cui è un libro

che merita una certa attenzione»

*

«Il libro è articolato

in 5 sezioni. Nella terza

vengono riviste tutte

le difficoltà incontrate

in un periodo particolarmente

difficile, come sono stati

gli Anni Settanta,

anni nei quali si avvertiva

la necessità di cambiare,

per contrastare la forte

concorrenza straniera»

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POETICA

MAGGIO-GIUGNO 2012A R I M I N V M /44.

Ronaldo Bertozzi

I PILOTIDELLE MILLE MIGLIA

Dal profumo di rose nei giardini

doveva essere maggio.

I piloti delle Mille Miglia

partivano da Brescia a mezzanotte

era ancora buio quando i primi

arrivavano a Rimini rombando

con i fari accesi, s’avventavano

sulle pietre romane del ponte di Tiberio

dove nasce la via Emilia

sfrecciavano con un frastuono da cartoon

da borgo Mazzini a borgo S.Giovanni

dove la circonvallazione

s’immette nella via Flaminia

che porta fino a Roma.

Era qui che li aspettavamo

all’alba, mio padre

io e mio fratello bambini

seduti ai tavolini di Bigno

pieni di freddo e sonno

esaltati da un’ola sonora

che al passaggio dei bolidi

agitava quella piccola folla

era Stirling Moss, era Fangio,

era il conte Giannino Marzotto

ma già quelli si dileguavano

imperscrutabili divinità

in una nuvola azzurra

dall’odore acre

d’olio di ricino.

Ivo Gigli

TUTTE LE SERESCENDONO LE OMBRE

tutte le sere scendono le ombre

dei ragazzi

delle ragazze fluenti lunghi

sdipanati capelli alle boree

vengono come alghe le alghe

guardando intenti

sulle rive del nulla per un rito

hanno cuori spenti e braccia bluastre

i ragazzi e le ragazze delle notti

senza luna

dei giorni senza albe e dalle braccia

fluisce fluisce l’anima nel vento

Stefano Tomaselli

A PRIMA SERA

Cerco la placida calma del mare

che piatto si staglia all’orizzonte

mentre la brezza della prima sera

mi accarezza la mente

e nei miei occhi rivive la gioia

di un sentimento che non muore.

PER SENTIRMI BENE

I tuoi occhi.

La tua bocca.

Una carezza.

Solo questo.

E tu che mi dici ti amo.

Per sentirmi bene.

Lidiana Fabbri

LÒ E LIA

Lò, quatri pas daventi

lia, didrì

Al spali gòbi

i’ócc ma’ tera.

Lia, l’an ha

snà e’ pés

dal borsi dla spesa…

NUVÈMBRI

Al cambia cùlor

al fòji ad nuvèmbri

li’s crùv s’un vistid d’òr,

li’s’ingréccia da’sèch

al ciàpa fùgh

li’s infiama tóti insem

prima càl mora.

Enzo Pirroni

E MI BAR

In te nost bar, cl’era ad qua de porttruvevte i ritrat ad Togliatti e PadrePio.In te biglierd u s’eserciteva “FiglioMio”che sarà quarent’an da che l’è mort.

Quei dla morra i urleva sempra fort.Braconi e zugheva a cherti cun e Zioe tra spud, purcheri e porco diou s’era sputanè un luchel se port.

Po la televisioun l’è arvata drenta alchesie pien pien avemm pers la voja adscapè.I bar i s’è svutè piò can’è al cesi.

Finché i l’ha cius. E nisun u’i ha badè.Me a s’era pasè di lè se fiol ad ChesiPoch minut dop che Rino u s’è sparè.

Secondo Vannini

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el largo ventaglio dellecompagnie romagnole

emerge il gruppo scenico diMisano, “I giovne Amarcord”,che, nonostante l’età, padro-neggia con molta disinvoltural’uso del dialetto. Al di là del-l’aspetto culturale o creativo,per loro la commedia vernaco-lare è un appuntamento perstare insieme e per trascorrereun paio d’ore gradevoli.L’équipe si è distinta neglianni, non solo per la passioneche ha verso il teatro, ma perla qualità delle opere che por-tano alla ribalta. I testi scrittidall’attore e regista, RobertoSemprini, sono capaci di atti-rare anche un pubblico menogiovane che, oltre alla risata,apprende un nuovo vocabola-rio, in merito a situazioni chepossono accadere, oggi, in etàgiovanile. Infatti “I giovneAmarcord” portano in scenaquadri familiari che spessoriguardano la nuova quotidia-nità: sistema di vita, costumi,lavoro o tempo libero. Ai com-ponenti, che si frequentanoanche al di là del palcosceni-co, non resta difficile interve-nire, fuori copione. Le scenenon rivestono eccessivaimportanza; i personaggi,marcati da trucco ed abbiglia-mento “ad hoc”, la recitazioneimpostata su registri e toni alti,sottolineano l’aspetto ed ilcarattere di ciascuno. A voltela libertà di battute, per gliattori riveste un valore, perché

propedeutica alla riuscita dellarappresentazione. Lo stessoregista afferma che non èessenziale imparare, a memo-ria, la propria parte: basta unasicura conoscenza delle situa-zioni ed un’intesa che viene acrearsi durante le prove. I per-sonaggi, costruiti quasi sem-pre su misura, vengonoapprezzati dal pubblico. “Igiovne Amarcord” sono con-vinti che recuperare il dialettocon rappresentazioni teatrali,canore o popolari, non sia solo

nostalgia del passato, ma unmezzo per riacquistare la pro-pria identità. Il linguaggiosostiene il pensiero, è veste eveicolo di cultura, riflette icomportamenti di un grupposociale. Canta IgnazioButtitta: Un populu / diventapoviru e servu / quannu ciarrobanu a lingua / addutata dipatri / è persu pì sempri. /Diventa povi e servu, / quannui paroli non figghianu paroli /si mancianu tra d’iddi. (Unpopolo / diventa povero e

servo / quando gli rubano lalingua / ereditata dai padri / èperso per sempre. / Diventapovero e servo, / quando leparole non generano parole / siconsumano fra loro. DaRomagna civiltà – G.Quondamatteo e GiuseppeBollosi)I nostri, conversando con inonni, si rendono conto che,come ogni lingua, anche ilvernacolo, nel tempo, si arric-chisce, di nuovi termini chenon sono prettamente dialetta-li, perché generati dalla linguaitaliana. Molti giovani si avvi-cinano, con interesse, al ver-nacolo, perché una voltaacquisito, realizzano che è unalingua colorita, ricca di suonisingolari e di semplici, maefficaci espressioni. Ad esem-pio, rispondere ad un amicoche s’informa sul nostro pre-cario stato di salute, altro èdire: “non sto bene!”, altro èrispondere: “a stagh cumè épès te pajer!”.Ben vengano le nuove compa-gnie che, oltre a trascorrerepiacevolmente il loro tempolibero, possono incrementare ediffondere “è nost dialet”.Il team de “I giovneAmarcord” fa sua l’opinioneche il commediografo e criticoIcilio Missiroli aveva sul tea-tro romagnolo: “Il teatro dia-lettale è, per me, privo di ogniragione d’essere se si conside-ra solo come accademia deldialetto…. Il teatro dialettaledeve essere anche, e soprattut-to, romagnolo, deve cioèrispecchiare tradizioni, psico-logia, costumi, completamentenostri, far si che, dal modo dicomportarsi, dagli sviluppi edalle conclusioni della visionescenica, noi deduciamo chequell’azione si poteva svolge-re in quel determinato modo,soltanto in Romagna”.

DIALETTALE

MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .47

COMPAGNIE E PERSONAGGI DELLA RIBALTA RIMINESE

I GIOVNE AMARCORDAdriano Cecchini

N «Nonostante l’età, il gruppo scenico di Misano

padroneggia con molta disinvoltura

l’uso del dialetto.

Al di là dell’aspetto culturale o creativo,

per loro la commedia vernacolare

è un appuntamento per stare insieme

e per trascorrere un paio d’ore gradevoli»

“I giovne Amarcord”.In piedi: Roberto Bertozzi,

Andrea Baffoni, Ketti Montanari,

Barbara Perazzini, Alessandra Rossi, e Michela Bartoli;

accosciati: Stefano Pesaresi,Amos Andreini,

Massimo Goffarelli, Roberto Semprini,

Francesca Gennari e Simone Renzi

«“Il teatro dialettale è, per me,

privo di ogni ragione d’essere se si considera solo

come accademia del dialetto….

Il teatro dialettale deve essere anche,

e soprattutto, romagnolo,

deve cioè rispecchiare tradizioni, psicologia,

costumi, completamente nostri”»

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l passaggio della conduzio-ne di un’ impresa di genera-

zione in generazione in ambi-to familiare favorisce, tramiteil cumulo delle esperienzeacquisite e tramandate, unaffinamento di gestione e unosviluppo armonico dell’attivi-tà. In effetti una conoscenzadei problemi aziendali findalla giovinezza e il vivere unapprendistato in forma direttasono senz’altro modi efficacidi apprendimento. In unmondo in cui tutto appare effi-mero e transitorio il susseguir-si delle generazioni parentaliin una data attività è un indicedi fiducia trasmessa e di rico-noscenza dimostrata tra mem-bri di una stessa famiglia equindi fattore socialmentepositivo, non solo, ma ancheelemento favorevole allo svi-luppo e alla prosperità del-l’impresa.Con questo spirito e con talemotivazione di base, il 19aprile 2012 il Rotary ClubRimini, nella figura del suopresidente Luigi Prioli ha con-ferito l’annuale Attestato diBenemerenza a Emanuela eMarco Amati, gestori del fran-toio per olive Sapigni diVillaVerucchio, e a Sandro eNicoletta Bacchini, viticoltori

della tenuta del Monsignore diSan Giovanni in Marignano,entrambi “per la lodevole con-duzione della loro attività,svolta con passione e capacitànella continuità della tradizio-ne familiare”.Nella storia di queste duefamiglie c’è la prova che ilrispetto delle realizzazioni deipredecessori, la valorizzazio-ne delle conoscenze tramanda-te, unite ad una dedizioneappassionata per il lavorosono elementi determinantiper la vitalità delle aziende.Tali attività, oltre ad essereesempio significativo di unaconsolidata antica conduzionefamiliare, godono di un parti-colare fascino in quanto pro-ducono beni tradizionali nel-l’uso e ricchi di storia e leg-

genda quali sono il vino e l’o-lio.

La presenza significativa dellavite e dell’ulivo e l’importan-za essenziale del Vino edell’Olio nello sviluppo dellaciviltà mediterranea sonotestimoniate dagli innumere-voli richiami storici e mitolo-gici pervenuti. Narra Omero come il talamoove Penelope attese il ritornodi Ulisse fosse fissato in modoinamovibile ad un tronco d’u-livo; la mitologia greca indical’ulivo come pianta sacra adAtena, dea della sapienza, edassegnato ai Greci come ildono più ambito; era di ulivo ilramoscello che la colombariportò sull’arca di Noè qualeannunzio della riconciliazione

col divino. Fedeltà, saggezza epace si riassumono così sim-bolicamente in questa piantache da tempi immemorabili haaccompagnato l’evolversidella nostra civiltà. Ed è congioia che dopo anni di relativadimenticanza rivediamo ulti-mamente i nostri colli ricoprir-si dell’argentea coltre degliuliveti e molti giardini ornarsidella presenza dell’ulivo asimboleggiare il benvenutoall’ospite. E non è certo permotivi economici che ciòavviene, come ben sa chi licoltiva, ma per un ancestraleamore misto a riverenza perquesta pianta generosa, carat-terizzante i paesaggi mediter-ranei, dall’ombra discreta, diuna longevità tale da farla con-siderare immortale.Dai suoi frutti sgorga un pro-dotto che arricchisce le nostretavole e che ha un carattere dipreziosità derivante dal esserestato per millenni un beneessenziale. E’ l’olio con cui siungeva il re d’Israele, l’oliodelle lucerne che per secolihanno illuminato le notti, l’o-lio degli unguenti profumati,l’olio che leniva le ferite, l’o-lio che nutriva le genti; unbene assoluto che richiede

MAGGIO-GIUGNO 2012

ROTARY

“PREMIO ALLE PROFESSIONI 2012”

ATTESTATI DI BENEMERENZA A EMANUELA E MARCO AMATI E A NICOLETTA E SANDRO BACCHINI

Pier Giorgio Franchini

I

A R I M I N V M /48.

«Premiati dal Rotary Emanuela e Marco Amati

del Oleificio Sapigni e Sandro e Nicoletta Bacchini

della tenuta del Monsignore.

Le loro attività, oltre ad essere esempio significativo

di una consolidata antica conduzione familiare,

godono di un particolare fascino

in quanto producono beni tradizionali nell’uso

e ricchi di storia e leggenda quali sono

il vino e l’olio»

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rispetto che va prodotto e con-servato con cura. Ancora oggiil senso di sacralità che essoha assunto nei tempi ci fa per-cepire come segno di disgraziail perderlo versandolo.La Commissione ha sceltoquali candidati all’assegnazio-ne dell’attestato di beneme-renza Marco ed EmanuelaAmati per la professionalitàcon cui gestiscono un efficien-te e rinomato oleificio e per laparticolare dedizione ad unlavoro che hanno sentito pro-prio nella scia della tradizionefamiliare.

Nelle nostre campagne allemacchie di ulivi si alternanovigne pettinate in lunghi filariparalleli a creare effetti sceno-grafici di prosperosi giardini.L’umile vite si abbarbica aisostegni sapienti pronta a pro-durre un frutto che si trasfor-merà in quella bevanda che datempo immemore ha accom-pagnato l’uomo a consolazio-ne delle sue fatiche sottoli-neandone i momenti di spen-sieratezza. Non a torto il vinonell’antichità è consideratocome un dono dato agli uomi-

ni dalle divinità che per gliegiziani è Osiride, per i greciDionisio, Bacco per i Romani;per gli Ebrei è il patriarca Noèil primo a berne dopo averimpiantato la prima vigna.Rientra anch’esso nell’ambitodei prodotti che hanno accom-pagnato l’evolversi dellanostra civiltà nei millenni tra-

scorsi. Lo troviamo citatonella letteratura dei paesimediterranei di ogni tempo;basti pensare a quanti richiamialla vigna e al vino sono pre-senti nella Bibbia: la primaquasi sempre adottata a sim-bolo di colleganza e collabora-zione divina e umana, ilsecondo a indicare momenti

felici e di fraternità: Il “Nonhanno più vino” delle nozze diCana suona come “fa che nontermini la loro gioia”.Ed è in questa luce di parsimo-nioso e rispettoso uso di que-sta bevanda che pensiamopossa cogliersi tutto il suofascino che è fatto di profumie di sapori diversi e di storiadai molteplici aspetti. Adun’ampia gamma di varietà divini si accompagna un’affer-mata cultura e una raffinataricerca alla scoperta di pregi ecaratteristiche. Ne sono unaprova i sommelier che, qualiaruspici illuminati, da un sorsodi vino sanno trarre storie econclusioni, sui mille suoiattributi: il tipo di uva, lamodalità di fermentazione,l’invecchiamento, i trattamentienologici subiti, il gusto e ilretrogusto scoprendo in unabottiglia un mondo di sensa-zioni.La Commissione presentandocome candidati Sandro eNicoletta Bacchini, ha volutopremiare oltre alle loro capaci-tà e dedizione al lavoro, l’im-pegno per aver contribuito atener alto, nel campo dellaproduzione delle uve e deivini, il prestigio del prodottolocale caratterizzandolo pertipicità e qualità; il tutto nelrispetto di una antica tradizio-ne familiare.

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MAGGIO-GIUGNO 2012 / A R I M I N V M .49

Marco ed Emanuela Amati con il presidente del R.C.R.

Luigi Prioli e sua moglie Mara.

Mara e Luigi Prioliinsieme a Nicolettae Sandro Bacchini.

ALBO D’OROdegli Operatori economici della Provincia di Rimini

premiati con Attestati di benemerenza dal Rotary Club Riminiper meriti professionali

1996. Probo Burnazzi (orefice), Natale Fabbrizioli (armaiolo),Fratelli Giuseppe e Pierluigi Grossi (albergatori).1997. Alfonso Marchi (stampatore e tintore), MarioCapicchioni (liutaio).1998. Gianfranco Bisognani (costruttore di eliche navali),Giovanni Vasi (armatore-pescatore).1999. Guido Baldini (ceramista).2000. Ugo Ciavatti (intagliatore e doratore), Mario Paolucci(antiquario e artigiano d’arte).2001. Gino Garattoni (tipografo), Giovanni Luisè (libraio anti-

quario), Claudio Spagnoli (legatore).2002. Alessandro Savazzi (imprenditore agricolo), ValerioZanni (ristoratore).2003. Maurizio e Claudio Tonelli (imprenditore della lavora-zione dei marmi) Andrea e Roberto Vignali (imprenditori edili).2004. Fernando Mancini (arrotino), Pierdomenico Mattani(sistemi di sicurezza).2005. Giorgio Lucchi (imprenditore elettromeccanico).2006. Edoardo Rossi (ristoratore), Nerio Cortesi (armaiolo).2007. Antonio Scarpato (maestro pirotecnico).2008. Pier Giorgio Pazzini (tipografo-editore)2009. Antonio Morri (fonditore)1010. Fabio e Massimo Fellini (panificatori)2011. Enza e Lucia Castroni (pellissiaie)2012. Emanuela e Marco Amati e Nicoletta e Sandro Bacchini(produttori di olio e vino)

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L’AZIENDA SAPIGNINel 1850 Giovanni Sapigni padrone di vasti terreni in Trebbio diPoggio Berni, nel clima di autosufficienza proprio del tempo,pensò di affiancare al mulino per grano che già funzionava unfrantoio che servisse a ottenere l’olio dalle olive dei suoi ulivi edi quelli dei possedimenti vicini. L’attività prosegui con il figliodi Giovanni, Rodolfo, nonno di Marco ed Emanuela, che semprea Trebbio costruisce un nuovo frantoio più moderno con motorea scoppio che sostituisce quello di antica concezione a traino ani-male. Nel 1939 Rodolfo costruisce un altro frantoio a VillaVerucchio, su una direttrice, la Marecchiese, estremamenteimportante e facilmente raggiungibile. Il frantoio viene realizza-to seguendo i nuovi principi della propulsione elettrica. In queltempo fare l’olio comportava lunghi tempi di attesa, si lavoravagiorno e notte e i conferitori dell’oliva aspettavano all’interno delfrantoio intere giornate comprese le notti. Nel periodo della cam-pagna olearia il frantoio diveniva un luogo di aggregazione edurante le attese si cucinava, si beveva e si raccontavano aneddo-ti relativi al mondo dell’agricoltura.Nel 1958 con la morte di Rodolfo subentrano nella gestione lamoglie Giorgia e la figlia Gabriella, un contesto tutto al femmi-nile, in un mondo esclusivamente maschile. Dal 1960 collaboracon loro anche Vezio Amati, marito di Gabriella, che con la suapassione per le nuove tecnologie porta il frantoio all’avanguardiain fatto di macchinari a garanzia di sempre più elevati standard diqualità e igienicità contribuendo alla produzione di oli extraver-gini di pregio tra cui anche la produzione di olio biologico.Nel 1990, dopo il conseguimento della laura in Economia eCommercio, entra in azienda Marco che eredita dal padre il gran-de interesse per la tecnologia e si dedica con impegno al settoreamministrativo e commerciale.Nel 2000, entra anche Emanuela, laureata in Lingue, che suppor-ta Marco nell’organizzazione commerciale: entrambi sono iscrit-ti all’albo nazionale assaggiatori e quindi competenti nella valu-tazione delle qualità degli oli.Certamente le macine del bisnonno fanno sorridere se paragona-te agli attuali frangitori eppure senza di quelle oggi probabilmen-te non esisterebbe l’oleificio Sapigni o comunque sarebbe meno

motivato l’impegno di Marco ed Emanuela. Quattro generazioni, pertanto, si sono succedute alla guida delfrantoio Sapigni, sempre tese alla produzione di oli dai gusti dif-ferenziati partendo da una oculata scelta dell’oliva al fine di rag-giungere risultati aziendali sempre più apprezzati, come dimo-strano i premi ottenuti nei concorsi di ricerca della qualità.

L’AZIENDA BACCHINIPer quanto riguarda la famiglia Bacchini, essa presenta un eccezio-nale albero genealogico che indica la sua presenza in Romagna dal1400, sin da allora associata alla viticoltura. Nel 1400 in quel di SanClemente erano presenti Bacchini Francesco, Gaudenzio, Antonio eancora Gaudenzio e nel 1500 Biagio, Antonio e Francesco; quest’ul-timo risulta presente in San Giovanni in Marignano. Di secolo insecolo si giunge nel 1900 alla sedicesima generazione qui rappre-sentata da Bacchini Sandro e alla diciassettesima generazione rap-presentata da Bacchini Nicoletta, sua figlia. Pertanto il vino che pro-duce la famiglia Bacchini nasce dall’esperienza acquisita e traman-data in 600 anni di attività nel settore.Tra i Bacchini succedutisi negli anni occorre menzionare il vescovoMons. Francesco Bacchini che negli anni del 1800 scelse l’attualetenuta come sua dimora di campagna; per tal fatto essa prese il nomedi “Tenuta del Monsignore”. E’ una tenuta situata sulle prime colli-ne di San Giovanni in Marignano attualmente estesa per circa 140ettari di cui 90 coltivati a vigneto.La produzione tende a esprimersi in vini di qualità grazie alle carat-teristiche della terra, all’esposizione, al microclima e soprattutto allagrande perizia dei conduttori. Caratteristico è anche il tipo di colti-vazione della vite che tende a limitare la produzione di ogni singoloesemplare e a favorire una maturazione ottimale delle uve. Le cantine sono attigue alla casa padronale la cui struttura architet-tonica risale alla prima metà dell’800. Visitare una cantina comequella della Tenuta del Monsignore offre l’occasione per rendersiedotti dell’alto grado di specializzazione che si è raggiunto nel setto-re. Un susseguirsi continuo di macchine, che va da quelle per la pro-duzione dei mosti agli alti contenitori dei vini fino alle imbottiglia-trici, dà il senso della tecnologia avanzata dell’impresa. In un localecontiguo si possono ammirare le botti in rovere per l’invecchiamen-to dei vini e un grande tino di legno conservato a ricordo del passa-to. Le innovazioni avvenute hanno sempre rispettato la tipicità delprodotto e salvaguardato la sua identità territoriale. La casa padrona-le è attrezzata per ospitare banchetti e riunioni conviviali in vaste salecon vista sui vigneti, rendendo così possibile la degustazione in sitodei prodotti della tenuta.E’ risaputo che i vari tipi di vino sono da sempre abbinati per uso al

tipo di cibo consumato, Sandro e Nicoletta Bacchini si spin-gono oltre aggiungendo considerazioni sensoriali particolarisecondo una nuova filosofia. Essi ritengono che ad una quali-tà di vino sia collegabile un sentimento, non solo, ma che ogniparticolare emozione richieda un adeguato tipo vino. Tale col-legamento tra i moti dell’anima e i tipi di vino manifesta comeSandro e Nicoletta Bacchini siano costantemente alla ricercadi una personalizzazione dei loro prodotti enologici e rivela lagrande passione impiegata nella loro attività alla ricerca del-l’originalità unita alla tipicità. Ad esempio un rosato da uva Merlot attualmente prodotto ededicato a Donna Fiore, moglie nel 1600 di Antonio Bacchini,richiama la seguente emozione: “I nostri pensieri si tuffano

nei rosei ricordi del passato amalgamandosi dolcemente con il pre-sente”.Ed ecco come viene presentato Nicolò un vino rosso del 2010: “ilgiorno di Natale 2010 è nato Nicolò, attuale ultimo rampollo dellafamiglia Bacchini. E’ una vecchia tradizione della nostra famigliafesteggiare il nuovo nato dedicandogli un particolare vino coevo,vino che dovrà accompagnare tutti i momenti lieti della sua vita.Questo è il vino di Nicolò. “E nell’accostamento ai sentimenti siaggiunge: “Il passato si materializza nel ricordo, le aspettative per ilfuturo nei sogni che, con una tenace forza di volontà, possono dive-nire realtà”.Questo significa dare un’anima al vino giudicandolo capace diinfluenzare o di interpretare l’emozione di un momento particolare,significa accostarlo alla poesia.

ROTARY

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ono e ultimo elenco di “Amici per lapenna”. Chiudo questa lunga rasse-

gna di collaboratori di “Ariminum” conN

BLOC-NOTES

FABIO ZAVATTADopo essere stato un bravo insegnante di matematica e scienze,Fabio Zavatta divenne anche un bravo preside. Fu a capo del pre-stigioso Liceo Classico “Giulio Cesare” per una decina d’anni.Ed è qui, in questa scuola, che riallacciammo i contatti. La nostra“amicizia”, infatti, risale ai tempi delle medie trascorse daiSalesiani. Nel 2009 gli chiesi di scrivere un ricordo di quellascuola da inserire nel mio “I burdèll di prét”, un libro sulla storiadei ragazzi di marina cresciuti nell’ambiente salesiano. Fabio diquel ciclo di studi rievocò in primis le regole, il rispetto degliorari, la precisione e il controllo dei compiti assegnati. «Maanche – aggiunse – il senso di umanità e di amicizia. In pocheparole, il senso del dovere mai disgiunto da un principio supe-riore che per noi ragazzi cresciuti all’ombra del campanile, erafacile individuare nella nostra fede. Credo che molti dei mieicaratteri distintivi, sia in ambito scolastico che sociale, abbianotratto origine o si siano comunque rafforzati in quella scuolaormai lontana nel tempo, ma tanto cara e vicina nella memoria».Quando nel novembre/dicembre 1994 gli chiesi di parlare del suoLiceo su “Ariminum” e di riassumerne la caratteristica, lui fuesplicito: scrisse che nella sua scuola, a differenza di altre, «silavora e si fatica». Più chiaro e sintetico di così.Non potevo pretendere da lui una collaborazione continuativa,ma le poche volte che gli chiesi “qualcosa” non me la negò mai.Mi dette anche un contributo alla ricostruzione del Teatro Galli(marzo/aprile 1997).

GIULIO ZAVATTAGiulio Zavatta, mi viene presentato dal padre Paolo, che conoscodagli anni Cinquanta per una comune frequentazione dell’orato-rio dei Salesiani di Piazza Tripoli. Il “ragazzo”, storico dell’Arte– allora appena laureato – e con una gran voglia di approfondirei propri studi, mi venne a trovare a casa nel periodo di Natale2004 e con una piacevole conversazione infarcita di tante doman-de incrociate, facemmo conoscenza. Non mi ci volle molto acapire che in lui avevo trovato un acuto studioso d’arte. In basealle sue “passioni” gli offrii di esprimersi sul Cinquecento, dan-dogli la rubrica “Luci e ombre di un secolo di passaggio”. Iniziònel gennaio/febbraio 2005 e continuò con interventi che spazia-no dall’architettura all’arte, tutti illustrati con immagini quasisempre inedite, anche queste frutto della sua meticolosa ricerca.A partire dal novembre/dicembre 2007 oltre al Cinquecentoprese a indagare con scrupolose osservazioni l’arte riminese atutto tondo. Ricordo i suoi interventi: “Il bozzetto originale dellastatua di Paolo V acquistato dal Louvre” (luglio/agosto2009); lapittura riminese tra il XVI e XVII secolo (settembre/ottobre2009); i disegni inediti di Costant Bourgeois e Prosper Barbot(novembre/dicembre 2009); un aneddoto del 1916 in riferimentoall’“Adorazione dei Magi” di Giorgio Vasari (gennaio/febbraio2010); la Deposizione di Palma il Giovane (marzo/aprile 2010);i cinque “tondi” di Vittorio Maria Bigari (maggio/giugno 2010);

la “Madonna della Rosa” del Malosso (settembre/ottobre 2010);i disegni del British Museum di Londra (novembre/dicembre2010); la pala di “San Domenico” del Tintoretto (gennaio/feb-braio 2011); la “storia” pittorica di Giuseppe Ravegnani(marzo/agosto 2011); i disegni del Centino (settembre/ottobre2011); un’opera pittorica di Giuseppe Ugonia riproducente “Legrazie sopra Rimini” (marzo/aprile 2012). Nel frattempo, oltrealla collaborazione con “Ariminum”, Giulio si è fatto notare perla pubblicazione di alcuni libri e per una serie di relazioni tenutesulla storia dell’Arte. Insomma, avevo visto giusto nel Natale del2004. Di questo studioso continueremo a sentir parlare.

ALESSANDRO ZIGNANIAlessandro Zignani scrisse il primo articolo per “Ariminum” nelnovembre/dicembre 1995. Si trattava di una recensione al libro diFlavio Nicolini, “Da nessuna parte”. Continuò, poi, ad interes-sarsi dei “Poeti di casa nostra” (Antonio Zavoli, Ivo Gigli, LorisPellegrini, Maura Maioli, Rosita Copioli, Stefano Colangelo,Gabriello Milantoni, Alberto Meluzzi) mantenendo la paginafino al 1998, quando dovette lasciarla per trasferirsi in Toscanaper una opportunità di lavoro.Zigani fu mio allievo al Liceo Classico, un disastro nelle attivitàmotorie, ma fin d’allora una mente eccelsa nel ragionamento. Dilui Guido Zangheri, nel marzo/aprile 2008, presentandolo come“musicologo”, scrive: «Forte di un retroterra culturale di vastis-sime proporzioni, Alessandro Zignani, da sempre appassionatis-simo di musica e attratto dai suoi “misteri” (ha anche trovato iltempo e il modo di studiare clarinetto, composizione e direzioned’orchestra) ha scritto importanti libri di carattere musicologi-co». E ancora: «Zignani, oltre a primeggiare negli studi musico-logici in Italia, è unfine letterato e unprestigioso germani-sta (già docente uni-versitario di storiadella cultura tede-sca); è scrittoregeniale con un curri-culum ricco di note-voli affermazioni alivello internazionale, autore e sceneggiatore teatrale, regista esceneggiatore cinematografico».Insomma un capoccione. Quando Alessandro mi veniva a trova-re a casa, quasi sempre all’ora dei pasti, i miei figli rimanevanoincantati e soprattutto storditi dal suo eloquio. Una volta mi dissemolto seriamente che ero l’unico direttore di giornale che gliconcedeva piena libertà di movimento. Beh, la considerazione,detta da lui che sapevo aver sbattuto varie porte, mi fece moltopiacere.

DALLA MIA ISOLA … CORDIALMENTE (9)

AMICI PER LA PENNAManlio Masini

le canoniche quattro parole. Un grazie dicuore a tutti i “compagni di viaggio”,anche a quelli che non sono stati oggetto

dei miei affettuosi rimbrotti, nella pienaconsapevolezza che il successo della rivi-sta è dovuto interamente alle loro firme.

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MAGGIO-GIUGNO 2012A R I M I N V M /52.

ARIMINUM

Hanno collaboratoRonaldo Bertozzi, Alessandro Catrani, Adriano Cecchini, Federico Compatangelo(foto), Lanfranco Fabbri, Lidiana Fabbri, Pier Giorgio Franchini, Corrado Ghini,Ivo Gigli, Silvana Giugli, Giuma, Arianna Mamini, Man, Pier Domenico Mattani,

Federicomaria Muccioli, Enzo Pirroni, Giovanni Rimondini, Gaetano Rossi,Stefano Tomaselli, Guido Zangheri

RedazioneVia Destra del Porto, 61/B - 47921 Rimini - Tel. 0541 52374

EditoreGrafiche Garattoni s.r.l.

AmministratoreGiampiero Garattoni

Delegato del Rotary Club RiminiAlessandro Andreini

RegistrazioneTribunale di Rimini n. 12 del 16/6/1994

CollaborazioneLa collaborazione ad Ariminum è a titolo gratuito

Distribuzione / DiffusioneQuesto numero è stato stampato in 7000 copie ed è distribuito gratuitamente nelle edicole della Provincia di Rimini abbinato al quotidiano “La Voce di Romagna”. È spedito ad un ampio ventaglio di categorie di professionisti ed è consegnato

agli esercizi commerciali di Rimini. Inoltre è reperibile presso il Museo della Città di Rimini (Via Tonini)

e la Libreria Luisé (Corso d’Augusto, antico Palazzo Ferrari, ora Carli).La rivista è leggibile in formato Pdf sul sito del Rotary Club Rimini

all’indirizzo www.rotaryrimini.orgPubblicità

Piùmedia - Tel. 0541 777526 - info@@ piumedia.comStampa e Fotocomposizione

Grafiche Garattoni s.r.l., Via A. Grandi, 25, Viserba di RiminiTel. 0541.732112 - Fax 0541.732259

Bimestrale di Storia, Arte e Cultura della Provincia di RiminiFondato dal Rotary Club Rimini

Anno XIX - N. 3 (108) Maggio/Giugno 2012

DIRETTOREManlio Masini

A R I M I N V M

PH: Giorgio Cicchetti

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