Storia 080202

7
di Kristjan Knez Con l’abbattimento dei confini una parte dell’Istria ritor- na a comunicare, a rapportarsi e a commerciare con l’Italia, e, finalmente, non vi sono più barriere di alcuna sorta. Negli ultimi giorni di dicembre è scomparsa una frontiera che ha separato le popolazioni, ha reciso i legami esistenti ed ha rap- presentato il limite di due realtà distinte, con sistemi politici, economici e condizioni di vita diversi, per non dire diametral- mente opposti. La definizione di quella linea di demarcazione aveva determinato una trasformazione così radicale e profon- da che tuttora ne notiamo le conseguenze. La componente ita- liana autoctona rischiava quasi di scomparire, l’esodo stravol- se la composizione etnica del territorio, e di conseguenza le sue caratteristiche linguistiche, culturali e sociali. L’abbando- no dei siti originari rappresenta una frattura le cui conseguen- ze sono incalcolabili, poiché l’esodo non solo aveva svuotato i centri urbani e le campagne, ma gli aveva tolto l’anima. L’odissea dei rimasti Per chi rimase iniziava l’odissea di ritrovarsi in un conte- sto alterato: con le famiglie divise, con le abitazioni vuote, e via via riempite da nuovi arrivati provenienti da lontano, con le classi scolastiche dapprima dimezzate e poi, in molti casi, addirittura scomparse o ridotte a pochi studenti, con una lin- gua che non si udiva più per le calli – e che in talune circo- stanze era opportuno non usare –, con i passaggi coatti dei ragazzi dalle scuole italiane a quelle slovene o croate, con la chiusura definitiva degli istituti scolastici che operavano in lingua italiana – pensiamo a tutta l’Istria orientale, alle isole del Quarnero e a Zara –, con le discriminazioni che avveniva- no alla luce del sole; e poi si assistette alla scomparsa di parte dei toponimi, di tutti i nomi delle vie e delle piazze dei centri storici nonché alla storpiatura della storia. Questi sono solo alcuni degli aspetti della difficile vita della Comunità Nazio- nale Italiana. Una parte di quest’ultima, quella più “fortuna- ta”, poteva, invece, annoverare il bilinguismo e l’esistenza di un’istruzione in lingua italiana, dall’asilo alle scuole medie superiori. Le istituzioni, poi, dovettero accondiscendere al partito unico e la vita delle stesse era subordinata al regime. Chi guidava le medesime, appoggiava apertamente il par- tito comunista, o per convinzione ideologica o solo perché si era consci fosse l’unico modo per sal- vaguardare l’italianità, già fortemente compro- messa a causa dello stillicidio dell’esodo. L’impegno degli intellettuali La storiografia dovrà analizzare anche la realtà di quegli anni e le situazioni che si vennero a crea- re. Anche se determinate scelte oggi possono apparire discuti- bili, dobbiamo avere l’onestà intellettuale e riconoscere che grazie a quelle persone si sono conservate la lingua e la cul- tura italiana. In questo conte- sto non va omesso il ruolo de- gli insegnanti, il cui lavoro era una vera missione, ma anche quello dei giornalisti (in molti casi anche scrittori e/o poeti), che quotidianamente assicura- vano un’informazione in lingua italiana, pur trovandosi tra l’incu- dine ed il martello. Grazie a questi intellettuali, all’impegno culturale delle Comunità degli Italiani (prima Circoli di cultura italiana) e al ruolo po- litico – laddove era possibile, seppur limi- tato – gli Italiani non si sono ridotti a mero fenomeno folcloristico, ma continuano a rap- presentare una parte della popolazione – nono- stante siano numericamente ridotti – nonché a testi- moniare l’esistenza di una presenza storica. w w w . e d it .h r/ l a v o c e A n n o I V n . 2 S a b ato , 2 fe bb ra io 2 0 0 8 storia e ricerca DEL POPOLO DEL POPOLO Il lungo e diffi cile percorso della cultura della Comunità Nazionale Italiana IN QUESTO NUMERO Segue a pagina 6 L’esodo svuotò città e campagne, togliendo l’anima al nostro territorio RIFLESSIONI In primo piano l’anniversario tondo del Centro di Ricerche storiche di Rovigno, che nel 2008 festeggia quarant’anni dalla sua fondazione. Il direttore Giovan- ni Radossi riassume quanto finora fatto, le iniziative più significative dell’anno appena trascorso, presentando al contempo i progetti da realizzare e una serie di direttrici di sviluppo dell’attività del Centro. La pagine centrali sono invece dedicate alla memo- ria dell’Olocausto, la tragedia che coinvolse sei milioni di ebrei e che toccò da vicino anche la comunità israeli- tica presente a Fiume fin dal XVI secolo. Una comuni- tà ben inserita nel clima tollerante che ha caratterizzato la città nel corso della sua storia e che purtroppo è stato stravolto dagli eventi della Seconda guerra mondiale, in particolare dopo l’occupazione tedesca e l’inserimento di Fiume nell’Adriatische Kunstenland. Un’altra pagina dolorosa del nostro passato, un’al- tra storia di persecuzioni, privazioni, sofferenze è quel- la legata al “campo di rieducazione” dell’Isola Calva (Goli Otok) nel quale finirono i cominformisti dopo la rottura Belgrado – Mosca. Nella “resa dei conti” del re- gime di Tito con gli stalinisti (o presunti tali) la scure dell’UDB-a si abbatté su diversi esponenti della Comu- nità Nazionale Italiana, altri invece cercarono la salvez- za unendosi allo “tsunami” dell’esodo. L’Inserto propo- ne una serie di testimonianze tratte dal libro di Luciano Giuricin, a iniziare da quella di Ferruccio Glavina. In conclusione, un modo diverso di (ri)disegnare la storia: parlarne attraverso i fumetti, come proposto, per il periodo romano, da alcuni importanti autori, quali il francese Gilles Chaillet e l’italiano Giampiero Caser- tano (che si è servito di un’accurata narrazione storica proposta da Giorgio Albertini).

description

storia

Transcript of Storia 080202

Page 1: Storia 080202

di Kristjan KnezCon l’abbattimento dei confi ni una parte dell’Istria ritor-

na a comunicare, a rapportarsi e a commerciare con l’Italia, e, fi nalmente, non vi sono più barriere di alcuna sorta. Negli ultimi giorni di dicembre è scomparsa una frontiera che ha separato le popolazioni, ha reciso i legami esistenti ed ha rap-presentato il limite di due realtà distinte, con sistemi politici, economici e condizioni di vita diversi, per non dire diametral-mente opposti. La defi nizione di quella linea di demarcazione aveva determinato una trasformazione così radicale e profon-da che tuttora ne notiamo le conseguenze. La componente ita-liana autoctona rischiava quasi di scomparire, l’esodo stravol-se la composizione etnica del territorio, e di conseguenza le sue caratteristiche linguistiche, culturali e sociali. L’abbando-no dei siti originari rappresenta una frattura le cui conseguen-ze sono incalcolabili, poiché l’esodo non solo aveva svuotato i centri urbani e le campagne, ma gli aveva tolto l’anima.

L’odissea dei rimastiPer chi rimase iniziava l’odissea di ritrovarsi in un conte-

sto alterato: con le famiglie divise, con le abitazioni vuote, e via via riempite da nuovi arrivati provenienti da lontano, con le classi scolastiche dapprima dimezzate e poi, in molti casi, addirittura scomparse o ridotte a pochi studenti, con una lin-gua che non si udiva più per le calli – e che in talune circo-stanze era opportuno non usare –, con i passaggi coatti dei ragazzi dalle scuole italiane a quelle slovene o croate, con la chiusura defi nitiva degli istituti scolastici che operavano in lingua italiana – pensiamo a tutta l’Istria orientale, alle isole del Quarnero e a Zara –, con le discriminazioni che avveniva-no alla luce del sole; e poi si assistette alla scomparsa di parte dei toponimi, di tutti i nomi delle vie e delle piazze dei centri storici nonché alla storpiatura della storia. Questi sono solo alcuni degli aspetti della diffi cile vita della Comunità Nazio-nale Italiana. Una parte di quest’ultima, quella più “fortuna-ta”, poteva, invece, annoverare il bilinguismo e l’esistenza di un’istruzione in lingua italiana, dall’asilo alle scuole medie superiori. Le istituzioni, poi, dovettero accondiscendere al

partito unico e la vita delle stesse era subordinata al regime. Chi guidava le medesime, appoggiava apertamente il par-tito comunista, o per convinzione ideologica o solo perché si era consci fosse l’unico modo per sal-vaguardare l’italianità, già fortemente compro-messa a causa dello stillicidio dell’esodo.

L’impegno degli intellettuali

La storiografi a dovrà analizzare anche la realtà di quegli anni e le situazioni che si vennero a crea-re. Anche se determinate scelte oggi possono apparire discuti-bili, dobbiamo avere l’onestà intellettuale e riconoscere che grazie a quelle persone si sono conservate la lingua e la cul-tura italiana. In questo conte-sto non va omesso il ruolo de-gli insegnanti, il cui lavoro era una vera missione, ma anche quello dei giornalisti (in molti casi anche scrittori e/o poeti), che quotidianamente assicura-vano un’informazione in lingua italiana, pur trovandosi tra l’incu-dine ed il martello. Grazie a questi intellettuali, all’impegno culturale delle Comunità degli Italiani (prima Circoli di cultura italiana) e al ruolo po-litico – laddove era possibile, seppur limi-tato – gli Italiani non si sono ridotti a mero fenomeno folcloristico, ma continuano a rap-presentare una parte della popolazione – nono-stante siano numericamente ridotti – nonché a testi-moniare l’esistenza di una presenza storica.

ww

w.e

dit.h

r/la

voce Anno IV • n. 2 • Sabato, 2 febbraio 2008

storiae ricerca

DEL POPOLODEL POPOLO

Il lungo e diffi cile percorso della cultura della Comunità Nazionale Italiana

IN QUESTO NUMERO

Segue a pagina 6

L’esodo svuotò città e campagne, togliendo l’anima al nostro territorioRIFLESSIONI

In primo piano l’anniversario tondo del Centro di Ricerche storiche di Rovigno, che nel 2008 festeggia quarant’anni dalla sua fondazione. Il direttore Giovan-ni Radossi riassume quanto fi nora fatto, le iniziative più signifi cative dell’anno appena trascorso, presentando al contempo i progetti da realizzare e una serie di direttrici di sviluppo dell’attività del Centro.

La pagine centrali sono invece dedicate alla memo-ria dell’Olocausto, la tragedia che coinvolse sei milioni di ebrei e che toccò da vicino anche la comunità israeli-tica presente a Fiume fi n dal XVI secolo. Una comuni-

tà ben inserita nel clima tollerante che ha caratterizzato la città nel corso della sua storia e che purtroppo è stato stravolto dagli eventi della Seconda guerra mondiale, in particolare dopo l’occupazione tedesca e l’inserimento di Fiume nell’Adriatische Kunstenland.

Un’altra pagina dolorosa del nostro passato, un’al-tra storia di persecuzioni, privazioni, sofferenze è quel-la legata al “campo di rieducazione” dell’Isola Calva (Goli Otok) nel quale fi nirono i cominformisti dopo la rottura Belgrado – Mosca. Nella “resa dei conti” del re-gime di Tito con gli stalinisti (o presunti tali) la scure

dell’UDB-a si abbatté su diversi esponenti della Comu-nità Nazionale Italiana, altri invece cercarono la salvez-za unendosi allo “tsunami” dell’esodo. L’Inserto propo-ne una serie di testimonianze tratte dal libro di Luciano Giuricin, a iniziare da quella di Ferruccio Glavina.

In conclusione, un modo diverso di (ri)disegnare la storia: parlarne attraverso i fumetti, come proposto, per il periodo romano, da alcuni importanti autori, quali il francese Gilles Chaillet e l’italiano Giampiero Caser-tano (che si è servito di un’accurata narrazione storica proposta da Giorgio Albertini).

Page 2: Storia 080202

2 storia e ricerca

ANNIVERSARI Il 2008 sarà all’insegna del quarantesimo della fondazione del

Contributi al processo di tutela e di afe della cultura italiane con approccio

Sabato, 2 febbraio 2008

di Ardea Stanišić

Sarà un anno, questo appe-na iniziato, sotto il segno del quarantesimo anni-

versario della fondazione, per il Centro di Ricerche storiche dell’Unione Italiana con sede a Rovigno, che opera nel cam-po della cultura e della ricerca scientifi ca della Comunità Na-zionale Italiana residente sul territorio della Croazia e del-la Slovenia. Un’istituzione pe-culiare, non comparabile con nessun’altra, che cura in forme specifi che l’identità nazionale della popolazione italiana nel-l’area della sua presenza sto-rica e contribuisce al processo di tutela e di affermazione del-la sua lingua e della sua cultura. Il Centro si volge sempre di più ai temi di carattere sociologico e storico e alla progettazione di argomenti che hanno attinenza con la CNI in Croazia e Slove-nia, per un approccio scientifi co aperto, come ha voluto precisa-re Giovanni Radossi, direttore del Centro rovignese.

Come d’uso, ogni inizio di anno si fa un bilancio su quello appena trascorso e un piano del-le iniziative da svolgere in quello corrente. In questo senso abbia-mo voluto interpellare, appunto, il direttore del Centro di ricerche storiche, Giovanni Radossi che ci ha segnalato i progetti che ritiene più meritevoli di attenzione.

Ampliamento degli spazi

Lo scorso anno hanno avu-to inizio i lavori di restauro del-l’edifi cio “Albertini II” che do-vrebbero volgere a termine nel corrente anno. “La casa non è

molto grande – rileva Radossi -, è stata acquisita con i mezzi MAE, UI, UPT e darà al Cen-tro uno spazio interiore di cir-ca 60 metri quadrati. Non son tanti ma si tratta di tre ambienti di cui una parte verrà adibita ad uffi ci per gli specialisti, in altri veranno sistemati fondi partico-lari, sia di volumi sia libri della bibliolteca; ma soprattutto uno spazio verrà riservato all’ar-chivio storico dell’Unione degli Italiani e dell’Unione Italiana. Trattandosi di materiale unico, introvabile e per questo moti-vo di particolare importantanza, questo materiale va custodito in modo specifi co, dove l’acces-so ai non addetti ai lavori sarà proibito. Un altro ambiente, il più piccolo, quest’ultimo rica-vato da una cisterna, sarà riser-vato ad un’esposizione fi ssa di carte nautiche austriache (se-condo Ottocento, primo Nove-cento) di tutto l’arco Adriatico settentrionale ed orientale, da Venezia, lungo tutta la costa istriana, il Quarnero e tutta la Dalmazia, fi no all’Albania. Una collezione che ritengo unica,

cheologico e architettonico dall’Età antica a quella moderna dell’Istria, Fiume e la Dalmazia – riassume Radossi –, sugli statuti medievali dei comuni istriani e dalmati (vene-ti), sulla storia del patrimonio arti-stico e culturale dell’Istria, di Fiu-me e la Dalmazia, ricerche intorno agli aspetti demografi ci in Istria, Fiume e Dalmazia dal XVII fi no al XX secolo, sui censimenti jugosla-vi della popolazione in Istria, Fiu-me e Dalmazia, l’araldica istriana, ricerche sui dialetti istrioti e vene-ti dell’Istria, nonché uno studio ri-guardante la problematica storico-sociologica e culturale degli italia-ni d’Istria, Fiume e Dalmazia. Una vasta attività scientifi ca e di ricerca

che proseguirà in questa direzione anche nel 2008. Per quanto riguar-da l’attività d’archivio, si continue-rà nella raccolta e nell’elaborazione della documentazione riguardante le CI di Croazia e Slovenia e delle altre istituzioni della CNI.

Notevole pure l’attività edito-riale. “Vorrei sottolineare che nel corso dell’anno il Centro ha pub-blicato otto volumi, di cui vorrei segnalare, innanzitutto, la regolari-tà delle edizioni storiche – continua il direttore –, primo tra tutti gli Atti, che escono da quarant’anni, che hanno raggiunto ‘quota’ 36, sem-pre molto corposi (l’ultimo volu-me conta ben 704 pagine). Un’altra edizione che mi preme sottolineare è l’extra serie numero 6 della colla-na degli Atti, che è la ristampa del-la ‘Divina Commedia’, con le note di Nicolò Tommaseo (l’originale valeva 4 milioni di lire, edizione 1878, Pagnoni, Milano), illustrata, con 100 tavole. In questo modo ab-biamo voluto, su richiesta del FVG che ha fi nanziato l’iniziativa, fare un omaggio alla cultura italiana della Dalmazia, sottolineando quali siano state in quella regione le radi-ci della presenza italiana, con Tom-maseo che fu il massimo maestro della lingua moderna italiana del-l’Ottocento, ma anche massimo esperto dell’opera universale qua-le la Divina Commedia. Un omag-gio, dunque, non solo alla fi gura de Tommaseo ma pure aella presenza della cultura italiana in Dalmazia. Il volume riproduce perfettamente l’edizione originale, pesa 8,3 chi-logrammi, è stato distribuito a bi-blioteche pubbliche, scuole, istituti, studiosi, e abbiamo ricevuto lettere

di sostegno per l’edizione sia dagli esponenti del governo italiano che da studiosi in materia.

Premi e riconoscimentiTra le edizioni regolari ricor-

diamo i Quaderni XVII, che per la prima volta riportano argomenti un tempo delicati in queste terre, qua-li l’esodo e lei foibe. Da segnalare l’edizione croata de “Istria pittori-ca” (Slikarska baština Istre), che ha ricevuto il prestigioso premio “Jo-sip Juraj Strossmayer”, nel novem-bre 07, per la soluzione grafi ca del volume.

“Abbiamo chiuso l’anno con due ‘piccole cose’ – rileva Rados-si – “L’Istria nella prima età bizan-tina” (Collana degli Atti n. 27), una monografi a dell’Istria medievale, frutto della collaborazione con stu-diosi sloveni, autore Andrej Novak, per un’interpretazione moderna europea di questo momento deli-cato della storia istriana. Contem-poraneamente abbiamo presentato la “Memoria di Goli Otok – Isola Calva” (Monografi e X), un volume di 340 pagine curato da Luciano Giuricin, con una sessantina di te-stimonianze raccolte parecchi anni fa. È l’unica pubblicazione su que-sto argomento nel territorio del no-stro insediamento storico, in Istria e Fiume. In Croazia sono usciti di-versi libri–memorie su Goli Otok, ma nel territorio istro-quarnerino niente, anche se era questo il ter-ritorio più interessato da quel fe-nomeno, in quanto la presenza dei membri della CNI in questa dram-matica vicenda è in percentuale una delle più alte nell’allora Jugoslavia (più di noi solo i montenegrini). I

Il Centro si volge sempre di più a temi di carattere sociologico e storico e alla progettazione di argomenti che hanno attinenza con la CNI in Croazia e Slovenia

A quindici anni dalla sua morte, al terzo piano di casa «Albertini II», verrà scoperta una lapide in ricordo del professor Antonio Borme

una quarantina di carte ben con-servate, esposte in una maniera razionale intelleggibile, tra cui la famosa carta disegnata da Rieger,

lunga 9,5 metri, che illustra (qua-si fotografa) la costa orientale, da Capo Promontore fi no all’Albania. In alto saranno esposte fotografi e e disegni della costa, mentre sotto saranno in bella vista queste carte originali, in una suggestione che

solamente un simile ambiente può offrire. Il tutto, si spera, sarà inau-gurato nella seconda metà dell’an-no. Sempre in casa “Albertini II”, ancora un’iniziativa importante: al terzo piano verrà scoperta una lapide ricordo nel 15.esimo anni-versario della morte del professor Antonio Borme, che è stato il capo storico dell’ UI, una lapide che il Centro dedica al suo sostenitore”.

Importanti iniziative scientifi che

Per quanto riguarda l’attività di ricerca, sono tanti i progetti porta-ti avanti nel 2007. “Si è prosegui-to con la ricerca sul patrimonio ar-

Il direttore del Centro di Ricerche storiche di Rovigno

Giovanni Radossi

Tra un paio di mesi sarà pubblicata l’edizione croata di «Istria nel tempo»

Page 3: Storia 080202

storia e ricerca 3

Centro di Ricerche storiche di Rovigno

fermazione della lingua scientifi co aperto

Sabato, 2 febbraio 2008

Quaderni 18, già in stampa, var-ranno presentati il prossimo mese: si tratta di un volume molto ricco volto sulla storia contemporanea, i problemi della CNI, pagine vere del secolo scorso”.

Ristampa delle operestoriografi che

“Nel corso dell’anno si proce-derà, mezzi fi nanziari permetten-do, alla preparazione della ristampa di alcune opere fondamentali della storiografi a istriana (C. De France-schi) e dalmata (N. Tommaseo) in lingua italiana, alla valorizzazione delle personalità distintesi dell’area culturale italiana, quale contributo alla conservazione di questo aspet-to specifi co del patrimonio cultura-le e dell’identità nazionale del terri-

torio e dei suoi abitanti. È di parti-colare importanza la collaborazio-ne materiale e professionale con la Nazione Madre – ribadisce Radossi – attraverso varie forme ed orienta-menti, usufruendo anche degli Isti-tuti di ricerca della diaspora istria-na in Italia (IRCI di Trieste), della regione del FVG, la collaborazione con l’Università popolare e l’Uni-versità degli Studi di Trieste, con il Consiglio Regionale del Veneto l’Archivio del Litorale Adriatico di Padova, la Società Dalmata di Sto-ria Patria e altri istituti”.

“E poi l’edizione croata di ‘Istria nel tempo’, che sta per andare in stampa tra un paio di mesi, fi nan-ziata dalla Regione istriana. Penso si tratti di un traguardo importante – rileva il direttore – poiché è stata la Regione a portare avanti l’inizia-tiva per la traduzione in croato del-la nostra opera, onde poterla distri-buire alle varie personalità che ven-gono a far visita al nostro territorio. E per diffonderla, quanto possibile in alcune scuole superiori in lin-gua croata. Dal canto nostro ab-biamo distribuito oltre 7000 copie del volume agli alunni delle nostre scuole, in tutta la sua verticale, da-gli asili alle facoltà. In produzione, attualmente, il DVD, tre ore e mez-za di programma, per tutti quelli che hanno ricevuto la copia carta-cea. Da aggiungere ancora, che è in lavorazione la traduzione in lingua slovena (testo tradotto ormai oltre il 70 per cento); ma non abbiamo an-cora individuato il fi nanziatore e il distributore per l’edizione slovena sul territorio sloveno”.

Un’«antologia» delle vicende UIIF-UI

“L’opera, che dovrebbe venir realizzata nel 2008 (iniziata sette anni fa), è la storia dell’UIIF-UI

– anticipa Radossi -, in occasione del quarantennale della fondazio-ne, che ricorre, appunto, nel cor-

rente anno. “UIIF-UI, storia e do-cumenti”, è una fatica che ha im-pegnato Luciano ed Ezio Giuricin, opera che constrerà di due volumi, ognuno di circa 600 pagine; il pri-

mo conterrà la narrazione degli av-venimenti dal 1943 fi no al 2006, mentre la seconda sarà un’antolo-gia ricca e ragionata di documen-ti della nostra storia, dalle prime lettere, ai primi statuti, le proteste, i torti subiti nel corso di circa ses-sant’anni. Un grosso contributo, ricco di fotografi e e immagini (200 circa), una sezione di schede sulle istituzioni della CNI, per dare una visione sul mondo che ha gravita-to e gravita intorno all’UI: le scuo-le, l’EDIT, il Dramma Italiano, il Centro di ricerche… tutto quello, insomma, che ha costituito e costi-tuisce il nostro corpo culturale e ci-vile. Questo, grossomodo, un sun-to dell’attività editoriale nell’anno che abbiamo davanti”.

Oltre alla logica continuazio-ne dei vari progetti pluriannuali, in cantiere anche progetti nuovi. “Pubblicheremo ancora una ricer-ca sulle abitazioni tradizionali in Istria – anticipa Radossi - , un vo-lume di carattere etnografi co con 250 pagine di testo, 500 immagi-ni a colori di costruzioni tradizio-nali, in primo luogo della campa-gna, stanzie e agglomerati abitati-vi che costituiscono il paesaggio della nostra penisola. Un’edizio-ne fi nanziata dal FVG e il soste-gno del Centro tramite UI-UPT. Accanto a questa, altre edizioni che si richiamano ancora una vol-ta alla collaborazione con FVG e UI-UPT, come pure con l’Univer-sità degli Studi di Trieste: si con-cluderà nel 2008 una ricerca ap-

profondita sull’identità degli ita-liani nella Repubblica di Croazia, iniziativa già portata a termine per quanto riguarda la Repubblica di Slovenia, realizzata a suo tempo

autonomamente dall’Università di Trieste.”

Ambiziosi progetti in cantiere

In cantiere anche due progetti nuovi: “Uno riguarda una ricerca di cui si accenna nel Volume 37 degli Atti (in uscita nel 2008) – anticipa il direttore –, una ricerca sull’atti-vità delle rappresentanze diploma-

tico-consolari del Regno d’Italia dal 1867 al 1915, per capire in che maniera il Regno d’Italia era vicino alla popolazione di questo territorio ex veneto, diventato un’enclave ro-manza nell’ambito dell’Impero au-stro-ungarico. Abbiamo indiviuato che il Regno d’Italia aprì a Trieste un Consolato Generale dal qua-le dipesero in maniera diversifi ca-ta Consolati o Agenzie consolari a Gorizia, Pirano, Parenzo, Rovigno, Fiume, Buccari, Portorè, Sebenico, Zara, Spalato, Ragusa e addirittura a Mostar! Il progetto potrebbe pro-trarsi per una decina d’anni, forse più. Un altro progetto riguarda la costa adriatica orientale: abbiamo dato l’avvio ad un progetto che dovrebbe venir realizzato entro due o tre anni, un atlante storico dell’Adriatico orientale, con circa 150-200 pagine di testo, 200 illu-strazioni tra riproduzioni di carte e cartine geografi che, per spiegare la storia dei cambiamenti avvenu-ti a partire da Trieste fi no all’Alba-nia. Si tratta di un’opera che sarà si-curamente di grande interesse, che andrà a colmare una lacuna fi nora esistente riguardo il territorio della costa dalmata”.

La cura dei dialetti del nostro territorio

“Nel 2008 porremo pure l’ac-cento del nostro impegno in cam-po fi lologico, per quanto riguar-

da la CNI, attraverso due aspet-ti: uno, già tradizionale, attraver-so la pubblicazione di dizionari dialettali del nostro territorio (sei sono fi nora già stati realizzati). Quest’anno dovrebbe uscire il di-zionario del dialetto istro veneto di Buie, praticamente già pronto, mentre in fase di completamento è quello di Pola. Particolare atten-zione sarà rivolta all’antropologia vallese. L’altro riguarda la ricer-ca toponomastica. Si inizia con la pubblicazione della topono-mastica di Rovigno, in rovignese antico, comparata con le parlate istriote del territorio, che si pre-senta anche come una ricerca eti-mologica”.

I piani del CRS comprendo-no anche delle ristampe, tra cui un’opera fondamentale di topo-nomastica di tutto il territorio, che va dal Trentino Alto Adige fi no a tutta la Dalmazia, pubbli-cato dal prof. Carlo Maranelli nel 1915. L’edizione contiene tan-tissimi dati storici, economici, sociali, linguistici, statistici che danno un’immagine autentica del territorio, una visione sull’opinio-ne colta pubblica italiana guarda-va a quel tempo il problema sul futuro confi ne orientale italiano dopo la Prima Guerra mondia-le, non un aspetto nazionalistico bensì un approccio molto colto e attento ai problemi connessi a quello che sarebbe diventato il futuro confi ne orientale”.

Da non dimenticare che anche nel corso del 2008, il Centro si impegna a curare la specializza-zione dei suoi collaboratori: “Con l’appoggio dell’UI verranno fi -nanziati due dottorati di ricerca di due nostri studiosi. Si prevede di impiegare un nuovo studioso con laurea universitaria e la specializ-zazione dei quadri che continue-rà atraverso la collaborazione con la Nazione Madre e con il soste-gno della Croazia e della Slove-nia. Quello che ci preme innanzi-tutto è di accelerare la ricerca di studiosi di storia medievale e mo-derna”. Progetti, dunque, non da poco, a cui il Centro di Ricerche storiche di Rovigno saprà sicura-mente far fronte con l’impegno e la serietà che da sempre lo con-traddistinguono.

Giovanni Radossi nel suo studio

Di imminente uscita il XVIII numero dei Quaderni 18: un’edizione molto ricca volto sulla storia contemporanea, pagine vere del secolo scorso

Una ricerca sull’attività delle rappresentanze diplomatico-consolari del Regno d’Italia dal 1867 al 1915, per capire in quale maniera il Regno d’Italia fu vicino alla popolazione di questa regione ex veneta, diventato un’enclave romanza nell’ambito dell’Impero austro-ungarico

Page 4: Storia 080202

4 storia e ricerca

La Shoah narrata in una mostra fotografi ca allestita dall’Associazione dei combattenti e degli antifascisti di Fiume

5

TESTIMONIANZE

di Gianfranco Miksa

Sabato, 2 febbraio 2008 Sabato, 2 febbraio 20084 storia e ricerca

Oleg Mandić: «In pochi secondi ho perso la mia identità Oleg Mandić: «In pochi secondi ho perso la mia identità come tanti altri. Sono diventato il numero IT 189488»come tanti altri. Sono diventato il numero IT 189488»Ricordare gli atti di barba-

rie del nostro passato per impedire nuove barbarie,

per costruire un futuro che si ispi-ri a ideali di libertà e di fratellan-za fra i popoli.“Vietato dimentica-re gli orrori del passato, affi nché

l’antisemitismo, dottrina purtrop-po ancora oggi esistente e forte, possa essere combattuto e scon-fi tto”. Questo il monito lanciato dal presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, nei discorsi pronunciati in occasione della Giornata internazionale del-la Memoria, rilevando al contem-po che “deve essere la nostra sto-ria quella dalla quale cogliere tutti i corretti insegnamenti per una de-mocrazia vera e sana; affi nchè la nostra realtà sociale non sia fran-tumata per le piccole differenze che caratterizzano gli uomini che la compongono, differenze che poi in realtà la rendono così affasci-

nante”. E non solo: Napolitano ha rammentato che la Shoah fu pre-parata dalle leggi razziali emanate dal regime fascista settant’anni fa, “leggi che suscitarono orrore negli italiani rimasti consapevoli della tradizione umanista e universali-

stica della nostra civiltà e del con-tributo ad essa dato dalla comu-nità ebraica”. “‘Noi non abbiamo dimenticato e non dimentichere-mo mai la Shoah – ha ribadito Na-politano – e non dimenticheremo nemmeno i Giusti d’Italia”, perso-naggi che “tennero vivi gli ideali di umanità, si sforzarono di salva-re almeno alcuni degli ebrei perse-guitati, salvarono anche le nostre coscienze”. E parlando di Giusti, impossibile non riccollegarci nella memoria al “questore giusto” Gio-vanni Palatucci, nel 1937 trasferi-to alla questura di Fiume come re-sponsabile dell’uffi cio stranieri e poi come commissario e questore

reggente, che nella sua posizione cercò “di fare un po’ di bene”, sal-vando numerosi ebrei (un calcolo approssimativo ha stimato in cir-ca 5.000 il numero di persone da lui aiutate). Quando nel novembre del 1943 Fiume entrò a far parte della Adriatisches Kustenland, il comando della città passò al ca-pitano delle SS Hoepener. Pur av-visato del pericolo che correva lui stesso, decise di rimanere al suo posto, far scomparire gli archivi e salvare più persone possibili. Il 13 settembre 1944 Palatucci venne arrestato e tradotto nel carcere di Trieste, dal quale fu poi deportato a Dachau. Morì pochi giorni prima della liberazione a soli 36 anni.

Non un accenno alla sua fi gu-ra nel capoluogo quarnerino, dove la Giornata della Memoria è sta-ta celebrata dall’Associazione dei combattenti e degli antifascisti di Fiume (UABA) con una mode-sta mostra incentrata sulla trage-dia dell’Olocausto. Alla mostra/cerimonia, che ha anche inaugu-rato la nuovissima sede dell’Asso-ciazione antifascisti in Via Deme-trova ha preso parte un numeroso pubblico, tra cui diversi esponenti della città di Fiume (Ivanka Persić, capodipartimento alla Cultura), il presidente della Comunità ebraica di fi ume Vlado Kohn e tanti altri. Dinko Tamarut, in qualità di presi-dente dell’UABA fi umana ha volu-to rievocare le vicende degli ebrei fi umani, ricordano in primo luogo la Sinagoga fi umana, distrutta dai tedeschi nel ’45, oltre che tutte le vittime della Germania nazista. La mostra è stata allestita dai profes-sori Ines Grgurina e Mirela Caput.

L’esposizione consiste in una serie di 10 panelli con tanto di fotografi e e attente didascalie. È ripercorsa la drammatica vicen-da legata alla persecuzione degli ebrei, dalla “Notte dei cristalli” fi no al giorno in cui verranno ab-battuti i cancelli di Auschwitz. In

Parla un testimone oculare, Pino Bulva

Così i Tedeschi bruciarono la SinagogaLa Sinagoga di Fiume, il luogo di culto della religione ebraica, che si LLtrovava all’incrocio delle vie Pomerio e Fiorello la Guardia, è stata LLdemolita dai militari tedeschi nel lontano 20 gennaio 1944. Uno dei te-stimoni oculari è il fi umano Pino Bulva, per molti anni redattore tecnico della rivista “Panorama”, oggi in pensione. All’epoca Pino era un ragaz-zino di undici anni. I terribili fatti se li ricorda così: “Era una bellissima giornata di sole. Essendo giovanetto, ero solito giocare con i miei coeta-nei davanti casa, sulla scalinata di fronte all’odierno Albergo Bonavia. Qualcuno del gruppo ha gridato che i tedeschi erano intenzionati ad ap-piccare il fuoco alla chiesa degli ebrei. Abbiamo imboccato la Via 30 ot-tobre, che è l’odierna Frano Supilo, passando per la Via Pomerio, all’in-crocio di Via Firenze, dove si trova l’Arcivescovado. La visibilità non era granché, ma la curiosità m’imponeva di trovare un posto migliore.Così sono corso per la Via Milano, dove si trova il campo di pallacane-stro, sbucando in Via Parini, l’odierna Fiorello La Guardia. Lì, sempre ad una certa distanza, c’era un ‘panorama’ migliore. I fatti si svolsero in questo modo. I tedeschi con delle taniche cosparsero la Sinagoga di ben-zina, dopo di che lanciarono all’interno del Tempio due bombe a mano, quelle tipiche tedesche con il manico. Dopo l’esplosione, il luogo di cul-to ebraico prese fuoco. Non c’erano molti presenti, perché la popolazione aveva paura dei tedeschi. Circa venti minuti dopo arrivarono i pompieri con l’autopompa. Tuttavia i soldati del Reich non vollero dare il consen-so per spegnere l’incendio. Da parte loro, i pompieri insistettero per ba-gnare almeno le case vicine, di modo che almeno quelle non prendessero fuoco. I tedeschi acconsentirono, ma appena il pompiere accennò a irriga-re in direzione del Tempio, il soldato alzò la pistol machine, mettendo in guardia il povero vigile del fuoco. Ricordo che la Sinagoga era una delle costruzioni fi umane più belle – racconta ancora Bulva –. Mentre ardeva, la grande cupola che sovrastava l’edifi cio crollò all’interno del Tempio. Ciò nonostante le mura perimetrali rimasero in piedi. Più tardi, nel 1945 quando arrivarono i partigiani, una delle prime cose che fecero fu quel-la di demolire ciò che era rimasto del Tempio, per costruire un edifi cio con appartamenti e vani adibiti ad uffi ci, che esistono ancor’oggi. Penso che non si poteva fare null’altro. Se la cupola non fosse crollata forse si sarebbe potuto rinnovare il tempio”, conclude il connazionale che della comunità ebraica fi umana dice: “era integrata completamente nel tessuto della città. Erano inseriti nella società e nella vita quotidiana, meglio che in qualsiasi altra città italiana, come Ferrara e Trieste, dove erano situa-ti i più grandi ghetti. A Fiume non si faceva caso, non ci si accorgeva se qualcuno era ebreo. Tanto che, quando iniziarono le persecuzioni, ogni volta che qualcuno spariva o veniva deportato, ci si chiedeva: ‘anche lui era ebreo?’. A Fiume, chi era in potere di farlo, salvava gli ebrei, basti ri-cordare Giovanni Palatucci”.

Rilettura sgombra da pregiudizi ideologiciSergio De Santis ricostruiscela «Notte dei lunghi coltelli»Sabato 30 giugno 1934. Alle

4 del mattino, nell’aeroporto di Monaco atterra un trimotoreJunker. A bordo c’è Adolf Hitler. Per le Sturmabteilungen (SA),le popolari camicie brune delleSquadre d’Assalto che hanno gio-cato un ruolo decisivo nei primianni del movimento nazista, sta per aver inizio la “purga” san-guinosa capitanata dal gruppo av-versario, le aristocratiche SS, chepasserà alla storia come la “Nottedei lunghi coltelli”.

Come si è arrivati a questodrammatico regolamento di con-ti all’interno del regime? E comeè stato possibile che gli aspetti in-negabilmente teppistici del feno-meno SA, la sgradevolezza persi-no fi sica dei principali personaggi coinvolti nella vicenda – a partiredallo stesso comandante del cor-po, il ripugnante capitano Ernst Röhm – abbiano potuto far accan-tonare l’esigenza di approfondire l’analisi sociologica e politica diun movimento che al momentodella “purga” era arrivato a inqua-drare parecchi milioni di tedeschi,necessariamente non tutti teppi-sti e tagliagole? Per rispondere a questo interrogativo è necessaria una rilettura del movimento na-zista, sia nella fase cruciale della marcia verso il potere sia in quel-la del consolidamento del regime.Una rilettura sgombra da pregiu-dizi ideologici, che affronti dipetto alcuni temi di solito trattatiin maniera alquanto sommaria. Eche soprattutto non esiti di fron-te alla necessità di rimettere in di-scussione non poche idee ormaicanoniche, anche a costo di ab-bandonare il rassicurante terrenodelle defi nizioni nette e delle eti-chette in bianco e nero, al fi ne di addentrarsi nella zona crepusco-lare dei fenomeni contraddittori edelle verità imbarazzanti.

Una precisa ricostruzione del quadro storico che ha determi-nato il drammatico episodio nel giugno del 1934, è quella di Ser-gio De Santis, giornalista, studio-so di storia, responsabile e auto-re di programmi televisivi, che ha pubblicato di recente “La notte dei lunghi coltelli. La vera sto-ria delle SA” (Avverbi Edizioni, Grottaferrata/Roma, p. 264, 14 euro). Sergio De Santis, giornali-sta, studioso di storia, responsabi-le e autore di programmi televisi-vi. Autore del volume “Spionag-gio nella Seconda guerra mondia-le” (2001) e “Mohandas K. Gandi fuori dalla leggenda” (2004). Ha contribuito alle opere “Storia delle rivoluzioni”, “I protagoni-sti della rivoluzione in Ameri-ca latina” e “I grandi enigmi fra cronaca e storia”. Ha collaboratocon numeri speciali, dossier, sag-gi e articoli a “Nuovi argomen-ti”, “Il Mondo”, “Rivista storica del socialismo”, “Storia illustra-ta”, “Storia e Dossier”, “Ulisse”, “Il Paradosso”. Dirige la collana “Storicamente” per la casa editri-ce Avverbi. (ir)

L’uscita della famiglia Mandić, accompagnata da due uffi ciali sovie-tici, dal campo di Auschwitz. Oleg è il secondo da sinistra, al centro

invece la mamma e la nonna

uno di questi panelli è descritta an-che la storia della comunità ebrai-ca fi umana e la costruzione della Sinagoga. La mostra è stata arric-

chita dalla testimonianza, prima in prima persona, e poi anche at-traverso un fi lmato, dell’abbazia-no Oleg Mandić. Si tratta di un ex

internato del campo di Auschwitz. Oleg aveva undici anni quando nel 1944 è stato arrestato, assieme alla mamma e alla nonna, dai militari te-deschi come rappresaglia perché il nonno e il padre erano entrati nel-le fi le partigiane. Nella sua testimo-nianza ha ricordato che nei campi di concentramento non c’erano solo ebrei ma tantissimi altri gruppi e ad-dirittura sottogruppi, come zingari, comunisti, omosessuali, malati di mente, Testimoni di Geova, russi, polacchi e altre popolazioni slave, oltre che pervertiti, criminali, im-broglioni e così via. “Eravamo tutti popolazione indesiderata. Ed erava-mo tutti antifascisti” – ha spiegato Mandić. “Gli ebrei sono coloro che hanno pagato il prezzo più alto, ma allo stesso modo non dobbiamo di-menticare le altre vittime di altre nazionalità”. Mandić ha descritto nei dettagli il viaggio verso il lager di Auschwitz, la vita – se così può essere defi nita – nel campo. “Dopo una piccola parentesi nelle carceri fi umane e in quelle triestine sono seguiti due mesi alla Risiera di San Sabba. L’unico campo di concen-tramento fornito di un inceneritore – ricorda Mandić – al di fuori della Germania nazista –. Dopo la Risie-ra triestina ci mandarono, in treno,

ammassati come animali nei vago-ni, verso una località in Polonia, un complesso dal nome di Auschwitz. Un nome che a noi all’epoca non signifi cava assolutamente nulla. Quello che mi colpì era la grandez-za del campo di concentramento, non s’intravvedeva la fi ne. Appena sceso dal treno mi sono accorto che ovunque c’erano recinti di fi lo spi-nato, dietro ai quali erano sistemate tantissime baracche. All’orizzonte invece si scorgevano strane costru-zioni, con dei grandi camini. Era il crematorio. Abbiamo avuto fortuna, forse perché nel nostro gruppo non c’erano tanti ebrei, di fi nire nel la-ger e non nel crematorio. Subito è iniziata la selezione tra maschi e femmine. Anche se tutti i ragazzi di età superiore ai dieci anni fi ni-vano nel campo maschile, io, grazie alla confusione sono fi nito assieme a mia madre e alla nonna, in quello femminile. Poi, in pochi secondi ho perso il nome, la mia identità. Sono diventato il numero IT 189488”. Mandić ha raccontato anche di aver conosciuto, quando si è ammalato di

dissenteria, il dottor Josef Men-gele. “Era una persona molto a modo, gentile. Dei suoi orrori e degli esperimenti sui gemelli non sapevamo niente. Ad ogni modo ricordo che nell’ospedale c’erano un continuo via vai di gemelli”. Il 27 gennaio 1945, le truppe del-l’Armata Rossa, nel corso del-l’offensiva in direzione di Ber-lino, arrivarono presso la città polacca di Oœwiêcim (nota con il nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente fa-moso campo di concentramento e liberandone i pochi supersti-ti. L’ultimo prigioniero ad usci-re da quel campo è stato proprio Oleg Mandić, insieme con la sua famiglia. La sua “uscita” è stata fi lmata anche dagli operatori rus-si. “Dopo, da grande sono torna-to ad Auschwitz per due volte, da solo senza la mamma e la nonna” ha concluso Mandić.

Page 5: Storia 080202

6 storia e ricerca

L’ondata di repressione che seguì alla risoluzio-ne del Cominform con-

tro il Partito comunista jugoslavo per “deviazionismo” ideologico (1948) ebbe conseguenze tragi-che su tutta la società jugoslava dell’epoca, e in particolare si ri-fl etté pesantemente sulla condi-zione degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle isole del Quarnero, già privati nel loro potere econo-mico, politico e sociale nel perio-do 1945 – 1948, in particolare dal-l’esodo della popolazione italiana iniziato già alla fi ne del confl itto e sviluppatosi in massa dalla fi ne del 1946.

La rottura con Mosca signifi cò sia una nuova “resa dei conti” del regime di Tito con i suoi nemici, o presunti tali, sia la rottura tra il comunismo jugoslavo e i comuni-sti italiani – tra cui diversi immi-grati politici venuti in Jugoslavia a “costruire il socialismo” – che si schierarono dalla parte di Sta-lin. La repressione fu violenta e molti dei “cominformisti” italiani dovettero emigrare per mettersi in salvo. Altri fi nirono nel “campo di rieducazione” di Goli Otok – Isola Calva o in altri campi di detenzio-ne. Luciano Giuricin e il Centro di Ricerche storiche di Rovigno han-no voluto dedicare all’argomen-to – facendo luce su uno dei tanti tabù della nostra storia, rimasti per diversi anni preclusi alla ricerca – una monografi a, “un volume-testi-monianza a ricordo di tutte quelle persone che, sotto diverse forme, ne furono coinvolte”, come preci-sa Orietta Moscarda Oblak nella prefazione di “La memoria di Goli Otok” (Monografi e, Centro di Ri-cerche storiche – Rovigno, vol. X, Rovigno 2007, pp. 332).

Un osservatore privilegiato

L’autore, Luciano Giuricin, ha lavorato alla ricerca per diversi anni, in pratica dal 1990-1991 in-tervistando i protagonisti, prose-guendo nel 1993-1994 presso gli archivi, per arrivare a una stesura defi nitiva nel 1995, ma il mano-scritto è rimasto fi no a poco tem-po fa nel cassetto per mancanza di mezzi fi nanziari. “Nonostante tut-to, nel corso di questi anni, i risul-

tati delle ricerche sono stati divul-gati attraverso la pubblicazione di saggi, di articoli e di notizie tratti da mie ricerche in varie opere, ri-viste e giornali. Ricorderò in pri-mo luogo il mio primo articolo a puntate dedicato a questo tema, apparso su ‘La Voce del Popolo’ (27, 28 e 29 settembre 1990, ndr) – precisa Giuricin – in cui illustrai per sommi capi le ricerche condot-te sul Cominform riportando una lunga serie di testimonianze rac-colte fi no ad allora, che Giacomo Scotti, assieme alle altre numerose notizie apparse in merito nell’ap-posita rubrica sul tema che aveva curato sullo stesso giornale, ripor-tò nella prima edizione del suo li-bro ‘Goli Otok-Ritorno all’Isola Calva’ apparsa nel novembre del 1991”.

A partire da questo numero, nell’Inserto “Storia e Ricerca”, considerato anche il coinvolgi-mento più o meno diretto di di-versi giornalisti e impiegati del-

l’EDIT, troveranno spazio alcune testimonianze, a iniziare da quella resa da Ferruccio Glavina di Fiu-me che, assieme a quella di Anto-nio Giuricin di Rovigno, è l’unica fornita da chi allora faceva parte del potere popolare e quindi, in virtù di osservatore privilegiato, contribuisce a completare il qua-dro della situazione. Segretario dell’Unione Italiana (nel 1958 – 1962) presidente del Comunità de-gli Italiani di Fiume (1965 – 1972) e direttore dell’EDIT dal 1973 al 1976, fu, con Antonio Borme e Corrado Iliassich uno dei princi-pali protagonisti della storica XIV Assemblea dell’UIIF a Parenzo nel maggio del 1971, in particola-re per aver dato vita al nuovo Sta-tuto dell’Unione che, oltre alla tra-sformazione dei Circoli Italiani di Cultura in Comunita degli Italiani, puntava a fare dell’UIIF la futura associazione sociale autonoma-autogestita di tutti i cittadini di na-zionalità italiana.

DOSSIER ISOLA CALVA (1)

Furono dichiarati «traIniziamo a pubblicare, con

Sabato, 2 febbraio 2008

Assemblea costitutiva della CI di Fiume, 11 maggio 1971, presidenza dei lavori con Maria Schiavato, Ferruccio Glavina (eletto primo presidente), Andrea Benussi, Giovanni Cucera ed Eris Materglian

Comunità degli Italiani di Fiume, settembre 1973: da sinistra Corrado Iliassich, Ferruccio Glavina, Lorenzo Vidotto e Luciano Giuricin

Va altresì sottolineato che dal termine del secondo con-fl itto mondiale in poi la com-ponente italiana si era ritrovata progressivamente alienata dal contesto culturale – ma anche linguistico – dell’Italia. Una regione che aveva prodotto una simbiosi con le sponde opposte dell’Adriatico, contribuendo non poco nei vari campi dello scibile umano, conobbe, allora, un isolamento pressoché com-pleto. Erano gli anni bui e diffi -cili in cui si stava consumando l’esodo, che stava a poco a poco alterando la confi gurazione et-nica della regione, le istituzioni storiche e le persone che le gui-davano abbandonarono pure il territorio e al contempo scom-parvero i segni visibili in cui si riconoscevano gli Italiani, che, sovente, furono divelti con la forza. Il martello spezzò tar-ghe lapidee, insegne e monu-menti che ricordavano la sto-ria della componente italiana, le sue speranze ed aspirazioni, come nel caso degli irredenti-sti, che per le nuove autorità rappresentavano il male per an-tonomasia, e pertanto venivano defi niti una sorta di antesigna-ni del fascismo. La “damnatio memoriae” colpì quanto appa-riva incongruente a coloro che propinavano una storia scritta a tavolino, contraddistinta dalla “lotta secolare dei popoli sla-vi” contro presunti oppressori e dall’annessione alla “madre patria jugoslava” delle terre “liberate”, perciò vennero oc-cultate le tracce disseminate sul territorio che rammentava-no un passato decisamente di-verso e più complesso di quello che si voleva rappresentare. Si celavamo, o meglio si elimina-vano, le testimonianze del pas-sato: furono distrutti leoni mar-ciani, stemmi ed epigrafi di po-destà e rettori veneti, targhe ce-lebrative, ecc.

Le «picconate»L’opera volta a cancellare il

passato non aveva risparmia-to alcuna località dell’Adria-tico orientale. Ecco allora che scomparve per sempre la targa realizzata nel 1883 dal comune di Pirano per ricordare il sesto centenario della dedizione del-la città a Venezia – mentre, per un caso fortuito, rimase intatta la targa con i nomi dei pirane-si irredenti caduti nell’esercito italiano nella guerra del 1915-18, che tuttora è collocata sulla facciata del palazzo del tribu-nale sito in piazza Tartini –; a Isola venne tolta la lastra mar-morea, sita sulla facciata della casa natale, in cui si rammenta-va Domenico Lovisato, scien-ziato di fama internazionale e patriota, a Capodistria venne-ro spezzate le epigrafi dedicate agli studenti del Liceo cittadi-no caduti nelle guerre risorgi-mentali. E poi quanti libri ita-liani furono occultati o distrut-ti? Le biblioteche civiche, nate e sviluppatesi grazie all’appor-to delle rispettive municipalità e dei singoli cittadini furono chiuse ed il loro patrimonio li-brario in buona parte disperso, stessa sorte toccò ai conventi con le loro preziose raccolte di tomi e oggetti artistici. I dan-ni provocati furono incalcola-bili. L’obiettivo evidente era cancellare la memoria storica, obliterare quanto rimandava ai rapporti con l’Italia. Ricordia-mo questo non per alimentare inutili polemiche ma solo per sottolineare quanto si consumò

nelle nostre terre a guerra ter-minata e nei decenni successi-vi, e per evidenziare che, men-tre tutti condannano quanto compiuto dal fascismo nel pe-riodo tra le due guerre mondia-li nei confronti delle istituzioni, della cultura e dei singoli ap-partenenti alla comunità slove-na e croata, pochi conoscono le sorti degli Italiani e della loro cultura, smantellata dal territo-rio e poi relegata alle scuole e ai circoli di cultura, ma control-lati di fatto dal regime.

La nuova stagioneSino alla democratizzazio-

ne delle due repubbliche tutto ciò era una sorta di divieto sa-crale e non si doveva affrontare quella pagina in quanto avreb-be signifi cato svelare le ne-fandezze del regime, che giu-stifi cava quanto compiuto in nome del riscatto del proprio popolo. Solo nel 1964 si aperse una nuova stagione per i con-nazionali residenti in Jugosla-via, quando cioè l’Università Popolare di Trieste dette inizio ai primi timidi tentativi di col-laborazione sul piano culturale con l’Unione degli Italiani del-l’Istria e di Fiume. E fu un vero “miracolo” perché contribuì al venir meno di quell’isolamento di cui abbiamo già accennato, e grazie a quella benemerita isti-tuzione – i cui rapporti esistono tutt’oggi – la componente ita-liana poté sviluppare iniziati-ve culturali (rammentiamo solo il concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima”) nonché migliorare la realtà scolastica, fondamentale per mantenere vive la lingua e l’identità.

Il venir meno della Jugo-slavia e l’indipendenza della Slovenia e della Croazia han-no aperto nuovi scenari, non sempre migliori rispetto alla situazione precedente, alme-no sul versante del rispetto del bilinguismo (laddove questo è contemplato dagli statuti muni-cipali), che gradualmente viene eroso e arretra, come nel caso del Capodistriano, in cui si as-siste al consolidamento del-lo stato nazionale e, di conse-guenza, della slovenità.

Attaccamentoalle radici

All’alba del terzo millennio la Comunità Nazionale Italiana si trova ancora a pagare le con-seguenze di mezzo secolo or sono. Il ruolo che si è prefi ssata di perseguire non era – e non lo è nemmeno oggi – dei più sem-plici. I nove decimi della popo-lazione autoctona lasciò la pro-pria terra, se ne andò la borghe-sia, l’intellighenzia ma anche le persone comuni: i pescatori, i salinai, i contadini, i calafati e con loro se ne andarono an-che gli antichi saperi di quelle attività e mestieri tradizionali che si tramandavano di gene-razione in generazione. “Dalla vecchia Capodistria se ne era-no andati proprio tutti: paolani e pescatori, impiegati e artigia-ni, coristi e sportivi, le ragaz-ze della fi lodrammatica (...)” scrive Fulvio Tomizza nel suo “Il male viene dal nord”. Sta-va tramontando un mondo, e per sempre.

Ciò che la comunità italiana qui residente ancora possiede, e perciò ne va orgogliosa, è la lingua e la cultura, che, nono-stante tutto e tutti, si sono con-servate, segno, anche questo, del loro profondo radicamento in queste contrade.

Dalla prima pagina

Page 6: Storia 080202

storia e ricerca 7

ditori» i massimi esponenti dell’UIIF quella resa da Ferruccio Glavina, una serie di testimonianze tratte dal volume di Luciano Giuricin

Sabato, 2 febbraio 2008

a cura di Barbara Rosi

Nella primavera-estate di ses-sant’anni fa, quando fu annun-ciata la Risoluzione del Comin-form, faceva parte dell’Esecutivo del Comitato popolare cittadino

di Fiume, con l’incarico di pre-sidente della Commissione per i piani e direttore dell’Uffi cio sta-tistica, incarico che svolse fi no al marzo 1949, quando fu trasferito al Comitato popolare regionale da poco costituito. Ricordo che rima-si letteralmente sbigottito da que-sto fatto. Tanto al primo, e credo anche ultimo, dibattito sull’argo-mento al quale partecipai in seno al Comitato cittadino del PCC, di cui ero membro, tutti erano incre-dibili, al punto da pensare a qual-che eventuale equivoco, che si sa-rebbe ben presto potuto appiana-re. Invece la faccenda si presentò ben presto con tutta la sua tragici-tà e pericolosità.

Il tutto gestito dall’UDB-a

Da quanto potei constatare di persona sin d’allora gli organismi di partito, anche quelli più respon-sabili come appunto il Comitato cittadino di Fiume, avevano poca voce in capitolo su quanto stava accadendo a questo riguardo nel nostro territorio. Tutto veniva ge-stito da una ristrettissima cerchia di funzionari dell’UDB-a, o al ser-vizio di questa, che riceveva preci-se istruzioni dall’alto. Le maggio-

ri ripercussioni non si verifi caro-no all’inizio, bensì durante il 1949 quando ebbero luogo i primi arre-sti. Nel 1948 si svolsero in tutte le cellule di partito le riunioni prepa-ratorie nelle quali venivano spie-gate le ragioni del PCJ e confutate le critiche del Cominform espresse nella sua prima risoluzione.

Prima di questa operazio-ne, nell’ampia sala del “Talia”, in Salita Calvario, ebbe luogo un’importante riunione di massa, dedicata ai membri del partito di nazionalità italiana. Erano pre-senti forse due o trecento persone, alle quali furono riassunti e com-mentati ambedue i documenti: la Risoluzione e la risposta del CC del PCJ, più altre lettere accom-pagnatorie giunte in seguito. Di-rigeva la seduta Oskar Piškulić-Žuti, mentre Erio Franchi fun-geva da traduttore. Molti di noi si meravigliarono del fatto che il Piškulić, allora capo dell’UDB-a di Fiume, fosse stato incaricato di dirigere questa e tante altre riu-nioni del genere del partito. Un segno evidente anche questo che la polizia stava assumendo il pie-no controllo, anzi la direzione di tutta l’operazione portata avanti allora per affrontare la contesa con il Cominform.

Pure in questa occasione si svolse un intenso dibattito, nel corso del quale furono affrontati i più disparati argomenti solleva-

ti dalla Risoluzione, con continui battibecchi fra i presenti. Molti di coloro che avevano preso la pa-rola esprimendo qualche larva-ta critica, subirono più tardi non pochi dispiaceri, fi nendo anche a Goli Otok. Per cui è da crede-re che tali riunioni, convocate af-fi nché tutti potessero esternare il proprio pensiero liberamente, fu-rono poi sfruttate dalla polizia per stabilire chi era in linea e chi doveva invece pagare il prezzo del loro dissenso, o dei loro dubbi an-che se velati. A queste riunioni di massa, organizzate anche per set-tori specifi ci, con gli intellettuali, i giovani, gli insegnanti, ecc. ecc., seguirono in tutte le aziende, enti ed istituzioni, riunioni delle cel-lule di partito nelle quali, dopo un’attenta disamina dei proble-mi presentati, tutti i membri indi-stintamente dovevano schierarsi o dall’una, o dall’altra parte. In ogni luogo si doveva fi rmare un testo di adesione al PCJ. Non oc-corre dire a quale punto fosse la tensione dappertutto. Forti e in-cessanti furono le pressioni fat-te sulle persone tentennanti. Nu-merosi membri del partito, però, non si azzardarono a pronunciar-si, rimanendo il più possibile in silenzio.

Gli «informatori» interni

Nella cellula di partito del Co-mitato popolare cittadino di Fiu-me, della quale facevo parte an-ch’io, il testo di adesione venne preparato da Zora Matijević. Se-guì poi una lunga discussione sul metodo da scegliere per apporre la fi rma. Cioè se si doveva inizia-re per ordine alfabetico, o in base alla disposizione delle persone po-ste attorno al tavolo delle riunioni. Anche questo fatto, di per se stes-so, non era altro che un segno evi-dente di disagio che regnava tra i presenti. D’altra parte era eviden-te che dovevano esistere degli in-formatori nell’ambito della cellu-la stessa, in quanto Marcello Ju-retich, Leopoldo Boscarol e Fran-cesco Surina, esponenti di punta della Giunta esecutiva del CPC in qualità di capi dipartimento del-l’industria, degli affari co-munali e della sanità, furo-no subito accusati di esse-re i fautori della forte crisi venutasi a creare allora in seno a questo importante organismo direttivo della città subendo le prime di-rette conseguenze.

Ricordo che già qual-che tempo prima, quando nelle riunioni ideologi-che della medesima cellu-la venne imposto lo studio della storia del Partito co-munista bolscevico del-l’URSS, i citati dirigen-ti avevano espresso delle critiche al nostro partito, defi nito dagli stessi non suffi cientemente bolscevi-co, specie nella questione agraria e in altri problemi specifi ci. Tutto ciò, però, non era altro che un rifl es-so del malcontento che sta-va serpeggiando in città, in primo luogo a causa del massiccio esodo, alquanto anticipato a Fiume rispetto le al-tre località, non solo di ex fasci-sti e nemici come venivano defi ni-ti allora, ma pure di lavoratori, di ex combattenti della LPL e addi-rittura di membri del partito, non-ché di molta gente che fi no allora aveva aderito al potere popolare, ormai delusi dalla diffi cile situa-zione venutasi a creare per le fi n troppe severe misure amministra-tive, economiche e poliziesche in-trodotte prima, ma in particolare dopo l’annunciata annessione di Fiume alla Jugoslavia.

Le conseguenze del Comin-form furono catastrofi che anche per l’Unione degli Italiani della cui direzione facevo parte, nonché per diversi Circoli Italiani di Cul-

tura, per non parlare delle istituzio-ni scolastiche della minoranza. Dal 1948 al 1951, infatti, furono elimi-nati numerosi dirigenti di primo piano, sostituiti con altri di mag-gior fi ducia. Intanto è necessario rilevare che furono defi niti traditori personalità quali Andrea Casassa, Giorgio Sestan e Sergio Segio, tutti fi no allora dirigenti e membri del-la Presidenza dell’UIIF. Lo stesso presidente Dino Faragona e pri-ma di lui il vicepresidente Domeni-co Segalla furono destituiti. Ambe-due, come del resto altri esponenti italiani, dopo essere stati estromes-si, seguiranno la via dell’esodo. Al loro posto verranno messi degli esponenti di partito quali Alfredo Cuomo, Romano ed Andrea Be-nussi, Luciano Michelazzi, Giorda-no Paliaga, Giorgio Bogna ed al-tri ancora. Nel 1951 subiranno la stessa sorte i segretari Eros Sequi ed Erio Franchi, quest’ultimo an-

che in veste di direttore della “Voce del Popolo”, creando così i presup-posti della lunga e sofferta crisi vis-suta dall’UIIF, dalle istituzioni ita-liane e in genere da tutta la mino-ranza durante gli anni ’50.

In quel periodo, quasi contem-poraneamente alla IV Assemblea dell’Unione degli Italiani, svolta-si in pompa magna nel novembre 1949 per ottenere la fedele ade-sione degli italiani alla linea di Tito, ebbi modo di partecipare, in qualità di membro del Comi-tato popolare regionale, pure ad una importante riunione di mas-sa tenuta al Teatro Gandusio di

Rovigno. Il tema scelto riguarda-va i rapporti economici tra i pae-si socialisti, nei quali dominava-no le note società miste in piena sudditanza dall’URSS. Durante il dibattito qualcuno pose l’accento su certi episodi negativi successi a Rovigno, dove diversi cittadini fu-rono bastonati di santa ragione da parte di speciali squadre d’azione, anche se non avevano avuto a che fare con il Cominform. Venne ap-purato, infatti, che almeno tre per-sone subirono queste punizioni senza colpa né pena.

Gli abusi di potereIn varie altre riunioni cui par-

tecipai a Rovigno con i pescatori, al comune, alla Manifattura ta-bacchi, potei constatare notevoli manchevolezze e abusi di potere. Argomenti che, assieme ad altri, diverranno poi base fondamenta-le dell’inchiesta condotta dal Co-mitato centrale del PCJ in Istria e a Fiume, conclusasi con l’allonta-namento di quasi l’intera dirigen-za del partito della regione. A qua-le punto fosse arrivata la paura di compromettersi anche tra le per-sone più in vista dichiaratesi fede-li interpreti della linea di Tito e del CC del PCJ, ebbi modo di consta-tarlo quando fu convocata da Vla-dimir Bakarić a Zagabria una de-cina di dirigenti italiani dell’Istria e di Fiume, tra i quali c’ero an-ch’io, per sentire dalla loro viva voce la verità sugli eccessi veri-fi catisi allora in tutta la regione. Ebbene, nonostante la sfi ducia che regnava sui massimi esponenti re-gionali del partito responsabili di-retti della grave situazione venuta-si a creare allora, ci fu quasi un

silenzio di tomba, rotto solo saltuariamente da qualche insignifi cante rilievo critico.

Quello che succes-se poi nell’ottobre 1953 durante la grave crisi di Trieste, quando in una sola notte fu abbattuta e divelta la maggior parte delle scritte e delle inse-gne italiane e bilingui di Fiume, non fu altro che la continuazione della politica di terrore ope-rata all’epoca dell’eso-do e del Cominform, indirizzata questa volta esclusivamente contro la minoranza italiana. Io in quel periodo rivestivo la funzione di presiden-te del Consiglio operaio della “Torpedo”. Quan-do arrivai al mattino in fabbrica constatai che erano state eliminate tutte le scritte in lingua italiana esistenti nei vari

reparti ed uffi ci. Furono cancella-ti con il minio addirittura gli abi-tuali avvisi d’avvertimento di pe-ricolo della corrente ad alta ten-sione e delle gru in movimento. In tutta quella cagnara nessuno osò alzare la voce, né per i fatti suc-cessi in città e neppure per quel-li della “Torpedo”, anche perché essendo questa un’azienda di ca-rattere militare, tutto era in mano all’UDB-a e alla polizia politica dell’APJ. Coloro che cercarono di esprimere anche la più timida osservazione pure in questa cir-costanza furono messi da parte ed allontanati.

Page 7: Storia 080202

8 storia e ricercaIl fumettista francese Gilles Chaillet ci riporta nel IV secolo d. C.

Roma, IV secolo dopo Cri-sto: l’imperatore Costan-tino l’ha da poco spunta-

ta contro Massenzio, conquistan-do il potere. Infatti, la Battaglia di ponte Milvio ha messo fi ne alla ri-bellione di Massenzio che in aper-to contrasto con la sua esclusione dalla successione ad imperatore, come appunto voleva il sistema tetrarchico, si era fatto nomina-re princeps il 28 ottobre del 306, assumendo il controllo dell’Italia e dell’Africa. Invasa l’Italia nel-la primavera del 312, Costantino vince le truppe del fi glio di Mas-simiano prima nella battaglia di Torino e quindi nella battaglia di Verona, convergendo verso Roma tramite la via Flaminia e accam-pandosi in località Malborghetto vicino a Prima Porta, sulla riva destra del fi ume Tevere a poca distanza dal ponte Milvio, che si trovava alle spalle delle truppe di Massenzio. Dopo un lungo ed aspro combattimento le truppe di Massenzio subiscono una com-pleta disfatta e Costantino viene accolto trionfalmente a Roma, proclamato imperatore unico d’Occidente.

In uno splendido (e massiccio) volume illustrato (248 pagine a colori, Edizioni BD), il fumettista francesce Gilles Chaillet immagi-na un patrizio giungere nella città eterna per la prima volta con un messaggio da consegnare al nuo-vo Imperatore. Ma Costantino è altrove, per cui la sua missione si trasforma in una piacevole vacan-za (per lui) e nel pretesto per visi-tare “Roma al tempo degli Cesari” (per noi). Nelle pagine di questo libro incredibile, ci si perde come per le strade di una città ignota, in-gannati dal trovarla in parte fami-liare. Contiene una grande mappa della Roma antica, basata sul ce-lebre plastico di Gismondi, lunga 3,25 metri e larga 2, suddivisa per la pubblicazione in varie sezioni a pagine ripiegabili, disegnata a co-lori, a volo d’uccello, come a rilie-vo, monumento per monumento, e, si direbbe, casa per casa, cippo per cippo. Nel suo genere certa-mente un capolavoro, frutto del-la matita di un mastro del fumetto francese, Gilles Chaillet, che vi ha messo a frutto 40 anni di passione per la cultura e la storia romana, di documenti raccolti, di testi let-ti, lavorando al tavolo da disegno, com’è stato calcolato, 5.000 ore cui se ne aggiungono altre quasi 3.000 per la coloratura (oltre 330 intere giornate in totale).

Una mappa precisa, con tut-ti nomi dei luoghi e delle strade, dei templi, e di ogni cosa note-vole, comprese le principali case

private, mentre nel testo si rac-conta la visita a quella città nel 315 d.C., mentre è imperatore Costantino, di un giovane, Fla-viano, che fi nirà per innamora-si di Clelia, convertita al cristia-nesimo, schiava dell’amico Vet-tio Ruffi no, il quale la affranca. Chaillet fa vivere la sua mappa e ne ricostruisce la vita quotidiana, avvenimenti, abitudini che ci as-sicura essere tutti documentati e tratti da testi classici. Da quella mappa sono state ricavate le ta-vole che, alternate ai testi, narra-no le vicende di Flaviano (perso-naggio immaginario che percorre la città), descrivono la vita nella capitale dell’impero, nei modi e nei luoghi in cui si svolgeva quo-tidianamente. La versione fran-cese, che fu presentata proprio a Roma nel 2005 alla presenza del sindaco Walter Veltroni, ha ven-duto oltre 35mila copie, un suc-cesso per una pubblicazione di questo genere.

“La prima volta che venni a Roma – ricorda Chaillet – ave-vo diciannove anni. Tutte le mat-tine andavo al Museo della Civil-tà Romana per studiare il plastico di Gismondi. Alla fi ne ebbi addi-rittura il permesso di avvicinarmi sino quasi a toccarlo”’. Iniziò da quella esperienza lo studio del-la città, che ha portato il fran-cese a raccogliere, fi no ad oggi, oltre 2000 schede informative. Ma quella per l’Urbe non fu una passione nata improvvisamente. Anzi. “Quando avevo nove anni, chiesi a mio padre un grande fo-glio su cui disegnare Roma. Da allora non ho mai smesso – ha spiegato il disegnatore –. Ecco perché questa pubblicazione rap-presenta per me il compimento di un lavoro lungo una vita”. L’ope-ra ha rappresentato per l’artista anche un modo per immergersi nella storia: “Potevo incontrare i Romani – afferma – frequentare i negozi e le taverne, passare da-vanti alla casa del fratello di Cice-rone o trascorrere una serata con Lucullo”.

LIBRI

“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: STORIA E RICERCARedattore esecutivo: Ilaria Rocchi-Rukavina / Impaginazione: Vanja Dubravčić Collaboratori: Kristjan Knez, Gianfranco Miksa, Barbara Rosi e Ardea Stanišić Foto: Ivor Hreljanović e Goran Žiković

Anno IV / n. 2 2 febbraio 2008

Rivisitando la città dei Cesaricon autentica passione

Sabato, 2 febbraio 2008

Scritte da Albertini e disegnate da Casertano in «Decio»

Gli anni diffi cili di Roma: le guerre puniche mai visteRaccontare la seconda guerra di Roma contro

Cartagine attraverso le parole e le immagini. È questo l’obiettivo che Giorgio Albertini e Giampie-ro Casertano perseguono nel libro “Decio”, pubbli-cato dalla casa editrice ReNoir.

Il livore dei disegni, elaborati da Giampiero Ca-sertano, e l’accuratezza della narrazione storica, proposta da Giorgio Albertini, ritagliano due anna-te terribili per la stirpe di Romolo. Il libro ricostrui-sce, infatti, un biennio di battaglie, da Piacenza, 218 a.C., alla sconfi tta di Canne, del 216 a.C., una delle più memorabili disfatte nella storia di Roma.

La storia. Decio è un giovane virgulto romano. Dei suoi tre fratelli, due sono diventati glorie del-l’esercito morendo contro Pirro, il terzo è impe-gnato nelle province del Nord, nella seconda guer-ra punica. Il giovane Decio è in attesa smaniosa di potersi misurare con la fama della sua famiglia, e fronteggiare l’avanzata dell’esercito di Anniba-le, che incede inesorabile attraverso la Gallia e il Nord Italia. È proprio l’incalzare della Storia a dar-gli la sua opportunità. Dopo le sconfi tte nella neve di Piacenza e della Trebbia, e il logorio delle tatti-che di Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, Roma ha bisogno di tutti i suoi uomini per affronta-re l’esercito cartaginese. Così Decio lascia i campi di grano della sua adolescenza per ricevere il bat-tesimo militare nella sanguinosa battaglia di Can-ne. La più avanzata strategia di Annibale piegò il disordinato ardore romano. Uno scontro nel quale quasi 50.000 romani furono uccisi, poco meno del-la metà cadde nella schiavitù del nemico. Tra loro, Decio Caio Ligustino, “cittadino romano dal cuore sospeso, valoroso soldato di Cartagine.” Un fi nale aperto, che lascia uno spiraglio per una trilogia che racconti anche l’inevitabile riscatto di Roma. Ma in questo volume autoconclusivo lasciamo Decio nell’abbraccio di Annibale, generale all’apice della sua potenza e della sua fama, un condottiero capa-ce di sopportare 34 anni di ininterrotte battaglie e di tenere unito un esercito vasto e variegato.

Il ritratto di Decio fatto da Albertini e Caserta-no ricorda la fi gura di Alessandro Magno. “Decio”, nonostante il confronto con “300” di Frank Mil-ler, usa un approccio alla storia anti-epico, e anti-eroico, aspro e asciutto nel raccontare la violenza delle battaglie. I soldati sono spesso colti nei mo-menti di nostalgia, più che in quelli di esaltazione militare. Come a dire che la guerra è sempre stata e sempre sarà uno sporco lavoro. “Pensava alla fa-miglia. Non ai fratelli e ai cugini, ma a suo padre, a suo fratello minore, alla moglie e ai fi gli. Pensava

alla pace della compagnia, alla vecchia abitudine di fare la guerra solo d’estate, non come adesso in questo porcilaio fetido e maligno. Infestato di fan-go e di merda e sangue incrostato, ma i doveri di un soldato romano, di un tribuno, erano quelli. Doveri di sangue incrostato, di merda e di fango.”

Giampiero Casertano, disegnatore classe ’61, tra i più talentuosi della sua generazione in Italia, inizia come allievo di Leone Cimpellin. Oggi è una colonna della Sergio Bonelli, alla quale entrò nei primi anni ’80. Prima “Ken Parker”, poi “Martin Mystère”, poi la lunghissima collaborazione con “Dylan Dog”, che gli deve alcune tra le più belle tavole dell’intera serie ventennale, come quelle di “Attraverso lo specchio” o “Memorie dall’invisibi-le”. È stato anche copertinista di “Nick Raider “per quattro anni. In Francia è stata pubblicata una sua trilogia dal titolo “Guerres”.

Giorgio Albertini non è solo un archeologo che ha collaborato con varie università europee ed extra-europee, musei e istituzioni, ma è anche un rispettato illustratore scientifi co. Ha lavorato con “National Geographic”, “Focus”, “Archeo”, “Newton”, BBC, “La Repubblica”.

La pubblicazione del presente supplemento viene supportata fi nanziariamente dall’Unione Italiana di Fiume e l’Università Popolare di Trieste.

Il plastico di Italo Gismondi che ha ispirato Chaillet

Roma all’epoca di Costantino